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A cura di ELENA RAFFAGNATO il Mondo della Neurofibromatosi scriverla raccontarla viverla

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Page 1: il Mondo della Neurofibromatosi - Vita.it · In occasione dei 15 anni di Associazione LINFA 1993/2008. ... 120 Racconti La mia storia ... Vivere con la Neurofibromatosi, come con

A cura di ELENA RAFFAGNATO

il Mondodella Neurofibromatosi

scriverla raccontarla viverla

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Edito a cura di Associazione LINFALottiamo Insieme per la Neurofibromatosi - ONLUS

Le informazioni contenute in questo libro sono state fornite all’Associazione dai protagonisti dei racconti per la pubblicazione nel periodico associativo o in questo volume. La pubblicazione della testimonianza è stata autorizzata dagli interessati.Il curatore e l’Associazione si sottraggono a qualsiasi responsabilità diretta o indiretta derivante dall’uso improprio delle informazioni contenute in questo testo.

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Ai lettoricon l’augurio di saper riconoscere

e apprezzare nella diversitàpersone portatrici di valori e sentimenti

che fanno brillare il cuore e la mentedi chi li incontra.

Al Prof. Romano Tenconi,con gratitudine e riconoscenza,per l’eccellente professionalità

e generosa umanitàsempre dimostrate

a favore della collettività.

E, naturalmente,a tutti coloro che

con le loro storie hanno contribuitoalla realizzazione di questa raccolta.

In occasione dei 15 anni di Associazione LINFA 1993/2008

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Premessa

Storie di vitaScrivere di sé

Neurofibromatosi

Storie da LinfanewsLa testimonianza di una madre

La lettera di un socioVita vissuta: la storia di Simone

Io e le macchie (Elisa)Io e le macchie (Ilaria)

Io e la Neurofibromatosi (Rita)Io e la Neurofibromatosi (Roberta)

Io e la Neurofibromatosi (Marika)Io e la NF (Cinzia)

Io e la Neurofibromatosi (Fabio)I pensieri di una mamma

Il bello di essere associazione

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indice

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RaccontiLa mia storia

Giuliano ci racconta di séUna mamma che ama … la penna

Esperienza scolastica con la NFUna storia “al contrario”

Elisa e la NeurofibromatosiLa “forza” di Paola

Il punto di vista di una mamma e un papàConvivenza con la NF1

Vita familiare con un bambino con NF1Attilia & Sara

Il “percorso” di PerlaUna persona speciale

Disegni

Racconti di esperienze specialiIl Progetto giovani

Diario di una settimana speciale

indice

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Il 2008 è un anno importante per le malattie rare: infatti, è stata istituita la giornata europea per le malattie rare che si è celebrata il 29 febbraio: un giorno raro, speciale, come sono speciali le persone che hanno una malattia rara.

Per Associazione LINFA questo è un anno speciale anche per un altro motivo: compie quindici anni!Quindici anni di crescita, di attività a favore della ricerca sulla Neurofibromatosi e per le persone con Neurofibromatosi. Quindici anni di vita associativa che hanno visto LINFA nascere, crescere, cambiare, evolversi, rinnovarsi … così come è cresciuto e cambiato ciascuno di noi e sono aumentate le conoscenze sulla Neurofibromatosi.

“La Neurofibromatosi è una malattia che colpisce il bambino nella sua globalità” con questa frase del dott. Vincent Riccardi si conclude uno degli opuscoli informativi della nostra Associazione.Quando l’ho letta la prima volta mi ci sono ritrovata immediata-mente e ho pensato che ciò vale non solo per il bambino, ma anche per tutte le persone che hanno la Neurofibromatosi: siano esse giovani, adulte o anziane.

Vivere con la Neurofibromatosi, come con migliaia di altre malattie rare, non è sempre facile sia per la persona direttamente interessata sia per chi le sta accanto.

premessa

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La quotidianità porta spesso a confrontarsi con i segni della malattia (dai più semplici quali possono essere le macchie caffelatte ai più gravi), a dover fare i conti con chi non la conosce e per questo scambia un nostro atteggiamento o comportamento per qualche altra cosa, ad essere poco considerati perché siamo pochi, ... .Queste e molte altre sono esperienze comuni a me come a tutte le persone con Neurofibromatosi: alcuni le accettano con serenità, altri con rassegnazione, altri ancora con distacco, molti con preoccupazione e paura, … atteggiamenti diversi tra loro, ma in fondo tutti desiderano e hanno bisogno di condividere il loro vissuto, la loro esperienza con altri che li possano capire.

Personalmente ho scoperto la malattia da bambina, l’ho “incontrata” nella prima adolescenza e da allora la vivo nel quotidiano.Scoprire, incontrare, vivere la Neurofibromatosi: tre verbi che spesso mi è capitato di coniugare e ampliare in famiglia e nel corso degli studi; un lavoro difficile e lungo, ma che mi ha aiutato a leggermi dentro, a scoprire nel dialogo con gli altri il coraggio di affrontare la mia situazione.

Da qui nasce l’idea di realizzare un testo che raccolga le testimonianze, i racconti, le paure, le esperienze di chi vive la Neurofibromatosi.Il progetto del testo era da tempo presente nella mia mente perché sono fortemente convinta che la condivisione sia di aiuto per superare le proprie paure e difficoltà. Ora, grazie al progetto “Neurofibromatosi: scriverla, raccontarla, viverla” è stato finalmente possibile concretizzare questa idea!

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Il testo è rivolto a chi ha la Neurofibromatosi, a chi è appena stata diagnosticata, a coloro che vogliono conoscere la nostra vita quotidiana: una vita che spesso è fatta di sofferenze, ma che regala anche momenti felici e lieti. Nel testo, infatti, sono presenti testimonianze di vita vissuta che ci presentano casi difficili, ma anche racconti di speranza, momenti di festa tra persone che hanno la Neurofibromatosi ...: ci sono semplicemente storie di vita.

Elena Raffagnato

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il Mondodella Neurofibromatosi

scriverla raccontarla viverla

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Storie di vita

I racconti sulla vita, la propria e quella degli altri, sono antichi quanto antica è la storia dell’uomo; questo perché per l’uomo il “donarsi all’altro” attraverso il racconto (inizialmente orale e poi anche scritto) è un bisogno e una necessità che va oltre il desiderio di protagonismo: è uno strumento di crescita personale, di aiuto per se stessi e per gli altri, è un mezzo per comunicare.Il racconto di sé è uno strumento utile per “leggersi” dentro e trovare quelle risposte che spesso crediamo di non avere storditi dalla frenesia del quotidiano.

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Scrivere di sè

La vita di ciascun individuo è ricca di fatti ed avvenimenti sempre uguali eppure sempre diversi perché ogni persona è diversa dall’altra, agisce e reagisce alle situazioni in modo personale: ogni persona è unica!La storia di ognuno di noi diventa “cassa di risonanza” del mondo interiore: raccontando di sè si vuole uscire dall’intreccio di emozioni e sentimenti che la vita ci riserva; emergono così, distillati dalla memoria, nuove strade e nuove strategie per imparare e per continuare a vivere.

Scrivere di sé, ricordando il passato, sembrerebbe oggi essere una cura, nel senso di star bene con la propria storia. E così è se pensiamo ai greci e al loro epimelestai eautou, cioè “occupati di te stesso”, e all’otium dei latini, cioè alla “cura di sè”.Il ricordo tiene insieme la nostra vita: è un’emozione, un momento che porta piacere o dolore, ma in ogni caso risveglia sensazioni ed emozioni nascoste.Raccontare una vita richiede molto impegno e molto coraggio che nasce quando si è disposti ad usare la pazienza per scavare nella propria vita. Molte persone hanno paura di farlo. Se è la pazienza di cercare che manca, qualsiasi sia la ragione, è necessario trasformare anche questa nel coraggio di partire da ciò che siamo stati, che è anche ciò che siamo e ciò che saremo.

Raccontare momenti del proprio vissuto, difficoltà, passaggi, momenti lieti... significa attivare un percorso di cambiamento di sé e della propria realtà, cambiamento che ci aiuta a dare senso all’esistenza. Quando scriviamo riguardo a un problema, ad una malattia, alla disabilità … attiviamo un processo

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che ci aiuta a comprendere il problema. Infatti, la scrittura ci porta a rivivere, ripercorrere e registrare i momenti difficili che, però, possono essere superati e migliorati perché i fili della vita possono e devono legarsi tra loro; come dice M. Giusti “anche nelle situazioni più difficili è possibile arrivare a comprendere che è presente il desiderio di esistere, più forte della volontà di cancellarsi, di scomparire nel nulla”.

Nelle pagine a seguire sono riportate alcune storie di vita.Ci sono storie tratte dalla Newsletter dell’Associazione, racconti giunti appositamente per la realizzazione di questo testo e racconti di esperienze speciali.I protagonisti di questi racconti sono persone diverse tra loro per età, sesso, cultura, zona geografica, …, ma in comune hanno una caratteristica che li contraddistingue; una caratteristica che è “compagna di vita” con la quale vivono da tempo e con la quale continuano e continueranno a vivere per sempre; una caratteristica che è una “compagnia” non scelta, ma dalla quale sono stati scelti; una caratteristica il cui nome è “Neurofibromatosi”.

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Neurofibromatosi

Con il termine Neurofibromatosi (NF) si definiscono alcune malattie che in comune hanno alcuni segni clinici; le più diffuse tra queste malattie sono la Neurofibromatosi di tipo 1 (NF1) e la Neurofibromatosi di tipo 2 (NF2). NF1 e NF2 sono malattie genetiche di tipo autosomico dominante. Sono ereditate da un genitore oppure a causa di una mutazione de novo.

Le manifestazioni cliniche sono differenti per la NF1 e la NF2 e anche il gene coinvolto è diverso.

La NF1 è localizzata nel cromosoma 17 e la malattia si presenta con chiazze caffelatte e neurofibromi (piccoli noduli) cutanei o sottocutanei, complicanze neurologiche, ortopediche, crescita di tumori nel Sistema Nervoso Centrale, difficoltà di apprendimento (DA), ... .

La NF2 è localizzata nel cromosoma 22 e si presenta con tumori al nervo acustico e ottico.

Il dover accettare la patologia con tutte le sue possibili sfaccettature e convivere con essa quotidianamente per le persone con NF e i loro famigliari, spesso, è visto come un “ostacolo” da superare. A ciò va ad aggiungersi, in alcuni casi, la scarsa sensibilità della comunità civile che spesso isola i malati, soprattutto se presentano le manifestazioni più gravi o evidenti esteticamente.

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Se sei interessato ad approfondire le tematiche legate alla Neurofibromatosi dal punto di vista clinico e genetico, puoi richiedere ad Associazione LINFA maggiori informazioni in merito; sono, infatti, disponibili vari testi sull’argomento sia per il personale sanitario, sia per quello scolastico sia per pazienti e familiari.

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Storie da Linfanews

Le testimonianze delle pagine seguenti sono tratte dal periodico associativo.Molte di loro sono “vecchie” perché risalgono ai primi anni di vita dell’Associazione, altre sono più vicine a noi nel tempo.Tutte presentano, comunque, testimonianze importanti di vita vissuta.

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La testimonianza di una madre

Non è stato facile accettare l’idea che le misteriose macchie sulla pelle di nostra figlia erano indice della sospetta presenza di una malattia rara, genetica e poco conosciuta. Quando mio marito ed io l’abbiamo saputo, Ilaria aveva circa 2 mesi. Un’autentica mazzata. A nulla sembravano servire le considerazioni che il medico aveva accompagnato alla realtà dei fatti e cioè che la malattia poteva dare disturbi soltanto a partire dall’età adolescenziale e comunque che non era assolutamente certo si manifestasse. Bisognava innanzitutto imparare ad accettarla, cercare di capirla, prepararsi ad affrontarla. Non fu facile, anche perchè non eravamo venuti a saperlo nel modo migliore.Ilaria aveva 40 giorni quando notammo un’ombra sulla sua coscia. Poiché era estate e la bambina stava scoperta nella carrozzina, si pensò dapprima al sole, anzi alla prima abbronzatura. La sua carnagione era poi molto scura, le prime ipotesi di un eccesso di pigmentazione sembravano naturali. Poi la macchia cominciò ad evidenziarsi e qualche settimana dopo, proprio accanto ce n’era un’altra. Ad un cambio di pannolino ne notammo qualche giorno più tardi una sulla schiena, poi un’altra ancora sul culetto. Ed un’altra sotto le ascelle e nella zona genitale.Le mie domande al pediatra sortivano una risposta svogliata, quasi che chiedere perché fosse manifestare inutile ansia o eccessiva protezione. “Banali macchie caffelatte” diceva il nostro pediatra “le abbiamo tutti, chi più chi meno”. Ma dentro di me sentivo che le risposte erano evasive.Un bel giorno uscita dal suo ambulatorio, infilai dritta l’ingresso dell’ospedale cittadino. Non me ne sarei andata fino a quando il primario della pediatria non mi avesse dato una risposta chiara. Me la diede con grande tatto e professionalità: sospetta Neurofibromatosi.

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Quando rividi il nostro pediatra gli chiesi se lui sapesse cosa era, riconoscerne i segni e, se si, perché mai ce l’aveva taciuto. Rispose che i medici normalmente evitano di creare allarmismi nei genitori poiché c’è ben poco da fare in presenza della NF. E se lo dicono lo fanno quando i genitori insistono per sapere. Non mi sembra una risposta valida. Comunque sia, il nostro riferimento è rimasto il primario pediatra, il prof. Paolo Colleselli. Solo la sua chiarezza e la sua disponibilità ci hanno permesso di affrontare con fiducia e con grinta il cammino insieme ad Ilaria per farla crescere serenamente.Ora ha già sei anni: il protocollo l’ha già sottoposta a due check-up completi; quest’anno sarà l’anno della prima risonanza magnetica. Mio marito ed io siamo fiduciosi: Ilaria cresce bene, il suo sviluppo psichico e motorio sinora è stato eccellente, la bambina è sensibile e in certe cose (scrivere e disegnare) addirittura precoce.Alla NF1 ci pensiamo, ma il pensiero non è più grave come i primi tempi, anche perché non ci sentiamo soli. Il merito è dell’Associazione LINFA della cui esistenza siamo venuti casualmente a conoscenza. È stata la seconda grande sorpresa: un mattino, bevendo il latte, il cartone pubblicizzava LINFA e una malattia sconosciuta che per noi invece era ormai una nota compagna di viaggio.È grazie a LINFA, alla sua attività di divulgazione che ci siamo sentiti più forti. Grazie a LINFA abbiamo conosciuto “quel noto Professore di Padova, uno dei pochi che se ne stava occupando ...” il prof. Romano Tenconi.Credo che ogni genitore abbia soprattutto bisogno di questo: essere aiutato a credere. Un sostegno preziosissimo che dà … linfa per vivere!

Corona

Linfanews Vol. 3 n. 1, inverno 1995

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La lettera di un socio

[ … ]. Questa volta voglio raccontarvi un fatto personale, un evento che ha cambiato molto il mio modo di considerare la vita, di affrontarla, … .Simone, diciannove anni a ottobre, è affetto da Neurofibromatosi. Non gli provoca grandi problemi, tranne una notevole scoliosi e un’andatura leggermente claudicante.Ci siamo accorti dei primi problemi quando aveva sei anni; ci siamo informati subito, mia moglie ed io, su chi si occupava di questa malattia genetica e siamo entrati in contatto con gli Stati Uniti. I vari medici interpellati ci hanno detto di non preoccuparci troppo, ma di tenere il ragazzo sotto osservazione. Negli ultimi tre anni Simone veniva controllato periodicamente dal Dottor Solero primario di neurochirurgia al “Besta” di Milano e dal Dottor Paolo Sibilla, primario specialista di scoliosi al “Don Gnocchi”, sempre a Milano. Comunque sapevamo già tutto grazie al Prof. Tenconi e al Dottor Clementi di Padova dove eravamo stati indirizzati dall’Associazione Americana della Neurofibromatosi.Il preambolo è lungo, ma indispensabile, come indispensabile ricordare che grazie a Tenconi, Clementi e Gobbato siamo riusciti a fondare la LINFA. Ma veniamo ai fatti. Poco prima di Natale, Simone si alza di notte, inciampa nella cyclette e cade rovinosamente. Più spavento che altro. Da quel giorno comincia a zoppicare più vistosamente, ma si pensa che sia una conseguenza della caduta. Poco dopo Natale, Simone cade ancora (sempre in casa), ma gli esami eseguiti non mostrano progressi della malattia o aumento dei neurofibromi. Intorno all’Epifania Simone fatica sempre più quando si tratta di muoversi, ma non avverte dolori. Io sospetto anche un “attacco” di pigrizia visto che bisogna ritornare a scuola.Comunque, chiamo il Dottor Clementi che mi suggerisce di seguire

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Simone con attenzione e di avvertirlo se la situazione cambia. Il 10 gennaio Simone stenta a stare in piedi, Clementi mi consiglia di avvertire Solero. L’11 gennaio Simone è praticamente paralizzato, ha problemi a respirare. Avverto il neurochirurgo che mi dice di non perdere tempo e portare immediatamente Simone in ospedale. Al Besta trovo pronta l’equipe per un intervento. Avvertono me e mia moglie dei rischi, altissimi, di un intervento alle vertebre cervicali (è lì che si nasconde un neurofibroma che preme sul midollo) e della possibilità che il ragazzo rimanga paralizzato.Naturalmente si decide per l’operazione: Simone scende in sala operatoria alle sette dell’11 gennaio 1995 e ne esce alle quattordici.I medici hanno un’aria soddisfatta, ma non si pronunciano. Dopo due giorni sciolgono la prognosi; la convalescenza sarà lunga e dovrà comprendere il trasferimento in un centro di riabilitazione, il Don Gnocchi appunto. Il 31 gennaio Simone esce dal Besta: muove un po’ le braccia, ma le gambe non lo reggono. Al Don Gnocchi iniziano le cure: è affidato ad un’equipe eccezionale guidata dalla Dott.ssa Fronte. I progressi sono lenti, il ragazzo è molto debilitato. Dopo circa una ventina di giorni ci chiamano di notte: Simone fatica a respirare ed è stato trasportato al pronto soccorso dell’ospedale San Carlo. Ci precipitiamo, ma, fortunatamente, mio figlio si è già ripreso al punto che l’ambulanza lo riporta al Don Gnocchi. Più sollevati, torniamo a casa, sono le tre del mattino. Appena entrati ci avvertono che Simone è entrato in coma ed è stato riportato al San Carlo.Altro folle viaggio sotto un diluvio universale. All’ospedale ci viene incontro la rianimatrice di turno, non è gradevole e ci aggredisce dicendo che non vale la pena di rianimare Simone perché tanto era arrivato allo stadio finale della sua malattia e sarebbe stato un inutile accanimento terapeutico.Mia moglie ed io facciamo fatica a mantenere la calma; ci

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accorgiamo che la dottoressa non sa nulla nè di Simone (il che è logico) nè della Neurofibromatosi. Sono le quattro del mattino; Patrizia, mia moglie, ha l’idea vincente “chiama il dottor Clementi a Padova e fallo parlare con la dottoressa”.Clementi risponde subito, capisce la situazione e telefona al pronto soccorso. Non so cosa abbia detto alla rianimatrice, fatto sta che dopo pochi minuti mio figlio viene intubato e trasferito immediatamente dal pronto soccorso alla sala di rianimazione. Qualche ora dopo sta già meglio, dopo ventiquattro ore respira autonomamente. Forse si è trattato dell’effetto di un farmaco. Comunque dopo due giorni Simone ritorna a fare fisioterapia al Don Gnocchi.In quei due giorni Clementi si è tenuto in contatto con la rianimazione del San Carlo, riferendo poi a noi. Il 13 maggio Simone è uscito con le sue gambe (un po’ malferme) dal Don Gnocchi. Adesso cammina anche se gli manca la sicurezza, ma i fisioterapisti sono fiduciosi, noi anche. Ogni tanto ne parliamo, ci vengono in mente quei minuti angosciosi al San Carlo all’immediato intervento del Dottor Clementi e ci chiediamo, Patrizia ed io: “se non ci fosse stata la LINFA, cosa avremmo fatto? Chi avrebbe parlato alla “simpatica” rianimatrice?”. Adesso che ci penso devo ancora una bevuta al Dottor Clementi ... .

Paolo

Linfanews Vol. 3 n. 2, estate 1995

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Vita vissuta: la storia di Simone

La storia di Simone comincia alla fine del 1995, quando a causa di un improvviso calo di udito da un orecchio, vengono eseguite visite e analisi approfondite che portano alla diagnosi di Neurofibromatosi di tipo 2.Il dott. Bordin del reparto di ORL dell’ospedale di Vicenza ci spiega che i fibromi di Simone, in corrispondenza di entrambi i nervi acustici, lo stanno portando alla sordità, ma quello che è peggio stanno comprimendo il cervello e il ragazzo potrebbe peggiorare in breve tempo. Il dottor Bordin chiede un parere ai migliori specialisti internazionali, dopo aver fatto loro vedere la RMN. Bisogna operare il ragazzo e farlo presto. A Los Angeles c’è il prof. Brackmlann, considerato il massimo esperto per questi interventi; nella sua clinica è possibile applicare a Simone un microprocessore che lo aiuterà a sentire meglio.Nel 1996 in California vengono effettuate due operazioni al cervello a distanza di quindici giorni l’una dall’altra: il primo intervento prevede di togliere il fibroma dal lato sinistro dove verrà posto l’impianto del microprocessore chiamato ABI. Il secondo intervento consiste nella decompressione del meato acustico di destra per cercare di preservare il più possibile l’udito da quel lato.Le operazioni riescono perfettamente. Torniamo a casa contenti. Simone, visitato a Vicenza, ha recuperato l’udito dal lato destro. Ma passano pochi mesi e le nostre speranze svaniscono: la RMN mostra che il fibroma destro si è ingrandito e di molto. Si ritorna a Los Angeles: questa volta dopo l’operazione il ragazzo rimarrà completamente sordo con il solo supporto del microprocessore. L’operazione riesce, si torna in Italia.Ma non è finita. Nell’ottobre del 1997 Simone viene operato a Vicenza dal Dottor Colombo perché un altro fibroma a livello

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cervicale si è ingrandito e occupa quasi tutto lo spazio del midollo. L’intervento riesce e per Simone c’è finalmente un periodo di calma e tranquillità.Questa, in sintesi, l’avventura di Simone e dei suoi genitori, un’esperienza che ha cambiato la nostra vita. È un dolore tremendo per un genitore trovarsi in queste condizioni, si vorrebbe fare l’impossibile, ma per ora la medicina è solo in grado di limitare i danni provocati dalla Neurofibromatosi. Nemmeno gli americani riescono a fare miracoli, e questo è frustrante: da quando seguo le assemblee che trattano di Neurofibromatosi sento nelle persone che vi partecipano la voglia di migliorare la qualità di vita dei loro cari; nei loro discorsi avverto un miscuglio di rabbia, a volte di rassegnazione, il desiderio di capire sempre meglio l’aspetto prettamente medico, ma soprattutto percepisco una voglia di parlare, di raccontare le proprie esperienze, cercando di scaricare con il proprio racconto, molte volte triste, la tensione di una vita vissuta sempre con un futuro incerto davanti. Pertanto ritengo di fondamentale importanza l’aspetto psicologico che comporta questa malattia sia per chi ne è colpito sia per chi è coinvolto indirettamente.Il mio consiglio rivolto a questa direzione è di cercare di aiutare le persone a superare quella specie di paura e di pudore nel raccontarsi, di trovare quindi come Associazione l’apporto di esperti che possono dare il loro contributo per cercare di trovare per questi malati un equilibrio soddisfacente e duraturo. Rivolgo infine un invito alle persone che come me hanno dovuto lottare e che certamente hanno alle spalle storie di eccezionale ricchezza umana, a raccontare le loro esperienze scrivendo all’Associazione.

