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0 Annamaria Piscanc Riccardo Tominz Indagine sui fattori di rischio cardiovascolare e sulla conoscenza dei medesimi fra i dipendenti del Comune di Trieste dicembre 2006 Comune di Trieste Azienda per i Servizi Sanitari n. 1 “Triestina”

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Annamaria Piscanc Riccardo Tominz

Indagine sui fattori di rischio cardiovascolare e sulla conoscenza dei medesimi fra i dipendenti del Comune di Trieste

dicembre 2006

Comune di Trieste Azienda per i Servizi Sanitari n. 1 “Triestina”

1

Indice Prefazione pag. 2 Introduzione pag. 3 Obiettivo dell’indagine pag. 4 Metodi pag. 4 Descrizione dei rispondenti pag. 6 Alimentazione pag. 8 Attività fisica pag. 14 Fumo di tabacco pag. 18 Indice di Massa Corporea pag. 22 Ipertensione arteriosa e diabete pag. 24 Familiarità per patologie cardiovascolari pag. 26 Conclusioni pag. 27

2

Prefazione

Se c’è una cosa su cui vi è ormai un consenso unanime (tra istituzioni, gruppi di popolazione, individui) è il fatto che prevenire le malattie è importante. La soddisfazione per l’avanzamento dell’età media corrente e dell’attesa di vita della popolazione italiana (76 anni per gli uomini, 82 anni per le donne) si coniuga con la facile previsione che la prevenzione delle malattie, soprattutto quelle croniche invalidanti, sarà il punto cruciale su cui si giocherà la nostra salute in futuro.

Noi oggi sappiamo che un cittadino di oltre 75 anni consuma farmaci per una spesa che è 11 volte quella di una persona tra i 25 e i 34 anni.

Alla lunga l’assistenza sanitaria non sarà in grado di fronteggiare un numero sempre crescente di persone che si devono curare per malattie come diabete o tumori ecc.

La prevenzione non è oggi solo quindi un’indicazione “etica”, ma anche, e soprattutto, un sensato investimento di risorse correnti per assicurarci la sostenibilità della nostra salute domani.

La prevenzione quindi è un principio e una necessità. Lo studio presente, avviato nel 2005, ben si colloca in questo contesto di previsioni. Ha infatti come

scopo, a breve – medio termine, quello di sperimentare una sorveglianza sullo stato di salute della popolazione, attraverso un monitoraggio delle abitudini e degli stili di vita, di trarne elementi conoscitivi essenziali per programmare e attuare, in loco, interventi rivolti alla comunità e al singolo, volti a modificare i comportamenti a rischio.

Sul lungo termine, poiché l’adozione di stili di vita non corretti rappresenta una vera e propria emergenza sanitaria, (comporta l’aumento di malattie cardiovascolari, tumori, diabete). L’obiettivo è quello di creare un sistema che regolarmente produca dati per i decisori della salute (stakeholders) e consenta ulteriormente di pianificare programmi di prevenzione e interventi specificatamente mirati sul territorio.

3

Introduzione:

Nelle malattie cardiovascolari non è individuabile una causa unica. Sono noti diversi fattori che aumentano nella persona il rischio di sviluppare la malattia e predispongono l’organismo ad ammalarsi. I più importanti sono: abitudine al fumo di sigaretta, diabete, obesità, scarsa attività fisica, valori elevati della colesterolemia, ipertensione arteriosa oltre alla familiarità per la malattia, all’età e al sesso.

L’entità del rischio che ogni persona ha di sviluppare la malattia dipende dalla combinazione dei fattori di rischio o meglio dalla combinazione dei loro livelli.

In Italia i dati raccolti dall’Osservatorio Epidemiologico Cardiovascolare mostrano che in media: � il 30 % degli uomini fuma in media 17 sigarette al giorno, contro il 21% delle donne che ne fuma 13; � il 34% degli uomini e il 46% delle donne non svolge alcuna attività fisica durante il tempo libero; � il 18% degli uomini e il 22% delle donne sono obesi; � il 20% degli uomini e il 24% delle donne ha una colesterolemia totale uguale o superiore a 240

mg/dl; � il 33% degli uomini e il 30% delle donne ha pressione arteriosa uguale o superiore a 160/95 mmHg

oppure è sotto trattamento farmacologico specifico; � l’8% degli uomini e il 6% delle donne è diabetico. Le malattie cardiovascolari sono riconosciute come una priorità di sanità pubblica: in provincia di

Trieste sono al primo posto fra le cause di morte (40% dei decessi), al secondo posto (dopo i tumori) per gli anni di vita perduti (il 25% degli anni perduti prima del compimento del 75° anno di vita).

Per quanto concerne i ricoveri le malattie cardiovascolari risultano al primo posto per il numero di eventi (16% del totale), per il numero di giornate di ricovero (22% del totale) e per il costo del medesimo (21% del totale).

Anche l’analisi dei costi per le prescrizioni di farmaci in fascia A vede al primo posto tali malattie. Qualora invece si considerino indici diversi quali il DALY (Disability Adjusted Life Years) che cumula,

a livello di popolazione il peso espresso in anni della mortalità “precoce” (quella al di sotto di un traguardo convenzionale raggiungibile da tutti qualora siano controllate le variabili di rischio) e le conseguenze non fatali di patologie e incidenti, l’ischemia cardiaca si pone (a livello Europeo) al secondo posto, e le patologie cerebrovascolari al quarto.

In letteratura sono disponibili numerose valutazioni sull’efficacia e sull’effectiveness di interventi di

sanità pubblica atti a prevenire queste patologie. Di particolare interesse gli interventi sul luogo di lavoro. Nel 1988 il Ministero giapponese del lavoro lanciò il Total Health Promotion Plan per la prevenzione

nei lavoratori di malattie correlate a stili di vita quali ipertensione, iperlipidemia, malattie cardiovascolari e malattie ischemiche cerebrovascolari

1.

In questo ambito una Cochrane EBM review ha dimostrato che programmi di promozione alla salute a componenti multiple sono stati efficaci nel migliorare obesità, ipertensione e iperlipidemia quando valutati a 18 mesi dall’inizio del programma di intervento principale

2 .

Anche in altri paesi, dove programmi di promozione alla salute sui luoghi di lavoro sono stati attuati

per lunghi periodi, diversi studi epidemiologici hanno valutato gli effetti su obesità, fumo, ipertensione e iperlipidemia

3 4 5 6 7 .

