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I NOTIZIE DALLA MARIAPOLI PERMANENTE REDAZIONE: LOPPIANO - 50064 INCISA VALDARNO (FI) - ANNO VII N. 2 - MARZO-APRILE 1984 - BIMESTRALE SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE GRUPPO IV (70%) Il dolore che salva P erché il dolore? Qual'è il significato di questa re- altà che marca così profondamente la nostra esi- stenza? Per aiutarci a trovare la risposta a questa domanda, che l'uomo di oggi si pone con una sensibili- tà sempre più acuta di fronte alle proporzioni dramma- tiche che va assumendo il male nel mondo, il Papa in data 11 febbraio '84 ha indirizzato una lettera a tutti i fedeli del mondo. La risposta a questa domanda - dice il Papa - la troviamo solo in Gesù. Gesù è venuto sulla terra per dare un senso al dolore del mondo. Facendosi uomo il Figlio di Dio si è immerso nel mondo della sofferenza. Gesù è stato sensibile ad ogni umana sofferenza, sia a quella del corpo che a quella dell'ani- ma. Egli ha preso la sofferenza umana su di sé, speri- mentandola in tutte le sue espressioni. Cristo è andato incontro alla sofferenza con tutta la consapevolezza. La sofferenza provata da Gesù nella passione è l'ultima parola, quella che riassume tutto il suo insegnamento. Nella preghiera di Gesù al Getsemani: "Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice" (Mt. 26, 39), ognu- no di noi si ritrova e sente Gesù profondamente vicino alla propria esperienza. Sulla croce poi Egli prova il dolore più straziante, cioè l'impressione di essere ab- bandonato anche dal Padre. Nella croce di Cristo la sofferenza umana ha toccato il suo culmine. In quel momento, però, ha acquistato an- che un'altra dimensione. Vivendola nell'amore, Gesù le ha cambiato volto. L'ha fatta diventare una sofferenza redentrice, capace di santificare il mondo. In seguito alla passione di Cristo ogni sofferenza uma- na viene a trovarsi in una nuova situazione. L'uomo viene reso capace di abbracciare la sofferenza insieme con Gesù. L'uomo, penetrando mediante la fede nella sofferenza redentrice di Cristo, scopre in essa il valore delle proprie sofferenze; le ritrova arricchite di un nuo- vo contenuto e di nuovo significato. Quando l'uomo accetta di soffrire insieme con Cristo, egli collabora intimamente con Lui all'opera della Re- denzione, alla dilatazione della Chiesa, alla diffusione della grazia. Si-può parlare, quindi, di una vocazione del cristiano alla sofferenza. Gesù infatti non ha mai nasco- sto ai suoi ascoltatori la necessità della sofferenza. Mol- to chiaramente ha detto: "Se qualcuno vuoi venire die- tro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (Mt. 16,24). L'osservanza dei suoi comandamen- ti è possibile solo a condizione di rinnegare se stessi. Cristo ha anche predetto ai suoi discepoli che avrebbe- ro incontrato molte tribolazioni e persecuzioni. Ma la passione di Gesù ha come sbocco la gioia della risurrezione. Apparendo ai discepoli, Gesù Risorto vuo- le infondere in essi la convinzione di questa forza e di questa pace che scaturisce dalla sofferenza. Se dalla debolezza di Cristo si è sprigionata la forza della sua risurrezione, ciò significa che in ogni sofferenza umana si nasconde la forza della risurrezione. Cristo si trova all'interno di ogni sofferenza umana ed unisce a sé la persona che soffre per farne uno strumento della sua grazia e renderla partecipe delle gioie superiori del suo spihto. Nella parabola del buon samaritano poi Gesù indica quale debba essere il nostro atteggiamento verso il prossimo sofferente. Non ci è lecito passare oltre con indifferenza, ma dob- biamo fermarci accanto a lui. Buon samaritano è chiunque porta un aiuto concreto per lenire la sofferen- za altrui, di qualunque natura essa sia. Le istituzioni assistenziali e caritative sono molto importanti. Però nessuna istituzione può sostituire il cuore umano quando si tratta di venire incontro alle sofferenze degli altri. Anche le parole di Cristo nel racconto del giudizio fina- le ci dicono che nel piano di Dio la sofferenza ha lo scopo di provocare una mobilitazione di amore tra gli uomini, di suscitare una nuova civiltà, la civiltà dell'a- more. Cristo dice: "Ogni volta che avete fatto queste La comprensione del senso della sofferenza nella vita di ciascuno può portare a una serenità che si irradia attorno. cose ad uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'ave- te fatto a me" (Mt. 25,40). Egli stesso, dunque, è colui che riceve aiuto, quando questo viene reso ad ogni sof- ferente senza eccezione. Riassumendo, Cristo ci ha invitato a far del bene sia abbracciando la sofferenza sia stando vicini alle perso- ne che soffrono. In questo duplice aspetto Egli ha svelato fino in fondo il senso della sofferenza. I

