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GIURISPRUDENZA DELLE IMPOSTE Fascicolo 1 - Annata 2019 - Vol. n. XCII diretta da Loredana Carpentieri, Carlo Longobardo, Marco Miccinesi, Francesco Pistolesi, Dario Stevanato, Ivan Vacca DOTTRINA Antonio Guidara La cd. Rottamazione fiscale ter tra i condoni del 2018 1 Maria Grazia Ortoleva La compensazione dei debiti iscritti a ruolo con i crediti commerciali fra esigenze di tutela patrimoniale del contribuente e limiti alla spesa pubblica 21 Francesco Tuccillo Il regime della prescrizione nei reati tributari dopo la “saga” Taricco e le recenti riforme 67

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GIURISPRUDENZA DELLE IMPOSTE Fascicolo 1 - Annata 2019 - Vol. n. XCII

diretta da Loredana Carpentieri, Carlo Longobardo, Marco Miccinesi, Francesco

Pistolesi, Dario Stevanato, Ivan Vacca

DOTTRINA

Antonio Guidara La cd. Rottamazione fiscale ter tra i condoni del 2018 1

Maria Grazia Ortoleva La compensazione dei debiti iscritti a ruolo con i crediti commerciali fra esigenze di tutela patrimoniale del contribuente e limiti alla spesa pubblica 21 Francesco Tuccillo Il regime della prescrizione nei reati tributari dopo la “saga” Taricco e le recenti riforme 67

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A.Guidara, La cd. Rottamazione fiscale ter…

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Antonio Guidara La cd. Rottamazione fiscale ter tra i condoni del 2018* Abstract: Si analizza il recente condono della definizione agevolata dei carichi

affidati all’agente della riscossione, meglio nota come rottamazione fiscale ter,

mettendone a fuoco caratteristiche essenziali (natura del condono, ambito di

operatività, procedimento, perfezionamento del condono ed effetti), ma anche

differenze ed interferenze con altre rottamazioni, rapporti con altri condoni e con il

sovraindebitamento.

The recent tax amnesty of the facilitated definition of the credits entrusted to the

collection agent, better known as rottamazione ter, is analyzed focusing on its

essential characteristics (nature of the amnesty, scope of operation, proceeding,

improvement of the amnesty and effects), but also differences and interference with

other scraps, relations with other amnesties and with over-indebtedness.

SOMMARIO: 1. Premessa – 2. Natura del condono e ambito di operatività – 3.

Procedimento – 4. Perfezionamento del condono ed effetti – 5. Differenze ed

interferenze con altre rottamazioni – 6. Interferenze con altri condoni – 7.

Rapporti con il sovraindebitamento.

1. Premessa

La legislazione tributaria della fine del 2018 è significativamente contraddistinta dal

“ritorno” dei condoni fiscali. La maggior parte di essi è stata introdotta con il DL 23

ottobre 2018, n.119 (disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria): si tratta dei

condoni previsti dagli artt.1-9, diversi per contenuti e disciplina (riguardando ora

sanzioni ed interessi ora anche i tributi, coinvolgendo ampie platee di contribuenti

ma anche specifici soggetti, operando su richiesta del singolo ma talora anche

automaticamente, presentando tempi e modalità di pagamento differenti, ecc.)1.

* Pubblicazione sottoposta a revisione anonima da parte di un componente del Comitato di valutazione scientifica della rivista. 1 Sono le definizioni agevolate dei processi verbali di constatazione (art.1), degli atti del procedimento di accertamento (art.2), dei carichi affidati all’agente della riscossione (art.3), dei carichi affidati all’agente della riscossione a titolo di risorse proprie dell’Unione europea (art.5), delle controversie tributarie (art.6), delle imposte di consumo dovute ai sensi dell’articolo 62 quater, commi 1 e 1 bis, del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 (art.7), lo stralcio dei debiti fino a mille euro affidati agli agenti della riscossione dal 2000 al 2010

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GIURISPRUDENZA DELLE IMPOSTE n. 1-2019

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Altri interventi si sono avuti con la legge 17 dicembre 2018, n.136, di conversione del

cit. DL: risalta il nuovo condono del-le irregolarità fiscali, di cui all’art.9 DL

119/2018, introdotto in sostituzione della dichiarazione integrativa speciale (di cui al

testo originario dell’art.9 cit.) dalla legge di conversione, la quale ha comunque

rivisitato gli altri condoni. Altri ancora si rinvengono tra le pieghe della legge di

bilancio per il 2019, n.145 del 30 dicembre 2018; si tratta essenzialmente del cd.

saldo e stralcio dei carichi affidati all’agente della riscossione (di cui all’art.1, commi

184 e seguenti) per i soggetti con ISEE fino a ventimila euro, ma anche del più

favorevole saldo e stralcio in favore dei soggetti per cui è aperta (alla data di

presentazione della dichiarazione di condono) la procedura concorsuale della

liquidazione ex articolo 14 ter della legge 27 gennaio 2012, n.3 (di cui all’art.1,

comma 188).

Un così massiccio uso dei condoni non si registrava dal 2002, con la legge 27

dicembre 2002, n.2892; e per quanto vi siano importanti e apprezzabili discontinuità

col passato (in particolare, non si ripropone la formula del cd. condono cd. tombale

ed è venuta meno quella della dichiarazione integrativa, originariamente prevista) il

giudizio non può che essere negativo: infatti, campeggia al di là delle ipocrisie

lessicali3, il fine pressoché esclusivo di fare cassa, a discapito di ragionevolezza e

giustizia distributiva propri di ogni sistema tributario evoluto, e si vanifica d’emblée

quell’auspicato traghettamento verso un “fisco civile”4, che le esperienze successive

al 2002 sembravano in via di principio cominciare a testimoniare5. E non si può

(art.4), la regolarizzazione con versamento volontario di periodi d’imposta precedenti (art.8), la dichiarazione integrativa speciale (art.9). 2 Cfr. artt.7 ss. della stessa. 3 Così, la parola condono non compare, neppure in sue derivazioni, in nessuno degli articoli del DL 119/2018 né nelle rubriche, ricorrendo piuttosto formule ambigue (quali “definizione agevolata” o “regolarizzazione” e, addirittura, “pacificazione fiscale”, come nella rubrica del capo I del DL 119/2018 cit.). 4 L’espressione è presa in prestito da G. FALSITTA, Per un fisco civile. Casi, critiche e proposte, Milano, 1996, ove dell’“inciviltà” del fisco italiano si fa il filo conduttore di numerosi interventi di stampa, raccolti appunto nel summenzionato volume. 5 L’auspicio che «l’atavica consuetudine di introdurre periodicamente definizioni agevolate che alterano gli ordinari criteri di quantificazione dei tributi sia finalmente finita» è espresso da più parti: di recente e nei termini riferiti G. INGRAO, Condono tributario in Diritto on line, Enciclopedia Treccani (www.treccani.it), §.5. Critiche ai diversi condoni tributari sono sollevate in dottrina; ex multis su quelli del 2002 si vedano ad es.: A. FANTOZZI, Concordati, condoni e collette in Riv. Dir. Trib., 2003, I, p.200 ss.; G. FALSITTA, Condoni fiscali tra rottura di regole costituzionali e violazioni comunitarie in Fisco 2003, p.1786 ss., nonché in G. FALSITTA, Giustizia Tributaria e tirannia fiscale, Milano, 2010, p.295 ss. (cui si farà riferimento in prosieguo); R. LUPI, Autotassazione, modelli culturali e condoni fiscali in Rass. trib., 2004, p.153 ss. Più in generale sui condoni fiscali, oltre agli autori citati, si vedano ad es.: G. PASSARO, Condono nel diritto tributario in Dig. Disc. Priv. Sez. Comm., III, Torino, 1988, p.383 ss.; F. PICCIAREDDA, Condono (dir. trib.) in Enc. Giur. Treccani, 1988; C.

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A.Guidara, La cd. Rottamazione fiscale ter…

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neppure escludere un’ulteriore condanna della Corte di Giustizia (del tenore di

quelle espresse negli anni 2008), nella misura in cui alcuni dei nuovi condoni si

traducano in una rinuncia preventiva e indiscriminata alla riscossione dell’IVA o di

altre risorse dell’Unione europea6; come pure e nelle stesse situazioni, non si

possono escludere disapplicazioni delle disposizioni di condono per contrasto con il

diritto UE da parte dei giudici interni, alla stregua di quanto peraltro già accaduto7.

Tuttavia, non si vogliono esprimere in questa sede giudizi sui nuovi condoni, che

per quanto in qualche modo anticipati andrebbero comunque specificati e

circostanziati, ma piuttosto si vuole prestare attenzione ad uno di essi: la definizione

agevolata dei carichi affidati all’agente della riscossione, di cui all’art.3 del DL

119/2018. Si guarda ad essa: vuoi perché ha un notevole impatto sociale, in sé ma

anche perché entra in relazione con le procedure concorsuali del

sovraindebitamento di sempre maggiore diffusione, che ne amplificano la portata;

vuoi perché ripropone, sia pure con contenuti parzialmente differenti, gli omologhi

condoni introdotti nel 2016 e nel 2017 (nell’ordine ex art.6 DL 22 ottobre 2016,

n.193, come convertito dalla legge 1 dicembre 2016, n.225, e art.1 DL ottobre 2017,

n.148, come convertito dalla legge 4 dicembre 2017, n.172), con i quali entra

inevitabilmente in rapporto; vuoi perché vi è una sovrapposizione di altre misure di

condono, coeve (quali lo stralcio dei debiti fino a mille euro affidati agli agenti della

riscossione, di cui all’art.4 del DL 119/2018) e successive (come il cd. saldo e stralcio

dei cari-chi affidati all’agente della riscossione, di cui all’art.1, commi 184 e 185 della

legge 145/2018).

Si aggiunge che: la definizione agevolata di cui trattasi è meglio nota come

rottamazione fiscale, al pari delle altre definizioni che l’hanno preceduta nel 2016 e

nel 2017 (di cui si è detto), e più esattamente come rottamazione ter o terza

PREZIOSI, Il condono fiscale, Milano, 1987; F. BATISTONI FERRARA, Condono (diritto tributario), in Enc. Dir., Agg. V, 2001, p.250 ss. 6 I riferimenti sono alle sentenze della Corte di Giustizia: 17 luglio 2008, C-132/06, in relazione ai condoni di cui agli artt.8 e 9 della legge 27 dicembre 2002, n. 289; 11 dicembre 2008, causa C-174/07, intervenuta sull’art.2, comma 44, della legge 24 dicembre 2003, n.350, di estensione all’anno 2002 dell’applicazione dei condoni di cui agli artt.8 e 9 citt. La posizione della Corte in proposito è ribadita da altre successive pronunce, quali: 29 marzo 2012, causa C-500/10; 7 aprile 2016, causa C-546/14; 16 marzo 2017, causa C-493/15. 7 Cfr. ad es.: Cass. 9 febbraio 2010, n.2826; Cass. SS. UU. 17 febbraio 2010, n. 3674. E sempre con riferimento all’IVA, per avere contezza della portata della disapplicazione della norma interna per contrasto con il diritto UE, può essere interessante notare come ad analoghe conclusioni (di disapplicazione della norma interna) si giunga di recente con riferimento alla regola di infalcidiabilità dell’IVA nel sovraindebitamento, di cui all’art.7, comma 1, della legge 3 del 27 gennaio 2012, movendo proprio dalle sentenze della Corte di Giustizia (richiamate nella nota precedente): cfr. ad es. A. GUIDARA, L’infalcidiabilità dell’iva e delle ritenute nel sovraindebitamento: tra diritto UE e diritto interno in Riv. Dir. Trib. 2018, p.652 ss. ovvero Trib. La Spezia 10 settembre 2018 in Il caso.it (www.ilcaso.it).

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GIURISPRUDENZA DELLE IMPOSTE n. 1-2019

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rottamazione, appunto per distinguerla dalle precedenti; ed anche in questi termini

si farà riferimento ad essa nel prosieguo. L’esposizione che se ne fa è nelle linee

essenziali, anche perché la nuova rottamazione è in continuità con le precedenti, su

cui si è scritto parecchio8. Piuttosto, si vogliono evidenziare alcune particolarità,

come anche alcune interferenze con altri istituti, spesso neppure previste dal

legislatore, al fine di aggiungere al taglio prevalentemente descrittivo del presente

lavoro qualche considerazione, che possa agevolare una ricostruzione d’insieme e la

soluzione di problemi che già si profilano.

2. Natura del condono e ambito di operatività

2.1. L’art.3 DL 119/2018 prevede che «i debiti … risultanti dai singoli carichi affidati

agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2017, possono essere

estinti, senza corrispondere le sanzioni comprese in tali carichi, gli interessi di mora

di cui all’articolo 30, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29

settembre 1973, n. 602, ovvero le sanzioni e le somme aggiuntive di cui all’articolo

27, comma 1, del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n.46» mediante il versamento

delle «somme: a) affidate all’agente della riscossione a titolo di capitale e interessi;

b) maturate a favore dell’agente della riscossione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto

legislativo 13 aprile 1999, n.112, a titolo di aggio sulle somme di cui alla lettera a) e di

rimborso delle spese per le procedure esecutive e di notifica della cartella di

pagamento»9.

8 In via esemplificativa si vedano: L. LOVECCHIO, La nuova “rottamazione” delle cartelle di pagamento in Boll. Trib. 2016, p.1532 ss.; F. PISTOLESI, La rottamazione delle liti tributarie alla luce delle norme attuative e dei chiarimenti dell’Agenzia in Corr. Trib. 2017, p.2515 ss.; D. CARNIMEO, Rottamazione dei ruoli: la rinuncia al ricorso non salva dalla condanna al pagamento delle spese processuali in Boll. Trib. 2017, p.967 ss.; M. V. SERRANÒ, Il condono fiscale tramite la rottamazione dei ruoli considerazioni a margine del d.l. n. 193/2016 in Boll. Trib. 2017, p.1149 ss.; S. PELLEGRI, Effetti sul contenzioso dell’“impegno a rinunciare” assunto con l’istanza di rottamazione dei ruoli in Corr. Trib. 2017, p.1175 ss.; M. BUSICO, La rottamazione dei ruoli: momento di perfezionamento del procedimento ed effetti sui giudizi pendenti in Riv. Giur. Trib. 2017, p.792 ss.; C. CORRADO OLIVA, La rottamazione non si applica agli avvisi di accertamento non esecutivi in Corr. Trib. 2017, p.2129 ss.; E. FRONTICELLI BALDELLI, Esteso l’istituto della rottamazione dei ruoli in Corr. Trib. 2017, p.3331 ss.; ID., Le indicazioni dell’Agenzia delle entrate – Riscossione sulla rottamazione dei ruoli in Corr. Trib. 2018, p.761 ss.; ID., Con la rottamazione ter favorita la possibilità di estinguere i debiti per i contribuenti in difficoltà in Corr. Trib. 2018, p.3287 ss.; C. SCIANCALEPORE, La legittimità costituzionale della definizione agevolata infligge un nuovo colpo al federalismo regionale in Riv. Giur. Trib. 2018, p.384 ss.; M. NARDELLI, La rinuncia al ricorso in caso di rottamazione esclude l’automatica condanna alle spese in Corr. Trib. 2018, p.2629 ss. 9 Così i passaggi chiave del comma 1. Ivi vengono chiamati in causa altri articoli: l’art.30 DPR 602/1973, circa gli interessi di mora; l’art.27 D.lgs. 46/1999, circa gli accessori dei crediti

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A.Guidara, La cd. Rottamazione fiscale ter…

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Dal che può dirsi che la summenzionata rottamazione, eliminando sanzioni ed

interessi di mora (che, pur avendo natura civilistica, hanno comunque una

connotazione punitiva), si ascrive all’area dei condoni cd. in senso proprio o puri. La

dottrina, infatti, pur prendendo atto che ciascun condono assume tratti peculiari, ne

distingue due grosse tipologie: quella dei condoni in senso proprio o puri, che si

connotano per finalità di indulgenza, storicamente proprie dei condoni (donde

anche la denominazione di condoni tradizionali); quella dei condoni in senso

improprio o impuri, ove prevalgono le finalità di diversa, e più favorevole,

determinazione del tributo10.

Sennonché la rottamazione ter si distingue dalle precedenti, risultando

decisamente più favorevole, per modalità e tempi di pagamento, ma anche per la

misura degli interessi dovuti in caso di pagamento rateale. Infatti, maggiore è la

durata della nuova rottamazione, vale a dire diciotto rate per un totale di cinque

anni in luogo delle cinque rate per una durata massima di poco più di un anno della

prima rottamazione (nella seconda rottamazione i tempi erano ancora più brevi); e

minore è il saggio di interesse, il 2% in luogo del 4,5% previsto per le precedenti

rottamazioni e più in generale per i pagamenti rateali dei tributi (e laddove si transiti

– automaticamente – dalla seconda alla terza rottamazione il tasso di interesse è

addirittura dell’0,3 %11)12. Il che, oltre a destare perplessità circa la ragionevolezza

previdenziali; l’art.17 D.lgs. 112/1999, circa l’aggio di riscossione e le spese delle procedure esecutive. 10 Nonostante le differenze, anche notevoli, la riconduzione ad un genus unitario, del condono fiscale appunto, può avvenire, valorizzando il tratto determinante, ossia il pagamento o i pagamenti entro uno o più termini; ma anche dando risalto alle ragioni della sua introduzione, in quanto si osserva che sono comuni ai vari condoni sia fini di prevenzione/composizione di liti fiscali sia fini di pronta acquisizione di entrate tributarie (in difetto del condono difficilmente realizzabili), i quali insieme possono acquistare rilievo e giustificare in qualche modo la ragionevolezza del condono in presenza di fatti particolari e/o eccezionali (quali significative innovazioni legislative, eventi calamitosi, eccessiva durata di alcuni processi, difficoltà oggettive di recuperare a tassazione somme allocate all’estero). Va da sé che mere esigenze di gettito non giustificano o non dovrebbero il condono. Sulla natura dei condoni in generale si vedano ad es.: G. PASSARO, Condono nel diritto tributario cit., p.384 s.; C. PREZIOSI, Il condono fiscale, cit., pp.115 ss., 177 ss.; F. PICCIAREDDA, Condono (dir. trib.), p.4 s.; F. BATISTONI FERRARA, Condono (diritto tributario), cit., p.250 ss.; G. INGRAO, Condono tributario, cit., § 1. 11 Cfr. art.3, commi 21-23, DL 119/2018. 12 Per la prima rottamazione era previsto un numero massimo di cinque rate e una durata massima di poco più di un anno («fermo restando che il 70 per cento delle somme complessivamente dovute deve essere versato nell’anno 2017 e il restante 30 per cento nell’anno 2018, è effettuato il pagamento, per l’importo da versare distintamente in ciascuno dei due anni, in rate di pari ammontare, nel numero massimo di tre rate nel 2017 e di due rate nel 2018»: cfr. art.6, comma 1, DL 193/2016), per la seconda rottamazione un numero massimo di cinque rate e tempi ancora più brevi («il pagamento delle stesse somme, salvo quanto previsto dal comma 8, può essere effettuato in un numero massimo di cinque rate consecutive di uguale importo, da pagare, rispettivamente, nei mesi di luglio 2018, settembre 2018, ottobre 2018, novembre 2018 e febbraio 2019»: cfr. art.1, comma 6, DL 148/2017. Vi

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GIURISPRUDENZA DELLE IMPOSTE n. 1-2019

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della successione delle rottamazioni (in sé e per le discontinuità dell’ultima), finisce

coll’incidere significativamente sull’entità delle somme dovute. E poiché gli interessi

per dilazione di pagamento non sono equiparabili a quelli di mora, avendo piuttosto

natura compensativa, si può anche dire che la natura del condono è ibrida a seconda

che si paghi in un’unica soluzione o si acceda al pagamento rateale.

2.2. L’ambito di operatività della nuova rottamazione è dato dai carichi affidati agli

agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2017. I carichi sono

sicuramente quelli portati dai ruoli, ma anche dagli avvisi di accertamento esecutivi

ex art.29, comma 1, DL 31 maggio 2010, n.78 (come convertito dalla legge 30 luglio

2010, n.122) e deve trattarsi di carichi nella disponibilità dell’agente della

riscossione (al quale del resto compete la “gestione” del condono in esame), come

dimostra il participio passato «affidati», anche se ciò avvenga in via provvisoria

(ossia si tratti di riscossione provvisoria)13.

Sennonché qualche problema può pur sempre venire in essere. Così nulla

questio se il contribuente ha ricevuto la cartella di pagamento (o, laddove prevista, la

comunicazione di iscrizione a ruolo), che del ruolo dà notizia, come anche altro atto

successivo della riscossione (che, del resto, presuppone la consegna del ruolo). Il

problema potrebbe porsi se il contribuente non ha ricevuto la cartella di pagamento

(o, laddove prevista, la comunicazione di iscrizione a ruolo); ma deve ritenersi che a

era, però, una disciplina parzialmente differente prevista dal comma 8 con riferimento ai carichi compresi in piani di dilazione). Invece per la terza rottamazione la durata della rateazione è prevista in massimo cinque anni «nel numero massimo di dieci rate consecutive» che «scadono il 31 luglio e il 30 novembre di ciascun anno a decorrere dal 2019» e in sede di conversione viene rimodulata – a durata massima invariata – «nel numero massimo di diciotto rate consecutive, la prima e la seconda delle quali, ciascuna di importo pari al 10 per cento delle somme complessivamente dovute ai fini della definizione, scadenti rispettivamente il 31 luglio e il 30 novembre 2019; le restanti, di pari ammontare, scadenti il 28 febbraio, il 31 maggio, il 31 luglio e il 30 novembre di ciascun anno a decorrere dal 2020» (cfr. l’art.3, commi 1 e 2, prima e dopo la conversione). Ancora gli interessi previsti per le prime rottamazioni – in forza delle previsioni di cui all’art.6, comma 1, DL 193/2016 e 1, comma 6, DL 148/2017 – sono quelli per dilazioni di pagamento di cui all’art.21, comma 1, DPR 602/1973, ossia gli interessi del 4,5%; invece, gli interessi previsti per la terza rottamazione sono fissati nella stessa disposizione di condono nella misura tasso del 2 per cento annuo. Sugli interessi previsti per le dilazioni di pagamento, e sulla loro diversa natura rispetto a quelli di mora e corrispettivi, si veda ad es. A. GUIDARA, Commento all’art.21 DPR 602/1973 in Commentario breve alle leggi del processo tributario a cura di C. Consolo-C. Glendi, Padova, 2017, p.1005 ss. 13 Infatti, non è ostativo alla definizione agevolata il fatto che si sia in presenza di un’iscrizione a ruolo a titolo provvisorio, finanche straordinaria (e similiter per gli accertamenti esecutivi), come rilevano ad es.: circ. Ag. Entrate 8 marzo 2017, n.2; C. CORRADO OLIVA, La rottamazione non si applica agli avvisi di accertamento non esecutivi, cit., p.2130 ss.