1 Shimizu T, Horiguchi I, Kato T, Nagata S.; Relationship between an interview-based health promotion program and cardiovascular risk

factors at Japanese companies. J Occup Health. 2004 May;46(3):205-12. 2 Muto T, Yamauchi K.; Evaluation of a multicomponent workplace health promotion program conducted in Japan for improving

employees' cardiovascular disease risk factors. Prev Med. 2001 Dec;33(6):571-7. 3 R Bruno, C Arnold, L Jacobson, W Winick and E Wynder: Randomized controlled trial of a nonpharmacologic cholesterol reduction

program at the worksite. Prev Med 12, 523-532 (1983). 4 KR Pelletier: A review and analysis of the health and cost-effective outcome studies of comprehensive health promotion and disease

prevention programs at the worksite: 1993-1995 update. Am J Health Promot 10, 380-388 (1996). 5 MG Wilson: A comprehensive review of the effects of worksite health promotion on health-related outcomes: an update. Am J Health

Promot 11, 107-108 (1996). 6 CA Heaney and RZ Goetzel: A review of health-related outcomes of multi-component worksite health promotion programs. Am J

Health Promot 11, 290-308 (1997). 7 K Furuki, S Honda, D Jahng, M Ikeda and T Okubo: The effects of a health promotion program on body mass index. J Occup Health

41, 19-26 (1999)

4

A questo proposito l’uso di un programma di screening a due stadi, con un questionario iniziale seguito da un check up dei soggetti ad alto rischio, appare fattibile ed efficace sul luogo di lavoro

1

Per quanto di pertinenza dei fattori di rischio per le malattie cardiovascolari The Guide to Community

Preventive Services (America’s Health: State Health Rankings – 2004 Edition ) riporta raccomandazioni evidence based sull’uso di prodotti del tabacco, sulla nutrizione, su attività fisica, nonché sul diabete

2.

Disegnare la distribuzione di frequenza di questi fattori di rischio cardio vascolare fra i dipendenti del

Comune di Trieste permetterà la loro prioritizzazione, passo essenziale per l’ideazione di un programma di prevenzione primaria e secondaria. A tale scopo la presente indagine è considerata come parte integrante di un progetto di salute che si articola in due fasi.

Fase 1 indagine che vuol raggiungere il maggior numero di dipendenti anche se con pochi dati Fase 2, sulla scorta dei risultati della prima, raggiungere i dipendenti più a rischio con percorsi più

mirati e personalizzati.

Obiettivo dell’indagine Effettuare una mappatura della conoscenza dei fattori di rischio per patologie cardiovascolari e

raccogliere dati circa abitudini che possono influire sul rischio cardiovascolare tramite questionario anonimo autosomministrato nella popolazione dei dipendenti del Comune di Trieste, al fine della pianificazione di interventi di sanità pubblica, con interventi collettivi per i fattori di rischio di cui sopra e proposte di interventi personali, oltre che per questi, anche per: colesterolemia, pressione arteriosa e diabete.

Metodi E’ stata effettuata un’indagine descrittiva sull’intera popolazione dei dipendenti di ruolo del Comune di

Trieste (n. = 2.778 al 31 maggio 2005), utilizzando un questionario anonimo recapitato tramite la busta paga del mese di aprile 2005. I dipendenti erano stati preventivamente informati e sensibilizzati tramite depliant, poster e coinvolgimento attivo di sindacati e referenti per la legge 626.

Sono state utilizzate le seguenti variabili:

Variabile Possibili valori Utilizzo Genere “Femmina”

“Maschio” Stima rischio cardiovascolare Controllo del bias di risposta

Età in anni 18-75 Stima rischio cardiovascolare Controllo del bias di risposta

Titolo di studio “Elementare” “Medio inferiore” “Medio superiore” “Laurea”

Controllo del bias di risposta

Altezza in cm 100-250 Stima rischio cardiovascolare

Peso in Kg. 40-150 Stima rischio cardiovascolare

Assunzione di farmaci per il diabete “No” “Si”

Stima rischio cardiovascolare

Assunzione di farmaci per l’ipertensione arteriosa

“No” “Si”

Stima rischio cardiovascolare

Familiarità per malattie cardiovascolari (consanguinei)

“No” “Si”

Stima rischio cardiovascolare

Adeguatezza colazione “Solo caffè/thè” “Biscotti, brioche, dolci confezionati” “Pane, fette biscottate, dolce fatto in casa, frutta fresca” “Cornflakes, cereali

Valutazione di abitudini alimentari che determinano sovrappeso/obesità

1 Nilsson PM, Klasson EB, Nyberg P.; Life-style intervention at the worksite--reduction of cardiovascular risk factors in a randomized

study. Scand J Work Environ Health. 2001 Feb;27(1):57-62. 2 www.thecommunityguide.org.

5

Adeguatezza pranzo “Non pranza” “Panino, tramezzino” “Insalata mista, frutta fresca, yogurt” “Primo o secondo” “Pranzo completo”

Valutazione di abitudini alimentari che determinano sovrappeso/obesità

Pasto principale “Pranzo” “Cena” “Pranzo=cena”

Valutazione di abitudini alimentari che determinano sovrappeso/obesità

Consumo di frutta nell’ultima settimana “Mai negli ultimi 7 giorni” “Solo qualche giorno la settimana” “Tutti i giorni”

Valutazione di abitudini alimentari che determinano sovrappeso/obesità

Consumo di verdura nell’ultima settimana “Mai negli ultimi 7 giorni” “Solo qualche giorno la settimana” “Tutti i giorni”

Valutazione di abitudini alimentari che determinano sovrappeso/obesità

Condimento usato prevalentemente per cucinare

“Olio d’oliva” “Olio di semi” “Margarina” “Lardo, burro, strutto”

Proxy per profilo lipidico

Livello di attività fisica lavorativa Da “0” = nessuna a “3” = molto intensa

Stima rischio cardiovascolare

Frequenza settimanale di attività fisica ricreativo/sportiva

“Mai” “1 volta la settimana” “2-3 volte la settimana” “4 o più volte la settimana”

Stima rischio cardiovascolare

Percezione di adeguatezza del tempo dedicato all’attività fisica

“Adeguata” “Non adeguata”

Attitudine nei confronti dell’attività fisica

Abitudine al fumo “Non fumatore” “Ex fumatore” “Fumatore che desidera smettere” “Fumatore che desidera ridurre” “Fumatore che desidera continuare”

Stima rischio cardiovascolare Attitudine nei confronti del fumo

Gradimento aiuto da parte dell’ASS per smettere di fumare

“No” “Si”

Attitudine nei confronti di aiuti per smettere

Presso le varie sedi del Comune erano state distribuite delle urne sigillate dall’ASS, con una fessura

per l’inserimento dei questionari compilati. La raccolta dei questionari si è protratta fino al 1° giugno, quando le urne sono state aperte dal personale dell’ASS che ha inserito i dati in computer per poi elaborarli, il tutto a garanzia della totale riservatezza dei dati raccolti.

