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CALCOLO DEI LIMITI
1) Limiti che si presentano nella forma .
Pur non essendo forme indeterminate (il risultato è indicato convenzionalmente con i, nel senso che la funzione tende, in valore assoluto, a ), il calcolo del segno dell’infinito di queste forme non è banale. Nelle forme che tradizionalmente vengono proposte al liceo, i limiti sinistro e destro esistono, anche se possono spesso differire nel segno. Il problema è quindi quello di calcolare il segno della funzione in un opportuno intorno bucato di (nelle sue vicinanze). Per fortuna ci viene in aiuto il teorema della permanenza del segno: tutte le quantità che ammettono limite positivo (compreso ) sono, se x è abbastanza vicino ad , positive, mentre quelle che ammettono limite negativo (compreso ) sono negative se x è abbastanza vicino ad . Poiché il teorema citato non fornisce alcuna informazione sulle quantità che tendono a 0ii, occorrerà studiare il loro segno per verificarne, caso per caso, il comportamento. Quando una quantità tende a 0 mantenendosi positiva indicheremo il suo limite con il simbolo , mentre quando tende a 0 mantenendosi negativa lo indicheremo con .
Esempio:
= = = .
Per calcolare il segno dell’infinito dobbiamo studiare il segno della sola quantità che tende a 0 (ovvero ), e distinguere il limite sinistro da quello destro (anche se non espressamente richiesto dal testo).
per , e quindi, essendo Δ>0 (l’equazione ha due soluzioni reali e distinte) e a <0, per valori interni all’intervallo delle due radici (ovvero –3<x<3).
Graficamente:
i Poiché l’espressione viene utilizzata convenzionalmente per brevità quando non conosciamo il segno dell’infinito (addirittura, una funzione che tende a
potrebbe ammettere due diversi limiti da sinistra e da destra, e quindi non ammetterne alcuno per x che tende ad ), bisogna evitare di sottintendere il segno di
, visto che affermare che il limite di un’espressione è è molto più preciso che non indicarlo con un generico .ii Praticamente le quantità che tendono a 0 di cui calcolare il segno saranno sempre al denominatore: infatti, se avessimo una forma del tipo il risultato sarebbe 0, e non
ci sarebbe alcun bisogno di calcolare il segno del numeratore, mentre richiederebbe prima di tutto l’eliminazione della forma indeterminata.
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È evidente che, per x che tende a 3 da sinistra (ovvero per valori minori di 3) il polinomio è positivo (e quindi tende a tende a ) perlomeno se x è abbastanza vicina a 3 (deve essere maggiore di –3), mentre quando x tende a 3 da destra (cioè per valori maggiori di 3) è negativo, e quindi tende a
.Abbiamo quindi:
= = .
= = .
Per calcolare il segno del risultato abbiamo tenuto presente che il numeratore, visto che tende a 5 che è maggiore di 0, e positivo in un opportuno intorno bucato di 3, mentre il segno del denominatore è quello che abbiamo studiato.
Fine dell’esempio.È chiaro che, se la quantità che tende a 0 è più complessa (per esempio, se
contiene funzioni goniometriche, le relative disequazioni comportano maggiori difficoltà, per cui è bene ripassare tutti i tipi di disequazioni studiate (algebriche, goniometriche, ecc.).
Esempio con disequazione goniometrica:
= = = = .
Per la determinazione del limite esatto occorre quindi studiare il segno della quantità che tende a 0, ovvero:
, e quindi
; ; .
Ricordiamo che senx è, per definizione, l’ordinata del punto di intersezione P tra il secondo lato dell’angolo orientato x (avente il primo lato coincidente con il semiasse positivo delle x) e la circonferenza goniometrica (ovvero una circonferenza con centro nell’origine e raggio 1). Poniamo quindi (il
seno è l’ordinata); la disequazione diventa . Mettiamo a
sistema la disequazione ottenuta con l’equazione della circonferenza goniometrica , dato che ad essa deve appartenere il punto P. ATTENZIONE! X (maiuscolo) qui è cosa diversa da x (minuscolo): la prima rappresenta l’ascissa di P (praticamente, il coseno di x), la seconda l’angolo.
