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GRAECA TERGESTINA Praelectiones Philologae Tergestinae coordinate da Olimpia Imperio, Francesco Donadi e Andrea Tessier 7 Comitato scientifico internazionale Maria Grazia Bonanno (Università di Roma ‘Tor Vergata’), Antonietta Gostoli (Università di Perugia), Alessandra Lukinovich (Genève – Cesena), Enrico V. Maltese (Università di Torino), Glenn W. Most (Scuola Normale Superiore Pisa), Orlando Poltera (Université de Fribourg), Paolo Scarpi (Università di Padova), Renzo Tosi (Università di Bologna), Paola Volpe (Università di Salerno), Onofrio Vox (Università di Lecce), Bernhard Zimmermann (Albert-Ludwigs-Universität Freiburg)

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  • Graeca TerGesTina

    Praelectiones Philologae Tergestinaecoordinate da

    Olimpia Imperio, Francesco Donadi e Andrea Tessier

    7

    Comitato scientifico internazionale

    Maria Grazia Bonanno (Università di Roma ‘Tor Vergata’), Antonietta Gostoli (Università di Perugia), Alessandra Lukinovich (Genève – Cesena), Enrico V. Maltese (Università di Torino), Glenn W. Most (Scuola Normale Superiore Pisa), Orlando Poltera (Université de Fribourg), Paolo Scarpi (Università di Padova), Renzo Tosi (Università di Bologna), Paola Volpe (Università di Salerno), Onofrio Vox (Università di Lecce), Bernhard

    Zimmermann (Albert-Ludwigs-Universität Freiburg)

  • © Copyright 2016 EUT

    EUT Edizioni Università di Triestevia E. Weiss, 21, 34128 Triesteemail [email protected] http://eut.units.ithttps://www.facebook.com/EUTEdizioniUniversitaTrieste

    Proprietà letteraria riservata.I diritti di traduzione, memorizzazioneelettronica, di riproduzionee di adattamento totale e parzialedi questa pubblicazione, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm, le fotocopie e altro) sono riservati per tutti i Paesi.

    ISBN 978-88-8303-619-4 (print)

    ISBN 978-88-8303-620-0 (online)

    impaginazione

    Gabriella Clabot

  • EUT EDIZIONI UNIVERSITÀ DI TRIESTE

    CharisStudi offerti a Paola Volpe dai suoi allievia cura di Stefano AmendolaGiovanna Pace

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    χάρις γὰρ ἀντὶ χάριτος ἐλθέτωEur. Hel. 1234

    Questo volume vuole rappresentare un piccolo gesto di gratitudine da parte di un gruppo di allievi nei con-fronti di chi ha quotidianamente guidato con saggez-za e rigore, e al contempo con umanità e generosità, il percorso di studi e di ricerca di noi, curatori e autori, e degli altri amici che con passione e scrupolo hanno voluto contribuire alla realizzazione di questo omag-gio1. Esso è inoltre un affettuoso ‘atto di disobbedien-

    1 Si desidera decisamente ringraziare gli amici e colleghi Marco Antonucci, Giovanna Battaglino, Serena Citro e Mariel-la De Simone, i quali, mossi dal sincero affetto per la comune Maestra, hanno dedicato il loro tempo e le loro indispensabili cure alla diverse fasi di realizzazione di questo volume. Questo loro impegno è la migliore testimonianza di come il magistero di Pao la Volpe superi ampiamente i ristretti confini di questo

    Nota degli autori

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    za’2 – almeno parziale – di una scuola ai desiderata del proprio maestro. Risulta infatti di immediata eviden-za che il costante impegno accademico e la ricca pro-duzione scientifica di Paola Volpe avrebbero meritato una charis, un dono ben più cospicuo, un’opera che po-tesse raccogliere i lavori – e l’affetto – dei tanti colleghi e amici che ella ha nella comunità scientifica italiana e internazionale. A questo avremmo di certo lavorato con passione noi suoi allievi se ella, fedele al suo ca-rattere del tutto avverso alla celebrazione di sé, non ci avesse più volte dissuasi dall’intraprendere simi-le iniziativa. Tuttavia, come detto, abbiamo potuto e voluto obbedire solo parzialmente alle richieste della nostra Maestra e con Charis si è scelto di dare un’ulte-riore concreta testimonianza del magistero svolto da Paola Volpe nell’ambito della sua Cattedra di Lingua e letteratura greca e del Dottorato in Filologia classica (oggi Ricerche e Studi sull’Antichità, il Medioevo e l’U-

    piccolo dono, abbracciando numerosi giovani studiosi che han-no avuto in Lei un costante punto di riferimento.

    2 A questa nostra filiale ‘disobbedienza’ hanno contribuito in maniera determinante l’incoraggiamento e la complicità del prof. Giuseppe Cacciatore, che con affettuosa premura e gene-rosità di consigli ci ha accompagnato in tutte le fasi che hanno scandito la realizzazione di questo volume. Al professore Cac-ciatore va la nostra sincera riconoscenza.

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    manesimo – RAMUS) presso l’Università degli Studi di Salerno. Per questo motivo gli autori della grecità, ai quali sono dedicati gli interventi qui raccolti – Eschilo e Plutarco –, incarnano forse le due principali costanti nel campo di indagine, quanto mai esteso e variegato, di Paola Volpe. Del drammaturgo eleusino ella sta cu-rando una nuova edizione (con traduzione e commen-to) dei Persiani, un progetto, patrocinato dall’Accademia Nazionale dei Lincei, in cui ha voluto coinvolgere anche Stefano Amendola e Giovanna Pace3: proprio dal lavoro ancora inedito di Paola Volpe sono tratte le traduzioni dei diversi passi dei Persiani riportati in questo volume.

    A Plutarco Paola Volpe ha dedicato due monogra-fie e numerosissimi saggi pubblicati su prestigiose riviste e negli Atti di diversi convegni nazionali e in-ternazionali; è inoltre attualmente President Elect del-la International Plutarch Society, condirettore del Corpus Plutarchi Moralium, collana che si propone di pubbli-care le edizioni critiche, con traduzione e commento, dei Moralia, e ha in preparazione, con la collaborazio-ne di Fabio Tanga, l’edizione della traduzione latina del De liberis educandis realizzata da Guarino Guarini per l’Edizione nazionale delle traduzioni dei testi greci in età umanistica e rinascimentale.

    3 L’introduzione sarà a cura di Riccardo Di Donato.

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    Sempre nel segno del comune interesse per lo scrittore di Cheronea è nato ed è divenuto sempre più saldo il legame scientifico e umano che lega Paola Vol-pe ad Aurelio Pérez Jiménez, Catedrático de Filología Griega presso l’Universidad de Málaga, al quale va il più sincero ringraziamento per aver accolto con im-mediata disponibilità e benevolenza il nostro invito a farsi complice di questo omaggio, realizzando la pre-messa del volume.

    Resta, infine, tanto doveroso quanto fortemente sentito, un ringraziamento al prof. Andrea Tessier, che, mosso da sincera amicizia per Paola Volpe, ha vo-luto accogliere questo libro nella collana Graeca Terge-stina. Praelectiones Philologae Tergestinae di cui è coordi-natore, insieme ai proff. Francesco Donadi e Olimpia Imperio.

    Salerno, 6 aprile 2016

    Stefano AmendolaAnna CaramicoGiovanna PaceFabio TangaAlessandra Tenore

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    Prefacio: carta a una amiga, Paola Volpe Cacciatore

    Aurelio Pérez Jiménez

    AVRELIVS PAOLAE SVAE SALVTEM

    Gratamente invitado por tus discípulos más próxi-mos, querida Paola, a hilvanar unas cuantas frases en honor tuyo, me siento en la misma tesitura en que se encontraba, por otros motivos, ante un auditorio me-nos receptivo y en ocasión muy distinta, el cliente de Lisias cuyas primeras palabras hago mías cuando abro la puerta de entrada al palacio de tu vida académica:

    Πολλήν μοι ἀπορίαν παρέχει ὁ ἀγὼν οὑτοσί, ὦ φίλη, ὅταν ἐνθυμηθῶ ὅτι, ἐὰν ἐγὼ μὲν μὴ νῦν εὖ εἴπω, δόξω ἄδικος εἶναι καὶ τῆς φιλίας καὶ πίστεως σου στερήσομαι· ἀνάγκη οὖν, εἰ καὶ μὴ δεινὸς πρὸς ταῦτα

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    πέφυκα, βοηθεῖν τῇ ἀξιοτάτῃ δόξᾳ τῇ σῇ καὶ ἐμαυτῷ οὕτως ὅπως ἂν δύνωμαι1.

    No recuerdo muy bien cuándo fue la primera vez en que Plutarco (de esto sí estoy seguro) cruzó nuestros caminos. Fue en Italia y pudo hacerlo en uno de los primeros Congresos de vuestra Sección de la I.P.S. que organizaba nuestro querido Italo Gallo; tal vez allá por la primavera de 1991, en Bocca di Magra; y, si no, mien-tras escuchábamos aquel maravilloso concierto en la catedral de Ravello (1993) organizado por un amigo músico de Luigi Torraca; o, tal vez, en la Certosa di Pon-tignano (1995), entre la música de las cigarras, cuando quebraban con su canto noches iluminadas con las mil tenues lamparitas de las luciérnagas; o a orillas del lago de Garda entre los reflejos del agua sobre las pie-dras de Gargnano en los últimos días de mayo de 1997; pero no sabría asegurarlo con exactitud. En cualquier caso, cuando viniste a hablar en Málaga sobre Galeno, en septiembre de ese mismo año, ya nuestra amistad había prendido y ahora creo que te conozco desde que Italia como experiencia vital y no sólo como abono de cultura hizo virar hacia ella el rumbo de mi existencia. Así que es posible que nos conociéramos ya a finales del año 1989, cuando pisé por primera vez los pasillos y despachos de vuestro Departamento, que ya se me

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    ha hecho habitual, en el Campus salernitano de Fiscia-no; fue entonces y allí donde me encontré por primera vez con Italo Gallo y conocí, directa o indirectamente, a algunos de quienes, como sobre todo tú, tanto signi-ficábais para él.

    Pero lo de menos es el momento concreto en que el Azar nos haya puesto en contacto. Los lazos per-sonales, cuando se atan bien con la cuerda de la ami-stad, borran cualquier frontera del tiempo para con-vertirnos en un continuum afectivo cuyo principio y final deja de ser relevante. Pues bien, es en ese espa-cio etéreo del alma donde está instalada, así al menos lo entiendo yo, la comunidad de intereses culturales y profesionales2 y de afectos personales que nos ha con-vertido a ambos y a cuantos nos rodean (permíteme una referencia especial a Giuseppe) en una extensión (Italia y España, Málaga y Salerno) del fervor grecorro-mano surgido hace ya dos milenios largos de las me-sas fraternales de Queronea.