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A.Guidara, La cd. Rottamazione fiscale ter…

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ciò supplisca la presunzione di consegna dei ruoli, di cui all’art.4 DM 3 settembre

1999, n.32114 (emanato in applicazione dell’art.24 DPR 602/197315).

Del pari nulla questio se il contribuente ha ricevuto la comunicazione di presa in

carico dell’avviso di accertamento esecutivo, di cui all’art.29, comma 1, lett.b, DL

78/201016, come anche altro atto successivo della riscossione (che, del resto,

presuppone la presa in carico dell’avviso di accertamento esecutivo). Il problema

potrebbe porsi se il contribuente non ha ricevuto la comunicazione di presa in

carico: in tal caso in forza del provvedimento n.99696 del 30 giugno 2011 del

Direttore dell’Agenzia delle Entrate (emanato in applicazione dell’art.29, comma 1,

DL 78/2010), acquista rilievo la data di trasmissione del flusso di carico che può

essere attestata anche dall’ente impositore, ove non consti all’agente della

riscossione17. Ma non può tacersi che: il termine per la presa in carico è un termine

iniziale («decorsi trenta giorni dal termine ultimo per il pagamento»)18; ed è, per di

più, variabile, perché legato a quello del pagamento (alias «… devono contenere

anche l’intimazione ad adempiere, entro il termine di presentazione del ricorso,

all’obbligo di pagamento degli importi …»), che è “mobile” perché legato a quello per

14 In tale articolo, del quale occorre dare un’interpretazione evolutiva in relazione al mutato quadro normativo di riferimento, si dispone: «Per i ruoli trasmessi al CNC fra il giorno 1 ed il giorno 15 del mese, la consegna al concessionario si intende effettuata il giorno 25 dello stesso mese; per i ruoli trasmessi al CNC fra il giorno 16 e l’ultimo giorno del mese, la consegna al concessionario si intende effettuata il giorno 10 del mese successivo». 15 L’art.24 cit. così dispone: «1. L’ufficio consegna il ruolo al concessionario dell’ambito territoriale cui esso si riferisce secondo le modalità indicate con decreto del ministero delle Finanze, di concerto con il ministero del Tesoro del bilancio e della programmazione economica. 2. Con lo stesso o con separato decreto sono individuati i compiti che possono essere affidati al consorzio nazionale obbligatorio fra i concessionari relativamente alla consegna dei ruoli e le ipotesi nelle quali l'affidamento dei ruoli ai concessionari avviene esclusivamente con modalità telematiche». 16 Si ricorda, infatti, che «l’agente della riscossione, con raccomandata semplice o posta elettronica, informa il debitore di aver preso in carico le somme per la riscossione». 17 Il citato provvedimento dispone che la trasmissione avvenga «con cadenza giornaliera … decorsi 60 giorni dalla notifica degli atti nonché 30 giorni dal termine ultimo per il pagamento» e che «l’affidamento formale della riscossione in carico all’agente … si intende effettuato alla data di trasmissione del flusso di carico» («Ove il flusso di carico, in assenza di fondato pericolo per il positivo esito della riscossione, sia comunque trasmesso nel periodo intercorrente tra il termine ultimo per il pagamento e il trentesimo giorno successivo, l’affidamento formale della riscossione in carico all’agente, anche ai fini dell’esecuzione forzata, si intende effettuato al trentunesimo giorno successivo alla data ultima per il pagamento»). Cfr. anche la circ. 2/2017 cit. 18 Cfr. amplius art.29, comma 1, lett.b: «gli atti di cui alla lettera a) divengono esecutivi decorso il termine utile per la proposizione del ricorso e devono espressamente recare l’avvertimento che, decorsi trenta giorni dal termine ultimo per il pagamento, la riscossione delle somme richieste, in deroga alle disposizioni in materia di iscrizione a ruolo, è affidata in carico agli agenti della riscossione anche ai fini dell'esecuzione forzata, con le modalità determinate con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle Entrate, di concerto con il Ragioniere generale dello Stato …»

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GIURISPRUDENZA DELLE IMPOSTE n. 1-2019

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ricorrere19. Mentre per le rideterminazioni conseguente alle pronunce giurisdizionali

il problema non si dovrebbe porre essere il carico già affidato all’agente della

riscossione20.

3. Procedimento

3.1. La definizione agevolata è rimessa ad una scelta del contribuente21, il quale

pertanto vanta un diritto soggettivo in tal senso, in linea del resto con le

ricostruzioni tipiche dei condoni. Egli manifesta la sua volontà in apposita

dichiarazione da presentare all’agente della riscossione (da questi predisposta,

19 Cfr. amplius art.29, comma 1, lett.a: «l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate ai fini delle imposte sui redditi, dell’imposta regionale sulle attività produttive e dell’imposta sul valore aggiunto ed il connesso provvedimento di irrogazione delle sanzioni, devono contenere anche l’intimazione ad adempiere, entro il termine di presentazione del ricorso, all’obbligo di pagamento degli importi negli stessi indicati, ovvero, in caso di tempestiva proposizione del ricorso ed a titolo provvisorio, degli importi stabiliti dall’articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602. L’intimazione ad adempiere al pagamento è altresì contenuta nei successivi atti da notificare al contribuente, anche mediante raccomandata con avviso di ricevimento, in tutti i casi in cui siano rideterminati gli importi dovuti in base agli avvisi di accertamento ai fini delle imposte sui redditi, dell’imposta regionale sulle attività produttive e dell'imposta sul valore aggiunto ed ai connessi provvedimenti di irrogazione delle sanzioni ai sensi dell’articolo 8, comma 3-bis del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, dell’articolo 48, comma 3-bis, e dell’articolo 68 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e dell’articolo 19 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, nonché in caso di definitività dell'atto di accertamento impugnato. In tali ultimi casi il versamento delle somme dovute deve avvenire entro sessanta giorni dal ricevimento della raccomandata; la sanzione amministrativa prevista dall’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, non si applica nei casi di omesso, carente o tardivo versamento delle somme dovute, nei termini di cui ai periodi precedenti, sulla base degli atti ivi indicati». 20 Sono definibili anche carichi non fiscali, come dimostrano: i riferimenti agli accessori dei crediti previdenziali, di cui all’art.27 D.lgs. 46/1999 (cfr. art.3, comma 1, DL 119/2018); alle sanzioni per violazioni del codice della strada, per le quali la definizione agevolata attiene solo agli interessi (cfr. art.3, comma 17, DL 119/2018); le stesse esclusioni, di cui al comma 16 dello stesso art.3 in esame. Quest’ultimo, infatti stabilisce che «sono esclusi dalla definizione di cui al comma 1 i debiti risultanti dai carichi affidati agli agenti della riscossione recanti: a) le somme dovute a titolo di recupero di aiuti di Stato ai sensi dell’articolo 16 del regolamento (UE) 2015/1589 del Consiglio, del 13 luglio 2015; b) i crediti derivanti da pronunce di condanna della Corte dei conti; c) le multe, le ammende e le sanzioni pecuniarie dovute a seguito di provvedimenti e sentenze penali di condanna; d) le sanzioni diverse da quelle irrogate per violazioni tributarie o per violazione degli obblighi relativi ai contributi e ai premi dovuti agli enti previdenziali». 21 In tal senso si vedano vari riferimenti normativi, quali: «i debiti … possono essere estinti» (comma 1); «l’agente della riscossione fornisce ai debitori i dati necessari a individuare i carichi definibili presso i propri sportelli e in apposita area del proprio sito internet» (comma 4); «il debitore manifesta all’agente della riscossione la sua volontà di procedere alla definizione di cui al comma 1 rendendo, entro il 30 aprile 2019, apposita dichiarazione …» (comma 5); «in tale dichiarazione il debitore sceglie altresì il numero di rate nel quale intende effettuare il pagamento» (comma 5).

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A.Guidara, La cd. Rottamazione fiscale ter…

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nonché pubblicata sul proprio sito internet), che in linea con la natura della

posizione giuridica vantata dal contribuente è da ritenersi un atto dispositivo; e vi è

anche disposizione in ordine alla scelta del pagamento rateale e alla scelta del

numero di rate. È prevista la scadenza del 30 aprile 2019, entro la quale la

dichiarazione deve essere presentata: oltre tale termine non è più possibile

presentare la dichiarazione e aderire alla rottamazione. Le norme, però, non

chiariscono se oltre tale data possa essere presentata una nuova dichiarazione,

modificativa della precedente, nella quale, manifestando una diversa volontà, il

contribuente opti per il versamento dell’importo dovuto in un’unica soluzione o in

un diverso numero di rate; in coerenza con la natura dispositiva e fermi restano gli

effetti ex nunc della nuova dichiarazione, dovrebbe ammettersi una soluzione

positiva. Mentre deve ritenersi che entro la scadenza la dichiarazione possa essere

liberamente revocata, modificata, integrata22.

Non può escludersi che il contribuente non indichi il numero delle rate, al che la

replica frequente dell’amministrazione era (per le precedenti rottamazioni) che in tal

caso il pagamento deve avvenire in un’unica soluzione (anche se per l’ultima

rottamazione è stato predisposto un modello di dichiarazione che dovrebbe

contenere notevolmente il problema). La posizione non è condivisibile, visto che il

contribuente ha manifestato comunque la volontà di pagare a rate, sia pure non

indicando il numero delle rate, e tale volontà non può di certo essere stravolta (si

consideri che il piano rateale è decisamente più conveniente quanto agli interessi e

che il contribuente potrebbe non essere in grado di far fronte al pagamento in

un’unica soluzione). Ne consegue che il contribuente andrebbe messo nella

condizione di completare la sua volontà; e probabilmente si può concludere – per lo

meno per la rottamazione ter – che in difetto dell’indicazione del numero delle rate

operi comunque la massima rateazione, non soltanto perché più in linea con la

volontà del contribuente, ma anche perché si può estendere in via analogica la

soluzione previ-sta dallo stesso articolo 3 DL 119/2018 per le ipotesi di conversione

della rottamazione bis in rottamazione ter (di cui si dirà in prosieguo23).

La dichiarazione ha un contenuto ulteriore24: il debitore indica l’eventuale

pendenza di giudizi aventi ad oggetto i carichi in essa ricompresi e si impegna a

22 In tal senso, per quanto stringato, si veda il comma 7 dell’art.3 in esame: «entro il 30 aprile 2019 il debitore può integrare, con le modalità previste dal comma 5, la dichiarazione presentata anteriormente a tale data» 23 Si tratta della disciplina recata dai commi 21 e 22, di cui si dirà infra nel paragrafo 5. 24 Cfr. art.3, comma 6, DL 119/2018.

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GIURISPRUDENZA DELLE IMPOSTE n. 1-2019

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rinunciare agli stessi25. Questi ultimi, poi: sono «sospesi» dal giudice dietro

presentazione di copia della dichiarazione e nelle more del pagamento delle somme

dovute; e si estinguono all’effettivo perfezionamento della definizione e alla

produzione, nello stesso giudizio, della documentazione attestante i pagamenti

effettuati (in caso contrario, il giudice revoca la sospensione su istanza di una delle

parti). L’art.3, comma 6, DL 119/2018 introduce così una speciale causa di

sospensione del giudizio, risolvendo una lacuna delle precedenti rottamazioni, alla

quale nella prassi appariva preferibile porre rimedio con differimenti delle udienze,

piuttosto che con una sospensione dei giudizi (risultando ai casi in questione

inapplicabile l’istituto ex art.39 D.lgs. 31 dicembre 1992, n.546)

È verosimile che il debitore manifesti la volontà di adesione al condono dopo

aver interpellato l’agente della riscossione: in tal senso il comma 4 stabilisce che

quest’ultimo «fornisce ai debitori i dati necessari a individuare i carichi definibili

presso i propri sportelli e in apposita area del proprio sito internet».

L’itinerario procedimentale si conclude entro il 30 giugno 2019 con la

comunicazione dell’agente della riscossione a quanti hanno presentato la

dichiarazione, nella quale sono indicati l’ammontare complessivo delle somme

dovute ai fini della definizione, nonché quello delle singole rate con le relative

scadenze. Può accadere che il debitore non con-divida in tutto o in parte il contenuto

di tale comunicazione: in tal caso può impugnare la stessa innanzi alla Commissione

tributaria (sul presupposto che si tratti di un diniego parziale di condono e

invocandosi l’art.19, comma 1, lett.h, D.lgs. 546/1992, laddove si riferisce al «rigetto

di domande di definizione agevolata di rapporti tributari»).

3.2. La dichiarazione, di cui si è detto, produce importanti effetti.

Il comma 10 dell’art.3 in esame stabilisce che «relativamente ai carichi definibili che

ne costituiscono oggetto: a) sono sospesi i termini di prescrizione e decadenza; b)

sono sospesi, fino alla scadenza della prima o unica rata delle somme dovute a titolo

di definizione, gli obblighi di pagamento derivanti da precedenti dilazioni in essere

alla data di presentazione; c) non possono essere iscritti nuovi fermi amministrativi

e ipoteche, fatti salvi quelli già iscritti alla data di presentazione; d) non possono

essere avviate nuove procedure esecutive; e) non possono essere proseguite le

procedure esecutive precedentemente avviate, salvo che non si sia tenuto il primo

25 Sull’impegno a rinunciare ai giudizi pendenti e sugli effetti sugli stessi cfr.: S. PELLEGRI, Effetti sul contenzioso dell’“impegno a rinunciare” assunto con l’istanza di rottamazione dei ruoli, cit., p.1175 ss.; M. BUSICO, La rottamazione dei ruoli: momento di perfezionamento del procedimento ed effetti sui giudizi pendenti, cit., p.793 ss.; circ. 2/2017 cit.

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A.Guidara, La cd. Rottamazione fiscale ter…

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incanto con esito positivo; f) il debitore non è considerato inadempiente ai fini di cui

agli articoli 28-ter e 48-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre

1973, n. 602»26.

Alla dichiarazione può conseguire la sospensione del giudizio sugli stessi carichi

(così il comma 6): l’effetto, infatti, non è automatico, ma consegue al deposito della

stessa nel corso giudizio (in difetto dell’indicazione di termini, il deposito dovrebbe

essere consentito fintanto che non venga depositata la sentenza). La sospensione del

giudizio è finalizzata alla sua estinzione, la quale – sempre per il comma 6 cit. che

anche sul punto innova le precedenti disciplina – avviene all’effettivo

perfezionamento della rottamazione e alla produzione, nel corso dello stesso

giudizio, della documentazione attestante i pagamenti effettuati (se così non avviene,

il giudice revoca la sospensione su istanza di una delle parti).

Ancora, altro effetto, sia pure differito, della dichiarazione è contemplato dal

comma 13, il quale prevede che alla data del 31 luglio 2019 le dilazioni, sospese in

forza della dichiarazione di condono, vengono meno (impropriamente la legge dice

«sono automaticamente revocate»)27.

4. Perfezionamento del condono ed effetti

4.1. La rottamazione fiscale si perfeziona con il pagamento, che può avvenire in

un’unica soluzione o in più soluzioni28.

Nel primo caso il pagamento deve avvenire «entro il 31 luglio 2019» (così il comma

1). Nel secondo caso il pagamento può avvenire in un numero di rate, che era stato

fissato «nel numero massimo di dieci rate consecutive di pari importo» nella

versione iniziale dell’art.3, ma che in sede di conversione è stato trasformato «nel

26 I pignoramenti sospesi sono destinati a venir meno, in quanto: ex art.3, coma 13, DL 119/2018 «il pagamento della prima o unica rata delle somme dovute a titolo di definizione determina l’estinzione delle procedure esecutive precedentemente avviate, salvo che non si sia tenuto il primo incanto con esito positivo», peraltro ex art.53, comma 1, DPR 602/1973 «Il pignoramento perde efficacia quando dalla sua esecuzione sono trascorsi duecento giorni senza che sia stato effettuato il primo incanto». Non vi è motivo di dubitare che siano sospesi anche gli effetti degli ordini di pagamento ex art.72 bis DPR 602/1973, trattandosi di provvedimenti che si inseriscono nella più ampia procedura esecutiva di pignoramento presso terzi, di cui costituiscono la fase amministrativa. 27 Ultronea è la precisazione che «non possono essere accordate nuove dilazioni ai sensi dell’articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602», dal momento che alla decadenza dal condono lo stesso articolo 3 lega la medesima conseguenza. 28 E può essere effettuato mediante domiciliazione sul conto corrente eventualmente indicato dal debitore nella dichiarazione di condono, mediante bollettini precompilati, che l’agente della riscossione è tenuto ad allegare alla comunicazione di cui al comma 11 (se il debitore non ha richiesto di eseguire il versamento mediante domiciliazione bancaria), presso gli sportelli dell'agente della riscossione (cfr. comma 12).

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GIURISPRUDENZA DELLE IMPOSTE n. 1-2019

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numero massimo di di-ciotto rate consecutive», con la particolarità che rate possono

non essere più di uguale importo, nel senso di essere: «la prima e la seconda … di

importo pari al 10 per cento delle somme complessivamente dovute ai fini della

definizione»; le restanti rate di «pari ammontare».

Nel caso di pagamento rateale sono prestabilite le scadenze: delle prime due rate

rispettivamente il 31 luglio e il 30 novembre 2019; delle restanti il 28 febbraio, il 31

maggio, il 31 luglio e il 30 novembre di ciascun anno a decorrere dal 2020. E sono

dovuti gli interessi a decorrere dal 1° agosto 2019 al tasso del 2 per cento annuo.

4.2. Gli effetti della rottamazione sono principalmente quelli premiali dati

dall’estinzione delle sanzioni, ma anche di interessi e accessori (diversamente

modulati a seconda della natura della somma che si definisce), per come stabilito

dall’art.3, commi 1 («i debiti, diversi da quelli di cui all’articolo 5 risultanti dai

singoli carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31

dicembre 2017, possono essere estinti, senza corrispondere le sanzioni comprese in

tali carichi, gli interessi di mora di cui all’articolo 30, comma 1, del decreto del

Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, ovvero le sanzioni e le

somme aggiuntive di cui all'articolo 27, comma 1, del decreto legislativo 26 febbraio

1999, n. 46») e 17 («per le sanzioni amministrative per violazioni del codice della

strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, le disposizioni del presente

articolo si applicano limitatamente agli interessi, compresi quelli di cui all’articolo

27, sesto comma, della legge 24 novembre 1981, n.689»).

Ancora, in conseguenza del perfezionamento del condono si “consolidano” gli

effetti, della relativa dichiarazione, per così dire provvisori e strumentali al buon

esito dello steso: così alcuni effetti, come la sospensione di prescrizioni e decadenze,

non hanno più ragione di esistere, mentre altri effetti, come la sospensione dei

provvedimenti amministrativi, impongono un facere dell’amministrazione nel senso

della rimozione degli stessi e/o del compimento delle formalità pubblicitarie

eventualmente occorrenti (così per i provvedimenti dell’agente della riscossione di

fermo dei veicoli, di ipoteca, di pignora-mento immobiliare).

Altro effetto della rottamazione è l’estinzione dei giudizi vertenti sugli stessi

carichi. Il che, però, (presuppone l’avvenuta sospensione degli stessi giudizi e in ogni

caso) è subordinato alla produzione in giudizio della documentazione attestante i

pagamenti effettuati.

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4.3. Dal condono si decade «in caso di mancato ovvero di insufficiente o tardivo

versa-mento dell’unica rata ovvero di una di quelle in cui è stato dilazionato il

pagamento». Ne consegue che non si verificano gli effetti premiali e vengono meno

gli effetti della dichiarazione. In particolare, il comma 14 dell’art.3 in esame

stabilisce che: riprendono a decorrere i termini di prescrizione e decadenza per il

recupero dei carichi oggetto di dichiarazione; i versamenti effettuati sono acquisiti a

titolo di acconto dell’importo complessivamente dovuto a seguito dell’affidamento

del carico; del debito residuo l’agente della riscossione prosegue l’attività di

recupero; il pagamento non può essere rateizzato ai sensi dell’articolo 19 DPR

602/1973.

Una discutibile tolleranza nei termini di pagamento, ma solo per l’ipotesi di

pagamento rateale e senza precedenti nelle altre rottamazioni del 2016 e del 2017, è

stata introdotta dal comma 14 bis, aggiunto in sede di conversione: è stato, infatti,

previsto che «nei casi di tardivo versamento delle relative rate non superiore a

cinque giorni, l’effetto di inefficacia della definizione, previsto dal comma 14, non si

produce e non sono dovuti interessi».

5. Differenze ed interferenze con altre rottamazioni

5.1. Una differenza inevitabile della rottamazione ter con le altre rottamazioni, e

conseguente al suo succedere ad esse, è data dal più ampio ambito temporale di

operatività, che come si è detto è costituito da «i debiti … risultanti dai singoli

carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2017»

(art.3, comma 1, DL 119/2018); mentre l’ambito di operatività della prima

rottamazione era dato dai «carichi affidati agli agenti della riscossione dal 2000 al

2016» ex art.6, comma 1, DL 193/2016, al quale nella seconda rottamazione erano

stati aggiunti i carichi «dal 1° gennaio al 30 settembre 2017» ex art.1, comma 4, DL

148/2017, sia pure con alcune restrizioni dovute al sovrapporsi delle due

rottamazioni29. Per il resto, l’ambito di operatività delle rottamazioni può dirsi

coincidente. Ed anche le esclusioni previste sono sostanzialmente comuni, se si

considera che l’esclusione delle «risorse proprie tradizionali previste dall’articolo 2,

paragrafo 1, lettera a), delle decisioni 2007/436/CE, Euratom del Consiglio, del 7

29 L’art.1, comma 4, DL 148/2017, infatti, prevedeva che nella seconda rottamazione era possibile includere i carichi dal 2000 al 2016, a condizione che essi non siano stati oggetto di dichiarazione ai fini della prima rottamazione o che non siano stati ammessi ad essa esclusivamente perché, trattandosi di somme dilazionate ai sensi dell’art.19 DPR 602/1973, non erano stati effettuati i pagamenti delle rate scadute al 31 dicembre 2016.

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GIURISPRUDENZA DELLE IMPOSTE n. 1-2019

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giugno 2007, e 2014/335/UE, Euratom del Consiglio, del 26 maggio 2014» e

dell’«imposta sul valore aggiunto riscossa all’importazione», di cui alla lett.a

dell’art.6, comma 10, DL 193/2016, non è stata riproposta nell’art.3 DL 119/2018,

perché oggetto dell’apposita definizione agevolata (dei carichi affidati all’agente della

riscossione a titolo di risorse proprie dell’Unione europea) di cui all’art.5 DL

119/2018, che può dirsi una variante della rottamazione ter30.

Altre differenze con le altre rottamazioni sono emerse in precedenza31. Tra di

esse spiccano la diversa durata della rottamazione, decisamente più lunga rispetto al

passato, e il saggio d’interesse più che dimezzato: il che, come si è detto, ibrida la

natura del nuovo condono32.

