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Anno scolastico 2017-2018
Classe III sezione F Scientifico InsegnanteRosalba Cacciatore
I MOSAICI nelle chiese Italiane da
Venezia a Otranto
I MOSAICI nelle chiese Italiane
da Venezia a Otranto
MosaiciMosaici parietaliRAVENNA• Mausoleo di Galla Placidia prima metà del V secolo• Sant’Apollinare nuovo 505 d.C.• Sant’Apollinare in Classe IV secolo• Basilica di San Vitale 532 d.C. – 547 d.C.VENEZIA• La Basilica di San Marco, 1063 - 1094FIRENZE• Battistero di San Giovanni, XI-XII SecoloSICILIA• Cappella Palatina, Palermo• Basilica della Trasfigurazione a Cefalù• Cattedrale di Santa Maria a MonrealeMosaici pavimentali• Mosaico della Cattedrale di Otranto
Il MOSAICO pavimentale della
Cattedrale di
OTRANTO
Nei mosaici pavimentali sono presenti più tecniche, tra cui quella della tarsia
marmorea, in cui specialisti erano gli artisti comacini; compaiono
rappresentazioni della genesi ad Otranto o semplici rappresentazioni di vita come i
Giocatori di Scacchi, a Piacenza.
I mosaici pavimentali talvolta hanno una funzione didattica. I più antichi si
possono ammirare nella Villa del Casale, che trattano scene mitologiche e di
caccia.
Cattedrale di Otranto, facciata principale
Il mosaico pavimentale della Cattedrale di Otranto
Navata centrale del mosaico pavimentale della Cattedrale di Otranto
La cattedrale di Otranto, fu edificata sui resti di una domus romana nel 1080 e
venne consacrata nel 1088, sotto il pontificato di Urbano II. Fu finanziata dal Re
mentre e il popolo lavorò gratuitamente, per la realizzazione di quella che era stata
concepita per essere la più significativa chiesa della Puglia.
La facciata monocuspidata, colpisce per il grande rosone rinascimentale, e quindi
risalente a un periodo successivo rispetto alla costruzione della chiesa.
La pianta a croce latina mostra tre navate con un abside semicircolare e due
cappelle laterali.
Le navate laterali solo sormontate da soffitti dipinti, mentre quella centrale
La cattedrale di Otranto
presenta un soffitto a cassettoni decorato in oro. L’elemento che rende speciale la
cattedrale di Otranto è il particolare Mosaico pavimentale.
Il mosaico pavimentale della cattedrale di Otranto fu realizzato tra il 1163 e il 1165
dal monaco Pantaleone il cui nome appare nella parte inferiore del mosaico in
corrispondenza dell’entrata principale. L’opera si estende per oltre sedici metri
ricoprendo interamente il pavimento della cattedrale.
Nella navata centrale è raffigurato un maestoso albero che partendo dalla porta di
ingresso si estende fin al presbiterio. Intorno all’albero si alternano simboli di ogni
tipo, la maggior parte dei quali sono ripresi dall’antico testamento.
Compaiono degli elementi totalmente decontestualizzati: partendo dal basso,
troviamo Alessandro Magno, affiancato da un leone tetramorfo, dotato di una testa
e quattro corpi leonini, procedendo verso l’alto si riconosce re Artù, il cui nome
Il mosaico di Otranto
e quattro corpi leonini, procedendo verso l’alto si riconosce re Artù, il cui nome
compare nei pressi del presbiterio, sotto della scena della “Cacciata dal paradiso di
Adamo ed Eva”.
Nel presbiterio è raffigurata la “Cosmogenesi”, tramite una serie di sedici cerchi
disposti su file di quattro, contenenti ugnuno un simbolo.
Nell’abside si ha la raffigurazione della “storia di Giona” e la “caccia al cinghiale”
simbolo della lotta tra i cristiani e Satana.
Nella navata destra si ripropone l’albero, sormontato da cinque figure, dette “I
Giganti”, mentre nella navata sinistra è presente la scena del “Giudizio
Universale” divisa in due parti, a destra il paradiso, a sinistra l’inferno.
Mosaico di Otranto, particolare, il presbiterio
Interpretazione gnostico-cabalistica
La Cabala è una parte della mistica religiosa ebraica legata alla tradizione
esoterica, ovvero magica.
Dall’ ebraico Qabbalàh ovvero l’atto di ricevere, la tradizione, essa non si discosta
dagli insegnamenti tradizionali ebraici, ma ne è parte integrante.
La base del pensiero cabalistico ebraico è quindi la Torah, seppur le si affianchino
numerosi altri testi sacri di cui i più importanti sono il Sefer ha-Bahir, il Sefer ha-
Zòhar e il Sefer Yetziràh.
Fulcro della dottrina cabalistica ebraica è l’albero della vita, un diagramma
simbolico costituito da dieci entità, chiamate Sephirot.
Ogni Sephirah, letteralmente, calcolo, enumerazione, è la manifestazione
dell’energia divina.
Le Sephirah sono dieci, e sono i principi basilari che potranno rendere integrità e
purezza all’esistenza degli uomini.
L’albero della Vita nella tradizione cabalistica
Ogni Sephirah ha un nome: Malkhùt è il regno, la Sephirah più vicina all’uomo, poi
si ha Yesòd il fondamento, Hod la gloria o splendore, Nétzah l’eternità o
virttoria, Tiphareth l’equilibrio o la bellezza), Gheburah la forza o la giustizia,
Chésed la misericordia), Chockmah la sapienza, Binah l’intelligenza, ed infine
Keter, la corona, la più prossima alla divinità e intesa come fondamento di tutte le
altre Sephirah. Esiste inoltre un’undicesima Sephirah, che rappresenta il divario tra
uomo e Dio. Le Sephirot si dispongono su tre pilastri paralleli, tre a sinistra tre a
destra e quattro al centro, a formare l’Albero della Vita.