I dati sono stati inseriti in computer da personale dell’ASS utilizzando un programma elaborato ad hoc su Epi Info 3.3.

Il limite maggiore dello studio è dato dalla mancanza di dati numerici di pressione, colesterolemia totale e HDL, che impedisce il calcolo del rischio cardiovascolare. D’altro canto, evitando di raccogliere questi dati, è stato possibile ottenere informazioni sul 67% dei dipendenti.

Hanno collaborato all’indagine: Per il Comune di Trieste: Romana Meula, Antonella Detoni, Loredana Manzutto, Ezio Marino, Gabriella Vuxani. Per l’Azienda per i Servizi Sanitari: Riccardo Tominz, Annamaria Piscanc, Claudio Poropat, Tiziana del Pio Luogo, Sara Sanson, Matteo

Bovenzi Il presente report è destinato al Comune di Trieste. L’inserimento in computer delle 1.816 schede è stato effettuato da Luciana Federici, Roberta Fedele,

Marilena Geretto, Manuela Occoni, Patrizia Redivo, Nadia Schorn, Daniela Steinbock.

6

Descrizione dei rispondenti

Sono stati raccolti complessivamente 1.816 questionari. L'età dei rispondenti variava tra 20 e 68 anni (media 45, DS 8), contro una media di 46 (DS 8) nel totale dei dipendenti.

Per i maschi fra i rispondenti l'età media è 45 anni (DS 9), contro un'età media di 46 (DS 9) per il totale dei dipendenti.

Fra le donne l'età media delle rispondenti è 45 anni (DS 8), contro 46 (DS 8) per il totale delle dipendenti.

Per quanto concerne la scolarità:

La scolarità elementare è rappresentata dal 2% dei rispondenti, uguale al 2% del totale dei dipendenti.

La scolarità media inferiore è riportata dal 25% dei rispondenti contro il 23% del totale dei dipendenti.

La scolarità media superiore si ritrova fra il 54% dei rispondenti contro il 59% del totale dei dipendenti.

Il titolo di studio universitario è dichiarato dal 19% dei rispondenti contro il 16% del totale dei dipendenti.

Per valutare la rappresentatività del campione si è provveduto a comparare le diverse sottoclassi per le quali erano disponibili dati sia campionari che di popolazione.

Per quanto concerne genere e classe di età l’andamento delle barre (il campione) rispetta fedelmente quello della popolazione. Ad esempio i maschi nella classe di età 25-34 anni rappresentano il 5% dei dipendenti che hanno risposto al questionario (la barra) ed il 4% del totale dei dipendenti.

Distribuzione percentuale per genere e classe di età: intervistati e totale dei dipendenti

0%

10%

20%

30%

< 24 anni 25 - 34 anni 35 - 44 anni 45 - 54 anni > 55 anni

M dipendenti F dipendenti M campione F campione

7

.

Considerando la distribuzione percentuale della scolarità per classi di età il 6% dei rispondenti di età 35-44 anni risulta possedere un titolo di licenza media inferiore, percentuale esattamente sovrapponibile a quella nel totale dei dipendenti.

Distribuzione percentuale della scolarità per classe di età: intervistati e totale dei

dipendenti

0%

10%

20%

30%

< 24 anni 25 - 34 anni 35 - 44 anni 45 - 54 anni > 55 anni

elementare dipendenti università dipendenti media inf. dipendenti media sup. dipendenti

elementare campione media inf. campione media sup. campione università campione

Anche la distribuzione percentuale della scolarità per genere risulta ugualmente rappresentata fra i rispondenti ed il totale dei dipendenti.

Distribuzione percentuale per genere e scolarità: intervistati e totale dei dipendenti

0%

10%

20%

30%

40%

50%

elementare media inf. media sup. università

M dipendenti F dipendenti M campione F campione

8

L'alimentazione

Nell’ambito dei fattori in grado di aumentare la capacità individuale a controllare, mantenere e migliorare lo stato di salute, l’alimentazione riveste un ruolo fondamentale. Le malattie associate all’eccesso alimentare e ad una dieta sbilanciata sono ormai tra le cause di malattia e morte più rilevanti nei paesi industrializzati. Le malattie per le quali la dieta gioca un ruolo importante comprendono cardiopatie ischemiche, alcuni tipi di neoplasia, ictus, ipertensione, obesità e diabete mellito non insulino-dipendente. In particolare è riconosciuta un’associazione protettiva fra l’elevato consumo frutta e verdura e alcune neoplasie.

Alla luce delle indicazioni dei Piani Sanitari Nazionali e del Piano Nazionale della Prevenzione 2005-2007, delle evidenze di letteratura e degli studi scientifici in materia, sono stati selezionati gli elementi più significativi ai fini di una valutazione delle attuali abitudini alimentari del campione e della possibilità di individuare interventi preventivi e correttivi sostenibili.

Sono state quindi indagate le abitudini riguardanti 1. la prima colazione, il pranzo ed il pasto principale, valutando la composizione di tali pasti rispetto alla

qualità e quantità di nutrienti assunti (quantità e qualità di proteine, grassi, zuccheri) e l’articolazione più o meno equilibrata di tutta la giornata alimentare

2. i tipi di grassi utilizzati, tenuto conto della diverso rischio derivante dall’introduzione di grassi saturi o monoinsaturi o polinsaturi

3. l’assunzione di frutta e verdura, quali fattori protettivi.

La colazione

Il 36% dei rispondenti (41% fra le donne e 25% fra gli uomini) fa una colazione adeguata, mangiando pane o dolci fatti in casa, frutta, fette biscottate, cereali. Il 33% degli uomini ed il 26% delle donne non mangia a colazione, ma assume solo liquidi (caffè, the o latte). Questi dati appaiono del tutto sovrapponibile a quelli analoghi forniti dall’ISTAT per il Friuli Venezia Giulia (30% e 23% rispettivamente)

1.

Complessivamente quindi le donne sembrano avere una colazione più adeguata.

1 ISTAT Health for ALL Italia, giugno 2005

9

L’analisi per età mostra un netto trend crescente per la colazione con soli liquidi, passando dal 19% fra i più giovani al 41% della classe di età 55-68 anni. Parallelamente si ha un diminuzione del consumo di biscotti, brioche e dolci confezionati.

Il consumo di pane, fette biscottate, dolce fatto in casa, frutta fresca mostra solo una lieve tendenza ad aumentare con l’età dei rispondenti (dal 24% al 31%).

Il consumo di cereali è basso e costante in ogni fascia di età (8%).

L’analisi per scolarità evidenzia un trend fortissimo per la colazione con soli liquidi (dal 57% fra i dipendenti con scolarità elementare al 16% di quelli con titolo universitario, controbilanciato da trend positivi per biscotti e dolci confezionati e, soprattutto, per pane, fette biscottate, frutta e dolci fatti in casa.