5.2. Non si possono sottacere le interferenze tra l’ultima rottamazione e le

precedenti. Infatti, è possibile che il debitore stesse fruendo della seconda

rottamazione quando è intervenuta la terza; mentre nulla questio circa la prima

rottamazione: già conclusa; oppure venuta meno (ma in tal caso il contribuente da

essa decaduto può aderire alla rottamazione ter).

In proposito, il legislatore detta una disciplina ad hoc, di cui ai commi 21-23

dell’art.3 DL 119/2018, che dà luogo una rottamazione sui generis, diversa (forse

anche per difetti di coordinamento) da quella ordinaria. Più esattamente è prevista

un’automatica trasformazione della seconda rottamazione nella terza, a condizione

che il debitore abbia pagato le rate scadute entro il termine del 7 dicembre 2018 (a

tal data all’uopo differito). In tal caso, il versamento delle restanti somme deve

avvenire ex lege con tempi, modalità ed interessi diversi: dieci rate consecutive di

pari importo con scadenze annue (il 31 luglio e il 30 novembre a decorrere dal 2019),

30 In estrema sintesi può dirsi che la definizione agevolata di cui all’art.5, rinvia a quella di cui all’art.3 dello stesso decreto, con una serie di deroghe, tra le quali: il pagamento degli interessi di mora (ex art.114, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 ottobre 2013); il coinvolgimento dell’Agenzia delle Dogane, che comporta uno slittamento delle date iniziali («entro il 31 luglio 2019 l’agente della riscossione comunica ai debitori che hanno presentato la dichiarazione l’ammontare complessivo delle somme dovute ai fini della definizione, nonché quello delle singole rate, e il giorno e il mese di scadenza di ciascuna di esse», « il pagamento dell’unica o della prima rata delle somme dovute a titolo di definizione scade il 30 settembre 2019»); tempi e modalità di pagamento parzialmente diverse (essenzialmente due rate annue scadenti il 31 luglio e il 30 novembre di ciascun anno). Non mancano difetti di coordinamento tra le due rottamazioni, ordinaria ex art.3 e speciale ex art.5: così alla data del 31 luglio 2019 le dilazioni sospese in conseguenza della presentazione della dichiarazione di condono sono automaticamente revocate e non possono essere accordate nuove dilazioni ai sensi dell’articolo 19 DPR 6021973; ma mentre nella rottamazione ordinaria il contribuente deve provvedere al versamento della prima rata entro la stessa data, nella rottamazione speciale il termine di versamento della prima rata è differito al 30 settembre. 31 Supra paragrafi 2-4. 32 Cfr. supra paragrafo 2 e nota Errore. Il segnalibro non è definito..

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A.Guidara, La cd. Rottamazione fiscale ter…

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sulle quali sono dovuti gli interessi al tasso dello 0,3 per cento annuo (a partire dal 1°

agosto 2019)33. Rimane ferma la possibilità per il contribuente di non fruire di tale

trasformazione: in tal caso verserà il residuo in un’unica soluzione entro la data,

appositamente fissata, del 31 luglio 201934.

Se il debitore non ha provveduto al versamento delle rate scadute entro la data

all’uopo fissata del 7 dicembre 2018, i debiti relativi ai corrispondenti carichi non

possono essere definiti con la nuova rottamazione35.

6. Interferenze con altri condoni

6.1. La rottamazione ter in esame entra “in contatto” con altre previsioni di

condono, i cui estremi sono talvolta richiamati dallo stesso art.3 DL 119/2018.

Così l’art.3 nel definire l’ambito di operatività della rottamazione esordisce che

essa è possibile per i debiti diversi da quelli di cui all’articolo 5 dello stesso testo

normativo alla stregua della corrispondente esclusione disposta nelle precedenti

rottamazioni dall’art.6, comma 16, lett.a, DL 193/2016. La mancata riproposizione di

quest’ultima esclusione si deve al fatto che l’art.5 DL 119/2018 prevede un’apposita

definizione agevolata dei carichi affidati all’agente della riscossione a titolo di risorse

proprie dell’Unione europea, la quale è più onerosa rispetto a quella di cui all’art.3 in

esame e soggiace ad una disciplina parzialmente diversa36.

6.2. Altro condono coinvolto è lo stralcio dei debiti fino a mille euro risultanti dai

singoli carichi affidati agli agenti della riscossione dal 2000 al 2010, di cui all’art.4

DL 119/2018, il quale “prevale” sulla rottamazione ter, con la conseguenza che i

carichi oggetto di quest’ultima vanno computati al netto di quelli oggetto dello

stralcio.

In verità, nella disciplina della rottamazione si richiama l’art.4 cit. soltanto ai commi

21 e 23 dell’art.3, quasi che la compatibilità dei due condoni riguardasse soltanto le

somme residue dovute in forza della seconda rottamazione, suscettibile di

trasformazione automatica nella terza rottamazione. Il che, però, non avrebbe senso.

33 Il comma 21 cit. aggiunge che «… entro il 30 giugno 2019, senza alcun adempimento a carico dei debitori interessati, l’agente della riscossione invia a questi ultimi apposita comunicazione, unitamente ai bollettini precompilati per il pagamento delle somme dovute alle nuove scadenze, anche tenendo conto di quelle stralciate ai sensi dell’articolo 4 …». 34 Cfr. art.3, comma 22, DL 119/2018. 35 Così il comma 23 il quale aggiunge che «la dichiarazione eventualmente presentata per tali debiti ai sensi del comma 5 è improcedibile». 36 Cfr. supra nota 30.

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GIURISPRUDENZA DELLE IMPOSTE n. 1-2019

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Piuttosto occorre evidenziare come l’art.4 si riferisca sic et simpliciter ai debiti «di

importo residuo … fino a mille euro … risultanti dai singoli carichi affidati agli agenti

della riscossione» ed espressamente ricomprenda i carichi oggetto della

rottamazione ter («ancorché riferiti alle cartelle per le quali è già intervenuta la

richiesta di cui all’articolo 3, sono automaticamente annullati»). E senza dubbio una

lettura sistematica consente di superare anche imprecisioni lessicali, come il

riferimento alle «cartelle per le quali è già intervenuta la richiesta di cui all’articolo

3», visto che tanto la rottamazione (di cui all’art.3 cit.) quanto lo stralcio (di cui

all’art.4 cit.) prescindono dalle cartelle, riguardando i carichi affidati all’agente della

riscossione, quali che siano gli atti che di essi abbiano dato notizia. Peraltro, la

compatibilità dei due condoni è confermata dall’automatismo dello stralcio dei

debiti fino a mille euro (tant’è che quelle che ne può dare l’agente della riscossione

sono mere comunicazioni37).

Naturalmente, non va dimenticato il diverso ambito di operatività del condono

di cui all’art.4 cit.: «i debiti di importo residuo, alla data di entrata in vigore del

presente decreto, fino a mille euro, comprensivo di capitale, interessi per ritardata

iscrizione a ruolo e sanzioni, risultanti dai singoli carichi affidati agli agenti della

riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2010»38. Come anche non va

dimenticato che le somme versa-te anteriormente alla data di entrata in vigore del

condono (che è il 23 ottobre) sono definitivamente acquisite, mentre le somme

versate oltre tale data «sono imputate alle rate da corrispondersi per altri debiti

eventualmente inclusi nella definizione agevolata anteriormente al versamento,

ovvero, in mancanza, a debiti scaduti o in scadenza e, in assenza anche di questi

ultimi, sono rimborsate»39.

Si pone, poi, il problema della sovrapposizione del condono di cui all’art.4 con la

rottamazione bis eventualmente pendente. Il dato letterale (dell’art.4 cit.) depone

per l’applicazione ad essa dello stralcio dei debiti fino a mille euro, dovendosi

ritenere la rottamazione bis non ancora perfezionata fino al versamento del saldo: il

che porta ad un’inevitabile rimodulazione del debito residuo, sia pure con

decorrenza dalla data del 31 dicembre 2018, in cui lo stralcio produce ex lege effetti.

Il quadro, però, è complicato dalla trasformazione della rottamazione bis nella

rottamazione ter (ferma restando la possibilità del pagamento del saldo in un’unica

37 Così per l’art.4, comma 1, DL 119/2018: «ai fini del conseguente discarico, senza oneri amministrativi a carico dell’ente creditore, e dell’eliminazione dalle relative scritture patrimoniali, l’agente della riscossione trasmette agli enti interessati l’elenco delle quote annullate su supporto magnetico, ovvero in via telematica». 38 Così l’art.4, comma 1, cit. 39 Cfr. comma 2.

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A.Guidara, La cd. Rottamazione fiscale ter…

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soluzione), in forza dell’art.3, comma 21, DL 119/2018, che ha generato qualche

disorientamento presso interpreti e operatori40.

6.3. In difetto di riferimenti testuali, deve ritenersi che prevalga sulla rottamazione

ter anche il cd. saldo e stralcio dei carichi affidati all’agente della riscossione per i

soggetti con ISEE fino a ventimila euro, di cui all’art.1, commi 184 e 185, della legge

145/2018. Infatti, quest’ultimo condono (per un verso, fa salve le previsioni dell’art.4

DL 119/2018, che pertanto hanno la precedenza, per altro verso) si riferisce sic et

simpliciter a «i debiti delle persone fisiche … risultanti dai singoli carichi affidati

all’agente della riscossione dal 1° gennaio 2000 alla data del 31 dicembre 2017», con

la precisazione che essi derivino dall’omesso versamento delle imposte risultanti

dalle dichiarazioni annuali e dalle attività ex art.36 bis DPR 602/1973 e 54 bis DPR

26 ottobre 1972, n. 633, a titolo di tributi e relativi interessi e sanzioni. E nel senso

della prevalenza di quest’ultimo condono depone anche la sua decisa convenienza,

visto che esso comporta abbattimenti notevoli del tributo dovuto, oltre a far venir

meno sanzioni ed interessi41. Con la conseguenza che, pur con i diversi ambiti di

operatività dei condoni considerati, i carichi passibili della rottamazione ter vanno

computati al netto di quelli automaticamente annullati alla data del 31 dicembre

2018 ex art.4 DL 119/2018; come anche di quelli suscettibili di estinzione ai sensi

dell’art.1, commi 184 e 185, della legge 145/2018, laddove il contribuente voglia

avvalersi di quest’ultimo condono.

6.4. Infine, deve escludersi una sovrapposizione tra la rottamazione di cui all’art.3

DL 119/2018 e la definizione agevolata delle controversie tributarie di cui all’art.6

40 Infatti, per la trasformazione della rottamazione bis in rottamazione ter era richiesto il versamento entro il 7 dicembre 2018 del saldo delle rate scadute (della rottamazione bis): per quanto il dovuto sarebbe mutato in forza dello stralcio ex art.4 DL 119/2018 (non potendosi escludere addirittura situazioni di credito), il versamento è stato necessario, dal momento che è lo stesso art.4 cit. a postergare gli effetti dello stralcio al 31 dicembre 2018 (al comma 1, infatti, si dice che «l’annullamento è effettuato alla data del 31 dicembre 2018 per consentire il regolare svolgimento dei necessari adempimenti tecnici e contabili»). 41 L’art.1, comma 187, della legge 145/2018 prevede il versamento de: «a) le somme affidate all'agente della riscossione a titolo di capitale e interessi, in misura pari: 1) al 16 per cento, qualora l’ISEE del nucleo familiare risulti non superiore a euro 8.500; 2) al 20 per cento, qualora l’ISEE del nucleo familiare risulti superiore a euro 8.500 e non superiore a euro 12.500; 3) al 35 per cento, qualora l’ISEE del nucleo familiare risulti superiore a euro 12.500; b) le somme maturate a favore dell’agente della riscossione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, a titolo di aggio sulle somme di cui alla lettera a) e di rimborso delle spese per le procedure esecutive e di notifica della cartella di pagamento». Cfr. anche nota successiva.

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GIURISPRUDENZA DELLE IMPOSTE n. 1-2019

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dello stesso DL42 (naturalmente il problema può porsi per quelle liti aventi ad

oggetto atti della riscossione, per i quali sia pure possibile avvalersi della

rottamazione ter). I due condoni, infatti, presentano discipline incompatibili e la

scelta del contribuente risponde a logiche di convenienza, che di regola privilegiano

la definizione agevolata delle controversie, la quale abbatte anche il tributo dovuto

(il che non vale, ovviamente, laddove la controversia riguardi soltanto

sanzioni/interessi di mora)4344 .

7. Rapporti con il sovraindebitamento

42 Quest’ultimo prevede, al comma 1, che «Le controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte l’Agenzia delle entrate, aventi ad oggetto atti impositivi, pendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello in Cassazione e anche a seguito di rinvio, possono essere definite, a domanda del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio o di chi vi è subentrato o ne ha la legittimazione, con il pagamento di un importo pari al valore della controversia». 43 Così ex art.6, comma 1 bis, DL 119/2018 «in caso di ricorso pendente iscritto nel primo grado, la controversia può essere definita con il pagamento del 90 per cento del valore della controversia». Inoltre: in caso di soccombenza dell’Agenzia delle entrate e in relazione al grado di giudizio, sono dovuti importi minori (il 40 per cento del valore della controversia in caso di soccombenza nella pronuncia di primo grado, il 15 per cento del valore della controversia in caso di soccombenza nella pronuncia di secondo grado); mentre in caso di accoglimento parziale del ricorso o di soccombenza reciproca tra contribuente e Agenzia delle entrate, è dovuto l’importo del tributo per intero, al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni, relativamente alla parte di atto confermata dalla pronuncia giurisdizionale e in misura ridotta per la parte di atto annullata. Quanto alla rottamazione, poi, si ricorda che il comma 5 dell’art.3 del DL 119/2018 prevede che nella dichiarazione «il debitore indica l’eventuale pendenza di giudizi aventi ad oggetto i carichi in essa ricompresi e assume l’impegno a rinunciare agli stessi giudizi, che, dietro presentazione di copia della dichiarazione e nelle more del pagamento delle somme dovute, sono sospesi dal giudice» (e ancora «l’estinzione del giudizio è subordinata all’effettivo perfezionamento della definizione e alla produzione, nello stesso giudizio, della documentazione attestante i pagamenti effettuati; in caso contrario, il giudice revoca la sospensione su istanza di una delle parti»). 44 È apparente la sovrapposizione tra rottamazione delle somme provvisoriamente riscosse e definizione agevolata delle controversie tributarie, visto che le due misure di condono hanno ad oggetto atti diversi: la prima i carichi affidati all’agente della riscossione, la seconda gli atti dell’accertamento dai quali derivano in via provvisoria i predetti carichi di riscossione. Laddove, poi, si siano perfezionate precedenti rottamazioni su somme riscosse provvisoriamente, le liti sugli atti dell’accertamento alla base di tali riscossioni provvisorie devono ritenersi parzialmente cessate e i valori delle controversie ai fini della definizione agevolata delle stesse devono essere corrispondentemente ridotti.

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A.Guidara, La cd. Rottamazione fiscale ter…

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7.1. La rottamazione ter è expressis verbis compatibile con le procedure del

sovraindebitamento: dell’accordo di composizione della crisi e del piano del

consumatore45.

Infatti l’art.3, comma 15, recita: «Possono essere ricompresi nella definizione

agevolata di cui al comma 1 anche i debiti risultanti dai carichi affidati agli agenti

della riscossione che rientrano nei procedimenti instaurati a seguito di istanza

presentata dai debitori ai sensi del capo II, sezione prima, della legge 27 gennaio

2012, n. 3, con la possibilità di effettuare il pagamento del debito, anche falcidiato,

con le modalità e nei tempi eventualmente previsti nel decreto di omologazione

dell’accordo o del piano del consumatore». E per l’appunto nella summenzionata

sezione prima sono regolate le procedure dell’accordo di composizione della crisi e

del piano del consumatore.

Da questa combinazione consegue senza dubbio una maggiore diffusione e della

rottamazione e delle procedure del sovraindebitamento, di cui si è detto.

Analogamente accadeva con le precedenti rottamazioni (ad es. per l’art.6, comma 9

bis, DL 193/2016 «sono altresì compresi nella definizione agevolata di cui al comma

1 i carichi affidati agli agenti della riscossione che rientrano nei procedimenti

instaurati a seguito di istanza presentata dai debitori ai sensi del capo II, sezione

prima, della legge 27 gennaio 2012, n.3»). Anche se l’impatto della nuova

rottamazione sul sovraindebitamento deve ritenersi superiore: a tacer d’altro la sua

maggiore durata dovrebbe eliminare quelle resistenze giudiziali, talora presenti, a

concedere piani di lunga durata, soprattutto se di bassa entità; e non dovrebbero

esservi più dubbi ad arrivare (nei piani di pagamento delle procedure di

sovraindebitamento) alla nuova durata della rottamazione ter, alla quale del resto il

contribuente ha un diritto soggettivo46.

45 Sul sovraindebitamento si registrano numerosi contributi dottrinali. In via meramente esemplificativa e per tutti si ricorda uno dei primi studi sistematici, costituito dai diversi contributi pubblicati sul numero 9/2012 della rivista Fallimento, appositamente dedicato al tema. Tra i contributi di diritto tributario si ricordano, anche qui in via esemplificativa: L. DEL FEDERICO, Gli aspetti fiscali della procedura in Fall., 2012, p.1122 ss.; F. DAMI, I profili fiscali della disciplina di composizione della crisi da sovraindebitamento in Rass. Trib. 2013, p.615 ss.; A. URICCHIO, Profili fiscali della crisi da sovraindebitamento dei soggetti debitori non fallibili, in Giur. Imp., 2014, p.18 ss.; G. SELICATO, Composizione delle crisi da sovraindebitamento e transazione fiscale in Dir. Fall. 2017, p.1401 ss. 46 La giurisprudenza stenta a trovare la “quadra” sulla durata massima delle dilazioni di pagamento nelle procedure del sovraindebitamento anche in conseguenza di approcci ideologicamente differenti al tema del sovraindebitamento. Alle posizioni in qualche modo “autoreferenziali” (che attingono alla durata delle procedure esecutive) è bene replicare con i più pertinenti dati normativi relativi alle somme coinvolte in tali procedure, tra i quali di certo la durata massima della rottamazione ter, ma anche – e più efficacemente in conseguenza della ordinarietà dell’istituto – quella delle dilazioni di pagamento ex art.19 DPR 602/1973.

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GIURISPRUDENZA DELLE IMPOSTE n. 1-2019

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7.2. È possibile, ed anzi probabile, che oltre che dalla rottamazione47 siffatte

procedure siano interessate anche dallo stralcio dei debiti fino a mille euro affidati

agli agenti della riscossione ex art.4 DL 119/2018. Sul che non vi sono problemi,

visto che esso opera automaticamente, sia pure a far data dal 31 dicembre 2018 (data

in cui per l’art.4, comma 1, si verifica l’annullamento dei carichi affidati agli agenti

della riscossione), riducendo di conseguenza l’entità dei debiti.

Come pure è possibile che le procedure del sovraindebitamento coesistano

anche con il cd. saldo e stralcio dei carichi affidati all’agente della riscossione, di cui

all’art.1, commi 184 e seguenti, dell’ultima legge di bilancio. Come si è detto48, tale

condono è incompatibile con la rottamazione ter e prevale su di essa, ove effettuata

la relativa scelta. Sicché deve escludersi che nel sovraindebitamento il contribuente

possa avvalersi sia della rottamazione ter che del saldo e stralcio di cui si è detto. Ma,

probabilmente e più in generale, deve ritenersi che quest’ultimo condono sia

incompatibile con il sovraindebitamento, in difetto di contrarie indicazioni

normative e in linea con la natura eccezionale delle previsioni di condono49.

47 Non si può escludere che si tratti di una rottamazione bis che si converta in rottamazione ter. 48 Cfr. supra paragrafo 6.3. 49 Il che, poi, sarebbe confermato dall’esistenza di una specifica previsione di compatibilità nella stessa legge di bilancio tra la procedura della liquidazione ex art.14 ter e seguenti. della legge 3/2012, alla quale non si applica la rottamazione ter, e il nuovo saldo e stralcio dei carichi affidati all’agente della riscossione. Infatti, in forza dell’art.1, comma 188 della legge di bilancio, i soggetti per i quali alla data di presentazione della domanda di quest’ultimo condono (entro il 30 aprile 2019) penda una procedura di liquidazione possono versare il dieci per cento di capitale ed interessi dovuto agli agenti della riscossione, al netto di sanzioni ed interessi di mora (ferma restando la doverosità di aggio e spese di riscossione). E di conseguenza si può dire che quello di cui al comma 188 cit. è un saldo e stralcio speciale (per presupposti e contenuti), rispetto a quello contemplato nei commi precedenti.

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M.G.Ortoleva, La compensazione dei debiti…

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Maria Grazia Ortoleva La compensazione dei debiti iscritti a ruolo con i crediti commerciali fra esigenze di tutela patrimoniale del contribuente e limiti alla spesa pubblica * Abstract: La collocazione dell’istituto previsto dall’art. 28 quater del D.P.R. n.602

del 1973 fra quelli che disciplinano le fattispecie di “compensazione” tributaria

potrebbe indurre in prima battuta a ritenere che la disposizione sia una declina-

zione del più generale principio di tutela dell’integrità patrimoniale del contribuente

espresso dall’art. 8 della Legge n. 212/2000. Siffatta ipotesi ricostruttiva deve però

essere attentamente ponderata alla luce delle modalità di attuazione stabilite con i

reiterati interventi governativi e con i relativi decreti ministeriali, le quali

sembrerebbero connotare la misura come “episodica” e subordinata alle politiche di

bilancio.

The location of the Institute provided by art. 28 quater of D.P.R. n.602 del 1973,

including those governing the cases in point of tax “compensation”, may induce, in

the first instance, to believe that the provision is a declination of the more general

principle of protection of the patrimonial integrity of the tax payer expressed by art.

8 of Law no. 212/2000. Such reconstructive hypotheses must, however, be

considered in the light of the implementation procedures established with the

repeated government interventions and the related ministerial decrees, which would

seem to conclude that this measure is “episodic” and subject to budgetary policies.

SOMMARIO: 1. Le condizioni e l’ambito di applicazione dell’art. 28 quater del

D.P.R. n. 602 del 1973. – 2. La natura “commerciale” del credito utilizzabile in

compensazione. – 3. I caratteri del credito. – 4. L’individuazione dei debiti

estinguibili: il significato dell’espressione «somme dovute a seguito d’iscrizione a

ruolo». – 5. Il difficile coordinamento con la disciplina degli avvisi di accertamento

immediatamente esecutivi. – 6. Il procedimento di compensazione e l’attività di

controllo dell’agente della riscossione. – 6.1 Il sistema della certificazione dei

crediti della pubblica amministrazione. – 6.2 Gli effetti del controllo sull’esistenza e

sulla validità della certificazione.

