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IL SUDTIROLO DAL 1910 AL 1972 La storia del Sudtirolo, come quella di tutti i Paesi, non è solo storia dei partiti sudtirolesi, dei sindacati, della Chiesa ecc., ma anche storia del suo sviluppo economico. Sviluppo economico, sociale e politico sono fattori legati molto strettamente e reciprocamente. Ciò premesso, prima di analizzare le conseguenze che l’annessione ha avuto per il Sudtirolo, è necessario descrivere brevemente la situazione esistente ancora durante il dominio dell’Impero austriaco. Il Sudtirolo sotto l’Impero austro-ungarico Dal punto di vista economico il Sudtirolo era un paese a prevalente struttura agricola. I prodotti dell’agricoltura venivano venduti soprattutto sul mercato interno; solo lentamente si sviluppò l’esportazione di frutta e vino nelle città austriache e tedesche. Il terreno coltivabile era diviso tra molti piccoli proprietari: predominava il maso di piccole dimensioni, che poteva rendere non più del necessario alla sussistenza di una famiglia. Solo nella Bassa Atesina, nella zona di Bolzano e nell’Oltradige esistevano grandi proprietari terrieri che reclutavano prevalentemente in Trentino la forza lavoro necessaria. Da un censimento dell’anno 1910 risulta che in quel periodo il 61,4% dei lavoratori era occupato nell’agricoltura. Solo il 16,7% lavorava nelle miniere e nell’industria ed il 3% nei trasporti. Nonostante la minore industrializzazione del Sudtirolo rispetto all’Austria, anch’essa - del resto - poco industrializzata, già intorno al 1860 si svilupparono in Sudtirolo le cosiddette associazioni culturali per operai”. Esse si proponevano di riunire gli operai e di consentire loro di partecipare della cultura fino ad allora prodotta da borghesi per borghesi. Furono istituite biblioteche e tenute conferenze su argomenti per lo più di tipo culturale e poco centrati su temi politici e sociali. Più o meno nello stesso periodo cominciarono a formarsi anche “associazioni di categoria”, cioè sindacati, nelle quali predominava la trattazione di temi sociali. Ed i

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Una analisi della storia del Sudtirolo/Alto-Adige durante il periodo fascista costruita a partire da studi spesso non più reperibili e, comunque, al di fuori dell'ufficialità della ricerca storica.

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Page 1: Il Sudtirolo durante il fascismo

IL SUDTIROLO DAL 1910 AL 1972

La storia del Sudtirolo, come quella di tutti i Paesi, non è solo storia dei partiti sudtirolesi, dei sindacati, della Chiesa ecc., ma anche storia del suo sviluppo economico. Sviluppo economico, sociale e politico sono fattori legati molto strettamente e reciprocamente. Ciò premesso, prima di analizzare le conseguenze che l’annessione ha avuto per il Sudtirolo, è necessario descrivere brevemente la situazione esistente ancora durante il dominio dell’Impero austriaco.

Il Sudtirolo sotto l’Impero austro-ungarico

Dal punto di vista economico il Sudtirolo era un paese a prevalente struttura agricola. I prodotti dell’agricoltura venivano venduti soprattutto sul mercato interno; solo lentamente si sviluppò l’esportazione di frutta e vino nelle città austriache e tedesche. Il terreno coltivabile era diviso tra molti piccoli proprietari: predominava il maso di piccole dimensioni, che poteva rendere non più del necessario alla sussistenza di una famiglia. Solo nella Bassa Atesina, nella zona di Bolzano e nell’Oltradige esistevano grandi proprietari terrieri che reclutavano prevalentemente in Trentino la forza lavoro necessaria.

Da un censimento dell’anno 1910 risulta che in quel periodo il 61,4% dei lavoratori era occupato nell’agricoltura. Solo il 16,7% lavorava nelle miniere e nell’industria ed il 3% nei trasporti. Nonostante la minore industrializzazione del Sudtirolo rispetto all’Austria, anch’essa - del resto - poco industrializzata, già intorno al 1860 si svilupparono in Sudtirolo le cosiddette “associazioni culturali per operai”. Esse si proponevano di riunire gli operai e di consentire loro di partecipare della cultura fino ad allora prodotta da borghesi per borghesi. Furono istituite biblioteche e tenute conferenze su argomenti per lo più di tipo culturale e poco centrati su temi politici e sociali.

Più o meno nello stesso periodo cominciarono a formarsi anche “associazioni di categoria”, cioè sindacati, nelle quali predominava la trattazione di temi sociali. Ed i problemi sociali in Sudtirolo non mancavano: nel 1885 in Tirolo si verificarono numerosi scioperi. Nel marzo scioperarono a Merano i commessi fabbri e sarti; in luglio a Bolzano i commessi falegnami, tappezzieri e calzolai. Ovunque le richieste riguardavano l’aumento dei salari e la diminuzione dell’orario di lavoro. La contrapposizione sociale e di classe influì anche sull’attività delle associazioni culturali per operai le quali cominciarono ad occuparsi sempre più di problemi sociali e politici. Inizialmente, nell’intento di occuparsi della formazione culturale degli operai, esse venivano sostenute da borghesi liberali che donavano libri, tenevano conferenze ecc. Quanto più, però, le associazioni si trasformavano in circoli politici, tanto più questi borghesi liberali se ne distanziavano. Anche gli operai cercavano un altro tipo di organizzazione che potesse rappresentare le loro istanze. Lo trovarono nel Partito Socialdemocratico Austriaco.

Nel 1867 la ferrovia del Brennero fu aperta al traffico, nel 1871 toccò a quella della Val Pusteria, nel 1881 al collegamento Merano-Bolzano. I ferrovieri rappresentavano in Austria il nucleo più consistente e forte del partito socialdemocratico, ed anche in Sudtirolo furono essi ad avvicinare gli operai degli altri settori all’idea socialdemocratica, mentre anni prima erano stati i tipografi ad iniziare le associazioni culturali.

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Nel 1889 a Telfs fu costituito il Partito Socialdemocratico Tirolese. Il programma di richieste presentato nel corso del congresso costituente fu il seguente: aumento dei salari orario di lavoro normale diritto di voto anche agli operai.

Nel 1897 in Sudtirolo esistevano già tre direttivi zonali con 1460 militanti organizzati: zona Bolzano, zona Merano, zona Val Pusteria con sede a Lienz (Austria).I socialdemocratici svilupparono un programma sindacale per il quale lottare. Esso, denominato “leggi a tutela degli operai”, conteneva i seguenti punti:1. piena libertà d’assemblea e riconoscimento giuridico delle organizzazioni operaie e

delle trattative sui salari;2. divieto del lavoro notturno (con esclusione di quelle aziende che per loro natura

tecnica non possono interrompere il lavoro);3. giornata lavorativa di otto ore al massimo senza eccezioni;4. pieno riposo domenicale da sabato sera a lunedì mattina;5. divieto del lavoro per i ragazzi sotto i 14 anni;6. esclusione dell’impiego di manodopera femminile da fabbriche in cui il lavoro

risultasse particolarmente nocivo per l’organismo femminile;7. queste disposizioni devono valere per fabbriche di ogni genere (grande industria,

trasporti, artigianato, industria domestica);8. punibilità con la reclusione delle violazioni padronali di queste disposizioni;9. organizzazioni operaie di carattere categoriale e locale devono collaborare tramite gli

ispettori, da queste eletti, al controllo del rispetto delle leggi a tutela degli operai.

Il 1905 fu anno di grandi scioperi: si lottò ancora per l’aumento del salario e per la diminuzione dell’orario di lavoro. Ma proprio a partire da quest’anno le condizioni vita degli operai peggiorarono: l’incipiente crisi economica produceva diminuzione dei salari e sfruttamento. I sindacati tentarono di passare all’offensiva: ancora nel luglio 1914, poco prima della grande guerra, la conferenza sindacale provinciale decide di «lavorare con rinnovato impegno per il miglioramento sociale e materiale delle condizioni di vita del proletariato e, se necessario, lottare anche contro lo sfruttamento senza scrupoli».Solo allo scoppio della guerra gli operai furono costretti a rinunciare ad imporre le loro richieste di miglioramento sociale a favore “dell’imperatore e della patria”.

La socialdemocrazia e i contadini

Poiché in Tirolo i contadini costituivano la maggioranza della popolazione attiva, i socialdemocratici - prevalentemente artigiani e operai dell’industria - si posero il problema di un collegamento con i contadini poveri ed i braccianti. La popolazione rurale era tradizionalmente influenzata dal clero e dalle altre forze conservatrici come i nobili. Verso la fine del secolo alcuni socialdemocratici cercarono di avviare un’opera di propaganda tra i contadini della bassa valle dell’Inn. All’inizio i risultati furono buoni. Proprio verso la fine del secolo fra i contadini regnava grande miseria economica: soprattutto i contadini tirolesi avevano contratto grandi debiti con le banche ed i socialdemocratici ne chiesero la cancellazione, puntando, però, su una propaganda generica a favore dell’abolizione della società classista e della proprietà privata, convinti che prima o poi la piccola azienda agricola dovesse scomparire e che i

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contadini, come tutti gli operai, non avrebbero avuto nient’altro da vendere che la loro forza-lavoro.

La borghesia aveva nell’amministrazione austriaca un nemico sul quale dirottava il malcontento degli operai ogni volta che nascevano tensioni tra dipendenti e padroni. Perciò i socialisti erano favorevoli ad un’amministrazione italiana autonoma nel Trentino e, a lunga scadenza, ad un’annessione all’Italia. Rifiutavano, però, l’annessione del territorio di lingua tedesca perché ciò avrebbe portato solamente a nuove tensioni e a nuove ingiustizie che non avrebbero eliminato il male originale. I socialisti italiani volevano far coincidere il confine di Stato italiano con il confine linguistico presso Salorno.

La convivenza tra italiani e tedeschi era tutt’altro che pacifica: spesse volte si verificarono scontri in occasione di uno dei quali uno studente italiano fu ucciso con un colpo d’arma da fuoco.

I partiti di lingua tedesca lottarono con decisione contro un’amministrazione italiana nel Trentino e contro ogni concessione agli italiani. L’unica eccezione fu costituita dal Partito Socialdemocratico che sostenne le richieste dei socialisti italiani.Un esempio grottesco del cieco nazionalismo degli altri partiti sudtirolesi è rappresentato dalla “giornata del popolo tedesco” celebrata a Vipiteno. Il 9 maggio 1918, pochi mesi prima dell’armistizio e dell’occupazione del Sudtirolo da parte delle truppe italiane, la Lega popolare organizzò una manifestazione a Vipiteno, alla quale furono invitati tutti i partiti del Sudtirolo: vi parteciparono le leghe, le associazioni e tutti i partiti con l’eccezione dei socialdemocratici e dei sindacati. Alla fine della giornata fu approvata all’unanimità una mozione con le seguenti richieste:1. un accordo di pace che rispecchi i grandi sacrifici ed i successi bellici delle potenze

centrali alleate (Germania e Austria);2. stabilire il confine con l’Italia fino alla sponda meridionale del Lago di Garda;

correzioni di confine in Friuli con inclusione dei territori tedeschi come i Tredici Comuni, i Sette Comuni, Bladen, Zahre, Schönfeld e Tischlwang in territorio austriaco;

3. il rafforzamento dell’alleanza con l’Impero tedesco in prospettiva della costruzione di una comunità economica e militare;

4. stabilire che la lingua tedesca è la lingua ufficiale di tutto lo Stato austriaco; respingere gli Stati slavi del Sud e del Nord a carattere autonomo; unità e indivisibilità del territorio da Kufstein fino a Verona, respingendo assolutamente ogni autonomia per il Trentino; lotta all’irredentismo italiano rafforzando da una parte la cultura tedesca nel Trentino e dall’altra esiliando tutti gli elementi irredentisti; nessuna amnistia per gli irredentisti;

5. confiscare i loro beni immobili utilizzandoli per diminuire i danni causati dalla guerra;

6. occupare la sede vescovile di Trento con un vescovo tedesco; istituzione di un seminario filotedesco nel vescovato di Trento; introduzione dell’insegnamento obbligatorio della lingua tedesca nel Trentino.