Tiziano

Linfanews Vol. 7 n. 1, inverno/primavera 1999

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Io e le macchie Mi chiamo Elisa e abito in provincia di Rimini. Sono affetta da Neurofibromatosi e sono socia LINFA da due anni, da quando sono stata a Padova per la ricerca genetica e la dottoressa mi ha parlato di questa Associazione. Nell’opuscolo che mi è giunto ho scoperto che Elena, che già avevo seguito a Telethon, fa parte dei nuovi eletti LINFA.Mi piace l’idea che avete lanciato ed eccomi qua.Sono nata affetta da NF. Quando sono nata si vedevano solo le macchie e a mia madre hanno detto che erano le così dette voglie. Poi mia madre si è accorta che avevo una gamba storta, dalle lastre si è scoperto che c’era una malformazione alla tibia. Mi hanno ricoverata al Rizzoli di Bologna che avevo nove mesi. Lì mi hanno detto che avevo la Sindrome di Recklinghausen. Ho subito molti interventi alla gamba e fino a quattordici anni portavo un tutore. Stavo abbastanza bene di salute, però non era facile a scuola. Ero “diversa”, per la strada la gente guardava perché zoppicavo un po’, e il tutore si vedeva.Poi, nel 1992, mentre un mattino mi preparavo per andare alla messa, sono svenuta in seguito ad una crisi epilettica e sono dovuta andare al pronto soccorso del mio paese. I medici, viste le macchie, mi hanno ricoverato per fare degli accertamenti. Ho fatto una TAC e si è scoperto che avevo un problema alla testa. Allora mi hanno ricoverato all’ospedale San Raffaele di Milano, dopo tanti esami mi hanno consigliato l’intervento e sono stata operata di un astrocitoma. Per me è stato un trauma. Avevo i capelli lunghi e me li hanno rasati. Però anche questa è passata ed è andato tutto bene. Sono tornata a casa, era estate e un altro brutto momento è stato quando dovevo tornare a scuola perché ero rasata e si vedeva la cicatrice che poi però è passata. I professori sono molto carini e mi sono stati molto vicini anche i compagni.

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Ora ho venti anni, ho finito la scuola (sono segretaria) ma non ho un lavoro. La vita non è facile: ho tanti amici che mi vogliono bene e cerco di divertirmi, ma il mio problema è sempre lì: non posso mettere le gonne, perché la gamba è molto più piccola dell’altra e anche due centimetri più corta. Ogni tanto devo andare in ospedale e fare i controlli.Non ho mai incontrato o conosciuto direttamente nessuno con la mia malattia e neppure i medici la conoscono tanto. Faccio fatica a venire alle assemblee perché sono lontana. Ma mi fa molto piacere corrispondere con qualcuno che ha gli stessi miei problemi. Mi ritengo però anche fortunata perché ho una famiglia che mi vuole molto bene, una sorella più grande e un fratello più piccolo che mi aiutano molto anche se qualche volta litighiamo, ma alla fine ci vogliamo un gran bene. Assieme ai miei fratelli sto facendo un salvadanaio per LINFA. Se si farà un centro per la NF spero di venire anch’io e magari di conoscerci.Un abbraccio ed un saluto a tutti.

Elisa

Linfanews, settembre 1999

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Io e le macchie

Può sembrare strano, ma fin da quando mi sono accorta che la mia pelle aveva delle macchiette, mi sono sempre ritenuta particolare; le considero anche oggi un privilegio, perché mi sento più carina e particolare. Spesso a scuola i miei amici o i miei maestri mi chiedono incuriositi, se non preoccupati, come mai io abbia tante macchie. Io rispondo tranquillamente e con un sorriso: “Sono naturali: sono le mie macchiette!”In tutto il mio corpo ho una macchietta che ritengo speciale: è di forma rotonda (non proprio perfetta) con dentro un puntino più chiaro. Talvolta all’ospedale i medici le misurano, le guardano e le controllano; non le guardano però perché sono una malattia, ma soltanto per vedere se crescono o si rimpiccioliscono. Ora cari amici mi raccomando, non considerate le vostre “macchiette di caffelatte” un problema anzi accettatele come un dono.

Ilaria - V elementare

Linfanews, ottobre 1999

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Io e la Neurofibromatosi

Ciao! Mi chiamo Rita e ho trentuno anni.Sono affetta da Neurofibromatosi di tipo 1 scoperta in età adulta. Quando sono nata avevo solo le macchie e a mia madre avevano detto che erano le classiche “voglie”. Nell’adolescenza sono cominciati ad apparire i neurofibromi sparsi per il corpo, soprattutto sul dorso, ma nessun medico ha mai fatto la diagnosi, fino a pochi anni fa quando un dermatologo dopo avermi visitato mi ha parlato della NF1.Era la prima volta che ne sentivo parlare, anche se sono infermiera non l’avevo mai studiata a scuola e non avevo mai visto persone affette. Ho fatto tutti gli accertamenti, compresa la risonanza magnetica cerebrale e per fortuna non è risultato niente di anomalo agli organi interni, certo, però l’ho presa malissimo, io che adoro i bambini e speravo di diventare presto mamma, scopro che forse questo non sarà possibile o meglio che questo comporta dei rischi.Da quando sono infermiera poi, sono diventata un po’ fifona riguardo alle malattie, lavorando in oncologia vedo tutti i giorni gente che sta male e aver letto su una rivista medica che le persone con NF1 possono essere più portate a sviluppare tumori mi ha spaventato da morire.Devo dire che all’inizio, appena fatta la diagnosi, ho avuto un periodo di forte depressione, ho avuto un forte esaurimento nervoso, per fortuna sono riuscita a venirne fuori piano piano anche grazie alla mia forza di volontà che non credevo di avere e soprattutto grazie al mio splendido marito che mi è stato vicino (non so come ha fatto a sopportarmi) grazie ai miei amici e ai miei genitori. Figuratevi che quando ho fatto la risonanza, finchè non ho avuto i risultati, mi ero fatta venire i sintomi come se davvero avessi qualcosa al cervello. Ora sto meglio, ma la cosa che mi

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angoscia di più è un’eventuale gravidanza. Nelle mie analisi del DNA a Padova non è stata trovata l’alterazione del gene e questo renderebbe impossibile fare diagnosi prenatale. A volte mi chiedo se sarei un’incosciente ad affrontare una gravidanza. Sapete cosa mi sono sentita dire da una collega (che consideravo amica): “perché non ti chiudi le tube e risparmi di fare tante analisi, tu giochi alla roulette russa con la vita di un bambino, se rimani incinta mi verrebbe voglia di farti cadere dalle scale così abortisci e non metti al mondo un infelice!”Era il periodo in cui io ero depressa per cui non sono nemmeno stata capace di risponderle male, comunque a sentire certe cose ci sono rimasta malissimo anche se non dovrei farmi influenzare dalle cattiverie, anzi penso di aver fatto bene a fare le analisi di Padova. Voi cosa ne pensate? Lo so che è una decisione che devo prendere solo io con mio marito, ma mi piacerebbe tanto avere un consiglio. Ho fatto anche domanda di adozione, la cosa più bella sarebbe se riuscissi ad avere tutti e due, un bambino mio e uno adottato, chi sa se il mio sogno si realizzerà mai. Mi piacerebbe mettermi in contatto con persone che hanno la mia stessa malattia soprattutto della mia città La Spezia o Genova città dove vado tutti i giorni visto che ci lavoro.

Rita

Linfanews, novembre/dicembre 1999S

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Io e la Neurofibromatosi

Cara Associazione LINFA, mi chiamo Roberta e in poche righe ti parlo di me, della mia storia e della mia esperienza di vita con la Neurofibromatosi: ho diciannove anni e sono affetta da questa malattia fin da quando sono nata. I primi segni clinici che i medici mi hanno riscontrato sono state le macchie caffelatte che ho sul corpo e le infezioni urinarie (che però mi sono durate fino all’età di tre anni). La Neurofibromatosi mi ha portato varie conseguenze, nella crescita e nel peso: infatti, quando avevo circa un anno e la mia mamma mi metteva per terra per farmi fare i primi passi, io non mi sentivo sicura di camminare e allora mi mettevo a piangere.A causa della mia malattia ho fatto vari ricoveri in pediatria a Padova. La dottoressa che mi ha seguito diceva ai miei genitori che questa malattia può portare alla perdita della vista e dell’udito: io dall’occhio destro non vedo nulla perché è completamente spento; infatti, il nervo ottico è ammalato ed è per questo che non ci vedo. Sono stata anche a Treviso e a Brescia per sentire il parere di altri medici al riguardo e per vedere se si poteva intervenire; ma mi hanno detto che secondo loro dopo sei mesi sarei diventata cieca oppure se operavo l’occhio potevo rimanere in carrozzina. Nel 1992 ho fatto delle radioterapie alla testa per vedere se il male che avevo all’occhio si bloccava e ho avuto un intervento di arteriografia renale perché ho anche la pressione alta. Dopo questo intervento le cose si sono stabilizzate e adesso la mia pressione non è più alta. Poi ho avuto anche un intervento alla testa per togliere un neurofibroma che era esternamente. Nei confronti dei miei coetanei mi sento diversa, forse a causa della malattia che ho, ma di questo non sono certa: a volte mi succede di cadere in crisi totale, ma per fortuna ho una mamma e un papà che mi vogliono un sacco di bene e mi seguono ogni giorno sempre con tanto affetto e così mi danno la forza per vivere e affrontare bene la vita ogni giorno.Linfanews, 4/2000 Roberta

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Io e la Neurofibromatosi

Ciao sono Marika e abito in provincia di Padova. Alcuni di Voi mi conosceranno, grazie anche agli incontri annuali; ho 21 anni e sto cercando lavoro. Finalmente mi sono decisa a scrivervi, parlando di me e della Neurofibromatosi come l’ho vissuta e come la vedo per il mio futuro.Alla nascita presentavo varie macchie caffelatte per il corpo e si pensava alle classiche voglie. A 11 mesi, per dissenteria, fui ricoverata in Pediatria all’Ospedale Civile di Padova: è qui che i medici, viste le macchiette, hanno diagnosticato la NF. Hanno messo a conoscenza i miei genitori che con il tempo avrei potuto avere dei problemi (noduli, fibromi, ecc.). Certo la scienza medica di vent’anni fa non è da competere con quella di adesso: i medici sono ancora quelli, ma con alle spalle un’esperienza grandissima, notevole … vediamo il carissimo Prof. Tenconi (senza togliere nulla a tutta l’equipe a cui va tutto il mio plauso e il mio grazie) come si prodiga in viaggi per riunioni e convegni.Comunque ho sempre vissuto bene, non ho mai avuto conseguenze. Andavo all’asilo, mi divertivo e soprattutto ero in salute; però, alle elementari sono sorti i primi problemi: nulla di grave … era l’apprendimento scolastico che non era dei migliori, non sempre riuscivo a tenere il passo con la classe, per capire bene una lezione l’insegnante doveva rispiegarmela. Per questo mi affiancarono un’insegnante di sostegno e sono stata seguita dall’equipe neuropsichiatrica del territorio. Grazie a loro sono riuscita a migliorare, a tenere bene il passo con la classe, e poi diciamo la verità … mica tutti a scuola possiamo essere dei piccoli geni, l’importante è sempre impegnarsi, dare il meglio di noi stessi e cercare di non scoraggiarsi: una via d’uscita c’è per tutto.Poi ho frequentato le medie, tranquillamente, ma con qualche difficoltà nella matematica e nelle lingue straniere, mentre in

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italiano andavo benissimo; avevo sempre l’aiuto dell’insegnante di sostegno. Purtroppo ci sono certe persone che non sempre capiscono i problemi altrui: infatti, certi compagni di classe mi prendevano in giro e mi davano della poco normale perché avevo l’insegnante di sostegno. Loro non sapevano la verità. Solo gli insegnanti, e non era nemmeno il caso di spiegarglielo, perché a dire il vero i veri stupidi erano loro! Ho fatto poi tre anni di agraria in una scuola professionale abbastanza semplice dove non avevo problemi ed ero bravina. Poi ho fatto anche un anno e mezzo di scuola alberghiera data la mia passione per fare da mangiare, ma poi mi sono ritirata perché il rapporto con i compagni non era dei migliori e i professori se ne fregavano, non aiutavano certo a farci socializzare: c’era nonnismo e ho preferito troncare … sono rimasta a casa e mi sono fatta la patente e, ripeto, cerco lavoro. Ne ho già fatto qualcuno, anche supplenze nelle scuole elementari e materne, e spero di trovare finalmente posto fisso.Tornando alla NF, dal 1988 sono seguita dall’ambulatorio Neurofibromatosi: quando mi è stata posta la diagnosi di NF1, facendo le varie visite (ortopediche, udito, vista) e i periodici accertamenti che finora non hanno mai presentato anomalie di rilievo. Io la NF la vivo normalmente e non mi sono mai posta grossi problemi; forse qualche anno fa avevo paura di qualche tumore, ma poi grazie a Linfanews, agli incontri, e soprattutto grazie al colloquio con la dott.ssa Mammi mi sono tranquillizzata. Le amiche/amici più cari, lo sanno, e mi hanno sempre fatta sentire normale, come una di loro; perché NOI SIAMO NORMALI, SIAMO COME TUTTE LE ALTRE PERSONE DI QUESTO MONDO; NON ABBIAMO NULLA DI DIVERSO E SOPRATTUTTO ABBIAMO LA VITA: LA COSA PIÙ IMPORTANTE!Se in estate vado al mare o in piscina e chi non lo sa vedendo le macchiette mi chiede cosa sono, dipende da che persona è: o le

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faccio passare per le classiche voglie o glielo dico semplicemente. Mi piace uscire con la compagnia, andare a ballare, giocare a bowling, andare al pub, e in estate andare a passeggiare, a nuotare, in vacanza e divertirmi. Poi mi piace fare da mangiare, scrivere e usare il computer, leggere e ascoltare tanta musica, insomma come tutti o quasi quelli della mia età.Il mio futuro, come lo vedo? Come tutti lo vorrebbero: rose e fiori senza spine, ma si sa che non sempre è così, ci sono delle difficoltà e bisogna saperle superare con accanto le persone giuste. Per il momento non ho il ragazzo, ma arriverà (prima o poi … intanto sono libera), quindi lo vedo con accanto questa persona che mi amerà e mi consiglierà, mi starà vicina e soprattutto saprà della NF. I figli? Adorando i bambini, spero di poterne avere e se anche loro nasceranno con la NF gli aiuterò a crescere con lei, facendo loro capire cos’è e aiutandoli a non scoraggiarsi mai, a fregarsene di quello che pensa la gente …, a viverla bene come l’ha vissuta e la vive la loro mamma. Ed è un consiglio che do a tutti Voi amici … qualsiasi età abbiate.Voglio di nuovo ringraziare tutto il dipartimento di Pediatria per quello che ha fatto e farà per noi e le nostre famiglie: grazie veramente di cuore, il vostro lavoro è utile e mi raccomando nemmeno voi scoraggiatevi; anche noi nel nostro piccolo possiamo aiutarvi molto. Grazie per la diagnostica, ma soprattutto grazie per la serenità che esprimete con il vostro entusiasmo, tenendoci su con il morale e caricandoci. La fiducia di chi ha la NF, nei vostri confronti è grande.Infine, saluto tutti quelli che mi conoscono e non; un grande bacione e abbraccio dalla vostra amica.

MarikaLinfanews, 1/2001 S

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Io e la NF

Ai lettori di Linfanews.Mi presento e scrivo la mia testimonianza sulla NF.

Sono Cinzia ha 42 anni e la NF2; sono totalmente sorda. Ho subito negli anni dal 1992 al 1996 una serie infinita di interventi chirurgici di neurochirurgia di cui tre craniectomie (due volte a sinistra, una volta a destra), tre laminectomie spinali, un intervento al torace ed un’anteprima della NF (non riconosciuta come tale); nel 1991 a causa di un incidente sul lavoro, sul dito indice della mano sinistra si erano formati due neurinomi, poi asportati.Questo il quadro sintetico e un po’ arido degli interventi che hanno segnato profondamente la mia vita e la mia personalità e mi hanno fatto conoscere cosa sono “dolore e sofferenza” e non solo dal lato fisico, ma anche psichico, morale, etico, sociale, economico … una serie infinita di difficoltà da affrontare e superare, se si desidera ad ogni costo venir fuori dal “buio”. La mia mente ha rimosso gran parte dei ricordi di quel tempo, trovo scritti e memorie che rileggendoli mi fanno pensare che ero un’altra persona assai diversa e sono stata molto sola, incompresa, sottovalutata ad affrontare questa situazione.Dal 1996 non ho subito altri interventi (almeno per ora), ma i controlli e le cure per le conseguenze dei danni post intervento sono molti e la stanchezza di affrontarli da anni e per sempre si fa sentire, ma non c’è altra soluzione: questa è la NF2.Il problema più grosso che ho incontrato nel primo momento, parlo del 1992 anno della diagnosi, anno in cui è stato scoperto il gene responsabile della NF2 (il 22) e la proteina (merlina) che non viene codificata dal mio organismo, ma io stavo male da tempo senza capire la causa, senza accorgermi che stavo diventando sorda.

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I medici incontrati non sapevano nulla della malattia, non avevano mai avuto un precedente, non sapevano indirizzarmi, spiegarmi; il ricovero del settembre 1992 e la RMN hanno rivelato un quadro serio, complesso con tanti interventi da fare, non c’era altra soluzione e c’è stato chi mi ha messo molta paura dicendomi che non sarei venuta fuori da questa avventura allora è scattata la mia autodifesa l’istinto della sopravvivenza, non trovando risposte nell’ambito di Grosseto ho scritto un annuncio su un settimanale, Famiglia Cristiana, e da li è partita la mia ricerca e conoscenza della malattia di centri che potevano dirmi di più, dove e come prevenire le complicanze, di specialisti, di Associazioni italiane ed estere, di persone malate come me con le quali a vicenda ci siamo sostenuti e rincuorati, insomma non ero più sola e sono ritornata ad una dimensione più terrena del mio essere.Dopo i primi interventi all’acustico che hanno compromesso anche il VII n.c. ero deformata sia nel viso che nel fisico, la sordità totale, gli acufeni, i mal di testa, era un tormento, il mio equilibrio psichico ha vacillato, ero confusa e non sapevo più rapportarmi con me stessa, figuriamoci poi con l’esterno.Uno schoc non indifferente. La sordità in età adulta è stata ed è difficile da sostenere perché ti stravolge tutto, ogni piccolo e semplice atto quotidiano, telefonare, suonare ad un vicino, chiedere soccorso, parlare con un medico per un consiglio o un appuntamento; tutto si fa perchè si sente; a 34 anni mi sono ritrovata bambina, dipendente da chi faceva per me; ad oggi per me andare da sola in un ufficio, in banca, alle poste rappresenta una difficoltà anche perché tutti hanno furia, corrono e io intralcio il traffico.Prima della diagnosi ero senza lavoro stabile, mi ero separata da poco, per cui mi sono trovata nella condizione di non potermi mantenere ne tanto meno crescere mia figlia, che aveva 10 anni e che era affidata a me, come si è poi verificato c’è stato il rischio

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di perderla perché non ero in grado di mantenerla, crescerla ed educarla.Non perdere mia figlia è stato il motivo dominante che mi ha tirato fuori dal “buio”.Dal 1992, comunque non ho più lavoro ed avuto uno stipendio decoroso, le leggi dicono che un invalido ha molti privilegi, ma questo è scritto sui testi e non corrisponde alla mia esperienza, non sono abile a molti lavori, non sono né nella categoria dei sordi né in quella degli invalidi, perché troppo invalida per lavorare.[ … ]Le tante disavventure su tutti i fronti affettivi, sociali ed economici mi hanno certamente inasprito, ma vedo che ci sono tante, troppe, contraddizioni tra il dire e il fare nell’ambito del mondo dei “disabili” o meglio “diversamente abili”. Da due anni mi sono iscritta a scuola per ottenere la qualifica come operatore dei servizi sociali: è il mio campo e mi propongo di poter operare in questo settore in cui ho esperienza personale e dove ci sarebbe da lavorare molto, ma in primo luogo dovrebbero lavorarci proprio i disabili per migliorarlo.In questa esperienza di malattia, disabilità, handicap sensoriale ho incontrato molti medici di varie discipline, infermieri, tecnici, medici-legali, avvocati, assistenti sociali, psicologi ed ognuna di queste persone ha lasciato una traccia in me, chi positiva e di speranza, chi invece negativa, ma la mia esperienza di malata di NF2 è stata “forte”, vissuta intensamente sotto i vari aspetti, una ricchezza tutta mia e sono contenta di me stessa di come ho saputo affrontare, arginare, intervenire ed elaborare il tutto.Penso solo chi si è scontrato con una realtà simile comprenda.

