giuseppe di raimondo 3^i giacomo matteotti scuola media statale dante alighieri

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• GIUSEPPE DI RAIMONDO 3^I • GIACOMO MATTEOTTI SCUOLA MEDIA STATALE “DANTE alighieri”

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Page 1: GIUSEPPE DI RAIMONDO 3^I GIACOMO MATTEOTTI SCUOLA MEDIA STATALE DANTE alighieri

• GIUSEPPE DI RAIMONDO 3^I • GIACOMO MATTEOTTI• SCUOLA MEDIA STATALE “DANTE alighieri”

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Matteotti

La vita

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• Giacomo Matteotti nasce a Fratta Polesine il 22 maggio 1885 da famiglia benestante. Secondo di tre figli frequenta il Liceo-ginnasio  “Celio” di Rovigo e si laurea in giurisprudenza all’università di Bologna con una tesi sulla “recidiva”. Fin dagli anni universitari si collega con il movimento socialista di cui diviene rapidamente un esponente di primo piano conducendo, in prima persona, le battaglie dei lavoratori agrari del Polesine. Durante la I guerra mondiale è deciso neutralista e viene per questo dispensato dal servizio militare attivo  e internato in Sicilia. Dopo la guerra diventa consigliere comunale, sindaco e, infine, deputato. Il fascismo che combatte inizialmente è quello organizzato dagli agrari, particolarmente violento e attivo nelle campagne venete e romagnole. E’ vittima, per questo, più di una volta, di aggressioni da parte di  “squadristi”. Nella complessa geografia politica del socialismo italiano occupa una posizione centrale . Il suo “programma minimo” deve essere realizzato attraverso le autonomie dei comuni e il governo delle città da parte delle forze operaie e contadine e, soprattutto, attraverso l’estensione di una rete capillare e diffusa sul territorio di associazionismo e di cooperazione. Le “leghe”, le organizzazioni di massa, le forme di lotta e di rappresentanza  sindacali hanno per lui la preminenza sul ruolo del partito. Com’è tradizione del socialismo italiano influenzano la sua azione politica tanto la visione movimentista-sindacalista di Sorel, quanto il pensiero di Antonio Labriola.  

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• Come segretario del Psu svolge una politica costantemente unitaria, attento a non accentuare le differenze esistenti fra le tradizionali componenti del socialismo italiano: quella riformista e quella massimalista. Rivolge, invece, grande attenzione agli esponenti moderati che hanno assunto da sempre una posizione di chiara opposizione al fascismo (i liberali come Gobetti e Amendola). Il raggiungimento, da parte delle classi subalterne, delle elementari forme di democrazia costituisce una premessa indispensabile per ulteriori conquiste delle forze socialiste. “Cosmopolita” e “internazionalista” convinto, viaggia molto in Europa e stabilisce una serie di rapporti con i socialisti francesi, tedeschi e, soprattutto, britannici.  Il suo ultimo scritto “Mussolini, Machiavelli and the fascism” appare in un giornale inglese, English life, pochi giorni prima della sua morte. Dai banchi del Parlamento polemizza costantemente con gli avversari confermandosi un avversario irriducibile dei fascisti che, dopo la vittoria elettorale del “listone”, intendono consolidare il loro potere e non sopportano alcuna forma di opposizione. Le sue ultime battaglie di parlamentare e di giornalista, prima della sua uccisione, producono, principalmente: a) la denuncia del clima di intimidazioni che ha caratterizzato le elezioni del 1924 b) la denuncia dell’Affaire Sanclaire, la convenzione con la società americane produttrice di petroli  che vede implicati la famiglia Mussolini e la casa regnante

c) la pubblicazione di un libro-denuncia  sulle sopraffazioni fasciste (Un anno di malgoverno fascista) di cui intende proporre una seconda edizione d) la contestazione, cifre alla mano, del bilancio presentato dal governo. Quando viene rapito ha appena compiuto trentanove anni.

