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I processi aziendali e superaziendali Esistono due approcci complementari allo studio dei comportamenti d’impresa, e di entità organizzative a questa superiori: •L’approccio economico •L’approccio aziendale

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Page 1: I processi aziendali e superaziendali Esistono due approcci complementari allo studio dei comportamenti dimpresa, e di entità organizzative a questa superiori:

I processi aziendali e superaziendali

Esistono due approcci complementari allo studio dei comportamenti d’impresa, e di entità organizzative a questa superiori:

•L’approccio economico

•L’approccio aziendale

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Le scelte d’impresa nel breve periodo: approccio economico

• Scelta risorsa-prodotto: quanto fattore produttivo usare nella produzione

• Scelta risorsa-risorsa: la combinazione ottimale di fattori produttivi

• Scelta prodotto-prodotto: il corretto mix di prodotti e la produzione congiunta

• Scelta prodotto-prezzo• Altre scelte

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Scelta risorsa-prodotto 1

La legge dei rendimenti marginali decrescenti

La logica: al crescere dell’utilizzo di un fattore il prodotto, ben presto aumenta meno che proporzionalmente

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Scelta risorsa-prodotto 2

Due metodi per stabilire il massimo profitto: 1) ricavo – costo

2) ricavo marginale=costo marginale

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Decisione risorsa-risorsa

Strumenti : isoquanti-isocosti

Risultati: il saggio marginale di sostituzione tecnica deve essere uguale al rapporto tra i prezzi dei fattori (pendenza isoquanto=pendenza isocosto)

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Scelta prodotto-prodotto

Strumenti: isoricavo e curva di trasformazione

Risultati: il saggio marginale di trasformazione deve essere uguale al rapporto tra i prezzi dei beni (pendenza curva di trasformazione= pendenza isoricavo

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Scelta prodotto-prezzo

• In concorrenza il punto ottimale è quando il costo marginale incontra la retta del prezzo=RMg=Rme

• In monopolio l’ottimalità richiede che RMg=CMg

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Altre scelte di tipo economico

• Scelta della scala ottimale• Decisioni strategiche

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I processi nell’approccio aziendale

• Vi sono quattro fasi sequenziali e cicliche nell’approccio aziendale ai processi d’impresa:

1. Pianificazione strategica

2. Programmazione

3. Budget

4. Reporting

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Pianificazione strategica

Impieghi:a) migliorare l’allocazione

delle risorse, b) individuare quali

adattamenti sono necessari, cioè le vie percorribili data la struttura dell’impresa,

c) coordinare i comportamenti di tutti gli agenti migliorando al contempo la loro professionalità ed attitudine manageriale,

d) motivare, mediante il consenso, gli operatori stessi.

Tappe:

1.      Costruzione del consenso preliminare nella individuazione di chi (decision maker) deciderà quale è la mission;

2.      Individuazione del ruolo teorico dell’impresa o suoi obiettivi;

3.      Identificazione, da parte dei decision makers, della mission aziendale come esplicitazione degli obiettivi, e nuova costruzione del consenso;

4.      Definizione dei vincoli e delle opportunità, cioè valutazione dell’ambiente esterno all’impresa e di quello interno;

5.      Definizione delle priorità strategiche;

6.      Formulazione di piani strategici;

7. Individuazione dei vari possibili scenari susseguenti alla realizzazione dei piani ed individuazione delle conseguenze.

Si definiscono gli obiettivi pratici o missionmission dell’azienda:cosa fare

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Pianificazione strategica in Sanità 1

• In campo sanitario le fasi più fluide e controverse sono sempre stata la prima e la terza, concernenti, chi deve decidere della mission aziendale, e come si può ottenere il consenso su tale mission.

• Storicamente, il ruolo di decisore spettava in primo luogo allo stato, che, mediante la formulazione del piano sanitario nazionale, avrebbe dovuto definire tutte le priorità strategiche.