Esso è inteso come il cammino lungo il quale tutto è stato creato e come il sentiero
di risalita che le anime devono attraversare per riunirsi a Dio.
I tre pilastri dell’albero sono intesi come le tre vie che l’uomo ha davanti: la
Forza, a sinistra, l’amore, a destra e la compassione nel centro. I due pilastri a
destra e sinistra rappresentano rispettivamente il maschile e il femminile, che
sono integrati nel pilastro centrale. Proprio nell’integrazione tra maschile e
femminile sta uno dei principali insegnamenti della cabala. All’interno del
mosaico è evidente la corrispondenza posizionale tra alcune figure e le Sephirot
principali della cabala. Tra il leone tetramorfo e Alessandro Magno c’è una
corrispondenza che sembra identificarli proprio come due delle sephirot
inferiori, Hod e Nétzah. Hod, lo splendore, è rappresentato dal leone dal volto
solare, mente Alessandro Magno rappresenta la Vittoria cioè Nétzah.
Il mosaico di Otranto, particolare, Alessandro Magno
Nella parte centrale del mosaico si ha la corrispondenza con la parte centrale
della cabala: Gheburah, la forza, è identificabile nell’ordine dato da Dio di cui si
vede la mano, a Mosè, mentre Chésed, la pietà, è identificata nell’Arca di Noè.
Nella parte superiore Chockmah, la conoscenza, è rappresentata dall’albero del
bene e del male, un albero della Vita privo di tronco e dall’albero della vita, di
fronte ai quali si pone la scelta di Adamo.
Infatti per il pensiero cabalistico l’errore di Adamo fu quello di voler conoscere
prima di aver realizzato la completa integrazione con la compagna, Eva, tanto più
che nel mosaico il serpente si inserisce tra i due in modo provocatorio.
La loro voglia di conoscenza razionale li portò al peccato.
Mosaico di Otranto, particolare: Il peccato Originale
Alla conoscenza si contrappone la saggezza, rappresentata da re Artù e dal Gatto
con gli stivali.
Infine la corona, idealmente raffigurata con la cosmogenesi rappresenta il massimo
livello della spiritualità. Un’altra possibile interpretazione cabalistica è quella
dimensionale: Lo spazio tempo nasce, per i Cabalisti, dalla scelta di Adamo.
È il suo peccato ad averci vincolati allo spazio-tempo, che nel mosaico è
rappresentato dai dodici mesi, e dalle attività dell’uomo legate ad ognuno di essi,
cioè lo spazio.
E’ da notare inoltre che il monaco che realizzò l’opera si raffigurò nel mosaico.
Pantaleone osserva un unicorno, ed è posto al centro di uno dei sedici cerchi del
presbiterio sulla cui corona sono rappresentati una serie di piccoli cerchi. Tra essi,
ne manca uno. Esso è collocato sopra l’unicorno all’interno di una stella.
L’autore vorrebbe forse identificare l’Unicorno come simbolo della conoscenza, e il
suo livello spirituale come il piccolo cerchio mancante.
Mosaico di Otranto, particolare, Pantaleone e l’Unicorno
Mosaico di Otranto, particolare, Re Artù
Un’altra interpretazione del mosaico arriva dai vangeli gnostici ritrovati a Nag
hammadi, in Egitto, specialmente dal Vangelo di Filippo, e da alcuni brani del
Bestiario Divino ad esso associati. Nel Bestiario Divino si legge:“L’universo
possiede un solo corno in mezzo alla fronte. Esso è il solo animale che può vincere
l’attacco dell’elefante […] L’unicorno rappresenta Gesù Cristo, che acquista su di
sé la sua natura nel grembo della vergine che fu tradito dai giudei e consegnato
nelle mani di Ponzio Pilato. Il suo unico corno rappresenta il Vangelo di Verità”.
Anche altri brani tratti dai vangeli gnostici sono sorprendentemente vicini ai simboli
utilizzati dal monaco nella realizzazione del mosaico, quindi si è giunti a pensare che
i testi gnostici di Nag Hammadi fossero patrimonio dell’Abbazia di Casole dalla
quale il monaco proveniva.
Nel Vangelo di Filippo si legge :
“Giuseppe il falegname ha piantato un giardino perché aveva bisogno di legna per il
suo mestiere. È lui che ha costruito la croce con gli alberi che ha piantato. Il suo
seme è stato Gesù, la Croce la sua pianta.”
“Ci sono due alberi in mezzo al paradiso: uno produce animali, l’altro produce
uomini. Adamo ha mangiato dall’albero che produce animali ed è diventato animale
ed ha generato animali. Per questo i figli di Adamo venerano dei che hanno forma di
animali. L’albero di cui Adamo ha mangiato i frutti è l’albero della conoscenza, per
questo i peccati sono diventati numerosi. Se egli avesse mangiato dall’altro albero, i
frutti dell’albero della vita, che produce uomini, gli dei venererebbero l’uomo Ma
l’albero della Vita è in mezzo al paradiso e anche l’ulivo da cui viene il crisma
grazie al quale la resurrezione…”.
Tali testi connettono l’albero della Vita cabalistico e l’albero del bene e del male
con la croce di Gesù, con l’albero della discendenza, piantato da Giuseppe e con il
bestiario. Quest’ultimo pervade il mosaico a simboleggiare gli uomini generati
dall’errore di Adamo. In effetti se immaginassimo di osservare dall’alto il mosaico
potremmo notare la corrispondenza esatta dell’albero con l’asse di simmetria della
navata centrale. L’albero sta al centro della croce che fa da pianta alla chiesa. Ciò
significa che la croce, che rappresenta la venuta di Gesù, ha fornito di un nuovo
tronco l’albero del bene e del male scelto da Adamo, aprendo agli uomini una via
di risalita verso Dio, riallacciando la tradizione cabalistica al messaggio
Cristiano.