    No sé si esta impresión será recíproca (es cosa vue-stra, de Giuseppe y tuya, confirmarlo); pero, en lo que a mí respecta, nuestro contrato no escrito de amistad, que dura ya al menos una generación de aquellas con que computaban los griegos las etapas de la historia, se me antoja συμπάθεια en el sentido pleno de la pa-labra. Él ha conformado una parte importante de mi

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    vida, aquella en la que tú ocupas a menudo τὸν τόπον τὸν καλούμενον ὑπατικόν, al que dedica una de sus quaestiones convivales Plutarco3. Por ello doy gracias a la divinidad, porque el haber mezclado y combina-do nuestros intereses profesionales con el amor por la obra del Queronense fue sin duda obra de algún δαίμων enviado por ella (el fruto de esos intereses, en lo que te toca, renuncio a enumerarlos por bien cono-cidos y por las limitaciones propias de este prefacio); así que, orgulloso de ser amigo tuyo, elevo plegarias de gratitud a ese δαίμων que ató los vínculos de nue-stra amistad más sólidamente que las cadenas con que Júpiter ha encadenado a Saturno: el hijo al padre, el planeta de la autoridad al que reina sobre aquellos a quienes el tiempo y las leyes naturales nos imponen dejar nuestra herencia a otros.

    Volviendo a lo nuestro, recuerdo, entre las anécdo-tas y experiencias que podamos haber compartido en esa larga y paradójicamente corta vida de mutua co-municación por distintos lugares de Europa y, en par-ticular por Italia y España, algunos ratos felices tam-bién en Málaga.

    Recuerdo aquellos días del final del verano en que, con tu primera visita a esta antigua factoría de garum, saboreábamos las sabrosas esencias de la dieta medi-terránea bañados por la brisa del mar que une tu tierra

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    con la mía. Se confundían allí el aroma y el perfume de los espetos con el azul intenso del cielo malagueño; y, sobre todo, con la conversación amigable animada por los vinos, el ‘pescaíto’ y las ensaladas tan típicas de esta costa.

    En otra ocasión fue el terral de junio de Málaga (corría ahora el año 2001) ese fuego que insufló vida, como si del soplo de Zeus o del Yavhé judeocristiano se tratara, al ingreso de Salerno en nuestra Red Euro-pea de Plutarco, que contaba todavía con sólo dos años de existencia. Entonces, acompañados de tu filósofo zambranista, disfrutábamos de las piedras de Ron-da, cargadas de historias sobre bandoleros y amores románticos e imaginábamos tardes goyescas en su rancia plaza de toros. Recuerdo que, paseando por sus calles y tocando con la mirada el infinito impalpable de su tajo, me fascinaba como un filtro de amistad la cadencia en el hablar, pausada y tranquilizadora, tan profundamente irónica como debió ser la de Plutarco, de Giuseppe, que presumo habrá moderado en tantos años, más de una vez, el torrente de tu espíritu.

    Y recuerdo, por último, en noviembre de 2008, de vuelta a la tierra veleña de María, en el mismo corazón romano y árabe de Málaga, nuestras visitas al Teatro ro-mano (foto), a la Alcazaba y a la Catedral; y, ¡cómo no!, los paseos por las amplias plazas (la de la Merced o la

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    de la Constitución) y por las calles, estrechas unas (San-tiago, Granada, Chinitas, Santa María, San Agustín) y otras más anchas (Larios, Alameda, Guadalmedina), pe-ro siempre alegres y brillantes como su bóveda, del cen-tro de Málaga; esa ciudad en la que he vivido los treinta últimos años y que, como Salerno, nos ha embriagado con el humanismo destilado por su filósofa más emi-nente4 y por el sacerdote délfico de Queronea.

    Son, todos estos, pequeños recuerdos, teselas de color azul y verde que han ido conformando el mo-saico de una amistad ya mantenida durante varios decenios. Una amistad que nos llena de satisfacción haberla enraizado bien en las Universidades de Saler-no y de Málaga; y que se mueve espontáneamente, al ritmo del afecto con que siempre me has honrado; en él ciertamente se inspiran las palabras que, a modo de epístola familiar tan al uso en vuestro Cicerón y en nuestro Séneca, constituyen la arquitectura esencial de este prefacio.

    Con su cadencia no quiero sino esbozar, como pe-queñas manchas de color extraídas de los cuadros im-presionistas que inspiraron a Picasso, algunos de los méritos que te han hecho acreedora a este homenaje por parte de tus discípulos más cercanos.

    Los trabajos de Giovanna5, de Stefano6, de Anna7, de Fabio8 y de Alessandra9 son sin duda un ramillete de

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    rosas y claveles cultivados gracias al abono de tu ge-nerosidad profesional pasada, presente y futura. Son ellos la mejor primicia que, como la Etra de las Supli-cantes, cosecho yo ahora en las gradas de este templo de nuestra amistad y te consagro a ti, Deméter saler-nitana, agradecido por los frutos que has hecho ger-minar con tus fértiles años universitarios. Uno recibe de sus discípulos lo que desinteresadamente ha sabi-do dar a sus maestros: gratitud y afectuoso respeto. Y eso es lo que se te devuelve a ti ahora, por ser lo que diste también antes. Que es así, lo demuestro con un par de ejemplos:

    El primero, porque lo merece aquel cuyas huellas seguiste en la vida académica y profesional y porque me lo pide la amistad de quien fue para mí el Ἀγαθὸς Δαίμων que hace virar el curso de los astros en mo-mentos insignificantes, son tus palabras dedicadas a Gallo en el todavía humeante Convegno Internazionale de Ravello:

    Un ulteriore motivo di soddisfazione, di carattere, come detto, maggiormente personale, è quello del ricordo degli studiosi plutarchei raccolti nella splendida cornice di Ra-vello, che già nel 1995 aveva ospitato il VI convegno italia-no della I.P.S., dal titola Plutarco e la religione. L’aver scel-to di nuovo Ravello ha anche il significato di un sincero e doveroso omaggio al prof. Italo Gallo, da sempre costante

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    punto di riferimento per gli studi plutarchei e fondatore, con il prof. Renato Laurenti, del Corpus Plutarchi Mora-lium, collana editoriale oggi diretta da Ammeris Roselli e da me10.

    El otro ejemplo, me he permitido tomarlo de tu prólo-go a las Actas del XII Convegno italiano de la IPS que, a modo de χαριστήρια, dedicas a tu gran maestro, a esa estrella polar que te sirvió de guía en el viaje por las rutas de la investigación: el Prof. Antonio Garzya. Tus recuerdos personales sobre él, el entusiasmo con que evocas su figura humana y científica y el cariño con que dibujas tus encuentros con el amigo, los paseos por las calles de Nápoles y los consejos dados a sus dis-cípulos entre los que te cuentas, son todo un ejemplo a imitar de gratitud y admiración. Me emocionan en concreto (pues también yo lo conocí en alguno de los encuentros plutarqueos italianos y comparto como impresión lo que para ti ha sido experiencia) las pala-bras entusiastas en la semblanza de aquel hombre con que concluyes tu presentación:

    Voglio ricordarLo così, felice, circondato dalle persone che gli volevano bene, un affetto che nasceva non dall’es-sere il Professore, ma perché era Uomo di rarissime qua-lità. Lo voglio ancora ricordare insieme con Jacqueline, la Sua compagna di una vita, in quella mattina piena di so-

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    le che ritorna come la più nitide delle fotografie: Lo vo-glio ricordare tra i Suoi libri mentre con compiacimen-to ascoltava la lettura di un verso eschileo, o quando, con aria meravigliata e attenta, ascoltava racconti di vita vis-suta. Antonio Garzya era tutto questo: un Uomo, un Mae-stro e, se mi è consentito, un Amico11.

    Palabras como estas, dedicadas al bizantinista, y como aquellas, al plutarquista, son, ambas, un testimonio sincero de afecto, respeto y generoso agradecimiento que hacen más obligado y merecido el tributo ofreci-do ahora a ti por tus discípulos; por aquellos que siem-pre te arroparon en los viajes científicos por la senda de Plutarco, del Teatro y de la Tradición humanística. Puedes estar segura de que detalles como éste, con que los jóvenes se convierten en notarios de una vida entregada al magisterio, te hacen envidiable; puedes estarlo también de que detalles como éste, en que se consuma la certeza de que la herencia entregada será proyectada hacia el futuro por nuevas generaciones, son la mejor recompensa para un trabajo bien hecho. Eso ocurre con los cinco estudios reunidos en este li-bro; en ellos se percibe, junto a la madurez de investi-gadores ya consagrados, el entusiasmo de quienes ini-cian su andadura por los pagos de la literatura griega; son cinco κύλικες de sólidas asas, en las que se bebe un

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    vino hecho, con solera y dulce como el que destilaban las viñas de Zambrano. Y a mí, plutarquista granadino, pero malagueño y salernitano de adopción, me honra la oportunidad que ellos me brindan de ofrecerte en su nombre esas cinco copas rebosantes de cariño con que se justifica suficientemente tu elección universi-taria de vida. Al modesto entender de quien escribe esto, trabajos así, que vienen de quienes vienen, son medallas más valiosas que las cruces y encomiendas concedidas a generales y políticos por sus méritos y que los premios otorgados a científicos, escritores y artistas por el prestigio de sus obras.

    Decía nuestro querido Plutarco, y es verdad, que no es en las más brillantes gestas donde se evidencia la virtud, ἀλλὰ πρᾶγμα βραχὺ πολλάκις καὶ ῥῆμα καὶ παιδιά τις ἔμφασιν ἤθους ἐποίησε μᾶλλον ἢ μάχαι μυριόνεκροι καὶ παρατάξεις αἱ μέγισται καὶ πολιορκίαι πόλεων12.

    De igual forma, los cinco trabajos encerrados en el libro del que ahora actúo como oficiante no por mis méritos, sino por un capricho del Azar adobado con el afecto de Giovanna, Stefano, Anna, Fabio y Alessan-dra, dicen más que las incontables columnas del Pauly Wissowa y del RAC juntos o las miles de páginas en-cerradas en las Patrologías de Migne y en la Bibliothe-ca Graeca de Fabricius. Pues, si bien los compendio-

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    sos artículos de aquellas enciclopedias del mundo grecorromano y de la Antigüedad cristiana cimentan su edificio en datos, noticias y discusiones proceden-tes del mundo antiguo, de la erudición bizantina y de la exégesis de los siglos inmediatos a éste, estos cin-co capítulos se alzan sobre la gratitud de sus autores y tus merecimientos: columnas, ambas, tan recias co-mo las de los templos de Paestum y fuegos, los que aviva aquella gratitud, más perennes y cálidos que los de vuestro Vesubio o los del Etna cuyo ciclópeo humo podéis ver en días claros desde las playas de Salerno.

    Ellos dan cuenta y testimonio de que con el teatro (Giovanna, Anna y Alessandra), con Plutarco (Fabio) y con la recepción moderna de la literatura griega (Ste-fano) ha fructificado en buena tierra la semilla de tus esfuerzos por ampliar campos y caminos en la admi-nistración de la herencia que pusieron en tu mano Antonio Garzya e Italo Gallo. Permíteme, y con ello te invito ya a la lectura, que comparta tu orgullo. Acepta benevolente, como le diría Plutarco a Platón, esta car-ta en la que tal vez percibas cierta envidia, pero que es envidia sana movida por el cariño, el aprecio y el res-peto que te tengo. Y ojalá Mercurio te la entregue en buena hora y a tiempo, franqueada con el sello de una amistad sincera. Déjame por último participar un po-co de tu premio y permíteme, parafraseando tus pro-

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    pias palabras, que me arrogue yo también, con respec-to a ti, el título “se mi è consentito, di Amico”. VALE.

