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Il clarinetto – Fabio Bonora VH - 1 - Liceo scientifico A. Roiti, Ferrara Anno scolastico 2007 – 08 IL CLARINETTO di Fabio Bonora classe VH

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Il clarinetto – Fabio Bonora VH

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Liceo scientifico A. Roiti, Ferrara Anno scolastico 2007 – 08

IL CLARINETTO

di Fabio Bonora classe VH

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Indice 1. Clarinetto

1.1. Lo strumento

1.2. Origini ed evoluzione

1.3. L’impiego del clarinetto

2. Filosofia – Schopenhauer

2.1. La musica come immagine diretta del mondo

3. Storia dell’arte – Cubismo

3.1. Pablo Picasso (1881-1973).

3.1.1. “Il clarinetto” e “Il clarinettista”

3.1.2. “Violino e clarinetto” e “Mandolino e clarinetto”

3.1.3. “I tre musici”

3.2. Georges Braque (1882-1963)

3.2.1. “Clarinetto e bottiglia di Rum” e “Il clarinetto”

3.2.2. “Natura morta con clarinetto”

3.3. Juan Gris (1887-1927)

3.3.1. “Chitarra con clarinetto”

3.4. Il “Tenora”

4. Fisica – Acustica del clarinetto

4.1. Produzione e propagazione dei suoni

4.2. Caratteristiche del suono

4.3. Onde stazionarie nei tubi

4.4. Il caso del clarinetto

4.4.1. La sorgente delle oscillazioni

4.4.2. La formazione del timbro e l’intonazione

4.4.3. Osservazioni conclusive

5. Bibliografia

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1. Il clarinetto Durante il mio corso di studio al liceo scientifico A. Roiti ho coltivato e approfondito la mia

passione per la musica ed in particolar modo per il clarinetto. Nonostante le difficoltà incontrate per

conciliare impegni scolastici e impegni musicali, ho sempre cercato di non trascurare nessuna delle

due attività e ciò mi ha permesso di ottenere un buon andamento scolastico e nel frattempo

partecipare a concorsi musicali, ottenere la licenza di solfeggio al conservatorio, partecipare a

masterclasses e suonare sia con la maggior parte delle formazioni bandistiche della provincia sia in

piccoli gruppi. Con il proseguire degli anni di studio mi sono felicemente accorto che molte

discipline scolastiche potevano integrarsi e completare le mie conoscenze musicali, motivando

scelte culturali legate alla storia del mio strumento e chiarendo i principi fisici che ne permettono il

funzionamento. Proprio per questo ho deciso di realizzare un breve percorso multidisciplinare sul

clarinetto a conclusione dei miei studi superiori.

1.1 Lo strumento

Il clarinetto è definito come uno strumento musicale a fiato ad ancia semplice semibattente

appartenente alla famiglia dei legni. Esso è uno strumento traspositore, cioè le note suonate non

corrispondono a quelle reali (riferendoci per comodità a quelle di un pianoforte) ma sono per

l’appunto trasportate secondo la tonalità dello strumento. Esistono infatti clarinetti in diverse

tonalità o come vengono chiamati in gergo “tagli” poiché una diversa intonazione comporta diverse

lunghezze e proporzioni dello strumento. La maggior parte delle volte si intende comunque con

“clarinetto” lo strumento in sib denominato soprano. Comuni sono anche il “basso” in Sib ma ad

un’ottava inferiore rispetto al soprano (caratteristico per la forma a “pipa”) e il ”piccolo” in Mib

(generalmente nei complessi bandistici e nei cori di clarinetti).

Il materiale di cui è composto lo strumento è generalmente il legno Grenadilla o anche chiamato

Ebano, esistono però anche modelli da studio in resine plastiche che sacrificano il timbro per

maggiore economicità, leggerezza e resistenza alle variazioni termiche.

Lo strumento si presenta come un tubo che termina ad un’estremità con una svasatura, l’interno è

cavo con diametro costante (al contrario di altri strumenti a fiato come sax e oboe che sono conici

all’interno). Si vedrà in seguito quanto quest’ultima caratteristica sia importante (vedi 4.4).

Si può suddividere in quattro parti collegate tra loro da elementi in sughero:

• Bocchino: realizzato in Ebanite, un materiale composto da una miscela di gomma

vulcanizzata e zolfo, molto dura e facile da lavorare, interviene nel processo principale di

formazione del suono. Ad esso è collegato mediante un’opportuna fascetta l’ancia, una

linguetta di canna di bambù estremamente sottile. Il tutto viene parzialmente inserito nella

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bocca del musicista che mediante l’insufflazione mette in vibrazione l’ancia e produce il

suono.

• Barilotto: è il primo vero e proprio elemento del clarinetto, si presenta come un cilindro

cavo lungo circa 6,5 cm indispensabile per l’intonazione fine dello strumento, raggiunta

tirandolo leggermente fuori dall’incastro successivo e dunque modificando la lunghezza

complessiva dello strumento. Da notare l’impossibilità di alzare l’intonazione se non

attraverso un barilotto dalla lunghezza inferiore.

• Parte centrale: è a sua volta composta di due parti separabili. Su di essa sono presenti

ventiquattro fori di dimensioni differenti. Sette fori, di cui sei circondati da anelli, sono

chiusi dalle dita, gli altri vengono chiusi dai cuscinetti azionati dalle diciassette o diciotto

chiavi (a seconda del modello ) o dagli anelli. È in questa parte che le vibrazioni prodotte dal

bocchino vengono modellate per ottenere i suoni desiderati mediante le diverse

combinazioni di fori chiusi e aperti.

• Campana: è l’elemento svasato terminale che dà maggiore risonanza e proiezione al suono.

(nel clarinetto basso è ricurva e in metallo).