Globalmente si nota quindi che i dipendenti con scolarità più alta hanno una migliore tipologia di colazione.

Il pranzo

La tipologia di pranzo più frequente (riferita dal 57% dei dipendenti) consta di solo primo o solo secondo piatto (con o senza verdura). Non si notano per questa scelta differenze fra uomini e donne.

Segue, in ordine di frequenza, il pranzo completo, dove però il sesso maschile è nettamente più rappresentato (21% contro 14%).

La scelta di insalata, frutta o yogurt è tipicamente femminile mentre una minoranza (globalmente il 3%) riferisce di non pranzare affatto.

10

Per le varie tipologie di pranzo non sono identificabili andamenti particolari legati all’età.

Si nota solo una tendenza, a partire dalla classe 35-44 anni, a diminuire la frequenza di solo primo o solo secondo a favore del pasto completo.

L’analisi per scolarità evidenzia due trend opposti solo per due tipologie di pranzo.

La scelta del panino o del tramezzino aumenta regolarmente dalla scolarità elementare (7%) fino al titolo universitario (23%).

Parallelamente la scelta del pasto completo decresce dal 39% dei dipendenti con scolarità elementare all’8% dei laureati.

Il pasto principale

Globalmente il pasto principale risulta essere la cena (come riferito dal 43% dei dipendenti), con una leggera prevalenza delle donne. Tale dato risulta doppio di quello riportato dall’ISTAT per il Friuli Venezia Giulia (ISTAT, Health for All, giugno 2005) che è del 22% per l’anno 2001.

Il 31% degli uomini ed il 29% delle donne dichiara di assumere un quantitativo uguale di cibo a pranzo ed a cena.

Il 27% dei rispondenti (senza praticamente differenze di genere, riferisce il pranzo come pasto principale.

11

La scelta del pranzo come pasto principale non sembra influenzata dall’età dei rispondenti.

Due trend opposti si notano invece per le altre due tipologie. La scelta della cena come pasto principale aumenta con l’età dei rispondenti, mentre tende a diminuire la percentuale di coloro che dichiarano di mangiare eguale quantità di cibo a pranzo ed a cena.

I grassi

La grande maggioranza dei rispondenti dichiara di utilizzare prevalentemente, per cucinare, l’olio di oliva (91%).

L’olio di semi è la scelta principale del 7% dei rispondenti.

Solo una ristretta minoranza dichiara di prediligere grassi animali o margarina.

La frutta

Il 58% dei rispondenti dichiara di assumere frutta tutti i giorni, ma si nota una notevole differenza fra le donne (63%) e gli uomini 48%).

Tale dato appare molto inferiore a quello rilevato per la popolazione triestina dallo studio PASSI (Istituto Superiore di Sanità, in via di pubblicazione), secondo il quale il 91% dei residenti di età fra 18 e 69 anni consumano frutta, verdura o ortaggi almeno una volta al giorno.

12

La frequenza di coloro che dichiarano di non mangiare mai frutta non sembra influenzata dall’età.

Con l’aumentare dell’età aumenta invece in maniera molto marcata la frequenza di coloro che dichiarano di mangiare frutta tutti i giorni (dal 45% della classe 20-34 anni al 69% di quella 55-68 anni).

Questo trend è stato evidenziato anche nello studio PASSI.

La scolarità invece evidenzia tendenze molto meno nette.

Con l’aumentare della scolarità la proporzione di coloro che non mangiano mai la frutta cala dal 7% al 3% e di quelli che la mangiano ma non ogni giorno cala dal 42% al 37%.

La percentuale di chi mangia frutta ogni giorno aumenta con la scolarità dal 52% fra i dipendenti con titolo di studio elementare al 60% dei laureati.

La verdura

Il 66% dei rispondenti dichiara di mangiare verdura tutti i giorni. Tale percentuale fra le donne arriva al 75%, mentre per gli uomini è del 54%). Tali dati appaiono in linea con quelli forniti dall’ISTAT (Health for All, giugno 2005) per l’anno 2001 in Friuli Venezia Giulia

Molto pochi coloro che dichiarano di non mangiare mai verdura: l’1% delle donne ed il 3% degli uomini.

13

Come evidenziato anche per la frutta la frequenza di coloro che dichiarano di non mangiare mai verdura non sembra influenzata dall’età.

Con l’aumentare dell’età aumenta invece in maniera molto marcata la frequenza di coloro che dichiarano di mangiare verdura tutti i giorni (dal 61% della classe 20-34 anni al 77% di quella 55-68 anni). Dati perfettamente in linea con quanto riportato dall’ISTAT per il Friuli Venezia Giulia (da 57% per la classe 15-34 anni a 75 per quella 55-64).

Simmetricamente cala la frequenza di coloro che mangiano verdura ma non ogni giorno, dal 38% al 22%.

Il consumo di verdura risulta molto meno correlato alla scolarità dei rispondenti.

Con l’aumentare della scolarità la proporzione di coloro che non mangiano mai verdura cala dal 3% all’1% e di quelli che la mangiano ma non ogni giorno cala dal 31% al 22%.

La percentuale di chi mangia verdura ogni giorno aumenta con dal 66 della scolarità elementare al 70 di quella universitaria.

L’analisi dei dati raccolti evidenzia globalmente una maggior correttezza delle abitudini alimentari e delle scelte dei prodotti nelle persone con scolarità più elevata e di età maggiore: la loro colazione non è costituita solo da liquidi e frutta e verdura vengono assunti tutti i giorni. Tuttavia la valutazione che il 64% dei rispondenti assume per colazione biscotti, brioche e dolci confezionati o addirittura solo liquidi e che il 15% pranza con panini e tramezzini rafforza la convinzione dell’utilità di una maggior informazione sulle caratteristiche nutrizionali di tali prodotti sia di preparazione artigianale che industriale

Più complessa la valutazione rispetto alle caratteristiche del pranzo ed al rapporto pranzo/cena sul quale vanno ad incidere sicuramente in maniera significativa gli orari di lavoro e le tipologie di lavoro: attività di maggior responsabilità (dipendenti con scolarità elevata) concedono meno spazio al pranzo e occupano verosimilmente le ore più centrali della giornata.

Si propongono quindi interventi informativi in tal senso (incontri supportati da materiale informativo quale opuscoli, poster, riferimenti a fonti di informazione accreditate reperibili su internet) sostenuti da scelte aziendali coerenti in occasione di definizione dei contratti con fornitori di distributori automatici di alimenti e bevande, gestori di bar o punti di ristoro interni, e nella articolazione di orari e turni.