La mozione -rovesciate le parti - non è dissimile dai programmi di italianizzazione del fascista Tolomei di alcuni anni più tardi, e - come quelli - è espressione di un nazionalismo esasperato.

I successi dei socialdemocratici tra i contadini, però, non durarono a lungo: i traguardi della loro lotta erano troppo astratti e non rispecchiavano la realtà del contadino sudtirolese. Inoltre il clero era preoccupato per questa propaganda. In particolare alcuni giovani sacerdoti brissinesi avevano capito che la chiesa avrebbe perso ogni influenza sulla popolazione rurale se avesse continuato ad ignorare i

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problemi sociali dei contadini parlando del “risarcimento in cielo”. Così, verso la fine del secolo, fondarono il partito cristiano-sociale, filoasburgico, che aveva come nemico principale le forze di sinistra e l’ateismo, rivolgendosi però anche ai problemi sociali dei contadini. Il loro giornale di partito, edito a Bressanone, si chiamava Brixner Chronik. Con L’andare del tempo fecero uscire altre testate e riviste, tra le quali il Bauernkalender ebbe la maggior diffusione nella popolazione rurale. Anche Reinmichl, sacerdote e scrittore, s’impegnò nella propaganda cristiano-sociale contro la socialdemocrazia.

Nel 1904 il partito cristiano-sociale fondò il Bauernbund (associazione dei contadini) e si assicurò definitivamente la sua egemonia tra i contadini.

La terza forza politica nel Tirolo di allora erano i liberali, di estrazione sociale borghese. Prima della fine del secolo essi simpatizzavano con le associazioni culturali per operai ed avevano come avversari principali i monarchici ed il clero, il maggior alleato della monarchia. Nel 1895 fondarono il Partito Popolare Tedesco; nel 1907 si allearono con i pangermanisti e fondarono la “Deutsch-Nationale Volkspartei” (partito popolare nazional-tedesco). La loro testata di partito, stampata a Bolzano, era la “Bozner Zeitung”.

Abbiamo sin qui fatto cenno alla situazione politica ed economica del Tirolo (prevalentemente del Sudtirolo) prima dell’annessione all’Italia. Abbiamo però tralasciato un problema che già allora rivestiva grande importanza e che con l’annessione del Sudtirolo all’Italia assunse rilievo ancora maggiore: il problema delle minoranze nazionali.

Nel corso del Risorgimento italiano e lungo il processo di unificazione non tutti i territori italiani furono annessi al Regno d’Italia. Tra gli altri, anche il territorio tra Salorno ed Ala rimase sotto il dominio austriaco.1 Lì, ben presto, si sviluppò un

1 È, grosso modo, l’attuale provincia di Trento. A proposito della situazione etnico-politico-istituzionale del Trentino in senso stretto nell’epoca precednte l’annessione al Regno d’Italia sono necessarie alcune precisazioni. Il territorio, sotto l’Austria, era parte del Tirolo meridionale ed era denominato Welschtirol (Tirolo italiano) in quanto abitato da una popolazione in maggioranza italiana per lingua e tradizioni culturali, la quale reclamava il proprio diritto ad una più ampia autonomia all’interno della Dieta tirolese e nei confronti dello Stato austriaco.La maggioranza dei tirolesi di lingua tedesca non mostrava interesse nei confronti delle aspirazioni autonomistiche della popolazione italiana: ad Innsbruck e a Bolzano, anzi, si voleva fermamente conservare l’«unità storica del Tirolo». Nel Trentino, invece, a partire del 1848, si fece sempre più sentire il grido di «Los von Innsbruck»(via da Innsbruck). I trentini vennero perfino appoggiati dal Parlamento austriaco negli anni della rivoluzione del 1848/49. A quell’epoca poteva rappresentare una soluzione “patriottica” non solo la formazione dei una regione trentina autonoma, ma anche la sua annessione alla provincia austriaca del Lombardo-Veneto. Lo scioglimento di quel Parlamento ed il ripristino del regime assolutistico impedirono che si giungesse ad una soluzione democratica della questione trentina.Poiché dal 1866 non esisteva più un’Italia settentrionale austriaca a cui i tirolesi italiani potessero aggregarsi, sarebbe stata una mossa una mossa di saggezza politica accordare loro l’autonomia richiesta. In tal modo si sarebbero prevenuti gli irredentisti, i quali reclamavano non solo il «via da Innsbruck»ma anche il «via da Vienna». Ad Innsbruck, però la situazione non fu compresa. La denominazione di “Trentino” usata dagli irredentisti per designare il Tirolo italiano (Welschtirol) era considerata come la traduzione in termini geografici dello slogan politico «Los von Innsbruck»e come tale ricusata. Ufficialmente si doveva dire: Tirolo italiano oppure Südtirol.Nel 1900 i circa 350.000 tirolesi italiani (alla stessa data il Tirolo tedesco contava 500.000 abitanti) godevano nel loro territorio di una certa autonomia culturale. La lingua italiana era la lingua d’uso negli uffici e nei tribunali; esisteva un numero adeguato di scuole italiane e le scritte e le insegne erano in italiano. Non solo gli impiegati degli enti territoriali locali, come i Comuni, erano italiani, ma anche i posti dell’amministrazione statale erano per lo più in mano agli autoctoni di lingua italiana. Ma i capi dei tirolesi italiani volevano una propria Dieta ed una propria potestà legislativa ed esecutiva. Ciò che i tirolesi esigevano per sé da Vienna (autonomia) i trentini lo pretendevano per sé da Innsbruck. Nella

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movimento politico, l’irredentismo, il cui fine era l’annessione di quel territorio all’Italia. Questo movimento non aveva carattere puramente nazionalistico ed era presente in modo trasversale in tutti i partiti. Nel movimento si possono distinguere due poli: da una parte il gruppo nettamente nazionalista raccolto attorno ad Ettore Tolomei, che aveva come fine non solo l’istituzione del confine italiano a Salorno ma anche l’annessione del territorio tedesco. Dall’altra parte si trovavano i socialisti italiani con Cesare Battisti (impiccato a Trento dalle autorità austriache per alto tradimento nel luglio 1916). Essi vedevano nel dominio straniero un ostacolo alla solidarietà di classe degli operai ed un problema che distoglieva continuamente l’attenzione della classe operaia dai problemi sociali.

L’annessione del Sudtirolo all’Italia e le sue conseguenze politiche ed economiche

La guerra ebbe un esito diverso da quello previsto ed auspicato dai nazionalisti tirolesi. Il 26 aprile 1915 a Londra era stato firmato da Italia, Gran Bretagna, Francia e Russia il patto (segreto) di Londra. Con esso si prometteva all’Italia, tra le altre concessioni territoriali, anche il territorio cisalpino tirolese (il Sudtirolo fino al confine del Brennero) a condizione che l’Italia entrasse in guerra dalla parte dell’Intesa entro un mese.

Il 24 maggio 1915 l’Italia dichiarò guerra all’Austria ed alla Germania, contro la volontà dei socialisti italiani che votarono contro l’intervento.

Nell’autunno del 1918 era già chiaro che Austria e Germania sarebbero state sconfitte. Infatti il 3 novembre 1918 l’Austria firmò la capitolazione incondizionata. In Sudtirolo si sapeva già del patto di Londra: il governo rivoluzionario sovietico l’aveva reso noto nell’inverno del 1917 dopo la caduta dello zar e l’uscita dalla guerra della Russia rivoluzionaria.

I sudtirolesi puntarono ora sul programma dei 14 punti del presidente americano Wilson che prevedeva il diritto di autodecisione dei popoli e che, al punto 9, prevedeva la revisione del patto di Londra: i confini austriaci verso l’Italia dovevano coincidere con i confini linguistici. Ben presto, però, sorsero dubbi sulla volontà del presidente di imporre veramente questi principi all’imminente conferenza per la pace.

Tre giorni dopo l’annuncio dell’armistizio, il 7 novembre 1918, le prime truppe italiane entrarono a Bolzano da dove, il 10 novembre, raggiunsero il Brennero. Entro una settimana tutto il Sudtirolo era occupato dalle truppe italiane. Il generale Pecori Giraldi fu designato governatore dei territori occupati.

Dieta tirolese non si era molto propensi ad accogliere queste istanze. Per protesta i deputati italiani disertarono per lunghi periodi le sedute dell’assemblea regionale. Al parlamento nazionale di Vienna invece essi furono sempre presenti e dal 1907 con 9 rappresentanti.Da parte ladina non fu mai sollevata alcuna pretesa autonomistica. I ladini (circa 20.000 alla fine del secolo) si sentivano legati intimamente ai tirolesi tedeschi, dai quali erano anche rappresentati nel parlamento regionale (non però i fassani che, essendo inclusi in un collegio elettorale trentino, dovevano votare per un deputato italiano, e che inutilmente tentarono di allacciare rapporti con i sudtirolesi tedeschi.Poiché nulla di concreto i trentini riuscivano ad ottenere dal governo centrale e da quello regionale, in Trentino cominciavano a diffondersi il nazionalismo e l’irredentismo. Anche da parte tedesca l’estremismo nazionalistico guadagnò terreno e non volle nemmeno più riconoscere ai trentini l’integrità del loro territorio. Una certa tensione si creò durante il primo conflitto mondiale quando la diffidenza della polizia e delle autorità militari e giudiziarie la faceva da padrone e provvedimenti malaccorti, ingiusti e psicologicamente sbagliati furono la causa di non poca esasperazione.

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L’ingresso delle truppe italiane avvenne senza alcuna resistenza da parte della popolazione sudtirolese. In un primo tempo i soldati si meravigliavano di non essere accolti con lo stesso entusiasmo manifestato dai trentini e, afferrata la situazione, cercarono di conquistare le simpatie della popolazione. I sudtirolesi, però, rifiutavano il contatto con gli italiani e nemmeno la classe dirigente intendeva avviare rapporti con il governo di Roma. Si aspettava salvezza solamente da Innsbruck, da Vienna e dalla Conferenza per la pace: l’Italia non veniva presa in considerazione.

Con l’ingresso delle truppe italiane anche i nazionalisti trentini vennero a Bolzano. Tolomei spostò a Bolzano il suo “Archivio per l’Alto Adige”, sorta di istituto di cultura per l’italianizzazione dell’Alto Adige, e cominciò la sua battaglia per la snazionalizzazione del Sudtirolo. I suoi obiettivi principali erano l’italianizzazione della popolazione ed il rifiuto di ogni autonomia per il Sudtirolo, che doveva formare un’unica provincia con il Trentino.

Il governatore Pecori Giraldi, però, prese nettamente le distanze dal nazionalismo esasperato di Tolomei e seguì una politica relativamente liberale, se si può parlare di politica liberale da parte di un’amministrazione militare. Pecori Giraldi si impegnò a favore di un’autonomia limitata per il Sudtirolo.