L’estensione del clarinetto è la più ampia fra gli strumenti musicali a fiato e raggiunge solitamente

dalle tre ottave e mezzo fino alle quattro ottave piene eccezionalmente nei migliori esecutori. Il

timbro è molto variabile ed espressivo. Infatti, per la stessa costruzione, il clarinetto tende ad avere

tre differenti registri: quello grave caldo e pastoso (“Chalumeau”), quello intermedio brillante e

quello acuto potente e squillante. Inoltre agendo sul modo di soffiare nello strumento è possibile

ottenere effetti come il vibrato (tipico per esempio degli archi, rende il suono più “umano” ed

espressivo), il frullato (tipo della musica contemporanea), il glissato e il growl (tipici della musica

popolare e jazz; il primo consiste in un passaggio graduale da una nota all’altra, il secondo

conferisce un carattere “graffiato” e “arrabbiato” al suono) che aggiungono ancora maggiori

sfumature al timbro.

1.2 Origini ed evoluzione

Il clarinetto è l’unico strumento a fiato di legno che fu inventato piuttosto che sviluppato. Infatti,

anche se esistono strumenti antichi che adottano il principio dell'ancia semplice come il memet

egiziano o le launeddas sarde, non esiste un vero antenato del clarinetto. Lo strumento che più si

avvicina è lo chalumeau, molto simile al flauto dritto odierno provvisto però di un'incisione nella

parte superiore per ricavare l'ancia. Di questo strumento ne esistono solo otto esemplari originali e

la caratteristica peculiare è la voce incredibilmente bassa rispetto ad un flauto della stessa

lunghezza. (vedi 4.4.2).

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Lo chalumeau fu soggetto ad innovazione attorno al 1700 da parte di Johann Christian Denner, un

artigiano di Norimberga. Lo scopo di Denner era quello di estendere il registro grave dello

strumento verso note acute utilizzabili aprendo le porte al cosiddetto "registro di clarino".

Il termine clarinetto, apparso a partire dal 1730, venne usato in principio per sottolineare la

similarità sonora con il clarino, uno strumento appartenente alla famiglia delle trombe. Il clarinetto

ebbe un suono penetrante probabilmente fino al principio del 1800; si ritiene così perché i metodi

per imparare a suonare il clarinetto pubblicati dal 1850 sottolineano il suono "ora più pieno, dolce e

piacevole" dei clarinetti precedenti.

Un passo importante è stato fatto da Ivan Müller, un musicista parigino nato in Russia, che realizzò

il primo clarinetto capace di suonare in tutte le tonalità per mezzo di tredici chiavi. Lo strumento

non ebbe particolare successo ma pose le basi per lo sviluppo del clarinetto tedesco (diverso da

quello utilizzato negli altri paesi). Successive modifiche al clarinetto sono state apportate da

Hyacinthe Eléonore Klosé, il produttore del clarinetto "sistema Boehm". Klosé ha basato il suo

lavoro su quello fatto da Theobald Boehm che introdusse sul flauto le chiavi ad anello. Klosé adottò

gli anelli sul clarinetto di Müller e aggiunse nuove chiavi per un totale di diciassette. Questo

strumento era facile da gestire e dava la possibilità di suonare in tutte le tonalità. Fu Klosé stesso ad

esibirlo per la prima volta a Parigi nel 1839. Oggi è il tipo di clarinetto più diffuso.

Il clarinetto è tuttora sottoposto a miglioramenti tecnici. Soprattutto oggi, con l’utilizzo dei

computers, si cerca di ottenere caratteristiche acustiche sempre migliori e maggiore

maneggevolezza da parte degli esecutori creando sistemi di leve più precisi e vantaggiosi.

1.3 L’impiego del clarinetto

Grazie alle doti espressive e tecniche, il clarinetto è presente in vari generi musicali. È ampiamente

utilizzato in musica classica dove si trova prevalentemente in orchestra. Qui, all'interno della

sezione dei "legni", svolge un ruolo di sostegno agli "archi" e spesso gli vengono affidate parti "a

solo". Un esempio è nella Forza del Destino di Giuseppe Verdi e nella prima parte della celeberrima

aria "E lucean le stelle" dalla Tosca di Giacomo Puccini. Spesso sono presenti due clarinetti con

parti distinte ed è abbastanza comune l’uso alternato di clarinetto in sib e in la. Dalla fine dell’800

in poi troviamo varie composizioni orchestrali, specie di Richard Strauss, che richiedono la

presenza del clarinetto piccolo in Mib o la presenza del clarinetto basso come, ad esempio, "Gli

Ugonotti" di Giacomo Meyerbeer, l'Aida di Giuseppe Verdi e diverse opere di Richard Wagner.

Altre ancora richiedono il clarinetto contrabbasso, un esempio è il "Fervaal" di Vincent d'Indy.

Al clarinetto sono dedicati svariati concerti solistici, primo tra tutti il Concerto K 622 di Wolfgang

Amadeus Mozart e le numerose opere del compositore romantico tedesco Carl Maria von Weber.

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Queste ultime rappresentano per il clarinettista una tappa fondamentale nel percorso di studio, in

particolare il Concertino di Weber ed il Concerto n. 2 di Weber d’obbligo all’esame di diploma

secondo il programma ministeriale. Copiosa è la produzione di musica da camera che vede il

clarinetto in molteplici formazioni: clarinetto e pianoforte, trio composto da clarinetto, pianoforte e

un altro strumento, quartetto di clarinetti e quintetto di fiati. Il clarinetto è molto usato nelle bande

musicali in cui riveste un ruolo paragonabile per importanza a quello dei violini in orchestra. Nel

genere jazz è utilizzato nelle Big Bands e come strumento solista e deve la sua fama principalmente

a musicisti come Benny Goodman, Artie Shaw, Woody Herman, Eric Dolphy e naturalmente il

grande Henghel Gualdi in Italia. Nella musica popolare si distingue per la tecnica brillante, in

particolare nel genere del ballo liscio. Un compositore capostipite di questo genere da ballo è stato

Secondo Casadei, che ha assegnato al clarinetto in Do le parti virtuosistiche principali del liscio

romagnolo. È inoltre utilizzato nella musica Klezmer nella quale si richiede uno stile di esecuzione

molto distintivo.