Cinzia

Linfanews 2/2001

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Io e la Neurofibromatosi

Ciao a tutti,mi chiamo Fabio e abito in Calabria a Vibo Valentia. Non sono mai venuto agli incontri annuali per motivi soprattutto di salute, ma spero che un giorno ci verrò. Ho 22 anni e sto frequentando un corso di elettricista che dura 2 anni. A dire la verità non ho mai letto Linfanews ma oggi, 05.04.01, mi ha incuriosito la storia della ragazza che ha scritto sulla rubrica Io e la NF (vedi Linfanews 1/2001, n.d.r.) e mi sono deciso a raccontare anche la mia storia con la NF che mi porto dalla nascita.Avevo le macchie caffellatte e pensavano che fossero le voglie. La prima operazione l’ho avuta alle gambe. Hanno tolto 3 noduli per gamba; era la prima volta che mi tagliavano, ma non avevo paura perché ero sicuro di me ed ero veramente tranquillo. Dopo ho avuto varie operazioni.Facevo molto sport e i neurofibromi mi facevano male e non riuscivo a giocare a calcio: sono portiere.Ora faccio molti controlli per la NF: ogni anno a Bologna, ma vado anche a Padova, dove mi hanno confermato che io ho la NF. Con questi problemi non ho vissuto bene anche perché per due volte ho avuto delle complicazioni. La prima volta è stato quando mi hanno operato sotto l’ascella destra perché ho avuto un’emorragia; dalla paura che ho preso stavo per svenire. La seconda volta è successo a giugno dello scorso anno quando ho avuto un’emorragia interna; ero da mio fratello Piero a Bologna che si è preoccupato molto e mi ha portato all’ospedale dove mi hanno operato risucchiando tutto senza anestesia: io non ho pianto e ho avuto un coraggio da leone.La scuola non è stata delle migliori: quando ho iniziato le superiori non andavo d’accordo con i miei compagni e ho deciso di farmi bocciare per non vederli più: infatti, ogni giorno era un litigio. Poi

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ho trovato dei compagni meravigliosi che ancora oggi vedo e saluto.Quando avevo 18 anni ho preso il maledetto vizio del fumo che mi ha distrutto la vita per quattro anni, i medici mi dicevano che dovevo smettere, ma io non l’ho fatto se non grazie alla mia amica Adriana. Così dall’alba del 2001 ho deciso di smettere; ora a sentire l’odore del fumo mi viene la nausea.Mi piace ballare, giocare tanto a calcio, andare al pub; faccio una vita movimentata, ma piena di lunghe sofferenze. Purtroppo quando mi vengono i fibromi me li devo togliere perché altrimenti mi fanno molto male per questo motivo sono stato costretto a lasciare anche la palestra.Saluto e ringrazio tutti quelli che in questi anni di sofferenza mi sono stati vicini a cominciare da Adriana per finire con i carissimi amici dell’oratorio salesiano a cui voglio un mondo di bene.Grazie anche a voi tutti di Linfanews e spero che pubblicherete la mia storia.

Fabio

Linfanews 3/2001

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I pensieri di una mamma

Mi sono iscritta recentemente a due Associazioni che si occupano di Neurofibromatosi, LINFA e ANF, perché ho un bambino di quattro anni che potrebbe essere affetto da NF2 anche se la diagnosi non è ancora sicura.Ho deciso di iscrivermi comunque perché credo che queste Associazioni siano estremamente utili per divulgare informazioni precise e di facile comprensione e anche perché credo che siano un appoggio insostituibile per tutti quelli che soffrono e che si trovano, spesso all’improvviso, a dover affrontare un’esperienza dura e angosciosa. Credo anche che gli incontri organizzati dalle Associazioni possano essere molto utili perché danno la possibilità di ascoltare e di parlare con medici, professori e studiosi che conoscono bene queste malattie e che possono rispondere alle domande dei presenti oppure dare indicazioni su centri specializzati. Questa opportunità è importante per chi abita lontano da grandi ospedali o non ha la fortuna di essere seguito da un medico che conosca a fondo il problema.Aggiungo, infine, che agli incontri sarebbe opportuno che partecipassero anche i medici e i pediatri di base i quali, data la rarità di queste malattie, spesso non ne conoscono tutti gli aspetti.Concludo dicendo che le Associazioni sono necessarie e importanti perché diventano un punto di raccolta di esperienze e di conoscenze precise, ricche e concrete. Per tutte le persone in difficoltà possono dare consigli su come far valere i propri diritti.

SB

Linfanews 3/2005

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Il bello di essere associazione

Ho accompagnato la mia amica Cinzia a vari convegni sulla NF, ogni volta con un po’ di sacrificio ma anche con l’entusiasmo delle aspettative che non sono mai state deluse.Le informazioni che ci giungono dalle relazioni dei medici, la presenza e la testimonianza dei malati e dei loro famigliari, ci ricompensano dello sforzo di esserci. Durante questi convegni che si realizzano grazie all’impegno e alla dedizione dei responsabili delle Associazioni, anche con pause ricreative e di socializzazione molto piacevoli, si vivono momenti di condivisione degli intenti che rafforzano la fiducia nel futuro.Si torna a casa con la certezza che l’osservazione dei problemi dai vari punti di vista sia stata un’occasione di sicuro arricchimento anche perché con questi incontri si infittisce la trama di riferimenti concreti di cui ciascuno ha bisogno per elaborare strategie e approcci nuovi ai problemi della malattia.

Fabiola

Linfanews 3/2005

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Racconti Questa parte del libro raccoglie le storie di vita e le testimonianze giunte direttamente per la realizzazione del volume.Alcune sono brevi, altre molto più lunghe; qualcuno ha scelto di raccontarsi totalmente, altri solo per una parte della loro vita.Ci sono racconti che parlano dell’esperienza di vita con la NF in generale e testimonianze che si soffermano solo su un aspetto.

La maggior parte delle storie pubblicate è scritta in prima persona da chi ha la Neurofibromatosi, alcune invece sono di genitori o amici.

Le note, presenti in alcuni racconti, sono riportate alla fine del volume.

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La mia storia

Tutto ha inizio nell’ottobre del 1979, anno in cui sono nata. L’infanzia è stata serena: sono cresciuta in un paese di campagna nella bassa padovana, con la compagnia di mamma e papà, nonni, zii e anche una bisnonna; ho avuto l’opportunità di sperimentare le gioie di giocare liberamente all’aria aperta, di vedere la vita di campagna, di conoscere gli animali domestici, di crescere in una famiglia abbastanza numerosa.Quando sono nata sul mio corpo c’erano due o tre macchie caffelatte che furono classificate come voglie; per il resto stavo bene a parte il fatto che ero soggetta a rigurgiti e sangue dal naso, forse un po’ precoce nel parlare, nel camminare e nelle piccole conquiste quotidiane che impegnano i bambini nei primissimi anni di vita.Ho frequentato con entusiasmo la scuola materna e, a quanto mi dicono, con facilità imparavo a memoria le poesie per le recite e le feste scolastiche.Verso i tre anni, dopo una vacanza al mare, le macchie hanno iniziato ad aumentare di numero tanto da indurre i miei genitori ad un consulto dermatologico. Il giovane medico li inviò in pediatria a Padova con la diagnosi di sospetta malattia di Recklinghausen o Neurofibromatosi.A Padova fui ricoverata e sottoposta ad una serie di accertamenti clinici e strumentali che portarono alla conferma della diagnosi.Dal quel momento in poi, ogni anno sarò seguita a Padova per monitorare la malattia delle cui possibili conseguenze e varie manifestazioni erano stati da subito messi al corrente i miei genitori. Comunque, dopo la diagnosi, la mia vita non cambiò e ho continuato a trascorrere anni felici e spensierati alla scuola materna, allietati anche dall’arrivo di un fratellino.Nel 1985, con l’inizio della scuola elementare, ci siamo trasferiti in

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una cittadina poco lontana dal paese natale. È in questo periodo che i miei genitori devono rendersi conto, forse per la prima volta, della scarsa sensibilità delle persone: per iscrivermi alla scuola elementare, la direttrice ha richiesto un certificato per garantire la “non contagiosità delle macchie”; il certificato, poi, non è mai stato consegnato perchè è bastato un dialogo sincero con il personale scolastico.Sono gli anni “critici” della malattia e vengo osservata con attenzione per poter scoprire tempestivamente eventuali complicanze.La Neurofibromatosi porta spesso a difficoltà scolastiche e di apprendimento e per questo medici e genitori sono molto attenti a questo aspetto, ma fortunatamente non è il mio caso: a scuola sono brava e diligente, mi appassiono alla lettura (forse “per colpa” della mia insegnante che mi faceva leggere e analizzare i libri della biblioteca di classe, almeno uno al mese) preferendola al gioco.Dal punto di vista medico si presta molta attenzione alla colonna vertebrale per la scoliosi. Faccio ginnastica correttiva e molto nuoto; la prima non mi è mai piaciuta molto, il secondo, invece, lo facevo molto volentieri e sin da piccola. In questi anni, inoltre, iniziano a comparire i neurofibromi un po’ ovunque (gambe, braccia, schiena, …), ma è un aspetto normale della NF.Negli anni della scuola elementare inizio a frequentare i soggiorni estivi per ragazzi di una colonia aziendale; ricordo queste esperienze con profonda gioia, come momenti di divertimento e crescita: ho fatto esperienze splendide e indimenticabili, ho conosciuto bambini da tutta Italia e con loro ho condiviso la nostalgia per mamma e papà, ma anche la gioia dei bagni al mare o delle passeggiate in montagna, l’allegria delle serate in piazza a esibirci in bans e canzonette, il “doloroso” saluto delle partenze, ... .Sono sempre stata una bambina tranquilla e timida, ma intelligente

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e curiosa, pronta (dopo essere stata un po’ spronata) a fare nuove esperienze.Senza grossi problemi supero gli esami di licenza elementare con ottimi risultati e inizio la scuola media. Il primo anno va più che bene: anche questa volta la fortuna mi ha assistito e le tanto temute difficoltà di apprendimento non si sono fatte vedere.Giunge l’estate del 1991 e con essa il meritato riposo; come ogni anno parto per la colonia e al mio ritorno mi attendono le vacanze di famiglia. Ricordo con gioia e nostalgia l’estate di quell’anno. Con gioia perché ho fatto esperienze straordinarie: la scuola di roccia, la notte in campeggio con il montaggio delle tende, l’allestimento del campo, la ricerca della legna per il fuoco, … in colonia; le passeggiate in quota con scenari mozzafiato nelle vacanze di famiglia. Con nostalgia perché a causa degli eventi che si verificheranno di lì a pochi mesi, questa è stata l’ultima vacanza “da sana” e per questo resterà impressa indelebilmente nella mia memoria. Riposata e appagata dalle belle esperienze fatte, a settembre riprendo con entusiasmo la scuola frequentando la seconda media. Dopo qualche settimana, però, inizio ad avere delle forti emicranie che mi procurano senso di vertigine. Dapprima si pensa siano il postumo di un’influenza stagionale, ma dato il persistere si decide di anticipare di qualche mese il controllo annuale per la NF.È novembre! La dottoressa di Padova mi tranquillizza e mi propone di scrivere un “diario del mal di testa” finchè non arriveranno le risposte di un esame nuovo a cui sarò sottoposta: la Risonanza Magnetica Nucleare. Ricordo quella prima RMN come un incubo: lunghissima (capirò poi che è stata fatta due/tre volte di fila perché increduli alla situazione), rumorosa da impazzire, “imprigionante”.Le risposte arriveranno poco prima di Natale e sono, purtroppo, brutte: c’è qualcosa al cervelletto e bisogna intervenire il

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prima possibile. Io non so nulla, naturalmente, e verrò tenuta all’oscuro di tutto fino all’ultimo. Manca poco a Natale e si decide di aspettare che passino le Feste.Entro in ospedale lunedì 13 gennaio 1992 e vengo ricoverata in pediatria: in questo giorno scopro che sono in ospedale per un’operazione, per giunta alla testa, e non semplicemente per fare dei controlli atti a capire il motivo dei miei mal di testa. Ricordo di essermi arrabbiata, e tanto, sia con i miei genitori sia con la dottoressa che mi seguiva perché avrei dovuto sapere la verità; con il senno di poi ho capito che non sapere è stato per me un bene: mi ha permesso di passare serenamente le vacanze di Natale, di tornare a scuola per qualche giorno e di affrontare l’intervento con la consapevolezza che era un prelievo doloroso e per questo era necessario addormentarmi.Vengo operata il giorno successivo, 14 gennaio. L’intervento è lungo. Va bene: salto anche la sala rianimazione già “prenotata”. I ricordi legati all’intervento e ai giorni immediatamente successivi sono pochi, avvolti nella nebbia, legati ai racconti della mia famiglia. So che volevo sempre vicino a me sia la mamma che il papà, che avevo dolori, che “ero coccolata” da tutto il reparto di neurochirurgia. Inizio a ricordare maggiormente dal mio trasferimento in pediatria: lì c’erano altri bambini e ragazzi, la scuola, l’animazione, la tombola, … .In pediatria stavo bene perché ero in compagnia, ma mi rendevo conto di non essere più la ragazzina che ero quando sono entrata in ospedale; avevo l’occhio sinistro strabico, le gambe non mi sostenevano, la mano sinistra non rispondeva ai miei comandi, e poi c’era quella fastidiosa fasciatura alla nuca, … .Ho iniziato a capire l’accaduto e ad accettarlo grazie all’aiuto dei miei genitori e dei medici: la NF aveva deciso che oltre ai “miei segni di riconoscimento” (così avevo ribattezzato le macchie caffelatte per spiegare agli altri cosa fossero) io dovevo avere

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un’altra cosa, un neurofibroma alla testa che però andava tolto. Con il tempo, poi, quello che mi era stato descritto inizialmente come neurofibroma ha assunto il suo vero nome, e cioè, tumore (fortunatamente benigno), come la maggior parte dei tumori NF.Tornando a quei giorni post-intervento e alle sue conseguenze, si è deciso di affrontare queste ultime con calma, stando a casa così avrei potuto riprendere lo studio. Sono uscita dall’ospedale ai primi di febbraio e per un po’ sono rimasta a casa andando a fare qualche saluto a scuola e ricevendo visite di amici e professori: questi ultimi mi mettevano pian piano in pari col programma.Poi ho ripreso a frequentare la scuola: un’ora al giorno, due, tre, l’intera mattinata. Ricordo il giorno del mio rientro in classe come una festa per compagni, professori, Preside e bidelli: tutti si sono impegnati per aiutarmi e starmi vicina. Grazie al loro aiuto sono riuscita ad essere promossa in terza.Contemporaneamente sono iniziate le terapie riabilitative per recuperare l’uso della parte sinistra del corpo, la più offesa dall’intervento. Le terapie le facevo in ospedale con la fisioterapista e a casa con i miei genitori. Ho ripreso il nuoto, mia grande passione e salvezza. Ho iniziato l’ipoterapia in un maneggio della zona. Il cavallo è stato uno stimolo importante per il mio equilibrio: quando ho iniziato mi mettevano in sella di peso e mi tenevano su a forza; poi, piano piano, grazie alla costanza e alla pazienza che il proprietario del maneggio ha avuto per me, sono riuscita a saltare anche gli ostacoli, bassini a dire la verità. Grazie a tutto questo oggi, a distanza di sedici anni, la mia paresi si è risolta abbastanza bene: capita a volte che la gamba tremi ancora e fatichi a sostenermi, ma riesco a muovermi con una certa autonomia; il braccio, invece, è più pigro e trema spesso, la mano non ha molta sensibilità fine, … .L’altro problema post-intervento da risolvere era lo strabismo all’occhio sinistro. Per un anno ho bendato quotidianamente

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l’occhio destro per far lavorare di più quello “danneggiato” nel tentativo di migliorarne la situazione, ma i risultati non sono stati quelli sperati. Nel luglio 1993, appena terminata la scuola (tra l’altro avevo gli esami di licenza media e la collaborazione di insegnanti e Preside si è rivelata ancora una volta preziosa) ho operato anche l’occhio. Tutto bene.Dopo quest’ampia digressione sulle conseguenze dell’intervento, riprendo la narrazione della mia storia.Il rientro a scuola, le terapie, i controlli, gli esami di terza media, il nuovo intervento, … sono stati seppur brevemente citati.Alle conseguenze dell’intervento si aggiunge, però, un ulteriore “compagno” che porterò con me tutti i giorni e tutte le notti per alcuni anni (dalla seconda media all’inizio della quinta superiore): il busto ortopedico per correggere la scoliosi. Questa, infatti, a causa delle posizioni scorrette che assumevo e per via della crescita, dopo l’intervento era notevolmente peggiorata.Un’annotazione da fare è che a questo punto, fine della scuola media, inizio a rendermi conto che, nonostante l’affetto che mi circonda, sono diventata una diversa, una persona con altre abilità. Consapevolezza che si farà sempre più pressante negli anni della scuola superiore.Dopo le medie mi iscrivo al liceo classico. Gli anni del liceo non sono felici: incontro professori che mi aiutano e mi sostengono, altri che mi isolano e quasi mi rifiutano; lo stesso vale per i compagni. Nonostante le difficoltà e le rinunce (tra le tante cose, ho “saltato” più di qualche gita perché sarei stata accettata solo se accompagnata da mamma o papà), sono riuscita a concludere il liceo con le sole mie forze e senza perdere anni.Come dicevo, in questi anni mi rendo sempre più conto della mia condizione, della malattia di cui sono affetta e “dell’isolamento” in cui io, i miei amici con NF e familiari veniamo lasciati; allo stesso tempo mi rendo conto di essere stata “sfortunata” ad

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“incontrare” un aspetto raro della Neurofibromatosi, ma di avere avuto e di avere la fortuna di una famiglia che mi ha sostenuto e di medici sensibili che ci hanno aiutato a capire, ad accettare ed affrontare.In questi anni (1993/1994) nasce l’Associazione e io imparo a conoscerla e ad apprezzarla perché mi permette di conoscere altre persone con la Neurofibromatosi, anche mie coetanee.Dopo la maturità, luglio 1998, mi iscrivo all’Università: una scelta importante e una sfida con la mia condizione; gli inizi non sono facili, ma poi le cose migliorano: senza grossi problemi riesco a frequentare e a continuare questo percorso come la maggior parte degli studenti; un aiuto importante è sicuramente stato quello della famiglia.Gli anni dell’Università mi portano a capire sempre meglio il mio vissuto, l’importanza delle esperienze che ho fatto e la loro possibile utilità per gli altri. Inizio a partecipare più attivamente alle attività di LINFA, portando la mia testimonianza in importanti occasioni nazionali o locali: queste esperienze sono state un’utile conferma del bisogno di condividere per accettare e superare insieme.Ha, quindi, inizio il mio lavoro per l’Associazione.Forte dell’esperienza che gli studi universitari mi stavano dando, “aggiornata” sulle modalità burocratiche grazie ai corsi seguiti, aiutata fisicamente dalla mia famiglia ho ideato progetti di divulgazione e formazione in favore di medici e, soprattutto, famiglie e giovani. L’impegno per LINFA mi ha dato la possibilità di conoscere molte persone e di condividere con loro gioie, paure, speranze, ... e a volte mi ha dato “l’orgoglio” di essere stata d’aiuto a qualcuno, uno stimolo per non lasciarsi andare.Nel dicembre 2004 ho concluso il percorso universitario discutendo con successo la tesi di laurea che aveva come soggetto la vita con la Neurofibromatosi; della stessa sono

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stati resi partecipi i soci LINFA in occasione della successiva assemblea soci.Pochi giorni dopo la laurea, aihmè, sono entrata in ospedale per asportare un altro neurofibroma ad un braccio; e quindi, ancora una volta, riabilitazione, terapie, controlli, …: una strada conosciuta a molti.Oggi, non trovando lavoro, mi sono nuovamente iscritta all’Università. Continuo a vivere giorno per giorno, sperando in un futuro meno incerto e con una “terapia risolutiva”. Continuo a vivere con la NF e un’altra complicanza che ha chiesto ospitalità alla mia testa da alcuni anni: forse i “neurofibromi-tumori” si trovano bene con me? Finchè loro se ne stanno lì buoni buoni e mi lasciano vivere le mie esperienze con serenità io ci sto, eventualmente (mi auguro, però, non avvenga) sarò pronta a “combattere” di nuovo.

