glossario ebraico

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GLOSSARIO A - L Adar: Dodicesimo mese del calendario ebraico corrispondente al periodo lunare febbraio-marzo. Sette volte in diciannove anni, con cadenza irregolare, adar si sdoppia creando un tredicesimo mese per riallineare il calendario ebraico (su base lunare) al calendario solare, così che la festività principale, Pèsach, possa essere celebrata sempre in primavera. ‘Alaw ha-shalom: Su di lui sia la pace. ‘Aliyyah (lett. “salita”): Termine comunemente usato per indicare la “salita” a Gerusalemme o in Terra d’Israele; designa anche la salita alla tribuna (bimà) per la lettura in sinagoga. ‘Al ha-nissim (lett. “per i miracoli”): Preghiera che si recita il primo giorno di Chanukkà. Amen (pronuncia yiddish omeyin): “Così sia!” Apiqoros (pl. apiqorsim; lett. “epicureo”): Eretico. ‘Aqedà (lett. “legamento”): Il modo con cui viene legata la vittima per il sacrificio. Per estensione indica l’episodio biblico del sacrificio di Isacco richiesto da Dio stesso ad Abramo (Genesi 22). ‘Aravà: Salice. Vedi Lulav. ‘Arelim: Gli incirconcisi, i pagani. Aron (lett. “arca”): È l’armadio, di solito riccamente ornato, che nelle sinagoghe custodisce i rotoli della Torà. È così chiamata per analogia con l’Arca Santa, che conteneva le Tavole della Legge. Nelle sinagoghe della diaspora è posta sulla parete rivolta verso Israele, mentre in Israele su quella rivolta verso il monte dove sorgeva il tempio. Ashkenaz (lett. “Germania”): Termine usato dal XVI secolo per indicare gli ebrei dell’Europa centrale e orientale di origine germanica (ashkenazim). L’ebreo ashkenazita si differenzia dagli altri ebrei per alcune pratiche rituali, per il formulario liturgico, per la pronuncia stessa della lingua ebraica. Av: Quinto mese del calendario ebraico corrispondente al periodo lunare luglio-agosto. Ba‘al Shem Tov (lett. “Signore del Nome Buono”): Isra’el Ben Eli‘ezer (1700 ca - 1760), fondatore del movimento chassidico dell’Europa orientale. Emblema del perfetto osservante. Ba‘al teshuvà (lett. “Signore del ritorno”): Pentito, detto dell’ebreo che torna all’osservanza o del peccatore che si ravvede. Bar (aramaico): “Figlio”, vedi Ben. Bar mizwà (lett. “figlio del precetto”) Detto del ragazzo che

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Page 1: Glossario ebraico

GLOSSARIO

A - L

Adar: Dodicesimo mese del calendario ebraico corrispondente al periodo lunare febbraio-marzo. Sette volte in diciannove anni, con cadenza irregolare, adar si sdoppia creando un tredicesimo mese per riallineare il calendario ebraico (su base lunare) al calendario solare, così che la festività principale, Pèsach, possa essere celebrata sempre in primavera.‘Alaw ha-shalom: Su di lui sia la pace.‘Aliyyah (lett. “salita”): Termine comunemente usato per indicare la “salita” a Gerusalemme o in Terra d’Israele; designa anche la salita alla tribuna (bimà) per la lettura in sinagoga.‘Al ha-nissim (lett. “per i miracoli”): Preghiera che si recita il primo giorno di Chanukkà.Amen (pronuncia yiddish omeyin): “Così sia!”Apiqoros (pl. apiqorsim; lett. “epicureo”): Eretico.‘Aqedà (lett. “legamento”): Il modo con cui viene legata la vittima per il sacrificio. Per estensione indica l’episodio biblico del sacrificio di Isacco richiesto da Dio stesso ad Abramo (Genesi 22).‘Aravà: Salice. Vedi Lulav.‘Arelim: Gli incirconcisi, i pagani.Aron (lett. “arca”): È l’armadio, di solito riccamente ornato, che nelle sinagoghe custodisce i rotoli della Torà. È così chiamata per analogia con l’Arca Santa, che conteneva le Tavole della Legge. Nelle sinagoghe della diaspora è posta sulla parete rivolta verso Israele, mentre in Israele su quella rivolta verso il monte dove sorgeva il tempio.Ashkenaz (lett. “Germania”): Termine usato dal XVI secolo per indicare gli ebrei dell’Europa centrale e orientale di origine germanica (ashkenazim). L’ebreo ashkenazita si differenzia dagli altri ebrei per alcune pratiche rituali, per il formulario liturgico, per la pronuncia stessa della lingua ebraica.Av: Quinto mese del calendario ebraico corrispondente al periodo lunare luglio-agosto.