• In secondo luogo decisori avrebbero dovuto essere anche le regioni in cui ruolo, però avrebbe dovuto essere prevalentemente programmatorio, quindi intervenire in una fase successiva e molto più operativa.

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Pianificazione strategica in Sanità 2

• Con l’introduzione del federalismo, però, il ruolo di pianificatore dello stato veniva parzialmente svuotato, limitandosi a definire gli obiettivi di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, le linee di indirizzo di programmazione sanitaria e i livelli di assistenza da assicurare nell’intero territorio nazionale (LEA). Parte delle funzioni di pianificazione vengono lasciate alle regioni.

• L’aziendalizzazione delle ASL, ha portato ad un ruolo sempre meno residuale delle ASL e delle aziende ospedaliere nella pianificazione strategica

• Viene anche parzialmente ridimensionato il ruolo delle regioni, che dovranno sempre più rivestire, anziché il ruolo di veri decisori ottimizzanti, quello di coordinatori di piani di ASL e aziende ospedaliere.

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Programmazione• Come possiamo attuare le linee guida e conseguire gli

obiettivi che ci siamo proposti nella precedente fase di pianificazione strategica?

• Si tratta cioè di delineare dei programmi di azione percorribili, dati i vincoli aziendali interni ed esterni, per raggiungere dati obiettivi, e quindi si richiede di individuare: linee di azione, fabbisogni finanziari, risorse disponibili, tempi di attuazione.

• Dal punto di vista tecnico il processo di programmazione può essere visto come un problema di risoluzione di un sistema lineare o non lineare, in cui il conseguimento degli obiettivi, che sono le nostre variabili dipendenti, dipende da strumenti o variabili indipendenti , che possono essere legate in modo anche complesso tra di loro

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Gli stadi della programmazione 1

• Creazione della disponibilità mentale e delle competenze a programmare. Tale stadio è cruciale soprattutto quando la programmazione avviene in ambito pubblico e a livello superaziendale, a causa della varietà dei soggetti coinvolti a titolo sia attivo che passivo (politici, forze sociali, operatori del settore, utenti, esperti), e delle loro differenti motivazioni e interessi ;

• Valutazione degli obiettivi definiti in fase di pianificazione strategica. Tali obiettivi possono utilmente essere distinti in obiettivi di medio-lungo periodo, o obiettivi finali, ed obiettivi di breve periodo, spesso chiamati intermedi;

• Raccolta di informazioni, a sua volta distinta in valutazione delle informazioni ricavate da programmi già conclusi o in atto (collegata alla metodologia della valutazione economica), e nuove informazioni necessarie per i nuovi programmi;

• Definizione della grandi linee del piano e delle possibili alternative. In questa fase è opportuno prospettare il più ampio ventaglio possibile di alternative, per evitare il rischio di fare solo ciò che è ovvio e fattibile;

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Gli stadi della programmazione 2

• Sviluppo dettagliato del piano (programmazione analitica), con:1.      Piano riguardante la produzione : specificazione dei servizi da

erogare , degli utenti da considerare, della tecnologia di produzione, dei volumi di attività, dei tempi, delle attività da fare e dei possibili risultati;

2.      Piano riguardante gli investimenti: tipologia degli investimenti, motivo degli investimenti (miglioramenti qualità, diminuzione costi, aumenti quantità), orizzonte temporale e fattore di sconto, necessità e modalità di finanziamento e connessa incertezza, metodi di valutazione sintetica dei risultati (indici di convenienza e risultato);

3.      Piano delle risorse umane: competenze, ruolo, sviluppo professionale e apprendimento sul lavoro;

4.      Piano finanziario (riferito a tutto il piano e non solo agli investimenti) : fabbisogno finanziario, fonti di finanziamento, mix nei finanziamenti, durata, costo totale.