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I

NOTIZIE DALLA MARIAPOLI PERMANENTE

REDAZIONE: LOPPIANO - 50064 INCISA VALDARNO (FI) - ANNO VII N. 2 - MARZO-APRILE 1984 - BIMESTRALE

SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE GRUPPO IV (70%)

Il dolore che salva

Perché il dolore? Qual'è il significato di questa re­altà che marca così profondamente la nostra esi­stenza? Per aiutarci a trovare la risposta a questa

domanda, che l'uomo di oggi si pone con una sensibili­tà sempre più acuta di fronte alle proporzioni dramma­tiche che va assumendo il male nel mondo, il Papa in data 11 febbraio '84 ha indirizzato una lettera a tutti i fedeli del mondo. La risposta a questa domanda - dice il Papa - la troviamo solo in Gesù. Gesù è venuto sulla terra per dare un senso al dolore del mondo. Facendosi uomo il Figlio di Dio si è immerso nel mondo della sofferenza. Gesù è stato sensibile ad ogni umana sofferenza, sia a quella del corpo che a quella dell'ani­ma. Egli ha preso la sofferenza umana su di sé, speri­mentandola in tutte le sue espressioni. Cristo è andato incontro alla sofferenza con tutta la consapevolezza. La sofferenza provata da Gesù nella passione è l'ultima parola, quella che riassume tutto il suo insegnamento. Nella preghiera di Gesù al Getsemani: "Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice" (Mt. 26, 39), ognu­no di noi si ritrova e sente Gesù profondamente vicino alla propria esperienza. Sulla croce poi Egli prova il dolore più straziante, cioè l'impressione di essere ab­bandonato anche dal Padre. Nella croce di Cristo la sofferenza umana ha toccato il suo culmine. In quel momento, però, ha acquistato an­che un'altra dimensione. Vivendola nell'amore, Gesù le ha cambiato volto. L'ha fatta diventare una sofferenza redentrice, capace di santificare il mondo. In seguito alla passione di Cristo ogni sofferenza uma­na viene a trovarsi in una nuova situazione. L'uomo viene reso capace di abbracciare la sofferenza insieme con Gesù. L'uomo, penetrando mediante la fede nella sofferenza redentrice di Cristo, scopre in essa il valore delle proprie sofferenze; le ritrova arricchite di un nuo­vo contenuto e di nuovo significato. Quando l'uomo accetta di soffrire insieme con Cristo, egli collabora intimamente con Lui all'opera della Re­denzione, alla dilatazione della Chiesa, alla diffusione della grazia. Si-può parlare, quindi, di una vocazione del cristiano alla sofferenza. Gesù infatti non ha mai nasco­sto ai suoi ascoltatori la necessità della sofferenza. Mol­to chiaramente ha detto: "Se qualcuno vuoi venire die­tro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (Mt. 16,24). L'osservanza dei suoi comandamen­ti è possibile solo a condizione di rinnegare se stessi. Cristo ha anche predetto ai suoi discepoli che avrebbe­ro incontrato molte tribolazioni e persecuzioni. Ma la passione di Gesù ha come sbocco la gioia della risurrezione. Apparendo ai discepoli, Gesù Risorto vuo­le infondere in essi la convinzione di questa forza e di questa pace che scaturisce dalla sofferenza. Se dalla debolezza di Cristo si è sprigionata la forza della sua risurrezione, ciò significa che in ogni sofferenza umana si nasconde la forza della risurrezione. Cristo si trova all'interno di ogni sofferenza umana ed unisce a sé la