Mosaico Otranto, L’albero della Vita
Interpretazione Gnostica ed Ebraica
La cultura e la lingua ebraica possono essere uno degli strumenti più importanti per
quanto riguarda la decodificazione del mosaico di Otranto, che si può suddividere in
tre parti:
• Corona
• parte centrale
• parte inferiore
Particolare, la torre di Babele
La Torre
La Torre di Babele è raffigurata nella parte inferiore dell’opera, sicuramente uno
dei simboli più importanti; le sue dimensioni soni infatti seconde solo a quelle
dell’albero.
Tutti gli elementi del mosaico sono organizzati in coppie di due, in cui la parte
femminile si trova sempre a sinistra. La torre ne è un esempio lampante. Inoltre, in
lingua ebraica, il significato di compagna, may-ray’-ah, è quello di torre mig-
dawl; unendo la traduzione in ebraico di tali parole si ottiene quindi Maria di
Magdala, cha rappresenta il cuore e la sintesi del pensiero gnostico ed è infatti,
sempre secondo tale dottrina, la donna che fu destinata ai segreti più reconditi e che
era talmente prediletta da Gesù da ricevere un diverso trattamento, tale da suscitare
l’invidia degli apostoli.
La Corona
La Corona, che è la parte superiore dell’opera, è costituita da sedici simboli.
La Pantera e la tesi di Celso
La pantera è il primo di questi a partire dall’ordine più in alto. Il nome pardus,
pantera, ci indica chiaramente una possibile chiave di lettura nella paternità; tale
simbolo infatti, se associato alla Sirena o Abraxas, invenzione simbolica di
Basilide, rappresenta la potenza dell’unione delle tre figure: Padre, Figlio e
Spirito Santo e fa riferimento alla forza sessuale, riconducendo ad un’altra tesi che
sosteneva che Gesù fosse figlio carnale di Maria e di un soldato romano di nome
Pandera.
Ad alimentare tale leggenda contribuivano:
• Le Toledoth ebraiche, antichissimi scritti che polemizzavano contro i cristiani, e in
particolare i giudeo-cristiani;
• Un papiro ritrovato nei pressi di Qumran, sottoposto ad alcune analisi preliminari,
ma mai pubblicato, il cosiddetto Rotolo dell’Angelo che narra la storia di Joshua
Ben Pediah, ovvero Gesù figlio di Pediah, il quale, recatosi nel deserto, viene
portato in cielo dall’angelo Pnimea.
Inoltre è stata notata un’incredibile assonanza tra il nome di Joshua Ben Pediah e
Gesù figlio di Pandera: quindi, se il Pardus è associato ad una qualità del Padre e
rappresenta anche il padre di Gesù, ovvero Pandera, allora ci dovrebbe essere in
qualche modo indicato anche il Figlio, ovviamente in forma criptica, visto che nel
mosaico, Gesù non viene mai esplicitamente raffigurato. Osservando molto
attentamente il Pardus, si può constatare che questo tiene tra le mani un ariete, e
sembra schiacciarlo.
L’ariete potrebbe rappresentare dunque il Figlio solo usando la chiave interpretativa
astrale, tipica della Corona, richiamata dalla scritta AUSTRI, presente nella prima
riga in alto tra il simbolo di Salomone e quello della regina di Saba.
Quindi, attraverso tale metodo di decodificazione, si può osservare che la Sirena
non solo è la compagna del Pardus, ma è anche un pesce e di conseguenza, ne
rappresenta l’omonima costellazione. E dunque tale raffigurazione segna l’inizio
della nuova era, quella dei Pesci, marcata dalla nascita di Gesù, e la chiusura di
quella precedente, l’era dell’Ariete.
Particolari, Pardus
Mosaico di Otranto, particolare, La Sirena
La Sirena Melusina
Data la collocazione della Sirena, a sinistra del Pardus, questa non può che essere
la compagna, may-ray’-ah, dalla meravigliosa meged, coda, al-yaw’ ovvero,
nuovamente, Maria di Magdala.
Solitamente la Sirena era rappresentata con spoglie maschili. È quindi più che
legittimo chiedersi il motivo che spinse Pantaleone a raffigurare quel simbolo con
fattezze femminili.
Secondo alcuni, Pantaleone avrebbe voluto denunciare l’ambiguità prodottasi nel
corso dei secoli tra le due persone di Maria Maddalena e la madre di Gesù, allo
scopo di offuscare l’importanza della prima imbarazzante figura, cardine della
teologia gnostica. La Sirena appare come la compagna della Pantera, ma è anche
compagna di colui che è rappresentato, come abbiamo visto, soltanto unendo i due
simboli attraverso l’interpretazione astrale: Gesù.
Va ricordato che la rappresentazione della Sirena a due code nelle raffigurazioni
medievali rimandava chiaramente alla leggenda di Melusina; le leggende che
avvolgono questa figura mitica sono sostanzialmente due, e propongono l’incontro
tra fate e umani. La prima sarà codificata definitivamente intorno al 1390,
quando due famiglie aristocratiche intesero dar lustro alle loro casate tramite
un’opera letteraria. Il duca di Berry, erede dei castello dei Lusignano, chiese allo
scrittore Jean d’Arras di scrivere un romanzo che alludesse all’origine
“soprannaturale”
“soprannaturale” della stirpe di cui egli era erede. L’opera vedrà la luce nel 1392 e
avrà come titolo di “Roman de Mélusine”.
Pochi anni dopo a Partenay, non lontano da Lusignano, il signore del luogo
anch’egli discendente della stessa casata, incaricò il suo cappellano Couldrette di
redigere un’opera in versi sullo stesso tema.