    [Malacae, ante diem quintum Kalendas Februarias anni Domini MMXVI]

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    NOTE

    1 Lys., Pro bonis Aristophanis 1.

    2 Por poner algunos ejemplos, compartimos campos de estudio como el de la recepción europea de la literatura grie-ga, que ha tenido su plasmación más evidente en el libro con-junto (Málaga y Salerno), Musa Graeca Tradita, Musa Graeca Recepta. Traducciones de Poetas Griegos (Siglos XV-XVII), Málaga, 2011; el Teatro griego, que ha sido una línea de estudio cul-tivada y promocionada por ti (Esquilo, Sófocles, Eurípides) también me ha interesado tanto en el ámbito de las traduc-ciones como de la métrica (Eurípides); y el mito antiguo, la astrología y la emblemática (esta referida a Plutarco), temas a los que he dedicado gran parte de mi actividad filológica en los últimos treinta años, forman parte igualmente de tu amplio curriculum investigador. Y por supuesto, Plutarco, un autor que ha dado razón de ser a nuestra colaboración en todos los ámbitos: el de la reflexión ética, el del análisis lite-rario, el de la interpretación filosófica, religiosa y científica y, sobre todo, el de su influencia en el pensamiento occidental. A esa confluencia de temas de estudio hay que añadir una estrecha colaboración institucional y académica que se tra-duce en nuestra participación en la Red Europea Plutarco y en los programas de Doctorado de nuestras respectivas Uni-versidades y ya ha tenido frutos concretos en esas dos Tesis defendidas en cotutela por Fabio Tanga (Salerno, 2011) y por Marcello Tozza (Málaga, 2012).

    3 Quaest. conv. 1.3.

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    4 En 2003 publicabas tú misma un significativo Maria Zambrano e il teatro classico en EIKASMOS, 14, 421-427.

    5 “Il secondo stasimo dei Persiani di Eschilo: generi lirici e forma metrica”.

    6 “Il mare nemico di Serse: i Persiani di Eschilo e Die See-schlacht bei Salamis di Kaulbach”.

    7 “L’imagerie zoologica eschilea tra metafora e similitu-dine”.

    8 “Il ‘De exilio’ di Plutarco nella traduzione latina di An-gelo Barbato”.

    9 “Il valore di φῶς in due metafore di luce e di ombra: Aesch. Pers. 150-152, 165-169”.

    10 Gli scritti di Plutarco: Tradizione, traduzione, ricezione, commento. Atti del IX Convegno Internazionale della Interna-tional Plutarch Society, a cura di Giovanna Pace - Paola Volpe Cacciatore, Napoli, M. D’Auria Editore, 2013, p. 7. Extraigo de aquí esta evocación, por su mayor ámbito internacional, sin perjuicio de los más emotivos recuerdos con que te expresas en tu dedicatoria al maestro en Rassegna Storica Salernitana, 50 (2008), 9-14 (“Un maestro: Italo Gallo”).

    11 P. Volpe Cacciatore (a cura di), Plutarco: Linguaggi e re-torica. Atti del XII Convegno della International Plutarch Society, Sezione Italiana, Napoli, M. D’Auria Editore, 2014, p. 13.

    12 Plu., Alex. 1.2.

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    1. Una breve premessa: natura del teatro e nel teatro dei Greci

    «The theatron in fifth-century Athens was less a buil-ding than what we would call landscape architectu-re»: così si esprime R. Rehm in un volume dedicato allo spazio nella tragedia greca1, volendo evidenziare l’impatto che la natura (da intendersi come landscape,

    Il mare nemico di Serse: i Persiani di Eschilo e Die Seeschlacht bei Salamis di Kaulbach*

    Stefano Amendola

    * L'opera di Kaulbach mi è stata segnalata per la prima vol-ta nel 2009 dalla professoressa Paola Volpe, appena rientrata da un congresso ad Atene ed emozionata per aver rivisto le acque di Salamina. Da quella indicazione è nato un percorso di ricerca, di cui questo contributo è l'esito.

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    paesaggio) ha appunto sullo spazio (e non edificio) te-atrale delle origini2. Il teatro dei Greci appare defini-to – almeno ai suoi albori – dall’ambiente circostante: si pensi, ad esempio, alla collina sul versante sudoc-cidentale dell’acropoli di Atene, che probabilmente fungeva da cavea naturale nel primo Teatro di Dioni-so3. Anche i pochi e non invasivi interventi dell’uomo mirano ad armonizzare teatro e natura: è il caso de-gli ikria, banchi in legno mobili e provvisori, che, ap-poggiati talvolta ai pendii naturali, consentivano agli spettatori una migliore e più comoda fruizione delle rappresentazioni4. In teatri così ‘naturalistici’ ed aper-ti il paesaggio circostante può divenire lo sfondo dei drammi rappresentati: non è da escludere, ad esem-pio, che gli spettatori dei Persiani eschilei (472 a.C.) dal teatro di Dioniso potessero scorgere i templi incen-diati e depredati dalle armate di quel Serse che, sulla scena, appare loro sconfitto e vestito solo di stracci5. Se dunque la natura abbraccia e, in certo qual modo, plasma lo spazio teatrale degli antichi Greci, nei loro drammi essa – data la mancanza o l’esiguità di quello che oggi chiameremmo apparato scenografico – non viene raffigurata, ma piuttosto narrata, descritta dai personaggi sulla scena. Proprio su un paesaggio na-turale ‘dipinto a parole’ nei Persiani ci si soffermerà in questo intervento, al fine di evidenziare come l’e-

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    lemento naturale e paesaggistico, anche se confinato nello spazio extrascenico e affidato interamente alle capacità descrittive ed evocative della parola recitata e cantata, non sia una mera appendice esornativa, ma possa svolgere un ruolo di assoluto protagonismo in aperta dialettica con l’uomo e il suo agire.

    2. Eschilo, Erodoto e Die Seeschlacht bei Salamis di Kaulbach

    In questa breve riflessione appare opportuno pren-dere le mosse da un dipinto del XIX secolo che viene frequentemente richiamato quale ripresa dell’antico in epoca moderna e ricollegato talvolta al dramma dell’Eleusino: nell’introduzione al volume Cultural Responses to the Persian Wars. Antiquity to the Third Mil-lennium, i curatori E. Bridges, E. Hall e P.J. Rhodes6, passando appunto in rassegna alcune testimonian-ze iconografiche del conflitto greco-persiano nel XIX secolo, menzionano l’olio su tela di notevolissime dimensioni (560 x 980 cm) intitolato Die Seeschlacht bei Salamis (18687; fig. A), opera del pittore tedesco Wilhelm Von Kaulbach (1805-1874)8, che occupa oggi buona parte della parete ovest del Senatssaal del Ma-ximilianeum, edificio voluto dal re Massimiliano II e

  • Figura ADie Seeschlacht bei Salamis, Wilhelm von Kaulbach, 1868 ca., Monaco di Baviera – Maximilianeum

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    attualmente sede del Landtag della Baviera9. Quello di Kaulbach è uno dei diciassette dipinti rimasti di una più ampia Historische Galerie, anch’essa commissiona-ta per il Maximilianeum da Massimiliano II al fine di illustrare i momenti principali della storia universale (e in particolare di quella tedesca ed europea) attraver-so le arti (dal Peccato originale fino alla Battaglia delle Nazioni). Tale galleria risponde all’ideale, proposto dal monarca, di un’arte consacrata non solo alla bellezza, ma all’educazione dei popoli, educazione affidata ap-punto alla Storia, vera e sola maestra dell’umanità10. Dei dipinti sopravvissuti alla seconda Guerra mon-diale Die Seeschlacht bei Salamis è il solo dedicato ad un avvenimento della storia antica, e intenderebbe celebrare, in quanto momento chiave per l’umanità intera, il trionfo della civiltà (i Greci di Temistocle) sulla barbarie (i Persiani di Serse).

    Venendo al contenuto del dipinto11, Kaulbach fon-de in un unico ‘fotogramma’ i due principali momenti dello scontro greco-persiano (la battaglia navale nel-le acque di Salamina e quella terrestre sull’isolotto di Psittalia), realizzando un’immagine quanto mai affol-lata, nella quale è possibile rintracciare – passando in rassegna l’opera dalla sinistra di chi guarda – sia i pro-tagonisti del conflitto sia alcune presenze tanto cele-bri quanto inattese12: tra i primi Serse (in trono su uno

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    scoglio, evidenziato dal nr. 1 nella fig. A), Artemisia (che scaglia frecce, nr. 2), Temistocle (quasi completa-mente di spalle, ritto in piedi, nr. 6) e Aristide (sulla terra di Psittalia con un giovane barbaro che lo sup-plica, nr. 8), tra le seconde quelle dei drammaturghi Eschilo (che combatte armato di lancia e scudo, nr. 7) e Sofocle (giovanetto di bell’aspetto, che impugna una tromba, nr. 5)13, e quelle di tre ‘fantasmi’ – probabil-mente Peleo, Achille e Aiace14 –, che solcano il cielo so-pra le armate greche (nr. 9)15.

    A. Erodoto e KaulbachConsiderando le due principali fonti letterarie antiche che potrebbero aver influenzato la gigantesca ‘visione’ di Kaulbach – le Storie di Erodoto e i Persiani di Eschi-lo – è immediatamente possibile notare come al solo storico di Alicarnasso rinvii uno dei personaggi più fa-cilmente identificabili e che occupa una spazio decisa-mente centrale nel dipinto: si tratta di Artemisia I, re-gina dei Carii16, raffigurata nell’atto di scagliare frecce con il suo arco17 – arma simbolo dell’esercito persiano – contro i Greci, nonostante appaia oramai inevitabile la sconfitta dei barbari. Questo indomito coraggio di Artemisia, ultima ad arrendersi in un esercito in rotta, sembra tradurre visivamente quanto affermato sulla donna dallo stesso Serse in Hdt. 8, 87-88: il re persia-

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    no, nell’osservare le tanto audaci quanto fortunate ma-novre dell’imbarcazione di Artemisia, esclama, tra lo stupito e l’amareggiato, «Gli uomini mi sono diventa-ti donne e le donne uomini!» (8, 87)18.

    Al racconto erodoteo potrebbero rinviare anche gli spiriti degli Eacidi raffigurati in volo da Kaulbach (cf. supra): in Hdt. 8, 64 si legge di come, poco prima dello scontro navale, i Greci, atterriti da un sisma, in-vochino l’aiuto di Telamone e Aiace e inviino una nave a Egina per prendere i simulacri di Eaco e dei suoi di-scendenti. In questo caso, però, a influenzare l’artista tedesco è probabilmente un’altra testimonianza an-tica della battaglia di Salamina, ossia la biografia te-mistoclea di Plutarco19. In Plu. Them. 15, 1-2 si ritrova infatti la narrazione di un prodigio che si sarebbe ve-rificato durante il combattimento:

    A questo punto della battaglia si dice che una grande luce fiammeggiasse dalla parte di Eleusi e un suono e una voce si diffondessero per la piana Triasia fino al mare, come di un grande coro ... Poi sembrò che ... a poco a poco si levas-se da terra una nube e che di nuovo scendendo andasse a posarsi sulle triremi. Ad altri sembrò di vedere fantasmi e ombre di uomini armati provenienti da Egina, che pro-tendevano le mani a difesa delle navi greche. Pensarono che questi fossero gli Eacidi invocati in aiuto nelle loro preghiere prima della battaglia.20

  • 31

    Si può facilmente notare come la riportata descrizio-ne plutarchea, con la nube posata miracolosamente sulle navi e i fantasmi degli Eacidi schierati a difesa delle navi greche, rispecchi quanto dipinto da Kaul-bach con maggiore esattezza del citato Hdt. 8, 64.