persona che soffre per farne uno strumento della sua grazia e renderla partecipe delle gioie superiori del suo spihto. Nella parabola del buon samaritano poi Gesù indica quale debba essere il nostro atteggiamento verso il prossi mo sofferente. Non ci è lecito passare oltre con indifferenza, ma dob­biamo fermarci accanto a lui. Buon samaritano è chiunque porta un aiuto concreto per lenire la sofferen­za altrui, di qualunque natura essa sia. Le istituzioni assistenziali e caritative sono molto importanti. Però nessuna istituzione può sostituire il cuore umano quando si tratta di venire incontro alle sofferenze degli altri. Anche le parole di Cristo nel racconto del giudizio fina­le ci dicono che nel piano di Dio la sofferenza ha lo scopo di provocare una mobilitazione di amore tra gli uomini, di suscitare una nuova civiltà, la civiltà dell'a­more. Cristo dice: "Ogni volta che avete fatto queste

La comprensione del senso della sofferenza nella vita di ciascuno può

portare a una serenità che si irradia attorno.

cose ad uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'ave­te fatto a me" (Mt. 25,40). Egli stesso, dunque, è colui che riceve aiuto, quando questo viene reso ad ogni sof­ferente senza eccezione. Riassumendo, Cristo ci ha invitato a far del bene sia abbracciando la sofferenza sia stando vicini alle perso­ne che soffrono. In questo duplice aspetto Egli ha svelato fino in fondo il senso della sofferenza. Il

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nella città

Quando la gioia vince Quella gioia che nasce quando ci si ritrova tutti assieme.

Festa vuoi dire vestito elegante, il· più bello che si possiede; vuoi dire gentilezza, ci si saluta, si dimenti-

cano rancori piccoli e grandi, si è di­sponibili ad accogliere l'altro con mag­giore generosità. Festa è il giorno del ritrovarsi assieme, dello scambiarsi re­gali, del gioire della gioia altrui, del ri­crearsi per migliorare. Loppiano vuoi essere una società, sep­pur in embriòne. I suoi abitanti, pur di­stribuiti nelle vecchie case coloniche che punteggiano i dolci profili delle col­line, trovano anch'essi le occasioni di fa­re festa assieme. Si sa, l'unica legge che qui lega è l'amore scambievole che dà senza pretendere nulla. Ne viene da sé, allora, che le occasioni di festa nascano quando meno ce lo si aspetta, magari da un fortuito incontro che, vivificato ap­punto dalla comprensione reciproca, si trasforma in festa, in gioia spontanea. Oppure una partita di calcio, giocata sì nell'agonismo, ma con lealtà e rispetto, può divenire da semplice svago, occa­sione di serenità e di crescita collettiva, se il singolo sa "scomparire" nel colletti­vo. Capita sovente, è un altro esempio, nel­le piccole aziende di Loppiano, che una

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Tutto era sparito! Ma i bambini si misero a spazzare e, come d'incanto, la piazza riapparve e ... la grande festa cominciò (foto in alto).

grigia e monotona giornata di lavoro si muti in una festa piena e inaspettata. Com'è successo l 'altro pomeriggio a tre giovani che avevano come occupazione in quei giorni di scartavetrare torri, re, regine, pedoni, cavalli e alfieri, ossia le figure degli scacchi. Ne avevano dinanzi a loro una vera montagna, migliaia di pezzi. Seduti attorno ad un tavolo, men­tre lavoravano sodo, si raccontavano episodi delle loro ancor giovani età. Si san ritrovati a sera, finito quel lavoro, che ancora stavano parlando, felici l'uno dei racconti dell'altro. E dall'espressione dei loro volti non era possibile dubitar­ne.

Ma ce ne sono altre, di feste, più colletti­ve, in ogni caso gioiose. Loppiano negli ultimi mesi ne ha contate un bel nume­ro.

