hermes - aracneeditrice.it · l’indirizzo di pensiero denominato “riabilitazione”, o...

22
Hermes Saggi di Estetica ed Etica Hermes è il dio del movimento, del passaggio, dell’inventi- va; gioca con le cose, con gli altri, con se stesso, facendo emergere le potenzialità degli enti, costruendo ciò che prima non era al mondo. L’essere è offerta continua e sfida all’intelligenza: esige, per essere compresa, che si comprendano o si instaurino rela- zioni tra gli individui e tra i generi. Come dio della relazione e dell’invenzione, Hermes è guida dell’interprete e del ricerca- tore che non accetta divisioni di campi e di scopi: rispetta ciò che è, ma sa che rispetto significa oltrepassamento del dato puro e semplice. Questa collana vuole ispirarsi a Hermes proprio in quanto intende accogliere lavori che istituiscano rapporti o riscopra- no l’unità fra temi del sapere diversi, che tentino nuove pro- spettive di indagine, che offrano al lettore strumenti fonda- mentali per l’esercizio del sapere e del pensiero.

Upload: hoangduong

Post on 16-Feb-2019

215 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

HermesSaggi di Estetica ed Etica

Hermes è il dio del movimento, del passaggio, dell’inventi-va; gioca con le cose, con gli altri, con se stesso, facendoemergere le potenzialità degli enti, costruendo ciò che primanon era al mondo.

L’essere è offerta continua e sfida all’intelligenza: esige,per essere compresa, che si comprendano o si instaurino rela-zioni tra gli individui e tra i generi. Come dio della relazionee dell’invenzione, Hermes è guida dell’interprete e del ricerca-tore che non accetta divisioni di campi e di scopi: rispetta ciòche è, ma sa che rispetto significa oltrepassamento del datopuro e semplice.

Questa collana vuole ispirarsi a Hermes proprio in quantointende accogliere lavori che istituiscano rapporti o riscopra-no l’unità fra temi del sapere diversi, che tentino nuove pro-spettive di indagine, che offrano al lettore strumenti fonda-mentali per l’esercizio del sapere e del pensiero.

Un ringraziamento particolare ad Alessia Liguori e Chiara Panetta, per il loro pre-zioso contributo alla revisione finale del testo.

ARACNE

La responsabilitàontologica

L’uomo e il mondonell’etica di Hans Jonas

Paolo Nepi

Copyright © MMVIIIARACNE editrice S.r.l.

[email protected]

via Raffaele Garofalo, 133 A/B00173 Roma

(06) 93781065

ISBN 978–88–548–2201–6

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: novembre 2008

A Marisa, nel XXX° anniversario

del nostro Sì

Introduzione

8

9

INDICE

Introduzione ...................................................................... 11

Capitolo I Tra Heidegger e Bultmann: gli anni della formazione

1.1 Dal Ginnasio all’Università ........................................ 23 1.2 L’incontro con Heidegger ........................................... 27 1.3 Bultmann e il paradigma della Gnosi ......................... 33 1.4 La struttura ermeneutica delle verità religiose ............ 37

Capitolo II Ebraismo e filosofia:

è possibile «pensare dopo Auschwitz»?

2.1 Il senso del mondo e del tempo nell’ebraismo ........... 47 2.2 Ebraismo e Gnosi ...................................................... 55 2.3 Dio e il mondo: il “mito” della creazione ................... 57

Capitolo III Biologia e ontologia

3.1 Hans Jonas e la filosofia contemporanea .................... 71 3.2 Dallo studio della Gnosi alla biologia ........................ 76 3.3 Antichi e moderni: le origini del dualismo ................. 87

Indice

10

Capitolo IV La nozione di responsabilità da Weber a Jonas

4.1 La Modernità in Weber e Jonas ................................. 97 4.2 Convinzione e responsabilità ...................................... 105

Capitolo V Etica della «convinzione», etica della «responsabilità» 5.1 “Pro” e “contro” la metafisica .................................... 114 5.2 Da Max Weber a Hans Jonas ...................................... 122 5.3 Può l’etica presentarsi come “filosofia prima”? ........ 131

Capitolo VI Dopo Kant, che ne è della teologia speculativa?