Tale scritto aveva come protagonista, Raimondino, che durante una caccia nella
foresta di Colombiers, uccide per errore suo zio. Sconvolto dall’accaduto si rifugia
in un bosco e presso una fonte si imbatte in tre fanciulle. Una di queste, è Melusina,
che rivela di conoscere il motivo del suo malessere e si offre di sposarlo, a patto che
non avesse mai cercato di vederla di sabato, in quanto sarebbe dovuta rimanere sola.
Dal matrimonio, all’apparenza felice, nacquero figli umani solo per metà. Il re,
sospettando qualcosa, ruppe la promessa e decise di seguire la sposa di nascosto nei
giorni in cui si allontanava. In tali occasioni la bella fanciulla si trasformava in una
mostruosa sirena con due code e la testa simile ad un drago. Venuta a conoscenza
della cosa, Melusina lasciò l’uomo, ritornando in mare dove aveva accumulato una
grande ricchezza.
La seconda leggenda è legata alla nascita della stirpe dei Merovingi, il cui
capostipite sarebbe stato un certo Mervee. Sua madre incinta sarebbe stata
posseduta da un mostro marino denominato Quinotauro.
Nel gioco di parole del nome “Mervee”, nasconde un’altra leggenda legata alla
Maddalena, secondo cui avrebbe avuto un figlio da Gesù, e sarebbe fuggita in
Francia dopo la morte del suo compagno.
Per cui Mervee avrebbe il significato di “figlio di Maria di Magdala” e di padre
della stirpe dei primi re di Francia: i Merovingi.
La Sirena sarebbe quindi Maria, compagna di Pandera e madre di Gesù, oppure
Maria di Magdala, compagna di Gesù e madre di Mervee, leggendario fondatore
della stirpe dei Merovingi.
Tramite per tale correlazione è, la leggenda di Melusina, che fa del mostro a due
code al contempo il Quinotauro e la madre che genera un ibrido dall’apparenza
umana, ma dalle qualità soprannaturali.
Non si può ignorare la connessione con un’altra leggenda, che si ricollega alla fuga
in Francia della Maddalena, ed alla identificazione del termine Graal o Sangraal
con Sangue Reale.
Non va nemmeno tralasciata un’altra caratteristica tipica, storicamente accertata,
relativa all’abitudine dei re Merovingi di non tagliarsi i capelli. Se capelli in ebraico
è nezer, e quindi Nazir, si ottiene un possibile implicito rimando al Nazareno, loro
ipotetico avo. Anche questa constatazione, che all’apparenza sembra una pura
illazione, torna prepotentemente nell’iconografia della Sirena, i cui capelli sono
talmente lunghi da oltrepassare la lunghezza stessa della figura, tanto da fuoriuscire
dal cerchio che la racchiude nel mosaico.
Mosaico di Otranto, particolare, Re Salomone
Re Salomone
Nel mosaico mostra il più antico dei personaggi biblici, la cui storia precede la
nascita della Bibbia stessa: Melchisedec, il cui nome deriva dall’unione di due
parole ebraiche meh’-lek (Re) e tsaw-dak (Giustizia) che significherebbe “Re di
Giustizia”. Per arrivare a questa correlazione è necessario risalire all’etimologia di
Melchisedec in cui compare una strana contraddizione tra la versione riportata dalla
Bibbia e quella nel Libro dei Segreti di Enoch, che termina con una storia che narra
che: “La moglie di Nir, fratello di Noè, nonostante la sua sterilità e l’avanzata età,
concepì un figlio senza l’intervento del marito. Nir non volle riconoscere il figlio e
la moglie morì durante il parto. Miracolosamente il bambino, che rimase sulla
terra solo 40 giorni (gli stessi che Gesù trascorse nel deserto), nacque comunque
ed aveva fino dalla nascita l’età apparente di 4 anni. Un angelo disse a Nir che il
bimbo nato, cui fu dato nome di Melchisedec, sarebbe stato il più grande dei
sacerdoti: il sacerdote eterno, da cui sarebbe nato un nuovo ed eterno sacerdozio e
una nuova stirpe, dopo l’avvento del diluvio. Melchisedec, al pari solo di altri due
personaggi come Joshua Ben Pediah nel Rotolo dell'Angelo e come Mosè sempre
nella letteratura enochica, fu portato in cielo ancora fanciullo.”
Tale storia non è presente nella Bibbia, e Melchisedec viene sostituito da un
oscuro re di una cittadina di Salem, spesso identificata con Gerusalemme.
Resta un mistero di come mai un marginale re biblico debba rappresentare il
capostipite di una nuova stirpe di sacerdoti, che vedrà in Gesù il suo primo e unico
discendente.
Diventa chiaro se si fa riferimento al Libro dei Segreti di Enoch ricollegando il
fanciullo alla prima venuta del Messia, prima che avesse origine la Bibbia.
Salomone sarebbe stato per sua natura re meh’-lek e anche giusto tsaw-dak
(Giustizia), e poiché il suo nome discende dalla radice salem (Pace), la stessa di
Gerusalemme (città della pace), di conseguenza egli è anche il re di Gerusalemme.
Salomone sarebbe il simbolo criptico di Melchisedec, e la sua presenza nel mosaico
denuncia la sostituzione di Melchisedec, nato miracolosamente da vergine e
progenitore dello stesso Gesù, come l’oscuro re di Salem biblico, probabilmente
mai esistito.
Mosaico di Otranto, particolare, La regina di Saba
La regina di Saba
La regina di Saba, è collegabile alla Maddalena. Per la corretta interpretazione
della sua funzione possiamo ricorrere al seguente oscuro passo del Vangelo di
Matteo:
“La regina del mezzogiorno comparirà nel giudizio con questa generazione e la
condannerà; perché ella venne dalle estremità della terra per udire la sapienza di
Salomone; ed ecco, qui c’è più che Salomone! ”
Il brano collega, chiaramente, la regina del mezzogiorno alla regina di Saba e, nel
contemporaneamente, a Salomone, anch’esso raffigurato nell’opera.