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Giuliano ci racconta di se’

Mi chiamo Giuliano, ho 47 anni e ho la NF tipo 1. La mia storia di vita con la NF inizia da bambino: i miei primi ricordi risalgono a quando avevo circa 10 anni.Ricordo delle piccole macchie color nocciola che erano comparse sul corpo; ne ricordo una in particolare: quella che ho sullo zigomo sinistro. Di questa ho un ricordo particolarmente vivo, perché i miei genitori mi portarono dal dottore (che allora si chiamava dottore di condotta); era il medico della mutua quello che si potevano permettere e quello che si riteneva persona valida. Questo medico disse che erano macchie della crescita dovute ad un parto un poco difficoltoso e consigliò di mettere una pomata: ricordo una scatolina ed un tubetto color verde, si chiamava (se non sbaglio) “Vitef”. Così ebbe inizio la cura: si spalmava questa miracolosa pomata, solo sullo zigomo perché punto più visibile; dopo pochi minuti iniziai a sentire un grande formicolio e un po’ di bruciore. Pensai di togliermi la pomata, per avere un po’ di sollievo, ma fui sgridato perché serviva a guarirmi e fu fatta un’altra applicazione. Poi, dopo qualche ora, si staccò la parte di pelle dove era stata messa la pomata: dissero che era segno di guarigione; però la macchia era sempre li presente come prima! La cosa continuò per alcuni giorni tra un mio no e il si dei miei che infine si convinsero a non usarla più.Da allora le macchie aumentarono su tutto il corpo e con loro apparvero i neurofibromi (chiamati vescichette ).Li iniziò il mio cammino verso un modo di vita diverso; mi spiego meglio: iniziai ad essere tenuto un poco in disparte perché gli altri bambini potevano fare domande, la gente poteva chiedere “ma cosa hai?”. Così i miei genitori evitavano di farmi vedere scoperto, cioè a dorso nudo.Poi anche durante il periodo di scuola c’erano le visite mediche

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(normali visite tipo ascoltare il battito o il respiro) si facevano tutti insieme, ma io no. Io avevo la “raccomandazione” perché i medici su richiesta mi visitavano in disparte, sempre per non mostrare agli altri il mio corpo “diverso”.Così, come si sarà capito, sono cresciuto sotto un’ala protettrice, che però (anche se fatto in modo protettivo, a fin di bene) si è rilevato molto negativo perché la mia vita di bambino si è trasformata in una vita solitaria e ancor oggi ne sento le conseguenze. Tutto sempre senza sapere cosa realmente il mio corpo aveva, i medici che mi avevano visitato non hanno mai saputo dire nulla; la parola NEUROFIBROMATOSI la conobbi solo molti anni dopo.Passarono alcuni anni, sempre nello stesso modo, finchè un giorno mi arrivò la cartolina per la visita militare; alcuni giorni dopo accompagnai papà a fare una visita dal cardiologo, un dottore vero, cioè un medico coscienzioso, una persona che svolgeva la propria professione con il cuore, a questo medico dissi delle macchie che avevo e chiesi cosa mi avrebbero detto alla visita di leva.Questo dottore quando vide le macchie e i piccoli neurofibromi mi disse “aspetta un attimo”, andò in una libreria che aveva nel suo studio, iniziò a sfogliare un librone e mi disse “vieni a vedere, qui si parla della tua malattia”: lesse qualche riga e aggiunse “la tua malattia si chiama morbo di Won Recklinghausen o anche Neurofibromatosi”. Per la prima volta seppi come si chiamava ciò che il mio corpo aveva, mi spiegò alcune piccole cose legate alla malattia, ma mi disse anche che non sapeva ne come e ne se si poteva curare e nemmeno a chi rivolgermi per avere un aiuto.Dopo alcuni giorni feci la visita militare, anche qui non seppero darmi aiuti, mi esonerarono dal fare il militare per aver la NF. Qui iniziai a preoccuparmi, perché dissi a me stesso: “se mi hanno scartato è perché ho qualche cosa che non va”. Pensai di ritornare dal medico che mi disse ciò che avevo e dal

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suo librone. Forse avrebbe potuto aiutarmi ancora. Purtroppo non mi fu possibile, quel medico morì improvvisamente per un attacco di cuore, il male che lui curava agli altri fu fatale per lui stesso.Passarono ancora alcuni anni ed io ero sempre più riservato e chiuso in me, con il timore che le persone chiedessero, mi facessero domande. E con lo sconforto perché il medico che avevo non sapendo nulla sulla NF non dava alcuna importanza.Un giorno (circa 14/15 anni fa) all’inizio dell’estate, mentre ero in giardino al fresco e all’ombra a leggere una rivista, la mia attenzione si fermò su di un piccolo trafiletto in cui si parlava della nascita di una associazione che si occupava di aiutare e seguire le persone con la Neurofibromatosi; si chiamava LINFA e aveva sede a Gaiarine, in provincia di Treviso; nell’articolo erano riportati anche indirizzo e numero di telefono.Mi sentii un poco risollevato: non ero il solo ad avere questa malattia sconosciuta per i medici (tranne quello del librone che me la indicò).Così presi carta e penna, scrissi a questa associazione, parlai di me, dopo pochi giorni ricevetti una lettera, chi mi scriveva era il prof. Tenconi, dottore che non conoscevo, ma molto gentile e cordiale, mi spiegava qualche piccola cosa sulla NF e che poco distante da me presso l’ospedale di Bergamo esisteva un centro dove si seguiva la NF.Dal quel giorno divenni socio di LINFA; iniziai a fare esami e controlli vari, conobbi piano piano la NF e le sue complicanze. Ma rimasi sempre riservato, chiuso in me. Poi circa 4 anni fa ricevetti il giornalino che LINFA invia ai suoi soci: c’era un articolo di una ragazza, della toscana che chiedeva un poco di aiuto perché ammalata di NF2, chiedeva un poco di conforto se qualcuno avrebbe potuto aiutarla, le ho scritto e da li è nata una grandissima, sincera, vera amicizia: grazie a lei l’anno dopo ho partecipato all’assemblea di LINFA per la prima volta. Conobbi

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altre persone che come me hanno la NF: molte di queste persone sono diventati amici molto cari.Ho iniziato a vedere la vita in modo diverso: purtroppo la vita mi avrà reso un poco diverso, però se non avevo la NF non avrei conosciuto queste persone, allora posso anche dire “grazie NF”.Rispetto ad altre persone mi sento fortunato: fino ad ora non ho subito interventi chirurgici; però la NF mi da ancora oggi molti problemi, ma ciò che, ancor oggi, mi pesa molto è il fatto estetico: lo sguardo delle persone e stare tra la gente è sempre un problema.Al termine di questo mio scritto dove racconto in modo “ristretto” parte della mia vita, vorrei dire alle persone che lo leggeranno un piccolo mio pensiero: se avete o avrete dei bambini con la NF, lasciateli vivere la loro vita di bambini, non teneteli sotto un’ala protettrice; naturalmente se fanno qualche cosa che non va vanno ripresi, ma non privateli di fare le proprie esperienze, è un modo per aver degli amici, per avere il contatto con le persone, altrimenti in età adulta potrebbero essere soli.

Giuliano M.

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Una mamma che ama ... la penna

Carissimi, durante l’ultimo convegno sulla NF, ci avete chiesto di portare la propria testimonianza.1 Eccoci qua: siamo una famiglia di Bolzano Viventino (in provincia di Vicenza): mamma Valeria, papà Emilio e poi Martina (25 anni), Laura (22 anni), Elisa (14 anni) e Davide (5 anni); è lui che ha la NF1.Abbiamo fatto conoscenza con questo strano nome nel dicembre 2005.Non stiamo qui a raccontare la trafila perché pensiamo che più o meno sia comune a tutti. Ci piacerebbe però far presente il disagio vissuto all’inizio, non per far polemiche, ma per vedere se magari qualcuno prova a cambiare un po’!Ci abbiamo messo un anno e mezzo a capire cosa aveva Davide, dato che quando i medici guardavano le macchie cominciavano a parlare di convulsioni, poi citavano strane parole incomprensibili e ad ogni richiesta di spiegazioni ci dicevano di non preoccuparci, che ne avremmo parlato più avanti. È lì che scatta l’ansia. Così abbiamo cercato notizie in biblioteca ed è stata una mazzata che ci ha annientato, trasmettendo la nostra angoscia anche a Davide.Finalmente su indicazione della pediatra siamo approdati a Padova dalla Professoressa Drigo. E pur non togliendo il peso ci ha almeno spiegato con parole semplici la situazione. La Dottoressa Marzocchi poi è stata disponibilissima e dolcissima.Ecco: sarebbe bello che ci fosse un lavoro di squadra, entrando in empatia con il paziente e i famigliari. Se qualche medico non è preparato per seguire alcune cose, anche se è bravissimo in altre, potrebbe indirizzare subito le persone nei posti giusti per evitare confusione e angoscia.Certe scoperte cambiano la vita e anche se le altre figlie hanno altre malattie, la parola genetica fa un po’ paura; siamo però

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arrivati alla conclusione di vivere alla giornata. Qualche volta inciampiamo un po’ e metteremmo volentieri Davide sotto una campana di vetro per proteggerlo, ma la maggior parte del tempo riusciamo a comprendere che sta bene, è felice, salta, cresce, gioca e ci riteniamo fortunati visto che ci sono situazioni ben più gravi, anche di altri tipi.

Mamma Valeria

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Esperienza scolastica con la NF

Ciao a tutti! Sono Marika e abito in provincia di Padova.Sono stata adottata a 10 mesi, e il mio corpo presentava varie macchie caffelatte, ma erano state fatte passare per le classiche voglie. La NF mi è stata riscontrata ad un anno, quando fui ricoverata in pediatria a Padova per dissenteria; hanno messo a conoscenza i miei genitori che con il tempo avrei potuto avere dei problemi (noduli, fibromi, ecc.), ma non sui problemi che potevano esserci sull’apprendimento scolastico.A tre anni ho iniziato l’asilo: mi divertivo, stavo bene e andavo volentieri. I primi problemi sono sorti alle elementari: l’apprendimento scolastico non era dei migliori perché non riuscivo a tenere il passo con la classe e per capire bene una lezione, l’insegnante doveva rispiegarmela. Ero sempre stanca e non avevo voglia di fare niente; passavo per svogliata e venivo spesso rimproverata, anche con delle note.Nel frattempo la scienza medica aveva fatto qualche passo riguardo le conoscenze della NF e si capì che la Neurofibromatosi causa anche problemi di apprendimento. Per questo mi affiancarono un’insegnante di sostegno e sono stata seguita dall’equipe neuropsichiatrica del territorio. Grazie a loro sono riuscita a migliorare un po’ e a tenere il passo con la classe.Il passaggio tra le elementari e le medie è stato molto difficile per me; nonostante avessi ancora l’insegnante di sostegno, c’erano delle materie che per me erano dei veri tabù … lingue straniere e matematica proprio non mi entravano in testa! Mi piaceva tanto l’italiano, anche se facevo alcuni errori di ortografia! Alcuni compagni di classe mi prendevano in giro e mi davano della poco normale perché avevo l’insegnante di sostegno; mi evitavano. Tutto ciò mi faceva soffrire e chiudere in me stessa. Non riuscivo ad accettarmi e piangevo sempre.

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Fortunatamente, i miei genitori mi sono sempre stati vicini e avevo anche qualche amica che non mi lasciava sola. In terza media bisognava scegliere la scuola superiore. Era un bel dilemma: bisognava trovare una scuola che andasse bene per me, una scuola professionale dove venisse data priorità alla pratica piuttosto che alla teoria! Sinceramente non sono stata tanto aiutata nel trovare una scuola adatta alle mie capacità; sono stata iscritta in una scuola agraria dell’A.N.F.A.S.: è stata un po’ dura da accettare perché, anche se avevo le mie difficoltà, trovarmi con delle persone diversamente abili mi faceva sentire ancora più inferiore di loro. Le attività che si facevano erano interessanti: la coltivazione degli ortaggi con prodotti naturali, l’accudire gli animali da cortile, preparare da mangiare ... . Ho imparato a vedere con occhi diversi le persone diversamente abili, a voler loro bene, ho capito che sono persone speciali che ti danno veramente tanto; però non mi sentivo soddisfatta, sapevo che nel mio piccolo avrei potuto dare anche di più. Alla fine dei tre anni, la scuola avrebbe dovuto inserirmi in aziende di lavoro adatte a noi, o meglio, a loro: i miei compagni; infatti, io mi ritrovai a casa senza lavoro perché quelle aziende assumevano solo persone diversamente abili. Trovare lavoro non è stato semplice, ancor di più se non hai niente in mano; e così per quasi un anno sono rimasta a casa. Poi decisi di tornare a scuola e poiché un mio grande hobby era cucinare, ho scelto una scuola alberghiera di Belluno, con convitto dal lunedì al venerdì. Speravo di avere imboccato la strada giusta, una strada che mi avrebbe aiutato per il futuro. Ero tanto felice di iniziare, ma purtroppo anche qui ci sono state delle difficoltà, non tanto per le materie scolastiche dove andavo bene! Il problema era il comportamento dei miei compagni di scuola. Io timida e un po’ chiusa, ero sempre presa di mira e offesa per il mio aspetto fisico, derisa quando non capivo subito qualcosa.

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Era dura, ma cercavo di sopportare perché mi piaceva la scuola; ma a lungo andare era sempre più difficile anche perché non avevo nessuno con cui parlare e sfogarmi. Verso la fine di ottobre del secondo anno, mi sono ritirata da scuola e ciò che mi fece più male fu che la direttrice disse che dovevo capire i compagni perché alcuni avevano disagi e problemi di comportamento. Ma io allora, cosa avrei dovuto fare? Prendermela in modo cattivo con tutti perché avevo la NF? Non faceva certo parte del mio carattere; così mi sono ritrovata di nuovo a casa, senza nulla in mano.Però non ho voluto scoraggiarmi e mi sono iscritta a scuola guida. Avevo un po’ di paura di non capire bene la teoria; invece è andato tutto bene e dopo aver preso la patente, piano piano ho preso sicurezza dentro di me. Ho fatto un corso di front-office e un altro di computer; in quest’ultimo me la cavavo bene. Non avendo un diploma trovare lavoro in qualche ufficio, però, non è facile. Ho provato a lavorare in fabbrica, ma per me era molto dura: non riuscivo a stare in piedi molte ore perché mi stancavo e mi faceva male la schiena. Allora ho iniziato a fare delle supplenze come collaboratrice scolastica fino a raggiungere un posto in graduatoria per lavorare annualmente.Ora ho 28 anni e sono soddisfatta del mio lavoro! Ogni tanto ripenso al mio passato, a quanto ho sofferto per certi disagi del mio percorso scolastico; però, sono stata anche fortunata perché sono sempre stata sostenuta da qualcuno: prima di tutto dai miei genitori che mi hanno dato tante spinte, alcune professoresse e qualche amica. Mi hanno aiutato tanto anche le riunioni con la LINFA perché, oltre ad aggiornarmi sulla mia malattia, mi hanno dato la possibilità di conoscere altre ragazze e ragazzi che più o meno hanno le mie stesse difficoltà e di partecipare a dei bellissimi incontri per i giovani nei quali abbiamo condiviso gioie, dolori ed emozioni, ma soprattutto

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esperienze. Spero con tutto il cuore che il progetto scuola2 aiuti tutti, particolarmente gli insegnanti per andare incontro ai ragazzi con NF e alle loro famiglie; per far si che tutti, anche con le loro difficoltà non si sentano più soli e indifesi; ma soprattutto perché non si ripetano più certi errori del passato: la scuola è quasi una seconda famiglia per gli studenti e tutti hanno il diritto di essere aiutati ad integrarsi nell’ambiente scolastico, sia come studio sia con i compagni: ringrazio la cara amica Elena R., ideatrice di questo progetto, e tutti coloro che hanno collaborato per renderlo fattibile.Vi saluto con queste parole “goccia dopo goccia nasce un oceano, aiuto dopo aiuto ce la faremo, insieme la solitudine sconfiggeremo”.

Marika M.

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Una storia “al contrario”

Mi sono domandata a lungo cosa potessi scrivere per descrivere la mia esperienza, ma poi ho deciso di seguire il mio istinto... ossia ho sempre fatto le cose al contrario e anche ora descriverò la mia esperienza partendo da oggi e andando indietro con gli anni.

Salve a tutti sono Valentina, ho 22 anni, frequento il terzo anno di Conservazione dei beni culturali a Udine (con la flebile speranza di trovare un lavoretto). Ora in poche persone si accorgono che ho la Neurofibromatosi 1 se non fosse per un rialzo sulla scarpa sinistra e le varie e tipiche macchie caffelatte.In passato, però, era ben visibile che avevo qualche problema: dall’età di 7 anni fino ai 15 ho portato il corsetto ortopedico (più conosciuto come busto) perché avevo una bella scoliosi e quindi facevo anche fisioterapia e nuoto.A 15 anni mi sono dovuta operare (l’intervento è stato fatto al Burlo Garofano di Trieste) perché altrimenti avrei rischiato uno scivolamento vertebrale (cosa poco piacevole) e dopo 10 giorni a letto, 100 di gesso e altri (ma ultimi) nove mesi di busto.Questo è in parte il mio decorso ospedaliero a cui si dovrebbero aggiungere tutte le visite ortopediche, genetiche, fisiatriche, cardiache, oculistiche... ecc, ma lascio stare altrimenti viene l’ansia anche a me... .L’altro decorso è quello della vita di tutti i giorni e, devo dire la verità, è stato molto più duro da sopportare. Dico questo perché fin da quando andavo alle elementari ero presa in giro perché non ero “come gli altri” e man mano mi isolavo sempre di più e il periodo delle medie è stato quello più difficile. Al liceo invece andò meglio nel senso che non venivo più derisa, ma neanche coinvolta nella vita di gruppo, forse anche a causa del mio carattere, infatti, ero diventata una persona chiusa, introversa e poco socievole.

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Adesso che vado all’Università, la situazione è migliorata: ho qualche amicizia e sto facendo sforzi enormi per essere più aperta.In tutta questa storia ho trovato persone che mi sono state di grande aiuto, in primis i miei genitori e mia sorella: molto probabilmente senza di loro avrei gettato la spugna alle prime difficoltà.Alla fine della mia esperienza vorrei dare dei consigli a chi si trova per la prima volta ad affrontare questa malattia: innanzi tutto vivete la vita di sempre (nei limiti del possibile) non rinchiudetevi in casa, ma uscite fuori e manifestate tutta la gioia di vivere; se siete genitori parenti o amici di persone malate state loro vicine perché in molti momenti avranno bisogno di sostegno soprattutto morale.Concludo con un saluto rito a tutti: vivete felici.

Valentina M.

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Elisa e la Neurofibromatosi

Mi chiamo Elisa, ho 28 anni e sto finendo il corso di laurea in Scienze della Formazione Primaria.Fino a questo momento (primavera 2008) non sapevo nulla dell’esistenza dell’Associazione LINFA. Infatti, ho conosciuto LINFA grazie ad Elena, una mia amica e compagna di studi. Nel nostro corso di laurea sono previsti alcuni esami per specializzarsi nel sostegno ai bambini disabili. Nel corso di psicopatologia dello sviluppo l’insegnante aveva chiesto a noi studentesse se volevamo esporre le nostre conoscenze relative ad alcuni argomenti non trattati nel corso. Per questo motivo Elena ha deciso di tenere una lezione sulla NF.Fino a quel momento le mie conoscenze sulla malattia erano molto povere e acquisite durante l’infanzia. Quindi, l’esposizione fatta è stata per me occasione di scoperta di nuovi aspetti della malattia che non conoscevo. Questa è stata per me una grossa occasione perché la mia compagna oltre a fare un’esposizione brillante, ha dato a me e alle mie compagne di corso una “testimonianza di vita”. Per esempio non sapevo che una delle complicanze della malattia fosse legata alle “disabilità motorie.”Ritornando alla mia infanzia ricordo che durante il periodo delle elementari e delle medie facevo molta fatica a muovermi con scioltezza e dinamicità, ero lenta nel correre e nel fare gli esercizi di ginnastica e non amavo partecipare alle attività sportive. Inoltre quando avevo sei anni, ho dovuto portare una benda nell’occhio destro per fermare la vista che continuavo a perdere. Tutti questi aspetti hanno influenzato un po’ la mia vita sociale e i miei rapporti di amicizia. Non era semplice per me essere sempre l’ultima a essere chiamata durante l’ora di ginnastica, non riuscire a prendere la palla quando giocavo in cerchio con le mie compagne.

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Con il passare del tempo ho iniziato ad avere problemi di udito e a perdere ancora la vista. A causa di questo mi stanco molto facilmente, faccio fatica a studiare e sono molto lenta nelle attività manuali.Elena al termine della sua esposizione ha usato un’espressione che mi ha colpito tanto “bisogna contrastare la malattia prendendola per le corna”. Per me significa che non dobbiamo farci schiacciare dai nostri limiti, ma chiederci che cosa possiamo fare nonostante questi. Sto imparando e cercando di capire che cosa posso e sono in grado di fare, sto sforzandomi di non confrontarmi più con gli altri e ad accettarmi così come sono. L’incontro del 20 aprile3 è stato interessante, ho conosciuto persone piene di coraggio, medici che si battono per la ricerca, amici che “inventano” attività ed esperienze svariatissime per raccogliere fondi per la LINFA.Mi sono sentita accolta e parte di una grande famiglia. Non ho trovato neppure imbarazzo a porre le domande perché ho trovato persone disponibili e pronte ad aiutarmi.

Elisa N.

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La “forza” di Paola

Mi sei entrata dentro senza chiedermi il permesso

e ti sei impossessata del mio corpo...

ti sei rubata la mia serenità

per darmi in cambio paure e incertezze

cammini sempre al mio fianco

ma non per sorreggermi... .

La tua malvagità è diventata la mia forza

con la quale giorno dopo giorno cerco di combatterti.

Paola

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Il punto di vista di una mamma e un papa’

L’esperienza di nostra figlia con la NF è stata molto sofferta, in particolar modo per quanto riguarda la scuola.Quando cominciò la prima elementare andava tutto bene, ma verso la primavera la maestra notò che passare dallo stampatello al corsivo per lei era difficile rispetto agli altri bambini; inoltre la maestra notava che la bambina era stanca e quando lei spiegava sembrava avesse la testa tra le nuvole. Noi pensavamo fosse il cambio di stagione, l’anno che stava per finire e che fosse stanca per i tanti compiti che la maestra assegnava per casa. Oltre a nostra figlia, c’erano anche altri due bambini che non restavano al passo con i compagni.Cominciò il secondo anno e la maestra era molto brava, ma anche esigente. Nostra figlia aveva difficoltà in matematica e faceva molti errori di ortografia; così per ogni errore, doveva riscrivere anche per cinquanta volte. In questo modo era impegnata fino a sera con i compiti. La maestra ci diceva che era svogliata e non si impegnava. Iniziammo a prendercela con lei e pensammo di cambiare scuola. All’inizio del terzo anno la maestra morì in un incidente così arrivò una nuova insegnante che ci disse sarebbe stato meglio che la bambina fosse seguita dalla psicologa dell’USL e ci consigliò di farla vedere dal neuorologo della pediatria. Quest’ultimo ci disse che le difficoltà della bambina dipendevano dalla Neurofibromatosi e ci consigliò di affiancarle l’insegnante di sostegno; questa insegnante fu molto comprensiva e ci suggerì di mandare la bambina a fare dello sport e quando non aveva voglia di fare i compiti, andava bene lo stesso. L’insegnante di sostegno non era solo per nostra figlia, ma per tutti i bambini che ne avevano bisogno.Con il passaggio alle medie, nostra figlia soffriva per la presenza

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dell’insegnante di sostegno: la maggior parte dei compagni la evitava, facendola sentire diversa. Finite le medie siamo stati mal consigliati; la psicologa la mandò in una scuola che non era adatta a lei con la promessa che alla fine dei tre anni le avrebbero trovato un lavoro, ma non fu così. Ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo cercato tanto.A 20 anni trovò un lavoro, ma non durò a lungo. Noi non ci siamo persi d’animo perché la nostra fede è molto forte ed ora, da cinque anni ormai, nostra figlia ha un lavoro fisso ed è contenta.Vorremmo dire ai genitori di questi ragazzi di non scoraggiarsi mai, che questi nostri figli sono dei gioielli delicati, ma molto preziosi. Sarebbe bello che all’interno dell’Associazione ci fosse uno psicologo che potesse aiutare questi nostri ragazzi e noi genitori con dei buoni consigli.Ringraziamo comunque LINFA per tutto ciò che ha fatto, fa e farà in futuro!