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GIURISPRUDENZA DELLE IMPOSTE n. 1-2019

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1. Le condizioni e l’ambito di applicazione dell’art. 28 quater del D.P.R.

n. 602 del 1973

Nell’ultimo decennio l’aggravarsi della crisi economica e i limiti alla spesa pubblica

imposti, prima, dal Patto di stabilità e crescita, poi, dal c.d. Fiscal compact hanno

indotto il legislatore a porre attenzione, da un canto, alle attività di contrasto al

fenomeno della evasione anche da riscossione, dall’altro, all’atavica questione dei

ritardi dei pagamenti della p.a. e al connesso problema del c.d. debito sommerso.

A partire dal 2008 sono state così adottate misure che agivano ora sull’uno ora

sull’altro dei suddetti aspetti. Basti citare, per un verso il blocco dei pagamenti della

p.a. di cui all’art. 48 bis del D.P.R. n. 602/73, per l’altro il sistema della certificazione

dei crediti cosiddetti commerciali della pubblica amministrazione, disciplinato

dall’art. 9 del D.L. n. 185/2008, diretto a “razionalizzare” il pagamento dei debiti

pregressi, a consentire lo smobilizzo dei crediti e a favorire la ripresa degli

investimenti e l’aumento della domanda interna.

È in questo contesto che con il D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (c.d. «Decreto anticrisi

78/2010»), o meglio con la relativa Legge di conversione 30 luglio 2010, n. 122, è

aggiunto al D.P.R. n. 602/73 l’art. 28 quater 1, il quale prevede una nuova forma di

* Pubblicazione sottoposta a revisione anonima da parte di un componente del Comitato di valutazione scientifica della rivista. 1 Con detto Decreto Legge il Governo ha previsto in ambito tributario diverse e rilevanti novità in tema sia di accertamento sia di riscossione, alle quali è dedicato il Titolo II rubricato «Contrasto all’evasione fiscale e contributiva». Tra le prime si annovera quella ben nota concernente la disciplina dell’accertamento immediatamente esecutivo di cui all’art. 29 del D.L. n. 78/2010; tra le seconde va segnalata quella prevista dal primo comma dello stesso art. 31 inerente al c.d. divieto di compensazione orizzontale. Detta disposizione inibisce il diritto del contribuente di compensare ex art. 17 del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, i crediti ed i debiti per imposte risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche in presenza di «debiti, di ammontare superiore a millecinquecento euro, iscritti a ruolo per imposte erariali e relativi accessori, e per i quali è scaduto il termine di pagamento». Per evidenti e necessari intenti dissuasivi, l’inosservanza del divieto è punita con la sanzione fissa pari al 50 per cento dell’importo indebitamente compensato. Poiché l’intento è quello di garantire il pagamento dei debiti scaduti a fronte di questa inibizione di compensazione diretta, la stessa norma dispone un ampliamento dell’ambito di operatività della compensazione orizzontale, consentendo di utilizzare i crediti risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche per il pagamento, anche parziale, delle somme iscritte a ruolo per imposte erariali e relativi accessori. Sulla disposizione di cui al primo comma del citato art. 31 concernente l’introduzione di limiti alla compensazione orizzontale ex art. 17 del D.Lgs. n. 241/1997 v. M. BASILAVECCHIA, Compensazioni e ruoli, in Corr. trib., 2011, 33, p. 2656 ss.; V. SARACINO, Compensazione di cartelle esattoriali Equitalia con crediti erariali, in Il fisco, 2013, 16, p. 2492 ss.; R. FANELLI, Il blocco delle compensazioni in presenza di ruoli scaduti, in Bilancio e reddito d’impresa, 2011, 10, p. 15 ss.; L. LOVECCHIO, Problemi ancora aperti sui limiti alla compensazione delle imposte in presenza di debiti iscritti a ruolo, in Corr. trib., 2011, 8, p. 611 ss.; S. MOGOROVICH, D.M. 10 febbraio 2011 – Il blocco delle compensazioni dei crediti fiscali, in Il fisco, 2011, 10, p. 1501 ss.; F. RICCA, Compensazione crediti: obbligo di «precedenza» per il saldo di debiti a ruolo scaduti, in L’IVA, 2011, 4, p. 124 ss. Nella prassi v.

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M.G.Ortoleva, La compensazione dei debiti…

23

“compensazione” tributaria, rectius un’ulteriore modalità di assolvimento dei debiti

(erariali e non) iscritti a ruolo2, la quale essedo incentrata sull’uso dei crediti

commerciali certificati dovrebbe consentire di perseguire simultaneamente i

suddetti obiettivi3.

Con l’art. 28 quater è invero riconosciuto – in linea di principio – ai contribuenti il

diritto di estinguere i debiti (erariali e non) iscritti a ruolo utilizzando in

compensazione i crediti commerciali vantati dai contribuenti nei confronti

(inizialmente delle regioni, degli enti locali e degli enti del Servizio sanitario

nazionale, e attualmente) dei soggetti appartenenti alla pubblica amministrazione

(nell’accezione prevista dall’art. 1, co. 2, del d.lgs. n. 165/2001) e da questi certificati.

Segnatamente deve trattarsi di «crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili»

derivanti da contratti di «somministrazione, forniture e appalti» e previamente

“certificati” ai sensi dell’art. 9 del D.L. n. 185/2008 dall’ente pubblico debitore4.

Dalla lettera della norma risulta invero che presupposto per l’operare dell’istituto è

l’esistenza in capo al contribuente, per un verso di una posizione creditoria

“certificata” nei confronti di una pubblica amministrazione, per l’altro di una

situazione debitoria relativa ad entrate pubbliche. Le due posizioni sembrano poi

Circolare Agenzia delle Entrate, 15 febbraio 2011, n. 4/E; Circolare Agenzia delle Entrate, 11 marzo 2011, n. 13/E, entrambe in banca dati fisconline. 2 Sull’art. 28 quater del D.P.R. n. 602/1973 v. G. GIRELLI, La disciplina della compensazione tributaria va razionalizzata e completata in maniera organica, in Corr. trib., 2015, 7, p. 517 ss.; S. LOCONTE, Compensazione dei crediti verso la P.A.: riflessi in bilancio, in Amministrazione e finanza, 2014, 5, p. 17 ss.; G. SEPIO-F.M. SILVETTI, La compensazione e la cessione pro soluto dei crediti verso la Pubblica amministrazione, in Il fisco, 2014, 40, p. 3921 ss.; M. ORLANDI, Compensazione di debiti tributari (in contenzioso) con crediti verso enti della P.A., in Il fisco, 2014, 12, p. 1143 ss.; S. SALVADEO, Compensazione dei crediti verso la Pubblica Amministrazione, in Bilancio e Reddito d’Impresa, 2013, 1, p. 18 ss.; M. ZANNI, Crediti verso la Pubblica Amministrazione: certificazione e compensazione con somme iscritte a ruolo, in Il fisco, 2012, 37, p. 5929 ss.; M. BASILAVECCHIA, Percorso a ostacoli per la compensazione, in Corr. trib., 2010, 33, p. 2659 ss.; ID., La difficile interstizialità della compensazione tra accertamenti e attività esattive, in La concentrazione della riscossione nell’accertamento, a cura di C. Glendi-V. Uckmar, Milano, 2011, p. 93; L. LOVECCHIO, Vincoli e criticità per la compensazione con crediti nei confronti di Enti Pubblici, in Corr. trib., 2010, 48, p. 3982 ss.; M. NEGRO, D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito – Le novità in materia di compensazione in presenza di imposte iscritte a ruolo, in Il fisco, 2010, 34, p. 5437 ss.; C. CARPENTIERI, Un percorso in salita per la compensazione dei crediti commerciali con i debiti fiscali, in Corr. trib., 2012, 32, p. 2448 ss. 3 Si prevede cioè un ulteriore impiego della certificazione e nel contempo si agevola l’esazione dei debiti pregressi dei contribuenti, essendo il ruolo essenzialmente uno strumento per la riscossione non spontanea delle entrate pubbliche. 4 È in specie disposto che per esercitare siffatto diritto ovvero «per il pagamento, totale o parziale, delle somme dovute a seguito dell’iscrizione a ruolo» sono utilizzate «a richiesta del creditore … la certificazione prevista dall’articolo 9, comma 3-bis, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e le certificazioni richiamate all’articolo 9, comma 3-ter, lettera b), ultimo periodo, del medesimo decreto, recanti la data prevista per il pagamento, emesse mediante l’apposita piattaforma elettronica».

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essere “omogenee” nel senso di egualmente “definitive” 5 o, meglio, parimenti certe,

liquide ed esigibili. La sussistenza di tali caratteri, sebbene sia prevista

espressamente solo per i crediti, pare infatti valere anche per i debiti del

contribuente, stante che deve trattarsi di «somme dovute a seguito di iscrizione a

ruolo»6. L’ambito di applicazione dell’istituto sembrerebbe così delimitato, quanto ai

crediti utilizzabili in compensazione e dai soggetti debitori e dalla natura del credito

o meglio dalla previa certificazione del credito, quanto ai debiti estinguibili dalla

forma di riscossione mediante il ruolo.

La collocazione della disposizione fra quelle che disciplinano le fattispecie di

“compensazione” tributaria e l’ampiezza per perimetro della misura delineato dalla

norma primaria indurrebbero ad ipotizzare che detto istituto sia espressione del più

generale principio di tutela dell’integrità patrimoniale del contribuente espresso

dall’art. 8 della Legge n. 212/2000. Il riferimento però nell’ultimo alinea dell’unico

comma dell’art. 28 quater al «rispetto degli equilibri programmati di finanza

pubblica» porta subito a dubitare della fondatezza di detta ipotesi, tanto più che ad

oggi l’applicazione dell’istituto è di anno in anno subordinata all’adozione di

apposita disposizione e/o decreto ministeriale ove sono individuati i debiti ratione

temporis estinguibili7. In ragione dei reiterati rimaneggiamenti della misura, per lo

5 Il termine è usato in materia atecnica, in quanto l’iscrizione a ruolo non implica certamente la “definitività” della pretesa. Si pensi all’ipotesi di tributi riscossi in via provvisoria in pendenza di giudizio. 6 I medesimi caratteri dovrebbero riscontrarsi anche qualora il titolo sia costituito, come si dirà, dall’avviso di accertamento immediatamente esecutivo. Sembra manifestare qualche dubbio sulla pienezza in quest’ultimo caso, ossia in presenza di un accertamento immediatamente esecutivo, di questi caratteri L. DEL FEDERICO, I crediti tributari nell’accertamento del passivo fallimentare, op. cit., p. 11, il quale osserva che con l’introduzione di questo nuovo avviso di accertamento “ne risulta attenuata la stabilità del titolo, che nella fase della riscossione [a mezzo ruolo] rappresentava un’obbligazione tributaria in senso stretto, certa, liquida ed esigibile”. 7 Si riporta di seguito la sequenza dei decreti ministeriali che hanno apportato modifiche alla disciplina in questione. Sulla materia sono intervenuti: il D.M. 25 giugno 2012, che ha disciplinato le modalità con le quali i crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, maturati nei confronti delle Regioni, degli enti locali e degli enti del Servizio sanitario nazionale per somministrazione, forniture e appalti, possono essere compensati con le somme dovute a seguito di iscrizione a ruolo; il D.M. 19 ottobre 2012, che ha ampliato l’ambito soggettivo dei debitori estendendo i crediti compensabili anche a quelli non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, maturati nei confronti dello Stato e degli enti pubblici nazionali; il D.M. 24 settembre 2014 (di concerto con il Ministero dello Sviluppo Economico) – emanato in attuazione dell’art. 12, comma 7 bis, D.L. n. 145/2013 – che ha fissato le modalità di compensazione delle cartelle esattoriali, per l’anno 2014, per un verso, estendendo l’ambito soggettivo dei creditori che possono usufruire del sistema alle imprese ed ai professionisti titolari di crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili nei confronti della pubblica amministrazione, per l’altro, limitando l’estinzione per compensazione delle cartelle notificate entro il 31 marzo 2014, solo alle ipotesi in cui la somma iscritta a ruolo sia inferiore o pari al credito vantato nei confronti della P.A. (cosiddetta disciplina speciale anno 2014); il D.M. 13 luglio 2015 – adottato in attuazione dell’art. 1, comma 19, legge n. 190/2014 (Legge

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più attuati proprio per garantire gli «equilibri programmati di finanza pubblica»,

non è in sostanza chiaro se questa disciplina sia o no indicativa di un progressivo

avvicinamento delle modalità di estinzione del debito iscritto a ruolo a quelle di

diritto comune e soprattutto se sia sintomatica del mutamento della nozione di

interesse fiscale nella fase della riscossione e del conseguimento di una posizione

tendenzialmente paritaria fra “contribuente” ed ente titolare delle somme riscosse a

mezzo ruolo.

Al fine di individuare la natura dell’istituto sembra pertanto preliminare indagare

sulla latitudine del suo ambito applicativo e sull’esistenza di condizioni di fatto

ostative al suo concreto impiego.

L’icasticità della formulazione della disposizione cela invero molteplici profili di

criticità, alcuni dei quali derivanti dalla scelta del legislatore, per un verso di

individuare i debiti estinguibili non sulla base della natura ma della forma di

riscossione, con tutti i problemi derivanti dalla coeva introduzione degli atti

immediatamente esecutivi8, per l’altro di innestare questo istituto in un sistema,

quello della certificazione di cui all’art. 9, co. 3bis e 3ter del D.L. n. 185/2008, il

quale – oltre ad essere nato con altre finalità (precisamente quella della cessione pro

soluto del credito) – presenta in sé una non trascurabile complessità.

A tal proposito si evidenzia da subito che le implicazioni scaturenti dal collegamento

dell’istituto in esame a quello della certificazione dei crediti commerciali della p.a.

non sono di poco conto. Invero la certificazione, se per un verso consente di

di Stabilità per il 2015) – il quale ha previsto che le disposizioni di cui all’art. 12, comma 7 bis, sopra richiamato «si applicano anche nell’anno 2015 con le modalità previste nel medesimo comma» ed ha stabilito inoltre che anche per il predetto anno e con le medesime modalità le disposizioni previste dal D.M. 24 settembre 2014 si applicano alle cartelle esattoriali notificate entro il 31 dicembre 2014, sempre qualora la somma iscritta a ruolo sia inferiore o pari al credito vantato (cosiddetta “disciplina speciale anno 2015”); il D.M. 27 giugno 2016 – adottato in attuazione dell’art. 1, comma 129, Legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Legge di Stabilità per il 2016) – il quale ha disposto che le disposizioni sulla compensazione previste dal D.M. 24 settembre 2014 si applicano, con le medesime modalità, anche per l’anno 2016, con riferimento alle cartelle esattoriali notificate entro il 31 dicembre 2015; il D.M. 9 agosto 2017 – adottato in attuazione dell’art. 9-quater del D.L. n. 50/2017 – il quale ha disposto che le disposizioni sulla compensazione previste dal D.M. 24 settembre 2014 si applicano, con le medesime modalità, anche per l’anno 2017, con riferimento alle cartelle esattoriali notificate entro il 31 dicembre 2016. Da ultimo con l’art. 12 bis D.L. n. 87/2018 si stabilisce l’applicazione dell’istituto «con riferimento ai carichi affidati agli agenti della riscossione entro il 31 dicembre 2017». Diversamente dalle precedenti norme di estensione temporale della compensazione) – quella recata da detta disposizione è immediatamente operativa, in quanto tale disposizione non rinvia ad un decreto ministeriale di attuazione e prevede che l'istituto si applichi con le modalità indicate al DM 24 settembre 2014. 8 Invero, sebbene l’istituto in esame sia coevo all’adozione degli avvisi di accertamento immediatamente esecutivi non sembra che siano stati adeguatamente valutati e risolti i problemi derivanti dall’effetto della concentrazione della riscossione nell’atto di accertamento.

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utilizzare immediatamente un credito (il cui pagamento, per quanto “garantito”9, è

differito fino a dodici mesi), per l’altro può incidere negativamente sull’ambito di

applicazione dell’istituto giacché a causa dell’operare di ulteriori e specifici limiti

previsti dall’art. 9 del citato D.L. n. 185/2008 non tutti i crediti “compensabili”

risultano in concreto “certificabili”. A riguardo basti qui ricordare che ai sensi del

comma 3 bis dell’art. 9 le amministrazioni pubbliche certificano «nel rispetto delle

disposizioni normative vigenti in materia di patto di stabilità interno»; talché un

ente può certificare solo se soddisfa una condizione che nulla ha a che vedere con la

natura e i caratteri credito ovvero solo se ha per così dire “i conti in regola”10. A ciò si

aggiunga che è vietato il rilascio della certificazione dei crediti (a pena di nullità della

medesima) sia agli Enti locali commissariati per fenomeni di infiltrazione mafiosa o

condizionamento mafioso e similare ex art. 143, D.Lgs. n. 267/2000, sia agli Enti del

S.S.N. delle Regioni sottoposte a piani di rientro dai disavanzi sanitari ovvero a

programmi operativi di prosecuzione degli stessi (qualora nell’ambito di detti piani o

programmi siano state previste operazioni relative al debito) 11. Appare pertanto

evidente, già sotto tale profilo che, a fronte della pressoché identica formulazione

dell’art. 28 quater e del comma 3 bis dell’art. 9 (avendo entrambi ad oggetto crediti

certi, liquidi ed esigibili maturati nei confronti delle amministrazioni pubbliche di

cui all’art. 1, co. 2, del D.Lgs. n. 165/2001), quest’ultima disciplina di fatto limita

l’operatività dell’istituto della compensazione.

Sulla base delle considerazioni che precedono si procede con l’individuazione dei

crediti effettivamente opponibili in compensazione, tenendo conto non solo dei

requisiti previsti espressamente dall’art. 28 quater ma anche di quelli che derivano

dalla disciplina sulla certificazione e, ove possibile, interpretando i primi in funzione

dei secondi 12.

9 Le conseguenze per l’ipotesi di mancato pagamento del debito certificato sono previste dall’art. 28 quater nella parte in cui dispone, qualora la regione, l’ente locale o l’ente del Servizio sanitario nazionale non versi all’agente della riscossione l’importo oggetto della certificazione «entro sessanta giorni dal termine nella stessa indicato», l’agente della riscossione – salvo il tentativo di recupero «mediante riduzione delle somme dovute dallo Stato all’ente territoriale a qualsiasi titolo» – può procedere «sulla base del ruolo emesso a carico del titolare del credito, alla riscossione coattiva» nei confronti dell’ente. 10 Questo sembra essere il significato della locuzione «nel rispetto delle disposizioni normative vigenti in materia di patto di stabilità interno». 11 Ai sensi dell’art. 9, comma 3 ter, D.L. n. 185/2008, sono fatte salve, in ogni caso, le certificazioni rilasciate nell’ambito delle operazioni di gestione del debito previste dai piani di rientro, ai fini dei successivi utilizzi delle certificazioni ottenute. 12 La correttezza dell’impostazione qui proposta con riferimento alla tesi secondo la quale per individuare i crediti compensabili occorre muovere dalle disposizioni e dalla prassi in materia di certificazione è confermata dall’evoluzione del dato normativo di cui all’art. 28 quater. Basti citare la novella recata dall’art. 12, comma 7 bis, D.L. 23 dicembre 2013, n. 145 (c.d. “Decreto destinazione Italia”) con la quale il legislatore, intervenendo a stabilire le

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2. La natura “commerciale” del credito utilizzabile in compensazione

Procedendo secondo l’ordine esposto, occorre individuare i crediti utilizzabili per il

“pagamento” 13 delle somme iscritte a ruolo e segnatamente identificare quelli che

abbiamo genericamente definito “commerciali” maturati nei confronti di

amministrazioni pubbliche e che ai fini in esame sono provvisti dei requisiti di

certezza, esigibilità e liquidità.

Rinviando al paragrafo che segue l’analisi di detti caratteri, sotto il profilo della

natura essi sono identificati in maniera apparentemente chiara dalla disposizione di cui

all’art. 28 quater, il quale – analogamente al comma 3 bis del citato art. 9 in materia di

certificazione – fa riferimento alle posizioni creditorie che traggono origine da rapporti

di tipo privatistico e segnatamente da contratti di somministrazione, fornitura, appalto

intercorsi fra i soggetti della pubblica amministrazione (individuati nell’art. 1, comma 2,

D.Lgs. n. 165/2001) e le imprese.

La genericità delle espressioni impiegate non risolve tuttavia la questione14. Non è

invero chiaro se con il termine “appalti” il legislatore intenda riferirsi a quelli

pubblici solo di lavori o anche di servizi; né è agevole individuare i confini della

categoria delle “forniture”, trattandosi evidentemente di una nozione

omnicomprensiva.

Analoghi problemi interpretativi si sono posti in materia di certificazione, atteso che,

come anticipato, nell’art. 9 ricorrono le medesime locuzioni 15.

Alla luce di questi rilievi considerato che l’art. 28 quater, come detto in premessa,

usa lo stesso sintagma dell’art. 9, comma 3 bis16 e che la certificazione costituisce

modalità di compensazione delle «cartelle esattoriali» per l’anno 2014, ha ampliato (a partire dal suddetto periodo) l’ambito di applicazione dell’istituto ai «crediti … per … prestazioni professionali», evidentemente seguendo le orme tracciate della disciplina in materia di certificazione nella quale detti crediti rientravano già fra quelli “certificabili”. Muovendo inoltre dalla considerazione che questa misura è espressione del più generale principio di tutela dell’integrità patrimoniale del contribuente, l’interpretazione dovrebbe essere volta a consentire una piena operatività dell’istituto. 13 L’espressione ricorre nello stesso Decreto di attuazione 25 giugno 2012. Invero l’art. 4 al primo comma prevede che «Il titolare del credito, acquisita la certificazione di cui all’art. 2, la presenta all’agente della riscossione competente, per il pagamento [corsivo aggiunto] totale o parziale delle somme di cui all’art. 1 e, nel caso in cui il pagamento riguardi solo una parte delle somme dovute, il contribuente è tenuto, contestualmente, ad indicare all’agente della riscossione le posizioni debitorie che intende estinguere … omissis …». 14 Su tale aspetto nulla aggiunge il Decreto 25 giugno 2012 (pubblicato nella Gazz. Uff., Serie Generale, 2 luglio 2012, n. 152), emesso ai sensi dell’art. 28 quater, al fine di dare attuazione a questa disposizione nel «rispetto degli equilibri programmati di finanza pubblica». 15 Sul tema v. G. FISCHIONE, Ambito oggettivo della normativa sulla certificazione del credito, in La cessione dei crediti della P.A., a cura di F. Freni-M. Nunziata, Milano, 2015, p. 67 ss. 16 Occorre qui rilevare che nell’art. 28 quater si parla di “crediti… per somministrazione, forniture e appalti…omissis…”.

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una precondizione per l’esercizio della compensazione, sembra possibile affermare

che l’approdo interpretativo raggiunto con riferimento alla certificazione possa

essere esteso al fine di definire i crediti “spendibili” per la compensazione.