La regina di Saba è l’emblema della Regina Nera, la cui bellezza e intelligenza
stregarono Salomone.
Tradizionalmente il nome Regina Nera è associato a un altro misterioso culto,
quello della Madonna Nera, diffusissimo in Europa e promosso, da un re della
stirpe dei Merovingi: Dagoberto.
La regina di Saba è inoltre il simbolo veterotestamentario, che si adatta alla figura
della Maddalena nell’eresia gnostica, poiché unisce insieme la figura regale, con
l’intelligenza, la capacità di conoscenza e la fedeltà al suo re; di conseguenza non
poteva essere fatta una scelta migliore per una tale raffigurazione simbolica.
Mosaico di Otranto, particolare, il Cervo ferito
La leggenda dei Merovingi
Il Sagittario, che è il secondo simbolo della seconda livello del mosaico, la scritta
AUSTRI, ovvero le stelle, suggeriscono che la lettura astrologico-astronomica sia
quella da adottare per interpretare tale riga.
Il segno immediatamente successivo al Sagittario, nella sequenza astrologica, è il
Capricorno, spesso identificato con il nome di Antilope del mare. Non a caso nel
mosaico è raffigurata un’antilope. La sequenza Capricorno-Sagittario, in linea con
questa chiave interpretativa, non può che segnare il giorno in cui avviene il cambio di
segno nell’anno, e quindi il 22 dicembre. Pantaleone avrebbe quindi voluto indicare
una data, ma relativa a quale evento? La soluzione è nel cervo raffigurato
immediatamente dopo, l’animale appare ferito alla testa da una freccia o una lancia.
Il simbolo del cervo è associato, in diverse raffigurazioni, a un Santo vissuto
intorno alla seconda metà dell’anno 600: Sant’Hubert, ovvero sant’Uberto.
La leggenda narra che, Uberto, abile cavaliere e cacciatore, durante una battuta di
caccia, vide un cervo che recava una croce tra le corna.
L’assonanza del nome di Sant’Hubert, raffigurato da un cervo, con Dagoberto, e il
fatto che questi sia stato ucciso come il cervo, colpito da una freccia mentre andava
a caccia, e che la sua morte si sospetti sia stata voluta o comunque favorita dagli
ambienti ecclesiastici, il richiamo al giorno della sua morte avvenuta il 22 dicembre,
dicembre, sono richiami significativi e non casuali.
Al cervo segue la Sirena; e siccome il termine pesce in ebraico è dawg, e se si
unisce Hubert si ottiene Dagoberto. Di questi si dice che ebbe un figlio di nome
Sigiberto, che sopravvisse all’agguato facendo perdere per sempre le sue tracce. Il
cervo nel mosaico, si volta indietro, e mostra l’azione di “guardare indietro”, che
in ebraico si indicata con il termine seeg, da cui il nome che si ottiene ancora una
volta associandolo con Hubert: seeg Hubert, Sigiberto.
Mosaico di Otranto, particolare, Pantaleone e l’Unicorno
Analizzando l’ultimo cerchio del secondo livello che contiene il frate e l’unicorno,
il termine corno in ebraico è keh’-ren, che è anche l’etimologia del termine corona;
l’unicorno è inoltre il “nato da vergine”, e rappresenta il Gesù del Vangelo di
Verità, ma con la presenza del solo corno e con il legame a Dagoberto già
esaminato, aggiunge a questa funzione un’altra: esso rappresenta la regalità
dell’ultimo dei Merovingi di fronte al quale si inchina il frate Pantaleone
raffigurato in ginocchio di fronte alla fantastica bestia.
Il cerchio contiene tutti intorno ventisei cerchi, e lascia un vuoto per il
ventisettesimo, che è invece traslato all’interno del cerchio ed e circondato da una
strana stella a quattro punte, distribuite secondo i punti cardinali, e una quinta posta
tra la punta superiore e quella di destra. Percorrendo ventisei volte il cerchio
maggiore che racchiude l’unicorno, tante volte quanti sono i cerchietti, si ottiene
26x26 = 676 , l’anno in cui Dagoberto tonò al potere.
La stella con le tre punte asimmetriche in evidenza potrebbe rappresentare i tre anni
della durata del suo regno fino alla sua morte.
Probabilmente Pantaleone volle anche indicare il nome del mandante dell’omicidio.
Per leggerlo, ancora una volta, bisogna procedere traducendo in ebraico i simboli
dall’alto verso il basso nel secondo livello.
Partendo da Salomone che rappresenta Melchisedec, precursore di Gesù che, a sua
volta, sarebbe il padre della stirpe dei Merovingi.
Mosaico di Otranto, particolare, il presbiterio
dromedario
elefante indiano
lince
leviatano
La prima riga rappresenterebbe, il Padre, la paternità che Salomone-Melchisedec
sintetizza in sé. Egli è “padre”, che in ebraico è ab. Subito sotto nella seconda riga
compare il Sagittario, l’essere metà uomo e metà cavallo: metà in ebraico è gav.
Infine più in basso è visibile il drago Leviathan: drago in ebraico è tan. Leggendoli
in maniera consequenziale si ottiene il termine Ab-gav-tan, la cui somma da
origine ad Agatone, nome di colui che occupò il trono pontificio, proprio nell’anno
in cui morì Dagoberto, che divenne santo, nonostante fosse stato avversato dal
papato di allora, a lui si deve l’introduzione del culto della Madonna Nera che,
anche nel mosaico, ha riferimenti fin troppo espliciti con la Maddalena-Regina di
Saba.
Mosaico di Otranto, particolare, il sagittario
Mosaico di Otranto, particolare, dei mesi dell’anno
Il mosaico alluderebbe a un legame tra la gnosi e la stirpe Merovingia, tale elemento
avrebbe determinato la rottura con il papato.