La piazza sparita

La piazza è sparita. Tutti la cercano, ma non la trovano: l'inventore strambo, il ladro di professione, il l attaio, il postino. Niente da fare: la piazza è svanita nel nulla, proprio ora che bisogna far festa all'anno nuovo che sta arrivando. Il sin­daco, ben piazzato e bonario, preoc­cuppato ma risoluto, indice un concor-

Mario, dopo il battesimo, fra le braccia della mamma.

so: un monumento a chi ritroverà la piazza. Ma nulla, neanche l'ambizione, porta a qualche risultato. Nessuno, pe­rò, ha pensato ai bambini del paesello che, intanto, sono corsi al capezzale di Agostino, lo spazzino malato. Gli vor­rebbero raccontare il fattaccio, ma non hanno la forza di dargli un dispiacere così grande. Anzi, dietro le sue insisten­ze, gli promettono di pensar loro a spaz­zare la piazza. I bambini restano per­plessi. Ma hanno dato la loro parola, e perciò si mettono di buona lena a spaz­zare il luogo dove sorgeva la piazza. E, come d'incanto, nascosta dal polverone sollevato dai bambini, la piazza riappare e la festa può incominciare; anzi, la ri­apparizione della piazza è già la festa. E tutto perché dei bambini hanno fatto contento uno spazzino .... Niente paura, non si tratta del piazzale di Campogiallo, ma d'una commedia messa sù da alcuni cittadini di Loppiano per festeggiare l'arrivo del nuovo anno. Per tutti c'era un regalo alla riappari zio­ne della piazza, un regalo personale portato a spalla da improvvisati zampo­gnari. E poi, logica conclusione, la mes­sa di ringraziamento per l'anno trascor­so. Ognuno aveva qualcosa per cui po­ter ringraziare.

RITORNA SEMI DI PACE

Torna la grande festa dei giovani che vogliono costruire la pace. Il primo maggio, infatti, a Loppiano sarà organizzato "Semi di pace", come lo scorso primo maggio. Tutti i nostri giovani lettori ed i loro amici sono invitati a partecipare.

Per informazioni, telefonare al numero 055/83.35.169, dalle ore 15.30 alle 18.30, tutti i giorni dal lunedì al venerdì.

Bambini

Vi siete mai sorpresi, voi adulti, ad os­servare incantati alla televisione qualche festa di bambini? Che ne so, magari lo Zecchino d'oro? Si resta stupiti dalla gioia vera dei bambini, gioia innocente e piena, che da sola fa festa. Bene, se siete tra questo tipo di adulti, dovevate esserci l'altro giorno alla festa dei bambini e delle bambine di Loppia­no. Dovevate osservarli mentre assiste­vano ad una scenetta organizzata dai ragazzi della città sull'uomo nuovo spa­ziale che combatte contro l'uomo vec­chio spaziale. Ed era uno spasso, e nello stesso tempo uno spettacolo edificante, vederli poi cantare alcune canzoni, ma­gari sbagliando la battuta, o cantando una nota più alta, ma impegnatissimi nel portare a termine la loro breve perfor­mance. Era festa per i bambini e le bambine, per i genitori e per tutti coloro che, più o meno casualmente, s'erano ritrovati in quella sala.

Rinato

Festa è scoprire che c'è qualcosa di nuovo che lega l'uomo all'altro uomo. Niente di più festoso, allora, d'una nuo­va nascita, d'una presenza che manifesti il miracolo della vita, il miracolo dell'a­more che non ha mai termine. Mario Balduzzi è l'ultimo abitante di Loppiano. Piccolo e inerme, è stato accolto dalla

comunità intera in occasione del suo battesimo, di cui parliamo più diffusa­mente nella pagina seguente. Cittadino a pieno titolo, "Mario - come confessa un ventiduenne - mi ha 'detto' d'essere più generoso, di sorridere an­che quando le cose non mi vanno bene, anche quando la solitudine s'affaccia al mio animo. Perché la vita ha sempre ra­gione della morte. Così ho fatto festa a chi avevo accanto durante la cerimonia; non mi ricordo neanche chi fosse, ma non potevo non essere dono per lui, come Mario lo era stato per me. Mi sono sentito rinato, se così posso dire".