In materia di certificazione le suddette nozioni sono state intese nell’accezione

prevista dal D.Lgs. n. 163/2006 (Codice dei Contratti Pubblici), ora sostituito dal

D.Lgs. n. 50/2016 (Codice appalti pubblici e contratti di concessione), al quale rinvia

lo stesso art. 9 laddove dispone che la cessione dei crediti «avviene nel rispetto

dell’articolo 117 del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163».

In specie, poiché la certificazione è funzionale anche alla cessione dei crediti e poiché

quest’ultima ai sensi dello stesso comma 3 bis del citato art. 9 «avviene nel rispetto

dell’articolo 117 del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163», il

quale a sua volta concerne «i crediti … da contratti di servizi, forniture e lavori di cui

al presente codice», si è sostenuto che nel novero dei crediti certificabili si devono

ricomprendere quelli che derivano dagli appalti pubblici sia di lavori sia di servizi17.

In ragione poi delle definizioni dettate da detto Codice si è evidenziato che la

distinzione fatta fra forniture e somministrazioni risulti ridondante e fonte di

equivoci, giacché che nella nozione di fornitura rientrano anche le somministrazioni.

La definizione di fornitura è in specie, da un lato omnicomprensiva ricomprendendo

qualsiasi acquisto di prodotti e beni mobili, dall’altro residuale rispetto alla nozione

di lavori e servizi18.

Si è inoltre osservato che l’espressione “somme dovute per…” usata dal legislatore

nella legge sulla certificazione è molto più ampia di quella di “corrispettivo” per gli

appalti, forniture e così via ed è perciò idonea a ricomprendere qualsivoglia credito

che scaturisca dall’esecuzione di detti contratti, quale ad esempio può essere quello

che sorge per effetto di atti aggiuntivi e/o integrativi dell’appalto o che deriva da

prestazioni eseguite per lavori e servizi complementari19.

Un’ultima notazione riguarda i crediti per prestazioni professionali. La possibilità di

17 In tal senso v. G. FISCHIONE, Ambito oggettivo, cit., p. 68, il quale osserva, da una parte, che “riferire il contratto alle solo forniture sarebbe in parte ridondante, trattandosi di contratti già menzionati espressamente…” e, dall’altra, che “sarebbe singolare ritenere che il legislatore si sia premurato di citare i crediti da prestazioni professionali (crediti da servizi in senso lato…) ed abbia voluto escludere i crediti da appalti servizi ordinari, pur richiamando genericamente i crediti da appalto”. L’A. ritiene inoltre che nell’ambito dei crediti certificabili vanno ricompresi anche quelli scaturenti da concessioni di lavori e servizi.

18 Cfr. art. 3 del citato D. Lgs n. 163/2006 ove si specifica che gli appalti pubblici di forniture sono appalti pubblici diversi da quelli di lavoro o di servizi, aventi per oggetto l’acquisto, la locazione finanziaria, la locazione o l’acquisto a riscatto, con o senza opzione per l’acquisto, di prodotti. Sostanzialmente analoga è la definizione ora dettata dall’art. 3 del D.Lgs. n. 50/2016. 19 In tal senso v. G. FISCHIONE, Ambito oggettivo della normativa sulla certificazione del credito, cit., p. 69.

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M.G.Ortoleva, La compensazione dei debiti…

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utilizzare in “compensazione” siffatti crediti è introdotta dalla novella recata dall’art.

12, comma 7 bis, D.L. 23 dicembre 2013, n. 145 (c.d. “Decreto destinazione Italia”) 20

con la quale il legislatore, intervenendo a stabilire le modalità di compensazione

delle «cartelle esattoriali» per l’anno 2014, ha ampliato (a partire dal suddetto

periodo) l’ambito di applicazione dell’istituto ai «crediti … per … prestazioni

professionali», evidentemente seguendo le orme tracciate della disciplina in materia

di certificazione nella quale detti crediti rientravano già fra quelli “certificabili” 21. A

differenza di quanto previsto in materia di certificazione i soggetti che possono

fruire dell’istituto sono però espressamente individuati nelle “imprese titolari” del

credito; sicché sembrerebbero esclusi da siffatta facoltà i professionisti.

Un’interpretazione strettamente letterale però non convince, non solo perché

creerebbe un’irragionevole disparità di trattamento fra imprese e i professionisti, ma

anche perché, trattandosi di crediti «per prestazioni professionali», la distinzione

sarebbe priva di giustificazione. Questi argomenti unitamente all’esigenza di

garantire una piena ed effettiva operatività all’istituto coerentemente con quanto

previsto in tema di certificazioni inducono invece a ritenere che anche i

professionisti possano utilizzare in compensazione detti crediti vantati nei confronti

della p.a.22. Altrimenti detto, il riferimento solo alle “imprese” quali titolari dei

20 Testualmente il citato art. 12 al comma 7 bis dispone che «Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono stabilite, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, le modalità per la compensazione, nell’anno 2014, delle cartelle esattoriali in favore delle imprese titolari di crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, per somministrazione, forniture, appalti e servizi, anche professionali, maturati nei confronti della pubblica amministrazione e certificati secondo le modalità previste dai decreti del Ministro dell’economia e delle finanze 22 maggio 2012 e 25 giugno 2012, … omissis …, qualora la somma iscritta a ruolo sia inferiore o pari al credito vantato. Con il decreto di cui al primo periodo sono individuati gli aventi diritto, nonché le modalità di trasmissione dei relativi elenchi all’agente della riscossione». A tale disposizione è stata data attuazione con il Decreto Ministeriale 24 settembre 2014 (di concerto con il Ministero dello Sviluppo Economico). 21 Con l’entrata in vigore del D.L. n. 35/2013 (convertito con la legge n. 64/2014), la disciplina in materia di certificazione è stata estesa ai crediti per prestazioni professionali. L’art. 6, comma 1, del citato Decreto ha infatti sostituito le parole “forniture e appalti” di cui all’art. 9, comma 3 bis, D.L. n. 185/2008 con le parole “forniture, appalti e prestazioni professionali”. 22 In una nota pubblicata lunedì 13 ottobre 2014 sul sito Fisco Oggi (dell’agenzia delle entrate) si afferma, peraltro, che a seguito del Decreto del 24 settembre 2014, nel 2014 a potere utilizzare i crediti in compensazione saranno «imprese e professionisti titolari di crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, per somministrazioni, forniture, appalti e prestazioni professionali». Quindi non sembrano esserci dubbi sulla possibilità anche da parte dei professionisti di usare il regime dell’art. 28 quater. In dottrina, in tal senso, v. G. GIRELLI, La disciplina della compensazione tributaria va razionalizzata e completata in maniera organica, cit., p. 517. L’A. lamenta inoltre che eguale potere avrebbe dovuto concedersi anche alle persone fisiche od enti non svolgenti attività professionali o d’impresa che, seppur meno di sovente, possono trovarsi anch’essi creditori della Pubblica

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GIURISPRUDENZA DELLE IMPOSTE n. 1-2019

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crediti (e non anche ai professionisti) sembra frutto di un’imperfezione nella tecnica

di formulazione della disposizione, la quale dovrebbe essere colmata alla luce della

ratio della stessa.

Occorre a questo punto verificare quando un credito possa considerarsi ai fini della

disposizione in esame certo, liquido ed esigibile. All’uopo, atteso che il comma 3 bis

dell’art. 9 analogamente all’art. 28 quater richiede la presenza di tali requisiti e che,

come detto, la certificazione è precondizione per l’esercizio del diritto di cui alla

disposizione in esame, sembra ragionevole proseguire l’analisi identificando il

significato delle suddette condizioni ai sensi del citato art. 9.

3. I caratteri del credito

La questione che si pone è se ed eventualmente in che misura le disposizioni in

materia di contabilità pubblica si reverberino sul significato dei suddetti tratti o

possano comunque condizionare la certificazione del credito e, per tale via, l’accesso

all’istituto in esame.

Invero, pur essendo indubbio che la disciplina delle obbligazioni pubbliche sia quella

di diritto comune e che, pertanto, al creditore della p.a. debba essere riconosciuto, al

pari di qualsiasi altro creditore, il diritto di rivendicare l’esecuzione della prestazione

oggetto dell’obbligazione alla scadenza del termine, non si può trascurare che

l’adempimento di queste obbligazioni sia soggetto alle norme di contabilità pubblica

le quali, essendo dirette a garantire in primis la legittimità del procedimento di

spesa, impongono il rispetto di peculiari vincoli.

Inoltre, pur essendo superata la posizione secondo la quale le norme di contabilità

pubblica prevarrebbero sulla disciplina (civilistica) del rapporto sottostante,

incidendo sulla posizione del contraente della pubblica amministrazione 23, non è del

tutto pacifico in dottrina l’atteggiarsi dei rapporti fra i due sistemi normativi. Basti

qui ricordare che secondo un orientamento per gli enti sottoposti al regime di

contabilità pubblica il bilancio sarebbe funzionale, ancora prima che alla rilevazione

dei fatti gestionali, alla genesi e alla estinzione delle obbligazioni pecuniarie del

amministrazione ed al contempo debitori di somme iscritte a ruolo. Il riferimento è a titolo di mero esempio ai soggetti che hanno subito un esproprio dal Comune per ragioni di pubblica utilità e sono in attesa del versamento dell’equo indennizzo. Evidenziano che il dato letterale fa riferimento soltanto alle imprese, G. SEPIO-F.M. SILVETTI, La compensazione e la cessione pro soluto dei crediti verso la Pubblica amministrazione, in Il fisco, 2014, 40, p. 3921 ss. 23 In termini v. M.S. GIANNINI, Le obbligazioni pubbliche, cit., p. 87. Per il chiaro A. «non si può accettare la pretesa che le norme di contabilità condizionino le norme dei rapporti intersoggettivi retti dal diritto privato, così come non si potrebbe accettare la pretesa inversa».

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M.G.Ortoleva, La compensazione dei debiti…

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soggetto pubblico, costituendone il presupposto 24; con la conseguenza che le norme

di contabilità «tendono ad introdurre per via positiva una dipendenza del

regolamento contrattuale dal procedimento contabile, non già sul piano della

validità, ma su quello dell’efficacia giuridica» 25.

Alla luce di tali considerazioni, e anche a non aderire a siffatta ricostruzione, non

sembra che nell’interpretazione dei suddetti caratteri nell’ambito della disposizione

sulla certificazione (e di riflesso della “compensazione” de qua) si possa prescindere

dalle norme di contabilità.

Il problema si pone innanzitutto con riferimento al requisito della certezza, rispetto

al quale la prassi ritiene che esso si realizzi solo qualora il credito afferisca ad

un’obbligazione “giuridicamente perfezionata” per la quale sia stato assunto, ai sensi

dell’art. 34 della Legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza

pubblica)26, il relativo impegno di spesa, registrato sulle scritture contabili 27. Perché

ci sia certezza occorrerebbe, quindi, il concorso di un “contratto perfezionato” e

dell’impegno di spesa 28.

In ragione di quanto esposto in premessa siffatta interpretazione sembra essere

condivisibile. Invero, l’espressione “obbligazione giuridicamente perfezionata”

24 Sul punto cfr. A. BRANCASI, L’ordinamento contabile, Torino, 2005, p. 13 nonché W. GIULIETTI, Disciplina contabile e obbligazioni pecuniarie della pubblica amministrazione. I debiti fuori bilancio, in Il Diritto dell’economia, 2016, 2, pp. 347-379. 25 Cfr. W. GIULIETTI, op. cit., pp. 355-356. In particolare, l’A. ritiene che il “sistema dei controlli di regolarità contabile” realizzi “per via positiva la condizionabilità che, sul piano sistematico, non è configurabile” alla stregua del principio di autonomia tra obblighi contabili e obbligazioni pecuniarie passive, “facendo conseguire l’efficacia del contratto dalla registrazione dell’impegno”. Diversa è la tesi di A. BRANCASI, L’ordinamento contabile, cit., p. 360 ss. secondo il quale le norme di contabilità prevarrebbero ed inciderebbero sulla disciplina del rapporto sotteso in modo paragonabile alla violazione delle norme sull’evidenza pubblica rispetto al contratto. Segnatamente la contestualità tra assunzione dell’obbligo e impegno avrebbe «il senso di instaurare un reciproco condizionamento tra i due tipi di atti». Per un verso l’atto di impegno sarebbe illegittimo se l’atto che rappresenta la fonte dell’obbligazione non è “perfetto” (id est non si riferisce ad un atto perfetto fonte della relativa obbligazione), per l’altro in mancanza dell’impegno o della relativa registrazione il rapporto obbligatorio sarebbe inefficace. Sulla base di tali premesse l’A. ricostruisce la mancata assunzione dell’impegno di spesa (entro il termine di 30 giorni stabilito dall’art. 2 della legge n. 241/90 per portare a conclusione ogni procedimento) in termini di silenzio-inadempimento, sicché il terzo contraente sarebbe legittimato a risolvere il rapporto non ancora efficace o ad agire a tutela del suo diritto ad ottenere una decisione da parte dell’amministrazione ex art. 21-bis della legge n. 1034/71. 26 Ai sensi dell’art. 34, comma 2, Legge 31 dicembre 2009, n. 196, formano impegni sugli stanziamenti di competenza le sole somme dovute dallo Stato a seguito di obbligazioni giuridicamente perfezionate. 27 V. Circolare Ministero dell’Economia e delle Finanze – Ragioneria generale dello Stato, del 27 novembre 2012, n. 35. 28 Per i crediti ascrivibili alla gestione dei funzionari delegati, i quali non effettuano registrazioni di impegni sulle scritture contabili, è evidente che occorrerà riferirsi unicamente all’imprescindibile presenza delle obbligazioni giuridicamente perfezionate (id est ai contratti).

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GIURISPRUDENZA DELLE IMPOSTE n. 1-2019

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riporta alla fonte del rapporto giuridico. Nella stessa Circolare, infatti, si legge che

“in assenza di contratto perfezionato” e di impegno di spesa, regolarmente registrato

sulle scritture contabili, le amministrazioni statali non potranno certificare il credito.

Né sarebbe possibile affermare che il perfezionamento dell’obbligazione possa

dipendere dal solo impegno di spesa, essendo di tutta evidenza che esso segue e non

precede il sorgere dell’obbligazione giuridica 29, la quale si fonda esclusivamente sul

contratto e non già sul vincolo creato in bilancio dall’ente debitore.

Il credito è, dunque, certo allorché è basato su un contratto validamente

perfezionato, il quale, per essere considerato tale, dovrà presentare tutti i requisiti

essenziali previsti dalla disciplina civilistica (id est dall’art. 1325 c.c.).

È dunque ragionevole ritenere che l’amministrazione debitrice, prima di rilasciare la

certificazione, verifichi non solo la correttezza del momento genetico del contratto,

riscontrando la ricorrenza dei suoi elementi essenziali, ma anche del momento

funzionale, verificando altresì l’eventuale presenza di vizi che possano inficiare il

corretto adempimento della prestazione da parte del fornitore/preteso creditore.

Se questo è vero allora, l’amministrazione quando attesta la certezza del credito in

realtà dichiara la piena legittimità della pretesa creditoria sì da escludere in limine

qualsivoglia ragione di contestazione sulla sua esistenza e validità.

Tant’è vero che ai sensi del comma 2 dell’art. 3 del D.M. 25 giugno 2012 (c.d. decreto

certificazione) l’amministrazione non può certificare il credito qualora siano

pendenti giudizi in ordine alla medesima ragione di credito.

Sembra, dunque, potersi affermare che l’espressione “credito certo” vada intesa

quale credito non contestato, né contestabile 30.

29 L’impegno costituisce, infatti, la prima fase del procedimento di spesa con la quale viene registrata nelle scritture contabili la spesa conseguente ad una obbligazione giuridicamente perfezionata, avendo, da un lato, determinato la somma da pagare, il soggetto creditore, la ragione del debito ed al contempo costituito il vincolo sulle previsioni di bilancio, nell’ambito della disponibilità finanziaria accertata con l’apposizione del visto di regolarità contabile. 30 Occorre precisare che la contestazione del credito in sé attiene alle ipotesi di inesistenza originaria o di successivo venire meno del titolo dell’obbligazione (per nullità, annullamento, rescissione, risoluzione del vincolo o per avveramento della condizione risolutiva). In tutti questi casi ciascuna parte può determinarsi ad intraprendere un’azione giudiziaria al fine di risolvere la contestazione sull’esistenza o meno del credito. In tal caso, come già detto, l’ente debitore non potrà emettere la certificazione neppure nell’ipotesi in cui la controversia sia stata decisa con sentenza non ancora passata in giudicato, poiché la provvisoria esecuzione consente la temporanea esigibilità del credito ma non ne comporta la irrevocabile certezza, potendo il titolo ancora essere caducato. Cfr., in materia di compensazione, Cass. civ., sez. III, 12 aprile 2011, n. 8329, in CED Cass., 2011. Il requisito della certezza del credito richiesto dal legislatore ai fini della compensazione ex art. 28 quater indica pertanto l’esistenza di un credito non contestato o di cui è stata risolta giudizialmente e in modo definitivo la contestazione. Mutuando le successive osservazioni dagli orientamenti della dottrina e della giurisprudenza sulla compensazione civilistica, si osserva che – mentre il legislatore con l’art. 28 quater ha espressamente previsto il requisito della certezza del credito distinto

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M.G.Ortoleva, La compensazione dei debiti…

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Il sintagma “obbligazione giuridicamente perfezionata” esprime, pertanto,

compiutamente due concetti. Il primo attiene alla validità del contratto ossia alla sua

idoneità a costituire il vincolo giuridico negoziale. Il secondo concerne il compiuto e

corretto adempimento della prestazione da parte del creditore.

Di conseguenza quando l’ente debitore rilascia la certificazione esclude sia la

sussistenza di fatti lato sensu impeditivi che abbiano ostacolato il perfezionamento

del contratto o inciso sulla sua idoneità a produrre effetti (precludendo per tal via ab

origine la costituzione del rapporto giuridico) sia l’esistenza di contestazioni in

ordine al corretto adempimento della prestazione resa dalla controparte.

Quanto al requisito della liquidità esso sta ad indicare che il credito è determinato

nel suo esatto ammontare e, secondo la stessa prassi amministrativa, è ugualmente

riconducibile agli elementi del “titolo giuridico”.

Esigibilità, invece, significa che è consentito pretendere l’adempimento, non

sussistendo ostacoli all’esperimento di un’azione giudiziale volta a tutelare il diritto

in vista di un’eventuale esecuzione forzata.

Tale caratteristica indica quindi l’assenza di fatti impeditivi al pagamento del

credito, quali l’esistenza di un termine o di una condizione sospensiva, o

un’eccezione di inadempimento. Se perfezionamento e validità del contratto

indicano l’idoneità dello stesso a determinare la costituzione del rapporto, l’assenza

del termine di adempimento o la sua scadenza esprime invece la legittimità in

concreto della pretesa del creditore all’adempimento. Il termine di adempimento

dall’ulteriore requisito della liquidità (il quale è soddisfatto dalla quantificazione dell’esatto ammontare del credito) – nella compensazione civilistica, ove il requisito della certezza non è espressamente previsto, la liquidità è intesa nel senso che il credito deve essere certo nel suo ammontare e non controverso nella sua esistenza (cfr. N. DI PRISCO, Compensazione, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, Torino, 1984, p. 390). Di esistenza del credito quale presupposto che precede la verifica della sussistenza dei requisiti richiesti per l’operatività della compensazione legale parla M.C. DALBOSCO, Della compensazione giudiziale ovvero di un’apparenza normativa, in Riv. dir. civ., 1991, 6, 1, p. 715 ss., spec. p. 738, il quale esclude che la nozione di liquidità comprenda la certezza dell’esistenza del credito. Parte della dottrina ritiene, tuttavia, che tra i presupposti necessari per l’operare del meccanismo compensativo di fonte legale sia da annoverare la certezza dei debiti reciproci, quale requisito indefettibile, sebbene non espressamente stabilito dal legislatore, diversamente da quanto accade per l’omogeneità, la liquidità e l’esigibilità della compensazione legale (per tutti M.C. BIANCA, Diritto civile, 4, L’obbligazione, Milano, 1993, p. 481). Secondo altra dottrina vi sarebbe una più radicale commistione tra la certezza del credito e la sua liquidità e per tal via riferisce la liquidità a crediti incontestati (cfr. F. PELLEGRINI, Dei modi di estinzione dell’obbligazione diversi dall’adempimento, in Commentario al codice civile, a cura di M. D’Amelio-E. Finzi, Firenze, 1948, I, p. 1493 ss.) o determinati nella consistenza e incontroversi nel titolo (v. F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, III, Milano, 1959, p. 294). Altra dottrina, invece, osserva che il giudice, qualora siano contestate l’esistenza e la liquidità del credito opposto, non può rigettare l’eccezione di compensazione ma dovrà procedere agli opportuni accertamenti. Cfr. P. PERLINGIERI, Dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento, cit., p. 293.

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GIURISPRUDENZA DELLE IMPOSTE n. 1-2019

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presuppone, infatti, l’esistenza di un rapporto già nato e pienamente efficace, che

deve solo essere eseguito e che appunto diventa esigibile con la scadenza del

termine31.

Infine l’amministrazione debitrice deve verificare che il credito non sia prescritto. La

valutazione in concreto dell’insussistenza di tale fatto estintivo del credito non è

prevista nell’art. 9, comma 3 bis, D.L. n. 185/2008 né dall’art. 9, comma 3 ter, lett.

b), ultimo periodo, del medesimo decreto, ma è disposta in seno all’art. 3, comma 1,

del c.d. Decreto certificazione del 25 giugno 2012.

Anche l’analisi di questo aspetto non può non tenere conto della complessiva

(sopradescritta) evoluzione del sistema laddove si è passati da una procedura avviata

con l’apposita richiesta da parte del contribuente ad una nella quale è devoluto alle

amministrazioni il compito di comunicare le informazioni inerenti alla ricezione ed

alla rilevazione sui propri sistemi contabili delle fatture o richieste equivalenti di

pagamento ed è venuto meno per il contribuente l’onere di presentare l’istanza e,

almeno in alcuni casi, anche quello di accreditarsi in piattaforma.

In tale contesto appare quindi possibile ipotizzare che, nella prima procedura,

all’istanza poteva riconoscersi anche valore di atto interruttivo della prescrizione e

che con riguardo al momento della sua presentazione dovesse essere valutata

l’esistenza dei requisiti per la certificazione, ivi compreso quello della non

intervenuta prescrizione. Nella seconda (e ormai attuale) procedura l’atto in ordine

al quale verificare la prescrizione e le altre condizioni chieste dalla legge diventa

quello di presentazione delle fatture e/o delle richieste equivalenti.