E’ possibile che Dagoberto avesse introdotto il culto della Madonna nera, giocando
sull’ambiguità Maddalena-Maria madre di Gesù, e sulla stessa ambiguità giocò
Pantaleone con la sua rappresentazione della Sirena.
La diffusione del pensiero gnostico
Per l’interpretazione della terzo livello è necessario soffermarsi su due simboli, che
indicano esplicitamente due delle principali direttrici della diffusione del pensiero
gnostico.
Il dromedario presente nel primo cerchio della terza riga, è spesso indicato come
simbolo delle terre d’Egitto; in quanto prese, il posto del cammello arabo per gli
spostamenti nel deserto africano. Su tale territorio si ebbe una grande diffusione del
pensiero gnostico, dato il movimento culturale che fiorì intorno alle biblioteche di
Alessandria, e che caratterizzò la nascita delle principali eresie gnostiche.
L’altro animale legato a una precisa collocazione geografica è l’elefante indiano
visibile nel terzo cerchio della seconda riga; l’India fu meta del viaggio di
Tommaso, autore dell'omonimo Vangelo gnostico, le cui esperienze in questa terra
furono narrate in un altro testo di chiara ispirazione gnostica: gli Atti di Tommaso.
Questa fu un’altra grande direttrice del pensiero gnostico, più naturale, per le
affinità tra lo gnosticismo e le filosofie orientali (induismo e buddismo in
particolare), ma anche la meno fortunata visto lo scarso seguito che ebbe rispetto
alla corrente gnostica che nacque nelle terre dell’ex Impero Romano. Il più
resistente dei filoni gnostici, che è stato anche il più difficile da sradicare, fu
sicuramente quello medio-orientale, che faceva capo ai territori che coincidono
con l’attuale Grecia fino alla Turchia.
Il simbolo tipico di queste terre può essere sicuramente la lince, diffusa, al tempo,
nelle foreste europee e nei territori mediorientali.
L’animale, quarto simbolo della terza riga della Corona, viene raffigurato mentre
schiaccia una volpe, che rappresenta l’invidia nei bestiari medievali.
Probabilmente Pantaleone si riferiva all’invidia per le conoscenze e l’evoluzione
teologica di quella complessa filosofia che riusciva a produrre opere per altri
oscure come lo stesso mosaico. Purtroppo quell’invidia scatenò una reazione
violenta e durissima contro l’eresia gnostica, che non fu mai del tutto domata,
poiché trasformò la sua intelligenza in furbizia volpina.
Ne deriva un possibile significato per la volpe-furbizia schiacciata dall’invidia-
lonza, ma chiaramente non vinta.
Non a caso la raffigurazione si trova subito sotto quella del monaco, che pare voler
indicare la furbizia di correnti gnostiche come la sua, che trovarono riparo
all’interno di monasteri quali l’abbazia di Casole, in cui poterono attingere ai libri
proibiti che venivano sottratti alla cultura mondiale dalle persecuzioni delle eresie.
Non è difficile intuire una connessione tra il mostro Leviathan secondo simbolo
della terza riga, e la Sirena-Drago alla base della leggenda dei Merovingi: il
mostro, potrebbe quindi essere un ulteriore rimando a suddetta leggenda.
Inoltre il drago assume, nel mosaico, una particolare forma a cerchio che richiama
un’antica leggenda in cui sarebbe stato coinvolto anche un’altra figura
rappresentata nel mosaico: Alessandro Magno.
Tale racconto narra che questi, spinto da arroganza e desiderio di conquista del
sapere, oltre che dei territori, costruì un carro a cui legò due grifoni cosicché
potesse arrivare in cielo e svelare il mistero che in esso si celava e che dall’alto
vide sotto di sé il mare a forma di serpente arrotolato che tra le sue spire aveva un
disco: la Terra.
Dunque non solo la raffigurazione di Alessandro Magno rappresentato a cavallo di
due grifoni, richiamati anche dalla scritta GRIS e posta sopra l’antilope, rimanda
esplicitamente alla leggenda, ma anche quella di Leviathan, che invece è emblema
del mare. Ed è proprio tale via che fu intrapresa dalla Maddalena per giungere in
Francia, tanto che il simbolo, drago-serpente, il mostro marino, la Maddalena e
Mervee, divengono tutt’uno, finendo per rappresentare allo stesso tempo la Francia
e la legittima discendenza al trono: quella dei Merovingi.
La sintesi del pensiero gnostico
Nell’ultima livello Pantaleone tentò una sintesi del pensiero gnostico, cercando di
identificarne i simboli che maggiormente rappresentano l’obiettivo e l’ambizione di
tale filosofia. Ne deriva il motivo della raffigurazione di Adamo ed Eva, e della
divisione da loro generata dell’uomo in se stesso. Il loro peccato di arroganza li
aveva spinti a cibarsi del frutto dell’albero sbagliato, quello del Bene e del Male, e
non di quello della Conoscenza. Con quella scissione in sé l’uomo divenne incapace
di riconoscere la sua componente femminile, e la donna incapace di riconoscere la
quella maschile.
Una donna, Eva, aveva generato quell’errore, spinta dalla curiosità di pervenire alla
Mosaico di Otranto, particolare: Il peccato Originale
conoscenza senza sforzo nella ricerca e nella comprensione.
Una donna, la Maddalena, riuscì a comprendere il senso recondito delle parole di
Gesù, strumento principe della gnosi, e mette a disposizione dell’uomo la chiave
reale del suo insegnamento, che consente il superamento delle divisioni interne
attraverso la ricerca faticosa e impegnativa della verità.