6.1 Jonas e la teodicea ...................................................... 143 6.2 Libertà e trascendenza ................................................ 147 6.3 Evoluzione e creazione ............................................... 149

11

INTRODUZIONE L’indirizzo di pensiero denominato “riabilitazione”, o “rina-

scita”, della filosofia pratica, è ormai universalmente ricono-sciuto come uno dei più interessanti capitoli della filosofia del Novecento1. La filosofia pratica, di antica matrice aristotelica, che comprende anche questioni di carattere giuridico e politico, è stata, nella seconda metà del secolo scorso, non solo una delle voci più significative del panorama filosofico, ma anche quella prospettiva con cui altri indirizzi di pensiero, basti pensare alla filosofia analitica, si sono misurati trovandovi le motivazioni per un ampliamento del proprio bagaglio teorico. Nel presente lavoro ci si occuperà soprattutto di Hans Jonas (1903–1993), uno dei pensatori la cui opera è riconducibile, pur con le sue specificità, al movimento della “riabilitazione della filosofia pratica”.

Molti sono stati i motivi della “rinascita” della filosofia pra-tica. Il più importante è legato alle vicende politiche che con-dussero, per quanto riguarda l’Europa, alla grande tragedia della seconda guerra mondiale. In seguito a tali eventi si è sviluppata un’ampia e profonda riflessione sul potere e i suoi limiti, che ha rimesso in discussione il principio introdotto da Machiavelli circa la distinzione tra etica e politica2. Si tratta di una distinzio-

1 L’espressione «riabilitazione della filosofia pratica» è stata coniata da Karl–Heinz Ilting. Cfr. K.–H. ILTING, Hobbes und die praktische der Neuzeit, in «Philosophisches Jahrbuch», 72 (1964), pp. 84–102. Ripresa da Manfred Riedel, è da allora diventata un universale criterio teorico e storiografico di classificazione. Cfr. M. RIEDEL (a cura di), Rehabilitierung der praktischen Philosophie, vol. I, Rombach, Freiburg im Breisgau 1972 (nel 1974 è uscito il vol. II). In relazione alla immediata ricezione avvenuta in Ita-lia cfr. F. VOLPI, La rinascita della filosofia pratica in Germania, in C. PACCHIANI (a cura di), Filosofia pratica e scienza politica, Francisci, Abano 1980, pp. 11–97.

2 Sulla questione del potere, sui suoi eccessi e quindi sulla necessità di porre dei li-miti al suo esercizio, si è sviluppato un ampio dibattito negli anni immediatamente suc-cessivi alla seconda guerra mondiale. Cfr.: G. RITTER, Die Dämonie der Macht. Betra-chtungen über Geschichte und Wesen des Machtproblems im politischen Denken der Neuzeit, von R. Oldenbourg Verlag, München 1947; tr. it., Il volto demoniaco del pote-re, il Mulino, Bologna 19682; R. GUARDINI, Die Macht. Versuch einer Wegweisung, Werkbund Verlag, Würzburg 1951; tr. it. di M. Paronetto Valier, Il potere, Morcelliana, Brescia 1954.

Introduzione

12

ne che ha qualche elemento di legittimità, dal momento che la razionalità politica ammette talvolta, per quanto riguarda l’uomo di Stato, azioni che sono vietate al privato cittadino nei suoi rapporti interpersonali. Camillo Benso, conte di Cavour, per giustificare l’autonomia della politica dalla morale, era soli-to dire che qualora, per fini strettamente privati, avesse compiu-to anche solo una minima parte di ciò che aveva fatto per realiz-zare l’Unità d’Italia, avrebbe meritato di essere considerato co-me il peggiore dei malfattori. Il teorema di Machiavelli circa la distinzione tra politica e morale, nel corso della modernità, si è incontrato però con la teoria della Ragion di Stato elaborata da Giovanni Botero3. E così ha finito per avallare e giustificare, al di là delle intenzioni dello stesso Botero, che nella Ragion di Stato includeva anche la tolleranza e la moderazione, ogni for-ma di dispotismo e di autocrazia, fino alle più feroci aberrazioni delle dittature e dei totalitarismi.

La vicenda dei totalitarismi del Novecento, e soprattutto il dramma ineguagliabile dell’Olocausto, hanno dunque dramma-ticamente fatto sperimentare, nei suoi esiti più catastrofici, la divisione tra etica e politica. In questo contesto Hannah Arendt proporrà di ripartire dall’esperienza greca della polis, nella qua-le etica e politica, come dice Aristotele nell’Etica a Nicomaco, si occupano ambedue dell’agire dell’uomo giusto perché si pos-sa dar vita ad una società giusta. Sta di fatto, come afferma la Arendt, che non l’Uomo (al singolare) ma gli uomini (al plura-le) vivono sulla terra e abitano il mondo. In questo consiste ap-punto la politica.