I genitori di una giovane con NF

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Convivenza con la NF1

Mi chiamo Simona sono nata il 2 marzo del 1974.Mia mamma racconta che la notte in cui siamo nati (ho un gemello), o meglio la notte del travaglio, era la classica notte buia e tempestosa; da lì secondo me si poteva già intuire tutto.La mia famiglia è numerosa: siamo 5 figli, cioè ho 3 fratelli e una sorella, tra me e mio fratello più grande corrono 11 anni di differenza con il secondo 10 e con mia sorella 5, e poi come già sapete c’è il mio gemello.Sono l’unica in famiglia ad avere questa malattia, per fortuna.La malattia ha cominciato a manifestarsi presto, credo nei miei primi mesi di vita, perché quando avevo 6 mesi i miei mi portarono all’ospedale Mayer di Firenze, perché sembrava che non muovessi bene un braccio, ma questo non c’entra niente con la NF1; lì mi vide un pediatra che notò le prime macchie caffelatte e disse a mia mamma che secondo lui avevo qualcosa che non andava, ma prima avrebbe voluto rivedermi più avanti; mia mamma non mi portò più.La mia vita fin qui si svolse uguale a quella di tutti i bambini: un’infanzia tranquilla, circondata da tanti animali perché si viveva in una casa grande con un cortile immenso, stalla e quanto altro può esserci in una classica casa di campagna, anche se non eravamo in campagna ma in centro al paese. Dicevo circondata da tanti animali, dagli amici dei miei fratelli più grandi; ricordo bene: erano veramente tanti, anche loro erano un po’ come dei fratelli.In quel periodo, avevo più o meno 3 anni, venne a vivere con noi il padre di mia mamma che era stato ricoverato in un ospedale psichiatrico quando aveva circa 40 anni e n’era uscito all’età di 80 con la legge Mammì che fece chiudere tutti i manicomi. Non mi vergogno a dirlo, mio nonno aveva vissuto metà della sua vita

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rinchiuso in un manicomio per un esaurimento nervoso. Con tanti figli che aveva mia mamma è stata l’unica a prendersi l’onere di accoglierlo in casa; mi ricorderò sempre la sera che arrivò: un omino magro con il cappello e la barba, noi piccoli ne eravamo affascinati. Così la mia famiglia da sette componenti divenne di otto.Come dicevo fin qui la mia vita si svolge normalmente, finché un giorno, avevo 4 anni, mia mamma decise di farmi fare il vaccino per la pertosse; non ho mai capito perché con tanti figli che eravamo solo a me fece fare il vaccino, anche se non c’entra niente con la NF1 io collego sempre a quel fatto, anche perché mi venne lo stesso la pertosse che, come è risaputo, si presentò con una tosse stizzosa: da quanto tossivo l’occhio destro sembrava volesse uscire dall’orbita. I miei fratelli più grandi dicevano “guarda, dallo sforzo di tossire le escono gli occhi”. Mia mamma cominciò ad impensierirsi e mi fece vedere dal pediatra che mi seguiva all’epoca e lui rispose “abbiamo tutti una parte più grande dell’altra”. Mamma, che era molto apprensiva, non si convinse e mi portò da un oculista che disse ai miei di portarmi qualche giorno dopo all’ospedale, perché là aveva macchinari più specifici per esaminarmi. Venne il giorno e mi portarono al pronto soccorso dell’oculistica di Firenze. Ricordo ancora come fosse ieri: l’oculista mi fece entrare e mi mise a sedere sul lettino, cominciò a guardarmi il fondo dell’occhio destro e dopo poco esclamò “ma qui c’è qualcosa”. Dietro di lui c’era un’altra dottoressa che disse “non è possibile, fammi vedere”. Le passò lo strumento e guardò anche lei che confermò quello che aveva detto il primo dottore. Mi ricoverarono e cominciò il mio calvario: le prime tac, radiografie, analisi varie … e non dimenticherò mai le punture che mi facevano per farmi passare la pertosse, erano di un doloroso unico, quando arrivò il giorno dell’ultima iniezione riuscii a scappare e mi nascosi nella stanza

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ricreativa del reparto bambini, mi misi in un angolo e non mi feci prendere; l’infermiera e mio padre si rassegnarono, io non volevo più tornare in stanza perché avevo paura che avessero nascosto la puntura e una volta tornata nella stanza me la avrebbero fatta. Ricordo l’infermiera che mi diceva di tornare nella stanza a mangiare che la puntura non c’era più; alla fine mi convinse.Una volta curata la pertosse gli oculisti dissero ai miei che loro non potevano fare niente che dovevo essere operata da un neurochirurgo, aspettai un po’ di tempo lì nel reparto bambini dell’oculistica di Careggi, che si liberasse un letto nel reparto Sesto Primo del C.T.O. di Firenze.Quando ci fu il letto venni trasferita al C.T.O. e lì ricominciarono analisi su analisi per capire meglio che cosa avevo. Dopo la TAC videro che avevo un glioma al nervo ottico, ma hanno aspettato un po’ prima di operarmi. Era dicembre quando mi ricoverarono al C.T.O; mi tennero fino alla vigilia di Natale e il 24 mi mandarono a casa per passare il Natale in famiglia, però il 26 mi riportarono in ospedale. Io non volevo tornarci e piantai una di quelle bizze che solo i bambini sanno fare: i miei, per convincermi, misero in macchina anche la micia che avevo all’ora, una gattina bianca e nera. Mi convinsero e via di nuovo in ospedale; mi ricordo che le infermiere, dal momento che c’era anche un altro bambino, ci regalarono la calza per la Befana. Sergio, il bambino che era ricoverato con me non ci vedeva più a causa dell’idrocefalia; era diventato un caro amico che purtroppo non c’è l’ha fatta.Dopo tante insistenze da parte di mia mamma e degli oculisti, il neurochirurgo si decise ad operarmi anche perché l’occhio continuava a venire in fuori sempre più e mi faceva male una gamba.Mi operò di gennaio; ricordo che la sera prima il barbiere mi aveva rasato la testa. La mattina dell’intervento non mi avevano dato la colazione, per ovvi motivi, ma io volevo andare al bar

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dell’ospedale a prendere un cappuccino e dal momento che mia mamma non voleva chiesi i soldi ad una persona che era lì: se ci ripenso mi vergogno un po’, e dire che questo signore me li aveva anche dati! Riescono a prendermi, mi portano in sala operatoria e mi fanno respirare in una mascherina… poi il buio più totale.Il ricordo successivo è un dolore inimmaginabile, ancora oggi l’ho impresso nella mente, mi hanno raccontato che saltavo nel letto e non riuscivano a tenermi ferma; so che accanto a me c’erano mia mamma e uno zio perchè mio padre era a casa con i miei fratelli. Ricordo ancora che gridavo “zio manda via il male, ti prego”.Il bello che chiamavo mio zio e non mia madre. Passata la notte in questo modo, il giorno dopo mi sveglio e quando passano i dottori a medicarmi si accorgono che l’occhio destro non lo apro più e, sorpresa, non ci vedo più; per loro è strano e non ci credono fino a che se ne rendono conto. Praticamente l’occhio destro era diventato cieco, non lo aprivo e mi era venuta una ptosi alla palpebra forse dovuta all’intervento, inoltre l’occhio guardava verso il basso e non lacrimava più. Questo perché il glioma aveva inglobato il sacchetto lacrimale e tutti i muscoli dell’occhio che nell’intervento erano stati recisi.Passano i giorni e i medici continuano a fare le prove per vedere se ritorna la vista, poi viene il giorno che decidono di sfasciarmi la testa e togliere i punti; altro dolore: non so, ma quando ti tolgono un drenaggio dalla testa sembra che ti strappino tutte le ossa. Ancora qualche giorno di degenza e poi mi mandano a casa.E da qui in poi cerchiamo di riprendere la nostra vita di sempre. Mia mamma essendo sarda si stava mettendo d’accordo con un suo fratello per portarci in Sardegna. Nel frattempo arriva il giorno della TAC di controllo, e da lì un’amara sorpresa, i medici dicono che non si può partire e che devo essere ricoverata un’altra volta perché si è formato un altro glioma: questo era più o meno maggio e a giugno vengo operata di nuovo per togliere il nuovo glioma

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che si è formato nello stesso posto del primo. Questa volta è grosso come una nocciolina americana mentre il primo era più o meno come una nocciola. Mi ricorderò sempre di Massimo, un infermiere che lavorava in quel reparto; la seconda volta che mi hanno operata fu lui a rasarmi la testa e mi disse “la prossima volta che entri qui dentro ti voglio più alta di me e con i capelli che ti arrivano al sedere”. Era sempre a farmi i dispetti: dal momento che mangiavo poco, una volta mia madre mi comprò una schiacciatina con la mortadella, mentre la stavo mangiando tutta tranquilla arrivò Massimo che me ne chiese un morso, ma io, che sono un tipo un poco schizzinoso, dico di no così lui, per farmi uno scherzo, mi toccò la schiacciata e mi disse “sai ho appena lavato un morto”: non ho più voluto la schiacciata. Dopo, tutto mortificato, mi disse che era uno scherzo.Una volta uscita dall’ospedale tornai all’asilo; però, dal momento che non riaprivo l’occhio destro tutti mi chiedevano cosa avessi fatto; io spiegavo che avevo avuto una ciste. Mi stancai presto degli sguardi della gente anche perché spesso e volentieri mi fissavano. Passò un po’ di tempo e fui ricoverata in oculistica per rimettere in assetto l’occhio dal momento che i muscoli erano stati recisi, infatti, l’occhio guardava verso il basso; lo rimisero a posto. Anche questa volta rimasi diverso tempo in ospedale, credo intorno ai 2 mesi. Praticamente l’oculistica e il C.T.O. erano diventati le mie seconde case. Per rimettere in assetto l’occhio hanno dovuto farmi 2 interventi. Mi ricordo che ero nel reparto bambini e mi ero fatta diversi amici, il problema è che loro andavano via io invece dovevo rimanere lì, quindi ogni volta che un bambino veniva dimesso io piangevo, un po’ perché mi dispiaceva di perdere un amico e un po’ perché io non potevo andare a casa ed ero stanca di stare lì dentro!Quando uscivo dall’ospedale, andavo a giocare con delle

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bambine della mia età, ma non mi volevano e mi dicevano di andare via perché io non avevo un occhio. Questo accadeva solo con queste bambine che si erano trasferite lì da poco, ma se andavo a giocare con i bambini e un’altra ragazzina più grande questo non accadeva. Il problema era che non potevo sempre stare con i maschietti o questa bambina più grande; poi piano piano anche le altre bimbe mi hanno accettato, anche perché andavo in classe con una di loro. Poi abbiamo cambiato casa, ci siamo trasferiti in un altro paese, e qui le cose sono peggiorate. Non riuscivo ad inserirmi, almeno dove stavo prima avevo i bambini o dei ragazzi più grandi con cui stare e che non badavano al mio aspetto. Ho passato gli ultimi anni delle elementari e le medie quasi sempre da sola: mi veniva l’angoscia la mattina quando dovevo andare a scuola, infatti facevo molte assenze; non esagero se dico che in quel periodo gli unici amici che avevo erano i miei amati animali a loro non importava se avevo un occhio chiuso, e quant’altro. Non accettavo questa situazione, e allora gli oculisti decisero di provare a fare un intervento per riaprire l’occhio. Anche perché ero stufa di sentirmi dire “tu vai via, non puoi stare con noi, perché non sei come noi”. Quando gli oculisti provarono ad aprire l’occhio avevo all’incirca 8 anni, ma l’intervento non riuscì. L’occhio non si apriva, e dicevano che se fossi nata con quella situazione sarebbe stato diverso, perché una ptosi dalla nascita è più facile. Quindi decisero che avrei dovuto aspettare ancora un po’ fino ai 14 anni circa, perché il volto avrebbe smesso di crescere ed avrebbe assunto i lineamenti definitivi. Nel frattempo finii le elementari e cominciai le medie; la mia situazione sociale non migliorò, anzi per certi versi peggiorò: i compagni mi facevano scherzi di cattivo gusto e continuarono le prese in giro; in più se incontravo mio fratello, lui spesso e volentieri faceva finta di non vedermi: anche se io lo salutavo lui non mi rispondeva. Una sera, presa dallo

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sconforto, lo raccontai a mia mamma e lei mi disse “poverino lo devi capire, si vede che lui si vergogna”. Io dovevo capire lui e anche scusarlo, in fondo la colpa era mia se lui non mi salutava.Poi un giorno mi chiamò l’oculista che mi aveva in cura da piccola, quello che aveva diagnosticato il glioma per farmi visitare da un nuovo dottore, oculista e chirurgo plastico; non dimenticherò mai il sorriso che aveva quel giorno quando mi disse, “vedrai lui saprà risolvere il tuo problema.”Qualche tempo dopo mi ricoverano di nuovo per fare questa tanto agognata plastica, ma il nuovo dottore non mi voleva operare per il fatto che l’occhio non lacrimava e quindi a contatto con l’aria si sarebbe impiagato e dopo sarebbe molto doloroso. Vista la mia delusione e dopo aver parlato con mia mamma, decide di operarmi. Quindi vengo ricoverata. Il giorno dopo i medici sono tutti contenti, l’intervento è riuscito. Passa una settimana e viene il giorno della dimissione, e il medico mi dice “vuoi vederlo, vuoi vedere come è venuto?” io mi rifiuto, non voglio vederlo non per l’effetto, ma perché non voglio rimanerci male, come era successo la volta precedente. Lui ci rimane un po’ male anche perché dice che l’occhio è davvero aperto. Mi manda a casa, e io qualche giorno dopo, mi sbendo e mi guardo allo specchio e come volevasi dimostrare l’occhio si è richiuso di nuovo. A questo punto decido di farmi operare dalla sua maestra come l’ha chiamata lui. Questo l’anno dopo, e vengo ricoverata all’ospedale di Parma, perché questa dottoressa è francese e in Italia viene due volte l’anno una volta opera a Parma e poi torna sempre nella stessa città per vedere i pazienti operati 6 mesi prima e poi va a Lucca e segue lo stesso iter. Insomma vengo operata a Parma; lì decidono di togliere l’occhio, perché consapevoli che si sarebbe ulcerato, questo accadeva ogni tanto anche con la palpebra chiusa. Insomma mi fanno questo intervento, ma l’occhio non lo tolgono trovano un altro sistema per salvarlo. In questo modo passo tutta l’estate

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avanti e in dietro dall’ospedale, perché il ricoprimento sclerale che avevano deciso di fare per salvare l’occhio non teneva, perché hanno scoperto che questo sistema su una cornea buona non regge. Un giorno disse “mi mangerei le mani, hai un occhio buono funziona tutto però manca il più!” Perché dopo il secondo glioma mi avevano tolto il nervo ottico. Insomma si fissa la data dell’intervento per togliere l’occhio, ma nel frattempo l’occhio si impiaga e la data verrà anticipata al 19 marzo del 1990. Come è strana la memoria, certe date ti rimangono impresse come se fossero marchiate a fuoco!Mi sono dimenticata di dire che prima dell’intervento plastico la dottoressa si è accorta che la mia tempia destra non era ricresciuta, o meglio durante il primo intervento era stato scalfito l’osso per ripulirlo da qualsiasi residuo del glioma, e quindi decide di ricostruire l’osso. Nel maggio del 1991 vengo sottoposta all’ennesimo intervento di chirurgia plastica.Nel frattempo frequentavo le superiori, la situazione era un po’ migliorata, anche perché crescendo non si fa più caso a certe cose. Ma la mia situazione scolastica era pessima, per via delle molte assenze e poi non so, avevo ed ho grossi problemi per scrivere, infatti il prof. di italiano diceva “avresti diritto a una persona che scrive per te, perché parti bene, non ci sono errori, ma poi o ti distrai o ti stanchi e quindi cominci a farne a bizzeffe”.Comunque raggiungo la qualifica di tre anni per assistente per l’infanzia, ma mentre frequentavo questa scuola uno dei miei fratelli mi consiglia di frequentare la scuola per centralino, che in ogni modo per via dei miei problemi di vista il lavoro come maestra d’asilo non l’avrei mai trovato.Vengo sottoposta alla ricostruzione della tempia passo i mesi successivi a mangiare frullati o cose morbide, la prima cosa che ho masticato è stato dopo 2 mesi circa. Passa l’estate e nel frattempo mi sono iscritta a questa scuola

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nuova. Il primo giorno di scuola ero nervosa, anche perché temevo di non essere accettata come era sempre successo, e invece mi hanno accolta con molto calore: ho trovato tanti amici sinceri e lì mi sono accorta che non ero poi così sfortunata, ero a contatto con tanti ragazzi non vedenti, alcuni avevano accettato la situazione altri no, ma con il tempo sarebbero stati in grado di accorgersi di poter fare una vita normale, con i suoi problemi si ma una vita uguale agli altri.In questa scuola ho conosciuto Sirio, anche lui faceva un po’ fatica ad accettare la sua situazione di ipovedente, ma a contatto con questi si è accorto di quanta forza di volontà avevano gli altri e piano piano ha accettato la sua condizione. Durante questi anni di interventi non ho mai smesso di fare controlli su controlli. Nel 1994 faccio la risonanza magnetica di controllo e lì hanno visto che c’erano due macchioline: una di diversi centimetri nella zona occipitale destra del cervello e una di qualche millimetro in quella parietale sinistra. A questo punto mi operano per la terza volta alla testa: questa volta per togliere un astrocitoma pilocitico della zona della vista, che mi ha lasciato problemi all’unico occhio rimasto; oggi ho il campo visivo ridotto e in più allucinazioni visive: vedo fiori e punti luminosi. Per il momento continuo a fare ogni 18 mesi la risonanza e ogni 6 mesi il campo visivo, per quanto riguarda l’altra macchiolina che c’è, in 14 anni è cresciuta di poco (ora è di 1 cm).A volte avrei tanta voglia di gettare la spugna, di dire basta lasciatemi in pace non né posso più! Anche perché il mio incubo ricorrente è: io sono sdraiata su una barella o lettino non ricordo bene e grido “basta, lasciatemi non sono una cavia!” La mia vita procede come per tutti, con alti e bassi, però ci tengo a dire una cosa: IO SONO AFFETTA DA QUESTA MALATTIA MA NON SONO MALATA O MEGLIO NON MI SENTO MALATA.

Simona G.

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Vita famigliare con un bambino con NF1

Sono Mariateresa, moglie da 17 anni e mamma di tre figli di 16, 11 e 7 anni. La vita famigliare trascorreva tra varie prove in modo tranquillo fino a quando è nato il bambino più piccolo affetto da NF1. All’inizio questa nascita ha portato scompiglio e sofferenza, viaggi Vicenza - Padova - Milano per capire di cosa si trattasse, ma la gioia che ci trasmetteva e ci trasmette questo bambino ci ripaga in modo infinito rispetto a quello che comporta vivere e convivere con una malattia.Attraverso questa nuova esperienza io e mio marito abbiamo riscoperto una nuova vita cristiana, ci siamo spogliati di noi stessi e di tante cose che prima vedevamo utili, scoprendo non esserlo più. Anche gli altri due figli fanno frutto di questa esperienza che li aiuta a capire quanto sono fortunati e questa fortuna la mettono, a volte, a servizio del fratello più bisognoso.Desidero però più di tutto testimoniare che quando nel grembo c’è il frutto di Dio dobbiamo amarlo incondizionatamente, perché Dio già lo ama prima ancora che sia nato e noi non dobbiamo in alcun modo ostacolare questa nuova vita, qualunque cosa succeda perché “questo è il frutto dell’amore di Dio per me”.A coloro che mi dicono “quanto dovete soffrire” oppure “e un gior-no che ne sarà di un bambino non normale” (che poi vorrei sape-re, con tutti i problemi che ci sono, cosa vuol dire normale? Forse chi si droga o fa uso di alcoll o altro …?) Io dico: “lasciamo aperta

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la porta alla vita e la vita ci sorride attraverso questo bambino co-raggioso e meraviglioso che ha fatto di noi due genitori nuovi”. Senza dimenticare tutte le meravigliose persone, professori, dottori, infermieri e tutte le altre categorie che spendono la loro vita con passione verso la ricerca, verso un futuro migliore. Grazie di cuore a tutti voi.

Mariateresa

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Attilia &Sara

Mi chiamo Attilia, sono la sorella maggiore di Sara...Sorelle… gemelle? - ci chiedono tutti, nonostante Sarina sia alta, magra, occhi verde-nocciola, capelli rossi e carnagione come porcellana, e io sia più bassa e rotondetta, con capelli e occhi neri, carnagione olivastra. Gemelle... sì, sicuramente nel cuore e nell’anima... un’unione così forte che differenze somatiche e 20 mesi di diversità si annullano anche per chi ci osserva solo dall’esterno.Da piccole le nostre amichette ci chiamavano le 2 tiglie: 2 immagini riflesse da uno specchio: io..., io e mia sorella..., mia sorella e la sua malattia... che ci ha unito ancor più di quanto già lo fossimo..., mia sorella e la sua voglia di vivere..., mia sorella e la sua saggezza, la sua forza..., la Neurofibromatosi e la nostra prigione..., la nostra sfida... .Dopo anni di combattimenti e battaglie, alcune vittorie e molte sconfitte, dopo essersi presa vista, udito, mobilità, sensibilità... la Neurofibromatosi si porta via anche l’anima della mia sorellina. Strappandomela, lasciandomi come mutilata in una realtà che non mi appartiene più... .Contro ogni apparenza tuttavia, non racconterò una storia di dolore e sofferenza, ma di amore e coraggio. Coraggio che una giovane donna ha dimostrato nel dare serenità a chi le stava vicino, mentre (immobile cieca e sorda) ci stava lasciando… di come non sentiva, ma ascoltava... non più con le orecchie…, ma con gli occhi... di come non osservava, ma vedeva… vedeva e ascoltava... non più con gli occhi, ma con la pelle... con la pelle e con il cuore... di come non si muoveva, ma ogni suo gesto, seppur limitato era come una danza di una piccola fata... così aggraziato e magico... voglio raccontare una storia in cui non può e non deve esserci una Fine!