    B. Eschilo e KaulbachSe l’eroica Artemisia rappresenta un innegabile punto di contatto tra l’opera di Kaulbach e il testo erodoteo, la tela appare debitrice anche della tragedia eschilea, un debito forse ammesso dallo stesso pittore tedesco, che accanto a Temistocle, il generale vittorioso dei Greci, ha voluto rappresentare lo stesso drammatur-go eleusino, nell’atto di scagliarsi con la lancia – l’arma che nei Persiani caratterizza i Greci, contrapponendosi all’arco dei barbari – contro il nemico.

    Oltre alla presenza del poeta stesso nel dipinto, si possono evidenziare alcuni dettagli iconografici che sembrerebbero avere una derivazione più marcata-mente eschilea:

    a. il movimento concitato e drammatico di Serse (nr. 1 in fig. A), che sembra quasi balzare in piedi dal suo trono, richiama i vv. 465-470 dei Persiani, dove il messaggero descrive la reazione del sovrano nell’os-servare la sconfitta della flotta21:

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    Serse levò gemiti, vedendo la voragine di mali: occupava infatti una posizione donde godeva la vista di tutto l’eser-cito, un’alta collina accanto alla distesa del mare. Strappa-ti i pepli con lamenti, dopo aver dato all’esercito di terra un ordine improvviso, si dà ad una fuga precipitosa22.

    b. Tra i diversi soldati greci – tra i quali, come det-to, spicca lo stesso Eschilo – armati di lancia (arma pro-pria dei Greci) è possibile individuarne alcuni raffigu-rati mentre si slanciano per colpire i nemici brandendo un remo (nr. 4). Il particolare impiego di quest’arma ‘impropria’, volto a testimoniare la violenta bramosia di sottomettere e uccidere in ogni modo il nemico , ri-porta alla memoria Pers. 424-427 ss., dove si descrive la feroce mattanza dei nemici compiuta dai Greci:

    Ma quelli, come se fossero tonni o una retata di pesci, con frammenti di remi e rottami, li urtavano, li infilzavano e pianto assieme a gemiti empiva la distesa del mare ...

    c. La ‘caduta in mare’ di alcuni Persiani dal casse-ro delle proprie navi (nrr. 3) potrebbe ricordare il leg-gero balzo (Pers. 305: πήδημα κοῦφον), quasi un tuffo, di Dadace, che viene descritto con una sorta di maca-bra ironia23 ai vv. 304-305:

    ... e il chiliarco Dadace, per un colpo di lancia, fece un agile salto dalla nave ...

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    3. Natura versus uomo: il mare nemico dei Persiani

    Vi è un ulteriore elemento ancor più significativo che mi sembra poter avvicinare il dipinto del XIX secolo al dramma eschileo: si tratta della raffigurazione del ma-re in tempesta, l’elemento naturale che, lungi dall’es-sere semplice sfondo su cui va in scena lo scontro tra greco e barbaro, sembra possedere una propria cen-tralità tanto nel dipinto quanto nell’antica descrizio-ne poetica della battaglia. In Kaulbach si può cogliere come sia l’acqua marina a pervadere e in certo qual modo a unire i due gruppi altrimenti ben separati dei Greci (alla destra di chi guarda) e dei Persiani (alla si-nistra). Le onde in tempesta rappresentano il trait d’u-nion tra i due schieramenti contrapposti, e acquistano rilievo e centralità nella raffigurazione. Ma la forza impetuosa del mare non sembra abbattersi ugual-mente su entrambi gli eserciti: mentre Temistocle e Aristide, ‘all’asciutto’, possono osservare tranquilla-mente la distesa marina, le onde appaiono ‘accanirsi’ contro ciò che resta dell’esercito di Serse, avvolgendo e travolgendo superstiti e relitti, inghiottendo uomi-ni dei quali restano visibili solo gli ultimi gesti di lotta o di disperazione prima di annegare24.

    Considerata questa raffigurazione di un mare in tempesta che tutto trascina con sé (superstiti, cadave-

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    ri e relitti), numerosi versi eschilei potrebbero essere scelti quale efficace didascalia del dipinto di Kaulbach, o, viceversa, le immagini del pittore tedesco rappre-senterebbero una sorta di ‘traduzione pittorica’ del te-sto del drammaturgo eleusino25:

    a. Pers. 274-277: Ahimè, tu parli di corpi di cari avvolti nei loro mantelli erranti a lungo sbattuti dai marosi e a lungo travolti ...

    b. Pers. 308-310: Lileo, Arsame e, terzo, Argeste, nelle acque intorno all’isola nutrice di colombe, trasci-nati dalle onde tempestose, cozzavano contro la terra scoscesa26 ...

    c. Pers. 418-421: Si rovesciavano le carene delle navi ed era impossibile distinguere la distesa del ma-re, nascosta dai resti delle navi e da cadaveri insangui-nati, pieni di morti erano le rocce sporgenti ...

    d. Pers. 576-577: Sbattuti dal mare, ahimè, sono terribilmente sbranati, ahimè, dai figli muti dell’in-contaminato ...

    e. Pers. 962-966: [Serse] Li abbandonavo, mentre, tutti caduti da una nave tiria, perivano sulle rive di Sa-lamina e mentre i loro corpi urtavano contro il lido scosceso.

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    Corpi travolti dalle onde, trascinati dal mare, spinti a forza contro le rocce del litorale, cadaveri insangui-nati sulle acque e sugli scogli: da questo repertorio di cupe immagini eschilee si evidenzia come i colpi e le ferite inflitti ai Persiani dal mare siano altrettanto gravi e forse ancor più letali di quelli subiti da Temi-stocle e compagni. Sono infatti sciagure che vengono dal mare (Pers. 1037) ad aver privato Serse dei suoi uo-mini migliori e ad aver dissolto nel nulla un’armata enorme e creduta invincibile. Le acque di Salamina si sono rivelate per i Persiani qualcosa di ben diverso da un neutrale campo di battaglia: esse rappresen-tano piuttosto un protagonista attivo e decisivo del confronto navale, incarnando così il duplice volto della natura madre benevola e alleata per i Greci e, al tempo stesso, matrigna, ostile e spietata per i Per-siani. Che la natura, apertamente schierata al fianco degli Elleni, sia un elemento decisivo per le sorti del-lo scontro viene sottolineato dal fantasma del saggio re Dario, evocato nel secondo episodio per trovare una soluzione ai molteplici mali abbattutisi sul suo impero. Il defunto sovrano afferma che il solo modo per garantire un destino migliore alla Persia è aste-nersi da nuove spedizioni contro i Greci, dato che la terra stessa è loro alleata (Pers. 792). Non solo la terra è schierata con i Greci, ma anche e soprattutto il mare

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    è nemico dei Persiani ed è ancora Dario a fornire una spiegazione di tale ostilità:

    Pers. 745-748Egli (scilicet Serse) che sperò di incatenare a guisa di schia-vo la corrente del sacro Ellesponto, il Bosforo corrente di-vina, trasformava lo stretto e, cingendolo con catene mar-tellate, aprì un ampio varco al suo immenso esercito...

    Per il padre, la follia di Serse consiste nell’aver altera-to la natura grazie ai prodigi della techne27: lo stretto marino dell’Ellesponto, il confine naturale che separa Occidente e Oriente, viene cancellato, trasformato, con catene e chiodi, in un ampio sentiero percorribi-le per l’esercito terrestre28. La rivelazione di Dario dà concretezza ai timori espressi dal coro all’inizio del dramma. Nella terza coppia strofica della parodo i co-reuti individuano nella capacità maturata dai Persiani di ‘affrontare’ il mare un cruciale momento di svolta nelle vicende del loro impero29, destinato inizialmen-te dalla Moira a conquistare città e popoli grazie a spe-dizioni terrestri:

    Pers. 109-113Ed essi impararono a sostenere la vista della sacra distesa di un mare immenso che s’imbianca al soffio violento del vento fidando in funi sottili e in mezzi che permettono il passaggio degli uomini

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    È proprio questo sapere tecnico-meccanico acquisito progressivamente dai Persiani a spianare per Serse e per la sua armata un passaggio artificiale (si noti in explicit di v. 113 il sostantivo μηχανή, riferimento all’insolita e astuta ‘tecnologia’ del ponte di barche30), contra naturam, verso la Grecia:

    Pers. 65-73L’esercito del re, devastatore di città, ha già raggiunto la terra vicina a noi di fronte, dopo avere superato su zat-tere unite da funi di lino lo stretto dell’Atamantide Elle, gettando sul collo del mare, qual giogo, una via dai molti chiodi.

    Questo stravolgimento della natura, con il mare reso improvvisamente terra, sentiero percorribile per un esercito, dalla techne umana31 – forse celebrata nella parodo con stupita ammirazione dai coreuti – viene interpretato dall’eidolon di Dario quale offesa, folle sfida di un mortale (Serse) agli dei e in particolare a Poseidone32:

    Pers. 749-751Pur essendo egli mortale, credeva nella sua sconsidera-tezza di dominare tutti gli dei e Poseidone. E come non scorgere in questo che la follia avvolse la mente di mio figlio?

  • Figura BDie Seeschlacht bei Salamis, Wilhelm von Kaulbach, 1858 ca., Monaco di Baviera – Neue Pinakothek

  • 40

    Al v. 750 si ha l’unica menzione esplicita di Poseidone in una tragedia così dominata dal mare: solo Dario, si-mile ad un dio (Pers. 857), sembrerebbe possedere l’au-torità per rivelare apertamente l’avversario del figlio, il dio che ne ha determinato la sconfitta nella battaglia navale. Proprio Poseidone mi consente di ritornare in conclusione a Kaulbach. Al 1858 ca. è datata un’altra Battaglia navale presso Salamina realizzata in dimensio-ni ben più contenute (62 x 105 cm) dall’artista tedesco e oggi conservata presso la Neue Pinakothek di Monaco (inv. 9493: fig. B)33. Si tratta di uno studio preparatorio dell’enorme dipinto esposto al Maximilianeum, ma in esso si può immediatamente notare una evidente dif-ferenza rispetto alla tela successiva: dove nel dipinto del Maximilianeum compare la nave della coraggiosa Artemisia arciera, in quello precedente si erge dal ma-re Poseidone (individuato dal nr. 1 in fig. B), raffigu-rato nell’atto di mostrare a Serse quelle corde, ormai strappate, con cui il giovane re barbaro ha provato, inutilmente, ad aggiogare il mare34. Nel primo dipin-to, quindi, a fronteggiare e sconfiggere Serse, provo-candone la disperata reazione, non sono i soli genera-li ateniesi, bensì lo stesso dio del mare, che, insieme alle onde, invade e sconvolge lo spazio dei Persiani, determinandone la sconfitta e spingendo il giovane sovrano alla fuga. È probabile che Kaulbach, per obbe-

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    dire ai dettami voluti da re Massimiliano II per la sua Galleria Storica, ossia una galleria volta a promuovere quella ‘Pittura Storica’ che miri – pur con molte licen-ze – a rappresentare gli eventi nella loro realtà, abbia cancellato la divinità pagana dal dipinto per il Maximi-lianeum, inserendo – in maniera un po’ posticcia – il personaggio storico di Artemisia (cf. fig. C). Purtutta-via, le onde in tempesta che si abbattono sui barbari sembrano ancora segnalare la presenza di Poseidone, che, come nei Persiani eschilei, si svela quale vero e in-vincibile nemico di Serse.