Ba‘al Shem Tov (lett. “Signore del Nome Buono”): Isra’el Ben Eli‘ezer (1700 ca - 1760), fondatore del movimento chassidico dell’Europa orientale. Emblema del perfetto osservante.Ba‘al teshuvà (lett. “Signore del ritorno”): Pentito, detto dell’ebreo che torna all’osservanza o del peccatore che si ravvede.Bar (aramaico): “Figlio”, vedi Ben.Bar mizwà (lett. “figlio del precetto”) Detto del ragazzo che compie la maturità religiosa (a tredici anni), assumendo diritti e doveri dell’adulto. Sta a indicare anche la cerimonia relativa, che si celebra in sinagoga, in cui il ragazzo per la prima volta davanti all’assemblea legge la Torà.Barekhu (lett. “benedite”): Formula liturgica di benedizione che introduce le preghiere del mattino e della sera, e la lettura sinagogale della Torà. Barekhu et-Adonay ha-mevorakh “Benedite il Signore degno di benedizione”. Barekhu et-Adonay ha-mevorakh le-‘olam wa-‘ed “Benedetto il Signore degno di benedizione per sempre e oltre”, è la risposta dell’assemblea.Bat: Figlia.Bat mizwà (lett. “figlia del precetto”): Cerimonia in cui la giovane ebrea, che ha compiuto i dodici anni, acquisisce lo statuto di “donna” e ne assume gli obblighi di carattere cultuale. È di recente istituzione e non è praticata in tutto il mondo ebraico.Baygel (dal tedesco beugel, “pane rotondo fatto di farina bianca”): Il baygel era considerato una leccornia nell’Europa orientale, dove gli ebrei poveri mangiavano soprattutto pane nero.Behemah (pl. behemot, “animale”): Ignorante, imbecille.Ben (lett. “figlio”): Prima che i cognomi divenissero di uso comune, un ebreo era conosciuto tramite il suo nome e il nome del padre, per esempio: Yochanan Ben Zakkay. Talvolta si utilizzava bar, che è l’equivalente aramaico, per esempio: Shimon Bar Kokhba.Berakhà (pl. berakhot): Benedizione.Berit milà: Patto della circoncisione. Si celebra nell’ottavo giorno dalla nascita di un figlio maschio e consiste nell’asportazione del prepuzio del neonato in memoria del patto stipulato tra Dio e il suo popolo (Genesi 17,11-12). In questa occasione viene imposto il nome. La cerimonia è prescritta anche per il convertito all’ebraismo.

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Bet midrash: Casa di studio.Bimà: Tribuna, podio dell’officiante nella sinagoga da dove si legge la Torà o si recitano le preghiere. Presso i sefarditi e gli italiani il podio è detto tevà.Birkat ha-mazon: Benedizione del pasto.Blintzes: Specie di frittelle ripiene dolci o salate, a base di farina e uova, di origine russa.Bobemeise: In yiddish bobe “nonna” e meise, dall’ebraico ma‘aseh, “fatto”. Dunque, storia della nonna, ossia favola.Borsht: (yiddish) Zuppa di barbabietole.

Cabbala: Vedi Qabbalà.Chadas: Mirto. Vedi Lulav.Challà (pl. challot): Pane a forma di treccia leggermente dolce che viene consumato durante i pasti dello shabbat. Si dice anche della porzione di impasto bruciata in memoria della decima spettante ai sacerdoti del tempio.Chanukkà (lett. “dedicazione”): Festa delle luci, in memoria della riconsacrazione del tempio dopo la vittoria dei Maccabei sui greci nel 164 a.e.v. e la riedificazione dell’altare profanato. Si celebra dalla sera del 24 del mese di kislev al 2 del mese di tevet. Dura otto giorni, durante i quali si accendono progressivamente le otto luci della chanukkiyyà.Chanukkiyyà: Candelabro a otto braccia, vedi Chanukkà.Chassid (pl. Chassidim; lett. “pio”): Membro della corrente mistico-popolare (chassidismo) nata nell’Europa orientale del XVIII secolo per opera di Isra’el Ben Eli‘ezer (1700 ca - 1760) noto col titolo di Ba‘al Shem, o Ba‘al Shem Tov (Signore del Nome Buono).Chazzan: Funzionario sinagogale, principalmente addetto al canto, che assiste o sostituisce il rabbino nella liturgia.Cheder (lett. “camera”): Si tratta del locale o della scuola primaria in cui una volta venivano insegnati l’ebraico e i rudimenti della religione. I bambini ebrei cominciavano lo studio della Torà dall’età di tre anni.Cheshwan: Ottavo mese del calendario ebraico corrispondente al periodo lunare ottobre-novembre.Chokhmà: Saggezza. In senso ironico il termine chukhem, saggio, è anche usato per designare chi è completamente sprovvisto di saggezza.Cholent (yiddish): Piatto tradizionale del sabato, fatto con fagioli, patate, carne, ossi, orzo e altri ingredienti. Viene cotto il venerdì per lo shabbat, giorno in cui è vietato cucinare e accendere il fuoco.Chumash (lett. “cinquina”): Da chamesh, cinque, indica i libri di Mosè, cioè i libri del Pentateuco che compongono la Torà.

Daven (yiddish): Pregare.Dibbuq (lett. “possessione”): Spirito maligno o demone. È generalmente l’anima di una persona morta che non trova pace e penetra in una persona vivente. Nel folklore ebraico il dibbuq è una sorta di vampiro. È anche il titolo della più celebre pièce del repertorio yiddish di Sholem An-Ski del 1918.Dreidel: Tremine yiddish per “trottola” (in ebraico sevivon), tradizionale gioco dei bambini in occasione della festa di Chanukkà.