Se in questi tempi i problemi etnici e linguistici non erano grandi, lo erano invece quelli economici e finanziari. Questi ultimi, del resto, non esistevano solo per i sudtirolesi ma per tutti i popoli annessi di recente all’Italia. In Sudtirolo ed in Trentino dopo l’occupazione circolavano sia la corona austriaca che la lira italiana ed il rapporto di scambio era pressoché 1:1.

Il 6 novembre 1918, però, fu emanata una disposizione che proibiva l’importazione della corona austriaca. Nello stesso provvedimento si disponeva anche che d’ora in poi il valore di scambio ufficiale per corona e lira doveva essere di 40 centesimi per una corona. Questa svalutazione della corona, che rimaneva sempre in circolazione, non era però accompagnata da una diminuzione dei prezzi in lire. In quei giorni moltissime persone potevano pagare i loro debiti in corone, risparmiando così il 60% del debito. Naturalmente chi ci perdeva erano le banche e gli istituti di credito. Il 10 aprile 1919 la lira venne introdotta come valuta unica con un valore di 40 centesimi per corona. Oltre a ciò il governo promise di pagare, con i 40 centesimi, ulteriori 20 centesimi come indennità per la perdita del potere d’acquisto.

C’erano anche altre ragioni per cui i sudtirolesi, proprietari di capitali, erano insoddisfatti della nuova situazione: lo Stato austriaco aveva contratto debiti di guerra con la popolazione (in Sudtirolo più di 320 milioni di corone) che lo Stato italiano, ovviamente, non rimborsò. Ciò colpì anche i piccoli risparmiatori.

I viticoltori, poi, temevano la concorrenza del vino italiano ed il blocco doganale nei confronti di Austria e Germania.

Inoltre lo Stato italiano, che voleva assicurare il rifornimento alimentare in Italia, bloccò le esportazioni di carne da macello e per un certo periodo fu vietata anche l’esportazione di legname da ardere.

Tutti questi provvedimenti non colpirono tanto la popolazione povera quanto in primo luogo gli uomini d’affari ed i grandi proprietari terrieri, i cui rapporti con lo Stato italiano non migliorarono di certo.

Abbiamo visto come l’amministrazione militare italiana si comportava in Sudtirolo: era relativamente liberale per quanto concerne la salvaguardia delle particolarità etniche e linguistiche dei sudtirolesi (ciò che portò a violenti scontri d’opinione con i nazionalisti trentini) e molto severa nei confronti degli interessi economici del capitalismo sudtirolese.

Vediamo ora come si muovevano le forze politiche sudtirolesi.

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I dirigenti conservatori e clericali, che nell’ottobre 1918 si erano uniti a Innsbruck nel Partito Popolare Cattolico Tirolese, ed il Partito Popolare liberale avevano invitato i sudtirolesi alla non resistenza contro le truppe d’occupazione, ma anche a non intrattenere alcun contatto con esse. Alcune niziative intraprese dall’amministrazione militare, come l’istituzione di mense scolastiche e manifestazioni di beneficenza, venivano boicottate. Immediatamente dopo l’ingresso delle truppe d’occupazione si costituì il Consiglio Nazionale Sudtirolese, una sorta di Consiglio provinciale, che si riprometteva di occuparsi dell’amministrazione del Sudtirolo. I socialdemocratici non sostennero questa iniziativa, ritenendola espressione di megalomania. Infatti il Consiglio Nazionale fu sciolto già nello stesso inverno dal Comando supremo d’armata. Nello stesso tempo furono designati due delegati, il dr. Walter Lutz ed il dr. Otto von Guggenberg, che vennero mandati all’estero per prendere contatti con quei politici stranieri che all’imminente conferenza per la pace potevano parlare in favore del Sudtirolo.

I centri più importanti della diplomazia di quei tempi erano Parigi e Berna, ed i due delegati operarono prevalentemente nelle due capitali. Non ci dilunghiamo sulle peripezie che essi vissero a Berna e ad Innsbruck e ci limitiamo a citare una loro iniziativa. Essi escogitarono un piano che prevedeva la costituzione di uno Stato autonomo del Tirolo tedesco da Kufstein fino a Salorno, uno Stato, cioè, con funzione di cuscinetto tra l’Italia ed il Nord germanico. Il piano suscitò grande interesse tra i conservatori tirolesi poiché in quel periodo, nell’immediato dopoguerra, Monaco di Baviera e Vienna - le due metropoli più vicine - erano in mano ai consigli rivoluzionari degli operai e dei soldati. Che già allora i conservatori tirolesi al pericolo rivoluzionario preferissero diventare italiani è dimostrato dall’intenzione di proporre al re d’Italia il titolo di conte del Tirolo e di annettere così all’Italia non solo il Sudtirolo, ma l’intero Tirolo austriaco.

Il piano fu concepito quando i politici tirolesi capirono che l’idea dello Stato autonomo del Tirolo non poteva comunque essere realizzata, anche se l’ambasciatore americano aveva ascoltato a Berna i due delegati sudtirolesi. Ma nonostante tutti i piani, più o meno realistici, di salvare il Tirolo, alla Conferenza per la pace a Parigi si decise ciò che già prima era stato stabilito: il confine italiano settentrionale sarebbe passato per il Brennero.

Già nell’agosto 1919, circa un mese prima della definitiva annessione del Sudtirolo al Regno d’Italia, l’amministrazione civile subentrò a quella militare. Come commissario generale, che esercitava la sua funzione alle dirette dipendenze del governo, fu designato Luigi Credaro. Dal momento in cui il Sudtirolo fu annesso all’Italia in Sudtirolo prese avvio un processo politico le cui conseguenze si avvertono ancora oggi: è l’unificazione di tutte le forze politiche sotto l’egemonia delle forze clericali e nazionaliste. Questo sviluppo non avvenne senza pressioni esterne. In un primo momento i socialdemocratici salvaguardarono la loro autonomia e si rifiutarono di entrare nel Deutscher Verband (Lega Tedesca), che fu fondato nell’ottobre del 1919 dal Partito Popolare e dal Partito Liberale. Subito dopo la fondazione di questa Lega una delegazione andò a Roma per incominciare a trattare sul tema dell’autonomia. Essa, però, ritornò da Roma non avendo ottenuto altro se non alcune promesse senza garanzia. Già allora si delineava una situazione che più tardi diventò determinante: l’unico partito contrario ad unire le province di Trento e di Bolzano e favorevole ad un’ampia autonomia per il Sudtirolo era il Partito Socialista2. Ciò non impediva però

2 Gli oppositori italiani del confine del Brennero, quando questo divenne una realtà, si impegnarono per una autonomia la più ampia possibile a favore del Sudtirolo.Il socialista Gaetano Salvemini nel 1919 scrisse: «Non avremmo nessuna difficoltà a dichiarare senza esitazioni che siamo d’accordo con il confine del Brennero, se avessimo la certezza che il nostro

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alla Lega Tedesca di vedere nei socialdemocratici sudtirolesi i nemici principali della cultura tedesca.

Senza dubbio il Partito Socialdemocratico Sudtirolese in termini di iscritti era il partito più piccolo, però aveva saputo adattarsi alla nuova situazione. Non era mai stato allineato al nazionalismo tirolese e già prima della guerra aveva stabilito positivi contatti con i socialisti trentini ed aveva chiesto maggior autonomia per il Trentino. Perciò per i socialdemocratici l’alleanza con i socialisti italiani non significava tradire la cultura tedesca ed insieme a loro lottavano per l’autonomia del Sudtirolo. Oltre a questa autonomia amministrativa formale i socialdemocratici rivendicavano dallo Stato italiano il riconoscimento delle leggi a tutela degli operai ed un immediato sostegno materiale per invalidi di guerra, vedove ed orfani in Sudtirolo. I socialdemocratici fecero stampare - ora che il “Giornale del popolo”, organo dei socialdemocratici tirolesi stampato ad Innsbruck, poteva avere solo un’importanza limitata - un proprio giornale, il Volksrecht che usciva tre volte la settimana.

Nel gennaio 1920 venne proclamato uno sciopero dei ferrovieri che durò una settimana e portò ad alcuni miglioramenti per i dipendenti delle ferrovie, allora retribuiti con salari molto bassi. Lo sciopero vide lottare insieme operai italiani e tedeschi.

Nel febbraio 1920 il Partito Socialdemocratico organizzò un Congresso nel corso del quale fu decisa l’unione, come sezione autonoma, al Partito Socialista Italiano sotto la guida di Turati. Sul lavoro sindacale il funzionario sindacale Flor, delegato al congresso, disse: «Come stanno le cose a livello di organizzazione politica, così stanno anche a livello di organizzazione sindacale. Il Sudtirolo è troppo piccolo per creare organizzazioni tali da essere forti abbastanza nelle lotte economiche. Non possiamo starne fuori, allora bisogna cercare contatti. Nei consigli d’amministrazione di tutte le imprese del Sudtirolo ci sono degli italiani, allora anche gli operai tedeschi possono condurre le lotte economiche insieme ai compagni italiani».

Mentre il movimento sindacale cresceva (subito dopo la guerra i sindacati avevano 1.000 iscritti, nel 1920 più di 3.000) la Lega Tedesca incrementava la sua propaganda “etnica”. Nonostante per un osservatore non prevenuto gli alleati naturali dei sudtirolesi dovessero trovarsi a destra (a livello internazionale l’Unione Sovietica aveva criticato violentemente il carattere imperialistico della Conferenza di pace di Parigi, ed a livello nazionale erano i socialisti che, soli, sostenevano seriamente la richiesta di autonomia sudtirolese), nei giornali e nelle riviste soprattutto del Partito Popolare Tirolese veniva attaccata in modo violento la sinistra.

A quei tempi uscirono i primi numeri del Reinmichlkalender, che più tardi ebbe assai ampia diffusione. Nel “panorama politico” che apriva ogni numero le violenze sanguinarie dei fascisti venivano ironizzate benevolmente. La situazione nell’Italia di allora assomigliava ad uno stato di guerra civile: operai in sciopero venivano attaccati da fascisti armati, gente ammazzata per la strada e nelle fabbriche. Ma per Reinmichl e per altri il pericolo veniva dagli operai in lotta e non dai fascisti violenti. Ciò è ancor più incomprensibile dal momento che anche in Sudtirolo squadracce fasciste facevano

governo saprà resistere alle pressioni dei “prussiani” di casa nostra che vorrebbero conquistare il Sudtirolo per opprimere i tedeschi e con ciò far loro pagare la colpa dei loro padri di aver valicato il Brennero; se fossimo sicuri che il nostro parlamento concederà al Sudtirolo una ampia autonomia e non invierà colà alcun impiegato italiano per sabotare l’ordinamento amministrativo austriaco e fomentare l’odio contro l’Italia; se, infine, fossimo certi che il nostro governo vuol fare del Sudtirolo una specie di cantone svizzero, completamente autonomo in campo amministrativo, scolastico, religioso e con un parlamento locale del tutto indipendente da quello di Roma; se il governo esercitasse in Sudtirolo solo i diritti di sovranità politica e militare; se cioè potessimo aver fiducia nell’intelligenza e nel buon senso del nostro parlamento, della nostra burocrazia e della nostra detestabile stampa ... ma di tutto ciò dubitiamo fortemente.»

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sempre più frequentemente “giustizia” da sé e cercavano di risolvere definitivamente a modo loro il problema sudtirolese.