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La consapevolezza della malattia è arrivata presto, per lei... in prima elementare; io facevo la terza. Siamo cresciute in fretta, ma eravamo in 2 a combattere... certe di vincere.Racconterò, per condividere con tutti voi, solo alcune delle tante sfide che abbiamo affrontato... e superato, molte altre ce ne sarebbero, ma so che Sara non vorrebbe parlarne, perciò rispetto la sua volontà e la sua privacy... .Il nostro amore, la nostra unione ci è stata sicuramente d’aiuto, ma ci ha anche ferito a vicenda, a volte.Ho vissuto a lungo (e forse ancora adesso c’è ancora una traccia di questi sentimenti… che non credo se ne andrà mai del tutto) con la “sindrome del sopravvissuto”, la colpa per non essere io quella malata, per non poter far niente, per essere in grado di fare tutto quello che lei non poteva... da parte sua credo sia stato difficile confrontarsi con me e vedermi vivere. Non racconterò l’iter della malattia in modo cronologico e preciso, con tutti gli interventi e le “complicanze” come si fa in un’anamnesi medica: voglio solo descrivere alcuni stralci della nostra esperienza... “polaroid” della mia vita da sorella: vita che mi manca.Racconterò la nostra storia dal mio e dal suo punto di vista... da come ora vedo io le cose e come lei le viveva, descrivendole nei suoi diari.4

Bambina hai mal di denti?1 operazione - fine della 1 elementare. Perdita parziale udito, danni al trigemino.Versione adulta di “perché hai la bocca storta?” dei bambini; anche noi eravamo bambine… e il mio istinto di sorella maggiore era di fare a pugni, qualche volta l’ho fatto e credo che mia sorella mi abbia detto “quello lì mi ha preso in giro!!” spesso per vendicarsi di qualcuno che le stava solo antipatico. Quel visino,

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per me così bello, tanto da invidiarglielo per lei causa di molte sofferenze, anche da adulta.

23 luglio 2001 ore: 14.30In questi momenti mi manca la musica ... mi manca più di ogni altra cosa.Ho deciso di scrivere un diario, forse il terzo o quarto in questi anni, ... ho deciso di sfogarmi con qualcuno o qualcosa che non si lamenti.. che non mi faccia sentire una stupida, la “piccola”... anche di cervello... che fa solo pena; a questo punto mi chiedo “chi è la vera Sara??” NON LO SO NEMMENO IO ... ho la testa che pullula di problemi, vorrei lasciar perdere la salute… eppure credo che siano la causa di tutto... se ripenso alla bambina che ero… così solare, così VIVA.Sono sempre stata una bambina allegra, fin troppo allegra!Poi, dopo la prima operazione, le cose sono cambiate. LA MIA FACCIA… IL MIO SORRISO… ho portato avanti questo problema con la speranza che un giorno lo avrei risolto. Quante volte mi son sentita dire “BOCCA STORTA” quante volte ho pianto… eppure pensavo che non sarebbe stato “per sempre”… man mano che crescevo ho imparato a riconoscere la pena e l’ignoranza negli sguardi delle persone adulte... mi sono chiusa. Ho sviluppato una nuova identità, nonostante tutto continuavo a sognare ANCHE SE MI SENTIVO DIVERSA. Avevo finalmente deciso di farmi una plastica, non mi importava quanto male dovessi sopportare. Ho fatto le visite, gli esami.. però c’era qualcosa, sentivo strani sintomi al labbro, un formicolio… ma ho taciuto per così tanto che per poco non perdo la vita.Mi hanno presa in tempo e ho perso l’udito e l’altra parte della faccia. ADESSO SONO UN MOSTRO.I comportamenti della gente sono peggiorati e anche la Sara è cambiata non guardo in faccia la gente, evito quell’ammirazione compassionevole... evito tutto il resto. Mi chiedo se un giorno potrò uscire senza paura... vedo solo occhi puntati su di me.AIUTO ARRIVA L’ALIENO!!Anche mia madre mi fa sentire inferiore… ogni cosa che faccio nel bene o

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nel male lei dice POVERA PICCOLINA e so che mi ammira perché nonostante i miei problemi mi sono costruita una vita nel mio piccolo mondo silenzioso. Ho tante cose da dire e sono tutte aggrovigliate nella testa.. non so da dove cominciare.. non lo so proprio.

C’e’ Gigi?Neurofibroma sul sopracciglio - adolescenzaI Gigi… fa decisamente meno paura de “i neurifibromi”. È più amichevole, gestibile... quasi simpatico; strategie, piccoli trucchi per apparire più bella, usando un linguaggio tutto nostro. “C’è Gigi?” bastava chiedere, e se “c’era” bastava solo sistemarsi la frangia… e oplà si poteva continuare la serata lasciando i Gigi nascosti, dimenticandosene almeno per un giorno, per una sera.

Ma lei..?Sordità 16 anniÈ stato difficile… per un momento di fronte a tanti “no” avevamo pensato che qualcosa di innominabile ci avrebbe separato, ma no, non è successo. Non a lei, ancora troppo forte per rassegnarsi… e non combattere! Il prezzo da pagare è stato alto… per lei che era un ciclone, che era urla e musica a tutto volume e rumori... . Silenzio… all’improvviso, nessuna voce… tutti i suoi CD in pila; girano, ma non emettono più alcun suono, nessuna emozione.Io non ho più ascoltato un CD, non ho più acceso la radio in macchina. Mi sono sentita in colpa di poter sentire ciò che lei non poteva, avrei voluto spegnere con un interruttore il mio udito e regalarglielo!Accettare la logopedista, imparare a leggere il labiale… ci è riuscita! Anche a portare avanti il liceo linguistico, a studiare lingue mute, da sola. CHAT e SMS le hanno comunque permesso di comunicare, di non rinchiudersi nel suo mondo.

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Tra noi due un linguaggio di gesti e sguardi codificati: era bello poter dire quello che si voleva anche davanti agli altri che non capivano, era divertente… soprattutto quando le persone si rivolgevano a me chiedendomi (guardando Sara), “Ma lei..?” non sapendo che poteva benissimo leggere le labbra e fare commenti non sempre carini nei loro confronti… dai quali era molto difficile trattenersi per non ridere in faccia all’interlocutore di turno.Piccoli block notes accompagnavano le nostre serate fuori, non ha mai rinunciato alla discoteca (credo che la musica lei ce l’avesse dentro); alcuni li conservo ancora. Penso che usasse questa tecnica anche per incuriosire chi le interessava: era sempre circondata da “ammiratori”… . Ho scoperto solo leggendo i suoi diari di quanto fosse insicura; in realtà “dall’esterno” si poteva vedere solo come una ragazza bella e silenziosa, un po’ restia a far nuove conoscenze... .Lei sapeva sempre come trasformare qualcosa di negativo in un punto di forza.

Parole di una canzone..4 novembre 2000 ore: 0.20Che bella! Ma te la ricordi? Sara te la ricordi quando l’ascoltavi alle 3.00 del mattino all’ospedale?? E quante altre ne sentivi. Sentivi i Backstreet Boys, i Prodigy… Dio che bei tempi... poi la domenica c’era la sala… ke ricordi… chissà chi leggerà questo quaderno… uno psichiatra forse o forse rimarrà solo per me solo un altro frammento di ricordi. Ma chi voglio prendere in giro? Adesso farò qualcosa... probabilmente i puzzle o matematica… da sola, sempre sola, nel silenzio… .

Secondi passiOperazione alla colonna - perdita di sensibilità/mobilità degli arti inferiori - 18 anni circaNessuno di noi si ricorda i suoi primi passi, non ci ricordiamo

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quanta fatica abbiamo fatto per mettere un piedino di fronte all’altro e quanta soddisfazione e felicità abbiamo dato ai nostri genitori e, probabilmente, anche a noi stessi!Quello che ho imparato da Sara e dalla sua malattia è quanto ogni semplice gesto, ogni azione per quanto normale e scontata ci possa sembrare è (o è stata) in realtà una conquista... .E quando dopo mesi di palestra e ginnastica ha ripreso piano piano a camminare, bè io non mi ricordo nemmeno i suoi di primi passi (ero troppo piccina) ma vi assicuro che i secondi sono stati per noi di gran lunga più soddisfacenti!!! Li abbiamo potuti festeggiare e ricordare... con lei ogni giorno è stato fonte di emozioni: positive e negative, ma sempre intense… emozioni che valeva la pena di vivere... !

LiceoL’ammiro… . Io credo che molto probabilmente avrei lasciato la scuola, ma lei no… anche tra mille difficoltà, tra un’operazione e l’altra, tra mesi di riabilitazione per imparare a comunicare senza sentire e poi per ricominciare a camminare… tra un malessere e l’altro, tra mesi di assenze… ce l’ha fatta! Il suo esame di maturità mi ha reso molto più orgogliosa del mio perché lei non sentiva le domande in inglese, spagnolo, tedesco… non ha voluto aiuti, niente di scritto; lei non ha udito la sua voce, ma io sì... e mi ha reso felice condividere con una persona così forte il patrimonio genetico!

5 novembre 2000 ore: 1.00Che bello posso sfogarmi. Lo faccio volentieri. Voglio vedere se pagina dopo pagina, parola dopo parola riesco a farmi passare sta roba che mi sento dentro… ke 2 balle!! Sono un po’ pallosa lo ammetto, del resto non ho mai cercato di cambiare argomento su sto quaderno… . Io non so bene come mi devo comportare, non so cosa dire… . La classe?! Non mi lamento delle

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mie compagne, anche se devo ammettere che l’anno scorso a Rivanazzano mi hanno proprio fatto male: Dio, non ho mai pianto così tanto per la mia sordità; mi sono sentita sfruttata e trattata come una che non è molto sveglia... ma FUCK U! Più vado avanti e più mi rendo conto che questo quaderno non ha senso, salta da una frase all’altra senza un legame preciso, non me ne frega ma se... perché questo è uno sfogo e basta..

5 settembre 2001Tra una settimana inizia la scuola, già immagino le mie compagne, il confronto con loro, oddio! Hanno tutte qualcosa più di me: un ragazzo, un fisico, degli amici, l’udito, UN SORRISO… . Mi trattano con una dolcezza patetica, ma non si accorgono quanto soffro? Mi manca la Ceci, lei sì che mi ha fatto sentire importante, lei sì che ha capito tutto di me, mi fa sentire un’amica... non so se finge, ma… lei non ha paura di me, ha capito che nonostante quello che ho vivo la sua stessa vita... la adoro, la sento molto vicina... è la migliore amica che abbia mai avuto, anche se, devo ammetter che l’anno scorso c’è stato qualche screzio tra noi.Chissà se questa sera riesco ad uscire, speriamo... . Ho voglia di piangere; devo imparare a controllarmi... io mi devo voler bene… come fare?A presto Sara

12 settembre 2001 ore: 21.45Oggi il tempo è volato!Domani si riprende... un nuovo anno: l’ultimo anno del liceo, spero tanto sia migliore di quello passato… cerco di essere positiva al massimo, però ho troppi pensieri: la scuola, l’ospedale, la salute... mamma mia!Scrivere mi aiuta… forse a riordinare le idee così tante e così confuse... (...) qualche giorno fa hanno eletto miss Italia… porca miseria! È troppo bella... ricordo che qualche anno fa, dopo il programma, quando sono andata a letto, mi sono messa a piangere.Io non potrò mai essere così, una chimera irraggiungibile, una vera e propria utopia (.......)

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15 settembre 2001(...) la scuola è iniziata bene, a parte certe facce da c..o delle mie compagne... .Oggi non sono andata, sai sono troppo stanca, però sto reagendo, in tutta questa “sarabanda”. Cerco di stare su, mangio veramente un po’ di più. Sono triste, ho paura… alcuni problemi li ho lasciati alle spalle… la notte dormo con rari incubi, anzi faccio sogni piuttosto piacevoli. Mi sento un po’ meno sola da quando la scuola è iniziata… l’udito… la faccia… . C’è di peggio a cui pensare in questi giorni... (...) oggi è una giornata stupenda: c’è il sole anche se fa freschino... (...) spero di uscire stasera... .A presto Sara

22 maggio 2002Ciaooooooooo! Sembra un secolo che non scrivo… .Bè… mi sento così “forte” in questi giorni… sto facendo i salti mortali. Ho recuperato tutti i voti al liceo, non ho un’insufficienza… ho fatto 6 verifiche in 3 giorni: sono fiera di me... ce la sto facendo... ce la farò, non posso mollare... .

19 luglio 2002(...) oggi mi sento bene e poi ho ripescato le ciabattine dell’anno scorso (red funk) e sorpresa... riesco ancora a camminare... . Va bè, devo allenarmi, ma per il resto va bene!!Tra una settimana si parte!! Alassio… . Bo, chissà com’è? Dicono sia un bel posticino… ma sì, l’importante è scappare da tutto questo... stacchiamo la spina... me lo merito perché mi son fatta un culo!! Soprattutto per prendere il diploma... ho preso 75… bè mi aspettavo di più però non è malissimo dai mi devo convincere che tanto i voti non sono niente nella vita!

Pagine di diarioHo conservato i suoi diari e quaderni, su cui scriveva i suoi pensieri... li lascio a voi... senza commenti… .Non ho voce in capitolo, non posso dire come ci si sente nella

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sua condizione… posso immaginarlo, ma ognuno di noi è unico e diverso anche nell’affrontare le situazioni.Mi ha fatto male conoscere quanto a volte si sentisse sola, nonostante io abbia rinunciato a molto per la gioia di stare con lei, a volte penso di non esserle stata abbastanza vicino… di essere stata egoista... forse se solo me lo avesse detto... .Queste sono alcune delle sue pagine… per me le più significative... le più profonde... le più belle... !

3 novembre 2000 ore: 23.51Come va? Perché sei lì di fronte a me e non mi ascolti?? Perchè annuisci alle mie domande?Uffa! Voglio piangere! (...) stamattina alle 4 avevo il cuore che scoppiava... porca miseria!Oggi ho saputo che devo tenere il tampone (per una escoriazione alla cornea) ancora una settimana... ho voglia di piangere... è come se mi sentissi un vuoto dentro... uffa! Perché riesco a parlare solo così? Credo che in fondo io non sono così, cioè non esiste lo sconforto e la malinconia nel mio vocabolario... mia sorella sta per andarsene a letto... io rimarrò qui da sola sino alle 2,30/3,00 quando proprio non riuscirò più a tenere l’occhio aperto... ah, che strazio!! Voglio la musica... cavolo - no Sara non lamentarti, 6 troppo noiosa! È vero, io sono una positiva... cosa posso dire... ho voglia di uscire e divertirmi.Allora... sono le 00.40 a.m. del 3 novembre 2000 ... e chi se ne frega??Va bé... non so da dove cominciare... questo è un quaderno personale nel senso che lo terrò solo per me, per sfogarmi, per far uscire tutto quello schifo che ho dentro; non so chi lo leggerà, ma probabilmente lo leggeranno molto presto visto che non so dove nasconderlo... ma non me ne frega niente di niente.SONO LIBERA... per la prima volta su questo quaderno mi sento libera. Mi voglio lamentare e sfogarmi... voglio impazzire, sputarci sopra... io non posso parlare con nessuno (non è vero... si cavolo... con chi parlo?

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Con mia mamma? Lasciamo perdere... con mia sorella? Si mangia le unghie... con l’Antonella? Sono noiosa... ecco... è proprio qui il punto... SONO NOIOSA... . Ma ci pensi? Sono noiosa... poverina la persona che mi deve sopportare… poi si lamentano che ho mal di stomaco, saranno anche palle, ma ci pensano mai a CHI mi fa venire il mal di stomaco? Sara prendi la valeriana, prendi il lexotan, ma vaffanculo! IO NON VOGLIO LA MEDICINA... NO... IO VOGLIO SOLO ESSERE ASCOLTATA!!! Non chiedo neanche di capirmi ma solo di ascoltarmi senza che sbuffi... ASCOLTA E TACI!Ne ho da sfogarmi, vorrei tanto parlare e liberarmi da tutto... ho un casino dentro... . Sai la gente mi vede “speciale” la Super-Sara... io non sono così... cazzo, ma si chiedono mai cosa significa il mio sorriso?? A volte significa proprio “VAFFANCULO”! Un sorriso... ecco per me un sorriso è più forte di una lama conficcata nel cuore... . Un sorriso: la gente non capisce il valore di un sorriso; un sorriso non è solo la gioia... no... è tutta la MIA RABBIA... è la sfida, è la guerra alla mia vita così schifosa... cazzo... io l’adoro la mia vita... non so perché… io sento la fragranza della vita in sé stessa... non c’è bisogno di spiegare le frasi scrause che scrivo... tanto a chi le devo spiegare?? Allora... la gente si chiede perché non dormo la notte: semplice, perché mi sento troppo sola troppo... non mi sento protetta... non c’è nessuno qui che mi possa aiutare se ho bisogno... ecco... forse se ci fosse mio padre già sarebbe diverso... o comunque se abitassi in un condominio in un paese e non in una casetta in una frazione di m.. dove la gente è ottusa... e soprattutto ignorante... non nel senso che non è qualcuno, ma nel senso che non sa come comportarsi.Ho paura! Ho paura e lo ripeto! Nessuno si chiede quello che ho dentro... non è egoismo... è il fatto che la gente vede sempre un’altra Sara... mia madre dice “ma se son sempre qui e non so più cosa farti…” lo so, ma io non sono a posto... perché non mi aiuti?? Io continuo a mettermi le dita in gola anche se non sempre vomito... mi strappo i capelli... . Cavolo, ma non capiscono che sono depressa?? Ma cosa vogliono? Che mi suicidi??Io ho sonno ( è l’1.15 a.m. ) ... però ho paura di dormire... quando dormo

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non sono cosciente... e poi ho paura di svegliarmi e star male, di avere il coccolone. Ho voglia di piangere di non smettere più. Il nervoso mi schiaccia... .Forse è vero... forse ho davvero bisogno di prendere la valeriana... . Aiutooooooooo! Su chi posso contare?

... l’unica cosache possoassaggiare

è questo momento;l’unica cosa cheposso respirare

è la tua vitaperché poi finirà….

Il mio è un grido... mamma aiutami tu... .Dio mio non abbandonarmi anche tu! Sono scema lo so... basta... pensiamo a qualcosa di allegro... .Avrei bisogno di innamorarmi... forse... l’amore fa bene... o fa male? Roba da adolescenti o roba “umana”?? mi chiedo spesso questo... . Ormai non credo più a niente... forse faccio male ma non credo che 2 persone si possano amare per tutta la vita... cazzo... però quando succede è davvero una bella cosa... . Le mie compagne parlano d’amore come se vivessero il film “il tempo delle mele”… a volte penso “il tempo delle cagate”. Si... loro hanno gia il “Morosino” e si dicono “ti amo, ti amo” ma non è una cosa troppo grande dire “ti amo”?? Chissà se... non niente.. comunque a volte mi fanno un po’ cagare ... sembra che la loro adolescenza sia fatta di amici, di amore, di lacrime... oh! Io non ho mai visto una di loro andare in profondità di un libro... a tante non è piaciuto il visconte dimezzato… sembra un libro da scuole elementari però... però vacci in fondo alle parole... non ti accorgi che sono metafore?? No... .Porca miseria Sara... ma a che ora pensi di andare a letto?? Non lo sacciù. Forse verso le 3.00, ma ho paura è per questo che mi porterò il giornale nel letto. Non so più cosa posso dire... voglio piangere... le palpebre sono pesanti ma lo stomaco brucia!!

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09 maggio 2002 ore: 00.45Ciao diarietto. Ciao amico mio. Ciao piccolo mondo dove scappo ogni volta che mi sento il cuore gonfio.Quante ne son passate in questi mesi… mi son nuovamente trasformata in un’altra Sara… forse non in un’altra Sara forte e coraggiosa come lo ero un tempo, ma in una Sara adulta; mi sto controllando da tempo e mi accorgo di non essere più una ragazzina… a volte penso che sono cresciuta un po’ troppo abbandonando i sogni e son fin troppo razionale. Oggi è uno di quei giorni in cui vedo tutto nero… allora ho deciso di rifugiarmi qui. Tra queste pagine... (... ...) in questi giorni mi sono sfogata con un ragazzo della chat… gli ho detto tutto… anche le mie paure… gli ho confessato le mie debolezze e la mia vita difficile… per tutta risposta lui mi ha invitata ad uscire ... si è offerto di aiutarmi e mi ha aperto il suo cuore... non sono l’unica a soffrire... .Sembra che io viva in un mondo virtuale... ma non è così... . Io penso che nonostante nella vita di tutti i giorni, mi venga offerta una possibilità, io non sono più me stessa... non vivo la Sara che sono dentro... sono stupida vero?

Morte Fa male, ma credo più a me che a lei che ora è libera: libera, felice e bellissima… in pace.Mi ha lasciato facendomi una carezza. “Chicco (il suo cagnolino) è tuo adesso, fagli tante coccoline, ti voglio bene Tiglia”... .Non mi dimenticherò mai quelle parole... e lei, vivrà per sempre in me... ! E Chicco...!