L'abbraccio

"Signore, dacci il tuo spirito, affinché ci amiamo l'un l'altro come Tu ci hai ama­to ... La diocesi dell'uno sia la diocesi dell'altro; la croce dell'uno sia la croce dell'altro; la gioia dell'uno sia la gioia dell'altro; la grazia dell'uno sia la graz.i.a­dell'altro ... Così possiamo sperare che il tuo Figlio, tramite lo Spirito Santo, viva sempre in mezzo a noi e dia una nuova testimonianza al mondo intero". Questa la preghiera pronunciata da Mons. Klaus Hemmerle, vescovo di Aachen, prima di uno spontaneo ab­braccio tra i trentacinque vescovi parte­cipanti all'annuale incontro romano dei vescovi amici del Movimento dei Foco­lari, in visita a Loppiano. Stavano cele­brando una messa per tutta la città. Sulle note di una canzone che parla di festa, di gioia, di resurrezione, lo scam­bio di abbracci è durato alcuni minuti, mentre tutti assistevano composti ma gioiosi a questa testimonianza d'amore così piena di fascino. I commenti del dopo-messa non parlavano d'altro. Lo scettico: "Non posso non credere che la Chiesa abbia lo Spirito Santo"; l'indeci­so: "Anch'io devo dimostrare lo stesso amore di cui i vescovi m'hanno dato og­gi una palese manifestazione"; il poeta: "Mi sembra d'aver dinanzi un quadro del Beato Angelico vivificato, ossia quel 'Giudizio Universale' dove spicca la fe­sta dei beati che si abbracciano".

Queste le feste di Loppiano. Tra le tante, s'intende, perché ogni visita è una festa, ogni arrivo ed ogni partenza. Tutto può essere festa: dipende da noi.

Michele Zanzucchi

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Famiglie di Loppiano

La gara d'amore per Mario

Il battesimo di Mario, ottavo figlio di Piera e Matteo Balduzzi, ha richia­mato molte persone a Loppiano.

"Perché?", chiediamo a Piera. "Molti erano i visitatori della domenica - ci ri­sponde -ma c'era anche un gruppetto di nostri amici, con i quali le famiglie di Loppiano hanno instaurato un rapporto vero sul lavoro, a scuola o in altre circo­stanze che la vita offre ogni giorno". Sono stati in molti a congratularsi con i genitori alla fine della cerimonia. "Sono felice di essere anch'io tra coloro che hanno accompagnato Mario nel suo in­gresso nella Chiesa", dice una ragazza. E un'altra: "Sono rimasta impressionata quando il sacerdote ha detto che se ci sono famiglie che accettano otto figli, vuoi dire che c'è ancora chi crede all'a­more di Dio". Fra una considerazione e l'altra, abbia­mo dimenticato che ci aspetta un picco­lo rinfresco messo insieme, così alla buona, dalle altre famiglie della città. È lì che incontriamo Giorgio, diciotto anni, il maggiore dei figli di Piera e Matteo: "Non è stato facile accettare un altro fra­tello - mi dice - ma ora sono molto con­tento che ci sia". La mamma conferma: "Infatti appena torna dal lavoro è lui che va a vedere e a baciare per primo". "Quando doveva nascere - interrompe uno dei fratelli più piccoli - la mamma non stava bene e noi si faceva la gara degli atti d'amore. lo gli volevo lasciare il mio lettino ... ". Continua Piera: "A casa nostra i letti so­no contati. Eppure quando, con Matteo, abbiamo detto ai figli che ero in attesa di un altro bimbo, la prima reazione non è stata la preoccupazione di doversi strin­gere o comunque sacrificare, quanto di dargli subito un letto. Qualcuno si è of­ferto immediatamente di trasferirsi a dormire in salotto per lasciare il suo al nuovo arrivato. "Quest'evento è stato un progresso per tutta la famiglia, perché ha messo in mo­to più amore tra i figli, ma prima di tutto tra noi due - prosegue Piera guardando Matteo, come ad avere la conferma di quanto dice. Abbiamo accolto questo bimbo fin dal primo momento, come un dono di Dio, anche se sono sorti subito dei problemi per la mia salute e soprat­tutto per quella del piccolo.