L’azione più brutale fu l’assalto di una squadraccia armata di fascisti ad un corteo folcloristico che in occasione della fiera primaverile di Bolzano passava pacificamente per il centro storico. I fascisti picchiarono violentemente i partecipanti al corteo ed alla fine cominciarono anche a sparare: il maestro di Marlengo Franz Innerhofer rimase ucciso da due proiettili ed altri 50 sudtirolesi rimasero feriti.

Ciò accadeva il 24 aprile 1921 ed in seguito a Bolzano si tenne una manifestazione di massa nella quale rappresentanti del Partito Popolare Tirolese, dei liberali, dei socialdemocratici e dei socialisti italiani condannarono unitariamente i fatti del 24 aprile, chiedendo la punizione dei colpevoli. Questa fu e rimase l’unica azione politica unitaria tra la Lega Tedesca ed i socialisti italiani.

Incominciarono anche i preparativi per le elezioni che dovevano svolgersi nel 1921 e subito si scatenò una battaglia sulla suddivisione dei collegi elettorali. I nazionalisti trentini chiesero che per le province di Trento e di Bolzano ci fosse un unico collegio, la Lega Tedesca si oppose e chiese una circoscrizione separata per il Sudtirolo. Il commissario generale Credaro appoggiò presso il governo le richieste della Lega Tedesca che furono accolte. Il governo, però, assegnò i comuni ladini al collegio di Trento.

Così nel maggio 1921 si tennero le elezioni con due liste, quella della Lega Tedesca e quella dei socialdemocratici. La Lega, appoggiata pienamente dal clero, attaccava i socialdemocratici - visti come il principale nemico - dicendo ai sudtirolesi che tutti i voti non dati alla Lega erano persi ed erano un “tradimento”. Ciò avveniva solo un mese dopo la domenica di sangue.

Il terrorismo psicologico diede i suoi frutti: 36.000 voti per la Lega Tedesca, 4.000 voti scarsi per i socialdemocratici che poterono conquistare un solo deputato.

Nel frattempo le violenze fasciste andavano aumentando. I principali nemici dei fascisti erano gli operai in lotta e la sinistra in generale: sino ad allora i fascisti avevano compiuto solo occasionalmente azioni repressive e l’offensiva principale non era ancora scattata.

Nel 1922 a Bolzano, malgrado le formali dichiarazioni di disponibilità del sindaco Perathoner i problemi irrisolti si andavano accumulando, e in particolare: l’inflazione, del 2-3% mensile, aveva spinto i prezzi così in alto (il prezzo dello

zucchero in un mese è passato da 2 a 8 lire al chilo) che le famiglie che vivevano di un salario mensile (quindi quasi tutte le famiglie italiane) vedevano sempre più eroso il proprio potere d’acquisto;

negli uffici comunali i funzionari allo sportello conoscevano quasi tutti la sola lingua tedesca, cosicché a volte il rapporto con il pubblico era problematico;

il problema della scuola in lingua italiana era impellente. Nel rione di Oltrisarco esisteva un complesso, in un fabbricato statale suddiviso in tre piani, di 4 classi riservato a 200 bambini italiani, ma ciò era ben poca cosa rapportata alle esigenze degli abitanti del quartiere (che, dopo la guerra, avevano ottenuto la scuola nella propria lingua), dei nuovi immigrati, di quelli provenienti dal centro storico, senza contare lo stato di disagio in cui si trovavano i mille italiani residenti a Gries e quelli a Laives;

l’immigrazione dei numerosi funzionari statali e la presenza dei militari, con le loro famiglie, aveva acuito il problema già grave degli alloggi, tanto che non era possibile trovarne neppure a canoni altissimi.

Nessun colloquio era stato fino ad allora concesso dal sindaco ai richiedenti. Poiché il sindaco Perathoner era andato in ferie senza fornire indicazioni precise sul modo in

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cui risolvere il problema della scuola (che cominciava il 25 settembre) il 31 agosto 1922 il direttorio fascista di Bolzano consegnò nelle mani del vicesindaco Christanell un promemoria in cui, ritenuto che i problemi di cui sopra non sfiorassero nemmeno l’interesse del sindaco (considerato, dunque, il principale responsabile del disagio degli italiani), si chiedeva:1. l’allontanamento del dr. Perathoner quale sindaco e consigliere della città;2. formazione di un prezziario massimo degli articoli più necessari, che il comune

avrebbe dovuto far rispettare;3. sostituzione della gendarmeria con vigili urbani;4. doppia lingua in tutti gli atti pubblici del comune, in tutti gli avvisi pubblici, in tutte

le vie pubbliche, con precedenza alla lingua italiana;5. conversione del fabbricato scolastico comunale (uno dei quattro a disposizione del

comune) nella Elisabeth-Straße (via Cassa di Risparmio) in scuola italiana;6. censimento delle abitazioni, requisizione di quelle libere ed una giusta distribuzione

alle famiglie bisognose;7. obbligo disposto dal comune di esporre la bandiera nazionale (nelle feste nazionali)

non solo per gli edifici pubblici, ma anche per tutti gli hotel di prima categoria e per tutte le banche;

8. impegno del comune per l’assegnazione di una chiesa agli italiani e servizio con preti italiani;

9. istituzione di un corso di italiano per gli impiegati comunali;10. precedenza ai grandi invalidi nelle eventuali assunzioni comunali.

Anche la sezione meranese del P.N.F. presentò lo stesso giorno al sindaco un analogo memorandum: il sindaco convocò i fascisti nel palazzo comunale e alcune settimane più tardi il Consiglio Comunale di Merano deliberò l’accoglimento di molte delle istanze presentate. Il sindaco Perathoner, invece, non volle ricevere nessuno.Il 27 settembre i fascisti lanciarono l’ultimatum all’amministrazione Perathoner: quattro giorni di tempo per dar seguito al memorandum presentato.

La “marcia su Bolzano”

La scuola lungo l’attuale via Cassa di Risparmio era la più moderna della città: era frequentata da 700 ragazzi suddivisi in 14 aule. Essa fu occupata dai fascisti la domenica mattina (1 ottobre 1922: “marcia su Bolzano”). Il Consiglio Comunale venne convocato d’urgenza nel pomeriggio per discutere i punti presentati dai fascisti bolzanini. La presidenza venne assunta dal vicesindaco dr. Christanell poiché al sindaco Perathoner il re, con proprio decreto, aveva revocato pochi giorni prima il suo benestare, indispensabile per assolvere alle sue funzioni. Superflua, quindi, la trattazione del primo punto del memorandum. Il consiglio fornì giustificazioni sui punti successivi. Il sindaco Perathoner, che era in vacanza da un mese, fino a quel momento non aveva affatto manifestato quella disponibilità immediata necessaria ad affrontare problemi di emergenza come quello della scuola (iniziata dal 25 settembre) ed il consiglio si giustificò asserendo che da Roma non era ancora arrivata, dopo 4 mesi, l’approvazione del progetto per le nuove scuole per i ragazzi italiani.

Il 2 ottobre, al mattino presto giunsero in treno a Bolzano altre squadre fasciste. Nel pomeriggio, verso le 16, i fascisti si avvicinarono al palazzo comunale scarsamente presidiato ed un gruppo riuscì a penetrarvi prima dell’intervento delle forze dell’ordine.

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Al posto del sindaco fu insediato un commissario dell’amministrazione comunale. L’occupazione del palazzo durò un paio d’ore.

I fascisti lasciarono Bolzano e proseguirono verso Salorno dove fecero altrettanto. Giunti a Trento, invasero la sede del commissario generale e lo accusarono di seguire una politica troppo morbida nei confronti della popolazione tedesca. Chiesero ed ottennero le sue dimissioni: Credaro cedette nello stesso giorno tutti i suoi poteri al generale Assum. I fascisti costrinsero anche il presidente della giunta regionale straordinaria, Conci, a dimettersi e, portato a termine il loro programma d’azione, se ne andarono.

Il Sudtirolo sotto il fascismo

Il 28 ottobre seguì la “marcia su Roma”. Nonostante il partito fascista rappresentasse solo una piccola minoranza il re designò Mussolini capo del governo. Il primo governo Mussolini era formato da fascisti, popolari e liberali. Mussolini ricopriva la carica di presidente del consiglio dei ministri, ministro degli Esteri e ministro degli Interni.

Data la situazione e pensando alle esperienze fatte dai sudtirolesi con i fascisti, parrebbe ovvio pensare che essi si sarebbero opposti al fascismo anche con le armi, ma non avvenne nulla di tutto ciò. È anzi sbalorditivo l’articolo di Wilhelm von Walter, deputato liberale, pubblicato sulla Südtiroler Landeszeitung, in cui egli si diceva soddisfatto per il Sudtirolo, del ripristino della tranquillità e dell’ordine nello Stato a seguito della presa del potere del fascismo ed aggiungeva che molte dichiarazioni di Mussolini lasciavano prevedere buoni propositi e che «il regime di Mussolini potrebbe significare per l’Italia un’epoca di sano sviluppo».

Quale fu, nei fatti, il “sano sviluppo” auspicato da von Walter? Fino al primo governo Mussolini c’erano stati diversi tentativi di snazionalizzazione del Sudtirolo. Continuamente venivano emessi decreti-legge o provvedimenti di autorità locali che, però, dopo poco tempo venivano ritirati. Fino a quel momento non era successo nulla di irrimediabile. Con Mussolini, però, tutto cambiò radicalmente: nell’ottobre 1922 venne insediato per decreto un prefetto, Giuseppe Guadagnini, dichiaratamente ostile ai sudtirolesi. Subito si incominciò ad eliminare la lingua tedesca da tutte le istituzioni pubbliche. Il 10 gennaio 1923 nelle scuole dei comuni di Salorno, Bronzolo, Laives e S. Giacomo la lingua italiana diventò lingua d’insegnamento al posto del tedesco. Le province di Trento e di Bolzano vennero unificate: capoluogo e sede della prefettura diventò Trento. I comprensori di Ampezzo e Buchenstein andarono alla provincia di Belluno. La Bassa Atesina fu assegnata al comprensorio di Cavalese.

Come si ricorderà, la lotta contro l’unificazione delle province era stato l’obiettivo principale di tutti i partiti sudtirolesi, una premessa centrale per tutte le altre richieste. Con questo provvedimento il governo fascista colpì al cuore tutta la politica sudtirolese.

Quell’estate portò in Sudtirolo anche la fine del sindacalismo libero. Il 16 agosto 1923 verso le ore 14 il segretario delle corporazioni (fasciste) si presentò alla “casa del sindacato” di Bolzano e richiese un colloquio con i rappresentanti della commissione sindacale tedesca. Voleva un chiarimento sulla posizione dei sindacati liberi nei confronti del movimento sindacale fascista. I sindacalisti presenti fornirono una risposta evasiva ed egli ordinò che la commissione sindacale tedesca si recasse lo stesso giorno, alle 17, dal viceprefetto di Bolzano. Unterkircher, Ascher, Kartneller e Menz, rappresentanti sindacali tedeschi, obbedirono ed il viceprefetto comunicò loro che i fascisti chiedevano lo scioglimento dei sindacati liberi e la cessione della casa sindacale, compresa la tipografia. Il viceprefetto sottolineò il fatto che per parte sua appoggiava

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quelle richieste. I rappresentanti sindacali convocarono un’assemblea dei delegati per il 17 agosto: fu deciso all’unanimità di respingere le richieste dei fascisti. Il 18 agosto questi ultimi presero l’edificio e ne occuparono i locali. La segreteria sindacale, la tipografia e la redazione vennero poste sotto sequestro e furono sorvegliate da guardie per evitare che qualcosa potesse essere rimosso dall’edificio. La pubblicazione del Volksrecht venne vietata. Senza successo i sindacati protestarono presso il governo. Il 23 agosto il viceprefetto costrinse con minacce i rappresentanti sindacali a firmare una dichiarazione secondo la quale tutta la faccenda veniva regolata così com’era stato richiesto dai fascisti. Ma non era finita: i fascisti ottennero dal giudice istruttore un permesso di perquisizione dei locali posti sotto sequestro. Si voleva portare alla luce materiale di prova della linea antinazionale dei sindacati liberi. Ed infatti furono trovati in una soffitta della casa ordigni esplosivi di provenienza austriaca. I membri della segreteria dei sindacati furono processati, ma al processo fu dimostrato che gli ordigni erano stati nascosti in soffitta dai fascisti stessi.