Attilia

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Il “percorso” di Perla

Ciao a tutti, sono Perla, ho 23 anni e sono affetta da NF1.Sono la prima in tutta la famiglia ad avere questa malattia, nessun altro in casa ne è affetto.Da piccola non capivo molto bene che cosa avessi, mi ritrovavo spesso in ospedale senza capire. Poi crescendo ho scoperto di essere malata e per me avere la NF è sempre stato un trauma. Da un lato per il male fisico, i problemi alla vista, i mal di testa che non mi davano pace e dall’altro i problemi estetici causati dai neurofibromi e dalle macchie su tutto il corpo. Stavo male per le prese in giro da parte degli amici, stavo male perché non mi sentivo compresa neppure in famiglia, stavo male perché vedevo il mio corpo peggiorare di giorno in giorno, stavo male perché sentivo sempre brutte notizie dai medici.Non so neanche più quanto ho pianto chiedendomi perché era successo a me, che cosa avessi fatto di male per meritarmelo… mi chiedevo perché io sì e mia sorella no. Invidiavo chi poteva stare tranquillamente in costume, invidiavo chi ci vedeva. Mi sentivo così giù e così disperata... . Avevo sfiducia in me stessa, pensavo di non valere nulla, che nessuno mi avrebbe mai accettata per la malattia e che nessuno avrebbe mai accettato la mia malattia. Mi sentivo diversa. Soprattutto stavo male perché non sarei mai guarita, mai. Vedevo tutta la mia vita di dolori scorrere, vedevo un futuro orribile davanti a me, non riuscivo a vedermi in altro modo che da sola coi miei fibromi.“Tu non puoi guarire, rassegnati”, questo mi dicevano i medici. “Non c’è cura per la NF, non guarirai”, questo mi sentivo dire sempre.Ero senza speranza. Ero arrabbiata col mondo intero per la mia malattia. Arrabbiata verso i miei genitori perché non mi sentivo capita (anche se facevano degli sforzi assurdi per capirmi), ero

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arrabbiata con tutti quelli che mi prendevano in giro, ero arrabbiata con tutti quelli che sottovalutavano la malattia dicendo “e che sarà mai!”. Ma sopra ogni altra cosa, soprattutto, ero arrabbiata nera con Dio. Lo ritenevo responsabile. Mi chiedevo dove stava tutto l’amore che diceva di avere per le sue creature. Mi chiedevo perché avesse permesso la malattia nella mia vita. Mi chiedevo che avessi fatto di male per meritarlo. Pensavo che fosse solo un tiranno che si divertiva a veder star male le sue creature. Lo odiavo, lo odiavo con tutto il mio cuore per quello che mi aveva fatto. Era colpa sua se ero nata con la NF .Poi un bel giorno, due anni fa, sentii parlare di un Dio diverso da quello che pensavo: un mio amico mi disse “Ma tu lo sai che Dio ti ama?”. Subito non gli credetti, anzi, mi ricordo che risposi “E meno male che mi ama! Se mi ama e ha permesso questo, figurati che permetteva se mi odiava!”. Poi ho iniziato a scoprire, leggendo la Bibbia, che Dio è veramente amore e che veramente mi ama. Ho capito che la malattia non mi è stata mandata da Lui. Ho scoperto inoltre una cosa importantissima e cioè che Dio guarisce, guarisce tutte le malattie.Da li ho fatto una ricerca e ci sono decine e decine di passi che parlano delle guarigioni di Dio!!! Ammetto che all’inizio sono stata molto scettica al riguardo. Pensavo che Dio non potesse guarire la NF perché era genetica, pensavo potesse guarire solo le malattie che possono guarire anche gli uomini. Ho fatto davvero fatica a fare questo passo di fede, ma ci sono riuscita. È stata dura, ho pianto tantissimo, un sacco di volte avrei voluto mollare ogni cosa, ma la Fede mi ha cambiata. Ha guarito il mio cuore e la mia malattia ora è meno pesante da sopportare. Però… ho dovuto fare alcune cose per permettere a Dio di guarire tutte le ferite che avevo nel cuore… in primis ho dovuto perdonare tutte le persone verso cui nutrivo rancore. È stata dura fare questi passi, ma assicuro che dopo sono stata

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meglio. È come se mi fossi tolta un sacco di macigni dalle spalle. Io ora sono serena.Volevo lasciarvi col testo di una canzone che mi piace parecchio:

“Ho sentito il forte battito del cuorenel silenzio tuo, nelle tue lacrime;

ma sono qui vicino adesso, non temere:lascia che ti possa consolare un po’.

Io conosco le ferite del tuo cuore,quella tua paura buia dentro te.

Vorrei tanto dirti che io ti capisco,ma è da tanto che tu non mi parli più.

Ma se mi aprissi il cuore,anche solo un poco,

oh come vorrei dirti che io sono con te!Non lasciare che il dolore,

le ferite del tuo cuorepossano oscurare quella luce che ti ho dato

e allora lascia che io prenda tutto,getta su di me il tuo affanno.

Parla amore mio io sono qui, solo per te!L’immenso amore che ho per te

non si spiega;e per averti qui con me

su quella croce ancora andrei.È un folle amore, si lo so, si lo so!

Perla

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Una persona speciale

Quella che raccontiamo di seguito è la biografia di una giovane intelligente, sensibile, “innamorata della vita”, ricca dentro, …; è la vicenda terrena di una “santa del nostro tempo”, dichiarata venerabile nel 1994, morta dopo gravi sofferenze a causa di un morbo allora sconosciuto che lei stessa si diagnosticò.La giovane è Benedetta Bianchi Porro e il morbo di cui era affetta è la Neurofibromatosi.

Benedetta Bianchi Porro nasce a Dovadola (Forlì) l’8 agosto 1936.Il padre, Guido, è un ingegnere termale dal carattere mite e buono; la madre, Elsa Gianmarchi, è una donna di indole forte e sicura. Benedetta ha un fratello maggiore e quattro più piccoli: Leonida, Gabriele, Manuela, Corrado e Carmen.Poche ore dopo la nascita, a causa di una grave emorragia, si teme per la sua vita tanto che la mamma la “battezza d’urgenza” con l’acqua di Lourdes. Per fortuna Benedetta si riprende e dopo alcuni giorni è battezzata nella Chiesa del paese con il nome di Benedetta Bianca Maria.A tre mesi viene colpita dalla poliomielite in seguito alla quale resterà menomata ad una gamba: per questo zoppica vistosamente, ma la bambina non ne fa un dramma. Gli amichetti la chiamano “zoppetta”; i fratellini vorrebbero difenderla, ma Benedetta risponde loro che quella è la verità.È una bambina molto intelligente e sensibile. Trascorre la sua infanzia a Forlì.Nel 1942 inizia la scuola elementare, frequentando da subito la classe seconda; si trova a Dovadola, ospite dei nonni. A causa della guerra, tutta la famiglia Bianchi Porro sfolla a Castinaccio, paese di campagna e quindi più sicuro, dove la piccola Benedetta frequenta la terza elementare.

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Nel 1945 ritornano a Forlì e Benedetta frequenta la quarta e quinta elementare all’Istituto delle suore Dorotee; la sua insegnante è Suor Alberta.A Forlì frequenta anche la scuola media Flavio Biondo, il ginnasio e la prima liceo classico al Morgagni.Nel 1951, con la famiglia, si trasferisce e Sirmione, sul lago di Garda. Benedetta continua il liceo a Desenzano, presso l’Istituto Baratta. Inizia a perdere l’udito: è il primo sintomo della malattia.Nel settembre del 1953, dopo aver “saltato” la terza liceo, supera la maturità e si iscrive all’Università. Per soddisfare la volontà paterna sceglie Fisica, ma opta subito dopo per Medicina.Per frequentare l’Università, Benedetta si trasferisce a Milano; poiché ha difficoltà a spostarsi da sola a causa del suo zoppicare e di nuovi disturbi alla schiena è aiutata da una giovane domestica e amica, Anna. Il suo udito è sempre più debole.È l’estate del 1955 quando Benedetta affronta uno degli esami più difficili del primo biennio. L’aula è gremita di studenti; Benedetta si avvicina ai microscopi per la prima parte della prova a cui risponde con sicurezza. Poi viene chiamata dal Professore per la seconda parte dell’esame: quella teorica e più difficile. Lei non sente la chiamata, indugia un attimo; il Professore le rivolge la parola, ma Benedetta non capisce e chiede al Professore di rivolgerle le domande per iscritto e di portare pazienza, ma l’insegnante le urla: “Figuriamoci! Chi ha mai visto un medico sordo!” e le lancia il libretto con violenza. Benedetta se ne va triste. Racconta alla mamma l’accaduto e pochi giorni dopo ripeterà l’esame superandolo con il massimo dei voti. Ma tornando a casa inizia ad avere problemi alla vista.La malattia di Benedetta avanza silenziosa.Nel Natale del 1956 vede sempre meno; le viene diagnosticata un’ulcera alla cornea.Nessun medico capisce l’origine dei disturbi, ma Benedetta

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giunge da sola alla diagnosi della sua malattia. Una sera comunica ad un’amica di famiglia che la sua malattia è la Neurofibromatosi. I medici, inizialmente, non credono alla diagnosi di Benedetta, ma poi dovranno riconoscerne l’esattezza.Nel novembre del 1957 viene operata alla testa per l’asportazione di un neurinoma al nervo acustico; a causa dell’intervento rimane paralizzata alla metà sinistra del volto. Nonostante la malattia e i continui ricoveri, Benedetta continua gli studi; nel giugno del 1959 sostiene, con esito negativo, l’ultimo esame.La malattia peggiora e Benedetta viene operata anche al midollo spinale. Da questo momento in poi è completamente paralizzata e costretta dapprima in poltrona, poi a letto. Deve lasciare gli studi universitari: sarebbe stata il medico più giovane d’Italia, per giunta donna. Nel maggio del 1962 va a Lourdes per la prima volta; nell’ottobre dello stesso anno viene operata di nuovo per ascessi multipli; Benedetta perde i sensi del gusto e dell’olfatto, e la sensibilità tattile, tranne alla mano destra.Nel febbraio del 1963, in seguito ad una seconda operazione alla testa, perde definitivamente la vista. A marzo torna a Sirmione, in giugno di nuovo a Lourdes. A casa e in ospedale Benedetta riceve le visite di molti amici: con loro comunica con un alfabeto speciale, fatto di segni sulla mano destra, unica parte del corpo rimasta sensibile. A Natale viene portata a Milano per salutare gli amici. I primi di gennaio del 1964 torna a Sirmione.Il mattino del 23 gennaio la mamma gli comunica che in giardino è nata una rosa bianca e le chiede se desidera che la colga, ma Benedetta risponde di “no” perché “quello è un dolce segno”. È agitata e molto sofferente.Verso le dieci nomina alla mamma una leggenda di Tagore5 le chiede se la ricorda, ma la mamma non capisce.

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Sono gli ultimi istanti di vita di Benedetta che morirà poco dopo dicendo “Grazie!”. Sono le dieci e quaranta.6

Ritratto di Benedetta - Pietro Annigoni

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Disegni Nelle pagine seguenti riportiamo i disegni che alcuni bambini con Neurofibromatosi hanno preparato per dare il loro personale contributo da inserire nel libro dell’Associazione.

A tutti loro va un grande grazie per l’impegno.

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MirkoAprile 2008 - 7 anni e 1/2

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Diego20/04/2008 - 7 anni

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Alessia07/08/2008 - 9 anni

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Mirko20/04/2008 - 7 anni e 1/2

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Racconti di esperienze speciali

In quest’ultima parte del libro, abbiamo raccolto le testimonianze di alcune esperienze fatte da giovani con Neurofibromatosi.

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Il progetto giovani

Nel 2000/2001, l’Associazione ha attivato un’iniziativa a favore dei giovani con Neurofibromatosi, che sono stati invitati a partecipare ad alcuni incontri dedicati a loro.In seguito a tale esperienza, nel notiziario Linfanews sono state riportate le loro riflessioni in merito che riteniamo opportuno inserire in questo testo di testimonianze per dar voce anche a coloro che iniziano ad affacciarsi alla vita e si trovano ad affrontare le difficoltà mediche o sociali cui la NF può portare.

Giornata giovani: 2 aprile 2000Ho sempre partecipato molto volentieri agli incontri annuali della LINFA che sono importantissimi: per aggiornarsi, parlare, incontrarsi e chiarire sempre meglio le novità studio sulla NF. Ma devo essere sincera, a volte un po’ mi annoiavo, non tanto nei discorsi (quelli si sono interessanti), ma ogni volta le elezioni per un nuovo Presidente, oppure aspettare senza far nulla … iniziavo a sbadigliare, e finiva che prendevo sonno; fortunatamente c’è sempre stata la cara Enrica con la sua famiglia: almeno facevamo due chiacchiere su quello che avevamo fatto al sabato sera! Con questo mica voglio dire che eravamo distratte! E poi per me il momento più bello era il pranzo, almeno si aveva l’opportunità di parlare anche con gli altri. C’erano anche altri giovani, ma non ci ho mai parlato assieme, mancava quella spinta giusta per conoscerci meglio. E finalmente questa opportunità è arrivata: un mattino arriva la lettera di LINFA con la data dell’Assemblea, il foglio prenotazione pasti, più un altro … quella giornata era dedicata anche a noi giovani, dalle dodici in poi; WOW!!! Non ci ho pensato su due volte come facevo di solito se andare o no (ma poi alla fine sono sempre venuta) e mi sono subito

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prenotata. Il programma mi entusiasmava, pizzata assieme, nel pomeriggio giochi, parlare di noi e della NF, assieme alle dottoresse Mammi e Boni.Ed eccoci al grande giorno! Io mi aspettavo tante ragazze/i, ma al mio arrivo vedo Enrica e basta: ok, arriveranno... Poi, infatti, arrivò Elena, la Roberta (loro le conoscevo un po’ di vista), e verso mezzogiorno altre due/tre ragazze e due ragazzi. Basta così, mi dicevo? Bhe, come si suol dire, pochi ma buoni! Alle dodici ci siamo avviati tutti assieme (nove più le due dottoresse e la sorellina di Enrica, Elisa, che è venuta a farci compagnia) in un altro salone dove brevemente abbiamo parlato del programma pomeridiano... e poi, via tutti in pizzeria affamati e contenti! E qui il ghiaccio si è subito rotto ci siamo conosciuti bene, parlato e soprattutto mangiato un’ottima pizza! Dopo mangiato, con la nostra calma, siamo tornati al salone dove abbiamo fatto un gioco molto bello, divertente, ma soprattutto per conoscerci meglio. Con tre gomitoli di lana, dovevamo passarceli (tenendo in mano il filo) parlando di noi:

come la viviamo noi la NF;•noi, i nostri hobby e che cosa facciamo;•che animale vorremmo essere.•

Ognuno di noi ha parlato, aperto il suo cuore: io per lo meno mi sentivo tranquilla, capita; non sempre è facile parlare della propria malattia con le altre persone: dici ho questa cosa e ti guardano ammutoliti … soprattutto perché non la conoscono. Al termine del gioco, nel quale erano emerse le nostre esperienze di vita con la NF (molto diverse), ero veramente soddisfatta. Poi le nostre care amiche dottoresse ci hanno spiegato bene cos’è la NF: lo sapevamo, ma ce l’hanno spiegato nel linguaggio più adatto per noi giovani, facendoci vedere disegni, lucidi, per chiarire i nostri dubbi … per il nostro futuro soprattutto! Abbiamo visto un video, portato dalla nostra amica Elena che qualche anno fa era andata

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a Telethon a parlare della sua esperienza con la NF, facendola conoscere all’Italia e al mondo...! Poi abbiamo continuato a parlare, e risposto a delle domande-questionario sulla giornata, dove abbiamo espresso le nostre impressioni, suggerimenti, magari delusioni, ecc. ... Il tutto si è concluso con una fotografia saluti, baci e arrivederci. E’ nata una nuova amicizia che mai si scioglierà: iniziata dal gioco con i gomitoli (alla fine c’era un gran intreccio di fili che rappresentano la nostra amicizia). Per me è stata un’esperienza fantastica, e penso anche per gli altri: ho chiarito tante cose, sulla NF che prima non sapevo e non capivo proprio bene. Inutile dire che vorrei riviverla questa esperienza, più spesso, anche due volte all’anno, sarebbe carinissimo. Sarebbe molto carino organizzare anche qualche vacanza assieme, tipo camposcuola in montagna o al mare a seconda delle nostre preferenze, così passando qualche giorno assieme ci si conosce meglio, possiamo parlare di più della NF, confidarci e diventare sempre uniti come lo erano quei fili nel gioco. Saluto tutti i partecipanti di quel giorno con tanto affetto e sono stata veramente felice di avervi conosciuto, grazie per essere venuti! Ora mi rivolgo agli altri giovani a quelli che non sono venuti, non sapete cosa vi siete persi... ma la prossima volta potete rifarvi: non abbiate timore, paura di parlare e di farvi conoscere, noi siamo qui ad aspettarvi a braccia aperte, pronti a capirvi, consigliarvi e parlarvi di noi... quindi vi aspetto (aspettiamo)! Magari anche noi quel mattino eravamo un po’ timorosi di aprirci, ma poi ci si apre, parola mia (che un po’ timida lo sono) perché si respira aria di sicurezza, sincerità e soprattutto amicizia. Ringrazio ancora le dottoresse Mammi e Boni per quella giornata meravigliosa, grazie veramente di cuore; spero che questa iniziativa rimanga in piedi per sempre!

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Incontro giovani: 11 novembre 2001Lo scorso 11 novembre si è svolto l’incontro dei giovani con NF. [ … ] La giornata è stata ricca di contenuti e, grazie all’attiva partecipazione di noi giovani, è stata anche un utile momento di scambio interpersonale che ha contribuito alla crescita personale di ciascuno dei presenti. Hanno aderito all’iniziativa di LINFA un buon numero di giovani di età compresa tra i 14 e i 24 anni che si sono ritrovati in un’accogliente scuola del centro di Padova: con noi, per “guidarci” in questa esperienza, c’erano le dottoresse Stefania Boni (genetista), Isabella Mammi (pediatra) e Elena Tenconi (psicologa).Il tema dell’incontro che è stato sviluppato dalla dottoressa Tenconi, ma anche dall’attiva partecipazione di tutti noi ragazzi, era l’autostima: cioè, l’imparare a riconoscere noi stessi (l’identità, il sé ideale e il sé sociale, il sé privato e quello pubblico …) . Questa tematica ci ha particolarmente coinvolto ed è nato un vivace dialogo che ci ha portato a parlare del nostro rapporto con gli altri come ragazzi con NF: come dirlo agli amici e questo è giusto farlo, quando? Non sono mancate domande più curiose e, in un certo senso, “banali” del tipo “le macchie spariranno?”. A tutte le domande, in modo definitivo o meno, abbiamo trovato tutti assieme una risposta; mi piace sottolineare il fatto che la risposta è stata trovata dal gruppo.La giornata si è conclusa nel pomeriggio con la promessa di ritrovarci tutti (sperando anche di più) al prossimo incontro. Unico rammarico che, questa volta, non abbiamo una foto ricordo perché mancava la macchina fotografica.

ElenaLinfanews 3/2001

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Secondo incontro giovani: 27 gennaio 2002Domenica 27 gennaio era una tipica giornata invernale, di quelle che nella pianura padana abbondano in questa stagione; ma il freddo, l’aria umida e la nebbia non hanno scoraggiato i giovani con NF che proprio quel giorno avevano il loro incontro. E così, puntuali come orologi svizzeri (o quasi) ci siamo ritrovati nella scuola del centro di Padova (che ci aveva già ospitato nel precedente incontro) alle 9.30: un po’ assonnati per la levataccia, ma contenti di rivederci e pronti a dare il benvenuto alle “new entry”. Già, ad ogni incontro c’è sempre qualcuno che si aggiunge perché incuriosito dai racconti pubblicati su Linfanews o perché “spinti” dai genitori a provare. Purtroppo la stagione invernale, che favorisce l’influenza, ha impedito a qualcuno di ritornare; pazienza, sarà per la prossima volta!!La giornata, da quanto indicato nel programma, si presentava interessante, utile e – allo stesso tempo – divertente; siete curiosi di sapere cosa abbiamo fatto? Beh, cercheremo di raccontarvelo qui di seguito nel modo migliore possibile, ma senza svelarvi troppo i “nostri” segreti: questo non perché non vogliamo rendervi partecipi delle nostre esperienze, ma perché non tutto il vissuto è traducibile in parole.Dopo il consueto saluto che Elena ha fatto a nome del Presidente LINFA, la giornata si è aperta con il “gioco dei partner” che è servito per conoscerci meglio: dapprima a coppie per poi presentarci vicendevolmente a tutto il gruppo. La mattina è poi proseguita con la parte medica, nella quale le nostre amiche Dottoresse, Stefania Boni ed Isabella Mammi, ci hanno parlato della Neurofibromatosi: spiegandoci in modo approfondito, con un linguaggio semplice e allo stesso tempo specifico le varie possibili manifestazioni della nostra malattia e hanno risposto alle nostre domande e curiosità.È così giunta ora di pranzo e ci siamo trasferiti, come ormai di

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consuetudine, in pizzeria per mangiare … Al termine del pranzo nessuno ha rifiutato la fetta di dolce preparato dalla nostra amica Marika.Ritornati nell’accogliente sala dell’incontro, il pomeriggio ci ha visti impegnati nel lavoro con la psicologa, la Dottoressa Elena Tenconi. Ancora una volta abbiamo riflettuto sull’autostima, riprendendo e approfondendo gli argomenti iniziati nell’incontro precedente.Alle 16.30 ci siamo salutati dandoci appuntamento al prossimo incontro, che sarà il 21 aprile prossimo – in coincidenza con l’annuale assemblea dei soci LINFA.

Elena & MarikaLinfanews 1/2002

Giornata giovaniDopo quasi due anni dall’ultimo incontro, nella soleggiata domenica del 30 Maggio, è ritornato il progetto giovani. Ci siamo ritrovati alle 9,45 in pediatria a Padova. Eravamo 9 giovani (4 che avevano già partecipato agli scorsi incontri e 5 nuovi ragazzi), e non potevano mancare le nostre dottoresse Isabella Mammi, Stefania Boni, Cinzia Marzocchi e la psicologa Elena Tenconi. Ci siamo incamminati quindi verso il parco Iris, a 15 minuti dall’ospedale, dove, una volta arrivati, ci siamo seduti in cerchio in un bel posto all’ombra ma con il sole che filtrando ci riscaldava ed abbiamo iniziato il programma con un gioco avente lo scopo di conoscerci, già conosciuto dai veterani che consisteva nel lanciarci dei gomitoli colorati tra di noi, trattenendo in mano il filo e parlando di noi semplicemente.Ai tre gomitoli era associato un significato: quello blu era la nostra presentazione, quello rosso l’animale nel quale noi ci figuriamo ed infine il gomitolo crema ci portava a parlare della musica che

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ascoltiamo. Alla fine del gioco si è creato un bellissimo intreccio di fili, che rappresentavano l’inizio di una bella amicizia tra noi, e soprattutto il modo per aprirci tra di noi. Il secondo gioco, consisteva nello scrivere e disegnare in un foglio qualcosa che sentivamo in quel momento. Una volta scritto, l’abbiamo piegato e messo dentro una borsetta, mischiato, e poi ognuno ha pescato un foglietto, letto ciò che vi era scritto e dato l’impressione su ciò che, a parer proprio, significavano quelle parole e disegni. Alla fine ognuno ha indicato la persona che aveva letto il proprio messaggio (per esempio, il mio lo aveva letto Elena) e spiegato come mai aveva scritto e disegnato ciò, in modo da potersi confrontare fra quelle che erano le proprie intenzioni e quanto recepito dall’altro compagno. L’ultimo gioco consisteva nell’affidarci alla persona. Abbiamo creato delle coppie, una persona veniva bendata, e l’altra la guidava per il parco, e poi si faceva il cambio. Alla fine, parlandone tra noi, è risultato che è più semplice guidare una persona che affidarci ad essa, ma a volte, anche se sembra difficile abbiamo concluso che dobbiamo affidarci alle persone, soprattutto a quelle nelle quali crediamo di più. Poi abbiamo pranzato al sacco, gustato la buona torta che la cara dr.ssa Stefania ha offerto, e poi, una volta riempito il nostro stomaco, abbiamo parlato delle nostre impressioni della giornata, fatto domande alle dottoresse sui nostri dubbi, e parlato di eventuali nuovi incontri. Poi, ci siamo avviati verso la pediatria, e qui ci siamo salutati. Certo che, soprattutto nei nuovi entrati, vi era un po’ di timidezza, cosa normalissima, anche perché non si conosceva nessuno, ma un passo intanto è stato fatto e questo è stato importante per tutti noi e penso per tutti i partecipanti sia stata una bella giornata.Con il prossimo sarà ancora più semplice aprirsi e parlarsi, ma soprattutto ognuno può proporre cosa gli piacerebbe che l’incontro trattasse. Speriamo che la prossima volta possiamo essere ancora di più, con il ritorno anche di

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qualche altro veterano, che aiuti anche a dare una “spinta“ ai nuovi giovani che sono entrati, per consigliarli, capirli, insomma creare un bel gruppo tra noi, ma che non sia solo per quel giorno e basta, ma sempre, scambiandoci i nostri indirizzi, numeri di telefono e sentirsi ogni tanto, non solo per parlare di NF ovviamente, ma per stare un po’ in compagnia come fanno tutti gli amici. Quindi, vi aspettiamo per il prossimo incontro assieme alle vostre idee e suggerimenti... A presto...