Elul: Sesto mese del calendario ebraico corrispondente al periodo lunare agosto-settembre.Eretz israel Terra di Israele.Etrog Frutto del cedro.

Farbrengen (yiddish): Lo stare insieme festoso.

Gan ‘Èden: Giardino dell’Eden. Secondo la credenza popolare ebraica, il giardino dell’Eden sarebbe situato fra il Tigri e l’Eufrate. È usato come sinonimo di Paradiso.Geenna (in ebraico Ghe Hinnom): Stretta e profonda gola nella valle di Hinnom, sotto le mura dell’antica Gerusalemme, dove venivano gettati i cadaveri dei lapidati e le immondizie che bruciavano col fuoco perenne. Simbolo di castighi e tormenti eterni.

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Gefilte fish: Piatto ebraico. Pesce (normalmente la carpa) ripieno di altro pesce macinato con spezie.Ghemarà (aramaico; lett. “conclusione” o “compimento”): Parte del Talmud che raccoglie le discussioni sulla Mishnà sviluppatesi tra i secoli IV-VI e.v.Gòlem: Materia o massa senza forma. Nella tradizione successiva indica un essere di creta animato dal nome di Dio e creato per la difesa e il servizio degli ebrei del ghetto. Il più famoso, oggetto di molte opere letterarie, è quello attribuito a rabbi Loew di Praga nel XVI secolo.Goy (pl. goyim) Il non ebreo, il gentile.Goyshkeit (yiddish): In generale la cultura non ebraica o gentile.Gvèret: Signora.

Haftarà (pl. haftarot): Una delle sezioni in cui sono divisi i libri profetici della Bibbia ebraica in vista della lettura liturgica settimanale. Le corrispondenti sezioni della Torà sono dette parashot (sing. parashah).Haggadà: Racconto, narrazione. Genere letterario che comprende i testi narrativi della tradizione rabbinica. In particolare indica il testo che narra dell’esodo dall’Egitto e che viene letto durante il sèder.akhsharà: Fattoria-scuola, dove si svolge l’addestramento sia pratico (soprattutto al lavoro agricolo) sia intellettuale in preparazione all’emigrazione in Terra d’Israele.Halakhà (lett. “via”): La parte normativa della Torà scritta e orale.Halvah: Torrone morbido fatto con semi di sesamo.a-motzi’ (lett. “colui che fa uscire [il pane dalla terra]”): Benedizione sul pane prima del pasto.Ha-Shem (lett. “il nome”): Sostituto reverenziale del nome divino Jhwh.Ha-Shomer ha-Tza‘ir: Giovane Guardia. Movimento giovanile ebraico di sinistra particolarmente impegnato nella creazione e difesa anche armata del kibbutz, attivo prevalentemente tra il 1909 e il 1920. Le sue funzioni furono assorbite successivamente dalla Haganà. Attualmente si tratta di un movimento giovanile di sinistra particolarmente legato al kibbutz.Havdalà (lett. “separazione”): Cerimonia di chiusura dello shabbat che distingue il tempo sacro da quello profano.

Iyyar: Secondo mese del calendario ebraico corrispondente al periodo lunare aprile-maggio.

Jehovah: Vocabolo artificiale nato da una traslitterazione delle consonanti yhwh o jhwh, yod he waw he, a cui sono state erroneamente aggiunte le vocali di Adonai, Signore, il nome con cui si sostituisce l’impronunciabile nome divino.

Kashem (yiddish) Cereali macinati con i quali si cucina una specie di polenta di contorno.Kasher (lett. “adatto”): Detto di ciò che è conforme alla kasherut, cioè alla norma biblica, contenuta principalmente nel libro del Levitico, e rabbinica sulla purità dei cibi permessi, sul modo di cucinarli e servirli. È relativa anche ai tessuti, ai libri sacri, utensili ecc. Per ciò che riguarda gli animali sono considerati puri i quadrupedi ruminanti dallo zoccolo biforcuto (ovini e bovini); i pesci dotati di pinne e squame; e i volatili non rapaci.Kasherut: Vedi kasher.Ketuvim (lett. “scritti”): Terza parte della Bibbia ebraica comprendente gli agiografi: Salmi, Giobbe, Proverbi, Rut, Cantico dei cantici, Ecclesiaste (o Qohelet), Lamentazioni, Ester, Daniele, Esdra-Neemia, Cronache.Khelm Città della Polonia nella quale gli ebrei ashkenaziti hanno vissuto per più di mille anni. Nella tradizione ebraica occidentale a Khelm si incarna il pantheon dell’imbecillità; è la città dei Khelmer Narunim, gli sciocchi che si ritenevano dei saggi.Kibbud av: L’onorare il padre.Kippà (yiddish, yarmulka): Zucchetto. Copricapo tipico degli ebrei, portato in sinagoga e in altri luoghi sacri, come un cimitero, e costantemente indossato dagli osservanti.Kippur: “Espiazione”. Vedi Yom Kippur.Kislew: Nono mese del calendario ebraico corrispondente al periodo lunare novembre-dicembre.Kol nidrè (aramaico, in ebraico kol nedarim, lett. “tutti i voti”): Formula di annullamento dei voti

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cantata in apertura dello Yom Kippur.Krepl (yiddish, pl. kreplach) Sorta di ravioli ripieni di carne, serviti in brodo.