Il confronto tra etica e politica, negli ultimi decenni, si è concentrato sui temi della giustizia sociale, della regolazione delle leggi dell’economia di mercato, della gestione delle infor-mazioni e della rete. Sono state però soprattutto la genetica e la medicina a porre sul tappeto problemi e interrogativi un tempo estranei alla speculazione filosofica, aprendo per quest’ultima nuovi campi di indagine quali la biopolitica e il biodiritto. Il

3 Cfr. G. BOTERO, Della Ragione di Stato, a cura di Ch. Continisio, Donzelli,

Roma 1997.

Introduzione

13

nuovo interrogativo emerso in questo contesto potrebbe essere così formulato: la scienza e il potere trovano dei limiti nella ca-tegoria di vita e in quella di natura umana? Ovviamente l’inter-rogativo presuppone, in relazione agli sviluppi delle scienze e delle biotecnologie, una rinnovata riflessione sulla nozione di vita e su quella di natura umana4.

La filosofia è stata costretta così a ripensare ad alcune tradi-zionali categorie etiche come quelle di bene e di male, sulle quali le anticipazioni nichilistiche di Nietzsche avevano, per un certo tempo, esercitato il fascino del loro interdetto.

Le sfide morali che ci troviamo ad affrontare nel campo della bioetica sono molto diverse da quelle che si sono presentate agli Stati Uniti e al mondo dopo l’11 settembre. Nel caso del terrorismo, così come della schiavitù o del totalitarismo, è facile identificare il male: la sfida con-siste nel capire il modo migliore per combatterlo. Ma nell’ambito del-la bioetica i mali da affrontare sono strettamente intrecciati con i bene-fici cui tanto ardentemente aspiriamo: curare le malattie, lenire le sof-ferenze, proteggere la vita. In questo caso distinguere il bene dal male è spesso assai difficile5. «Manipolare la vita e la natura dell’uomo». Questa possibili-

tà dischiude aspettative e interrogativi inediti. Qualcuno ci vede addirittura la possibilità di superare i limiti ontologici dell’essere umano, così come li ha riconosciuti e determinati la nostra civiltà. Il Principio speranza di Ernst Bloch, che Jonas critica a causa della sua unificazione tra ideale utopico e idea di progresso tecnologico incondizionato, si sostanzia appunto della

4 Cfr. J. HABERMAS, Die Zukunft der menschlichen Natur. Auf dem Weg zu einer liberalen Eugeneik?, Suhrkamp, Frankfurt am Main 2001; tr. it. di L. Ceppa, Il futuro della natura umana. I rischi di una genetica liberale, Einaudi, Torino 2002. Si veda i-noltre V. POSSENTI (a cura di), Natura umana, evoluzione et etica, Annuario di filoso-fia 2007, Guerini, Milano 2007.

5 L.R. KASS, Life, Liberty and the Defense of Dignity. The Challenge for Bioetics (2002), Encounter Books, San Francisco 2002; tr. it. di S. COLOMBO, La sfida della bioetica. La vita, la libertà e la difesa della dignità umana, Lindau, Torino 2007, p. 10. Sulla presenza del male nella storia si è sviluppata, nella seconda metà del Novecento, un’ampia riflessione. Cfr.: R. GATTI (a cura di), Il male politico. La riflessione sul to-talitarismo nella filosofia del Novecento, Città Nuova, Roma 2000; Id., Il chiaroscuro del mondo. Il problema del male tra moderno e post–moderno, Edizioni Studium, Roma 2002.

Introduzione

14

speranza nell’homo novus, ontologicamente un “noch–nicht–Sein” (“non–essere–ancora”)6. L’uomo nuovo, nell’utopia blo-chiana, deve ancora venire, e rispetto ad esso l’uomo attuale, essere “in–autentico”, risulterà una miserevole approssimazio-ne. Rispetto a questo spostamento in avanti, Jonas rivendica in-vece la positività dell’uomo esistente:

Qui è insito l’errore fondamentale dell’intera ontologia del non–es-sere–ancora e del primato della speranza che vi è legato. A suscitare in noi un senso di dovere è la semplice verità, né esaltante né sconfortan-te, che “l’uomo autentico” è già sempre esistito con tutti i suoi estre-mi, nella grandezza e nella meschinità, nella felicità e nel tormento, nell’innocenza e nella colpa; in breve, in tutta l’ambiguità che gli è connaturata. Volerla eliminare significa voler eliminare l’uomo e la sua incommensurabile libertà7. Nella possibilità di manipolare l’umano alcuni hanno visto il

pericolo dell’“abolizione dell’uomo” e dell’ingresso in una so-cietà post–umana, in cui le basi umanistiche della civiltà saran-no sostituite dal primato dell’essere cibernetico, metà uomo e metà macchina e, in un certo senso, né uomo né macchina8.