  • Figura CParticolari: a sinistra Artemisia, a destra Poseidone

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    NOTE

    1 Rehm 2002, 37.

    2 Cf. recentemente Longo 2014, 129-131.

    3 Cf. Di Marco 2000, 54.

    4 Cf. Di Benedetto-Medda 1997, 9; Di Marco 2000, 54.

    5 Cf. Centanni 2003, xi.

    6 Bridges-Hall-Rhodes 2007, 18-19; Cf. inoltre Bridges 2015, 192.

    7 Alcuni studiosi (Cf. e.g. Putz 2005, 993 e 2006, 543) data-no la realizzazione del dipinto al 1862-1864.

    8 Sulla vita e sulle opere di Wilhelm Von Kaulbach datati ma ancora di riferimento sono Müller 1893, Ostini 1906; Dürck-Kaulbach 1921. Voci biografiche complete e di facile consultazio-ne sono Norman 1977, 119; Putz 2005, 993 e 2006, 542-543.

    9 Sulla storia e sul significato dell’edificio nella politica di Max II cf. Kock 2009, di cui un significativo estratto rias-suntivo è disponibile online: P.J. Kock, s.v. Maximilianeum, in Historisches Lexikon Bayerns, URL: (ultimo accesso: 10.01.2016).

    10 Cf. Müller 1999, 15, Meyer-Maril 2006, 94.

    11 Sull’opera di Kaulbach si possono raccogliere giudizi discordanti: se la visione di Die Seeschlacht bei Salamis presso la

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    bottega dell’artista ha entusiasmato il cuore del sovrano bava-rese Ludovico II («Der Anblick dieser herrlichen „Schlacht von Salamis“ hat mir wie mit einem Zauberschlage alles Erhabene und Fesselnde, was ich je über die griechische Geschichte und Mythos gehört, ins Gedächtnis zurückgerufen und für die Größe des Heroentums mich entflammt»: così scrive il re in una lettera a Kaulbach datata 21 febbraio 1966, il cui testo è in Dürck-Kaulbach 1921, 359), al contrario Ostini 1906, 118 scrive: «Die Schlacht selbst läßt freilich kalt; aber die Darstellung ei-ner Seeschlacht in Lebensgröße ist ein Unding an sich und die Aufgabe, diese Schlacht in der Meerenge in die Breite eines Bil-derrahmens einzuzwängen, stellte an die Geschicklichkeit des Künstlers schier unlösbare Aufgaben». Cf. Ebert 1987, 190.

    12 Tra queste è da annoverare di certo l‘harem di donne per-siane, che, a stento, vengono salvate dalle acque: a tal proposito, nel raccontare le loro visite allo studio di Kaulbach, nel corso delle quali hanno l‘opportunità di vedere alcuni studi preparato-ri di Die Seeschlacht bei Salamis, Dumont 1865, 649 e Stuart 1866, 765, commentano rispettivamente: «Le vaisseau qui portait les femmes du roi de Perse est mis en pièces, et ces corps de fem-mes qui tombent dans la mer ont fourni au peintre l’occasion de consacrer à la beauté plastique un admirable premier plan»; «The sinking of a ship containing the harem of some Persian satrap gives him an opportunity to exhibit his skill in the beauty of form and outline».

    13 La presenza contemporanea di Eschilo e Sofocle mostra come Kaulbach conosca la tradizione che associa le biografie dei due drammaturghi (e anche quella di Euripide) al 480 a.C., anno della battaglia di Salamina: secondo il tanto celebre quanto costruito aneddoto Eschilo partecipò alla battaglia (nel dipinto infatti è rappresentato nelle vesti di soldato), Sofocle guidò per la sua bellezza il coro di giovinetti che cantò il peana per la vittoria

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    dei Greci (di qui forse il suo essere raffigurato con una tromba), mentre Euripide sarebbe nato a Salamina il giorno dello scontro.

    14 Seguo qui l’identificazione più comune proposta per queste tre figure. Non mancano però interpretazioni diverse: ad esempio Champlin 1888, 104 riconosce nei tre personaggi volanti «the avenging gods of Greece in the sky»; similmente si legge in Ellis-Horne 1913 («The Greeks said their gods fought for them, and in our picture these visionary gods hover in the air directing the strife, while a priest offers sacrifice to them»), dove una riproduzione del dipinto di Kaulbach è scelta come immagine del Frontespizio e accompagnata da una breve nota descrittiva significativamente intitolata “The Downfall of Asia’s Power (The Greek Victory of Salamis). A celebrated painting by William Kaulbach, the noted German artist of the middle nine-teenth century”.

    15 Cf. la descrizione del dipinto disponibile sulla pagina web dedicata al Senatssaal all’indirizzo https://www.bayern.landtag.de/maximilianeum/saeleraeume/der-senatssaal (ulti-mo accesso: 08.01.2016).

    16 È probabilmente la centralità di Artemisia il motivo che spinge Liuzzo 2014 a catalogare l’opera di Kaulbach nei dipinti raffiguranti scene tratte dalle Storie erodotee.

    17 In Aristoph. Lys. 671 ss. Artemisia è accostata alle Amaz-zoni, abilissime tiratrici con l’arco: è forse ipotizzabile che Kaul-bach abbia immaginato la sua Artemisia ‘saettatrice’ proprio sul modello delle Amazzoni, che il mito vuole acerrime nemiche degli Ateniesi (Cf. Vignolo Munson 1988, 93 e 2001, 255).

    18 Trad. Colonna 1996, 553.

    19 Il riferimento al testo plutarcheo nella raffigurazione di Kaulbach è già colto da Anonimo 1858, 352 (anch’egli autore di

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    una cronaca relativa ad una visita all’atelier dell’artista tedesco imbattutosi in alcuni disegni di Die Seeschlacht bei Salamis) e Du-mont 1865, 649.

    20 Trad. Traglia 1992, 401. Lo studioso (400) ritiene che i discendenti di Eaco siano da identificare con Telamone e Aiace, eroi di Salamina.

    21 Lo stretto rapporto tra i versi eschilei dedicati a Serse e la raffigurazione del sovrano persiano in Kaulbach è rimarcato da Bridges 2015, 192. Zeising 1857, 231, nella sua critica al dipinto condotta mediante il frequente confronto con i versi dei Persia-ni, evidenzia però lo scarto esistente tra il testo del poeta antico e la pittura del suo contemporaneo, che non riesce a tradurre in immagine il disperato strapparsi delle vesti che caratterizza il Serse eschileo dinanzi alla sconfitta della flotta. Cf. inoltre Haa-se 1997, 154-157.

    22 Per i passi tratti dai Persiani la traduzione è di P. Volpe: cf. la premessa in questo volume, p. 7.

    23 Sul possibile humor nero che caratterizzerebbe la morte di Dadace cf. Garvie 2009, 162-163 ad 304-5.

    24 In Plu. Them. 14, 3 si evidenzia come Temistocle avesse scelto il momento opportuno per attaccare battaglia, attenden-do l’ora in cui si sollevavano il vento forte e conseguentemente le onde: ciò infatti avrebbe danneggiato le grandi e pesanti navi barbare, ma non quelle greche, basse e piccole.

    25 Per i valori metaforici attribuiti al mare cf. van Nes 1963, 30-70.

    26 Con l’espressione trascinati dalle onde tempestose P. Vol-pe rende il participio κυκώμενοι tradito dai manoscritti Lugd. Bat. Voss. gr. Q4A (O secondo i sigla dell’edizione teubneriana di

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    M.L. West) e Vindob. phil. gr. 197 (Ya): sui motivi per preferire κυκώμενοι a νικώμενοι, offerto dal resto della tradizione (com-preso il Laur. 32.9), mi sia consentito rinviare ad Amendola 2012, 11-22.

    27 La natura artificiale e complessa del ponte sembra evi-denziarsi a livello lessicale nell’impiego a v. 747 del composto σφυρήλατος.

    28 La folle colpa di Serse nello sconvolgere la natura è espli-citata con grandissima efficacia dal Petrarca nella settima stanza della canzone A Giacomo Colonna, perché secondi l’ impresa del Re di Francia contro gl’Infedeli, vv. 91-93: “Pon mente al temerario ardir di Serse, / Che fece, per calcar i nostri liti, / Di novi ponti oltrag-gio alla marina ...”.

    29 È probabile che i coreuti, ancora ignari della sconfitta a Salamina, vedano – ottimisticamente – in questa nuova capaci-tà di affrontare il mare un positivo momento di progresso nella storia e nelle potenzialità belliche dei Persiani, per i quali sem-brano così essersi aperti nuovi territori di conquista (cf. Garvie 2009, 47-48 ad 1-139; Medda 2010, 280). Proprio questa possibi-lità di oltrepassare il mare però consentirà a Serse di attraversa-re l’Ellesponto e di subire la terribile disfatta per mano dei Greci.

    30 Così Sidgwick 1903, 8 ad 112-4; Broadhead 1960, 57 ad 104-6; Garvie 2009, 83 ad 108-14: Cf. Pers. 722, dove μηχαναῖς in-dica il ponte di barche con cui Serse ha ‘aggiogato’ l’Ellesponto, creando un passaggio alle sue truppe. Atri commentatori, tra i quali e.g. Groeneboom 1960, 35 ad 112-113, ritengono diversa-mente che il sostantivo alluda alle sole navi.

    31 Si noti a v. 71 il composto πολύγομφος, appartenente, come il citato σφυρήλατος di v.747 (n. 27), al lessico della lavo-razione/fabbricazione.

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    32 Cf. Garvie 2009, 225 ad 745-51.

    33 Cf. il catalogo curato da Metzger 2003, 181-182.

    34 Zeising 1857, 231 interpreta – sorprendentemente – il personaggio come Glauco.

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  • 54

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    Zeising 1857 A. Zeising, Kaulbach‘s „Schlacht bei Salamis“, Deutsches Kunstblatt 8, 1857, 231-232.