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.
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Se un’equazione rappresenta, di norma, una linea nel piano cartesiano, una disequazione può essere associata ad un’intera zona del piano (analogamente a quando, in una cartina geografica, identifichiamo la zona occupata dall’Italia, o dall’Asia, o magari al comune di Roma). Come nella cartina, riusciamo ad identificare una zona del piano quando ne conosciamo i confini (l’Italia confina ad Ovest con la Francia, a Nord con Svizzera ed Austria, ecc.). IL CONFINE DEL “>” (o anche di “<”, “≤” e “≥”) È L’UGUALE: infatti un numero finisce di essere, per esempio, minore di 3, quando diventa uguale a 3. Per capire cosa
rappresenta ,
dobbiamo prima studiare
quindi , o meglio
il sistema .
Questa è l’equazione di una retta parallela all’asse X (ha la forma ), che interseca la circonferenza goniometrica in due punti (non ci interessa calcolarne le coordinate, ma solo determinarli graficamente); dalla figura si vede
chiaramente che corrisponde alle soluzioni x=45° e x=135° .
D’altronde, se rappresenta una retta parallela all’asse X (tutti i punti
che hanno la stessa ordinata), è il semipiano delimitato da tale retta che
si trova al di sopra di essa. Come mettendo a sistema le equazioni e
troviamo i punti comuni alle due linee, le soluzioni di
sono i punti comuni al semipiano e alla circonferenza goniometrica. Le
soluzioni sono quelle comprese tra (punto B) e (punto A), ma in questo caso non c’è neanche bisogno di risolvere le soluzioni: a noi interessa sapere
il segno di nelle vicinanze di 45° ; ebbene, dalla figura qui
sopra si evince che se x tende a da sinistra , mentre da destra
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. ATTENZIONE! Non confondete il fatto che diciamo che x tende ad un certo valore da sinistra o da destra con la sinistra e la destra del grafico della disequazione goniometrica! Muovendoci a destra in questo grafico facciamo aumentare la X (maiuscola), cioè il coseno dell’angolo x, e non x (minuscolo), che è l’angolo: quest’ultimo cresce facendo ruotare il secondo lato dell’angolo in senso antiorario, NON necessariamente verso destra. Quando diciamo che x tende a da destra intendiamo che si avvicina
a questo valore mantenendosi minore di . Per esempio, possiamo immaginare x=46° (poco più di 45°).
Esercizi.
2) Limite all’infinito di un polinomio.
Danno luogo, spesso, ad una forma indeterminata del tipo , e si risolvono mettendo in evidenza il termine di grado massimoiii. Si ricordi che tutte le quantità del tipo , essendo n>0, danno come risultato 0.
Esempio:
= = =
= = = .
Esercizi:
3) Limite all’infinito, di una funzione razionale fratta (rapporto tra due polinomi).
iii Si tenga presente che mettere in evidenza, per esempio, , significa moltiplicare per tale quantità la funzione di cui si sta calcolando il limite, e quindi ogni termine del polinomio va diviso per la quantità messa in evidenza, per non alterare il valore della funzione.
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Danno luogo a forme indeterminate del tipo , e spesso, al numeratore o al denominatore, anche forme del tipo . Si risolvono mettendo in evidenza, sia al numeratore che al denominatore, i rispettivi termini di grado massimo, per poi semplificare quanto possibile.
Esempio:
= = =
= = = .
Esercizi:
4) Limite all’infinito di una funzione irrazionale intera o fratta (come 1 e 2, ma con in più almeno un termine che contiene la x sotto radice).