La civiltà moderna è nata e si è sviluppata attraverso mera-vigliose scoperte e sbalorditive applicazioni pratiche, confron-tandosi soprattutto con la questione degli oggetti della natura fisica. Molti ritengono, tuttavia, che oggi il problema principa-le non sia più la natura fisica ma la natura umana, ovvero che le principali questioni della scienza investano non solo le cose ma soprattutto le persone.

6 Cfr. E. BLOCH, Das Prinzip Hoffnung, 3 voll., Aufbau Verlag, Berlin 1954–’59;

2 voll., Suhrkamp, Frankfurt am Main 1959; tr. it. di E. De Angelis e T. Cavallo, Il principio speranza, Garzanti, Milano 20052.

7 H. JONAS, Das Prinzip Verantwortung. Versuch einer Ethik für die technolo-gische Zivilisation, Insel Verlag, Frankfurt am Main 1979; tr. it. di P. Rinaudo, Il prin-cipio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, introduzione di P.P. Portinaro, Einaudi, Torino 1990, p. 278.

8 Cfr. C.S. LEWIS, The Abolition of Man (1943), Harper, San Francisco 2001; tr. it., L’abolizione dell’uomo, Jaca Book, Milano 1979. Si veda anche G. ANDERS, Die Antiquiertheit des Menschen (1956); tr. it. di M.A. Mori, L’uomo è antiquato, 2 voll., Bollati Boringhieri, Torino 20072.

Introduzione

15

Il giorno in cui gli adulti potessero considerare come producibile e modellabile il corredo genetico dei loro figli, e dunque progettarne a piacimento un “design” accettabile, essi verrebbero con ciò stesso a esercitare, sui loro prodotti geneticamente manipolati, un potere di di-sposizione che ― penetrando nelle basi somatiche dell’autoriferi-mento spontaneo e della libertà etica di un’altra persona ― era finora sembrato essere lecitamente esercitato soltanto sulle cose e non sulle persone9. Ovviamente anche la natura fisica, a causa degli enormi pro-

blemi ambientali, è tuttora una questione aperta per la responsa-bilità etica e politica dell’uomo contemporaneo. La natura uma-na pone però, in aggiunta, la questione della vita e degli organi-smi viventi. Ci si chiede sempre più spesso e in modo sempre più angosciato: si può utilizzare e sfruttare la vita come una qualsiasi altra materia prima?

Concetti tradizionali come quello di dignità umana, che al tempo di Kant erano sufficienti per stabilire la differenza tra una persona e una cosa, hanno dunque bisogno di essere ricompresi alla luce delle possibilità che le biotecnologie hanno conseguito, e stanno giorno per giorno acquisendo ad un velocità crescente, nel campo della riproducibilità e della metamorfosi della strut-tura genetica dell’uomo. Al tempo di Kant la persona andava protetta quasi esclusivamente dal rischio dell’invadenza del po-tere politico, mentre nella vita privata era sufficiente ricorrere al principio del rispetto reciproco. Per questo Kant poteva limitarsi a definire la forma dell’agire moralmente giusto. La morale kantiana, infatti, non ci dice “che cosa dobbiamo fare”, ma ci indica “come dobbiamo agire” per essere persone libere che ri-spettano la libertà altrui. La morale kantiana si fonda dunque sulla reciprocità e simmetria di soggetti in grado di esprimere, ciascuno nella sua individuale autonomia, la libertà e la respon-sabilità del proprio agire. Essa può riassumersi nella regola au-rea della moralità, che diciotto secoli prima di Cristo aveva tro-vato una formulazione nel Codice di Hammurabi: «non fare agli altri ciò che non vorresti che fosse fatto a te stesso». Oggi i pro-

9 J. HABERMAS, Il futuro della natura umana, cit., p. 16.

Introduzione

16

blemi posti dalle biotecnologie, correlati alle imprevedibili con-seguenze a lungo termine e al processo cumulativo dei loro ef-fetti, invitano a trasformare l’antico precetto in uno nuovo, non più di carattere puramente formale ma intrinsecamente connes-so alla sostanzialità della natura umana: «non fare, senza preoc-cuparti delle conseguenze, ciò che potrebbe trasformare l’identi-tà e l’autenticità della persona umana».