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Piano sanitario nazionale 1

• Piano sanitario nazionale: Il piano sanitario nazionale è adottato previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni; le regioni possono partecipare all’elaborazione del Psn, con proposte formulate singolarmente o in modo coordinato. Esso non è più un programma dettagliato, ma è solo una pianificazione strategica: si occupa del cosa e del perché, ma non del come che viene demandato alle regioni. Infatti:

• Stabilisce gli obiettivi del SSN, affinché vi sia unitarietà del sistema, e cioè:

-         obiettivi di salute;-         obiettivi di assistenza • Individua sia linee guida per il miglioramento della

qualità (qualità dell’assistenza; accreditamento), sia linee generali per la ricerca, lo sviluppo, la formazione;

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Piano sanitario nazionale 2

• Definisce i LEA, e ne cura l’aggiornamento e modifica. Proprio questi ultimi costituiscono la frontiera della pianificazione; in linea di principio sono utilizzabili due criteri: a) Ricorso a principi ispiratori (come nel Canada) quali universalità, trasferibilità, accessibilità, globalità copertura, b) Definizione di prestazioni incluse negli standard o lista positiva e di prestazioni escluse o lista negativa (come nell’Oregon). In Italia, il Piano sanitario Nazionale 1998-2000 ha adottato una tipologia ibrida, cioè “principi ispiratori” e “principi che determinano prestazioni”. Più in dettaglio, i principi ispiratori, analoghi a quelli canadesi sono: dignità della persona, bisogno di salute, equità nell’accesso, mentre quelli che “determinano” prestazioni sono: qualità delle cure, appropriatezza terapeutica, economicità.

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Piano sanitario nazionale 3

• In base a questa serie di principi si potrebbe in linea teorica determinare sia una serie di prestazioni incluse (che li soddisfano) sia una serie di prestazioni escluse (che non li soddisfano): la lista positiva, in realtà non esiste, essendo definite solo tre macro aree assistenziali: a) assistenza collettiva, b) assistenza distrettuale, c) assistenza ospedaliera, mentre sono definite una limitata lista negativa (prestazioni totalmente escluse): 1) chirurgia estetica, non dovuta ad incidenti o malattie, 2) medicina non convenzionale, 3) certificazioni mediche, 4) vaccinazioni non obbligatorie per soggiorni all’estero, 5) alcune prestazioni di medicina fisica e riabilitativa, una lista ibrida di prestazioni parzialmente incluse (se si verificano certe condizioni): 1) odontoiatria, 2) densitometria ossea, 3) medicina fisica, 4) chirurgia rifrattiva ed una lista di prestazioni che possono violare il principio dell’appropriatezza: 1) 43 DRG se erogati anziché in Day Hospital in regime di ricovero ordinario, 2) altri possibili DRG e chirurgia ambulatoriale.

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Piani sanitari regionali

• Il Piano Sanitario Regionale è adottato previo esame della Conferenza permanente per la programmazione sanitaria e sociosanitaria regionale e con la partecipazione degli enti locali e delle forze sociali e rivendica alle Regioni il diritto di avere piena autonomia nella organizzazione dei servizi sanitari, di potere effettuare sperimentazioni gestionali anche non autorizzate dalla Conferenza Stato-Regioni, e di potere costituire aziende ospedaliere in modo autonomo.

• In pratica: per quanto riguarda l’assistenza ospedaliera vengono individuati centri di eccellenza, collegati in rete con altri presidi ospedalieri o aziende ospedaliere, si determina il numero di queste, inserendo il tutto in una pianificazione regionale della dotazione necessaria di posti letto e di riequilibrio con l’assistenza territoriale, si determina il modello concorrenziale ed il conseguente peso delle strutture accreditate e pubbliche, il tipo di prestazioni che dagli ospedali possono essere contrattate all’esterno, il ruolo dei pazienti.

• Si determinano veri e propri modelli regionali: Lombardo, Toscano, ecc.