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• Il discorso pronunciato da Giacomo Matteotti il 30 maggio 1924 alla Camera dei deputati costituisce, oltre che un duro attacco ai suoi avversari politici, un esempio  un piccolo gioiello di analisi storico-politica. Nel corso del suo intervento il deputato del Partito socialista unitario accusò esplicitamente il regime fascista - che andava gradualmente estendendo la sua influenza nel paese dopo il successo elettorale dello stesso anno  - di violenze, intimidazioni e frodi, sia nel corso della campagna elettorale sia durante le operazioni di voto nei seggi. Il fascismo, nel corso del biennio 1922-24, aveva operato su un doppio binario: uno legale ed uno relativamente clandestino e illegale. Da un lato il gabinetto Mussolini cercava l’accordo con le forze politiche di centro-destra, liberali e cattolici; dall’altro operava, grazie alla sua milizia, con interventi violenti ed intimidatori, contro gli esponenti dei partiti di opposizione. In questo clima si giunse allo scioglimento della Camera, il 28 gennaio 1924. Le nuove elezioni furono regolate dalla legge-Acerbo, legge elettorale che consentiva alla lista che avesse conseguito almeno il venticinque per cento dei suffragi di ottenere in Parlamento i due terzi dei seggi.  Palese era - dunque - lo scopo di rafforzare in maniera decisiva il nuovo potere fascista. Del “listone” presentato dal Pnf fecero parte anche uomini politici esterni allo stesso Pnf, che confidavano di smussare le asperità del movimento capeggiato da Mussolini e di ricondurlo su un piano di normalità costituzionale.

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• Sull’altro fronte i partiti dell’opposizione si scontrarono circa l’opportunità di prendere parte o meno alla tornata elettorale. Particolarmente duro fu lo scontro tra il Psu dello stesso Matteotti ed il Pcd’I di Togliatti, Gramsci, Terracini: i primi erano contrari alla partecipazione, i secondi favorevoli, per non lasciar campo libero al fascismo. La campagna elettorale fu di una violenza inaudita, caratterizzata dagli interventi pesanti delle squadracce fasciste. E di questo clima rovente si fece testimone Matteotti nel suo discorso che, tra l’altro, fu l’ultimo che pronunciò prima del suo assassinio, avvenuto il 10 giugno 1924. L’intervento si svolse in un’atmosfera rissosa, caratterizzata da attacchi ad personam, a opera dei principali esponenti del Pnf, a partire da Roberto Farinacci. Matteotti proseguì comunque nel suo discorso, apostrofando, spesso con ironia, le accuse e le invettive dei fascisti.

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• Nel corso del suo intervento, più volte interrotto, egli chiese, in primo luogo, la non convalida delle elezioni del 6 aprile, proprio in ragione delle violenze che ne avevano caratterizzato lo svolgimento. A tale proposito ricordò fatti di gravità eccezionale, a partire dalle minacce contro i notai che avessero autenticato le firme necessarie per la presentazione delle liste e dai sequestri, ad opera della milizia, dei fogli con le firme già autenticate. Minacce – accusava-  arrivavano addirittura a coloro che avevano intenzione di candidarsi alle elezioni. A tal proposito Matteotti portò l’esempio dell’onorevole Piccinini, assassinato per aver accettato la candidatura.

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• Matteotti ricordò anche la conferenza dell’onorevole Gonzales a Genova, che fu impedita “a furia di bastonate” dagli squadristi. Ricordò episodi dello stesso tipo verificatisi a Napoli, nel corso di un comizio di Amendola. Proseguendo fra le frequenti interruzioni il deputato socialista ricordò che le pressioni si fecero ancor più pesanti ed evidenti anche all’interno dei seggi elettorali: i rappresentanti delle liste di opposizione erano pressoché assenti, mentre quelli del Pnf spadroneggiavano, spalleggiati dalla milizia fascista, alla quale era affidata la cura del servizio d’ordine nei seggi. I componenti della milizia giunsero addirittura a entrare nelle cabine elettorali, mentre gli elettori votavano, condizionandone la scelta finale. Al momento dello spoglio i voti furono cambiati ed attribuiti al “listone”. Le schede bianche furono crociate a favore dei candidati fascisti.

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• Solo nei centri di maggior visibilità, posti sotto un maggior controllo da parte dell’opinione pubblica, le milizie fasciste si trattennero. Proprio in tali centri, godendo di un’insolita libertà, “le minoranze raccolsero una tale abbondanza di suffragi, da superare la maggioranza, con questa conseguenza però, che la violenza che non si era avuta prima delle elezioni, si ebbe dopo le elezioni”. Nel Sud si fece incetta dei certificati e i destinatari, per paura di ritorsioni, non si recarono a votare. Quindi le medesime persone, usando tali certificati, votarono anche dieci volte e “giovani di 20 anni si presentarono ai seggi e votarono a nome di qualcheduno che aveva compiuto 60 anni”. Pochi furono i seggi in cui tale pratica fu impedita.