Anche Kant prevedeva, tra l’altro, due eccezioni contenuti-stiche al formalismo, a proposito della schiavitù e della prosti-tuzione. In questi casi la dignità della persona costituisce un be-ne in se stesso, e come tale non ha alcun bisogno di essere sot-toposto al criterio di universalizzabilità per essere adeguatamen-te riconosciuto e compreso. Oggi la dignità della persona, se-condo la prospettiva che va sotto il nome di “sacralità della vi-ta” ― ma sarebbe opportuno non confessionalizzare la questio-ne dicendo semplicemente dignità e autenticità della vita ―, va tutelata rispetto alle nuove sfide poste dalle tecnoscienze. Oltre alle due “eccezioni” kantiane, anche le tecnoscienze, di per sé strumenti positivi sia dal punto di vista cognitivo sia dal punto di vista delle realizzazioni pratiche, possono infatti costi-tuire un attentato alla dignità/autenticità della persona.

La dignità della persona, secondo Kant, si fonda sul fatto che, a differenza delle cose, che sono intercambiabili sul piano mercantile, è un bene inalienabile. La schiavitù e la prostituzio-ne riducono infatti le persone a merci di scambio. Che cosa si-gnifica oggi questo discorso, misurato non solo sulle leggi del mercato, ma esteso al potere delle biotecnologie? Su questo fronte la questione non si pone infatti sul piano esclusivo dello scambio di entità già definite, ma su quello della possibilità di agire direttamente, in modo artificiale e attraverso un atto vo-lontario, sulla natura di una cosa. Qui non si tratta di scambiare oggetti o, cosa moralmente non ammissibile nemmeno nella morale formale di Kant, di sottoporre persone, che hanno un’autonoma sussistenza e consistenza, alla legge della doman-da e dell’offerta. Con le moderne biotecnologie si compie un passo ulteriore, non solo sul piano quantitativo, ma anche e so-prattutto su quello qualitativo. Oggi si ha la possibilità di entra-

Introduzione

17

re proprio nella consistenza strutturale–ontologica della perso-na, determinandone “artificialmente” l’inizio, lo sviluppo e la fine. Ci si deve dunque chiedere: è lecito, oltre che possibile, produrre–riprodurre la persona umana come si produce–ri-produce qualsiasi altra cosa? La persona non richiede un “so-vrappiù” di attenzione e di cura?

Su questo tipo di problemi sono state avanzate varie propo-ste. Una loro, anche sommaria, ricognizione, ci prospetta una pluralità di soluzioni cha vanno dal più radicale utilitarismo, che vede il valore della vita solo in relazione allo standard qualita-tivo che essa è in grado di esercitare, alla più strenua difesa del-la “sacralità della vita”, a prescindere dal grado di qualità che una determinata persona è in grado di esprimere. Tale moltepli-cità di posizioni viene talvolta rappresentata, a torto, come la differenza tra etica laica ed etica religiosa10. In realtà la situa-zione è più complessa ed articolata. Il nostro interesse non è ri-volto tuttavia a ricostruire tale discussione, anche se le proble-matiche che vi sono connesse restano, in ogni caso, sullo sfondo e vengono tenute presenti almeno come orizzonte speculativo.

Le riflessioni seguenti, all’interno del dibattito che ha inve-stito il tema della vita per i motivi sopra accennati, riguardano il contributo di Hans Jonas alla definizione di una responsabilità etica nei confronti della vita. E questo considerando la vita nel suo fondamento ontologico, prima ancora di entrare nel merito della sua qualità, che rappresenta comunque un carattere subor-dinato al concreto esserci di una persona. Il carattere sostanziale della persona, potremmo dire utilizzando nozioni di ascendenza aristotelica ― un aristotelismo che Jonas integra con alcuni principi della “ragion pratica” di Kant ―, viene prima e condi-ziona anche gli aspetti qualitativi e accidentali11.

Il pensiero di Jonas, a differenza di quanto scriveva all’inizio uno dei suoi più autorevoli interpreti, è oggi piuttosto conosciu-

10 Cfr. G. FORNERO, Bioetica cattolica e bioetica laica, Bruno Mondadori, Mila-no 2005.

11 Cfr. E. BERTI, Il “neoaristotelismo” di Hans Jonas, in “Iride”, 6 (1991), pp. 227 ss. Si veda inoltre, dello stesso Berti, La rinascita della filosofia pratica, in ID., A-ristotele nel Novecento, Laterza, Roma–Bari 1992, pp. 186–245.

Introduzione

18

to anche in Italia12. Il presente lavoro non si propone quindi di aggiungere una nuova presentazione generale del suo pensiero, quanto piuttosto di evidenziare, più di quanto non sia già stato fatto finora, il rapporto tra l’etica della responsabilità e i primi studi di Jonas sulla Gnosi. In questo quadro, rispetto al solito e un po’ scontato rapporto tra Hans Jonas e Martin Heidegger, emerge il significativo e determinante rapporto tra Jonas e Ru-dolf Bultmann. Dopo la pubblicazione del poderoso volume di Ricordi, uscito in occasione del decimo anniversario della morte del filosofo dell’etica della responsabilità, su tale rapporto di-sponiamo di informazioni molto più precise e documentate, for-niteci direttamente da uno dei protagonisti13.