14

L'attività fisica

Dagli anni immediatamente seguenti la seconda guerra mondiale l’osservazione della popolazione occidentale ha evidenziato come la maggiore automazione industriale, la riduzione degli addetti all’agricoltura e la diffusione delle automobili hanno ridotto il consumo calorico ed il grado di efficienza fisica.

La pratica dell’attività fisica è correlata in maniera inversa all’incidenza delle malattie cardiovascolari: per i soggetti sedentari il rischio relativo di morte per patologia cardiovascolare è doppio rispetto a quello di soggetti impegnati in un’attività fisica sistematica.

La sedentarietà è causa di poco meno di 2 milioni di decessi all’anno nel mondo: determina il 22% delle malattie cardiovascolari, il 10-16% dei casi di tumori della mammella, del colon e di diabete; inoltre combinata con una cattiva alimentazione è alla base dell’attuale epidemia di obesità.

La pratica di un esercizio fisico costante ed adeguato all’età ed al proprio stato di forma sia nel corso dell’attività lavorativa che nell’ambito del tempo libero, rappresenta una soluzione ideale per controllare meglio situazioni quali il sovrappeso e l’obesità, l’ipertensione arteriosa, il diabete, le dislipidemie e la sindrome metabolica grazie ad una serie di benefici dovuti agli adattamenti cardiovascolari e metabolici che lo svolgimento programmato dell’esercizio fisico causa nel nostro organismo.

Complessivamente si stima che l’attività fisica moderata e regolare giochi un ruolo importante nell’influenzare l’aspettativa di vita, riducendo di circa il 10% la mortalità per tutte le cause.

L’attività fisica sul lavoro

Globalmente la maggioranza dei rispondenti dichiara di svolgere un’attività lavorativa che non comporta nessuna attività fisica (25%) o, comunque, un livello di questa molto basso (37%).

Mentre per la categoria nessuna attività fisica non si notano differenze per genere gli uomini sono nettamente più rappresentati nella categoria “basso livello di attività fisica”, mentre la presenza femminile risulta maggiore nelle categorie “livello medio” e, soprattutto, “alto”.

Nelle varie classi di età la percentuale di coloro che non svolgono attività fisica sul lavoro passa dal 14% fra i rispondenti di età fra 20 e 34 anni al 29% di quelli fra 55 e 68 anni.

Passando dalla classe di età inferiore a quella superiore diminuiscono invece, simmetricamente, le percentuali dei dipendenti con livello di attività fisica basso o intermedio.

La percentuale dei dipendenti con livello di attività fisica elevato non sembra invece variare con l’età.

15

La percentuale di dipendenti il cui lavoro non comporta alcuna attività fisica è praticamente uguale in ciascuna delle quattro categorie studiate di scolarità.

Con l’aumentare della scolarità aumenta marcatamente la proporzione di coloro che dichiarano di svolgere mansioni lavorative con basso livello di attività fisica (dal 13% della scolarità elementare al 47% della laurea). Simmetricamente si evidenziano con l’aumentare della scolarità trend in discesa per i livelli di attività fisica medio ed alto.

L’attività fisica ricreativa

Il 37% dei rispondenti (con una lieve prevalenza del sesso femminile) dichiara di non svolgere alcuna attività fisica ricreativa/sportiva.

Il 25% (anche qui con una leggera prevalenza delle donne) svolge tale attività una sola volta alla settimana.

Attività fisica ricreativo/sportiva con frequenza bisettimanale è riportata dal 25% delle donne e dal 21% degli uomini.

Tale rapporto si inverte per la frequenza di tre o più volte alla settimana, con il 19% dei maschi ed il 12% delle femmine.

La percentuale di coloro che dichiarano di non svolgere nessuna attività ricreativo/sportiva aumenta marcatamente con l’età, passando dal 23% della classe 20-34 anni al 43 di quella 55-68.

Per le altre tre categorie di frequenza si notano invece trend negativi ma non così marcati.

16

La percentuale di coloro che non svolgono nessuna attività fisica ricreativo sportiva è del 77% fra i dipendenti con licenza elementare. Scende poi marcatamente con l’aumentare della scolarità, fino al 31% fra i laureati.

Trend positivi emergono per la frequenza “una volta alla settimana” e tre o più volte alla settimana”, mentre per “due volte alla settimana la scolarità elementare non risulta rappresentata.

Il 74% dei rispondenti afferma di non ritenere adeguato il tempo che dedica ad attività fisica ricreativo/sportiva.

Tale percentuale scende con un trend molto marcato passando da un massimo del 94% per coloro che non ne svolgono alcuna al 5% di quelli che la svolgono con frequenza di tre o più volte la settimana.

Fra i dipendenti che non svolgono alcuna attività fisica lavorativa vi è il 32% di coloro che non svolgono neanche nessuna attività fisica ricreativo sportiva, e dal 20% al 22% di coloro che la esercitano con diverse frequenze.

La percentuale di coloro che dichiarano di non svolgere nessuna attività ricreativo/sportiva aumenta marcatamente con l’età, passando dal 23% della classe 20-34 anni al 43 di quella 55-68.

Globalmente si può affermare che coloro che non svolgono attività fisica lavorativa o ne svolgono poca non fanno attività fisica ricreativo/sportiva o la fanno solo una volta alla settimana al contrario dei rispondenti con attività fisica lavorativa di livello medio o elevato.

17

L’indagine evidenzia come le modalità di lavoro non comportano svolgimento di un’attività fisica impegnativa e quindi l’ambito lavorativo rappresenta una causa di sedentarietà. Un tale orientamento è in discussione nelle società più avanzate avendo invece individuato proprio nel datore di lavoro il promotore di un benessere globale (e quindi anche una spinta all’attività fisica costante) dei propri dipendenti ai fini di migliorare la loro situazione psico-fisica (vedi programmi di “Corporate Wellness” esistenti prevalentemente nel mondo anglosassone).

La progressiva riduzione di attività fisica ricreativa con l’aumento dell’età dei dipendenti è

patognomonico di una cultura che non valutava la cura della propria efficienza fisica come importante per la qualità della vita.

La migliore attività fisica è sicuramente quella di tipo aerobico, costante nel tempo, ripetuta almeno 3-4

volte la settimana, di durata non inferiore ai 60 minuti per seduta, organizzata con lo schema classico dell’allenamento e quindi con un adeguato riscaldamento, il tema dell’allenamento e il defaticamento. Possono essere proposte quotidiane passeggiate a media velocità della durata di 30 -40 minuti, con effetti cardiovascolari e metabolici sostanzialmente simili ma con adattamenti temporalmente più lenti.