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"Questo bimbo ha coinvolto in una gara d'amore non solo i fratelli, ma tante altre persone, come i m�dici ad esempio. Un giorno la situazione si presentava così grave che mi è stato suggerito di esegui­re un nuovo esame che però presentava un rischio per la vita del bambino, per cui veniva richiesta la nostra autorizza­zione. Il medico ha capito subito che non avremmo accettato. Dopo avergli esposto il mio pensiero molto chiara­mente, ho potuto esprimergli tutta la mia fiducia nelle sue capacità profes­sionali e nella sua umanità. Da quel momento e fino ad ora, io sono stata una paziente privilegiata. Non più il caso particolare, ma semplicemente "Piera". "Un mattino, dopo un'ennesima ecogra­fia, sembrava che il bambino sarebbe nato quasi certamente con qualche mal­formazione. Di fronte alle mie domande, il dottore ha fissato lo sguardo alla pare­te, come per cercare qualcosa; ha chie­sto dove fosse finito il crocifisso che un tempo vi era appeso. Poi, guardandomi, come a condividere il mio peso: "Affi­diamo tutto a Lui". Quando poi il bam­bino è nato senza alcuna malformazio­ne, anche se persiste qualche motivo di sospensione circa la sua salute, il dotto­re quasi si scusava per avermi tenuto tanti mesi nel dubbio. Ma il dolore che ci ha accompagnati durante la gravidanza, e che velatamente rimane ancora, ci ha spinti a pregare di più e insieme fino a consacrare la nostra vita e la nostra fa­miglia a Gesù crocifisso e abbandona­to. "Mi sembra che tra me e Matteo il rap­porto si sia approfondito nella certezza che la nostra famiglia è di Dio. È stata più forte la presenza di Gesù Risorto tra noi, che ci ha mantenuti nella pace, fa­cendoci essere pace per gli altri - figli, medici, genitori - che vivevano le nostre stesse ansie e preoccupazioni". "Sì - aggiunge Matteo - abbiamo sco-' perto che è solo Gesù tra noi che tiene in piedi la famiglia; il dono più grande che Dio ci ha fatto è quest'unità mai sperimentata prima, che mi ha dato per­fino il coraggio di assistere per la prima volta al parto di un figlio: un momento sacro".

a cura di Elda Pardi

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Direzione, Amministrazione, Redazione in LOPPIANO - ti. (055) 8335094-8335169 50064 INCISA VALDARNO (FI) direltore responsabile Guglielmo Boselli Aut. Trlb. Firenze n. 2622 del 9.12.1977 c.c.p. n. 5/15188 intestato a Loppiano - Incisa Valdarno stampato nelle tipografia Baldesi - Firenze

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ar a maggio 1984

,"In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre" (Gv 14,12)

"I n verità, in verità vi dico: anche chi crede in me compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre".

È questa una di quelle affermazioni di Gesù che appaiono più sbalorditive: come mai i suoi discepoli potranno fare opere come le sue o addirittura supe-

. riori alle sue? Non sono miracoli su miracoli quelli che egli ha compiuto durante la sua vita, come leg­giamo nei Vangeli? Non ha Gesù persino risuscitato i morti?

Ma forse si può capire quello che egli ha detto approfondendo ciò che qui intende per opere "più grandi".

Ma andiamo con ordine. È la vigilia della sua passione. Durante l'ultima

cena, egli, fra le cose sublimi che dice e opera per preparare i discepoli fino alla fine, parla anche della sua unità col Padre, così evidente nelle sue opere. A questo punto afferma:

"In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre".

Gesù incomincia dunque col suo solenne: "in verità, in verità vi dico". Con esso egli annuncia l'importanza e la profondità di ciò ch.e sta per dire.