Nel quarto livello Adamo ed Eva sono rappresentati ai due lati della punta
dell’albero, ma due rami di quell’albero che rappresentano la via dell’unione e il
tronco della cabala li tengono ancora uniti. Con quella violazione Eva assunse su di
sé la componente della potenza sessuale e riproduttiva, quella che dà la vita
all’uomo, ma anche al pensiero in forma di intuizione.
Questa componente è raffigurata alla sinistra di Eva con un toro. La stessa
componente è, se si vuole, la sintesi del ramo opposto alla posizione di Eva nella
cabala raffigurata nel mosaico: il ramo destro con le foglie della Sapienza-Intuizione,
dell'Amore, e della Forza. Adamo, invece, mantenne la componente dell'Intelligenza,
della Costanza e della Fedeltà, raffigurate nel mosaico con il cane alla sua destra.
Egli racchiude in sé le componenti rappresentate nel ramo opposto della cabala del
mosaico con le foglie dell'Intelligenza, della Potenza, e dello Splendore.
Interpretazioni
Il primo livello traccerebbe il filo sottile che da Melchisedec o Salomone e
arriverebbe fino alla nascita di Gesù, seguendo la tesi di Celso e l’eresia gnostica di
Basilide, che lo volevano figlio del soldato romano Pandera. Proseguendo, fino
all’identificazione della funzione della Maddalena, cuore stesso dell’eresia
gnostica, e alla leggenda che vuole la fuga in Francia e la fondazione della stirpe
Merovingia, identificabile nella Sirena, fino all’adozione del culto della Regina
Nera o Madonna Nera promossa dall’ultimo dei Merovingi, Dagoberto.
Il secondo livello indicherebbe la fine della stirpe, indicando il giorno di morte di
Dagoberto, con la coppia Antilope-Capricorno e Sagittario, le circostanze e
modalità della morte nella battuta di caccia e la ferita alla testa a mezzo di una
lancia e l’anno della morte i ventisei cerchi del simbolo dell’unicorno e la stella
indicano che indicano il 679, il nome di del re stesso dawg che vuol dire pesce
aggiunto a Sant’Hubert, col significato di “cervo”, a cui si aggiunge il nome sia del
leggendario figlio sopravvissuto seeg, cioè “che si gira indietro” che insieme a
Sant’Hubert, da origine a Sigiberto, e anche al nome di colui che ordinò l’omicidio,
ovvero papa Agatone, nome derivato dalla somma di ab-gav-tan.
Il terzo livello segnerebbe i percorsi principali lungo i quali si diffuse il pensiero
gnostico: Egitto, Francia, India e Medio Oriente.
Il quarto livello sintetizzerebbe l’obiettivo primo della gnosi: il superamento della
divisione e la possibilità da parte degli Eoni alla ricongiunzione con il Padre.
La via per il superamento di quella scissione consiste nella meditazione sulla
separazione delle diverse componenti della propria personalità alla ricerca di quelle
perdute nell’altro sesso, sintetizzate nella foglie della cabala, fino all’inizio di quel
percorso di evoluzione meditativa che porta i prescelti Eoni al ricongiungimento
con il Padre.
In tale percorso, la donna Eva guidò l’uomo verso l’albero errato, quello del Bene e
del Male. La donna Maria Maddalena riportò l’uomo all’albero giusto, il Gesù-
Logos che fa da tronco e unione dei rami opposti dell’albero del Bene e del Male,
generando la nuova stirpe; a tale significato si aggiunge quello storico che da
sempre la gnosi le attribuisce.
Pantaleone avrebbe mescolato i principi base della gnosi alle leggende sull’origine
della stirpe dei Merovingi, maturate nel periodo medievale in filoni di chiara origine
gnostica, e tutte contenute in una mirabile enciclopedia che è il mosaico di Otranto.
L’ultima leggenda legata al mosaico dalla tradizione, cioè quella del Graal, è
rintracciabile nella terza parte dell’opera, alla base all’albero senza radici che forma,
con i primi rami arcuati la forma di coppa, ovvero del Graal, ai quali si affiancano
due elefanti. Tali animali, oltre che essere simbolo della sovranità e del potere
reale, assumono una funzione particolare se si tiene conto delle leggende di
quell’epoca.
“Chi ha insegnato all'elefante ad amare ininterrottamente la castità? Quando però,
costretto dal comando della natura, si è unito sessualmente, volgendo indietro il
capo come se non volesse e se ne fosse nauseato, non appena la femmina si
ingravida esso non torna più ad accoppiarsi. Quanto a lei, come quella che,
tremebonda, paventa le insidie mortali del drago, non partorisce in un luogo
diverso dall'acqua purché questa arrivi fino alle mammelle. Poiché se essa
partorisce fuori dell'acqua, il drago assale all'improvviso il suo piccolo nell'intento
di divorarlo”. (Patrologia latina 145, 783 d.C.).
Mosaico di Otranto, particolare, gli elefanti
I due elefanti presenti nella parte inferiore del mosaico e raffigurati con due cerchi
diversi, l’uno pieno e l’altro vuoto, sono chiaramente un maschio ed una femmina
ripresi nell’atto dell’accoppiamento. La loro unione forma la coppa del Graal che è
il grembo in cui nascerà la stirpe regale legata allo stesso Gesù, albero e tronco della
cabala. Non si può non notare che la leggenda dell’accoppiamento casto degli
elefanti è legata a quella del drago. L’elefante femmina si nasconde nell’acqua per
sfuggire al drago così come la Maddalena prese la via del mare e giunse in Francia.
Indipendentemente dall’attendibilità di queste leggende, il mosaico raffigura
insieme, in uno schema unico compatto e cronologicamente coerente, leggende che
appaiono altrimenti slegate e indipendenti.