Il 27 agosto si riunì la segreteria bolzanina della federazione sindacale. Venne dichiarata nulla la dichiarazione estorta del viceprefetto, si protestò contro la requisizione della casa e si denunciarono i fascisti per violazione della proprietà. Al processo il prefetto intervenne a favore dei fascisti: con un decreto sciolse la segreteria della federazione locale e ne assegnò le funzioni al consigliere di prefettura Carlo Tenner che d’ora in poi avrebbe dovuto amministrare la casa sindacale e tutta la federazione locale.

Contro questo decreto illegittimo i sindacati protestarono presso il governo e fecero ricorso alla Corte d’appello: A quel punto si intromise il governo: emanò un regio decreto con cui si disponeva che i prefetti provinciali avevano d’allora in poi facoltà di destituire il massimo dirigente di una organizzazione operaia e di sostituirlo con un commissario di prefettura. La battaglia era così finita: per i sindacati ciò rappresentava l’inizio della fine. Con loro moriva anche la socialdemocrazia, il cui giornale era stato vietato ed i cui iscritti furono sempre più perseguitati.

Insieme alle repressioni brutali delle organizzazioni operaie, si scatenava anche la repressione della vita politica di tutta la popolazione: un decreto stabilì che tutti i segretari comunali dovevano sostenere un esame per ottenere la qualifica di segretario comunale. L’esame aveva luogo a Trento ed era esclusivamente in lingua italiana: la maggior parte dei segretari comunali sudtirolesi non era in grado di affrontare la prova in italiano ed al loro posto subentravano segretari di lingua italiana. Inoltre accadeva spesso che i sindaci eletti nei vari comuni venissero deposti a causa della loro “mentalità antinazionale” e sostituiti da commissari italiani filofascisti.

Si avvicinarono così le elezioni del 6 aprile 1924. La legge elettorale era stata cambiata dai fascisti in modo che il partito che sul piano nazionale avesse conquistato la maggioranza relativa avrebbe ottenuto i due terzi dei seggi della Camera dei deputati (legge maggioritaria). La battaglia elettorale venne combattuta con mezzi terroristici da parte dei fascisti. Anche in Sudtirolo avvennero episodi di violenza contro candidati della Lega Tedesca, unico partito tedesco presente alla elezioni, senza tuttavia che le intimidazioni assumessero il carattere di gravità (morti e feriti) assunto nel resto d’Italia.

A Brunico, per es., il giorno delle elezioni i fascisti fecero irruzione in un seggio elettorale e minacciarono i sudtirolesi presenti; poi impedirono a circa 500 elettori tedeschi di entrare nel locale.

La Lega Tedesca raccolse in tutto 32.000 voti, ma i fascisti riuscirono ad infrangere il blocco “tedesco” anche in comuni interamente tedeschi. Alcuni dati lo confermano chiaramente: in Val Sarentino solo 236 di 1.004 aventi diritto andarono a votare. Di

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questi, 166 votarono per la Lega Tedesca e 137 per i fascisti. A Salorno i fascisti ottennero 106 voti, la Lega 235. A Castelrotto: 688 aventi diritto al voto, 401 voti validi, 166 ai fascisti, 217 alla Lega. A Stilfes: 246 voti validi, 190 alla Lega, 40 ai fascisti. A Sesto Pusteria: ai fascisti 113 voti, alla Lega Tedesca 130. Complessivamente la Lega Tedesca ottenne 32.000 voti contro i 6.600 dei fascisti.

Perché i fascisti ottennero un successo così relativamente grande? I comuni dove il loro successo fu maggiore erano in gran parte molto poveri. I fascisti promettevano alla popolazione edilizia scolastica, ponti, caserme, insomma: lavoro. I socialdemocratici in quel periodo erano già sconfitti e non potevano presentarsi alle elezioni per sostenere un programma sociale e di libertà. La Lega Tedesca con i suoi slogan che mettevano in primo piano il problema culturale non interpretò le esigenze materiali della popolazione (rappresentava infatti i contadini e la borghesia, per i quali la disoccupazione non esisteva). Strumentalizzando miseria e disoccupazione i fascisti volevano conquistare le simpatie della popolazione. La tattica fascista non poteva essere seriamente contrastata dalle grida della Lega Tedesca contro i “traditori del popolo”. Inoltre non bisogna dimenticare che la stampa sudtirolese si era espressa molto positivamente in occasione della presa del potere di Mussolini. L’odio contro i “rossi” e contro la sinistra, alimentato a suo tempo dal clero e dai politici borghesi sudtirolesi, incominciava a produrre i suoi frutti. Solo così si può capire come mai, il 23 maggio 1924, il consiglio comunale di Laces, composto esclusivamente da sudtirolesi tedeschi, senza esservi minimamente costretto concesse a Mussolini la cittadinanza onoraria.

Ancora un episodio, forse il più grave, illustra il fallimento totale dei politici della Lega Tedesca. Nella prima seduta del neoeletto Parlamento il deputato socialista Giacomo Matteotti prese la parola e condannò la violenza esercitata dai fascisti durante le elezioni. Alcuni giorni dopo scomparve e nell’agosto 1924 fu trovata la sua salma in un boschetto vicino a Roma. Picchiatori fascisti lo avevano assassinato.

A causa di quest’assassinio tutti i deputati antifascisti si ritirarono dal Parlamento e si riunirono sull’Aventino. Dichiararono di non voler tornare in Parlamento prima che fosse stata ripristinata la legalità nel Paese. Richiesero lo scioglimento della milizia fascista responsabile del delitto, una legge elettorale proporzionale e nuove elezioni. Questi partiti speravano che il re destituisse Mussolini con la stessa rapidità con cui l’aveva chiamato a formare il governo due anni prima.

Chi non aveva aderito all’atto di protesta degli antifascisti erano, oltre ad alcuni giolittiani, i deputati sudtirolesi. Forse speravano di conquistarsi così le simpatie di Mussolini.

Mussolini, però, passò alla controffensiva: affermò di assumersi la responsabilità morale e politica di ciò che era accaduto e contemporaneamente annunciò la chiusura del Parlamento. Nello stesso giorno entrarono in vigore alcune leggi che limitarono gravemente le libertà politiche della popolazione italiana; tutte le forze dell’ordine vennero mobilitate contro eventuali insurrezioni e la dittatura ebbe così inizio.

Poco dopo seguirono dei provvedimenti che colpirono tutta la popolazione antifascista d’Italia ed anche i sudtirolesi: le redazioni dei giornali furono costrette ad assumere collaboratori fascisti ed a sottomettersi alle loro direttive. In Sudtirolo ciò significava la fine della stampa tedesca: ora usciva il Giornale delle Alpi, fascista ed in lingua tedesca.

L’italianizzazione del Sudtirolo

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Nel febbraio del 1926 entrò in vigore la legge che stabiliva che i sindaci eletti in tutti i comuni con meno di 5.000 abitanti dovevano essere sostituiti da podestà di nomina governativa: nella lista dei 78 podestà nominati per il Sudtirolo c’erano 72 nomi italiani e 6 tedeschi.

Nelle scuole la lingua d’insegnamento divenne definitivamente quella italiana: l’insegnamento privato del tedesco venne proibito se impartito contemporaneamente a più di tre allievi. Era l’inizio delle scuole delle catacombe tedesche, scuole segrete nelle quali dei volontari impartivano l’insegnamento del tedesco ai bambini sudtirolesi nei masi o nelle cantine.

Anche negli uffici pubblici la lingua tedesca fu sostituita da quella italiana: i funzionari tedeschi venivano sollecitati “a scegliersi un posto in una provincia italiana in cui desideravano essere trasferiti”.

Nel 1926 incominciò un’altra tappa dell’italianizzazione: tutti i cognomi che sembravano avere origine italiana e che erano stati tedeschizzati dovevano essere nuovamente “restituiti” alla forma italiana. Chi portasse un cognome tedesco puro, “poteva” cambiarlo con uno italiano. Ciò valeva soprattutto per i dipendenti pubblici, se volevano mantenere l’impiego.

Si può quindi affermare che nel periodo fascista la legislazione italiana non solo negò alla minoranza tedesca il riconoscimento dei suoi caratteri peculiari, ma emanò norme dirette alla cancellazione di tali caratteri.3

Il processo di italianizzazione seguiva anche altre strade. Venne favorita, e anche direttamente promossa, una immigrazione italiana nella zona: inizialmente si trattava soprattutto di funzionari statali, militari, borghesia commerciale e professionale, e poi lentamente anche di imprenditori edili e industriali, albergatori ed infine di operai.

L’attività economica locale fu compressa e assorbita o comunque subordinata agli interessi economici italiani. Inoltre, accanto a insediamenti industriali, commerciali, edilizi, turistici e professionali “italiani”, sempre più massiccia divenne in tutta la provincia la presenza militare e burocratica dello Stato: caserme, uffici, strade militari, impianti bellici.4

3 Forniamo di seguito un sommario elenco di decreti significativi ai fini della snazionalizzazione: R.D. 29 maggio 1925 n. 8000 - Sostituzione con nomi italiani della toponomastica tedesca; Decreto prefettizio 8 agosto 1925 n. 12637 - Proibizione dell’uso dei termini “Tirolo”, “Sudtirolo”,

“sudtirolese”, ecc. Decreto delle Autorità scolastiche della città di Bolzano 18 settembre 1923 - Proibizione

dell’insegnamento privato della lingua tedesca; Decreto delle Autorità scolastiche della città di Bolzano 5 maggio 1924 n. 3189 - Uso esclusivo

della lingua italiana negli asili; D.L. 23 maggio 1924 n. 1122 e Decreto prefettizio 1 settembre 1926 - Zona militare in Alto Adige; R.D. 24 aprile 1924 n. 815 - Assorbimento dell’Istituto provinciale di credito agrario da parte

dell’Istituto di credito fondiario; R.D.L. 15 ottobre 1925 n. 1796 e D.M. 25 dicembre 1925 - Uso obbligatorio della lingua italiana

nei tribunali; Decreto della Viceprefettura di Cavalese 12 dicembre 1925 n. 1614 - Uso esclusivo della lingua

italiana nell’istruzione religiosa; R.D. 2 luglio 1926 n. 1152, R.D. 16 dicembre 1926, D.M. 27 febbraio 1928 - Licenze per l’attività

commerciale; Decreto prefettizio 16 novembre 1927 n. 7622 - Proibizione di iscrizioni in lingua tedesca sulle

tombe; Decreto prefettizio del 1927 - Obbligo di costruire gli edifici pubblici in stile italiano; R.D.L. 26 aprile 1925 - Nomina prefettizia dei segretari comunali; R.D. 4 novembre 1928 - Totale introduzione della legislazione civile italiana; R.D.L. 28 settembre 1934 n. 621 - Zona industriale di Bolzano; L. 7 gennaio 1937 - Autorizzazione all’E.R.A. di espropriare terreni.4 Dal discorso di Mussolini alla Camera nella seduta del 27 febbraio 1927:

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Intorno al 1935 ha luogo un’industrializzazione della zona da parte di grossi complessi industriali italiani (Montecatini, Falk, Lancia); prima di quella data gli stabilimenti principali erano stati centrali elettriche; in quell’anno invece si ha la nascita ufficiale della zona industriale di Bolzano, collegata con i centri del Nord italiano e da essi dipendente (Acciaierie, Magnesio, autoveicoli, veicoli industriali, alluminio ecc.).