Occorre a questo punto verificare per quali posizioni creditorie sia possibile chiedere

la certificazione e se tutte le pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1 del Testo

31 Qualche perplessità nel tempo è stata sollevata circa la configurabilità del requisito dell’esigibilità con riferimento al credito vantato a titolo di acconto sul corrispettivo derivante da un appalto di lavori. Contro la esigibilità si è osservato che il pagamento degli acconti non implica che le ragioni creditorie dell’appaltatore siano definitivamente riconosciute giacché questo si verifica soltanto con l’accettazione del collaudo (o atto equipollente), potendo l’Amministrazione recuperare le somme oggetto di acconto sulla liquidazione finale in danno dell’appaltatore e/o mediante escussione delle garanzie prestate. In favore della possibilità di ritenere esigibili gli acconti si è, condivisibilmente, osservato che il credito nasce da un contratto che prevede il pagamento sulla base degli stati di avanzamento dei lavori e che al verificarsi degli eventi e delle modalità definite nel D.P.R. 207/2010, nel contratto di appalto e nel capitolato il committente non può sottrarsi all’obbligo di pagare gli acconti correlati agli stati di avanzamento individuati. Ulteriori argomenti a sostegno della immediata esigibilità degli acconti si ritrovano da una parte nella previsione dell’obbligo di pagare interessi (ex artt. 142 e 144 D.P.R. 207/2010) sia per la ritardata emissione sia per il ritardato pagamento del Sal e dall’altra nell’azionabilità in giudizio del diritto al pagamento dell’acconto ancor prima dell’accettazione finale. Invero, detta azionabilità è possibile in quanto si tratta di diritto sostanzialmente perfetto. Per ulteriori approfondimenti sul punto v. G. FISCHIONE, Ambito oggettivo della normativa sulla certificazione del credito, op. cit., p. 82 ss.

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M.G.Ortoleva, La compensazione dei debiti…

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Unico del Pubblico Impiego possano certificare i loro debiti, per poi individuare la

valenza di siffatta certificazione.

4. L’individuazione dei debiti estinguibili: il significato dell’espressione

«somme dovute a seguito d’iscrizione a ruolo».

Dal tenore letterale dell’art. 28 quater, il quale, come detto, dispone che i crediti

maturati nei confronti delle amministrazioni pubbliche e da esse certificati possono

essere compensati con «le somme dovute a seguito di iscrizione a ruolo» sembra

doversi dedurre che la definizione dell’ambito dei debiti estinguibili coincide con

quello della “riscossione in base al ruolo” affidata all’agente della riscossione32. È,

dunque ad essa che sembra doversi fare riferimento per individuare i debiti

compensabili.

Nel tempo – a fronte della progressiva riduzione della rilevanza del ruolo nella fase

32 Sulla riscossione come sistema di esazione delle entrate pubbliche affidato ad un terzo non titolare del credito da riscuotere cfr. A. CARINCI, La riscossione a mezzo ruolo nell’attuazione del tributo, Pisa, 2008, passim, spec. p. 14. La riscossione è definita come l’insieme «degli istituti attraverso i quali l’ente impositore viene ad ottenere la disponibilità delle somme, dovute dai soggetti obbligati a titolo di tributo» da M. BASILAVECCHIA, voce Riscossione delle imposte, in Enc. dir., XL, 1989, p. 1179 ss. Sulla terzietà quale caratteristica della riscossione a mezzo ruolo v. B. COCIVERA, L’iscrizione a ruolo del debito d’imposta, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1950, I, p. 282 ss., il quale osserva che «l’iscrizione a ruolo è necessaria solo in quei casi in cui l’imposta anziché essere riscossa direttamente dall’Amministrazione finanziaria è affidata ad un terzo, estraneo all’Amministrazione»”. V. inoltre E. ALLORIO, Diritto processuale tributario, cit., p. 194. La terzietà del soggetto incaricato alla riscossione non è venuta meno neppure con la riforma del D.L. n. 203/2005. Nel sopprimere il sistema di affidamento in concessione del servizio di riscossione le relative funzioni sono state assunte dall’Agenzia delle Entrate che continua a gestirle per il tramite di una società ad hoc (Riscossione S.p.a. divenuta poi Equitalia S.p.a.). Sul tema si rinvia a A. CARINCI, La riscossione a mezzo ruolo nell’attuazione del tributo, Pisa, 2008, p. 4, nota 2. Con l’art. 1 del D. L. 22 ottobre 2016, n. 193 è noto come tutte le società riconducibili al Gruppo Equitalia (con la sola eccezione di Equitalia Giustizia s.p.a.) a cui con l’art. 3 del D. L. n. 203/2005 erano state attribuite le funzioni in precedenza svolte dalle società concessionarie, siano state soppresse, cancellate d’ufficio dal registro delle imprese senza alcuna procedura di liquidazione a decorrere dal 1° luglio 2017. A far corso da tale data il compito di riscuotere le entrate erariali è stato assegnato ad un ente pubblico economico, non quindi direttamente all’Agenzia delle Entrate, ma ad un ente ad essa strumentale (Agenzia delle Entrate-Riscossione). In conseguenza sia pure atteggiandosi in maniera diversa, riteniamo di riscontrare ancora quella posizione di terzietà del soggetto preposto alla riscossione che connaturava il precedente sistema. Si consideri inoltre che il co. 3 dell’art. 1 del citato D.L. ha previsto non soltanto un subentro nelle funzioni con la necessaria e consequenziale attribuzione dei poteri di cui al titolo I, capo II e titolo II del D.P.R. n. 602/73, ma anche una successione a titolo universale del nuovo ente in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali di cui in precedenza era titolare Equitalia s. p.a. Per un’approfondita disamina del nuovo assetto ordinamentale, nonché dei problemi che ne sono derivati in particolare con riferimento al passaggio del personale, si v. M. BASILAVECCHIA, La nuova organizzazione della riscossione, in Corr. trib., 2016, 45, p. 3441 ss.

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GIURISPRUDENZA DELLE IMPOSTE n. 1-2019

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impositiva33 – si assiste ad un ampliamento delle somme che possono essere

riscosse attraverso questo “sistema”.

Un primo rilevante passo nella delimitazione dell’impiego del ruolo nella fase della

riscossione è compiuto con la riforma del 1970. In esito ad essa il ruolo è impiegato

per la riscossione delle somme non dichiarate dal contribuente e accertate

dall’ufficio, per quelle dichiarate e non versate o ancora per quelle accertate e non

versate tempestivamente; talché esso sembra essere definitivamente collocato

nell’ambito dell’attività della riscossione coattiva, connessa all’intervento

dell’amministrazione in ragione del mancato adempimento spontaneo da parte del

contribuente.

A fronte di questa specificazione della funzione con l’art. 17 del D.Lgs. 26 febbraio

1999, n. 46, al ruolo viene assegnata una piena centralità nell’attività di esazione34

per effetto della quale esso diventa il mezzo per la riscossione di tutte le entrate,

tributarie e non, dello Stato e degli altri Enti pubblici.

Segnatamente è data agli Enti territoriali la facoltà di scegliere se avvalersi del

sistema dell’ingiunzione fiscale di cui al R.D. 14 aprile 1901, n. 639, oppure di

ricorrere a soggetti terzi iscritti all’albo di cui all’art. 53 del D.Lgs. n. 446/1997 35.

33 Occorre in proposito ricordare che nei modelli impositivi più risalenti il ruolo costituiva anche l’atto con il quale il tributo veniva accertato e liquidato. Per una ricostruzione dell’evoluzione legislativa v. A. BASCIU, Verso la scomparsa del ruolo esattoriale, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1983, I, p. 465 ss. 34 V. A. CARINCI, La riscossione a mezzo ruolo nell’attuazione del tributo, cit., p. 56, il quale evidenzia che in esito a questa riforma «il quadro normativo … parrebbe giunto ad ideale compimento» ed il ruolo si caratterizzerebbe per i tratti della generalità (estendendosi a tutte le entrate), dell’unitarietà della disciplina della forma di riscossione (giacché le regole del D.P.R. n. 602/1973 si estendono adesso a tutte le entrate pubbliche), dell’unicità e specificità della funzione (essendo il ruolo diventato «atto della sola riscossione coattiva»). Va rilevato che fra le entrate diverse dai tributi ai sensi dello stesso art. 17 cit. rientrano anche specifiche tipologie di crediti delle società per azioni a partecipazione pubblica per le quali il Ministro dell’Economia e delle Finanze può autorizzare la riscossione coattiva mediante ruolo previa valutazione della rilevanza pubblica di tali crediti. Anche in tale ipotesi la società interessata per procedere all’iscrizione a ruolo deve prima avere emesso, vidimato e reso esecutiva un’ingiunzione conforme all’art. 2, comma 1, del Testo Unico di cui al R.D. 14 aprile 1910, n. 639. 35 Cfr. art. 52 del D.Lgs. n. 446/1992, rubricato «Potestà regolamentare generale delle province e dei comuni». Detta disposizione indica i soggetti terzi ai quali è possibile affidare la riscossione dei tributi locali e delle altre entrate. Nelle seguenti disposizione individua: le aziende speciali (ai sensi dell’art. 114 del T.U.E.L.), le società miste per azioni o a responsabilità limitata a prevalente capitale pubblico locale; le società miste senza il vincolo della proprietà maggioritaria costituite per la gestione presso altri comuni, il cui socio privato sia iscritto all’albo dei gestori e scelto con procedure ad evidenza pubblica; Equitalia s.p.a.; società di capitali aventi per oggetto la gestione dell’attività di riscossione. Ai fini di meglio cogliere l’intento del legislatore di rendere il ruolo uno strumento generalizzato di riscossione occorre ricordare che, ai sensi del comma 6 dell’art. 3, D.Lgs. n. 112/1999, se l’Ente locale non esercita la facoltà di scelta, la riscossione coattiva avviene a mezzo ruolo. A riguardo G. BOLETTO, Il ruolo di riscossione nella dinamica del prelievo delle entrate pubbliche, Milano, 2010, p. 48, evidenzia che laddove l’Ente scelga di procedere in base al

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M.G.Ortoleva, La compensazione dei debiti…

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Mediante il rinvio all’art. 17 cit. il ruolo diviene, come anticipato, il mezzo per

riscuotere le entrate anche diverse dalle imposte «aventi causa in rapporti di diritto

privato» 36.

Si tratta delle entrate patrimoniali e dei corrispettivi dei pubblici servizi la cui entità

è nel tempo progressivamente aumentata con la trasformazione di molti tributi in

canoni, tariffe, prezzi pubblici o in generale in corrispettivi di diritto privato 37.

Il ruolo è, inoltre, usato per la riscossione delle somme dovute ai sensi della Legge n.

689/1981, contenente la disciplina delle sanzioni amministrative. In tale ipotesi, ai

sensi del comma 6 dell’art. 18 di detta Legge, è “l’ordinanza-ingiunzione” 38 a

costituire il titolo esecutivo ed il ruolo sarà, dunque, il necessario strumento per la

procedura di riscossione 39.

L’ambito di rilevanza di questo atto è stato poi ulteriormente ampliato dal Decreto

Legislativo 9 aprile 2003, n. 69 col quale, in attuazione della Direttiva

2001/44/CE 40 relativa all’assistenza reciproca in materia di recupero di crediti

connessi al sistema di finanziamento del FEOGA, nonché ai prelievi agricoli, ai dazi

doganali, all’IVA ed a talune accise, vengono riscossi mediante ruolo anche i crediti

fiscali di provenienza comunitaria.

ruolo il procedimento di riscossione ha natura “mista”, nel senso che gli enti locali o i soggetti terzi affidatari della riscossione devono procedere alla riscossione coattiva delle somme risultanti dall’ingiunzione secondo le disposizioni contenute nel titolo II del D.P.R. n. 602/1973, in quanto compatibili. E in tal caso il diritto di eseguire forzatamente il credito si fonda sull’ingiunzione, mentre al ruolo sarebbe «riferibile l’effetto costitutivo dei poteri autoritativi degli agenti della riscossione». 36 Così l’art. 21 del D.Lgs. n. 46/1999. Ai sensi di tale disposizione dette entrate per essere iscritte a ruolo devono risultare «da titolo avente efficacia esecutiva». Anche in queste ipotesi, quindi, il ruolo perde la propria funzione di titolo esecutivo per diventare un mero atto successivo, necessario all’avvio della fase esecutiva. In tal senso v. G. BOLETTO, Il ruolo di riscossione nella dinamica del prelievo delle entrate pubbliche, cit., p. 49; G. Fransoni, L’esecuzione coattiva a carico dei debitori diversi dall’obbligato principale, cit., p. 155; V. anche in Rass. trib., 2011, 4, p. 823 ss. 37 Costituiscono esempi di tale uso la tariffa del servizio idrico integrato (introdotta con la c.d. Legge “Galli”, e cioè la Legge n. 36/1994, abrogata ad esclusione dell’art. 22 co. 6, ad opera dell’art. 175, co. 1, lett. u) D.Lgs. 3 aprile 2006, 152), il canone per l’istallazione dei mezzi pubblicitari e il canone per l’occupazione degli spazi e delle aree pubbliche, entrambi introdotti con D.Lgs. n. 446/1997.Sul tema della defiscalizzazione v. L. DEL FEDERICO, Tasse, tributi paracommutativi e prezzi pubblici, Torino, 2000, passim. 38 L’ordinanza in questione deve essere motivata e deve ingiungere all’autore della violazione e ai coobbligati in solido il pagamento delle somme dovute. Decorso inutilmente il termine fissato per il pagamento, l’autorità che ha emesso l’ordinanza-ingiunzione procede alla riscossione in base alle norme previste per l’esazione delle imposte dirette, trasmettendo il ruolo all’agente della riscossione. 39 V. G. BOLETTO, Il ruolo di riscossione nella dinamica del prelievo delle entrate pubbliche, cit., p. 49, secondo la quale in tal caso il ruolo funge da antecedente necessario al procedimento speciale di riscossione esattoriale. 40 Tale direttiva ed i suoi atti modificativi sono stati successivamente codificati dalla Direttiva 2008/55/CE del 26 maggio 2008, alla quale ha fatto seguito dal 1° gennaio 2012, la Direttiva 2010/24/UE del 16 marzo 2010.

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GIURISPRUDENZA DELLE IMPOSTE n. 1-2019

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In particolare al comma 1 dell’art. 5 si prevede che su domanda dell’autorità estera

richiedente, il Ministero dell’Economia e delle Finanze sulla base dei titoli esecutivi

ricevuti dà corso al recupero dei crediti vantati dallo Stato membro secondo la

normativa vigente per il recupero dei crediti analoghi sorti nel territorio nazionale.

In tale disposizione si dice espressamente che detti titoli «hanno diretta ed

immediata efficacia esecutiva, sono equiparati ai ruoli di cui al decreto del

Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602». A completamento il comma

8 dello stesso art. 5 ha esteso, poi, al recupero dei crediti in questione le disposizioni

contenute nel D.P.R. n. 602/1973 e del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, in quanto

compatibili. Ai fini della riscossione, quindi, in linea di principio il titolo esecutivo

formato all’estero appare normativamente equiparato al “ruolo”. In sede di

applicazione di tali disposizioni è stato, però, stabilito che la richiesta di recupero,

unitamente al titolo esecutivo estero tradotto, deve essere trasmessa all’Ufficio locale

dell’Agenzia delle Entrate, il quale deve formare il ruolo contenente le somme da

recuperare 41. Pertanto, anche in questa ipotesi la riscossione passa attraverso la

formazione del ruolo 42 (e non c’è un atto che lo sostituisca o sia ad esso equiparato).

Da quanto fin qui esposto si evince l’estrema latitudine della riscossione mediante il

ruolo e visto che l’art. 28 quater consente l’estinzione delle somme riscosse in tal

modo de relato appare assai ampio l’ambito di applicazione di detta misura.

Il quadro così ricavato deve essere però completato, da una parte coordinandolo con

le disposizioni recate dal D.L. n. 78/2010 che incidono sulla fase della riscossione, e,

dall’altra tenendo conto, come si è più volte esposto, delle disposizioni contenute nei

decreti di attuazione.

Quanto al primo aspetto occorre considerare che con l’introduzione (disposta

dall’art. 29 del medesimo Decreto legge), per quanto riguarda la materia

41 All’attuazione delle summenzionate disposizioni si è provveduto con il provvedimento direttoriale 18 novembre 2005 e con il provvedimento direttoriale 23 dicembre 2005. In particolare all’art. 4 di tale provvedimento si è disposto «Il punto di contatto, ricevuta la richiesta di recupero … da uno Stato membro, ne accusa ricevuta per iscritto all’autorità richiedente, controlla la regolarità e la correttezza della richiesta e la trasmette all’ufficio locale, unitamente al titolo esecutivo estero debitamente tradotto. L’ufficio locale procede alla iscrizione a ruolo delle somme da recuperare». 42 Anche in tale ipotesi secondo un certo orientamento l’iscrizione a ruolo sarebbe «meramente strumentale della procedura esecutiva speciale» v. G. BOLETTO, Il ruolo di riscossione nella dinamica del prelievo delle entrate pubbliche, cit., p. 52. V. anche E. DELLA VALLE-E. D’ALFONSO, La riscossione dei crediti tributari esteri e la riscossione all’estero, in Corr. trib., 2011, 33, p. 2714 ss., secondo tale dottrina «la riscossione dei crediti tributari esteri è comunque subordinata alla emissione di un titolo esecutivo nazionale quale il ruolo».

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M.G.Ortoleva, La compensazione dei debiti…

39

tributaria 43, del nuovo istituto dell’avviso di accertamento immediatamente

esecutivo viene soppressa la riscossione mediante i ruoli delle imposte pretese

attraverso questo nuovo atto 44, ma questo non sembra nella sostanza incidere

sull’ampiezza dei debiti estinguibili. Invero lo stesso legislatore ha previsto una

disciplina apposita al fine di coordinare il nuovo istituto dell’avviso di accertamento

immediatamente esecutivo con le disposizioni esistenti nel sistema, che fanno

riferimento alla riscossione mediate ruolo e alla cartella di pagamento. In particolare

con l’art. 29, lett. g), ha previsto che, ai fini della procedura di riscossione

contemplata dal presente comma, i riferimenti contenuti in norme vigenti al ruolo e

alla cartella di pagamento si intendono effettuati agli atti indicati nella lett. a) ed i

riferimenti alle somme iscritte a ruolo si intendono effettuati alle somme affidate in

carico agli agenti della riscossione 45. Per l’interprete, il coordinamento appare, a

tutta prima, assai piano. Invero, procedendo alla sostituzione nell’art. 28 quater del

sintagma «somme iscritte a ruolo» secondo la regola indicata alla lett. g) dell’art. 29

si giunge alla conclusione che con riferimento ai debiti scaturenti dagli atti di cui agli

artt. 29 e 30 citt., potranno essere estinte per compensazioni tutte «le somme

affidate in carico all’agente della riscossione». Anche a seguito di questa modifica,

dunque, l’ambito applicativo sembra restare assai ampio.

Ad incidere sul novero dei debiti iscritti a ruolo estinguibili è, invece, il Decreto di

attuazione dell’art. 28 quater emesso, oltre due anni dopo, il 25 giugno 2012 46.

Dal confronto del testo dell’art. 1 del suddetto decreto con quello di fonte primaria

emerge invero una sensibile riduzione dell’ambito di applicazione. Segnatamente,

mentre la formulazione assai ampia dell’art. 28 quater autorizzava ad ipotizzare la

43 Parallelamente con l’art. 30 dello stesso decreto è stato stabilito che le somme a qualunque titolo dovute per contributi previdenziali e assistenziali sono recuperate mediante avviso di addebito ed anche in relazione a tali somme viene soppresso il ricorso al ruolo. 44 Con gli avvisi di accertamento ai sensi del citato art. 29 sono accertate, come noto, le imposte sui redditi, l’imposta regionale sulle attività produttive e l’imposta sul valore aggiunto e pretese le relative sanzioni. 45 Simile previsione esiste anche per i contributi previdenziali e assistenziali in relazione ai quali l’art. 30, comma 14 stabilisce che «Ai fini di cui al presente articolo, i riferimenti contenuti in norme vigenti al ruolo, alle somme iscritte a ruolo e alla cartella di pagamento si intendono effettuati ai fini del recupero delle somme dovute a qualunque titolo all’INPS al titolo esecutivo emesso dallo stesso Istituto, costituito dall’avviso di addebito contenente l’intimazione ad adempiere l’obbligo di pagamento delle medesime somme affidate per il recupero agli agenti della riscossione». 46 Detto decreto, pubblicato in Gazz. Uff., Serie Generale, 2 luglio 2012, n. 152, è stato integrato, successivamente, dal Decreto 19 ottobre 2012, nel quale – in ragione dell’introduzione nell’elenco delle amministrazioni pubbliche debitrici anche dello Stato e degli enti pubblici nazionali (disposta con l’art. 13 bis, co. 2, del D.L. n. 52/2012) – sono previste le modalità con le quali i crediti non prescritti certi, liquidi ed esigibili maturati nei confronti dello Stato e degli enti pubblici nazionali per somministrazioni, forniture e appalti, possono essere compensati.

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GIURISPRUDENZA DELLE IMPOSTE n. 1-2019

40

possibilità di ricorrere a detta compensazione per estinguere qualsiasi tipo di debito,

purché iscritto a ruolo, l’art. 1 del citato Decreto ha circoscritto l’ambito di

operatività della stessa alle somme dovute per cartelle di pagamento e atti di cui agli

artt. 29 e 30 del D.L. n. 78/2010 «per tributi erariali e per tributi regionali e locali;

nonché per contributi assistenziali e previdenziali e per premi per l’assicurazione

obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali, ovvero per entrate

spettanti all’amministrazione che ha rilasciato la certificazione di cui all’art. 2».

Benché la formulazione del citato art. 1 non sia delle migliori, sembra che per effetto

di tale decreto possano essere estinte in compensazione ex art. 28 quater solo le

somme iscritte a ruolo che sono ivi espressamente annoverate47.

Della legittimità di tale delimitazione, peraltro, non pare possibile dubitare

ipotizzando un contrasto con il disposto della norma di fonte primaria, la quale non

sembra porre alcun limite ai debiti compensabili. Invero, l’ultimo periodo dello

stesso art. 28 quater, laddove stabilisce che l’attuazione è disposta con decreto

«anche al fine di garantire il rispetto degli equilibri programmati di finanza

pubblica», sembra rendere compatibili eventuali vincoli nell’applicazione della

disposizione stessa, giustificandoli alla luce del perseguimento del suddetto

obiettivo.

L’applicazione della misura è stata inoltre inizialmente circoscritta dallo stesso

decreto agli atti notificati entro il 30 aprile 2012, termine poi differito dall’art. 9,

comma 2, D.L. n. 35/2013 (c.d. “Pagamento debiti PA”), al 30 settembre 2013.