L’intento del presente lavoro è soprattutto quello di eviden-ziare, vedendovi una sorta di sigillo delle successive ricerche, il significato autenticamente filosofico, e non solo storico–religioso, della ricostruzione operata da Jonas sulla presenza della Gnosi nel mondo tardo–antico e protocristiano, ovvero nel periodo storico in cui la nuova religione cristiana si stava affer-mando all’interno di un variegato pullulare di sette e movimenti religiosi. All’interno di questo variopinto mondo religioso, se-condo Jonas, la Gnosi riveste una sua particolare identità. Egli interroga la Gnosi alla luce dell’analitica esistenziale di Hei-degger e della teoria della “demitizzazione” di Bultmann, di cui lo stesso Jonas ci fornisce, prima ancora del grande teologo pro-testante, ma in ogni caso sotto la sua guida e la sua ispirazione, la prima formulazione metodologica. Alla luce di queste chiavi interpretative la Gnosi si rivela, a differenza di quanto ritenuto da molti interpreti, un fenomeno religioso dalle forti implica-zioni filosofiche, a causa della visione del mondo sottesa alle sue dottrine e alle sue pratiche più specificamente religiose e cultuali.

Occorre in ogni caso osservare che questa lettura filosofica della Gnosi non avviene a scapito di una rigorosa ricostruzione

12 Cfr. P. BECCHI, Hans Jonas in Italia, in “Ragion Pratica”, VIII, 15 (2000), pp. 149–175.

13 Cfr. H. JONAS, Erinnerungen. Nach Gesprächen mit Rachel Salamander, hrsg. Von Ch. Wiese, Insel Verlag, Frankfurt am Main 2003.

Introduzione

19

storico–filologica. E questo non cambia per il fatto che Jonas non conosceva ancora, all’inizio degli anni Trenta, i testi origi-nali scoperti a Nag Hammadi in Egitto nel 194514. Questi testi hanno arricchito la nostra conoscenza del movimento gnostico, e lo stesso Jonas riconobbe, dopo il ritrovamento di Nag Ham-madi, di aver lavorato su un materiale del tutto insufficiente ri-spetto alle nuove scoperte. Egli ritenne però sempre valida la sua lettura filosofica della Gnosi, alla cui conoscenza aveva contribuito peraltro anche sul piano delle fonti e dei documenti, attraverso lo studio e la ricerca di materiali provenienti dal neo-platonismo, dalla patristica, dal manicheismo del medio–oriente, dai testi mandei dell’Asia Minore.

Vediamo dunque in che cosa consiste la lettura che Jonas ci propone della Gnosi nel mondo tardo–antico e protocristiano. Il suo studio dello gnosticismo

non intendeva essere una ricerca specialistica sulle origini della Gnosi, sul suo sviluppo nei diversi contesti sociali e religioso–culturali nei quali era sorta e sul suo rapporto con l’ebraismo, il cristianesimo, lo zoroastrismo o con la filosofia ellenistica15. Egli si proponeva di coglierne il momento genetico attraver-

so una sorta di precomprensione antropologico–esistenziale, os-sia ricostruendo il modo in cui viene concepito, nella religione gnostica, la presenza dell’uomo nel mondo. Ed è qui, secondo Jonas, che lo studio della Gnosi è interessante e istruttivo anche per noi, perché rivela alcune analogie con la situazione culturale attuale. Tale tesi interpretativa resta valida anche dopo la sco-perta di testi sconosciuti al tempo in cui Jonas elaborava il suo progetto di ricerca sulla Gnosi, e che ci hanno offerto nuove co-noscenze a livello delle fonti e di singoli fenomeni, ma non mu-

14 Alla fine del 1945, a Nag Hammadi nell’Alto Egitto, fu casualmente ritrovata da un gruppo di contadini una giara contenente 52 testi religiosi e filosofici, dei quali fu immediatamente evidente la fondamentale importanza. Si trattava di una vera e propria biblioteca di scritti in lingua copta, utilizzata dai cristiani che vivevano in Egitto. Il cor-pus è composto di 1200 fogli, conservati al Museo Copto del Cairo. Tra di essi, il do-cumento che ha maggiormente suscitato l’interesse degli studiosi, è il Vangelo secondo Tommaso.