Tale industrializzazione, tuttavia, non produsse la nascita di una classe operaia locale, dato che il fascismo importò operai italiani (spesso reduci con qualche benemerenza), fornendo loro anche abitazioni ed un minimo di infrastrutture sociali (le semirurali). I dati testimoniano da soli questa massiccia immigrazione (cfr. Tab. 1). Anche l’industrializzazione, quindi, avviene all’insegna dell’italianizzazione.

L’Alto Adige nel periodo fascista si trova dunque ad essere diviso in due zone: l’una, quella urbana e di fondovalle, compresa nell’espansione industriale promossa dal fascismo; l’altra, quella montana, emarginata completamente e lasciata a se stessa e compressa nel suo naturale sviluppo.

In quel periodo accanto all’italianizzazione forzata operata da una parte, si registra la penetrazione di agenti nazisti dall’altra, che svolgono propaganda filogermanica fra i sudtirolesi.Nascono alcune cellule segrete, fra cui il movimento delle Calze Bianche che sono più il simbolo del nazismo che dell’autonomismo altoatesino.La propaganda nazista si intensifica nel 1934 e, attraverso l’attività del Volksbund für Deutschtum im Auslande (Lega per il germanesimo all’estero), viene creata una vera e propria rete organizzativa locale.

Le opzioni

Al fine di eliminare la questione altoatesina, Italia e Germania stipularono l’Accordo di Berlino (23 giugno 1939), col quale fu stabilito il trasferimento entro i confini del Reich dei cittadini sudtirolesi che avessero optato per la cittadinanza tedesca. La scelta, da effettuarsi entro il 31 dicembre dello stesso anno, era facoltativa e volontaria, ma solo in apparenza; di fatto forti pressioni vennero esercitate sulla popolazione sudtirolese da parte della propaganda nazista, facendo credere, fra l’altro, che il governo italiano avrebbe trasferito al sud coloro che fossero rimasti, e che - se le opzioni fossero state plebiscitarie - si sarebbe magari ottenuta l’annessione del Sudtirolo alla Germania. Per i sudtirolesi si trattava di un dilemma profondo: la minaccia di dover lasciare la propria terra per il sud o per il nord. La loro debolezza politica induceva a vedere il nazismo come valida alternativa al fascismo e le pressioni dei propagandisti influirono notevolmente sulla scelta che fu perciò non libera o comunque non cosciente. Le

«Il problema delle minoranze allogene non si risolve, lo si capovolge. Lo si capovolge inondando le zone di frontiera di gente nostrana: ma di gente che occupi stabilmente il suolo, le fabbriche, gli alberghi, che per rango, per posizione sociale-finanziaria, per cultura, possa competere con i detentori odierni della proprietà e li soverchi; che costituisca, insomma, in condizioni di superiorità, colonie compatte, dominanti la produzione e il traffico della provincia.Premessa di tutto ciò è l’acquisto, la conquista del suolo, eseguita secondo un determinato programma e con larghi mezzi».Dalla A.A.A. (Associazione Alto Adige) XXX, p. 778:«Uno dei provvedimenti coi quali il Governo fascista viene immettendo nella vita della nazione le terre di frontiera, in particolare fra i provvedimenti che mirano a dare nuovo incremento alla città di Bolzano, capoluogo dell’Alto Adige, Bolzano nuova, Bolzano grande, Bolzano italianissima, è una vera e tipica creazione del Governo fascista. Vi concorrono senza distinzioni regionali e tanto meno provinciali, le forze vive di tutta la nazione. Accanto all’agraria, al commercio e alle virtù impellenti dell’alta cultura, si schierano ora le risorse dell’industria».

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opzioni produssero una profonda lacerazione nella società sudtirolese e nelle singole famiglie: chi decise di partire doveva abbandonare la sua Heimat, chi decise di restare (i Dableiber) era considerato un traditore del popolo sudtirolese. Queste le cifre delle opzioni: totale degli aventi diritto all’opzione: 246.036 optanti per la Germania: 211.799 (86%) optanti per l’Italia: 34.237 (14%)

A causa dello scoppio della guerra solo 74.500 circa lasciarono in seguito il Sudtirolo.

L’8 settembre 1943 e l’Alpenvorland. La Resistenza.

L’Italia entrò in guerra nel giugno del 1940 e ciò finì per rallentare prima e per bloccare poi l’esodo dei sudtirolesi conseguente alle opzioni.

L’8 settembre 1943 fu salutato in modo diverso dagli abitanti italiani e tedeschi del Sudtirolo. Nella confusone che seguì all’armistizio i reggimenti dislocati in Alto Adige si sciolsero; conemporaneamente le formazioni tedesche occuparono teste di ponte e caserme. I soldati italiani, prigionieri, furono concentrati sui piazzali del Talvera ed allo stadio di Bolzano per essere poi avviati ai campi di prigionia in Germania. Ettore Tolomei fu arrestato e trasferito in Turingia. Il controllo dell’ordine pubblico fu affidato al SOD (Südtiroler Ordnungsdienst, servizio d’ordine sudtirolese), una formazione di polizia nazista locale. Commissario prefetto fu nominato l’esponente nazista Peter Hofer. Le province alpine, Alto Adige, Trentino, Belluno, furono raggruppate nella Operationszone Alpenvorland (Zona di Operane Prealpi) a capo della quale fu posto il Gauleiter Franz Hofer. Di fatto l’Alto Adige era stato annesso al Terzo Reich.

Gli italiani

La situazione degli italiani della zona era incerta: essi non costituivano ancora una comunità a causa delle modalità della loro recente immigrazione e delle diverse provenienze regionali (al primo posto il Trentino, seguito dal Veneto e dalla Lombardia) e per l’aspetto sociale ed occupazionale: negli anni Venti e Trenta prevalentemente terziario e pubblico impiego, a partire dal 1935/36 soprattutto immigrazione operaia. La concentrazione italiana aveva caratterizzato i grandi centri (Bolzano, Merano, Bressanone e Brunico), mentre fu molto scarsa nei paesi e nelle valli, limitata a dipendenti dell’apparato dello Stato (podestà, segretari comunali, carabinieri, impiegati); oppure a quelle famiglie contadine che vivevano l’esperienza della conquista del suolo, cioè detenevano in affitto un’unità agricola dell’Opera Nazionale Combattenti e dell’Ente Rinascita Agraria.

Sul fronte politico il controllo del partito fascista sul gruppo italiano dell’Alto Adige nel Ventennio è stato solo di facciata. Lo documentano i rapporti dei Federali che lamentano scarsa partecipazione a livello di attivisti. Non va inoltre dimenticato il fatto che non sono pochi i casi in cui l’immigrazione in Alto Adige è stata in un certo senso “forzata” (antifascisti, o comunque persone “sospette”). Con la massiccia immigrazione operaia della seconda metà degli anni Trenta, legata alla creazione della zona industriale di Bolzano, si cominciò a segnalare nel capoluogo anche la propaganda clandestina delle cellule comuniste.

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Per la maggioranza il regime fascista era strettamente identificabile con lo Stato, con gli enti, con le associazioni, attorno a cui gravitava tutta la vita quotidiana del gruppo italiano in provincia.

Il 25 luglio 1943 la notizia della caduta di Mussolini e della costituzione del nuovo governo Badoglio non scatenò fra gli italiani della provincia le manifestazioni di tripudio verificatesi nelle principali città italiane. Da registrare soltanto delle sporadiche demolizioni di simboli del PNF e di Mussolini e qualche incidente nella zona industriale di Bolzano. Secondo il rapporto del prefetto Zanelli furono proprio le maestranze delle fabbriche bolzanine (soprattutto della “Lancia”) a destare preoccupazione per l’ordine pubblico.

Il 31 luglio gli operai della “Lancia” scioperarono per due ore contro “l’entrata nel Regno di truppe corazzate tedesche”. È infatti la situazione militare, cioè il transito sempre più massiccio almeno in provincia delle truppe della Wehrmacht a rendere chiaro almeno questo: la guerra sarebbe terminata e, per ogni evenienza, i germanici avrebbero tentato di assumere il controllo della penisola.

La svolta decisiva nell’opinione pubblica italiana si attuò al ritorno dell’ARMIR (Armata Italiana in Russia): ciò che i reduci raccontavano smentiva ogni velleitaria affermazione della propaganda.

L’Alto Adige era stato nei mesi di febbraio e marzo 1943 una delle prime province ad ospitare reduci in campi di segregazione. Ovunque cresceva in Italia l’ostilità verso la Germania, ritenuta la vera responsabile della guerra. Ma in Alto Adige ciò avvenne proprio nel momento di massimo impegno della propaganda nazista nei confronti degli optanti.

L’8 settembre bastò una notte perché la provincia passasse militarmente in mano germanica. A differenza di quanto accadde nel resto d’Italia, qui i militari italiani non poterono contare sull’appoggio della popolazione nel loro tentativo di sottrarsi alla cattura. Il capoluogo fu l’unico centro in cui ciò poté avvenire, mentre si rivelò quasi impossibile nei centri minori e nelle valli per la presenza capillare del SOD.

Oltre ai militari i primi ad essere investiti dal repentino colpo di mano germanico furono gli agenti di pubblica sicurezza. Alcuni riuscirono a fuggire, quelli che rimasero furono subordinati ai reggenti tedeschi delle questure: di fatto furono tenuti a disposizione senza particolari incarichi. In seguito furono destituiti e messi a disposizione del Ministero degli Interni di Salò. Il questore di Bolzano, ad esempio, ricevette alla fine di marzo del 1944 una lettera di dispensa dal servizio da parte del Commissario Supremo “nell’interesse del servizio e per la non conoscenza della lingua della maggior parte della popolazione e conseguentemente per mancanza della capacità di adattarsi alle esigenze della Provincia”.

La proibizione di ricostituire il partito fascista fu giustificata da Franz Hofer con la speculare proibizione per il partito nazionalsocialista, ciò allo scopo di evitare attriti nella delicata situazione etnica della provincia. In seguito alle ripetute proteste di Salò verrà anche risposto da parte germanica che la popolazione italiana non sembrava mostrare grande interesse per la ricostruzione del partito. Del resto, già nell’aprile del 1942, nell’ultima riunione dei segretari federali del PNF con Mussolini era stato lamentato “lo scarso entusiasmo fascista degli altoatesini”, soprattutto dei nuovi immigrati.