2. Filosofia – Schopenhauer

Si è visto dunque che il clarinetto, pur sviluppandosi in un contesto musicale ampio, ha un forte

legame con il periodo romantico ed in particolar modo con Carl Maria von Weber. Per comprendere

alcune delle ideologie di questo periodo si può analizzare il pensiero del filosofo tedesco

Schopenhauer. Il campo di interesse del filosofo è quello della realtà e dell’uomo; riprende da Kant

i concetti di fenomeno e noumeno. Il fenomeno è il mondo come appare a noi e dunque illusione e

parvenza mentre il noumeno è la cosa in sè, la realtà come veramente è. La radice noumenica del

nostro io è la volontà: noi siamo volontà di vivere, un impulso irrazionale che ci spinge a vivere e

ad agire. La volontà di vivere causa la sofferenza cosmica di tutti gli esseri viventi, in particolar

modo nell’uomo. La risposta al dolore del mondo consiste nella liberazione della stessa volontà di

vivere che si compie in tre momenti essenziali: l’arte, la morale e l’ascesi. In particolar modo fra le

arti spicca la musica che si pone come immediata rivelazione della volontà a se stessa.

2.1 La musica come immagine diretta del mondo: Schopenhauer

Schopenhauer ha assegnato un posto centrale nella sua filosofia alla musica, di cui costituisce come

il vertice la conclusione. Anche per questo motivo l’opera di Schopenhauer rappresenta forse la più

compiuta sistemazione filosofica della musica secondo gli ideali romantici, in una civiltà che tende

ad assegnare alla musica compiti sempre più alti ed essenziali fino a farne un simbolo delle

aspirazioni più sublimi dell’uomo.

L’arte per Schopenhauer ha il compito di conoscere l’idea, cioè l’oggettivazione più diretta della

volontà, del principio, infinito noumenico che sta a fondamento del mondo. La conoscenza normale

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non può arrivare all’idea, perché è continuamente asservita alla volontà; solo il genio può conoscere

intuitivamente l’idea, elevandosi al di sopra dell’umanità, sottraendosi alla catena causale, e

raggiungendo l’appagamento totale nella contemplazione estetica. Tutte le arti, più o meno, secondo

una certa gerarchia rappresentano un’oggettivazione della volontà dai suoi gradi più bassi fino ai

più alti. L’architettura, afferma Schopenhauer nel Mondo come volontà e rappresentazione,

rappresenta «il grado più basso in cui questa volontà è visibile, ov’essa si mostra come oscuro,

incosciente, meccanico impulso della massa». Attraverso la scultura, la pittura, la poesia e infine la

tragedia si giunge ai gradi più alti in cui si oggettiva la volontà. Ma un’arte è rimasta esclusa da

questa gerarchia in cui tutte le arti tendono ad un medesimo fine, ed è appunto la musica, la quale

«è staccata da tutte le altre» per una posizione di privilegio assoluto. La musica non si limita a

rappresentare «le idee o i gradi di obbiettivazione della volontà, ma immediatamente la volontà

stessa». Se tutte le arti oggettivano la volontà in modo mediato «la musica è dell’intera volontà

oggettivazione e immagine, tanto diretta com’è il mondo; o anzi come sono le idee; il cui fenomeno

moltiplicato costituisce il mondo dei singoli oggetti. La musica non è quindi affatto, come le altre

arti, l’immagine delle idee, bensì immagine della volontà stessa, della quale sono oggettività anche

le idee. Perciò l’effetto della musica è tanto più potente e insinuante di quello delle altre arti: poiché

queste ci danno appena il riflesso, mentre quella esprime l’essenza». Nella concezione di

Schopenhauer c’è dunque un salto qualitativo, non più soltanto quantitativo, che separa la musica

dalle altre arti. La musica sta fuori dalla gerarchia, sopra la piramide, e si pone come linguaggio

assoluto, come limite insuperabile, raggiungibile solo dal genio artistico. Come si potrà allora

parlare della musica, se data la sua posizione privilegiata rispetto le altre arti, sarà a maggior

ragione al di là dei concetti che non giungono che al mondo fenomenico, da cui la musica è

totalmente indipendente? Se ne potrà parlare per metafore, in quanto esiste un parallelismo tra la

musica e le idee – entrambe oggettivazione della volontà - «delle quali è fenomeno molteplice e

imperfetto il mondo visibile». La musica è un po’ come un duplicato del mondo fenomenico; si può

«considerare il mondo fenomenico (o la natura) e la musica come due diverse espressioni della cosa

stessa». Date queste premesse si deve logicamente che, «posto si potesse dare una spiegazione della

musica, in tutto esatta, compiuta e addentrantesi nei particolari, ossia riprodurre estesamente in

concetti ciò ch’ella esprime, questa sarebbe senz’altro una sufficiente riproduzione e spiegazione

del mondo in concetti; oppure le equivarrebbe in tutto, e sarebbe così la vera filosofia».

Entro questo ambito speculativo in cui si è affermato l’identità, anzi la superiorità della musica

rispetto la filosofia, e quindi la sua assoluta universalità ( la musica sta all’universalità dei concetti

come i concetti stanno alle singole cose), nasce il problema fondamentale dell’estetica musicale di

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Schopenhauer, cioè il rapporto tra la musica e il mondo, e in definitiva il rapporto tra la musica e i

sentimenti. In altre parole cosa può significare l’affermazione che la musica è espressiva?