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Il fumo di tabacco

In Italia si verificano in un anno circa 84 mila decessi attribuibili al fumo di tabacco, pari al 15% della mortalità totale (dati del Piano Sanitario Nazionale 2003-2005). II fumo è un fattore di rischio accertato di 25 diverse malattie. Secondo l’OMS è causa, nella popolazione maschile e nella fascia di età 35-69, del 20% delle malattie vascolari, con numeri assoluti molto alti vista la loro diffusione; del 44% dei tumori e del 40% delle malattie respiratorie. La popolazione femminile segue a ruota e con il progressivo aumento dell’abitudine al fumo si avvia nei prossimi anni ad eguagliare i rischi della popolazione maschile.

A Trieste le morti premature da malattie determinate dal tabagismo sono circa 520 ogni anno, con una perdita media di 14 anni di vita.

Il fumo di tabacco è pertanto, e di gran lunga, la più importante causa di morte prematura nel nostro come in tutti Paesi sviluppati. Di conseguenza è uno dei più gravi problemi di sanità pubblica.

Il tabagismo, definito quale uso abituale del tabacco, è un fenomeno complesso che presenta molteplici aspetti, in quanto è contemporaneamente stile di vita dannoso, dipendenza patologica ed inquinante ambientale (il così detto fumo passivo).

Da tale complessità deriva l'esigenza che venga ricercato un approccio globale e fortemente coordinato tra tutti gli aspetti del tabagismo che deve quindi comprendere:

• l’attuazione di interventi educativi efficaci, di promozione della salute e di stili di vita sani;

• il potenziamento delle offerte di cura e sostegno ai fumatori per la disassuefazione;

• l’applicazione puntuale delle norme di vigilanza e controllo sul divieto di fumo negli ambienti pubblici e di lavoro.

Il presente studio rappresenta la prima fase di questo programma.

La prevalenza

Fuma il 25% dei rispondenti, contro il 20% riportato dall’ISTAT per la popolazione di Trieste (età 15 anni o più). Il 17% dichiara di aver fumato in passato ed il restante 58% riferisce di non avere mai fumato.

La categoria fumatori vede donne e uomini ugualmente rappresentati.

La categoria non fumatori vede più rappresentate le donne 60% contro 54%degli uomini. Parallelamente gli ex fumatori sono prevalentemente maschi (21% contro 15%).

La percentuale di fumatori aumenta con l’età (dal 20% al 27%), come pure la percentuale di ex fumatori. I non fumatori (meglio definiti come mai fumatori) sono più rappresentati nela fascia di età inferiore 67%, per scendere a 53% nella classe 45-54 anni.

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Le percentuali di fumatori calano sensibilmente con l’aumentare della scolarità, dal 32% per i dipendenti con scolarità elementare al 18% di quelli laureati.

Gli ex fumatori sono invece più rappresentati nelle categorie intermedie di scolarità (17% e 19% per medie inferiori e superiori rispettivamente).

Coloro che non hanno mai fumato sono soprattutto laureati (69%). Da notare come la scolarità inferiore, oltre ad essere associata ad una maggior prevalenza di fumo attuale è anche inversamente correlata alla probabilità di smettere di fumare, caratteristica quest’ultima peraltro condivisa con la laurea.

L’autovalutazione nei confronti del fumo

Dei 450 rispondenti al questionario che si sono dichiarati fumatori il 28% afferma di non voler né smettere di fumare né ridurre il numero di sigarette. A questo gruppo appartiene il 30% delle donne ed il 25% degli uomini.

Il 72% dei rispondenti fumatori afferma di voler smettere o almeno ridurre di fumare. In questo gruppo i maschi sono più rappresentati delle femmine (75% contro 71%).

I rispondenti fumatori che non vogliono né ridurre né smettere sono rappresentati soprattutto dalla classe di età 20-34 anni (38%). Nelle restanti classi di età i fumatori che non vogliono modificare la loro abitudine sono rappresentati in misura dal 25% al 28%.

Le percentuali dei fumatori che vorrebbero ridurre il numero di sigarette fumate aumentano con l’età, dal 23,8% della classe di età 20-34 al 52% di quella 56%.

Le percentuali di coloro che vogliono smettere di fumare invece diminuiscono nelle varie classi di età con l’aumentare della medesima,dal 38% fra i più giovani al 22% della classe 55-68..

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I fumatori che voglio ridurre di fumare sono ugualmente rappresentati nelle varie categorie di scolarità.

Una distribuzione simile si osserva anche per chi vuole smettere e chi vuole continuare a fumare, con l’importante eccezione della scolarità elementare, che però è rappresentata da solo 10 persone sulle 450 in esame.

Si può quindi affermare che la scolarità non è correlata al tipo di autovalutazione presa in considerazione.

Il gradimento di aiuto

Il 51% dei rispondenti al questionario fumatori gradirebbe un aiuto da parte dell’Azienda per i Sevizi Sanitari n. 1 “Triestina” per smettere di fumare. Tale percentuale è maggiore fra le donne (52%) rispetto che fra gli uomini (43%).

Il gradimento di aiuto mostra un chiaro trend crescente passando dalla classe di età inferiore (38%) a quella superiore (53%).

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Quanto alla scolarità, considerata la numerosità della categoria “elementare” (N = 8), si può affermare che non è correlata al gradimento di aiuto per smettere di fumare.

Infine l’indagine ha evidenziato che gradirebbe un aiuto per smettere di fumare non solo il 68% di quelli che vorrebbero smettere ma anche il 52% di quelli che vorrebbero ridurre.

Fuma il 25 % delle 1.816 persone che hanno risposto al questionario, una media esattamente sovrapponibile a quella italiana, con la differenza che da noi maschi e femmine hanno raggiunto la perfetta parità.

Non sappiamo però quanti siano i fumatori tra i non rispondenti. In un nostro precedente studio sull’ Azienda sanitaria tra i non rispondenti i fumatori erano ben il 58%. Non rispondere può essere un segno di ostilità o di timore nei confronti dell’indagine.

Il 72 % dei fumatori afferma di voler smettere o ridurre. E’ una media alta, che denota consapevolezza. Tra chi vuol smettere predominano i giovani, tra chi vuol ridurre predominano le classi di età più avanzate. E’ come se i più “anziani” provassero sfiducia per le loro capacità di smettere, probabilmente frutto di numerosi tentativi falliti. Anche questo rappresenta un interessante campo di intervento.

Il 51 % dei rispondenti fumatori gradirebbe un aiuto per smettere da parte dell’Azienda Sanitaria. In questo caso la richiesta di aiuto predomina tra le classi di età più avanzate, a riprova che il tempo aumenta l’esperienza, e che i fallimenti precedenti non significano solo una resa alla dipendenza ma anche una più saggia richiesta di aiuto.

D’altro canto gradirebbero un aiuto non soltanto la gran maggioranza di coloro che vorrebbero smettere, ma anche la maggioranza di coloro che vorrebbero ridurre. Questo sembra un tipico tentativo di tenere bassa la posta in gioco per timore di perdere. Ma è una paura che può essere superata con un aiuto professionale.