  • 55

    Lo studio del lessico zoologico nel teatro tragico non può prescindere dall’analisi dell’uso figurato che i poeti fanno di esso: nelle tragedie eschilee superstiti si riscontra la presenza di quasi duecento immagini zoologiche, tra metafore e similitudini. Non si tratta di affrontare un’inutile e vuota caccia alle immagini, ma di rileggere, per così dire, spitzerianamente le tra-gedie eschilee, per cogliere ulteriori peculiarità lin-guistiche e stilistiche, per evidenziare i rapporti delle figure di pensiero e di parola col contesto. Si tratta di

    L’imagerie zoologica eschilea tra metafora e similitudine*

    Anna Caramico

    * Il presente lavoro è un estratto dall’Appendice della Tesi di Dottorato, elaborata sotto la guida congiunta della professo-ressa Volpe e del professore Antonio Garzya.

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    indagare lo stile eschileo partendo dall’esame di un campo semantico particolare, quello zoologico, che of-fre al poeta la possibilità di una grande creatività lin-guistica. L’indagine stilistica si configura dunque non come schematizzata e meccanica pratica strutturale, ma come punto di confine tra linguistica e estetica1.

    Già gli antichi scoliasti evidenziano i luoghi ‘zoo-logici’ figurati mediante associazioni sinonimiche, talvolta con sostituzioni perifrastiche, con lunghe spiegazioni contestuali, con riferimenti alla brachi-logia delle immagini, causa di confusione tra me-tafora e similitudine (come sottolinea spesso, p.es., l’espressione λείπει τὸ ὡς), con precisazioni termi-nologiche (da notare l’attenzione per gli hapax e per gli usi propriamente tragici delle immagini, sottoli-neati dal neutro avverbiale τραγικώτερον), con in-dicazioni di spostamenti semantici (ἀντὶ τοῦ) e di provenienza semantica o causalità attraverso pre-posizioni (ἐκ, ὑπό, διά), con avverbi e congiunzioni (δίκην, ἤτοι), con pronomi (οἷος, ἴσος), con locuzioni (σημαῖνον...παρά [oppure ἐκ], παροιμία ἐστὶν ἐπὶ..., τουτέστιν, κατὰ περίφρασιν, τρόπον, παράδειγμα, ἀπὸ μεταφορᾶς), con verbi (ἐκαλοῦντο, λέγει, λέγεται, φησίν, ἐστί), con circonlocuzioni verbali (δέον οὕτω εἰπεῖν), con avverbi (δεικτικῶς, κυρίως, περιφραστικῶς, τροπικῶς).

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    È utile delineare, come suggerisce Komornicka2 per l’opera di Aristofane, una sorta di morfologia dell’im-magine zoologica. Nelle tragedie di Eschilo si riscon-trano due tipi fondamentali di metafora: la cosiddetta metafora principale3 o continuata, lungamente tessu-ta, che si sviluppa in allegoria, una sorta di ‘nervatu-ra’ che accompagna lo svolgimento dell’azione dram-matica, come un autentico contrappunto tematico4 (p.es. il volo delle colombe alla vista dello sparviero nelle Supplici, il giogo nei Persiani, gli arnesi zootecni-ci nel Prometeo Incatenato, la bestia intrappolata nell’A-gamennone, la morsa del serpente nelle Coefore, la mu-ta di cani nelle Eumenidi) e la metafora secondaria5, semplice o abbreviata. Quest’ultima, dal punto di vi-sta sintattico, può articolarsi in una sola proposizio-ne (principale, anche interrogativa diretta6, o subordi-nata7) oppure in più proposizioni8, anche coordinate tra loro per asindeto9 e polisindeto; può anche essere costituita da proverbi10, perifrasi11, sinestesie12 e meta-morfosi/personificazioni13, o da un sostantivo14 (epi-teto metaforico che non si lascia applicare in manie-ra univoca a un termine proprio15, epiteto che è anche nome proprio16, hapax17, nome e attributo con copula εἶναι18 o con il verbo γίγνεσθαι19, nome collettivo20, voce onomatopeica21) o da più sostantivi (per esempio sostantivo usato metaforicamente e genitivus subiecti-

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    vus22, come due nomi in alleanza sintattica, di cui uno è genitivo di qualità, di possesso, di origine…23, oppu-re nome e metafora con funzione predicativa24, nome trasposto in unione con altre parti del discorso25, no-me in apposizione che determina un altro nome co-me sinonimo trasposto26), da un aggettivo qualifica-tivo (spesso composto27, anche hapax28 o proton29, voce onomatopeica30, aggettivo verbale31, aggettivo retto da γίγνομαι32, epiteto33, aggettivo al grado compara-tivo34), da un verbo35 (transitivo o intransitivo, anche con locuzioni prepositive36 e voci onomatopeiche37).

    Nel teatro eschileo si riscontrano sessantasei simi-litudini zoologiche. Diverse sono le forme morfosin-tattiche della comparazione: mediante congiunzione o tassema (ὡς, ὥστε, δίκαν/δίκην, τρόπον, ὥσπερ, ὡσπερεί, οὕτω), aggettivo o pronome relativo (οἷος, ὅσπερ), verbo di verosimiglianza, avverbio.

    Il dominio tematico delle metafore e delle simi-litudini consente di delineare un quadro del cosid-detto aspetto semantico. Raramente gli uomini sono protagonisti delle immagini, anche se, talvolta, com-paiono persone che svolgono il loro lavoro a contatto diretto con gli animali, come bovari, cacciatori, pesca-tori e aurighi. Un ruolo predominante nelle immagi-ni è svolto da bestie citate con nomi generici (δάκος, θήρ, θρέμμα, κνώδαλον, ὄρνις, οἰωνός), con no-

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    mi collettivi (βοτόν, μῆλον, ποιμανόριον, ποίμνη, ἑσμός, σμῆνος), con nomi specifici di uccelli (ἀηδών, αἰγυπιός, αἰετός, ἀλέκτωρ, κίρκος, κόραξ, κύκνος, πέλεια, χελιδών), insetti (ἀράχνη/ ἄραχνος, μέλισσα, μύρμηξ, οἶστρος), mammiferi domestici (βοῦς, ἵππος, κύων, πόρτις, πῶλος, ταύρος, χίμαιρα) e selvatici (λαγώς, λέαινα, λέων, λύκος, νεβρός), rettili (ἔχιδνα, ὄφις), pesci (θύννος) e animali fantastici (ἀμφίσβαινα, γρύψ, δράκαινα, δράκων). In quanto simboli gli ani-mali sono chiamati a rappresentare, attraverso le pro-prie affordances (ossia le qualità tipiche ricavabili dai comportamenti quotidiani), gli oggetti del pensiero umano nelle similitudini e nelle metafore: gli animali hanno la rara capacità di rappresentare insieme tanto gli aspetti esistenziali quanto quelli normativi della vi-ta umana38; perciò il gregge è chiamato a rappresentare eserciti, gruppi di donne, interi popoli, lo sciame delle api la laboriosità dei maschi e il sopraggiungere del-le malattie; i draghi per la ferocia dello sguardo sono rappresentanti di una generica malignità, i lupi del-la forza selvaggia, i serpenti sono l’esempio del ripu-gnante, il bue è citato per il peso, il cane (e la cagna) per la fedeltà, per l’amicizia, per la furia e per la capacità di attesa, il leone per la ferocia, il toro per la mascolinità (in contrapposizione alla vacca), l’anfisbena per l’odio-sità del temperamento, la colomba per la temerarietà,

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    il cavallo (più precisamente la cavalla e il puledro) per l’irruenza e l’istinto ribelle, lo sparviero per l’aggressi-vità, il corvo per l’empietà, le formiche per la laborio-sità, i cigni per la capacità di accettare con serenità la morte, gli avvoltoi per l’istinto a proteggere i piccoli, la capra perché animale da sacrificio, la rondine per il garrito simile a una lingua barbara, l’usignuolo per il canto lamentoso, il gallo per la boria, la lepre perché oggetto di caccia, il cerbiatto per la proverbiale velo-cità, il ragno per la capacità di intrappolare. È quindi interessante il ‘buon uso’ che il poeta fa di conoscenze zoologiche ancora embrionali: è il livello di funziona-lità dell’immagine che interessa e non il grado di tecni-cità. L’immagine zoologica permette di elaborare una caratterizzazione completa dei personaggi, sfruttando il confronto con le qualità che gli animali presentano in modo permanente e al sommo grado39.

    I cosiddetti metaforizzanti zoologici, ossia gli ele-menti che permettono l’attribuzione di una de no mi-nazione40 a un designatum originariamente ap par-tenente a campo semantico diverso, sono rappre sentati da sostantivi indicanti parti di animali (κέντρον, κέρας, πλεκτάνη, πλεκτή, πτερόν, πτέρυξ, χηλή) e da sostantivi indicanti strumenti usati per la cura o la cat-tura di animali (come nomi di vari tipi di rete, da caccia e da pesca, ἄγρευμα, ἀμφίβληστρον, ἄρκυς, βρόχος,

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    γάγγαμον, δίκτυον, ὁρκάνη, πάγη, nomi di strumen-ti usati per l’attacco di bovini, come il giogo e relative parti, ζεύγλη, ζεῦγος/ ζυγόν, nomi di strumenti per imbrigliare o incitare cavalli, come ἡνία, μάραγνα, μάστιξ, φιμός). Oggetto della metaforizzazione o ba-se della similitudine può essere una particolare con-dizione o situazione umana (la schiavitù, la guerra, il potere, la cattura, l’assoggettamento, la distruzione di città, le sciagure), relazioni affettive presenti e assenti (amicizia, matrimonio, solitudine), condizioni di im-possibilità di scelta relative a momenti contingenti (il dolore, la necessità, la rovina, la profezia); ma il mec-canismo della figurazione zoologica viene attivato an-che per la definizione di cose concrete come l’esercito, il vento, il cocchio, il sentiero, le frecce, i remi.

    La tragedia che presenta una maggiore ricchezza di immagini zoologiche è sicuramente l’ Agamennone (55) e, a seguire, le Coefore (27), le Supplici (26), le Eume-nidi (18), i Persiani (16), i Sette contro Tebe (15) e il Prome-teo (15). Occorre pure precisare che non esiste un vero e proprio luogo tragico prediletto da Eschilo per l’in-serzione delle immagini: esse sono però concentrate massimamente nella parodo, nel primo episodio, nel terzo episodio e nell’esodo; a questo proposito è stata stilata la tabella seguente in cui alle partizioni sceni-che corrispondono i luoghi figurati delle tragedie41:

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    Prologo Sept. 17, 53*, 60-61, 75; PV 88; Ag. 3*, 36; Eum. 26*, 110-113*, 132-33*, 136.

    Parodo Pers. 50, 71-72, 75, 82, 97-98, 128*, 138; Sept. 181; Suppl. 30, 61-62, 110, 143, 170; PV 135; Ag. 44, 50-61*, 114, 135, 218, 232*; Eum. 147-48, 155-57*, 159-60.

    Primo episodio Pers. 190-96, 386, 424*; Sept. 244; Sup-pl. 223-24*, 226, 299, 300, 306, 351-54*, 408-409, 430-31*, 511, Ch. 246-51, 258-59, 324-25, 375, 445-48, 463, 492, 493, 527*, 530, 544, 557-58; Eum. 181-82, 196-97, 246-47*.