Si è già detto che si può parlare della musica solo per analogia, in quanto la musica è di per sé un

linguaggio assoluto, intraducibile, ineffabile; e così infatti procede Schopenhauer nel corso della

trattazione. Molte delle ingegnose analogie proposte da Schopenhauer possono far sorridere, e non

bisogna cercare in esse un significato musicale, perché spesso da questo punto di vista

rappresentano degli errori grossolani: evidentemente prevalevano le ragioni speculative della

costruzione filosofica sulle ragioni musicali, anche se il filosofo non era del tutto digiuno delle

nozioni più elementari di musica. Così Schopenhauer può affermare ad esempio che nell’armonia il

basso rappresenta «i gradi infimi dell’oggettivantesi volontà», e quindi «la natura inorganica, la

massa del pianeta». Le altre voci superiori dell’armonia che si trovano necessariamente legate al

basso rappresentano «un fatto analogo a quello per cui tutti i corpi e organismi della natura devono

essere considerati come svoltisi gradatamente dalla massa del pianeta; questa è il loro sostegno

come la loro sorgente, e la medesima relazione hanno i suoni acuti col basso fondamentale».

Proseguendo in queste analogie, il basso fondamentale ad esempio si dovrebbe muovere solo per

intervalli molto piccoli perché, data l’analogia con la materia bruta e inorganica, non possiederebbe

agilità né rapidità; per cui la melodia sarebbe unicamente affidata alla voce più alta. La

modulazione da un tono ad un altro «somiglia alla morte, in quanto ella è la fine dell’individuo». Il

modo maggiore e quello minore rappresentano l’uno appagamento, l’altro inappagamento; le varie

melodie corrispondono all’inesauribile ricchezza della varietà degli individui, e la logica musicale

che regge da capo a fondo lo svolgimento di una melodia è come la storia della volontà stessa «che

si manifesta nel reale con la serie degli atti suoi; ma dice di più, narra della volontà la storia più

segreta, ne dipinge ogni emozione, ogni tendenza, ogni moto, tutto ciò che la ragione comprende

sotto l’ampio e negativo concetto di sentimento, né può meglio accogliere nelle proprie astrazioni».

È forse inutile qui ricordare ancora le altre numerose analogie tra la musica e il mondo, in quanto

non presentano di per sé, da un punto di vista musicale nessun interesse; ma servono piuttosto a

svelare quale rapporto abbia instaurato in tal modo Schopenhauer tra la musica e i sentimenti. Anzi

tutto appare chiaro che il dominio della musica è quello del sentimento, in quanto essa rappresenta

la vita più intima, più segreta, più vera della volontà; sentimento è quindi contrapposto a concetto.

Infatti «il compositore disvela l’intima essenza del mondo in un linguaggio che la ragione di lui non

intende» cioè con il linguaggio più universale dei sentimenti che solo il genio conosce. La musica

può cogliere, esprimere, tutte le manifestazioni della volontà, tutte le sue aspirazioni, appagamenti,

eccitazioni ecc. In questo senso può esprimere anche tutti i sentimenti dell’uomo, o meglio più che

esprimere può rappresentare un analogo di essi, perché la musica non è fenomeno, ma l’idea stessa.

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Alla luce di questi concetti Schopenhauer conduce le sue acutissime analisi sul rapporto tra

musica e parola. La musica prediletta da Schopenhauer come da tutti i romantici è la musica

strumentale: essa sola è pura, scevra da qualsiasi mescolanza e da concetti che turbino la sua

limpidezza e l’avvicinino ad altre forme di espressione che non le sono proprie. La musica non deve

prestarsi ad essere piegata al significato delle parole, non deve in altri termini diventare descrittiva;

«se si vuol troppo adattare la musica alle parole, e modellarla sui fatti, essa si sforza a parlare un

linguaggio che non è il suo». Con questa presa di posizione Schopenhauer rovescia tutta la

tradizione ormai secolare che aveva più volte affermato fin dal tempo della nascita del melodramma

il predominio della parola sulla musica e quindi la subordinazione di quest’ultima. Pur tenendo

fermo il principio dell’universalità della musica e il suo carattere astratto e formale rispetto ad ogni

sentimento determinato ed espresso in concetti, Schopenhauer non nega la possibilità dell’unione

tra la musica e la poesia, che si può anche fondare da un punto di vista metafisico. Infatti è possibile

un rapporto tra una composizione musicale e un sentimento o un’altra qualsiasi rappresentazione

per il fatto «che l’una e l’altra sono espressioni differentissime della stessa intima essenza del

modo». Ma la musica deve mantenere intatta la sua dignità e la sua funzione, perciò deve

condannarsi ogni proposito imitativo. Se la musica deve esprimere «l’in sé del modo», un rapporto

eventuale con la parola deve configurarsi analogamente al rapporto «che un qualsivoglia esempio

può avere col concetto generale». Su di un piano pratico tutto questo significa che non ci può essere

un rapporto fisso e predeterminato tra l’espressione musicale e quella poetica, perché la parola

rappresenta « con la determinatezza della realtà quel che la musica esprime nell’universalità della

forma pura». Ad una determinata espressione musicale possono ugualmente bene sottostare testi

poetici dei versi: è sufficiente che i sentimenti espressi dal testo si adattino nella forma alla musica

che accompagneranno. Non bisogna dimenticare che la musica non esprime questo o quel

determinato sentimento, ma il sentimento in astratto.

Schopenhauer condanna la musica che scende a patti con la parola e parimenti condanna

l’abitudine di molti ascoltatori che di fronte alla musica pura strumentale, ad una sinfonia di

Beethoven ad esempio, cercano con la fantasia di rivestire i sentimenti – che in essa sono espressi

soltanto in astratto e senza alcuna specificazione - «di carne e di ossa ed a vedervi ogni sorta di

scene della vita e della natura». Questo procedimento non solo non agevolala comprensione della

musica ma è ingannevole, «perciò è meglio comprenderla puramente e nella sua immediatezza».