Non è da sottovalutate che, alla luce di quanto analizzato, si fa coincidere la nascita
dell’ordine dei cavalieri Templari, nel 1118, e che Pantaleone potesse essere uno
degli esponenti, presenti ma nascosti tra i componenti degli ordini ecclesiastici, e che
l’opera possa essere stata uno dei tanti camuffamenti della corrente gnostica.
Visto che erano trascorsi circa Cinquecento anni dalla morte di Dagoberto, la
passione che Pantaleone mostra per la leggenda Merovingia, il fatto che in
coincidenza con la composizione del mosaico nasca il più discusso e potente degli
ordini monastico-cavallereschi, quale quello dei Templari), il fatto che proprio da
Otranto partissero le navi che portavano i cavalieri crociati alla conquista della Terra
Santa, non può non far sorger l’idea che tutti questi fatti fossero tra loro connessi.
La complessa formazione del pensiero, e una coerente costanza di elementi che si
rilevano presenti non solo nell’architettura del mosaico, ma anche in costruzioni ben
più lontane, come le cattedrali di Santiago de Compostela, di Metz e di Chartres,
non sono verosimilmente dovute a una coincidenza, bensì alla presenza di un
coordinamento spinto e nascosto di entità diverse. Ciò richiama alcune teorie
sull’antica formazione della massoneria, che si vuole nata dalla congrega dei
“maestri muratori”, architetti e artisti che presero parte alla costruzione delle chiese
di tutta Europa, introducendo simboli dal significato criptico.
Non è da sottovalutate che, alla luce di quanto analizzato, si fa coincidere la nascita
dell’ordine dei cavalieri Templari, nel 1118, e che Pantaleone potesse essere uno
degli esponenti, presenti ma nascosti tra i componenti degli ordini ecclesiastici, e che
l’opera possa essere stata uno dei tanti camuffamenti della corrente gnostica.
Visto che erano trascorsi circa Cinquecento anni dalla morte di Dagoberto, la
passione che Pantaleone mostra per la leggenda Merovingia, il fatto che in
coincidenza con la composizione del mosaico nasca il più discusso e potente degli
ordini monastico-cavallereschi, quale quello dei Templari), il fatto che proprio da
Otranto partissero le navi che portavano i cavalieri crociati alla conquista della Terra
Santa, non può non far sorger l’idea che tutti questi fatti fossero tra loro connessi.
Secondo alcune interpretazioni, la parte bassa dell’Albero della Vita, sarebbe la
rappresentazione del monoteismo e del politeismo.
Nella figura con quattro corpi monocefala sarebbe emblema del monoteismo
cattolico; lo scacchiere dell’essere è segno del monoteismo islamico e l’animale
androcefalo invece alluderebbe al monoteismo egiziano.
I due atleti armati di bastone, di scudo e calzari, si legherebbero alla parola di Dio,
alla fede e alla carità, armi che il cristiano usa per combattere i nemici della Fede.
Il politeismo di origine ellenica e vichinga è identificabile nello spazio dedicato ad
Alessandro Magno.
La Concludono la raffigurazione i due cavalieri con l’olifante che richiamano
quello del Paladino Orlando che sacrificò la propria vita a Roncisvalle.
Secondo un’altra ipotesi il significato dei due elefanti indiani che sostengono
l’Albero della Vita, sarebbe il riferimento alla fiaba di Barlaam e Iosafat o
Josaphat, anticamente venerati come santi cristiani, protagonisti di un romanzo
popolare nel medioevo, ispirato alla vicende della conversione di Budda.
Il racconto, giunse in Occidente nell’XI secolo ed attribuito ad Giovanni
Damasceno.
Secondo la narrazione al padre pagano, del principe indiano Iosafat era stata
predetta la conversione del figlio, pertanto il genitore aveva deciso di tenere
lontano il ragazzo dalle miserie del mondo, ciò non evitò che egli prendesse
coscienza della durezza della vita e che venisse convertito dal santo eremita.
Benedetto Antelami, Lunetta del Battistero di Parma, La Leggenda di Barlaam
La storia divenne tanto popolare da essere inclusa nella “Leggenda Aurea”, di
Jacopo da Varagine, tanto da ispirare numerose opere scultoree, come quella
presente in una lunetta del Battistero di Parma di Benedetto Antelami.
Tormando al mosaico della cattedrale di Otranto nella navata destra, si sviluppa
un’ulteriore parte dello stesso in cui fra i rami di un altro Albero, si osservano
figure zoomorfe, mitiche ed umane. Fra quest’ultime compare Atlante che
sembra reggere un sole policromo e un uomo indicato come Samuele.
Nella navata sinistra, un altro Albero allude al Giudizio Universale e divide l’area
in due zone: quella a sinistra relativa al Paradiso e alla Redenzione e quella a
destra all’Inferno e di conseguenza alla Dannazione.
Nella prima parte, relativa al Paradiso si osservano un cervo, i tre Patriarchi
Abramo, Isacco e Giacobbe, che, secondo l’iconografia bizantina, accolgono gli
uomini eletti nel Paradiso; sotto, uomini, piante e animali forse nel giardino
dell'Eden. Nell'area della Inferno o Dannazione, si trovano un angelo che tenendo
la bilancia, sembra giudicare i peccati dei dannati. La Psicostasia era molto
frequente negli affreschi dell’epoca. Sotto di lui, un diavolo con un tridente è
intento ad alimentare la fiamma che riscalda una fornace nella quale viene gettato
un dannato; rivolgendo lo sguardo verso le figure soprastanti, si trovano due
mostri, uno più grande e uno più piccolo, che inghiottono uomini; tre uomini
allineati, che per le cappe bianche che li accomunano, potrebbero essere
Eresiarchi, che vengono avvinghiati da serpente lo stesso destino è riservato ad
una donna nuda, additata da un altro dannato gettato fra le fiamme.
Al loro fianco, una figura umana gigantesca, forse Caronte, mentre su tutti trionfa
Satana che accoglie un dannato.