Ladino: Una varietà dello spagnolo castigliano del XV secolo con molte parole ebraiche e arabe, parlato dagli ebrei espulsi dalla Spagna nel 1492 e tuttora usato soprattutto nei paesi del Mediterraneo orientale.Latkes (yiddish): Frittelle di patate che gli ebrei ashkenaziti consumano in occasione della festa di Chanukkà.Le-chayyim (più comune le-chaim): “Alla vita!” È il brindisi che si pronuncia mentre si alza il bicchiere prima di bere del vino o un alcolico, l’equivalente di “Alla salute!”.Lulav: Fronda di palma (lulav). Durante la festa di Sukkot indica l’intero mazzo composto anche dal mirto (chadas), dal salice (‘aravà) e dal frutto del cedro (etrog).M - Z

Maftir (lett. “colui che conclude”): Designa il lettore che conclude la lettura sinagogale della Torà ripetendo gli ultimi tre versetti della parashà e leggendo la relativa haftarà.Magghid Predicatore itinerante che aveva un ruolo assai importante nel mantenimento dei legami culturali e religiosi delle comunità ebraiche dell’Europa dell’Est. A piedi o su un carretto, andava di shtetl in shtetl per insegnare, predicare, raccontare, confortare; si dedicava anzitutto ai più poveri della comunità. I sermoni del magghid erano spesso inframmezzati da racconti e storielle improvvisate. Il magghid più celebre è il Grande Magghid Dov Baer, discendente del Baal Shem.Mame (yiddish , “mamma, madre”): Padrona dell’universo, appena dopo Dio padre. “Una madre ebraica è anzitutto cento tonnellate al secondo d’amore zuccherato, infornate a forza nella gola dell’adorato bambino” (A. Sénik).Mameloshen (dall’ebraico lashon “lingua”): Indica la lingua madre o lo yiddish stesso.Marrano (in spagnolo “maiale”): È il termine spregiativo con cui i cattolici spagnoli del XVI secolo designavano gli ebrei convertiti forzatamente sotto l’Inquisizione e costretti al battesimo, ma che continuavano a praticare in segreto il loro ebraismo. Spesso costoro fuggirono in altri paesi più tolleranti, come il Nord Africa, l’Italia, il Nord America, i Paesi Bassi, la Turchia.Mashìach: Consacrato, unto. All’origine, nell’Antico Testamento, designava i re (gli “Unti dal Signore”) e i sacerdoti. In seguito il termine indicò il Messia in senso proprio, la cui apparizione sarebbe la diretta anticipazione del “mondo a venire”. La traduzione greca è Christòs, da cui Cristo, “colui che è unto”.Massèket (lett. “trama, tessuto”): In generale, trattato, della Mishnà o del Talmud.Mazal tov (lett. “buona stella”): Espressione di augurio.Mazzà (pl. mazzot; yiddish, matze) È il pane azzimo, mangiato dagli ebrei nel periodo di Pèsach, la Pasqua ebraica. Infatti, durante questa festa non si deve consumare alcun cibo lievitato in ricordo del pane che gli ebrei, in fuga dall’Egitto nel XIII secolo a.e.v., mangiarono non potendo attendere che la pasta lievitasse.Meghillà (pl. meghillot): Rotolo. Trattato della Mishnà che si occupa della lettura del libro di Ester durante Purim, varie letture sinagogali per lo shabbat o per altre festività e digiuni, e norme per la cura della sinagoga e degli oggetti rituali. Al plurale designa i cinque libri biblici del Cantico dei cantici, di Rut, delle Lamentazioni, di Qohelet e di Ester. Nel linguaggio popolare, “Non farne una meghillà” significa “Risparmiami i dettagli, vieni al sodo”.Menorà: Lucerna. Si tratta del candelabro a sette braccia, presente nel cortile del tempio, che è divenuto emblema tradizionale dell’ebraismo e dello stato di Israele.Meshugghe (yiddish): Matto da legare, folle.Mezuzà: Piccolo astuccio metallico contenente una pergamena con passi biblici (Deuteronomio 6,4-9; 11,13-21) che, secondo l’applicazione letterale di Deuteronomio 6,9, è fissata allo stipite destro della porta di casa, come per consacrarla e indicare che è sotto la protezione di Dio.Midrash (da darash “cercare”, “domandare”): Genere letterario che caratterizza l’instancabile attività di indagine della parola rivelata e codificata nel Tanak, e indica sia il metodo esegetico che la produzione letteraria relativa. I testi midrashici sono stati composti tra il II e il XV secolo e.v. e possono essere di carattere normativo (halachico) od omiletico (haggadico).Milà: Vedi .