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Diario di una settimana speciale

Dal 30 giugno al 7 luglio 2001 si è svolto ad Haraldvangen, in Norvegia, il camposcuola promosso dall’Associazione Norvegese delle Neurofibromatosi per i ragazzi con NF.Il camposcuola estivo è un’iniziativa indetta da qualche anno dall’Associazione Europea della Neurofibromatosi. Tra le finalità del camposcuola vi è quella di favorire la socializzazione dei ragazzi e ragazze colpiti dalla malattia in modo da aiutarli a superare isolamento e solitudine. Quest’anno, tra i partecipanti, c’era anche Nicola M. che ha scritto un diario che pubblichiamo in questo supplemento “speciale” di Linfanews.Ci auguriamo che l’entusiasmo di Nicola possa “contagiare” altri ragazzi con la NF e chissà che non si riesca a fare un campo tutto italiano, mettendo in pratica la proposta di LINFA di alcuni anni fa (vedi Linfanews Vol. 4 N° 1 Primavera 1996 e Linfanews Vol. 4 N° 2 Estate 1996) caduta nel vuoto!

Sabato 30 giugno: Verso NordFinalmente il grande giorno è arrivato. Parto per Oslo e trascorrerò una settimana in un campeggio con altri ragazzi che hanno la mia stessa malattia. Sono l’unico ragazzo italiano e questo è per me una grande soddisfazione perché sarò il rappresentante del mio paese. Il viaggio è stato lungo, ma non me ne sono praticamente accorto. Ho dormito per tutto il volo: durante la notte precedente la partenza ero tanto eccitato da non riuscire quasi a chiudere occhio e, per di più, m’era toccato alzarmi alle 4,30. All’aeroporto di Oslo, mi ha “trovato” un accompagnatore dell’Associazione e, insieme a suo figlio e ad una ragazza inglese, siamo partiti per il campo.Appena arrivati al camping, circondato da molti grandi alberi

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dietro ai quali si trova un lago stupendo, gli organizzatori ci hanno assegnato le camere e poi ci hanno concesso un pomeriggio di libertà. Dopo la cena, ragazzi ed organizzatori ci siamo tutti riuniti in modo da conoscersi: ognuno di noi si è presentato agli altri. Quando è stato il mio turno, uno degli organizzatori ha annunciato che ero l’unico italiano ad aver accettato di andare ad Oslo: tutti gli altri ragazzi mi hanno chiassosamente applaudito. Credo proprio che questa sarà una settimana intensa e davvero bella.

Domenica 1 luglio: Giochi e trionfiÈ il mio primo giorno al campo. Mi sono svegliato alle otto e, stranamente, ho dormito bene per tutta la notte. Dico stranamente perché di solito, durante le prime notti che passo fuori di casa all’estero, sono agitato e dormo poco. Risveglio ottimo con una lauta colazione a base di succhi di frutta, arringhe affumicate, prosciutti e marmellata di … pesce. Avete letto bene: di pesce, non di pesche. La marmellata non ha un aspetto strano. E’ proprio una marmellata e solo il suo nome è incredibile ed è davvero buona, anche se nessun italiano mi crederà.Terminata la colazione, abbiamo cominciato con le attività che consistevano in varie prove da fare in gruppi. La più divertente, almeno dal mio punto di vista, consisteva nel vestire un ragazzo come fosse una ragazza. Dentro al mio gruppo la scelta è caduta su Daniel, un ragazzo americano, il quale si è ribellato, scappando addirittura per due volte. Dopo il pranzo, sino alle 15, qualcuno si è riposato, altri hanno giocato a carte o a calcio. Poi sono riprese le attività di gruppo, divertenti come quelle del mattino. In una di queste ho dato prova delle mie abilità. Il gioco consisteva nel mangiare sei biscotti nel minor tempo possibile: io ho fatto vincere il mio gruppo impiegando il tempo record di soli due minuti.Finita la cena, gli organizzatori hanno consegnato i premi ai vincitori

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dei vari giochi. Per il miglior travestimento da ragazza, vincitore è risultato Joel, un ragazzo texano che si è conquistato una bottiglia da 50 cl. di Coca Cola. Io, invece, ho vinto – vedi tu dove arriva la fantasia – una confezione di biscotti. Terminate le premiazioni, alcune ragazze, trasformatesi in maschiacci, e Daniel, hanno imitato i Break Street Boys, gruppo pop statunitense, facendoci morire dal ridere. Infine, dopo qualche chiacchierata e partita a carte, alle 23 me ne sono andato a letto ansioso di vivere un’altra giornata divertente come questa.

Lunedì 2 luglio: Divento un lupo di lagoFatta la solita colazione, con alcuni amici che m’ero fatto nei giorni precedenti, ho aspettato che arrivassero le 10, ora prevista per la partenza di una gita al lago in canoa. Per me era la prima volta che salivo (o affondavo) su una canoa e perciò, come accompagnatore, mi è stato affiancato Magne Flatlandsmo che, assieme a Guri Hoel, era uno dei responsabili del campo. Per farmi passare la paura è stato deciso di fare una gara contro altri due canotti: il primo, americano, era formato da Duel e Andreas, il secondo, misto, da un ragazzo svizzero e da Jeff, un ragazzo del Quebec canadese. Insomma, tutta gente che vive in paesi dei tanti laghi e, anche questo, contribuiva ad aumentare la mia inquietudine. Stranamente me la sono cavata bene e, sia all’andata sia al ritorno, abbiamo sconfitto gli equipaggi dei lupi di “lago”. Terminata la gara, Magne mi ha fatto i complimenti per la mia bravura, ma non ha trascurato di lodare anche gli altri ragazzi.Dopo aver pranzato, ci siamo divisi in quattro squadre di sette persone e, sulla spiaggia in riva al lago, abbiamo partecipato a un torneo di palla volo. La mia squadra ha vinto il primo incontro con relativa facilità: durante il mio turno di battuta ho realizzato gli ultimi quattro punti. Gli altri due incontri sono stati più impegnativi e combattuti ma, nonostante una sconfitta, alla fine siamo

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risultati primi in classifica. Non appena abbiamo finito di sudare, l’attrazione per il lago è diventata irresistibile e, sebbene l’acqua fosse fredda, ci siamo buttati dentro e abbiamo fatto una bella nuotata. E’ stata un’esperienza fantastica.Dopo aver cenato, abbiamo preso alcuni pulmini per andare a una specie di palestra. Lì, volevano costringermi a fare climbing, uno sport che consiste nel scendere da una parete di legno con una corda. Io, però, mi sono rifiutato: dopo aver corso il pericolo di affondare, avrei dovuto forse anche superare la paura di precipitare e potermi sfracellare? Due prime volte nella stessa giornata erano davvero troppe; così, ho fatto altri esercizi che erano alla mia portata come percorrere il ponte sospeso sul fiume o scavalcarlo appeso ad una liana. Mica una cosa da nulla, non vi pare? Tornato al campo, prima di andarmene a dormire, ho giocato a carte con Joel, Carry, Jeff, Elco e Dorn Thomas, che noi tutti chiamavamo JT. Quale fosse il mio soprannome, non ho intenzione di scriverlo solo per accontentare la vostra spudorata curiosità.

Martedì 3 luglio: Pesca grossaMi sono svegliato presto e, dopo la colazione, mi sono messo a leggere l’Hobbit, un libro di Tolkien che racconta le avventure di guerrieri, draghi, elfi, nani, gnomi e, naturalmente, dell’Hobbit. Dovevo aspettare le 10 perché solo allora saremo scesi al lago per andare a pescare. Sulla barca, assieme a me, c’erano JT, Mie, una ragazza norvegese, e Magnus un ragazzo venuto dalla Germania. Abbiamo gettato la rete e, baciati dalla fortuna, siamo riusciti a pescare dieci pesci. Niente però in confronto dello stellone che ha illuminato la barca dove si trovava Jeff che ha preso un pesce davvero enorme, lungo quasi un metro e bello grosso. Non sono mai riuscito a sapere il nome italiano di quel pesce, ma non ha poi molto importanza. Infatti, dopo averlo fotografato, l’abbiamo

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pulito e messo, insieme a tutti gli altri, a cucinare sulla piastra e infine divorato. Carne veramente eccezionale! In riva al lago si trovava un motoscafo al quale era agganciato un gommone. Chi lo desiderava poteva salirci sopra per fare un giro attraverso il lago. Ci sono salito e il motoscafo ha cominciato ad andare ad una velocità pazzesca. Io avevo soltanto un po’ di paura, tanto è vero che non ce la facevo a parlare con il guidatore o alzare una mano per salutare quelli che se ne stavano tranquilli sulla riva e sbracciavano ogni volta che schizzavo davanti a loro. Ma ho preso coraggio e, dopo il primo giro, ne ho fatto un altro e questa volta me lo sono davvero goduto.A cena abbiamo festeggiato i 21 anni di Carry, una nostra amica americana. Abbiamo mangiato due torte: una, davvero buona, alla crema con le fragole, l’altra al formaggio che era solo americana”. Terminati i festeggiamenti a Carry, chi voleva poteva andare a fotografare le renne. Anche se erano le nove di sera, la luce non mancava e perciò si potevano vedere le renne che si spostavano in cerca di cibo. Io ed altri ragazzi eravamo entusiasti dell’idea. Siamo stati portati in un posto bellissimo dove si trova un lago circondato da una stupenda foresta (il lago non è quello dove ho fatto “gommone” d’acqua). Ci siamo messi alla ricerca delle renne e, appena le ho viste, ho provato a fotografarle. Erano troppo lontane e nelle foto si vede solo qualche piccola macchia e solo io so che quella indica una renna. In compenso ho scattato delle bellissime foto al lago e alla foresta.Tornati al campo, ho fatto la solita partita a carte, ma questa volta, oltre ai soliti amici, s’erano aggregati Svetoslaw e Sabin, due ragazzi bulgari. Cerco di dirli tutti i nomi delle persone che ho conosciuto: mi sono diventate amiche e spero di poterle di nuovo incontrare in modo da imparare bene come si scrivono correttamente i loro nomi. Poi a letto: domani Oslo mi aspetta.

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Mercoledì 4 aprile: TuristaNonostante avessi preso l’abitudine di svegliarmi presto, è stata una levataccia. Colazione fatta in fretta, corse per prendere quello che ci serviva per la gita e poi su in corriera. Come tutti sapete, i viaggi in pullman sono spesso lunghi e noiosi; dunque lascio a voi immaginare come siano stati sia quello dell’andata sia del ritorno. Appena giunti ad Oslo siamo andati a visitare il Parco Vigeland. Il parco è pieno di statue di singole persone e di monumenti che rappresentano bambini, uomini e donne in strane posizioni, incastrati uno a fianco e sopra l’altro. L’autore delle sculture è Gustav Vigeland e questo spiega il nome del parco. Tutte le statue sono belle, in particolare una colonna che, composta da diversi corpi umani, sembrava volesse arrivare al cielo. Tutti noi abbiamo deciso di utilizzarla come sfondo per le foto di gruppo, sia quella generale sia quella delle sole ragazze, soli ragazzi e via suddividendo. Insomma, l’accompagnatore, che s’era convertito in fotografo, ha scattato almeno 35 foto dello stesso monumento: l’unica differenza tra una foto e l’altra, erano i corpi delle persone che stavano davanti alla colonna, mentre rimanevano sempre gli stessi i corpi di quelle che erano inserite e legate alla colonna. Dopo aver finito di girare per il parco, siamo andati a visitare il trampolino e, infine, abbiamo pranzato. Abbiamo mangiato al sacco ed è stato molto divertente perché, più che un pranzo, è stato come un gioco. Il pomeriggio abbiamo lasciato la periferia e ci siamo trasferiti nel centro di Oslo per shopping o per visitare la città. Perciò ci siamo divisi in gruppi ed io ho scelto un gruppo che aveva solo intenzioni turistiche: compere per ricordi e regalini potevano aspettare. Non avevamo molto tempo a disposizione e abbiamo fatto tutto in fretta. Le cose che mi sono piaciute di più sono state il Parlamento, abbiamo potuto vederne solo la facciata, il teatro e, soprattutto, il Castello Antico. Magari non v’interessa, ma io vi dico lo stesso qual’è il prezzo del biglietto

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d’ingresso e, a questo, aggiungo pure qualcosa sulla struttura del castello. Il biglietto costa 30 corone, circa 7200 lire. Secondo voi è tanto o poco? Per me è buona la seconda. Il Castello è una grande costruzione in pietra. Anche le stanze interne sono di pietra massiccia, mentre il pavimento è in legno di noce. Dentro al Castello la temperatura è mite, tranne che nella cripta reale le cui mura sono molto spesse e dove fa quasi freddo. Ci siamo fatti fotografie anche davanti l’entrata della cripta. Dopo la cultura, siamo andati in giro per negozi; purtroppo io non sono riuscito a trovare niente che mi piacesse davvero e così sono ritornato al campo a mani vuote. Ma, una giornata così speciale non poteva terminare nel solito modo.La sera siamo andati al lago, e sulla riva abbiamo giocato a pallavolo e dal trampolino ci siamo tuffati nelle sue acque e abbiamo nuotato e scherzato. L’acqua era abbastanza fredda, ma quasi nessuno di noi ha voluto rinunciare ad una nuotata notturna nell’acqua di un lago che si trova lassù, nel profondo nord dell’Europa. Mi sono addormentato che ero più stanco del solito ma anche molto più felice.

Giovedì 5 luglio: Avventure d’acquaQuesta mattina non mi sono svegliato presto come è mia abitudine. Anche gli altri ragazzi hanno dormito più del solito.La gita di ieri è stata talmente faticosa che tutti avevamo bisogno di recuperare. Un’abbondante colazione è stata sufficiente per rimetterci in forze e farci tornare pronti per un’altra giornata di attività. Abbiamo cominciato con una partita di calcio. La squadra con cui giocavo ha perso disonorevolmente prendendo ben sette goal e segnandone la miseria di due. Siamo poi andati al lago e, per consolarmi, mi aspettava il Water Fan (cioè il gommone trainato dal motoscafo). Quando è stato il mio turno, sono salito sul gommone assieme

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a Svetoslaw (a chi l’avesse dimenticato, ricordo che è uno dei due ragazzi bulgari). Anche lui come me è un amante dell’alta velocità e, neanche a farlo apposta, il motoscafo è partito a razzo tanto che lo strappo ha fatto sollevare il gommone di una decina di centimetri sopra il pelo dell’acqua. Svetoslaw ed io ridevamo come matti e abbiamo continuato a ridere anche quando siamo scesi a riva. Dopo il “gommone” d’acqua è arrivato il momento di provare il vero sci d’acqua, quello che si fa stando in piedi su due tavole e non seduti sul fondo gommoso di un rassicurante battello pneumatico. Ho fatto tre tentativi, tutti e tre con una fine diversa seppure ugualmente disastrosa: durante il primo ho subito perso uno sci, nel secondo ho mollato il triangolo, il terzo, invece, mi aveva illuso. Ero convinto di avercela fatta: ero riuscito ad alzarmi e a mettermi quasi in piedi, quando, a causa della velocità, sono stato sbalzato in avanti con un volo di due metri che mi ha fatto perdere la presa ed entrambi gli sci. Più divertito che avvilito sono andato a cambiarmi perché ormai era giunta l’ora del pranzo.Pensavo che il resto della giornata sarebbe trascorso in tranquillità ma, il pomeriggio, ci hanno condotti ad una pista dove le auto per i rally svolgono le prove. Anche a noi era possibile fare “le prove” e, così, ci siamo messi ad aspettare con impazienza il nostro turno. Quando è venuto il mio momento, mi sono seduto avvolto in una tuta protettiva e subito mi sono sentito un vero pilota da rally. Per mia fortuna ero solo il secondo pilota; il primo era uno davvero abile ed esperto. È fantastica la sensazione che si prova a prendere una curva a tutta velocità per poi sgommare alzando un immenso polverone. Si rimane a bocca aperta e senza fiato. Comunque i pericoli erano terminati e la sera è trascorsa in modo tranquillo, giocando a calcio, chiacchierando e facendo qualche partita a carte. Verso mezzanotte me ne sono andato a letto.

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Non so se vi siete accorti della libertà che avevamo. Certo, quando si vive in gruppo bisogna rispettare delle regole, ma queste non erano rigide e non eravamo comandati a bacchetta come fossimo in un collegio.

Venerdì 6 luglio: DistaccoÈ l’ultima giornata che, per intero, trascorrerò qui al campo. La meta di oggi è Lillehammer, la città dove nel 1994 si svolsero i giochi olimpici invernali. Prima abbiamo fatto il giro degli impianti sportivi (piste, campo da hockey, biathon, ecc), poi abbiamo visitato il centro della città. Lillehamber, come la maggior parte delle città di montagna, è piena di negozi di abbigliamento invernale e sportivo. Nei negozi è comunque possibile trovare abiti e costumi tradizionali. A seconda del tipo di abbigliamento e di fattura, il prezzo va dalle 80 alle 1000 corone norvegesi (il controvalore il lire lo lascio alle vostre curiosità di calcolo). Terminata la visita alla città ci siamo trasferiti in un parco divertimenti che si trova nei dintorni di Lillehamber. Ingresso gratuito; meglio, il biglietto l’aveva già pagato l’Associazione europea che aveva organizzato il campo. Le attrazioni più divertenti sono state il go-kart e il rafting che consiste nel discendere, sopra una trave di legno scavata, le rapide di un “fiume” infilandosi in un tunnel. Tornati al campo, abbiamo iniziato a preparare la festa di saluto aiutando a mettere festoni, coccarde e tutto il resto. Ad alcuni ragazzi, tra i quali anch’io, non piaceva quel tipo di festa a base di musica da discoteca. Così, ad un certo punto, l’abbiamo abbandonata per un’ultima nuotata notturna. Vinto il freddo iniziale abbiamo cominciato a giocare, tuffarci dal trampolino e scherzare sin quasi a mezzanotte. Dopo il bagno, ho fatto una buona doccia calda e mi sono unito agli altri per giocare a carte, chiacchierare e scambiarci indirizzi anche se avremo il problema della lingua da adoperare per scriverci.

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Durante il campeggio, la lingua non ha rappresentato un problema insuperabile; con i gesti e gli sguardi, con l’inglese e qualche volta un po’ di francese e di italiano, sono riuscito a cavarmela. Questo è, credo, importante perché i ragazzi italiani, forse, non partecipano ai campeggi a causa della paura di non farsi capire. Invece c’è sempre la possibilità di capirsi anche se non si conoscono le lingue degli altri ragazzi.

Sabato 7 luglio: ArrivederciOggi è l’ultimo giorno: preparativi per la partenza, saluti di arrivederci e ringraziamenti a tutti quelli che mi hanno permesso di trascorrere un così divertente e allegro periodo di vacanza.L’esperienza di una settimana mi è stata molto utile perché mi ha fatto conoscere molte ragazze e ragazzi con la mia stessa malattia, ma che la vivono senza troppi problemi (che ci sono e, certo, non spariscono miracolosamente). Grazie a loro, ho capito che non mi debbo far sconfiggere dallo sconforto e dalla tristezza per avere la sfortuna di essere un portatore di Neurofibromatosi.Spero che il racconto della mia esperienza sia d’aiuto ad altri e spinga i ragazzi italiani a scegliere di trascorrere una settimana della prossima estate in compagnia con loro coetanei di altre nazioni e che hanno le loro stesse difficoltà e problemi. Sarò felice di poterli aiutare ad ambientarsi, facendo, ma solo all’inizio, da loro guida “esperta”. Fossimo almeno in due, potremmo stupire tutti i nostri amici stranieri organizzando una festa che, invece della solita noiosa musica disco, abbia in cartellone un verace speedy pizza party italiano (o è già una cosa internazionale?).

Nicola M.Speciale Linfanews supplemento al n. 3/2001

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1 Si fa riferimento all’Assemblea Soci LINFA dell’aprile 2007

2 Si fa riferimento ad un progetto promosso dall’Associazione che ha pubblicato alcuni testi rivolti al personale scolastico

3 Si fa riferimento all’Assemblea dei soci LINFA dell’aprile 2008

4 Le parti dei diari di Sara sono riportate con caratteri diversi

5 La leggenda è “Il mendicante e il re”

6 Benedetta è stata sepolta nel cimitero delle Colombare a Sirmione, ma nel 1969 la sua salma è stata traslata a Dovadola, suo paese natale.

note

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Questo volume

Il Mondo della Neurofibromatosiscriverla raccontarla viverla

è stato stampato da Grafica Atestina - Este (Padova)nel mese di ottobre 2008, con una tiratura di mille pezzi.

www.graficaatestina.it

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