15 C. WIESE, Contro la disperazione e l’angoscia di fronte al mondo, cit., p. 284.

Introduzione

20

tano il livello della comprensione esistenziale, e quindi filosofi-ca, del movimento gnostico.

A questo proposito nel pensiero di Jonas potrebbe aprirsi un problema epistemologico, dal momento che la Gnosi è vista nella sua specificità e allo stesso tempo come paradigma genetico di ogni possibile forma di dualismo e di nichilismo. Ci si può chie-dere infatti se si tratti, nel caso della Gnosi analizzata da Jonas con il metodo dell’ermeneutica esistenziale, di “unicità” o “uni-versalità” del paradigma gnostico. Come vedremo nel capitolo dedicato al periodo della sua formazione scientifica e culturale, Jonas ricorrerà alla teoria morfologica di Spengler per trovare ― a suo giudizio ― una via d’uscita da questa apparente aporia.

Ci chiediamo pertanto quale sia stato il risultato di questa lettura, più filosofica che storico–religiosa, operata da Hans Jo-nas sulla presenza della Gnosi nel mondo posto a cavallo tra la civiltà tardo–antica e il periodo protocristiano. Il risultato mi-gliore del lavoro di Jonas mi sembra consistere nella compren-sione del significato teoretico del nichilismo, ossia di quella vi-sione dualistica delle cose che conduce, in ultima istanza, alla svalutazione del mondo in quanto manifestazione dell’apparen-za e del nulla. Nell’atteggiamento gnostico, prima ancora di una credenza in verità dogmatiche e di una fedeltà ad una pratica ri-tuale, vi è, secondo Jonas, la precomprensione dell’assenza di significato della vita e dell’essere dell’uomo nel mondo. Da qui discende una filosofia della rassegnazione e della rinuncia, un atteggiamento di fuga mundi che non può non diventare di-sprezzo delle cose e dell’esistenza. Questa precomprensione priva l’uomo di ogni consapevolezza etica sulla sua responsabi-lità nei confronti del mondo e degli altri uomini.

Abbiamo parlato dell’uomo e del mondo, e del loro dualismo conflittuale. Ogni religione, compresa la Gnosi, introduce però un terzo termine tra l’uomo e il mondo, ossia Dio. Che ne è di Dio nella Gnosi e nella sua sottesa precomprensione nichilistica? Dio non è necessariamente assente dalla comprensione gnostica e ni-chilistica dell’esistenza. Certo, in tutte le forme del nichilismo, Dio è sostanzialmente estraneo al mondo, ed in opposizione ad esso. Per questo il trinomio Dio–uomo–mondo è un plesso triadi-

Introduzione

21

co che, in una prospettiva nichilistica, non può dar vita a nessuna esperienza di collaborazione, dal momento che uno dei termini resta necessariamente fuori dal gioco. In ultima istanza è il mon-do che costituisce l’ostacolo che si frappone fa i due soggetti. A questa strutturale estraneità del mondo né l’uomo né Dio riescono ad opporre una qualche alternativa positiva. È colpa del mondo se l’uomo, anche nel rapporto con Dio, non può trovarsi che in una situazione di carattere conflittuale. L’uomo non può essere con-temporaneamente amico di Dio e del mondo.

Il primo campo di ricerca di Jonas è stato dunque la Gnosi; il secondo lo studio della vita organica, o biologia filosofica; il terzo l’etica della responsabilità, in un mondo contrassegnato dalla tecnologia. Questi sono tre campi di ricerca anche molto diversi, sia dal punto di vista metodologico che contenutistico, ma tenuti assieme da un filo conduttore unitario e fortemente coerente: la convinzione che il mondo, a differenza di quanto avviene nelle varie espressioni del pessimismo nichilistico, non è il nemico dell’uomo, ma il luogo in cui la vita assume il rilie-vo dell’impegno positivo del conoscere e della responsabilità dell’agire. Per questo lo studio della Gnosi, momento peculiare della sua formazione, è da considerare la chiave di lettura di tut-to il percorso intellettuale di Jonas. Il rifiuto del nichilismo gno-stico, considerato come paradigma di ogni forma di nichilismo, la cui ultima raffinata espressione sarebbe l’esistenzialismo di Heidegger, costituisce dunque l’orientamento di fondo di tutta la sua speculazione.

Su questo invincibile ottimismo del pensiero e dell’azione, al termine di una delle esperienze più dolorose che un uomo possa provare nel corso della sua vita, Jonas ci offre una testimonian-za personale particolarmente significativa.