In conclusione dobbiamo sottolineare che tali richieste di salute sono del tutto legittime e coerenti con la fase 2 del presente piano e pertanto l’Azienda per i Servizi Sanitari, stabiliti gli opportuni accordi con l’Amministrazione Comunale, si impegna a soddisfarle con il contributo del suo Centro per il tabagismo.

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L’Indice di Massa Corporea

La prevalenza del diabete e dell'ipertensione è tre volte superiore in soggetti adulti in sovrappeso rispetto a quelli di peso normale. Studi controllati hanno dimostrato una chiara associazione tra sovrappeso e ipercolesterolemia, come pure tra sovrappeso e malattia coronarica. L'obesità si associa ad aumento del rischio di alcune neoplasie (colon, retto, prostata, cistifellea, tratto biliare, mammella, cervice uterina, endometrio, e ovaio), e con altri disordini come la colelitiasi, sindrome da apnea notturna, tromboembolismo venoso, e osteoartrite. Infine, l'obesità può influenzare la qualità della vita, limitando la motilità, la resistenza fisica, e altri parametri funzionali, e può essere causa di forme di discriminazione in ambito sociale, scolastico e professionale.

La frequenza delle condizioni di sovrappeso ed obesità (fattori di rischio per malattie cardio e cerebrovascolari, diabete tipo 2, alcune neoplasie, osteoporosi ecc…) è andata aumentando negli ultimi decenni al punto che, secondo l’OMS, l’obesità è diventata un problema i salute pubblica di proporzioni epidemiche in tutti i paesi occidentali e la sua prevenzione rappresenta un obiettivo prioritario .

L’individuazione della popolazione obesa è effettuata mediante il calcolo dell’indice di massa corporea: esso è il rapporto tra il peso di un individuo, espresso in kg, ed il quadrato della sua statura, espressa in metri. Una persona si definisce obesa quando il suo indice di massa corporea assume valori maggiori o uguali a 30. Si definisce invece sovrappeso quando il suo indice di massa corporea assume valori maggiori o uguali a 25 ma minori di 30.

I dati attualmente disponibili ci dicono che in Friuli Venezia Giulia, il 35% dei residenti è sovrappeso e il 9% è obeso, percentuali lievemente inferiori al dato medio nazionale.

In una strategia di prevenzione e di valutazione dell’efficacia degli eventuali interventi adottati si è

quindi ritenuto importante rilevare tale dato nei rispondenti al questionario.

Il 66% dei rispondenti al questionario risulta, in base ai dati riferiti di peso ed altezza, in situazione di normopeso, con un’importante differenza fra donne (71%) e uomini (56%).

Il 30,8% risulta sovrappeso o obeso (24% fra le donne e 43% fra gli uomini).

Da considerare anche un importante 3% di soggetti sottopeso.

La percentuale di soggetti con Indice di Massa Corporea al di sopra della norma aumenta con l’età.

Considerando i soli “sovrappeso” si passa dal 13% nella classe 20-34 anni al 39% di quella 55-68 anni.

Il problema del sottopeso è invece soprattutto a carico delle classi di età inferiori.

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L’indice di Massa Corporea risulta fortemente correlato alla scolarità.

Per il sovrappeso si passa dal 34% di prevalenza fra i dipendenti con scolarità elementare al 20% di quelli laureati.

Per l’obesità le percentuali sono 9% per la scolarità elementare e 4% per la laurea.

I dati complessivi relativi al nostro campione indicano come affetti da sovrappeso o obesità 3 dipendenti su 10 (31%), percentuale inferiore alla media nazionale ma ugualmente preoccupante. Tanto più severa la situazione in relazione alla bassa scolarità (44% ) e all’aumento dell’età (45% tra i 55 e 68 anni).

Si ritengono importanti gli interventi informativi e le strategie di sostegno individuate per le tematiche riguardanti l’alimentazione e l’attività fisica

Per trarre beneficio dalla diagnosi di obesità tuttavia, i pazienti devono essere motivati a perdere peso,

devono avere accesso a un sistema efficace per la riduzione del peso corporeo e devono mantenere il risultato del calo ponderale.

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Ipertensione arteriosa e diabete

L’ipertensione arteriosa è un importante fattore di rischio per l’ictus cerebrale, la cardiopatia ischemica

e le malattie cardiovascolari in generale. In Italia il 33% degli uomini e il 31% delle donne sono ipertesi (pressione arteriosa uguale o superiore a

160/95 mmHg), oppure sotto regolare trattamento farmacologico specifico. Il 19% degli uomini e il 14% delle donne sono in una condizione border-line, in cui il valore della pressione sistolica è compreso fra 140 e 159 mmHg e quello della diastolica è compreso fra 90 e 95 mmHg. Per quanto riguarda la percentuale di persone ipertese, il 50% degli uomini e il 34% delle donne non viene trattato farmacologicamente per tenere sotto controllo la pressione arteriosa. Sono disponibili i dati sul trattamento farmacologico per gli uomini e per le donne (http://www.cuore.iss.it).

Un problema a parte è la conoscenza del proprio stato di ipertensione, del fatto di assumere una terapia e che tale terapia controlli effettivamente in maniera adeguata lo stato ipertensivo.

Il trattamento ipotensivo riduce l’incidenza delle patologie sopracitate (vero per l’ictus, meno per l’infarto del miocardio).

L’altro fattore di rischio cardiovascolare che è stato studiato è il diabete. In Italia il 9% degli uomini e il 6% delle donne sono diabetici, mentre un ulteriore 9% di uomini e 5% di

donne sono in una condizione di rischio (intolleranza al glucosio) (http://www.cuore.iss.it).

Il 11% dei rispondenti riferisce di essere in terapia farmacologica per ipertensione arteriosa (10% fra le donne e 12% fra gli uomini).

.

La classe di età inferiore ( N = 205) non riporta nessun soggetto in terapia anti ipertensiva.

La probabilità di essere iperteso (in terapia farmacologica) aumenta poi dal 5% della classe 35-44 anni al 28% di quella 55-68 anni.

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La prevalenza di soggetti ipertesi (in terapia farmacologica) diminuisce con la scolarità, dal 18% fra i rispondenti con titolo di studio elementare al 9% fra i laureati.

L’1% dei rispondenti afferma di assumere farmaci per il diabete.

I dati raccolti dall’indagine sono piuttosto grossolani ed andrebbero integrati dalla valutazione “ad personam” sull’effettiva efficacia del trattamento ipotensivo ed antidiabetico nel prevenire i danni d’organo e le complicanze e sulla compliance dei farmaci.