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Minchà La preghiera che si recita nel pomeriggio, in corrispondenza del sacrificio pomeridiano che si celebrava nel tempio.Minyan: Secondo l’ebraismo ortodosso, numero minimo di dieci maschi ebrei circoncisi e maggiorenni (dai tredici anni d’età) perché un servizio in sinagoga abbia carattere comunitario e non di semplice studio e commento delle Scritture. L’eventuale presenza di donne non contribuisce al raggiungimento del minyan. Nell’ebraismo riformato o progressista è richiesta la presenza di almeno dieci persone (maschi o femmine non importa, anche il rabbino può essere maschio o femmina) ebree maggiorenni.Miqwè: Raccolta d’acqua corrente. Il bagno rituale che ogni fidanzata ebrea deve fare prima del matrimonio, e che le donne religiose fanno al termine del periodo mestruale e dopo aver partorito. Il miqwè è prescritto in numerose altre occasioni, come il rito di conversione all’ebraismo, e coinvolge anche gli uomini. Miqwè indica anche il locale in cui si adempie al precetto.Mishnà: Dal verbo ebraico che significa “recitare le lezioni”, “ripassare”. La Mishnà, che è il codice della tradizione orale, è divenuta una delle due parti del Talmud (la seconda, è la Ghemarà). La redazione finale della Mishnà risale alla fine del II secolo e.v. e comprende 63 trattati divisi in 6 ordini riguardanti la normativa cultuale, i rapporti sociali, il diritto civile e penale, il matrimonio ecc.Mitnagghed (lett. “oppositore”): Ebrei razionalisti, oppositori dei mistici e dei chassidim.Mizwà (pl. mitzwot; lett. “comandamento”): Precetto contenuto nella Torà, indica anche la buona azione.Modè anì: “Io Ti ringrazio”, prime parole della preghiera del mattino.Mohel: Circoncisore. Vedi Berit milà.Moshè rabbenu (lett. “Mosè, nostro Maestro”): Modo abituale di menzionare Mosè.Musaf: Preghiera aggiuntiva del Sabato e delle festività. Originariamente era il sacrificio festivo aggiunto, offerto nel Santuario secondo la prescrizione di Numeri 28,9-15.

Nar(dal tedesco narr): Idiota, buffone.Nebekh (dal cèco neboky): Poveraccio, simile a shlemil (vedi).Neshamà: Anima.Nevi’im: Seconda parte della Bibbia ebraica che raccoglie i libri dei Profeti: anteriori (Giosuè, Giudici, 1 e 2 Samuele, 1 e 2 Re); posteriori (Isaia, Geremia, Ezechiele e i dodici profeti minori: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Nahum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia).Nisan: Primo mese del calendario ebraico corrispondente al periodo lunare marzo-aprile.Nu: Intercalare yiddish, corrispondente circa al nostro “allora...”, “andiamo avanti...”Nudnel (yiddish) Probabilmente deriva dal russo nudna, “scocciatore”, “rompiscatole”. Seccatore del genere umano.

Oy: Una delle interiezioni preferite degli ebrei originari dell’Europa dell’Est. Si contano non meno di trenta espressioni di sentimenti esprimibili con lo oy: tra cui la sorpresa, la paura, la tristezza, la gioia, l’euforia, il sollievo, l’incertezza ecc.

Parashà (“sezione”): È la porzione settimanale del testo della Torà letto in sinagoga durante la celebrazione dello shabbat.Pe’ot (lett. “riccioli”): Si tratta dei boccoli portati dagli ebrei ultraortodossi secondo le istruzioni di Levitico 19,27: “Non vi taglierete in tondo i capelli ai lati del capo, e non ti raderai i lati della barba”.Pèsach (pronuncia yiddish Peysech): Pasqua, la più amata fra le feste ebraiche, che commemora la liberazione di Israele dalla schiavitù in Egitto, il cui racconto si trova nel libro dell’Esodo. Si celebra dal 15 al 21 (22) di nisan e prevede la consumazione di cibi non lievitati e la cena rituale del sèder.Petzel (yiddish): Pene.Pilpul (da pilpel, pepe): Dibattito, argomentazione dialettica. Si tratta di una forma assai sofisticata di analisi e di discussione utilizzata nello studio del Talmud, spesso così esasperata da venire osteggiata da alcuni studiosi.Pirqè Avot: Capitoli dei padri. Trattato etico della Mishnà contenente insegnamenti di maestri a

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partire dalla rivelazione sul monte Sinai fino al ii secolo e.v.Purim: Sorti, la festa che commemora la liberazione degli ebrei di Persia dal complotto ordito contro di loro da Haman, il primo ministro del re Assuero di Persia, nel v secolo a.e.v. ed è narrata nel libro di Ester. Si celebra il 14 di adar. È la festa più allegra del calendario ebraico, molto simile come spirito al carnevale cristiano.

Qabbalà (o Cabbala): Ricezione. Designa in particolare la tradizione mistica orale, e in seguito codificata in forma scritta, che, a partire dal secolo XII secolo e.v. sviluppa le tradizioni mistiche precedenti in un complesso sistema che sta anche alla base del chassidismo.Qabbalat shabbat (pronuncia yiddish, Kabbolas Shobbos; lett. “accoglienza del sabato”): Cerimonia del venerdì sera che celebra l’inizio dello shabbat.Qaddish (in aramaico “santo”): È una preghiera che glorifica il nome di Dio, recitata alla fine dell’ufficio sinagogale. È la più solenne e una delle più antiche preghiere ebraiche, probabile fonte del Padre nostro. Si recita in occasione di funerali e anniversari.Qedushà (lett. “santificazione”): Secondo la Mishnà è la terza delle Diciotto benedizioni quotidiane. Formula liturgica, derivata da Isaia 6,3, pronunciata durante il culto pubblico dello shabbat e delle feste. Il Sanctus della tradizione cristiana.Qeriat Shema‘: La recita dello Shema‘.Qiddush (lett. “consacrazione”): Benedizione sul vino recitata la sera del venerdì per l’inizio dello shabbat e in altre occasioni festive.Qiddush ha-Shem: Santificazione del nome di Dio, originariamente identificata con il martirio accettato in alternativa all’uso della violenza o all’apostasia, cioè alla profanazione del nome divino (chillul ha-Shem).