Il rapporto tradizionale stabilito nel ‘600 e nel ‘700 tra musica e parole è completamente

rovesciato: non sarà la musica a sottolineare il valore delle parole, ma la parola dovrà docilmente

piegarsi all’universalità della musica. Così sarebbe forse più conveniente che si creasse un testo

poetico per una composizione musicale già esistente anche se in pratica il più delle volte si crea

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della musica per un testo preesistente. Ma anche così la situazione non cambia: anzi tutto il testo

può agire come stimolo per l’aspirazione del musicista e la musica ci dà rispetto ai sentimenti

espressi con le parole «le ultime più profonde, più intime rivelazioni, e ci fa conoscere la più intima

anima dei procedimenti e degli avvenimenti di cui la scena offre soltanto il corpo e la veste». Però

la musica non si assimila mai alla materia, al contenuto, per esempio al dramma in cui opera. Si

manterrà sempre un poco estranea, al di sopra, al di là dell’azione scenica, mostrando una

«completa indifferenza» verso di essa.

La concezione della musica di Schopenhauer per la sua ricchezza, profondità e consapevolezza

filosofica, rappresenta senza dubbio uno dei punti di arrivo del pensiero romantico; non solo, ma,

come si è detto, appare già nettamente orientata verso un’estetica formalistica. Il principio

dell’autonomia del linguaggio musicale sviluppato in senso anti romantico da Hanslick pochi

decenni più tardi è già implicitamente contenuto nell’affermazione che la musica non è in diretto

rapporto con i sentimenti, e che non può e non deve suscitare nell’ascoltatore sentimenti

determinati.

3. Storia dell’arte – Cubismo

Il cubismo è un movimento artistico d'avanguardia che nasce a Parigi attorno al 1907 che genererà

movimenti analoghi in musica e letteratura. Gli artisti più influenti di questo movimento sono Pablo

Picasso, Georges Braque e Juan Gris. I pittori cubisti non cercano di imitare la realtà come nell’arte

classica ma si sforzano di costruire una realtà nuova e diversa, non necessariamente simile a quella

che tutti conosciamo, anche se spesso a essa parallela. «Bisogna avere il coraggio di scegliere»,

diceva significativamente Braque, «poiché una cosa non può essere insieme vera e verosimile». In

un certo senso, ad un secolo di distanza, ritorna il tema della separazione tra fenomeno, realtà

verosimile percepita, e noumeno, l’essenza vera della realtà, analizzato in precedenza da

Schopenhauer (vedi 2.). Il soggetto delle opere è spezzato, analizzato da più punti di vista e

riassemblato in una forma astratta. La realtà cubista comprende anche il fattore tempo, una variabile

che, pur essendo di fondamentale importanza nella nostra vita, non era mai stata considerata da

alcun artista. Lo sfondo e i piani prospettici si compenetrano, creando un ambiguo spazio vuoto

caratteristico del cubismo.

Il periodo di massimo splendore del movimento, quando il sodalizio tra Braque e Picasso diventa

tanto intenso che le rispettive opere risultano addirittura indistinguibili, è quello del «Cubismo

analitico». I semplici oggetti dell’esperienza quotidiana vengono scomposti secondo i piani che li

compongono, ruotati, incastrati, sovrapposti e ricomposti sulla tela. Con il «Cubismo sintetico» gli

oggetti precedentemente frammentati si trasformano in oggetti nuovi, spesso fantastici, che pur

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mantenendo qualche analogia con quelli originali, vivono una realtà autonoma. Caratteristica di

questo periodo è anche l’uso della tecnica dei collages (incollaggi) in Picasso e dei papiers collès

(carte incollate) in Braque. Si utilizzano soprattutto carte di varie qualità e colori, stoffa, paglia,

gesso e legno.

Fra i soggetti più ricorrenti spiccano gli strumenti musicali ed in particolare il clarinetto al

quale sono dedicate numerose opere. Gli strumenti musicali delle opere di Picasso, Braque e Gris,

sono tutti oggetti che facevano parte dell’arredamento o della decorazione di tanti caratteristici studi

d’avanguardia, erano facilmente riconoscibili e rappresentavano al meglio il tema della quotidianità.

3.1 Pablo Picasso (1881-1973)

Il maggior numero di opere in cui è rappresentato il clarinetto sono state realizzate da Pablo

Picasso, considerato il maggior esponente del cubismo. Le opere qui proposte sono in ordine

cronologico: “Il clarinetto”, “Il clarinettista”, “Violino e clarinetto”, “Mandolino e clarinetto”e “I

tre musici”.

3.1.1 “Il clarinetto” e “Il clarinettista”

Il clarinetto, 1911. Olio su tela, 61x50 cm.

Národni Galerie, Prague

Il clarinettista, 1911. Olio su tela, 106x69 cm.

Museo Thyssen-Bornemisza, Madrid. Formerly

Private Collection, France

Entrambi i dipinti appartengono al periodo del Cubismo analitico. Osservando le opere ci appare

subito evidente come l’artista miri più al contenuto che all’apparenza, rinunciando a qualsiasi tipo

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di verosimiglianza. Le composizioni sono minutamente frastagliate e sia il soggetto che lo sfondo

sono posti sul medesimo piano. I colori sono terrosi ed è possibile distinguere delle figure solo

alcuni particolari come alcuni fori e la campana del clarinetto e il viso dell’uomo.

3.1.2 “Violino e clarinetto” e “Mandolino e clarinetto”

Violino e clarinetto, 1913. Olio su tela,

55x33 cm. The State Hermitage Museum, St

Petersburg.

Mandolino e clarinetto, 1914. Legno di pino

con colore e tratti di matita, 60x36x23 cm.

Musée Picasso, Paris.

Con queste due opere si entra già nel periodo del Cubismo sintetico. Le figure non sono più

frastagliate ma ricomposte in nuove forme fuse tra di loro. Nella prima opera hanno un ruolo

importante i colori, infatti il violino è colorato in parte da strisce di colore marrone (il modo con cui

è steso il colore ricorda le venature del legno) e in parte da una tinta bianca uniforme. Il clarinetto

invece è trasparente e sfoca l’immagine sovrastata del violino come una bottiglia di vetro. La

seconda opera è realizzata con la tecnica del collage mediante la sovrapposizione di elementi lignei

parzialmente dipinti.