Nell’inverno del 1943, comunque, si diede il via alla costituzione di un movimento fascista clandestino. Gli scopi principali dovevano essere questi: mantenere contatti con il governo di Salò, attraverso una rete di informatori, per

riferire a Mussolini gli effetti annessionistici che avevano le ordinanze del Commissario Supremo;

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ricevere direttive, finanziamenti e soprattutto assicurazioni riguardo l’italianità dell’Alto Adige, per propagandarle al gruppo italiano in provincia;

sollecitare un passo ufficiale da parte di Mussolini presso il governo di Berlino, o quanto meno delle dichiarazioni ufficiali alla stampa concernenti le due zone di operazioni;

sollecitare Mussolini perché chiedesse a Berlino di autorizzare la costituzione di una “Brigata Alpina”, formata dalle leve italiane della provincia.

Nei rapporti degli informatori altoatesini pervenuti alla segreteria particolare del Duce vengono riferite puntualmente le lagnanze riguardo al nuovo stato di cose. Ad esempio la rimozione di monumenti, cippi, targhe italiane. lo sfratto ingiunto ai contadini italiani che avevano in affitto i masi dell’ONC; la mancata diffusione di stampa in lingua italiana; le trasmissioni dell’EIAR solo in lingua tedesca; la chiusura dei cinematografi; la chiusura e requisizione di molte scuole e la precaria situazione degli insegnanti; il ritiro di molte licenze a negozianti ed artigiani italiani, i cui esercizi venivano affidati a dei gerenti (Kommissarische Leiter).

In una posizione di equidistanza dal movimento fascista clandestino e dal CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) si collocò un gruppo giovanile, definitosi “apolitico”, che anteponeva la difesa dell’italianità della provincia a qualunque differenza ideologica e politica. L’“Azzurra Stella Alpina”, divenuta in seguito “Brigata Giovane Italia”; ottenuto un invio di armi, avrà un ruolo non secondario, inquadrata all’interno delle forze partigiane, nei giorni della liberazione.

L’attività del CLN altoatesino (guidato da Manlio Longon) cominciò all’inizio del 1944. Espressione della Bolzano dirigenziale ed impiegatizia, stentò ad imporsi sulle cellule autonome delle fabbriche. Tuttavia l’opera da esso svolta fu importante. Non solo cercò di rappresentare i partiti democratici italiani, ma anche di coinvolgere antinazisti sudtirolesi attraverso contatti con l’imprenditore Erich Amonn. Inoltre creò una rete di assistenza nel Durchgangslager di via Resia, preparò diverse fughe, inviò relazioni ed accolse inviati del CLNAI, organizzò la propaganda nelle fabbriche. L’ondata di arresti da parte del SD alla fine del 1944 decapitò l’organizzazione. Longon fu ucciso sotto interrogatorio, molti dirigenti finirono nelle celle dei “politici” in campo di concentramento, alcuni riuscirono a fuggire. Ogni attività clandestina cessò quasi (a parte l’assistenza al lager) fino all’arrivo, agli inizi del 1945, di Bruno De Angelis, inviato del CLNAI per organizzare il passaggio dei poteri in vista della resa tedesca. De Angelis assunse i pieni poteri come prefetto in provincia in nome del governo italiano poco prima dell’arrivo degli alleati.

I sudtirolesi

Nella popolazione tedesca l’8 settembre segnò per la maggior parte la rinascita di speranze di riunificazione alla madrepatria e la collaborazione con le autorità naziste fu spesso attiva.

Negli anni 1940-43 il gruppo etnico tedesco era venuto a trovarsi in una situazione alquanto precaria. Più dell’80% aveva optato per la nazionalità germanica e per il conseguente trasferimento al Reich. In seguito solo un terzo effettivamente vi si trasferì. La maggioranza di essi aveva sì rinunciato alla cittadinanza italiana ma ancora non aveva conseguito quella tedesca in quanto dimorante in territorio italiano. La situazione cambiò radicalmente con la caduta di Mussolini il 25 luglio 1943. Per molti era solamente il preludio ad un imminente cambio di alleanze da parte italiana, perciò la

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Germania preparò accuratamente l’occupazione della penisola, ciò che avvenne in seguito all’armistizio dell’8 settembre in poche ore, come s’è detto.

Per molti sudtirolesi era arrivato il momento della liberazione dal dominio italiano e del “ritorno” alla patria tedesca. Finalmente lo spettro del trasferimento in Germania era sparito: ora la provincia di Bolzano sicuramente doveva venir annessa al Reich (almeno così speravano i più).

Ma, per motivi di politica estera (rapporti fra Reich e Repubblica Sociale Italiana), ciò non avvenne. Formalmente il Brennero rimase il confine fra la Germania e la neonata RSI. Di fatto, però, vennero create delle “Zone di operazione” lungo il confine italiano: la Operationszone Adriatisches Küstenland (Zona di operazione del litorale adriatico), e una seconda a sud del confine settentrionale italiano, la Operationszone Alpenvorland (= Prealpi), sottraendo le province orientali e le province di Bolzano, Trento e Belluno ad ogni influenza delle autorità repubblichine.

Nonostante l’ennesima delusione inferta loro dal Führer i sudtirolesi - o meglio: la maggioranza dei sudtirolesi) accettarono la nuova situazione perché finalmente sfuggiti allo status di minoranza e di nuovo tornati, sia pur precariamente, alla nazione dominante. Iniziò una radicale opera di trasformazione e di integrazione della ZOP nella sfera nazista. L’intera società in provincia di Bolzano, dall’amministrazione locale e sociale all’ambito culturale e scolastico, dalla chiamata alle armi all’amministrazione della giustizia e all’ordine pubblico, tutto venne organizzato sulla falsariga di una paragonabile provincia del Terzo Reich. Soltanto in ambito economico, soprattutto per la zona industriale di Bolzano, l’integrazione nell’area economica dell’Alta Italia restò pressoché invariata, per altro anch’essa aggregata e subordinata agli interessi economico-militari germanici.

Questa trasformazione, o meglio, questi primi passi verso una possibile integrazione portarono in breve tempo molti sudtirolesi a posti di responsabilità, dai quali erano stati tenuti lontani dalle autorità fasciste per oltre vent’anni. Amministratori locali, distrettuali, provinciali, il corpo docente delle scuole di vario grado presero servizio in quel biennio. Erano loro la base, il nucleo amministrativo-culturale della futura provincia di Bolzano nell’ambito dell’istituenda regione autonoma Trentino-Alto Adige.

Non tutti i sudtirolesi, però, erano dalla parte dei nuovi dominatori. Un gruppo consistente si trovò presto guardato con sospetto o emarginato: i Dableiber, ossia coloro che nel 1939 scelsero la Heimat invece dell’emigrazione. Dalle loro fila, ma anche da parte di optanti per la Germania delusi o ricredutisi, uscirono i resistenti dell’Andreas-Hofer-Bund. A questi, nel maggio del ‘45, si rivolsero gli alleati quando giunse l’ora di un nuovo inizio all’insegna della democrazia. Dato però che erano scomodi sia ai gruppi dominanti tedeschi in Sudtirolo (perché costituivano la dimostrazione lampante del fatto che la resistenza al nazismo era una scelta altamente morale e fattibile) sia ai gruppi dominanti italiani in Alto Adige (perché altrettanto in maniera lampante testimoniavano il fatto che non tutti i sudtirolesi erano un’accozzaglia di nazisti inferociti), tutti concorsero a far cadere nel dimenticatoio per decenni questa parte rilevante della nostra storia.

Vediamo, dunque, alcuni aspetti della Resistenza sudtirolese al nazifascismo. Come s’è più sopra accennato, nonostante la maggior parte dei sudtirolesi nel 1943 avesse salutato entusiasticamente l’arrivo dei tedeschi come liberatori dall’odiato giogo fascista e non pochi fossero i simpatizzanti ed i convinti sostenitori del nazismo, presto alcuni cominciarono ad opporre resistenza: in particolare si opponevano alla polizia tedesca ed alla continuazione della guerra. Nel corso di soli due anni di occupazione tedesca 17 sudtirolesi furono giustiziati o morirono in campo di concentramento. Altri

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250 furono internati per ragioni politiche e di essi 130 in campi di sterminio. Tutto ciò mentre la maggior parte della popolazione maschile era impiegata sui vari fronti.

Tutti i sudtirolesi abili alle armi furono arruolati nella Wehrmacht (l’esercito tedesco) o irregimentati nelle unità locali di polizia. Chi si rifiutava veniva fucilato. Molti sudtirolesi furono inquadrati nelle SS. Neanche a ciò ci si poteva opporre senza rischiare la pena capitale o l’arresto dei famigliari. Nondimeno alcuni osarono farlo Il giovane bolzanino Mayr-Nusser, capo della gioventù cattolica diocesana, non volle prestare giuramento alle SS per incompatibilità con la propria fede religiosa. Benché si fosse dichiarato disposto a fare atto di fedeltà alle forze armate, così come viene richiesto da ogni Stato, fu accusato di sabotaggio e imprigionato. Durante il viaggio verso Dachau Mayr-Nusser fu lasciato morire su un vagone ferroviario in sosta.

Nel corso di un attentato compiuto da partigiani italiani a Roma il 23 marzo 1944 contro una unità sudtirolese di polizia (l’11a Compagnia del Polizeiregiment “Bozen”) composta di riservisti arruolati coattivamente furono uccisi 34 sudtirolesi. Per rappresaglia le SS agli ordini del maggiore Herbert Kappler trucidarono alla periferia della città (alle fosse Ardeatine) 335 ostaggi italiani. Il comandante del battaglione “Bozen” rifiutò di obbedire all’ordine di portare a compimento l’esecuzione obiettando che i suoi uomini erano tutti cattolici che non se la sentivano di sparare su ostaggi inermi.

Verso la fine del 1944 si costituirono anche in Sudtirolo gruppi di resistenza armata, formati da uomini che rifiutavano di servire nelle file dell’esercito tedesco. Uno di questi era il nucleo attivo Andreas-Hofer-Bund che poi, dal suo comandante, prese il nome di Egarter Gruppe. Questa formazione partigiana combatteva contro i nazisti e i fascisti e non c’è da meravigliarsi del fatto che in Sudtirolo questa lotta venisse condotta soprattutto per motivi religiosi, anche perché la tradizione democratica e socialista era stata totalmente distrutta dai fascisti. Obiettivo del gruppo Egarter era l’autodecisione dei sudtirolesi ed il gruppo consisteva di centinaia di sudtirolesi che intrapresero azioni di sabotaggio in Val Passiria, in Val Pusteria, in Val d’Ultimo, in Val Martello, in Val d’Isarco. Il gruppo Egarter tenne contatti anche con formazioni della resistenza del Tirolo del Nord, ed uno dei suoi membri, Erich Amonn, come s’è detto, fu in contatto anche con i partigiani italiani al comando di Manlio Longon.

L’«accordo di Parigi»

All’indomani del secondo conflitto mondiale il diritto all’autodeterminazione continuò ad essere negato ai sudtirolesi; l’Austria tuttavia, grazie alla mediazione dell’Inghilterra e a consultazioni dirette con l’Italia ottenne la concessione di un’autonomia. Lo statista trentino Alcide De Gasperi, in qualità di ministro degli Esteri italiano ed il suo collega austriaco Karl Gruber, che in precedenza era stato Capitano regionale del Tirolo, sottoscrissero il 5 settembre 1946 l’«Accordo di Parigi». L’accordo, per espresso desiderio della Gran Bretagna, fu recepito nel trattato di pace con l’Italia.