    Primo stasimo Pers. 541-42, 574, 577-78, 594; Sept. 291-97*, 328*; Suppl. 530; Ag. 357, 360, 394*, 426, 450, 485; Ch. 621*.

    Secondo episodio Sept. 381*, 383*, 393*, 455*, 471*, 607-608, 614; PV 452-53*, 468; Ag. 529, 562, 606-608, 656-57; Ch. 753*; Eum. 427, 460-61, 466.

    Secondo stasimo Suppl. 642, 678-80, 684-85; Ag. 694*, 717-731; Ch. 794-99.

    Commo Sept. 692-94.

    Terzo episodio Pers. 722, 723; Sept. 793 ; Suppl. 734*, 751-52*, 758-59*, 760-61, 762-63*; PV 572, 672, 677, 691-92, 733, 795*, 799*, 803-804, 857-59*, 880; Ag. 795, 824, 827-28, 842, 896, 953*; Ch. 924, 928; Eum. 644 .

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    Terzo stasimo Suppl. 782*; Ch. 938.

    Quarto episodio Suppl. 886*, 895-898, 999-1000; Ag. 1050-51*, 1056-57, 1063*, 1066, 1071, 1093-94*, 1115, 1116-18, 1125-28, 1142-45*, 1223-25*, 1228-29*, 1232-34, 1257-1260, 1297-98*, 1316-17*.

    Esodo PV 1009-1010*, 1021-1022; Ag. 1375, 1382-83*, 1415-16, 1444-45*, 1472-74*, 1516-17, 1624, 1631, 1632, 1640-41*, 1660, 1671*; Ch. 981, 994-96, 998, 999-1000, 1022-23*, 1047, 1048-50*, 1054; Eum. 861*, 866, 942, 1001.

    Più difficile è stabilire il ruolo, o meglio la funzione, che le immagini zoologiche giocano nel teatro eschi-leo. In linea generale si può dire che esse possono ri-coprire tre funzioni principali all’interno del testo: 1) funzione denominativa, che permette al poeta di contrassegnare, mediante l’attribuzione di un nome particolarmente significativo o chiaramente ricono-scibile (spesso anche neologismo o perifrasi), cose che originariamente non hanno un nome proprio (è il caso, tanto per fare degli esempi, delle espressioni ζυγὸν δούλιον, ζυγὸν ἀλκᾶς, del sostantivo κέντρον usato in senso psicologico per indicare la «smania», dell’aggettivo μονόζυξ, delle voci onomatopeiche

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    indicanti versi e lamenti come δυσβάϋκτον); 2) fun-zione espressiva, mediante la quale il poeta riesce con maggiore immediatezza a far comprendere il proprio messaggio e a suscitare emozioni e sentimenti nel let-tore in uno scambio metateatrale (è il caso dell’assimi-lazione delle Gorgoni a dei mostri e a dei cani furiosi nel finale delle Coefore, vv. 1048 ss., dove la fantasia, stimolata dalla metafora, travalica il limite e, per effet-to suggestivo inaspettato, prolifera pericolosamente e trabocca nella realtà, generando l’evidenza delle figu-re terribili verbalmente evocate42; 3) funzione estetica (tipica soprattutto delle similitudini), ossia di decoro, di ornamento, attraverso la quale il poeta riesce a met-tere in risalto e ad abbellire l’idea che intende espri-mere, attraverso l’eliminazione degli attributi prosai-ci e triviali43.

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    NOTE

    1 Cf. Taillardat 1965, 6 n. 2.

    2 Cf. Komornicka 1964, 14 ss.

    3 Cf. Dumortier 1935, 1 ss.

    4 Cf. Mirto 1980, 299.

    5 Cf. Dumortier 1935, 114 ss.

    6 Cf. Suppl. 226.

    7 Cf. Pers. 50, 71-72, 722, Suppl. 760-61, Ch. 249-51.

    8 Cf. Pers. 126 ss., Ch. 794-99.

    9 Cf. Ch. 543-550.

    10 Cf. Ag. 36-37.

    11 Cf. Pers. 577-78, Suppl. 511, PV 803, 1022, Ag. 114, 135, 824.

    12 Cf. Ch. 463.

    13 Cf. Suppl. 895-97, Ag. 827-28, 896, 1125-28, 1258-59, Ch. 530, 937-38, 1047.

    14 Cf. Pers. 75, Ch. 492, 557-58, 924, 928, 981-82, 999-1000, Eum. 147-48, 427, 460-61, 644.

    15 Cf. Sept. 182.

    16 Cf. PV 733.

    17 Cf. Pers. 542.

    18 Cf. Ch. 1054.

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    19 Cf. Eum. 136.

    20 Cf. Suppl. 30, 642, 684, Eum. 197.

    21 Cf. Ag. 1631.

    22 Cf. Pers. 82, 594, Sept. 61, 74-75, 471, 793, PV 672, Ch. 246-49.

    23 Cf. Suppl. 170, PV 880, Ag. 44, 218, 1375, 1516, 1660, Ch. 258-59, 375, 998, Eum. 466, 1001-1002.

    24 Cf. Suppl. 299.

    25 Cf. Ag. 360, 1115.

    26 Cf. Ag. 1232-34.

    27 Cf. Suppl. 734, PV 88, 135.

    28 Cf. Pers. 130, Suppl. 62, PV 468, Ag. 795.

    29 Cf. Pers. 138.

    30 Cf. Pers. 574.

    31 Cf. Suppl. 143, Ag. 842.

    32 Cf. PV 677.

    33 Cf. Ag. 1257.

    34 Cf. Ag. 1632.

    35 Cf. Ch. 493.

    36 Cf. Pers. 191.

    37 Cf. Ag. 1118.

    38 Cf. Willis 1974, 9.

    39 Cf. Saïd 1992, 224.

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    40 Per la definizione del processo di denominazione cf. Tamba-Mecz-Veyne 1979, 77-98.

    41 Con l’asterisco si indicano le similitudini.

    42 Al v. 1054 Oreste esclama: σαφῶς γὰρ αἵδε μητρὸς ἔγκοτοι κύνες.

    43 Cf. il paragone delle supplici, nell’omonima tragedia, vv. 223-24, con uno stormo di colombe atterrite dai ‘fratelli’ sparvieri, ἐν ἅγνῶι δ’ ἐσμὸς ὣς πελειάδων / ἵζεσθε κίρκων τῶν ὁμοπτέρων φόβωι, o anche, sempre nelle Supplici, le ma-lattie associate all’immagine di uno sciame, v. 684-85, νούσων δ’ ἑσμός.

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    La ripresa dei generi tradizionali della lirica corale nelle odi della tragedia costituisce (come è stato mes-so in luce da varî studi apparsi negli ultimi venti anni) la trasposizione di forme originariamente destinate al culto e al rito in una performance teatrale inserita nel

    Il secondo stasimo dei Persiani di Eschilo: generi lirici e forma metrica*

    Giovanna Pace

    * L’origine del presente contributo è duplice: esso nasce da una parte dallo stimolo a occuparmi delle preghiere nella tra-gedia greca che (ormai quasi quindici anni orsono) ho ricevuto dalla prof.ssa Volpe, dall’altra dal suo avermi generosamente coinvolto (insieme a Stefano Amendola) nel progetto di una nuova edizione dei Persiani (con traduzione e commento) da lei coordinato. Una precedente versione è stata presentata nel corso di una lezione da me tenuta nel settembre 2014 presso la Scuola di metrica e ritmica greca dell’Università di Urbino.

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    contesto delle feste in onore di Dioniso: la tragedia, che per la sua natura mimetica si presta ad assimilare generi e linguaggi diversi1, presenta in questi casi rap-presentazioni fittizie di atti rituali e cultuali2. L’inse-rimento di forme e motivi dei generi lirici all’interno di un genere differente (di carattere finzionale) quale la tragedia comporta una loro decontestualizzazione3 e consente ai tragediografi una grande libertà nel loro utilizzo4: non avremo quindi in tragedia dirette imi-tazioni dei modelli lirici esistenti5, ma piuttosto canti che si richiamano variamente ai codici dei diversi ge-neri lirici, adattandoli o estendendoli (fino ad arrivare in alcuni casi allo stravolgimento delle convenzioni) o anche limitandosi ad alludervi6. In uno studio sul-la ripresa del peana in tragedia, Rutherford ha indi-viduato varî elementi che possono fungere da guida nell’indagine sulla relazione tra le odi della tragedia e la tradizione della lirica corale, segnalando tra questi anche la mescolanza di generi diversi.7

    Tale mescolanza appare evidente nel secondo sta-simo dei Persiani (633-680)8, nel quale il coro degli an-ziani, in risposta all’esortazione della regina (619-621), evoca il sovrano defunto, Dario, affinché, se conosce un rimedio, indichi un limite ai mali (631-632)9, con evidente riferimento alla sconfitta di Salamina, la cui notizia è stata portata dal messaggero nel primo epi-

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    sodio. Si assiste qui a una chiara divisione dei compi-ti nel rito10, in contrasto con quella che doveva essere la normale prassi: alla regina spetta compiere le liba-gioni, al coro intonare il canto (619-627)11. Se tale can-to ha evidentemente una funzione necromantica12, in esso si mescolano e in alcuni casi si fondono elementi che (pur potendo almeno in parte appartenere anche ai reali rituali di evocazione dei morti13) sono tipici di due generi tradizionali della lirica corale, l’inno cleti-co14 e il threnos15.

    La caratterizzazione del canto come inno cletico è evidente sin dalla sua presentazione, nelle parole del-la regina (620-621 ὕμνους ... ἀνακαλεῖσθε) e nella lo-ro ripresa da parte del coro, che nel preludio anape-stico descrive in maniera autoreferenziale16 l’azione che si accinge a compiere (625 ὕμνοις αἰτησόμεθα)17. Tale inno è singolare in quanto mira ad ottenere non l’apparizione di una divinità, ma (come si è detto) del fantasma del defunto Dario, al quale è però attribuita esplicitamente natura divina (620, 642 δαίμονα, 634 ἰσοδαίμων, 644 θεόν)18. In quanto finalizzato all’evo-cazione di un defunto, l’inno ha un duplice destinata-rio: da una parte gli dèi degli Inferi, invocati perché concedano al defunto Dario di risalire dal regno dei morti (626, 628-629, 640-641, 649-650)19, dall’altra parte lo stesso Dario, invocato affinché possa appari-

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    re (633-634, 657, 664 = 672, 667-668)20. Significativi in tal senso sono i verbi con i quali il coro si rivolge ai due diversi destinatari: per gli dèi degli Inferi πέμπω (630, 645; cf. anche ἀναπομπός a 649-650) e αἰνέω (643), per Dario imperativi di verbi di movimento, quali ἴθι, ἱκοῦ· ἔλθ’ (658-659), βάσκε (664 = 672) e φάνηθι (668), tipici dell’inno cletico21 (in particolare nella forma del tricolon di 658-65922).