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3.1.3 “I tre musici”

I tre musici, 1921. Olio su tela, 201x223 cm. New Museum of Modern Art.

Picasso riprende I temi del cubismo sintetico con un gusto del colore cartellonistico. Raffigura due

personaggi tipici della commedia dell’arte (Pulcinella e Arlecchino) che insieme ad un monaco

improvvisano un terzetto musicale, mentre un grosso cane se ne sta accucciato sotto il tavolo.

Abbandonata la monocromia e la frammentazione dei primi anni, l’autore distende i colori su piani

ampi e piatti da fare quasi pensare a delle sagome ritagliate nel cartoncino colorato. Il senso di

profondità è recuperato simbolicamente nelle pareti laterali e nel pavimento della stanza, ma anche

in questo caso si tratta di un’illusione in quanto la parete di sinistra appare più lunga suggerendo il

senso di uno spazio sghembo.

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3.2 Georges Braque (1882-1963)

Braque, assieme all’amico Picasso, è l’iniziatore del cubismo. Le opere qui proposte sono:

“Clarinetto e bottiglia di Rum”, “Il clarinetto” e “Natura morta con clarinetto”.

3.2.1 “Clarinetto e bottiglia di Rum” e “Il clarinetto”

Clarinetto e bottiglia di Rum, 1911. Olio su

tela, 81x60 cm. Tate Gallery, Londra.

Il clarinetto, 1912 Olio con sabbia su tela,

91x62 cm. Collezione Peggy Guggenheim,

Venezia.

Queste due opere si collocano a cavallo tra il periodo del Cubismo analitico e quello del cubismo

sintetico. In “Clarinetto e bottiglia di Rum” lettere e linee, triangoli e rettangoli sono sparsi sulla

tela in un ordine apparentemente casuale che la fa sembrare un'opera astratta. In verità, il dipinto è

stato attentamente ponderato e rappresenta un caminetto sulla cui mensola sono appoggiati un

clarinetto e una bottiglia di rum. Una pagina di uno spartito musicale è appesa al muro. Piuttosto

che creare l'illusione di uno spazio reale su una tela piatta con l'uso della prospettiva, delle luci e

delle ombre, Braque ha preferito mostrare tridimensionalità e profondità rappresentando insieme

tutti i lati degli oggetti. Le caratteristiche principali di “Il clarinetto” sono il formato ovale e la

comparsa di lettere all'interno dell'immagine, nonché l'uso di finte venature di legno con effetto di

trompe l'oeil. In alcune zone Braque incorpora sabbia nel colore, un'innovazione tipica di questo

periodo di transizione; ciò gli permette un’ulteriore differenziazione delle superfici ottenute

variando la pennellata e una più sottile articolazione cromatica. Nonostante questa attenzione ai

materiali, l'immagine resta leggera, evanescente. Braque aveva iniziato ad introdurre nel quadro

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anche lettere dell’alfabeto o parole, seguendo un’idea che gli era venuta osservando le iscrizioni dei

dipinti medievali, ma anche le scritte sulle vetrine dei caffè che si mescolavano all’immagine di

quanto accadeva all’interno. In queste due opere l’uso della parola VALSE, che appare divisa in

modo innaturale, richiama precisamente l’intestazione di uno spartito musicale, come parte di

quest’insieme di oggetti musicali.

3.2.2 “Natura morta con clarinetto”

Natura morta con clarinetto, 1927. Olio su tela, 53x74 cm. Washington, The Phillips Collection.

In “Natura morta con clarinetto” avviene un recupero del colore assimilabile a “I tre musici” di

Picasso. Il clarinetto è come spezzato dalla fruttiera acquisendone il colore giallo intenso. La

fruttiera, da parte sua, è vista contemporaneamente di profilo e dall’alto. In questo dipinto sono

contenuti entrambi i momenti della ricerca cubista: la meticolosa scomposizione degli oggetti

secondo i piani (periodo analitico) e la delicata separazione tra forme e colori (periodo sintetico).

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3.3 Juan Gris (1887-1927)

Unico dipinto che riporta come soggetto un clarinetto fra le opere di Juan Gris è “Chitarra con

clarinetto”.

3.3.1 “Chitarra con clarinetto”

Chitarra con clarinetto, 1920. Olio su tela. Kunstmuseum, Basel

Il dipinto rientra nella fase di piena maturità dell’artista. Gli oggetti sono rappresentati in modo

stilizzato e il colore, steso ampio e netto, è indipendente dalle forme. Il clarinetto non ha contorni

ma soltanto i fori e la campana. Il corpo dello strumento presenta le venature del legno per

distinguerlo dal tavolo che è dello stesso colore. Zone d’ombra e di luce sono marcate con colori

contrastanti, come la chitarra e lo spartito sullo sfondo.

3.4 Il “Tenora”

Malgrado nei titoli dei dipinti di Picasso e Braque sia riportato il nome “clarinetto” per indicare lo

strumento a fiato rappresentato, gli studiosi ritengono ormai senza dubbio che si tratti invece del

Tenora. Il Tenora è uno strumento a fiato folcloristico spagnolo molto simile al clarinetto. Le

uniche differenze sono la campana più ampia e l’assenza del bocchino sostituito da un’ancia doppia.

Proprio queste peculiarità sono rimarcate in tutti i dipinti. Il motivo della discrepanza tra titolo e

illustrazione sta nel fatto che il Tenora è lo strumento più distintivo della musica catalana.

Rappresentando dunque il Tenora invece del clarinetto comunemente conosciuto, Picasso sottolinea

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il suo legame con la cultura catalana. Il disguido nell’identificazione dello strumento potrebbe

essere stato un altro aspetto di ribellione nel Cubismo di Picasso, sottolineando la resistenza alla

massificazione della cultura.