Resta inteso che un intervento sullo stile di vita (dieta, attività fisica controllata, rilassamento psico-fisico e monitorizzazione dei livellipressori e glicemici) resta un indispensabile approccio alle due patologie le quali spesso agiscono in modo sinergico ma pur sempre rappresentano dei fattori di rischio modificabili.

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La familiarità per patologie cardiovascolari

E’ un fattore di rischio “non modificabile” per definizione; tuttavia proprio perché rappresenta una situazione predisponente è un motivo in più per attuare una strategia preventiva più mirata ed attenta sui fattori di rischio “modificabili” agendo in maniera precoce soprattutto sullo stile di vita della persona.

La familiarità per le diverse malattie cardiovascolari (infarto del miocardio, ictus, fibrillazione striale, claudicatio intermittens, angina pectoris, attacchi ischemici transitori, ipertrofia ventricolare sinistra) nel Nord Est (Friuli Venezia Giulia, Veneto, Trentino Alto Adige, Emilia Romagna) riguarda il 23% degli uomini e il 30% delle donne (http://www.cuore.iss.it).

Il 39% dei rispondenti riferisce che nella sua famiglia (padre, madre, fratelli o sorelle) ci sono / sono stati casi di malattie cardiovascolari.

E’ proprio ai figli dei cardiopatici (soprattutto quelli in cui il primo evento cardiovascolare è giunto precocemente) che bisogna suggerire di evitare di introdurre troppo sale, troppi grassi saturi e troppe calorie nella dieta quotidiana, non iniziare a fumare, mantenere un grado di attività fisica adeguato e costante sono strategie semplici, relativamente poco dispendiose ma estremamente efficaci nella prevenzione cardiovascolare, anche di fronte a una situazione genetica sfavorevole.

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Conclusioni

L’Organizzazione Mondiale della Sanità afferma che Interventi di prevenzione e controllo delle malattie cardiovascolari attuati nei luoghi di lavoro sono fattibili e portano spesso a sensibili miglioramenti nella salute dei lavoratori.

Tali interventi possono portare a notevoli guadagni, sia a breve che a lungo termine, per i dipendenti e per i datori di lavoro. Miglioramenti si possono notare nella produttività, nei ridotti livelli di assenteismo, nei tagli dei costi a carico del datore di lavoro. Tali interventi, inoltre, hanno il valore aggiunto di creare un ambiente di lavoro dove di ha coscienza del proprio stato di salute, con una maggior facilità di follow-up dei partecipanti.

I programmi indirizzati verso fattori di rischio multipli danno risultati migliori e facilitano la partecipazione. I lavoratori infatti decidono loro su quali fattori di rischio intervenire e stabiliscono essi stessi i loro obiettivi

i.

La partecipazione e la frequenza a questi programmi possono essere aumentate da incentivi economici anche correlati al lavoro (come considerare orario d’ufficio il tempo di un corso o di uno screening), agevolazioni sulle attività di fitness, messa a disposizione di attività di fitness gratuite. Un approccio comprensivo che includa sia politiche da parte del datore di lavoro sia programmi specifici aumenta la probabilità che il lavoratore voglia partecipare.

Ad esempio le strategie più efficaci per il controllo del tabacco sul luogo di lavoro hanno usato approcci integrati, basati sia sui divieti che sull’informazione

ii.

Paradigmatico l’esempio della Johnson & Johnson, riportato dall’OMS nella pubblicazione “Preventing

chronic diseases, a vital investment” (WHO, 2005, ISBN 92 4 156300 1), il cui Health & Wellness Program cerca di ridurre fattori di rischio comportamentali e psicosociali, incentivando stili di vita salubri, individuando precocemente stati patologici e trattando le malattie croniche. Il programma prevede interventi di prevenzione come pure servizi durante e dopo eventi sanitari maggiori.

Dopo quasi tre anni si è constatato un miglioramento in otto categorie di lavoratori su tredici. La riduzione del rischio era significativa per l’uso di tabacco, l’esercizio aerobico, l’ipertensione arteriosa, l’apporto di fibre con la dieta, l’uso delle cinture di sicurezza in auto, l’abitudine all’alcol e stili di guida. Non solo, il programma ha comportato benefici finanziari per la Johnson & Johnson, computato come costo per lavoratore per anno di spese mediche, benefici aumentati sostanzialmente dopo il secondo anno di progetto

iii

iv.

Tenuto conto delle informazioni ricavate dall’indagine fra i dipendenti del Comune di Trieste si possono

ipotizzare, per il triennio 2006-2008, due filoni essenziali di intervento: quello collettivo e quello individuale. Interventi collettivi:

1. Proposta di un’attività di “corporate welness”, similmente all’esperienza già avviata per i dipendenti del SSR a Trieste.

2. Dissuasione all’uso degli ascensori sui luoghi di lavoro mediante adeguata cartellonistica. 3. Modifica dell’attuale offerta dei distributori automatici di generi alimentari nei luoghi di lavoro con

l’introduzione di alimenti “sani” quali frutta fresca, yogurt etc. 4. Intensificazione della presenza di mezzi di dissuasione al consumo di tabacco (cartellonistica e

dépliant) sui luoghi di lavoro. 5. Interventi da portare a regime entro il 2006 e da consolidare nel 2007 e 2008.

Interventi individuali: 1. Definizione nel corso del 2006 della carta di rischio cardiovascolare individuale per il 20% dei

dipendenti che hanno aderito all’indagine conoscitiva del 2005 (350 persone) mediante apertura di un ambulatorio di prevenzione presso sedi comunali, gestito con risorse umane dell’azienda e risorse materiali del Comune, colloquio informativo - orientativo da parte di personale sanitario appositamente formato ed invio al MMG. Per il 2007- 2008 si prevede di integrare l’attività con la misura di altri parametri individuali (Indice di Massa Corporea).

i Muto T, Yamauchi K. Evaluation of a multicomponent workplace health promotion program conducted in Japan for improving employees' cardiovascular disease risk factors. Prev Med. 2001 Dec;33(6):571-7.

28

ii Moher M, Hey K, Lancaster T. Workplace interventions for smoking cessation. C ochrane Database Syst

Rev. 2005 Apr 18;(2):CD003440. Review. iii Goetzel RZ, Ozminkowski RJ, Bruno JA, Rutter KR, Isaac F, Wang S. The long-term impact of Johnson

& Johnson's Health & Wellness Program on employee health risks. J Occup Environ Med. 2002 May;44(5):417-24. iv Ozminkowski RJ, Ling D, Goetzel RZ, Bruno JA, Rutter KR, Isaac F, Wang S. Long-term impact of

Johnson & Johnson's Health & Wellness Program on health care utilization and expenditures. J Occup Environ Med. 2002 Jan;44(1):21-9.