Con la successiva proroga, disposta con l’art. 12, comma 7 bis, D.L. 23 dicembre

2013, n. 145 (c.d. “Decreto destinazione Italia" convertito con modificazioni dalla

Legge 21 febbraio 2014, n. 9) il legislatore stabilisce che, con decreto, dovrà essere

previsto «nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica» che per l’anno 2014 «le

cartelle esattoriali …» potranno essere compensate «… qualora la somma iscritta a

ruolo sia inferiore o pari al credito vantato»48. Con riferimento a tale decreto si è

47 Tanto è vero che nell’ultimo alinea del comma 1 dell’art. 1 è prevista la possibilità di estendere con «successivo decreto del Ministro dell’economia e delle finanze tale compensazione … ad altre entrate riscosse mediante ruolo». A proposito della formulazione della disposizione occorre inoltre notare che se anche il legislatore si riferisce ai soli tributi, non pare possa escludersi che la previsione riguardi, oltre gli interessi, accessori naturali dei primi, anche le sanzioni ad essi collegate. Peraltro, al secondo comma dello stesso art. 1 si dispone che il pagamento mediante “compensazione” ex art. 28 quater «è ammesso anche per gli oneri accessori, per gli aggi e le spese a favore dell’agente della riscossione ed è applicabile, inoltre, per le imposte la cui riscossione è affidata all’agente della riscossione secondo le disposizioni di cui all’art. 29 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.». 48 La disposizione, attuata con il Decreto 24 settembre 2014 (pubblicato in Gazz. Uff., Serie Generale, 10 ottobre 2014, n. 236), è stata successivamente prorogata senza alcuna

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M.G.Ortoleva, La compensazione dei debiti…

41

affermato che in relazione alla natura ed alla tipologia dei debiti estinguibili nulla

sembra mutato rispetto al primo Decreto attuativo 49.

Se questo è vero con riferimento alla natura dei debiti estinguibili sembra, invece

che una significativa novità, come già detto, riguardi la possibilità di utilizzare i

crediti “certificati” per procedere al pagamento “parziale” delle somme iscritte a

ruolo. A differenza di quanto sembra consentire l’art. 28 quater laddove prevede che

i crediti possono essere utilizzati «per il pagamento, totale o parziale, delle somme

dovute a seguito dell’iscrizione a ruolo» con tale disposizione, invece, è, quindi,

preclusa la possibilità di utilizzare il credito per estinguere, per esempio, solo le

imposte e non le sanzioni o i debiti più remoti 50 iscritti in un unico ruolo.

Da questa interpretazione discende che, con la disposizione in esame, l’ambito di

operatività della misura sembra risultare fortemente ridotto, creando ulteriori

disequilibri nel sistema.

Ancora una volta nella difficile opera di contemperamento fra l’esigenza di ridurre le

difficoltà dei soggetti che sono al contempo creditori e debitori della pubblica

amministrazione, da una parte, e quella di garantire la riscossione e il rispetto degli

equilibri di finanza pubblica, dall’altra, sembra la seconda a prevalere.

Occorre da ultimo notare che questa disposizione sembra porre un evidente

problema di successioni di leggi nel tempo. Invero non è chiaro se la limitazione ivi

introdotta si applichi a tutte le iscrizioni a ruolo formate dopo l’entrata in vigore del

D.M. oppure alle cartelle notificate dopo la sua entrata in vigore o ancora a quelle

modificazione e da ultimo con il Decreto del 27 giugno 2016 è stata resa applicabile alle cartelle ed agli atti notificati entro il 31 dicembre 2015. 49 Nel senso che nessun cambiamento circa le imposte compensabili è intervenuto con la disposizione citata nel testo, in dottrina v. G. GIRELLI, La disciplina della compensazione tributaria va razionalizzata e completata in maniera organica, cit., p. 518. V. anche la nota del 13 ottobre 2014 su Fisco Oggi (la rivista telematica dell’Agenzia delle Entrate), ove l’Agenzia ha precisato, che il decreto del MEF del 24 settembre 2014 avrebbe stabilito che «Resta invariata la natura dei debiti, che potranno riguardare tributi erariali, regionali e locali, contributi assistenziali e previdenziali, premi per l’assicurazione obbligatoria contro infortuni e malattie professionali…». 50 Tale evenienza era invece chiaramente ammessa fino all’emanazione di questa diposizione come risulta dall’ art. 4 del D.M. 25 giugno 2012 (c.d. Decreto compensazione) il quale a riguardo prevede che «nel caso in cui il pagamento riguardi solo una parte delle somme dovute il contribuente è tenuto, contestualmente, ad indicare all’agente della riscossione le posizioni debitorie che intende estinguere. In caso di mancata indicazione, l’imputazione dei pagamenti è effettuata dall’agente della riscossione ai sensi dell’art. 31 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1972, n. 602». Quest’ultimo a sua volta al comma 4 (l’unico a non fare riferimento alle imputazioni in caso di rate scadute) dispone che «Per i debiti d’imposta già scaduti l’imputazione è fatta con preferenza alle imposte o quote d’imposta meno garantite e fra imposte o quote d’imposta ugualmente garantite con precedenza a quella più remota». A conferma della possibilità di compensare parzialmente è anche il disposto del comma 4 dell’art. 4 del Decreto 25 giugno 2012, cit., ove si prevede che «in caso di esito positivo della verifica, il debito si estingue limitatamente all’importo corrispondente al credito certificato e utilizzato in compensazione».

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GIURISPRUDENZA DELLE IMPOSTE n. 1-2019

42

delle quali si è chiesta la compensazione dopo detta entrata in vigore e quindi anche

a ruoli formati prima dell’efficacia della disposizione. È palese che ove si applicasse

la disposizione a tutte le compensazioni chieste dopo l’entrata in vigore della

disposizione a prescindere dal momento di formazione del ruolo e/o dalla

notificazione della cartella questa interpretazione avrebbe un ulteriore effetto

riduttivo. Anche se una tale soluzione interpretativa sembrerebbe giustificabile in

applicazione del principio secondo il quale, in tali fattispecie, tempus regit actum,

giacché si tratta di una disposizione sulla procedura della riscossione, in senso

opposto pare decisivo la considerazione che si tratta di una disposizione il cui effetto

finale è quello sostanziale di limitare la tutela dell’integrità patrimoniale del

contribuente. Per tale ragione di essa dovrebbe darsi un’interpretazione restrittiva

applicandola soltanto ai ruoli resi esecutivi dopo la sua entrata in vigore (esecutività

ovviamente facilmente deducibile dalla stessa cartella). Più nello specifico,

nell’individuare la possibile soluzione alla questione dovrebbe tenersi nel debito

conto che - trattandosi di una regola che opera in sede di riscossione - dovrebbero

essere mantenute le tutele esercitabili dal contribuente quanto meno nel momento

in cui il titolo viene in essere. Alla stregua di questa soluzione la disciplina

applicabile dovrebbe essere quella vigente al momento della formazione del ruolo. È

evidente che questo discorso, qui svolto con riferimento alla cartella, deve

debitamente adattarsi agli accertamenti immediatamente esecutivi facendo in tal

caso riferimento al momento di affidamento in carico51.

A proposito dei debiti compensabili una considerazione a parte merita la previsione

(la quale sembra introdurre una vera e propria compensazione) contenuta nella

seconda parte del primo comma dell’art. 1 del Decreto del 25 giugno 2012, secondo

la quale sarebbe possibile estinguere per compensazione ai sensi dell’art. 28 quater,

i debiti «per entrate spettanti all’amministrazione che ha rilasciato la certificazione

di cui all’art. 2» (del medesimo decreto n.d.r.).

Dall’analisi del testo, considerando in particolare, da una parte, che il legislatore usa

il termine (ampio) “entrate” e dall’altra che detto periodo è introdotto dalla

congiunzione “ovvero” che qui non sembra assolvere una funzione esplicativa, ma

deve essere intesa come congiunzione disgiuntiva preposta ad introdurre una

fattispecie ulteriore, pare possibile affermare che il legislatore, in deroga a quanto

sancito poco prima (ossia alle limitazioni della compensazione), abbia voluto

ammettere la possibilità di estinguere mediante l’istituto previsto dall’art. 28 quater,

qualunque tipo di debito con l’amministrazione certificante, anche diversi da quelli

51 Sul punto si rinvia a quanto si dirà al paragrafo successivo.

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M.G.Ortoleva, La compensazione dei debiti…

43

della prima parte del comma in questione.

Tale previsione va raccordata con quella del comma 5 dell’art. 2 del Decreto

certificazioni ove si stabilisce che «Nel caso di esposizione debitoria del creditore nei

confronti della stessa amministrazione, il credito può essere certificato, e

conseguentemente ceduto o oggetto di anticipazione, al netto della compensazione

tra debiti e crediti del creditore istante opponibile esclusivamente da parte

dell’amministrazione debitrice» 52.

Con tale disposizione, in sede di certificazione, si concede all’amministrazione

pubblica certificante di opporre la compensazione al proprio creditore ove esistano

reciproci debiti e crediti. Ma al di là dell’esistenza della condizione di reciprocità non

sono chiari modalità e termini attraverso i quali l’amministrazione possa pervenire a

tale risultato.

Nell’ordine, quanto ai reciproci debiti compensabili, se dall’esame combinato della

disposizione contenuta nel D.M. certificazione e di quella nel D.M. sulla

compensazione sembra possibile ricavare che si tratti di qualunque tipo di entrata

dell’amministrazione certificante, ad esclusione di somme relative agli atti di cui agli

artt. 29 e 30, non è, invece, chiaro se il debito del contribuente debba essere scaduto.

Per chiarire questo aspetto può essere utile ricordare che ai sensi del comma 4

dell’art. 2 del “Decreto certificazioni” prima di rilasciare la certificazione, per i crediti

d’importo superiore a cinquemila euro, l’amministrazione debitrice deve procedere

alla verifica prescritta dall’art. 48 bis del D.P.R. n. 602/1973. In altri termini deve

chiedere ad Equitalia s.p.a. di verificare se il beneficiario è inadempiente all’obbligo

di versamento derivante dalla notifica di una o più cartelle di pagamento per un

importo almeno pari a cinquemila euro.

In tale ipotesi se venisse comunicata l’esistenza di un inadempimento, il debito (da

iscrizione a ruolo) sarà necessariamente esigibile. Pertanto, considerato che anche il

debito dell’amministrazione è scaduto e presenta, quindi, la medesima caratteristica,

in tal caso dovrebbe trattarsi di compensazione legale.

In concreto sarà poi l’amministrazione ad opporla rilasciando una certificazione

nella quale il credito del contribuente utilizzabile sarà stato decurtato di quelle

somme.

Al di fuori di questa ipotesi, qualora quindi la certificazione venga chiesta per debiti

dell’amministrazione di importo inferiore alla soglia dei cinquemila euro,

52 La disposizione si completa stabilendo che «Tra i debiti di cui al periodo precedente non rientrano le somme dovute per cartelle di pagamento e atti di cui agli articoli 29 e 30 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122».

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GIURISPRUDENZA DELLE IMPOSTE n. 1-2019

44

considerato che nessuna verifica è imposta all’amministrazione, la compensazione

dovrebbe eventualmente riferirsi a debiti del contribuente verso l’amministrazione

certificante altrimenti conosciuti dalla stessa. In tal caso, posto che la procedura per

la certificazione prescinde dall’ammontare del debito e che la facoltà attribuita

all’amministrazione (ai sensi del citato comma 5) non appare circoscritta alle sole

ipotesi in cui il debito del contribuente sia almeno pari a cinquemila euro, dovrebbe

essere ugualmente riconosciuto all’amministrazione il potere di opporre la

compensazione. Ove invece il debito del contribuente non sia scaduto

l’amministrazione deve acquisire il consenso del contribuente realizzandosi così una

compensazione volontaria (nulla sembra escludere che la medesima situazione, di

compensazione volontaria, possa verificarsi anche allorché il debito del contribuente

sia superiore ai cinquemila euro, ma non ancora iscritto a ruolo).

La compensazione in sede di certificazione, come anticipato, è però opponibile solo

dall’amministrazione.

Con la disposizione contenuta nel decreto compensazione si riportano in equilibrio

le posizioni delle parti, consentendo al creditore, ove l’amministrazione non abbia

eccepito la compensazione in sede di certificazione, di ottenere il medesimo risultato

sia pure attraverso il ricorso alla procedura dell’art. 28 quater.

5. Il difficile coordinamento con la disciplina degli avvisi di

accertamento immediatamente esecutivi.

Le suesposte modifiche della disciplina pongono un problema di coordinamento con

riferimento alla disciplina degli avvisi di accertamento immediatamente esecutivi.

Segnatamente rispetto ad essi non è chiaro quale sia il momento nel quale la

compensazione può essere opposta o, se si preferisce, l’atto in presenza del quale il

contribuente può chiedere ai sensi dell’art. 28 quater l’estinzione del debito.

L’incertezza nasce dal fatto che, mentre l’art. 28 quater sancisce che i crediti

possano essere compensati con le somme dovute a seguito d’iscrizione a ruolo, il

D.M. 25 giugno 2012 (adottato in attuazione della citata disposizione) e i successivi

decreti di “proroga” fanno riferimento agli atti notificati entro una certa data.

Segnatamente l’art. 1 del D.M. 25 giugno 2012 stabilisce che i crediti siano

utilizzabili per pagare «le somme dovute per cartelle di pagamento ed atti di cui agli

articoli 29 e 30 del decreto‐legge 31 maggio 2010, n. 78 … notificati entro il 30 aprile

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M.G.Ortoleva, La compensazione dei debiti…

45

2012» 53.

A riguardo, in ragione della gerarchia delle fonti nonché della progettata

applicazione “episodica” della misura, si ritiene che l’intento dei D.M. di attuazione

sia stato soltanto quello di fissare i limiti temporali oltre i quali la compensazione

non può operare e non anche quello di stabilire che la compensazione può essere

opposta già al momento della notificazione degli avvisi di accertamento

immediatamente esecutivi e/o degli equivalenti atti impositivi ai fini contributivi54.

Resta, quindi, l’incertezza circa il momento nel quale il contribuente possa fare

valere la compensazione.

Nel senso della non proponibilità della compensazione al momento della

notificazione dell’avviso di accertamento immediatamente esecutivo sembra

deporre, innanzitutto, il dato testuale dell’art. 28 quater ove si afferma che i crediti

possono essere compensati «con le somme dovute a seguito d’iscrizione a ruolo». In

altri termini, e questo sembra essere l’aspetto preponderante, la disposizione di

fonte primaria pone al centro del sistema un atto che costituisce il titolo per la

riscossione; i decreti, invece, si limitano ad enunciare, e non potrebbe essere

altrimenti, gli atti che portano a conoscenza del contribuente questo titolo.

Alla luce di questa premessa la complessiva disciplina dell’avviso di accertamento

immediatamente esecutivo impone di coordinare questa parte della disposizione con

l’art. 29, comma 1, lett. g), D.L. n. 78/2010 e segnatamente di sostituire alle parole

«somme dovute a seguito d’iscrizione a ruolo» quelle di «somme affidate agli agenti

della riscossione».

Procedendo in tal modo si giunge alla conclusione che per i debiti derivanti da avvisi

di accertamento immediatamente esecutivi la compensazione ex art. 28 quater è

proponibile avverso le somme affidate in carico agli agenti della riscossione.

A conforto di questa prospettazione si possono inoltre addurre sia l’argomento

53 Il termine del 30 aprile 2012, ribadito nell’art. 1, comma 1, D.M. 19 ottobre 2012 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 6 novembre 2012, n. 259) è stato differito al 30 settembre 2013 con l’art. 9, comma 2, D.L. 8 aprile 2013, n. 35 (convertito con modificazioni dalla Legge 6 giugno 2013, n. 64). Il decreto 19 ottobre 2012, disponendo la proroga, richiamava il D.M. 25 giugno 2012 «recante le modalità con le quali i crediti … possono essere compensati con le somme dovute a seguito di iscrizione a ruolo ai sensi dell’art. 28-quater» del D.P.R. n. 602/1973. Il suddetto termine è stato poi ulteriormente prorogato con successivi decreti (per la sequenza dei quali v. infra, § 2) facendo riferimento agli avvisi affidati in carico all’agente della riscossione al 31 dicembre 2016 (D.M. 8 agosto 2017). 54 Il quadro sistematico complessivo non è, peraltro, inequivoco, perché il legislatore nell’innovare il sistema con l’introduzione dell’accertamento immediatamente esecutivo non ha tenuto conto di tutte le implicazioni né delle esigenze di coordinamento della disciplina della riscossione con il nuovo avviso di accertamento. L’istituto che si sta esaminando costituisce appunto un banco di prova, dimostrando sia l’esistenza di un deficit di coordinamento sia l’inidoneità della previsione dell’art. 29 lett. g), a risolvere tutte le questioni che possono sorgere.

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GIURISPRUDENZA DELLE IMPOSTE n. 1-2019

46

secondo il quale le modalità per l’esercizio della compensazione individuano

nell’agente della riscossione il soggetto deputato al suo svolgimento sia la

considerazione che, diversamente interpretando (id est ammettendo la

compensazione ex art. 28 quater già al momento della notifica dell’avviso di

accertamento), si configurerebbe una disparità di trattamento con le ipotesi di debiti

erariali ancora riscossi mediante ruolo.

Questa soluzione interpretativa appare confermata dall’art. 1 del Decreto del 9

agosto 2017 (in vigore dal 21 agosto)55 nel quale per la prima volta si afferma che le

disposizioni del D. M. del 24 settembre 2014 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.

236 del 10 ottobre 2014) per la compensazione si applicano con riferimento ai

carichi affidati agli Agenti della riscossione entro il 31 dicembre 2016. In tal modo si

tiene conto del mutato quadro normativo e si equiparano le procedure di recupero

coattivo che si svolgono tramite ruolo e quelle conseguenti ad accertamenti

immediatamente esecutivi.

Questo però non è sufficiente a risolvere la questione. Rimane invero da definire se

l’espressione «somme affidate agli agenti della riscossione» vada intesa nel senso

che occorre fare riferimento al momento dell’effettiva consegna del carico all’agente

della riscossione, consegna della quale il contribuente ha notizia con la ricezione

della comunicazione di presa in carico, o a quello del decorso dei “trenta giorni dal

termine ultimo per il pagamento”, atteso che ai sensi del comma 1, lett. b), del citato

dell’art. 29 trascorso detto termine «la riscossione delle somme richieste, in deroga

alle disposizioni in materia di iscrizione a ruolo, è affidata in carico agli agenti della

riscossione».

La questione è rilevante anche ai fini dell’individuazione del momento in cui si

verifica la reciproca estinzione dei controcrediti, non essendo stabilito né nella legge

né nei D.M. se essa avviene al momento della loro coesistenza o quando l’istanza

viene proposta. È, invero, evidente che, ove l’elemento rilevante fosse quest’ultimo,

diventa vieppiù importante determinare a partire da quando può essere proposta.

In favore dell’ultima prospettazione (id est dell’individuazione dell’estinzione nel

momento in cui sono decorsi trenta giorni dal temine ultimo per il pagamento)

sembrano deporre sia esigenze di certezza e celerità sia il dato sistematico.

In particolare, sul piano sistematico occorre ricordare che l'obbligo per l’Agente della

55 Detto D.M. in attuazione dell’art. 9 quater, del D.L. n. 50/2017, ha disciplinato l’applicazione della compensazione ai sensi dell’art. 28 quater delle cartelle esattoriali nell’anno 2017 stabilendo che anche per l’anno 2017 la compensazione continua a seguire le modalità previste dal D. M. del 24 settembre 2014 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 236 del 10 ottobre 2014).

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M.G.Ortoleva, La compensazione dei debiti…

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riscossione di informare il contribuente dell’avvenuta presa in carico delle somme da

riscuotere, con raccomandata semplice spedita all’indirizzo presso il quale è stato

notificato l’atto di accertamento, è stato introdotto alla lett. b) dell’art. 29, con l’art.

8, comma 12, lett. a), n. 1), del D.L. 2 marzo 2012, n. 16. A questa procedura non

poteva pertanto fare riferimento il legislatore quando ha formulato la lett. g) dell’art.

29. In altri termini il legislatore, allorché rinvia al momento nel quale le somme sono

“affidate agli agenti della riscossione”, non può che riferirsi al decorso dei “trenta

giorni dal termine ultimo per il pagamento”.

Ove poi si accedesse all’idea che la compensazione ha effetto non dal momento di

coesistenza dei debiti ma da quando il contribuente ne fa richiesta, collegare il

diritto a presentare l’istanza a quello nel quale l’agente ha ricevuto effettivamente in

carico le somme potrebbe essere foriero di disparità di trattamento, poiché il

termine sarebbe diverso a seconda della celerità dei singoli uffici dell’Agenzia delle

entrate, con un danno per il contribuente che riceve la comunicazione meno

tempestivamente, se non altro per i maggiori interessi.

Da ultimo va ricordato che l’affidamento in carico è un atto interno, conosciuto dal

contribuente solo con la comunicazione fatta dall’agente della riscossione, per la

quale non è prevista la notificazione ma la mera comunicata con raccomandata

semplice.

Il riferimento alle somme affidate in carico all’agente della riscossione ai fini

dell’applicazione della disciplina viene fatto per la prima volta con l’art. 1 del Decreto

del 9 agosto 2017 (in vigore dal 21 agosto) che, in attuazione dell’art. 9 quater, del

D.L. n. 50/2017, ha disciplinato l’applicazione della compensazione ai sensi dell’art.

28 quater delle cartelle esattoriali nell’anno 2017 stabilendo che anche per l’anno

2017 la compensazione continua a seguire le modalità previste dal D. M. del 24

settembre 2014 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 236 del 10 ottobre 2014). In

esso si stabilisce che le disposizioni del citato D.M. si applicano con riferimento ai

carichi affidati agli Agenti della riscossione entro il 31 dicembre 2016. In tal modo si

tiene conto del mutato quadro normativo e si equi-parano le procedure di recupero

coattivo che si svolgono tramite ruolo e quelle conseguenti ad accertamenti

immediatamente esecutivi. Come già esposto a questo approdo si doveva giungere,

comunque, interpretativamente anche in assenza del citato intervento ministeriale

ed anche con riferimento ai precedenti decreti ministeriali.

L’intervento ministeriale non sembra cambiare la sostanza del problema che è quello

della interpretazione dell’espressione carichi affidati agli agenti della riscossione. A

riguardo occorre dare conto che l’Agenzia delle Entrate interpretando l’espressione

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GIURISPRUDENZA DELLE IMPOSTE n. 1-2019

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“affidati agli agenti della riscossione” con specifico riferimento all’art. 6, del D.L. n.

193/2016, per individuare gli affidamenti rilevanti ai fini della loro rottamazione ha

affermato che per definire questo momento si deve guardare non già alla presa in

carico degli stessi da parte dell’agente della riscossione, bensì alla data in cui la

pretesa è uscita dalla disponibilità dell’ente creditore56. Se tale interpretazione

appare condivisibile laddove esclude che per individuare questo momento si debba

guardare alla effettiva presa in carico, non mi pare lo sia laddove per individuare

quel momento fa riferimento al momento di effettiva uscita del carico. E ciò non

soltanto perché questo pone non pochi problemi, come sopra esposto, scaturenti

dall’incertezza circa l’effettiva conoscibilità del debito affidato e perché grava il

contribuente dell’onere (normativamente non previsto) di consultare i registri

dell’Agente della riscossione, ma soprattutto perché subordina l’esercizio del diritto

del contribuente al comportamento dello stesso soggetto nei confronti dei quali quel

diritto va fatto valere. E un tale approdo interpretativo ed applicativo pare,

francamente, assai censurabile. Non si vede per quale ragione il contribuente

dovrebbe sobbarcarsi quegli oneri e dipendere dagli adempimenti dell’Agenzia, che

potrebbero fare slittare l’esercizio del diritto fino magari a pregiudicarlo (con

probabili ricadute anche sugli interessi), quando ha la strada maestra, chiara ed

univoca, segnata dal legislatore, del termine di trenta giorni dalla scadenza del

termine per pagare.