E subito si riferisce "a chi crede": non soltanto dunque ai discepoli presenti o ad alcuni privilegiati, ma ad ogni cristiano. Chi crede in Cristo, chi è unito a lui e vive della sua vita, è in grado di compiere le opere che egli compie, anzi ne farà di più grandi.

Come si vede, Gesù non intende parlare qui di qualsiasi azione, ma di quelle che compie lui, in continuità cioè con tutto ciò che egli ha fatto, per riaprire agli uomini la comunione col Padre, per comunicare loro la salvezza.

E non significa che i discepoli saranno superio­ri al Maestro, perché, attraverso il loro operare, è Gesù stesso che, anche dopo il suo ritorno al Padre, continua ad agire nel mondo.

"In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi,' perché io vado al Padre".

Quanto alle "opere più grandi", che Gesù farà mediante chi crede in lui, si può pensare ai miracoli compiuti dai discepoli, alle conversioni avvenute per la predicazione in maggior numero di quelle operate da Gesù; o all'annuncio del Vangelo fatto dai cristiani in tutto il mondo, mentre Gesù è rima-

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sto tra i confini della Palestina. Ma, certamente, la grandezza di queste opere non sta tanto nell'aspetto esteriore, nel numero o nell'estensione geografica.

Le "opere più grandi" consistono essenzial­mente nel dare agli uomini la vita divina, la forza dello Spirito e, quindi, l'adozione a figli di Dio. E questa Gesù la otterrà in pienezza soltanto nella sua morte e risurrezione. Egli comunicherà questa Vita quindi dopo la sua trasfigurazione gloriosa: e lo po­trà fare attraverso le opere dei discepoli.

Dice, infatti, Gesù: "perché io vado al Padre". La partenza di Gesù non interrompe la sua attività di salvezza del mondo, ma ne assicura la crescita e l'espansione; non significa la separazione dai suoi, ma la sua presenza in loro, reale anche se invisibile. È l'unità con lui risorto che li fa capaci di compiere "opere più grandi", di riunire gli uomini col Padre e fra loro.

"In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre".

Come vivere questa parola? Dipende da noi che Gesù ripassi oggi sulla ter­

ra a compiere l'opera sua: egli agisce mediante noi, se lo lasciamo fare.

Anche per la sua prima venuta sulla terra Dio ha chiesto il consenso di Maria, una di noi. Maria ha creduto: ha aderito totalmente ai piani del Padre. E quale "opera" ha fruttato la sua fede? Per il suo "sì" "il Verbo si è fatto carne" (Gv 1,14) in lei ed è stata resa possibile la salvezza dell'umanità.

Abbiamo anche noi una grande responsabilità: dobbiamo credere in Gesù perché egli possa vivere in noi e operare tramite noi. Dobbiamo accogliere e mettere in pratica le sue Parole, che si sintetizzano nel comandamento deWamore. Dimentichiamo noi stessi e mettiamoci ad amare come ha amato lui, con un amore che non misura. E, sulla tomba del nostro io, vivrà ogni giorno di più il Risorto, con la sua potenza, la sua luce, la sua gioia, in ciascuno di noi e in mezzo a noi.

limando ha estremo bisogno di questa sua presenza. Sia questa l'''opera'' nostra, "l'opera più grande": vivere in modo da offrire, a quanti incon­triamo, il Risorto vivo in noi e in mezzo a noi. In Lui tanta parte di umanità troverà ciò che fuori di lui è vano cercare: la speranza, il bene, la verità, l'unità, la pace. E con lui lavoreremo alla trasformazione vera del mondo.

Chiara Lubich

aprile 1984

I I

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"Togliete via il lievito vecchio per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato" (I Cor 5,7).

"Togliete via il lievito vecchio per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato".

Quella che meditiamo e vogliamo vivere è una parola che, se ben compresa, fa esultare ed infonde vigore al nostro cuore perché chiarificatrice del no­stro essere cristiani. Non sempre, infatti, è presente alla mente dei seguaci di Gesù, la loro divina gran­dezza, ciò che li distingue, la loro eccelsa dignità, grazie all'amore di Dio per essi.