Tenora Clarinetto

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4. Fisica – Acustica del clarinetto

Fra gli strumenti musicali a fiato, il clarinetto è il caso più complesso da analizzare poiché ha un

comportamento acustico diverso da quello che ci dovremmo aspettare. È necessario quindi

procedere da una sintesi delle nozioni basilari sul suono per comprendere l’analisi successiva delle

peculiarità del clarinetto.

4.1 Produzione e propagazione dei suoni

Il suono è la sensazione data dalla vibrazione di un corpo in oscillazione. Tale vibrazione, che si

propaga nell'aria o in un altro mezzo elastico, raggiunge l'orecchio che, tramite un complesso

meccanismo interno, è responsabile della creazione di una sensazione "uditiva" direttamente

correlata alla natura della vibrazione. Come tutte le onde elastiche, quelle sonore, quando si

propagano in un fluido, sono onde di tipo longitudinale. Quando si propagano in un mezzo solido

possono essere invece sia longitudinali sia trasversali. La velocità di propagazione del suono

dipende dal mezzo: per l’aria varia da 330 a 350 m/s a seconda della percentuale di umidità, si

raggiungono valori più elevati nei liquidi e nei solidi (nel vetro fino a 5600 m/s). I suoni possono

distinguersi in puri se la pressione, la densità e la posizione delle particelle del mezzo variano nel

tempo con una legge sinusoidale, mentre in complessi quando variano con una legge periodica non

sinusoidale. Nel caso in cui la perturbazione che si propaga nel mezzo non presenti periodicità il

suono viene generalmente chiamato rumore ed è percepito dall’orecchio umano come un disturbo.

Uno strumento musicale, dal punto di vista fisico è un sistema atto a generare onde sonore ed

irradiarle nell'ambiente. Esso può essere scomposto in:

• un elemento vibrante che è la prima fonte di oscillazioni in un mezzo elastico. Nel clarinetto

questo elemento è l’ancia.

• un risuonatore con la funzione di amplificare la vibrazione e dare una forma definita

all'onda sonora. Nel clarinetto il risuonatore è il tubo centrale cilindrico con i fori.

• uno o più adattatori di impedenza che favoriscono la trasmissione dell'energia meccanica tra

le diverse parti vibranti dello strumento, e, infine, tra lo strumento e l'aria circostante. È

prerogativa dello strumento trasferire l'energia sonora (cioè irraggiarla) all'aria esterna nel

modo più vantaggioso possibile, per poter essere udito alla massima distanza con il minimo

dispendio di energia. Nel clarinetto il suono esce prevalentemente dai fori e in parte minore

dalla campana. Proprio per questo motivo la forma interna dei fori e della campana ha un

“taglio” che facilita la diffusione del suono all’esterno dello strumento. In assenza degli

accorgimenti sui fori e della campana gran parte dell’energia sonora rimarrebbe all’interno.

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4.2 Caratteristiche del suono

Le caratteristiche con le quali è possibile descrivere un suono sono tre:

• Intensità: è la quantità di energia che attraversa, per unità di tempo, l’unità di superficie

disposta perpendicolarmente alla direzione di propagazione dell’onda sonora. La sensazione

sonora percepita dall’orecchio non cresce, come si potrebbe pensare, proporzionalmente

all’intensità sonora ma secondo una legge logaritmica. Detta I0 la soglia di udibilità, la

misura della sensazione sonora di un suono di intensità I o livello sonoro si definisce come:

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛=

010log10

IIβ

• Altezza: è espressa quantitativamente dalla sua frequenza, se il suono è puro, o dalla

frequenza dell’armonica fondamentale se è complesso. L’orecchio umano riesce a percepire

convenzionalmente le frequenze comprese da 20 Hz a 20000 Hz . Le onde al di sotto dei 20

Hz vengono chiamate infrasuoni, le onde al di sopra dei 20000 Hz ultrasuoni.

• Timbro: è la proprietà che distingue suoni identici per intensità e altezza, ma provenienti da

sorgenti diverse. Suoni per timbro diverso differiscono per la forma della funzione periodica

che descrive l’onda in funzione del tempo.

4.3 Onde stazionarie nei tubi

L’aria all’interno di un tubo può essere sede di onde stazionarie, dette anche modi di vibrazione.

Naturalmente a vibrare non è il tubo ma l’aria stessa. Possiamo affermare che il profilo di un’onda

stazionaria che si stabilisce nell’aria contenuta in un tubo presenta sempre un nodo in

corrispondenza di un’estremità chiusa del tubo. In quel punto infatti le molecole dell’aria non sono

libere di muoversi. Al contrario, a un’estremità aperta, dove l’aria si può muovere liberamente

avanti e indietro, si trova sempre un ventre. Detta v la velocità di propagazione del suono, λn la

lunghezza d’onda e fn la corrispondente frequenza di risonanza, in un tubo cilindrico aperto si ha

⎪⎪⎩

⎪⎪⎨

=

=

Lnvf

nL

n

n

2

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Mentre in un tubo cilindrico chiuso

⎪⎪⎩

⎪⎪⎨

−=

−=

Lvnf

nL

n

n

4)12(

124λ

4.4 Il caso del clarinetto

A questo punto è possibile analizzare nel particolare le caratteristiche acustiche e sonore del

clarinetto.

4.4.1 La sorgente delle oscillazioni

Come è stato anticipato in precedenza l'ancia è il generatore meccanico delle oscillazioni nello

strumento. L'ancia ha la funzione di trasformare il flusso d'aria continuo proveniente dai polmoni

dell'esecutore in un flusso oscillante idoneo ad essere accoppiato con il cilindro d'aria contenuto nel

corpo risonante dello strumento. La pressione che il suonatore deve mantenere all'interno della

bocca per permettere all’ancia di oscillare è piuttosto elevata: circa 3 kPa sopra la pressione

atmosferica, cioè tre volte maggiore che nel caso del flauto.