Con la Costituzione del 1948 l’Italia non istituì una regione autonoma per i soli sudtirolesi, ma contro il loro volere creò la regione Trentino-Alto Adige. Con il successivo statuto d’autonomia (14 marzo 1948), elaborato senza l’intervento dei rappresentanti sudtirolesi, a detta regione venne data la denominazione ufficiale di “Trentino-Tiroler Etschland”. In seno alla regione furono create le province autonome di Trento e di Bolzano, ciascuna con un proprio consiglio provinciale ed una propria giunta. La maggior parte delle competenze (facoltà di emanare leggi e di amministrare)

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fu però riservata alla regione nei cui organismi politici (Giunta regionale con sede a Trento, Consiglio provinciale con sede alternativamente a Trento e a Bolzano) i sudtirolesi di lingua tedesca vennero a trovarsi in minoranza. In tal modo fu realizzata l’aspirazione dei trentini all’autonomia aggirando, però, allo stesso tempo, l’applicazione dell’accordo di Parigi (che avrebbe dovuto assicurare, invece, l’autonomia ai sudtirolesi di lingua tedesca). Inoltre taluni punti fondamentali dell’accordo non furono attuati, per esempio: l’equiparazione della lingua tedesca a quella italiana, misure di incentivazione economica, l’assunzione dei sudtirolesi negli uffici pubblici. L’immigrazione degli italiani nei tempi immediatamente successivi all’accordo risultò addirittura intensificata. Lo stesso statuto di autonomia rimase in parte lettera morta perché non furono emanate le necessarie norme di attuazione. Per questa ragione la provincia di Bolzano non poté esercitare le competenze che le spettavano in materia scolastica. La stessa cosa avvenne nel settore economico relativamente all’agricoltura. Gli sforzi dei sudtirolesi di usufruire pienamente almeno dell’amministrazione separata si infransero contro l’ostinato atteggiamento dei conservatori democristiani trentini, i quali, forte di una consistente maggioranza, perseguivano esclusivamente i loro interessi politici ed economici.. Nel frattempo era venuto meno anche il movimento autonomistico trentino ASAR, sorto subito dopo il 1945, che si era dichiarato disposto a collaborare intensamente con i sudtirolesi. Esso non aveva potuto resistere alle pressioni della Democrazia Cristiana. In seguito a tutto ciò in Sudtirolo si fece sempre più forte il grido di “Los von Trient” (via da Trento).

Al gruppo etnico ladino, inoltre, vennero garantite particolari misure di tutela solo in provincia di Bolzano (Gardena e Badia) ma non anche in quelle di Trento (Fassa) e di Belluno (Livinallongo e Ampezzo).

Il «Pacchetto»

Dopo numerosi quanto vani tentativi presso il governo italiano di ottenere la piena applicazione dell’accordo di Parigi, i sudtirolesi si rivolsero all’Austria nella sua qualità di firmataria dell’accordo, invitandola ad intervenire presso il governo italiano. Dal momento che le trattative, iniziate nel 1956, sembravano fare progressi solo su questioni di trascurabile importanza, l’Austria nell’autunno del 1960 si appellò all’ONU che, al termine di un lungo dibattito, adottò all’unanimità la risoluzione in base alla quale invitava l’Austria e l’Italia a riprendere le trattative dirette. La risoluzione stabiliva che le finalità dell’accordo di Parigi consistevano nella salvaguardia del carattere etnico della popolazione di lingua tedesca in provincia di Bolzano e del suo sviluppo culturale ed economico. Fu cioè chiarito in quali termini dovesse essere intesa l’autonomia. Nel 1961, per dare maggior visibilità presso la pubblica opinione alle richieste sudtirolesi sistematicamente ignorate dallo Stato italiano, alcuni gruppi di sudtirolesi - in parte finanziati con fondi di dubbia provenienza - iniziarono la stagione degli attentati dinamitardi che non sempre furono incruenti e talvolta causarono la morte di militari italiani e di membri delle forze dell’ordine. Lo Stato rispose con la repressione poliziesca, l’arresto e la condanna di quanti caddero nelle maglie di polizia e carabinieri e con il sequestro dei loro beni.

Sollecitate da due risoluzioni dell’ONU (ottobre 1960 e novembre 1961) le trattative bilaterali fra Italia e Austria ripresero e si conclusero il 30 novembre 1969 a Copenaghen con un patto fra i due ministri degli esteri Waldheim e Moro. I due governi concordarono un “pacchetto” di diritti a favore dei sudtirolesi elaborato da una commissione (commissione dei 19) formata da 11 italiani e 8 sudtirolesi. Il pacchetto fu

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approvato ed accettato da una debole maggioranza della Südtiroler Volkspartei, nella sua veste di democratica rappresentante della popolazione interessata. Il pacchetto ha trovato applicazione nella legge costituzionale del 10 novembre 1971 e nel nuovo statuto d’autonomia del 31 agosto 1972. Pur mantenendo la cornice di una Regione comune, ufficialmente denominata Trentino-Südtirol, alle due province di Trento e di Bolzano vengono riconosciute più ampie competenze, in particolare nel campo dell’agricoltura, del commercio, dell’industria, del turismo e della produzione di energia elettrica. Le competenze specifiche nel settore scolastico e nella cultura sono state ridefinite e così pure quelle concernenti l’attività edilizia pubblica. Con la promulgazione delle norme di attuazione sono state infine trasferite numerose competenze direttamente dallo Stato alle due province, fra cui la delega in materia di avviamento al lavoro. In seguito a ciò nel futuro gli uffici statali e parastatali saranno occupati sulla base di criteri di proporzionalità, quale risulta dalla consistenza effettiva dei tre gruppi linguistici.

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DINAMICA DEMOGRAFICA IN SUDTIROLO DAL 1910 AL 1961

Tab. 1 - Composizione etnico-linguistica della popolazione

1921/1934: l’immigrazione italiana, in questa prima fase, è rappresentata soprattutto da funzionari statali, militari, borghesia commerciale e professionale, imprenditori edili e albergatori.1935: inizia l’immigrazione di operai in seguito alla creazione della zona industriale di Bolzano. Sensibile aumento della popolazione fino al 1939.1953: brusca diminuzione della popolazione in seguito alle opzioni e alla guerra.1954/1961: dal 1954 l’aumento della popolazione è dovuto soprattutto al movimento naturale, tuttavia negli ultimi anni del periodo si assiste ad un movimento migratorio abbastanza sensibile che riduce il tasso di incremento della popolazione.

DINAMICA DELLA POPOLAZIONE ATTIVA IN SUDTIROLO

Tab. 2 - Distribuzione della popolazione attiva nei settori economici

Dal 1910 al 1961 si assiste ad una notevole diminuzione di addetti nel settore agricolo con uno spostamento della struttura economica verso i settori secondario e terziario il cui incremento più forte si è avuto nel ramo della pubblica amministrazione.

In generale si nota che il tasso di incremento della popolazione attiva nel suo complesso è tanto modesto da rappresentare in realtà una diminuzione (se lo si rapporta all’aumento della popolazione). Questo fenomeno è presente, in misura ancora maggiore, anche nelle altre regioni italiane.

La forza-lavoro resa libera dall’agricoltura è passata direttamente al settore terziario e, solo in misura limitata, al secondario. Il fenomeno della “terziarizzazione” è qui più sensibile che in Trentino e nel resto d’Italia.

Anni Tot. popol.

Sudtirolesi Ladini Italiani Altri

1910 251.451 223.913 9.730 7.030 10.7701921 254.735 199.771 9.910 20.548 24.5061931 289.720 228.610 10.410 48.500 2.2001936 323.147 233.373 11.090 77.484 1.2001939 350.000 239.000 11.950 98.550 1.0001953 345.772 214.257 12.696 114.568 4.1251961 373.863 232.717 12.594 128.271 281

Settorieconomici

Valori assoluti Valori %1910 1939 1951 1961 1910 1939 1951 1961

Agricoltura e foreste

82.976 103.900 62.388 49.001 61,4 50,8 42,7 30,6Artigianato e industria

22.588 44.905 34.058 44.966 16,7 21,9 23,2 28,1Trasporti 4.043 6.236 5.914 6.689 3,0 3,1 4,o 4,2Commercio e servizi

19.847 24.312 28.726 43.101 14,7 11,9 19,7 27,0Pubb. Amm. Prof. Lib.

5.750 25.211 15.308 16.343 4,2 12,3 10,4 10,1Totale pop. attiva

135.204 204.564 146.372 160.103 100 100 100 100

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Riferimenti bibliografici:

8.9.43. Italien und Südtirol/Italia e Alto Adige 1943-45, Storia e Regione/Geschichte und Region 3/1994BALDINI, Enrico: Storia e cronaca del 1922, Circolo culturale “G. Matteotti” quad. n. 5, Merano 1988BAUR, Christof (a cura di): Storia del Sudtirolo fino al 1926, I parte, FLM comitato di Gestione 150 ore, BolzanoCAVINI, Vittorio-FERRANDI, Maurizio-BALDINI, Enrico: Nomi e toponimi, Circolo culturale “G. Matteotti” quad. n. 4, MeranoCAVINI, Vittorio: Quando ai tedeschi cambiarono il nome, Circolo culturale “G. Matteotti” quad. n. 2, LaivesFERRANDI, Mario: L’Alto Adige nella storia, Calliano 1972FERRANDI, Maurizio: 1939: le opzioni, Quaderni dell’«Alto Adige»n. 6, Bolzano 1979FORCHER, Michael: Il Tirolo. Aspetti storici, Wien 1984GANDINI, Umberto: Quelli di via Rasella, Quaderni dell’«Alto Adige»n. 1, Bolzano 1979GRUBER, Alfons: Südtirol unter dem Faschismus, Bozen 1974HARTUNGEN, Christoph H. von: Zur Lage der Südtiroler in der Operationszone Alpenvorland (1943-1945), in: Storia e regione/Geschichte und Region 3/1994, pp. 119-135LAZAGNA, G. B.: Der Fall des Partisanen Pircher, CUC/La Comune, Bolzano 25 aprile 1975Note sulla Resistenza sudtirolese/Wiederstandsbewegung in Südtirol, CUC Bolzano, cicl. in proprio, giugno 1976PAGLIARO, Paolo: Il monumento alla vittoria, Circolo culturale “G. Matteotti” quad. n. 3, LaivesROMEO, Carlo: La popolazione italiana nella Zona di Operazioni delle Prealpi (1943-45), in: Storia e regione/Geschichte und Region 3/1994, pp. 75-81STEURER, Leopold: Südtirol zwischen Rom und Berlin 1919-1939, Wien 1980

Sommario

Il Sudtirolo sotto l’Impero austro-ungarico...............................................................................................La socialdemocrazia e i contadini............................................................................................................L’annessione del Sudtirolo all’Italia e le sue conseguenze politiche ed economiche...............................5La “marcia su Bolzano”....................................................................................................................... 10Il Sudtirolo sotto il fascismo................................................................................................................ 11L’italianizzazione del Sudtirolo...........................................................................................................14Le opzioni............................................................................................................................................ 15L’8 settembre 1943 e l’Alpenvorland. La Resistenza............................................................................16

Gli italiani........................................................................................................................................ 16I sudtirolesi...................................................................................................................................... 18

L’«accordo di Parigi».......................................................................................................................... 21Il «Pacchetto»...................................................................................................................................... 21DINAMICA DEMOGRAFICA IN SUDTIROLO DAL 1910 AL 1961.................................................23DINAMICA DELLA POPOLAZIONE ATTIVA IN SUDTIROLO......................................................23Riferimenti bibliografici:..................................................................................................................... 24

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