Rabbi o Rav: Maestro, rabbino.Rabbi Nachman di Brazlav (1772 - 1811): Pronipote del Ba‘al Shem Tov (vedi), fondatore del chassidismo, e fondatore egli stesso della dinastia chassidica che porta il suo nome. Autore di racconti che s’iscrivono nella tradizione mistica dell’ebraismo, è considerato uno dei massimi maestri del chassidismo.Ramban: Acrostico di Moshè Ben Nachman (1194 - 1270) conosciuto anche come Nachmanide. Insieme a Rashì e a Avraham Ibn Ezra (1089 - 1164) completa il quadro dei grandi commentatori ebrei medievali. rashi Acrostico di Rabbi Shelomò Izchaqì (1040 ca - 1105), il più autorevole commentatore medievale della Bibbia e del Talmud.Rebbe (pronuncia ashkenazita dell’ebraico rabbi): Il capo di una comunità chassidica.Rosh ha-Shanà: Capodanno ebraico, celebrato il primo giorno del mese di tishrì in Israele, i primi due nella diaspora. Festa di carattere penitenziale, è caratterizzata dal suono dello shofar.

Shnorrer (yiddish): Accattone, scroccone.Sèder (lett. “ordine”): L’ordine delle cerimonie e delle azioni che si svolgono durante la cena pasquale (per estensione indica anche la cena stessa nel suo insieme) celebrata la prima sera di Pèsach in Israele, nella diaspora anche la seconda.Sefardita (da Sefarad, “Spagna”): Spagnolo. Designa gli ebrei spagnoli e portoghesi e i loro discendenti presenti in molti paesi della diaspora.Sèfer Torà (pronuncia yiddish, Seyfer Torà): Libro della Torà. Semikhà (lett. “imposizione [delle mani]”): Rito di ordinazione rabbinica a conclusione del ciclo di studi.Shabbat (yiddish, shobbos, shabbos, shabbes): Sabato. Giorno di riposo in memoria del settimo giorno della creazione, in cui Dio stesso si riposò. Inizia il venerdì sera appena prima del tramonto del sole e termina il sabato sera, con l’apparizione della prima stella nel cielo. Durante questo intervallo di tempo l’ebreo praticante deve abbandonare tutte le sue occupazioni abituali per non pensare che a Dio. Tra i divieti dello shabbat (la legislazione rabbinica ne indica 39) si contano la cucina, il lavoro manuale, i viaggi, la scrittura, la transazione di denaro, il trasporto di oggetti all’esterno ecc.Shabbat Bereshit (lett. “sabato del Genesi”): Il sabato successivo a Simchat Torà in cui riprende il ciclo di lettura annuale della Torà.Shacharit: Preghiera mattutina che comprende, tra le altre preghiere, la recita dello Shema‘.