Il teorema di Bernoulli (cioè il principio di conservazione dell'energia meccanica nel moto dei

fluidi) regola il funzionamento dell'ancia. Possiamo individuare le fasi tipiche nel moto dell'ancia

come segue:

• Il flusso d'aria entra nell'imboccatura passando tra l'ancia (flessibile) e il bocchino (rigido).

Il flusso dell'aria aumenta la propria velocità quando percorre lo stretto passaggio, e, per il

teorema di Bernoulli, la pressione del fluido all'interno del bocchino diminuisce.

• Conseguentemente l'ancia tende a flettersi verso l'interno del bocchino, fino ad otturare la

feritoia di ingresso dell'aria.

• Interrotto il flusso, la velocità dell'aria nel bocchino scende a zero, e si ristabilisce la

pressione atmosferica. L'ancia può tornare verso la sua posizione di equilibrio, ma, a causa

della sua elasticità la oltrepassa.

• Ora la feritoia è più larga che nella condizione iniziale, ma il flusso d'aria riprende facendo

di nuovo scendere la pressione nel bocchino, e riportando il sistema nella condizione

iniziale. Da questo momento in poi il moto si ripete ciclicamente.

Questo particolare modo di vibrare, che sotto il profilo meccanico può essere anche considerato

incompleto, determina una perdita di pressione che, nel caso del clarinetto, porta a conseguenze del

tutto particolari.

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4.4.2 La formazione del timbro e l’intonazione

Procedendo verso il basso avviene la formazione del timbro. Il clarinetto può essere considerato una

canna semichiusa: il suono è formato prevalentemente da armoniche di ordine dispari (quelle pari

sono presenti con ampiezze molto piccole) e la lunghezza teorica del tubo equivale ad un quarto

della lunghezza d’onda del suono fondamentale, anziché la metà, come è per i tubi aperti. Ciò

spiega la differenza di estensione e di timbro tra un flauto e un clarinetto. I due strumenti hanno

circa la stessa lunghezza ma il flauto produce frequenze doppie rispetto al clarinetto. Inoltre la quasi

assenza di armoniche pari nel clarinetto gli conferisce rispetto al flauto un suono più “scuro” e

meno brillante. La nota più bassa che è possibile produrre con un clarinetto è un Re3 che

corrisponde ad una frequenza di 146 Hz. Posto che la canna del clarinetto è lunga circa 60 cm,

questo valore si ricava semplicemente utilizzando la relazione dei tubi chiusi vista nel paragrafo 4.3

e quindi:

Hz 146Hz 83,145m 60,04

m/s 3504

≈=×

==Lvf

Il risultato ottenuto è approssimato poiché la misura della canna non è esattamente 60 cm e la

velocità di propagazione del suono varia a seconda dell’umidità e quindi difficilmente coincide

perfettamente con 350 m/s.

La perdita di pressione nell’imboccatura unita al tubo cilindrico determina un’accentuarsi della

perdita di pressione che fa spostare verso l’imboccatura il punto nodale che, per il suono

fondamentale delle canne aperte, è normalmente situato alla metà circa del tubo.

Canna aperta

Clarinetto

Punto nodale

Punto nodale

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La particolare posizione di un punto nodale nei pressi dell’imboccatura impedisce il formarsi delle

armoniche pari. Dunque, dal punto di vista acustico, il clarinetto può senz’altro essere considerato

come una sorgente sonora di tipo asimmetrico. Nel suono del clarinetto vi è però una debole

presenza di armoniche pari: la causa di questa anomalia è da ricercarsi nella piccola zona ventrale

che si forma dall’orifizio dell’imboccatura sino al punto nodale situato nei pressi dell’imboccatura

stessa. Questa zona corregge in piccola parte l’asimmetria del tubo con effetto apprezzabile a partire

dalla seconda armonica. La questione è chiara se si considera che la lunghezza d’onda delle

componenti si accorcia con il crescere della frequenza, mentre la piccola zona ventrale rimane

inalterata, quindi il rapporto tra questi due termini migliora a vantaggio di quest’ultima.

4.4.3 Osservazioni conclusive

La maggior parte della radiazione del clarinetto proviene dai fori di intonazione, che sono molto più

piccoli delle lunghezze d'onda caratteristiche emesse nella banda tra 1000 e 4000 Hz. Di

conseguenza il clarinetto si comporta per queste frequenze come una sorgente praticamente

puntiforme, senza alcuna marcata direzionalità.

La campana conica alla bocca dello strumento trasmette piuttosto bene le alte frequenze, ma non le

basse frequenze. La sua funzione quindi è quella di rendere lo spettro più omogeneo nelle situazioni

in cui le alte frequenze sono attenuate dall'effetto passa-alto della sequenza dei fori aperti.

Negli strumenti reali il nodo di pressione all'estremità aperta non corrisponde esattamente con

l'estremità della canna, ma cade un poco oltre. La canna reale quindi si comporta come una canna

ideale di lunghezza un po' diversa: una "lunghezza efficace". Questo effetto, tuttavia dipende dalla

lunghezza complessiva della canna, e si presenta anche per tutti i fori dello strumento. Se il

clarinetto fosse perfettamente cilindrico, quindi, non potrebbe essere intonato in tutti i registri. La

tecnica costruttiva si è evoluta per compensare questa variabilità attraverso piccole variazioni della

sezione dello strumento nella sua lunghezza.

1° armonica 3° armonica

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5. Bibliografia

Brymer J., Il clarinetto, Franco Muzzio & c. editore, Padova, 1984

Caforio A., Ferilli A., Fisica, Felice Le Monnier, Firenze, 2004

Fubini E., L’estetica musicale dal settecento a oggi, Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino, 1964

Righini P., L’acustica per il musicista, G. Zanibon, Padova, 1978

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