Danno luogo a forme indeterminate del tipo e , come nel caso precedente. Si risolvono, come nei casi precedenti, mettendo in evidenza i termini di grado massimo di numeratore e denominatore (o del solo numeratore, se la funzione non è fratta), e semplificando ove possibile, ma tenendo anche presenti le seguenti considerazioni:
a) una potenza di x presente sotto radice quadrata equivale ad una con esponente dimezzato (più in generale con esponente diviso per l’indice della radice). Per esempio, nelle espressioni , e
, il termine di grado massimo è rispettivamente , e x.b) Con particolare riferimento alle radici quadrate (regola analoga vale per
tutte quelle con indice pari) l’espressione indica il numero POSITIVO O NULLO che elevato al quadrato dà 9; in altre parole, =+3, mentre se scriviamo intendiamo –3. Quindi NON È SEMPRE VERO che =x, essendo il primo termine, per definizione, positivo o nullo, mentre x può anche risultare negativo. Per esempio, se x=-2, = = =+2, e quindi in questo caso NON è uguale ad x, ma a –x. In generale, se x≥0 , mentre se x<0 (o , che è lo stesso). Poiché questo modo di
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procedere non risulta normalmente familiare, si consiglia vivamente di non saltare i passaggi, soprattutto quando x tende a (e quindi è negativo).
c) Poiché non esiste radice dei numeri negativi, qualora il temine di grado massimo fosse una potenza dispari di x sotto radice quadrata (o, più in generale, con indice pari), non possiamo mettere in evidenza (che non esiste se x<0, come accade per esempio se x tende a ), ma (l’opposto di un numero negativo è positivo).
d) Nessuno dei problemi indicati alle lettere b) e c) sussiste se la radice ha indice dispari: per esempio, ; inoltre si può sempre mettere in evidenza (se necessario) anche se x è negativo.
Esempio:
= = =
= = =
= = = .
ATTENZIONE!!! Se fosse stato x , al posto di x avremmo dovuto sostituire , e NON !
Segui bene i passaggi nel seguente esempio:
= = =
= = =
= = = .
Altro esempio:
= = =
= =
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= =
= = = =0.
Esercizi:
2) Forme del tipo : funzioni razionali fratte.
Le forme indeterminate del tipo si risolvono semplificando o utilizzando alcuni limiti detti limiti notevoli. Cominciamo a prendere in esame il caso di un quoziente tra due polinomi (funzione razionale fratta). Se, per x=x0, numeratore e denominatore si annullano, entrambi sono divisibili per x-x0. Se possibile, la strada più semplice è quindi quella di scomporre in fattori numeratore e denominatore della frazione, semplificare e sostituire al posto di x il valore x0.
Esempio:
(forma indeterminata)
Per scomporre il numeratore è stato usato il prodotto notevole (differenza di due cubi); mentre il denominatore è
una differenza di due quadrati, ovvero .Altro esempio:
(forma indeterminata)
Mettendo in evidenza, al numeratore, x2 dai primi due termini e -2 dagli altri (fattorizzazione parziale) si ha:
.
Mettiamo in evidenza al numeratore; otteniamo
.
Terzo esempio:
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(forma indeterminata)
Per scomporre in fattori un trinomio di secondo grado si può tenere presente la formula , dove x1 e x2 solo le soluzioni dell’equazione . Risolviamo quindi l’equazione .
.
Di conseguenza , da cui
.
Quarto esempio:
.
In questo caso, non essendo possibile usare i metodi precedenti per scomporre in fattori il numeratore, utilizzeremo il teorema fondamentale dell’algebra, secondo cui se un polinomio si annulla per se e solo se è divisibile per . Poiché sostituendo 1 al posto di x si annullano sia il numeratore che il denominatore, entrambi risultano divisibili per . Possiamo quindi utilizzare la regola di Ruffini per dividere
per .Inseriamo i coefficienti del dividendo nella prima riga (si ricordi di inserire
uno zero per ogni termine mancante, nel nostro caso ) e il valore di nello spazio a sinistra (stiamo dividendo per ). Riportiamo il primo termine (+3) della riga superiore in quella inferiore, inseriamo il prodotto dei termini della terza riga per negli spazi a destra della seconda , e la somma dei primi due valori di una colonna nel suo spazio vuoto. Alla fine del calcolo l’ultima riga conterrà i coefficienti del risultato (tranne l’ultimo valore, che DEVE essere 0 essendo il resto della divisione).
E poiché stiamo dividendo un polinomio di 5° grado per un di 1°, il
risultato deve essere di 4°, cioè , da
cui . Il risultato dell’esercizio è perciò il seguente:
.
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