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Piani ASL

• sono questi i piani che dovrebbero consentire il collegamento tra i vertici decisionali (Stato e Regioni) e gli operatori sanitari, consentendo di ottenere prestazioni efficaci in termini di livelli di salute, efficienti in termini di costi e risorse utilizzate, e di qualità, intesa come soddisfazione dei pazienti/utenti e degli operatori sanitari. Dovrebbe essere esteso a tutte le cure possibili, con definizione delle risorse necessarie, individuazione di come vadano spese, di chi siano i responsabili delle spese e i risultati attesi. Un problema che si pone in Italia, sia a questo livello aziendale che a livello regionale, è che, essendo la fase di pianificazione strategica affidata ad un altro livello (Stato), vi è sempre una cronica incoerenza tra risorse ritenute necessarie per garantire i LEA dallo Stato, e risorse (maggiori) effettivamente necessarie. Ciò comporta, in termini economici, una distruzione di incentivi all’ efficienza: se infatti, per quanto ci si sforzi si devono fare programmi che non possono essere realizzati perché mancano le risorse, allora perché farli?

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• Un esempio, programmazione dei letti ospedalieri a livello regionale:

• Stima della domanda: giornate di degenza annue pro-capite= tasso di ospedalizzazione x durata media di degenza . La domanda complessiva (giornate degenza complessive), può poi essere ottenuta moltiplicando la domanda pro-capite per la popolazione.

• Offerta: definiamo il prodotto ospedaliero come capacità teorica di ricovero x tasso di occupazione dei posti letto.

• La domanda dipende da: motivazioni private, morbilità, atteggiamenti di medici e pazienti, sesso, età, istruzione, reddito, prezzi gravanti sugli utenti. Ma, la domanda dipende anche dall’offerta: quando andiamo a ricercare la posizione di equilibrio, ponendo: domanda= offerta, se ci troviamo in una posizione il cui la domanda è maggiore dell’offerta, e pensiamo di farvi fronte aumentando i posti letto in misura necessaria a colmare l’eccesso di domanda iniziale, ci troveremo, ex-post, in una situazione in cui vi è ancora eccesso di domanda, perchè l’aggiunta di nuovi posti letto ha creato nuova domanda.

• Il problema di programmazione è allora: qual’è il numero di posti letto minimo che ci permette di soddisfare la domanda?

• Le strategie: a) diminuire la durata di degenza, passando da metodi di pagamento retrospettici a prospettici, migliorando le capacità manageriali, conferendo priorità ai ricoverati nell’utilizzo di laboratori di analisi e radiologia, ecc. b) aumentare il tasso di occupazione dei posti letto, aumentando l’offerta a parità di numero di letti, ad esempio con una migliore gestione delle code di attesa, ricorrendo a turnazione per sfruttare i fine settimana, ecc. c) diminuire il tasso di ospedalizzazione, mediante potenziamento dell’assistenza di base e territoriale, sensibilizzazione dei medici di base (budget), ecc

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Il Budget

• Obiettivi:

• Il coordinamento delle unità organizzative;

• La previsione delle situazioni future;

• La motivazione delle unità organizzative;

• Lo sviluppo professionale delle risorse;

• La valutazione della performance delle unità organizzative

• Scopi:1.      permette l’allocazione delle

risorse disponibili,2.      permette di effettuare

decisioni di carattere operativo su utilizzo di capacità produttiva, efficienza nell’uso delle risorse, coordinamento delle unità operative,

3.      permette la fattibilità economica, finanziaria e tecnica dei programmi definiti nella precedente fase decisionale.

Consiste nella definizione di obiettivi di carattere operativo, prevalentemente di breve periodo, che si configurano spesso come tappe intermedie del processo di programmazione.

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Le tappe del Budget

        Fissazione delle linee guida: si raccolgono, nel quadro di obiettivi e vincoli precedentemente identificati, le proposte di budget effettuate dai responsabili delle unità organizzative, con metodi differenziati (top-down, bottom-up, ecc.)