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Shadday: Convenzionalmente “Onnipotente”, uno dei nomi di Dio.Shadkhan (yiddish shadkhen): Mediatore matrimoniale. Dato che i matrimoni ebraici tradizionali erano, nella maggioranza dei casi, mediati dai capofamiglia, lo shadkhan aveva un ruolo fondamentale come intermediario nella vita ebraica tradizionale di un tempo.Shalom ‘Alekhem: “La pace su di voi”. Saluto tradizionale ebraico. Nella pronuncia yiddish (Sholem Aleichem) è il nome d’arte di Shalom Rabinovitch (Perejaslav, Ucraina, 1859 - New York 1916), il più celebre autore in lingua yiddish.Shalom bayt: Pace della casa, pace domestica.Shammash (pronuncia yiddish shames; “servitore”): Lo scaccino, il tuttofare della sinagoga.Shavu‘ot: “Settimane”. Festività primaverile che in origine celebrava le primizie e la mietitura. Cade sette settimane dopo Pèsach (il 6 di siwan, anche il 7 nella diaspora) e commemora il giorno in cui venne data la Torà al popolo ebraico.Shechità: Macellazione rituale secondo le norme previste dalla kasherut (vedi kasher).Shekhinà: La Gloria divina nel suo aspetto immanente, la Divina presenza che segue Israele ovunque, anche nell’esilio. Nella mistica ebraica indica anche il lato femminile di Dio.Sheloshim: I primi trenta giorni di lutto che fanno seguito ai primi sette di lutto stretto, Shiv‘à, durante i quali ci si astiene dal taglio dei capelli e della barba, dall’indossare abiti nuovi ecc.Shema‘ Yisra’el. adonay elohenu, adonay echad: La professione di fede ebraica formata da tre sezioni bibliche (Deuteronomio 6,4-9; 11,13-21; Numeri 15,37-41) e che inizia con le parole: “Shema‘ Yisra’el... Ascolta Israele. Il Signore Dio nostro, il Signore è uno”. Si recita due volte al giorno, mentre il primo versetto rappresenta l’ultima preghiera prima di addormentarsi e in punto di morte.Sheminì ‘azèret: Festa dell’adunanza a chiusura delle celebrazioni autunnali, celebrata il 22 di tishrì. Nella diaspora rappresenta l’ottavo giorno di Sukkot.Shevat: Undicesimo mese del calendario ebraico corrispondente al periodo lunare gennaio-febbraio.Shiksa: Ragazza non ebrea.Shiv‘à: Il periodo di sette giorni di lutto stretto che si osserva in casa del defunto, durante il quale gli amici vanno a trovare e confortano i parenti, i quali siedono scalzi su bassi sgabelli.Shlemiel (yiddish). “Uno shlemiel”, dice la tradizione orale, “è uno che cade di schiena e si graffia il naso”. È lo sciocco, l’idiota del villaggio, lo stupido tradizionale.Shmaltz (yiddish, dal tedesco schmalz, “grasso”, “materia grassa”): Presso gli ebrei dell’Europa dell’Est lo shmaltz, fatto con il grasso d’oca, sostituiva il burro sulle tartine. Ma, su un altro registro, shmaltz è soprattutto l’espressione consacrata del pathos, di una sentimentalità esagerata, di un discorso lacrimoso, un’emozione facile, una banalità insulsa che appesta ormai anche il mondo non ebraico.Shoà: Termine di origine biblica che indica una catastrofe improvvisa, individuale o collettiva, causata dall’ira di Dio o dalla ferocia di un nemico. Con esso si designa oggi la persecuzione e lo sterminio degli ebrei scatenata in Europa soprattutto dai nazisti di Hitler dalla fine degli anni Trenta e per tutto il periodo della seconda guerra mondiale, e culminata con l’annientamento di circa sei milioni di persone nei numerosi campi di sterminio situati principalmente in Germania e in Polonia. Nel mondo di lingua inglese si utilizza di preferenza il termine Holocaust.Shochèt: Macellaio rituale che esegue la macellazione degli animali secondo le norme della shechità, che consistono essenzialmente nell’evitare la sofferenza all’animale e nel dissanguarlo completamente.Shofar: Corno di montone o stambecco. Secondo la tradizione il suono dello shofar ricorda il sacrificio di Abramo (chiamato da Dio a immolare il figlio Isacco, sostituito all’ultimo istante da un ariete - Genesi 22,1-18) e annuncerà l’arrivo del Messia. Usato in alcune festività religiose (Rosh Ha-Shanà, Kippur) viene oggi impiegato in Israele anche per avvenimenti particolarmente solenni della vita civile.Shul (yiddish, lett. “scuola”): Sinagoga.Shulchan ‘arukh (lett. “tavola apparecchiata”): Codificazione di tutto il giure ebraico nei suoi più svariati aspetti. Opera del talmudista Joseph Caro (Toledo 1485 - Safed 1575).Shtetl (yiddish, pl. shtetlakh): Diminutivo dal tedesco stadt, “città”. Cittadina, villaggio, specificamente delle comunità ebraiche dell’Europa orientale.

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Siddur (“ordine”): Nel mondo di tradizione ashkenazita è il libro di preghiere che contiene la liturgia quotidiana e quella dello shabbat. Nel mondo sefardita tale formulario è detto tefillà.Sidrah (lett. “ordine”, “sezione”, pl. sedarot): Sezione della Torà per la lettura liturgica settimanale (sinonimo di parashà). La Torà è suddivisa in 54 sedarot.Simchat Torà (lett. “gioia della Torà”): Festa a conclusione del ciclo annuale di lettura della Torà, celebrata il 22 di tishrì (il 23 nella diaspora). Durante la celebrazione in sinagoga i fedeli portano in processione i rotoli della Torà girando sette volte intorno alla bimà.Sitrà achrà (aramaico): L’Altra Parte (di Dio), la parte sinistra, cioè il potere demoniaco, satanico.Siwan Terzo mese del calendario ebraico corrispondente al periodo lunare maggio-giugno.Sukkà (pl. sukkot): Capanna. Indica anche il trattato della Mishnà che riguarda la festa di Sukkot.Sukkot (lett. “capanne”): Festa che segue di cinque giorni lo Yom Kippur, dura dal 15 al 22 di tishrì, e si conclude con Simchat Torà. È prescritta la costruzione all’aperto di una capanna di frasche in cui consumare i pasti e pregare in memoria della permanenza del popolo di Israele nel deserto durante l’esodo dall’Egitto. Festa originariamente agricola, per la vendemmia e la raccolta dei frutti. In questa circostanza si utilizza il lulav, mazzo di frasche diverse, durante il culto e si legge Qohelet.