    Anche l’elemento trenetico, evidente sia a livel-lo contenutistico che formale, si articola su due pia-ni differenti. Esso riguarda in primo luogo il sovrano defunto, con la presenza dei temi tipici del threnos, il compianto (647-648, col riferimento all’ὄχθος, 674 πολύκλαυτε) e l’elogio (645-646, 652-656)23, consi-stente nella rievocazione dei tempi felici del regno di Dario (in implicita opposizione con l’attuale rovina)24. In secondo luogo l’elemento trenetico è presente nel lamento per i Persiani caduti in battaglia, che, prean-nunciato a 638 come futura manifestazione verbale del coro stesso (παντάλαν’ἄχη διαβοάσω), trova com-piuta espressione a 668-671, 675-680. Sul piano for-male attengono all’elemento trenetico le interiezioni di dolore extra metrum, sia ripetute nei corrisponden-ti luoghi di strofe e antistrofe (ἠέ 651 = 656; οἴ 664 = 672), sia iterate all’inizio dell’epodo (αἰαῖ αἰαῖ 673)25. Infine a 664 = 672 si osserva la presenza di un efim-

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    nio, ossia la breve invocazione rituale collocata, in for-ma identica, al termine delle sezioni strofiche di un canto26: il refrain è tradizionalmente presente sia nella poesia innica sia nel threnos e nei rituali di evocazio-ne dei morti27 e non caso qui contiene sia un elemento propriamente cletico, l’imperativo del verbo di movi-mento βάσκε, sia un elemento propriamente treneti-co, l’esclamazione di dolore οἴ, mentre l’invocazione, con l’epiteto generico πάτερ, il nome proprio Δαριάν28 e l’aggettivo elogiativo ἄκακε, rimanda a convenzioni diffuse sia negli inni sia nei lamenti funebri29.

    Non solo la componente cletica e la componente trenetica si intrecciano all’interno dello stasimo, ma la seconda costituisce il fondamento della prima, co-me è mostrato dalle parole con le quali Dario descri-ve l’azione compiuta dal coro: ὑμεῖς δὲ θρηνεῖτ’ ἐγγὺς ἑστῶτες τάφου / καὶ ψυχαγωγοῖς ὀρθιάζοντες γόοις / οἰκτρῶς καλεῖσθέ μ’… “Anche voi, stando accanto alla tomba, levate un lamento, e con grida e gemiti evoca-tori di anime mi chiamate, e suscitate la mia pietà”30 (686-688)31. La richiesta dell’apparizione di Dario tro-va infatti la sua motivazione da una parte nel rimpian-to per il sovrano defunto, la cui natura straordinaria è più volte posta in evidenza, e dall’altra nel lamento sui mali presenti. I due elementi appaiono strettamente (anche se non esplicitamente) connessi: è proprio in

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    virtù dell’eccellenza di Dario che il coro gli chiede di apparire, per ascoltare le informazioni sulle recenti sventure (665-666) e rispondere alle sue domande (co-me si può evincere, pur in un contesto fortemente cor-rotto, da τί τάδε di 675). Come ho osservato altrove32, l’elemento trenetico (sia riferito al più lontano passato del regno di Dario e della sua morte, sia all’immediato passato della sconfitta dell’esercito persiano) costitui-sce quindi qui, singolarmente, quella che (nella defini-zione degli studiosi moderni) è la pars epica o sezione narrativa o argomentazione della preghiera di richie-sta (categoria nella quale si può far rientrare anche l’in-no cletico). Gli elementi tradizionali dell’inno cletico e del threnos sono stati quindi riplasmati da Eschilo (an-che grazie all’affinità tra i due generi33) in un canto che, lungi dal fondarsi su una mera ripresa di convenzioni legate al culto e al rito, appare perfettamente funziona-le alle esigenze dell’azione dramma tica34.

    Pur nella consapevolezza della necessità di un’e-strema cautela metodologica nell’individuare relazio-ni tra la metrica dei canti della tragedia e quella dei generi della lirica corale ai quali essi facciano even-tualmente riferimento35, per il secondo stasimo dei Persiani sembra possibile osservare un rapporto tra la mescolanza di elementi tipici dell’inno cletico e del threnos e la forma metrica del canto. I metri prevalen-

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    ti nelle tre coppie strofiche sono infatti gli eolici e gli ionici a minore: benché non sia possibile tracciare una distinzione rigida, i primi appaiono tendenzialmente associati all’elemento cletico (639, 643-644, 659-660 = 667-668), i secondi all’elemento trenetico (653-655, 669-671) o più genericamente elogiativo (634, 661-663). L’efimnio (664 = 672), contenente sia elementi cletici che trenetici (cf. supra), è interpretato da West36 come cr do, ma potrebbe anche essere considerato un gliconeo con base dattilica e soluzione della prima lun-ga del coriambo (fenomeno raro, ma attestato, anche in responsione con la forma non soluta37), equivalente a un ibiceo38: quest’ultimo è presente tra l’altro nell’in-no cletico di Aristoph. Thesm. 1136-1159 (in contesto eolo-coriambico e dattilico)39. Degno di nota è inoltre il colon , con il quale si aprono sia la pri-ma (633 = 640) sia la seconda coppia strofica (647 = 652) e che si presta ad essere interpretato sia in senso coriambico (dimetro ipercataletto) sia in senso ioni-co (dimetro preceduto da una sillaba lunga o procefa-lo): la sua collocazione in posizione incipitaria sem-bra infatti rivolta a segnalare la mescolanza tra metri eolici e ionici che caratterizza il canto; non a caso esso presenta nella prima coppia strofica contenuto cleti-co, nella seconda trenetico. La motivazione dell’asso-ciazione degli ionici agli elementi tipici del threnos

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    sembra da ricercare nella relazione oppositiva tra il secondo stasimo e la sezione lirica della parodo. In en-trambi i casi il metro ionico è posto in relazione con le vicende della storia persiana, ma mentre nella parodo esso marca la celebrazione della spedizione che Serse sta guidando e della potenza dell’esercito e del popolo persiano40, qui invece, dopo il racconto della sconfitta, gli ionici, con un significativo rovesciamento di pro-spettiva, accompagnano da una parte la celebrazione di un passato felice (il regno di Dario)41 di quello stes-so popolo e dall’altra il lamento per l’attuale distru-zione dell’esercito di Serse. Il metro ionico, in quanto comunemente associato con il mondo orientale (ele-mento che è evidentemente anche alla base della scel-ta di Eschilo), non conferisce quindi solo un generi-co colorito esotico o, per meglio dire, ‘persiano’ ai due canti42, ma assolve a una precisa e opposta funzione in relazione agli specifici contesti. L’associazione de-gli eolici all’elemento cletico dello stasimo sembra in-vece rimandare all’utilizzo di tali metri negli inni cle-tici della tradizione lirica, quali ad es. Sapph. frr. 1-2 Voigt; Alc. fr. 34 Voigt (in strofi saffiche, formate da tre endecasillabi saffici e un adonio), Anacr. PMG 348, 357 (= frr. 1, 14 Gent.) (in gliconei e ferecratei, con un di-metro coriambico in PMG 357); si veda anche l’Olimpi-ca 14 di Pindaro43 (ricca di cola eolici44), che si presenta

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    come un inno alle Cariti45; non sembra casuale che an-che Aristofane abbia utilizzato i metri eolici in alcune sezioni liriche che presentano la forma di un inno cle-tico46. L’utilizzo degli eolici in associazione con l’ele-mento cletico appare inoltre compatibile con una del-le funzioni individuate in Eschilo per questo tipo di cola da Liana Lomiento47, ossia quella di connotazione tematica e di enfatizzazione dell’aspetto emozionale: la richiesta dell’apparizione di Dario contiene infatti senza dubbio una forte componente emotiva. Diverso è quindi il rapporto delle due tipologie di metri con la tradizione precedente: la scelta degli eolici per le se-zioni cletiche sembra richiamarsi principalmente alle forme metriche del genere lirico di riferimento; quel-la degli ionici, metro originariamente utilizzato pres-so gli Ioni d’Asia48, appare invece rivolta a evidenziare il contenuto ‘persiano’ delle sezioni trenetiche, senza alcuna relazione evidente con le forme metriche dei threnoi a noi noti dalla tradizione letteraria49; a queste ultime può però forse rimandare il dimetro giambico-trocaico (638 = 645), attestato in alcuni threnoi pinda-rici (frr. 59, 5; 60 Cannatà Fera) e presente, in conte-sto luttuoso, anche in Pers. 257 = 26350. Nell’epodo, di contenuto trenetico, pur se il testo è molto corrotto, si individua con sicurezza almeno l’alcmanio cataletti-co in syllabam a 674 (e probabilmente anche, in forma

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    interamente spondaica, a 678). L’uso di tale sequenza può avere carattere tradizionale, dal momento che es-sa è attestata dalla documentazione epigrafica sia in contesto funebre (Peek 1960a, 4-5, epitaffio di Sinope del V sec. a. C.; Peek 747, 5. 7, epitaffio per Melissa, fi-glia di un meteco, del IV-III sec. a. C.51) sia in conte-sto cultuale (PMG 937, 5 = IG IV i2 129, un inno di Epi-dauro del III-II sec. a. C.)52; Eschilo la utilizzerà in Eum. 1040-1041 = 1044-1045 nell’esortazione alle Eumenidi a giungere benevole ad Atene, quindi in una sorta di inno cletico. Più in generale, non è da escludere che l’uso del metro dattilico per il lamento sulla sconfitta dei Persiani possa costituire un rovesciamento della comune funzione celebrativa di tale metro, in manie-ra analoga a quanto osservato per la duplice funzio-ne degli ionici all’interno della tragedia. L’intrecciar-si di elementi formali e tematici attinti da tradizioni e generi letterari differenti (e forse anche da pratiche rituali reali) sembra quindi trovare corrispondenza nella varietà metrica dello stasimo, la quale (come è segnalato a 636 dall’aggettivo παναίολ’(α), che carat-terizza in maniera autoreferenziale il canto del coro53) doveva riflettersi anche sul piano musicale.

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    NOTE

    1 Cf. Swift 2010, 26; Rodighiero 2012, 12 s.; si veda già Nagy 1990, 403.

    2 Cf. Segal 1996, 20; Calame 1997, 182 s.; Furley 1999-2000, 185. Su alcuni aspetti particolari cf. anche gli studi raccolti in Perusino-Colantonio 2007.

    3 Cf. Rodighiero 2012, 9 s.; Bagordo 2015, 52.

    4 Cf. Segal 1996, 20; Swift 2010, 26.

    5 Cf. Rutherford 1994-1995, 112; Swift 2010, 27, 369; Rodi-ghiero 2012, 11.

    6 Cf. Rutherford 1994-1995, 118. Bagordo 2015, 38 ha intro-dotto il concetto di ‘interazione’ per il rapporto dei canti corali della tragedia con i generi lirici.

    7 Rutherford 1994-1995, 118-121, in part. 120.

    8 Sul problema della possibilità di definire o meno ‘stasi-mo’ tale canto si veda lo status quaestionis in Garvie 2009, 257 s.

    9 Gruber 2009, 132 s. evidenzia come il canto del coro sia rivolto a ottenere l’aiuto di Dario; Di Donato 2010, 64 ne mette in risalto l’intento conoscitivo.

    10 Sull’introduzione di elementi della prassi rituale reale nei canti della tragedia che si richiamano ai generi della lirica corale cf. Bagordo 2015, 39.

    11 Sul significato e sulle motivazioni teatral