        Predisposizione delle proposte effettive di budget, differenziate in base alle attività svolte, alle risorse impiegate, ai tempi di esecuzione, alla maggiore o minore flessibilità necessaria del budget stesso, alle informazioni necessarie e a quelle disponibili, al maggiore o minore dettaglio delle proposte stesse;

        Consolidamento e coordinamento, mediante revisione delle proposte, sia per quanto riguarda il rispetto dei tempi, sia per quelle che sono le metodologie di analisi proposte, sia per l’importanza degli aspetti comportamentali, che possono minare il raggiungimento degli obiettivi, sia per l’interazione dei budget operativi, finanziari e degli investimenti;

        Approvazione finale del budget.

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I presupposti per il budget

• Contabilità analitica:

1. Centri di responsabilità:sono basati sull’idea che è necessario individuare chi controlla cosa, cioè da chi sono controllate variabili gestionali rilevanti, e l’eventuale gerarchia nei controlli.

2. Centri di costo:sono definiti come quelle unita aziendali cui possono essere attribuiti i costi di produzione , come ad esempio i reparti, il day-hospital, la sala operatoria, il laboratorio, ecc.

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Centri di costoI criteri si scelta dei centri di costo sono:        Omogeneità delle attività svolte;        Possibilità di attribuzione di tutte le voci di costo;        Aderenza alla struttura organizzativa aziendale.Le tipologie dei centri di costo sono invece:• Centri di costo comuni: svolgono attività di supporto per altri centri di costo

e i loro costi sono da ripartire sugli altri centri di costo mediante specifici criteri (ribaltamento dei costi);

• Centri di costo per prestazioni intermedie: svolgono attività che poi entrano nei costi di produzione di uno o più altri centri di costo per prestazioni finali;  

• Centri di costo per prestazioni finali: sono quelli che si occupano delle prestazioni che saranno poi utilizzate dagli utenti, siano esse servizi di prevenzione o cura, come ricoveri, cure ambulatoriali.

• Centri di costo fittizi: generalmente vengono costruiti ad hoc, e contengono spesso partite di giro, come nel caso del magazzino, in cui c’è un continuo carico e scarico di merci.

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Altri concetti di costo

Da un punto di vista aziendale assumono rilevanza le distinzioni tra:

• Costi controllabili o non controllabili dagli operatori aziendali

• Costi diretti (o speciali) e costi indiretti (o comuni). I primi possono essere assegnati direttamente ad un prodotto, gli altri vanno imputati (o ribaltati) con metodi basati sull’assorbimento di risorse presunto.

• Costi standard e costi effettivi. I primi sono calcolati ex-ante e si riferiscono a specifici centri di costo. Dal confronto tra costi standard ed effettivi si traggono informazioni sui fattori di criticità di gestione.

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Gli indicatori di budget

• Servono per individuare gli obiettivi operativi su cui valutare i Centri di responsabilità

• Dovrebbero pertanto essere confrontabili con le risorse impiegate, coerenti con le finalità aziendali, focalizzati su variabili governabili

• La prassi arretrata degli indicatori nelle aziende sanitarie

• L’utilizzo scorretto di indicatori, soprattutto di ricovero (tasso d’occupazione dei posti letto, numero di casi di pazienti fuori regione)

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Reporting

• Fase finale di ogni ciclo programmatorio, in cui si confrontano i risultati ottenuti con gli obiettivi prefissati. In essa si individuano e si quantificano gli scostamenti, se ne cercano le cause e si suggeriscono azioni migliorative possibili da intraprendere.

• Esso è basato su report (rapporti) aziendali• Gli elementi principali del reporting sono:1. Definizione della finalità dei rapporti (se puramente informativa, se

valutativa, se di controllo ulteriore);2. Individuazione dei destinatari (dirigenti, quadri, altri);3. Individuazione dei parametri su cui valutare la performance (budget-

effettivo, standard-effettivo, storico, indicatori);4. Individuazione delle informazioni rilevanti per ogni tipo di report (i

dirigenti devono sapere cose diverse dai quadri, ecc.);5. Definizione della frequenza, della tempestività, della chiarezza,

sinteticità, formato, ecc. delle informazioni (i dirigenti possono perdere meno tempo...)