Tallit (pronuncia italiana, talled): Manto bianco spesso orlato di strisce nere o blu e con le frange rituali ai quattro angoli secondo il dettato di Numeri 15,37-41, indossato dagli uomini durante la preghiera del mattino. Gli osservanti ne portano costantemente uno più piccolo (tallit qatan) sotto gli abiti.Talmid chakham Discepolo di un saggio o, nella tradizione rabbinica, il saggio stesso. Il talmid chakham rappresenta l’uomo ideale dell’ebraismo, colui che si situa alla sommità della scala gerarchica ebraica della stima.Talmud (lett. “studio”): Riunisce la Mishnà e la Ghemarà e raccoglie l’insieme delle discussioni rabbiniche risalenti al periodo tra il IV e il VI secolo e.v. Ne esistono due redazioni: una più ampia e autorevole, Babilonese (che raccoglie oltre a materiale giuridico e normativo, anche leggende, vite di maestri, preghiere, detti, midrash ecc.); e una più breve, Palestinese o di Gerusalemme.Tammuz: Quarto mese del calendario ebraico corrispondente al periodo lunare giugno-luglio.Tanak: Acrostico che indica l’insieme delle tre parti della Bibbia ebraica: Torà, Nevi’im (Profeti); Ketuvim (Agiografi).Taref: Indica tutto ciò che non è kasher.Tate, tatele, tatechi (yiddish): Papà, babbo. Cfr. Mame.Tefillà: Vedi siddur.Tefillin: Filatteri. Piccoli astucci di cuoio contenenti quattro brani biblici (Esodo 13,1-10 e 13,11-16; Deuteronomio 6,4-9 e 6,13-21) scritti su pergamena, che vengono legate sul braccio sinistro e sulla fronte dell’ebreo maschio adulto (dai tredici anni) durante la preghiera dei giorni feriali, secondo un’interpretazione letterale di Deuteronomio 6,8.Tevà: Vedi bimà. Tevet Quarto mese del calendario ebraico corrispondente al periodo lunare dicembre-gennaio.Tish‘à be-av (lett. “nove di av”): Giorno di digiuno in commemorazione delle distruzioni del primo e del secondo tempio di Gerusalemme, avvenute l’una nel 587-586 a.e.v. e l’altra nel 70 e.v.,Tishrì: Settimo mese del calendario ebraico corrispondente al periodo lunare settembre-ottobre.Torà (lett. “insegnamento”, “legge”): È la legge data da Dio a Mosè sul monte Sinai. La Torà scritta consiste nei primi cinque libri della Bibbia (Pentateuco): Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio. La Torà orale è la tradizione dei maestri raccolta nelle opere della letteratura rabbinica e mai conclusa.Tosafot (pronuncia yiddish, tosefos; lett. “aggiunte”) Glosse marginali di commento al testo talmudico di Rashì a opera dei suoi discepoli.Tzaddiq (lett. “giusto”, pl. tzaddiqim): Nella tradizione chassidica indica il maestro, la guida spirituale di una cerchia di chassidim di un determinato luogo, per esempio il Gerer, cioè il rabbi di Ger; il Lubavitcher, cioè il rabbi di Lubavitch.Tzitzit: Fiocco o frangia che, secondo il comando di Numeri 15,37-41, si porta attaccato ai quattro angoli del tallit o a uno scapolare (tallit qatan).

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Yah Ribbon ‘Olam (pronuncia yiddish Yoh Ribbon Olom) “Signore, padrone dell’universo”; inizio di un inno sabbatico composto da Isra’el ben Mosheh Najara.Yarmulka Vedi kippà.Yeshivà: Scuola di studi talmudici; accademia rabbinica.Yid (yiddish): Ebreo. Un uomo, è sottinteso, nel vero senso del termine.Yiddish: Lingua parlata dalla maggioranza degli ebrei ashkenaziti (di origine tedesca). Nel suo stadio più antico è una varietà del Mittelhochdeutsch, con elementi lessicali ebraici, slavi e neolatini e viene scritto in caratteri ebraici.Yiddishkeit: Lo spirito yiddish. Tutto ciò che ha a che fare con lo yiddish (cfr. il suffisso tedesco -keit che designa i sostantivi astratti, in italiano yiddishità, se così si può dire), che ne deriva, che ne fa parte integrante.Yom ha-‘Atzma’ut: Festa celebrata il giorno 5 del mese di iyyar che commemora l’indipendenza dello stato d’Israele proclamata il 14 maggio 1948 e definita dal rabbinato festa religiosa.Yom Kippur (lett. “giorno dell’espiazione”): Giorno di digiuno e di preghiera per la espiazione e il perdono delle colpe, celebrato il 10 del mese di tishrì. In questa sola occasione il sommo sacerdote nel tempio pronunciava il nome di Dio all’interno del Santo dei santi. Attualmente in sinagoga la celebrazione prevede una solenne confessione dei peccati e il suono dello shofar.Yom tov: Giorno di festa.

Zaftig (yiddish): Detto di donna dalla corporatura formosa.Zemirà (pl. zemirot): Inni, canti, che si recitano durante i pasti dello shabbat.Zòhar: Splendore. Opera principale della Qabbalà, scritta in aramaico. Considerata dai mistici ebrei un libro sacro e attribuita tradizionalmente a rabbi Shimon Ben Jochay (II secolo e.v.), è probabilmente opera di Moshè de Leon (XIII secolo).