È quella di questo mese una parola che affasci-. na e può dare un colpo d'ala alla nostra esistenza, forse un po' piatta, per la coscienza che immette nell'anima d'un immenso tesoro che già si possiede, ma spesso inconsciamente.

Per enunciarla San Paolo prende lo spunto dal­le feste pasquali. La legge mosaica prescriveva che nella celebrazione della Pasqua si usasse soltanto pane non lievitato. Fin dal primo giorno la casa ve­niva ripassata da cima a fondo ed ogni residuo di pane lievitato doveva essere eliminato. Nella Pa­squa, infatti, gli Ebrei ricordavano e rivivevano la prodigiosa liberazione dalla schiavitù dell'Egitto e il pane senza lievito ricordava loro la fretta con cui avevano dovuto lasciare l'Egitto durante la notte del­la liberazione. In un secondo momento questo pane era diventato anche simbolo di purità e di integrità.

L'Apostolo vede in tutto questo una figura della Pa­squa cristiana. Come gli Israeliti celebravano la loro Pasqua, buttando via il pane lievitato, così i cristiani di Corinto, a cui scrive, dovevano celebrare la nuova Pasqua, cioè la loro resurrezione con Cristo avvenu­ta durante il battesimo, eliminando dalla loro con­dotta il· vecchio lievito: qualsiasi germe o residuo della vecchia mentalità, qualsiasi inclinazione al ma­le appartenente alla vita precedente.

Questa nuova Pasqua però alla quale si riferiva l'Apostolo, non era quindi la festa databile sul ca­lendario, quanto piuttosto la comunione col Risorto che è in noi e può avvenire ogni giorno; era il pas­saggio di ogni momento dalla schiavitù del peccato alla vita nuova in Cristo: una Pasqua che durava tutta la vita.

"Togliete via il lievito vecchio per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato".

"Poiché siete azzimi". Se ben si osserva, si vede che da un lato San Paolo esorta a buttar via il vec­chio lievito, supponendo quindi che in noi esiste ancora; dall'altro dice che noi già siamo azzimi, cioè senza lievito. E ciò può stupire. In realtà non c'è contraddizione. In forza, infatti, della nostra resurre­zione con Cristo e della vita della grazia che abbia­mo ricevuto da Lui, possiamo veramente dire che ormai siamo azzimi, cioè nuove creature: le passioni non hanno senz'altro più il potere di soggiogarci e di tenerci schiavi come poteva accadere un tempo.

È sempre vero però, che, anche dopo la nascita alla nuova vita, restano in noi le radici dell'uomo vecchio, dei vecchi istinti, i quali, se non stiamo at­tenti, possono rispuntare e ricondurci al peccato. Di qui la necessità di vigilare e lottare per sradicarli.

San Paolo, in pratica, con questa esortazione vuole dirci: fate in modo che la vostra condotta cor­risponda alla nuova realtà che voi siete; mortifican­do le vostre passioni, fate germogliare, sviluppare e portare alla sua pienezza quella nuova vita che già è in voi.

"Togliete via il lievito vecchio per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato".

Come vivere allora questa Parola? Mettendo a fuoco nell'animo tre cose importan­

tissime per la nostra vita cristiana. Innanzitutto una grande fede, e cioè la convinzione radicata che la grazia di Gesù è molto più forte di tutte le tendenze al peccato, che portiamo ancora dentro di noi.

I n secondo luogo una grande generosità di im­pegno nel togliere i germi del peccato, le radici dei vizi che ancora possediamo.

Infine animando questa generosità con una sconfinata fiducia nella misericordia di Gesù; quella fiducia che ci spinge a ricominciare sempre, anche dopo ogni eventuale fallimento. Non dobbiamo, infatti, farci illusioni: per togliere queste radici occorrerà forse un lungo cammino. Gesù, però, non ci giudicherà in base al tempo im­piegato ed ai risultati ottenuti, ma in base alla pron­tezza, che suppone umiltà e confidenza, con cui sa­premo riprenderci ogni volta. In pratica Gesù porte­rà avanti l'opera della nostra santificazione nella mi­sura in cui sapremo credere al Suo amore.

Chiara Lubich

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