Se prescindo dalla perdita di mia madre ad Auschwitz e da ciò che ogni ebreo porta con sé con l’Olocausto, devo cercare a lungo per tro-vare un elemento tragico nella mia vita e nel mio rapporto con il mon-do. Esso infatti non è mai stato per me, nonostante certamente vi ac-cadano cose terribili, un luogo ostile16.

16 H. JONAS, Erinnerungen, cit., p. 181.

Introduzione

22

23

CAPITOLO I

Tra Heidegger e Bultmann: gli anni della formazione

Hans Jonas è nato a Mönchengladbach nel 1903 ed è morto a

New York nel 1993. Egli ha affrontato gli interrogativi di cui abbiamo fatto cenno nell’introduzione misurandosi con gli e-venti culturali più significativi del ventesimo secolo. Ha com-piuto così un percorso intellettuale e filosofico che, con il passa-re del tempo, sta attirando sulle sue opere un interesse crescente anche in Italia1. Il suo pensiero, ovviamente, trova sia ampi con-sensi che radicali obiezioni. Agli uni sembra aver contribuito al-la “riabilitazione della filosofia pratica”, attraverso la riafferma-zione del necessario fondamento ontologico–metafisico dell’e-tica. Agli altri appare come un patetico nostalgico di antiche vi-sioni del mondo, che il sapere moderno avrebbe ormai confinato nei ricordi di un glorioso, ma in ogni caso non più proponibile, passato2.

Nato in un’agiata famiglia ebrea, dato che il padre, Gustav Jonas, possedeva una fabbrica tessile di piccole dimensioni ma piuttosto florida, egli visse la giovinezza beneficiando di tutte le opportunità che si poteva permettere un rampollo della borghe-sia imprenditoriale renana. La madre, Rosa Horowitz, era figlia di un rabbino. Egli ci racconta tra l’altro di come il padre, di i-dee liberali non solo in politica ma anche nell’educazione dei

1 Si veda l’ampia bibliografia, sia italiana che internazionale, riportata in A. MI-CHELIS, Libertà e responsabilità. La filosofia di Hans Jonas, Città Nuova, Roma 2007, pp. 253–347.

2 Su Jonas e la metafisica cfr. P. BECCHI, L’etica pratica di Jonas può fare a meno della metafisica?, in «Paradigmi», XXII, 66 (2004), pp. 389–405.

Capitolo I

24

figli, non gli impedì di dedicarsi agli studi, da lui preferiti al-l’attività imprenditoriale. Nella maggior parte dei casi, in effetti, avveniva il contrario, nel senso che i figli ereditavano, spesso senza convinzione e controvoglia, la conduzione dell’impresa, all’interno di un modello capitalistico di stampo familiare. La famiglia Jonas, che godeva di grande stima all’interno della comunità ebraica, era profondamente assimilata alla cultura del-la media borghesia tedesca di inizio Novecento. Le Festività della tradizione ebraica venivano però osservate con rispetto e regolarità3.

1.1 Dal Ginnasio all’Università

Nel corso degli studi ginnasiali Hans Jonas aveva già acqui-

sito, con una precocità sorprendente, un orientamento del suo pensiero. Tra le letture giovanili che egli ricorda vi sono: Jo-hann Wolfgang Goethe, Friedrich Schiller, Thomas Mann, Heinrich Heine, Moses Mendelssohn, Stefan Zweig. Il fratello della madre, Leo Horowitz, che egli ricorda con il simpatico ap-pellativo di zio “saggio e dotto”, gli fece scoprire la Storia della decadenza e della caduta dell’Impero Romano di Edward Gib-bon4, grande storico dell’Illuminismo inglese, detto anche il Voltaire britannico. La lettura di Gibbon gli fece comprendere in che cosa consista un’opera di valore scientifico.

Leggendo questa prima opera monumentale della storiografia moder-na cominciai a notare che cosa fosse una ricostruzione storica sulla base di documenti addotti, che cosa significasse operare un’induzione del suo procedere complessivo collegando insieme i singoli elementi e

3 Cfr. H. JONAS, Erinnerungen. Nach Gesprächen mit Rachel Salamander, hrsg.

von Ch. Wiese, Insel Verlag, Frankfurt am Main 2003. Il volume citato fornisce, in mo-do molto particolareggiato, una grande quantità di informazioni per una vera e propria biografia intellettuale ed esistenziale di Jonas.

4 Cfr. E. GIBBON, History of the Decline and Fall of the Roman Empire, in 6 vo-lumi, London 1776–1788; tr. it. di Giuseppe Frizzi Storia della decadenza e caduta del-l'Impero Romano, Einaudi, Torino 1987.