In ragione delle considerazioni sin qui esposte sembra, dunque, che possibile

concludere nel senso che, nel caso di avviso di accertamento immediatamente

esecutivo, al contribuente vada riconosciuto il diritto di proporre l’istanza di

compensazione decorsi trenta giorni dalla scadenza del termine ultimo per il

pagamento delle somme indicate negli avvisi di accertamento, fermo restando che

l’agente potrà avviare la procedura solo dopo l’affidamento in carico delle somme.

6. Il procedimento di compensazione e l’attività di controllo dell’agente

della riscossione

56 V. Circolare, n. 2/E/2017, la quale precisa che non rileva il momento dell’affidamento formale giacché “L’art 6, riferendosi genericamente a “carichi affidati”, sembra prescindere sia dall’“affidamento formale” di cui al provvedimento del Direttore dell’Agenzia n. 99696 del 2011 per gli accertamenti esecutivi sia dalla “consegna” formale di cui al D.M. n. 321 del 1999 per quanto riguarda i ruoli. Conseguentemente, atteso che il momento della “trasmissione” telematica dei flussi è l’unico elemento previsto sia dalla disciplina dell’accertamento esecutivo che da quella dei ruoli, l’espressione “carichi affidati” deve essere intesa quale “carichi trasmessi” in quanto usciti dalla disponibilità dell’Ente creditore-Agenzia delle entrate.

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Resta a questo punto da individuare quale sia il significato e la funzione da attribuire

alla verifica che l’agente della riscossione è chiamato a compiere in ordine ai

requisiti dell’esistenza e validità della certificazione, atteso che è dall’esito positivo di

detta verifica che discende la compensazione dei ruoli.

Dalla formulazione letterale della disposizione e dai decreti ministeriali non è dato

comprendere né in cosa consista siffatto controllo né, a monte, la ragione per la

quale un credito certificabile non sia immediatamente utilizzabile nei confronti

dell’agente della riscossione.

Siffatta previsione conferma, peraltro, la rilevanza che la verifica della certificazione

assume nel procedimento di compensazione.

Si tratta a questo punto di comprendere quale sia il significato da attribuire alla

certificazione e quale sia la sua valenza.

In particolare, l’ampiezza del controllo dell’agente della riscossione sulla

certificazione dipenderà direttamente dal valore attribuibile a tale documento.

6.1 Il sistema della certificazione dei crediti della pubblica amministrazione

Come già anticipato quello della certificazione è il sistema individuato dal legislatore

per consentire l’ambizioso ma necessario obiettivo di procedere al pagamento di una

massa di crediti non determinata nel numero e nella qualità.

Nella prima fase di applicazione del sistema la procedura aveva inizio soltanto su

impulso della parte creditrice con la presentazione (in qualunque momento, non

essendovi alcun limite temporale alla certificazione del credito), esclusivamente in

formato cartaceo, di apposita istanza57 alla quale l’ente pubblico aveva facoltà di

rispondere con la certificazione58.

57 L’istanza doveva essere predisposta utilizzando l’apposito formato allegato ai modelli ministeriali di riferimento (il d.m. 22 maggio 2012 riferito alla Amministrazioni dello Stato e agli Enti pubblici nazionali, pubblicato sulla G.U. del 21 giungo 2012, n. 143 e successivamente modificato dal d.m. del 24 settembre 2012 e il d.m. 25 giugno 212 riferito alle Regioni, agli Enti locali e agli Enti del S.S.N. pubblicato sulla G.U. 2 luglio 2012, n .152 e modificato dal d.m. 12 ottobre 2012 pubblicato sulla G.U. 6 novembre 201, n. 259). Detti decreti ministeriali sono stati adottati in attuazione della delega legislativa ex art. 13 co. 2, primo periodo, della L. n. 183/2011. 58 Per comodità del lettore si riporta di seguito il contenuto integrale del comma 3 bis citato il quale disponeva «Per l’anno 2009, su istanza del creditore di somme dovute per somministrazioni, forniture e appalti, le regioni e gli enti locali, nel rispetto dei limiti di cui agli articoli 77-bis e 77-ter del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, possono certificare, entro il termine di venti giorni dalla data di ricezione dell’istanza, se il relativo credito sia certo, liquido ed esigibile, al fine di consentire al creditore la cessione pro soluto a favore di banche o intermediari

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GIURISPRUDENZA DELLE IMPOSTE n. 1-2019

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Solo a decorrere dal 1° gennaio 2012, per effetto dell’integrale sostituzione del

comma 3 bis effettuato con la Legge 12 novembre 2011, n. 183 (Legge di Stabilità per

il 2012), lo strumento della certificazione diventa di carattere permanente e

obbligatorio59.

Per consentire il funzionamento di tale procedura in maniera sistematica, in

ottemperanza a quanto disposto dall’art. 4 del D.M. 25 giugno 2012, il Ministero

dell’economia e delle finanze-Dipartimento della Ragioneria generale di Stato attiva

la Piattaforma elettronica per la procedura di certificazione e si riconosce la

possibilità di presentare l’istanza sia in forma telematica sia in modalità cartacea.

Dopo un periodo di coesistenza delle due procedure, con l’art. 7 del D.L. n. 35/2013

il legislatore stabilisce che la certificazione avviene interamente con modalità

telematica e che le istanze devono essere predisposte e presentate mediante apposite

funzionalità messe a disposizione dalla Piattaforma60. In altri termini, in

conseguenza di quest’ultimo intervento, permane inalterata la possibilità di

presentazione dell’istanza di certificazione ma viene meno la modalità cartacea61.

Con lo stesso D.L. n. 35/2013 si impone inoltre alle amministrazioni pubbliche

l’obbligo di trasmettere per il tramite della piattaforma elettronica, entro il 30 aprile

finanziari riconosciuti dalla legislazione vigente. … omissis …». Le modalità di attuazione di tale disposizione sono state stabilite con il Decreto Ministeriale 19 maggio 2009 (Gazz. Uff., Serie Generale, 9 luglio 2009, n. 157), entrato in vigore il 24 luglio 2009, il cui art. 1 prevedeva che «I titolari di crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, maturati nei confronti delle regioni e degli enti locali per somministrazioni, forniture e appalti, possono presentare, entro il 31 dicembre 2009, all’amministrazione debitrice istanza di certificazione del credito, redatta utilizzando il modello “Allegato 1” al presente decreto, ai fini della cessione del medesimo credito pro soluto a banche o intermediari finanziari autorizzati ai sensi del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni ed integrazioni». 59 A seguito di detta modifica la formulazione del comma 3 bis è la seguente «Su istanza del creditore di somme dovute per somministrazioni, forniture e appalti, le regioni e gli enti locali certificano [corsivo aggiunto], nel rispetto delle disposizioni normative vigenti in materia di patto di stabilità interno, entro il termine di sessanta giorni dalla data di ricezione dell’istanza [corsivo aggiunto], se il relativo credito sia certo, liquido ed esigibile, anche al fine di consentire al creditore la cessione pro soluto a favore di banche o intermediari finanziari riconosciuti dalla legislazione vigente … omissis …». In punto di obbligatorietà va opportunamente ricordato che l’inosservanza dell’obbligo di certificazione o il diniego non motivato (anche parziale) al rilascio della medesima rilevano sotto un duplice profilo, quello del dirigente responsabile e quello dello stesso Ente inadempiente. Quanto al primo, l’omissione rileva sia ai fini della misurazione della sua performance, sia in quanto fonte di responsabilità dirigenziale e disciplinare e da ultimo perché comporta l’applicazione di una sanzione pecuniaria pari a 100 euro per ogni giorno di ritardo. Quanto all’Ente, l’inadempimento è sanzionato con il divieto di assumere personale o ricorrere all’indebitamento fino al permanere dell’omissione. 60 Il D.L. 8 aprile 2013, n. 35, recante «Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali», pubblicato nella Gazz. Uff. 8 aprile 2013, n. 82, è convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, Legge 6 giugno 2013, n. 64. 61 Cfr. art. 7, co. 4 bis, del D.L. 8 aprile 2013, n. 35.

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M.G.Ortoleva, La compensazione dei debiti…

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di ogni anno, l’elenco completo delle passività che al 31 dicembre dell’anno

precedente gravano sul proprio bilancio e che a tale data presentano i caratteri della

certezza, liquidità ed esigibilità62 e si attribuisce a detta comunicazione il valore della

certificazione del credito ai sensi dell’art. 9, commi 3-bis e 3-ter, del D.L. n.

185/200863. A carico del creditore rimane l’onere di verificare l’elenco pubblicato

nella piattaforma, così da ottenere, in caso di omessa, incompleta o erronea

indicazione del credito, la correzione e/o l’integrazione del dato da parte della

pubblica amministrazione debitrice64.

Al fine di assicurare, in un’ottica di semplificazione e trasparenza, la completa

ricognizione e certificazione delle somme dovute dalle amministrazioni per i crediti

commerciali, il meccanismo della comunicazione “automatica” con valenza di

certificazione diventa in tal modo il regime per così dire ordinario65, fermo restando

che il creditore può presentare un’istanza di parte per ottenere tempestivamente la

certificazione di un proprio credito66.

Dall’esposta ricostruzione delle modalità per il riconoscimento e l’acquisizione della

62 Cfr. art. 7, co. 4 bis, del D.L. 8 aprile 2013, n. 35, aggiunto dalla legge di conversione 6 giugno 2013, n. 64. Il comma 4 dello stesso art. 7 prevedeva siffatto obbligo di comunicazione solo relativamente all’anno 2013, disponendo che (a partire dal 1° giugno 2013 ed entro il termine del 15 settembre 2013) le amministrazioni pubbliche dovevano comunicare per il tramite della piattaforma elettronica l’elenco completo dei debiti certi, liquidi ed esigibili, maturati alla data del 31 dicembre 2012, che non risultavano estinti alla data della comunicazione stessa. 63 Cfr. art. 7, co. 6, del D.L. 8 aprile 2013, n. 35. Ivi si dispone inoltre che le p.a. debitrici devono indicare, per parte dei debiti ovvero per la totalità di essi, in sede di comunicazione, la data prevista per il pagamento. Per tali debiti la certificazione si intende rilasciata con apposizione della data di pagamento, anche ai fini della compensazione ai sensi degli artt. 28 quater e 28 quinquies del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni. 64 Cfr. art. 7, co. 7, del D.L. 8 aprile 2013, n. 35, ove si prevede che, in caso di omessa, incompleta o erronea comunicazione da parte dell’amministrazione pubblica di uno o più debiti, il creditore può richiedere all’amministrazione stessa di correggere o integrare la comunicazione del debito. Se l’amministrazione non provvede, eventualmente anche con un espresso e motivato diniego, «entro 15 giorni dalla data di ricevimento della richiesta» il creditore può presentare «istanza di nomina di un Commissario ad acta, mediante la piattaforma elettronica», secondo le modalità di cui al D.M. 25 giugno 2012, come modificato da ultimo dal D.M. 24 settembre 2012, «con oneri a carico dell’amministrazione debitrice». 65 Inoltre, al fine di garantire la trasparenza del processo di gestione dei debiti contratti dalle pubbliche amministrazioni, con l’art 27 del D.L. 24 aprile 2014, n. 66 (c.d. “Decreto bonus irpef 2014”) è stato aggiunto nel D.L. n. 35/2013 l’art. 7 bis, nel quale si stabilisce che, a decorrere dall’1° luglio 2014, utilizzando la piattaforma elettronica, le amministrazioni pubbliche devono comunicare le informazioni inerenti alla ricezione ed alla rilevazione sui propri sistemi contabili delle fatture o richieste equivalenti di pagamento relativi a debiti per somministrazioni, forniture e appalti e obbligazioni relative a prestazioni professionali e che tali informazioni sono accessibili anche ai fini della certificazione dei crediti e del loro utilizzo, per gli adempimenti di cui all’articolo 7, comma 4 bis. 66 È invero fatta salva la possibilità per il creditore di acquisire la certificazione dalle pubbliche amministrazioni secondo le procedure di cui al D.M. 25 giugno 2012 (come modificato dal D.M. 19 ottobre 2012) e di cui al D.M. 22 maggio 2012 (come modificato dal D.M. 24 settembre 2012), presentando apposita istanza secondo le modalità telematiche previste dalla Piattaforma.

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GIURISPRUDENZA DELLE IMPOSTE n. 1-2019

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certificazione possono trarsi importanti elementi oltre che per affermare in concreto

come il sistema operi (il che è importante nell’economia del presente lavoro, visto

che ad esso rinviano gli istituti delle compensazioni ai sensi degli articoli 28 quater e

quinquies), anche per comprendere quale sia la natura dell’attività esercitata in tale

fase dalle amministrazioni pubbliche.

A tal fine l’uso del termine certificazione inevitabilmente rimanda alla relativa

fenomenologia amministrativa, ma la applicazione di quella categoria alla fattispecie

in questione non appare né agevole né del tutto propria e ciò non soltanto in ragione

della non univocità di significato di detto termine nel diritto amministrativo67 ma

anche per la pluralità di effetti e di contenuti che ad essa lo stesso dato positivo nel

caso specifico assegna.

Invero, anzitutto non è chiaro se essa sia, almeno in parte, l’esito dell’esercizio di

una potestà certificatoria. A tal proposito occorre osservare che, se per un verso è

vero che la certificazione si innesta in contesto nel quale la p.a. amministrazione

agisce iure privatorum (sicché essa costituirebbe in via principale lo strumento per

consentire l’adempimento del rapporto contrattuale (anche in forma diversa dal

pagamento), per l’altro è vero pure che, come si è esposto, essa assolve anche al

67 Diverse sono le classificazioni e le soluzioni prospettate in materia dalla dottrina amministrativa, la quale non manca di evidenziare «l’assoluta in materia casualità del linguaggio legislativo». Così G. SALA, voce Certificati e attestati, p. 537. In tal senso v. ex multis V. BONITO, Atti amministrativi di accertamento, in Nuova rassegna, 21, 1989, p. 2303 ss.; J. BUCCISANO, voce Accertamento, p. 1 ss.; S. GIACCHETTI, voce Certificazioni, p. 1 ss., per cui «le principali categorie dei procedimenti certificatori sono gli acclaramenti, gli accertamenti e le certazioni»; M. S. GIANNINI, voce Certezza pubblica, per cui «se, sinora, si è parlato di atti di certezza, lo si è fatto per agevolazione espositiva; in realtà gli atti di certezza assumono strutture differentissime, tra le quali non sempre sono stati fatti, dalla dottrina e dalla giurisprudenza, i necessari raccordi». L’Autore precisa che «dovremmo ora illustrare, anche sommariamente, le singole specie di atti di certezza; ma chi abbia appena posto attenzione alle concezioni che sono state esposte, si è già avveduto: 1) che in realtà questi atti non sono raggruppabili per generi sostanziali, come avviene per i contratti o per i provvedimenti amministrativi, ma solo per generi fondati sul segno o sul documento usati, o sull’operazione che è posta in essere; 2) che in ogni caso il segno, il documento o l’operazione indicati dalla norma non producono affatto un medesimo ordine di effetti giuridici». Ricorda inoltre l’A. che una particolare categoria «di atti di certezza è data da atti che, [come i precedenti,] hanno propria figura nel seno di una sequenza, ma possiedono ancor maggior individualità, in quanto possono avere la funzione sostanziale di fatti attributivi di efficacia all’atto principale: la maggior parte delle registrazioni certative di negozi e di provvedimenti sono utilizzate dalla norma per dare efficacia all’atto principale, nei confronti di tutti o di taluni, e così pure alcune partecipazioni in funzione di certezza (anzi non solo partecipazioni in funzione di certezza legale ma anche informativa possono assolvere tale ruolo; qui interessano però solo le prime). Può perfino accadere che l’autorità a cui è attribuita la funzione di certezza eserciti un controllo sul fatto (nel caso di registrazioni) o sull’atto (nel caso di partecipazioni) che deve tendere certo, onde acclarare se esso risponde a requisiti voluti dalle norme o dall’autorità (per esempio, conservatore dei registri immobiliari). Qui l’oggetto della certezza può assumere specie più variate che nell’ipotesi precedente: talora essendo una scienza legale, talora invece investendo un semplice fatto di conoscenza, più particolarmente nella specie di conoscibilità e di opponibilità».

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M.G.Ortoleva, La compensazione dei debiti…

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compito di dare evidenza ai debiti esistenti. Ed in questa prospettiva la certificazione

sembra adempiere alla funzione di riprodurre un’attività qualificatoria e ricognitiva

già avvenuta. Invero, essendo stato qualificato il credito come certo, liquido ed

esigibile e avendo l’amministrazione riconosciuto il proprio debito, alla

certificazione potrebbe forse riconoscersi la funzione di dare conto di questi fatti

attestando autoritativamente la specifica realtà costituita dall’esistenza del debito e

dell’impegno a pagarlo. Essa sembrerebbe creare così quella certezza giuridica che si

inquadra fra quelle che vengono dette pubbliche «in quanto preordinate ad attestare

l’esistenza di fatti o qualità che interessano – almeno potenzialmente – l’intera

collettività» e che sono messe «a libera disposizione di chiunque vi abbia

interesse»68. Accedendo a questa lettura saremmo in presenza di una certificazione

in senso stretto, la quale si realizza e trova ragione d’essere nella funzione di certezza

pubblica nei confronti della generalità dei consociati e alla quale, proprio per tale

ragione, è di regola attribuita efficacia di piena prova fino a querela di falso69.

Tale ricostruzione, come anticipato, non sembra del tutto piana70.

In ragione della “prevalenza” della funzione assolta nell’ambito del rapporto

privatistico (nel quale essa si inserisce) si potrebbe ritenere improprio il riferimento

alla potestà di “certificazione” 71, tanto più che certamente la pubblica

68 Così S. GIACCHETTI, voce Certificazione (dir. amm.), in Enc. giur., Roma, 1988, p. 1. 69 Cfr. G. SALA, voce Certificati e attestati, p. 540. L’A. osserva che «in sede di definizione s’è detto della diversa efficacia da riconoscersi a certificazioni, attestazioni, dichiarazioni. Le prime, rilasciate nei casi previsti dalla legge da un pubblico ufficiale autorizzato a darvi pubblica fede fanno piena prova, fino a querela di falso (art. 2700 c.c.), di quanto in esse affermato tanto nei procedimenti amministrativi che in quelli giurisdizionali. In quest’ultimi esse dispiegano l’efficacia attribuita dalla legge anche nel caso in cui provengano dalla stessa amministrazione che sia parte in causa e che di essi si giovi». 70 Segnatamente la diversità di contenuti e di effetti sembra essere di ostacolo alla possibilità di ravvisare in essa un mero esercizio della potestà certificativa. Con riferimento ai possibili contenuti della certificazione desta, invero, non poche perplessità l’ulteriore effetto che il D.M. 25 giugno 2012 (e non anche il legislatore) assegna alla certificazione, laddove – allorché il debito da pagare sia di importo superiore a 5000 mila euro – impone alle p.a. di verificare ai sensi dell’art. 48 bis del D.P.R. n. 602/73 se il creditore sia inadempiente, stabilendo che in caso di accertata inadempienza deve farsene menzione nella certificazione e che per l’effetto sarebbe preclusa al creditore la possibilità di cedere il credito per la parte corrispondente alle «somme relative all’accertata inadempienza». Invero, l’atto di fonte secondaria (con funzione meramente attuativa della disciplina di fonte primaria), da un canto, nel momento in cui estende alla fase della certificazione la verifica prevista dall’art. 48 bis antecedentemente al momento del pagamento, applica estensivamente una disposizione che (essendo di carattere eccezionale e atta a creare una condizione di privilegio in capo all’ente creditore e per esso all’agente della riscossione) va interpretata restrittivamente, dall’altro, allorché preclude la possibilità di cedere il credito per la parte di importo corrispondente a quello per il quale è accertata l’inadempienza, introduce un’evidente limitazione al diritto soggettivo del creditore anch’essa non prevista nella fonte primaria. 71 In termini v. A. LAUDONIO, Crediti e pubblica amministrazione (di eccezioni che anticipano le regole), in Rivista di diritto bancario, 2012, p. 14 nota 24, il quale osserva che dopo avere evidenziato che «i termini “certificazione”, “certificato” e “attestazione” …

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amministrazione agisce nell’ambito privatistico quando si impegna a pagare entro

una certa data o allorché assume su di sé l’obbligo di pagare per conto del proprio

creditore l’agente della riscossione (del quale quest’ultimo è debitore). In questa

prospettiva si potrebbe intendere la certificazione de qua come l’atto mediante il

quale l’ente, all’esito delle predette verifiche, riconosce in virtù del rapporto

obbligatorio intercorrente tra le parti, l’esistenza della condizione debitoria nei

confronti del fornitore72. Quanto all’effetto di tale atto non sembra però che esso

possa qualificarsi, come sostiene la Ragioneria Generale dello Stato73,

semplicemente come un atto di ricognizione del debito ex art. 1988 c.c. in virtù del

quale l’amministrazione pubblica riconosce l’esistenza del credito in un apposito

documento 74. Le indicazioni ritraibili dal dato positivo e da altri elementi – fra i

quali il contenuto della stessa certificazione ove deve essere indicato il fatto

rappresentano tre diversi concetti nell’ambito del linguaggio proprio del diritto amministrativo» osserva che «non sembra … che la certificazione qui trattata sia da considerarsi tale nell’accezione tecnica propria di quella disciplina». 72 In particolare, si v. C. A. GRAZIANI, voce Ricognizione (di atti), XL, 1989, il quale afferma che «con i termini ricognizione, riconoscimento, atto ricognitivo nel linguaggio giuridico vengono qualificati quegli atti con cui taluno compie un’ammissione, cioè effettua una dichiarazione contra se». 73 Sul punto cfr. guida del Ministero dell’Economia e delle Finanze, Ragioneria centrale dello stato, Piattaforma dei crediti commerciali – Raccolta guide – Utente creditore, del 26/11/2018, p. 22, nota 9, ove si afferma che «la certificazione del credito è da intendersi quale ricognizione del debito ai sensi dell’art. 1988 del Codice Civile, che dispensa colui a favore del quale è rilasciata dall’onere di provare il rapporto fondamentale, la cui esistenza si presume fino a prova contraria (cosiddetta inversione dell’onere della prova in giudizio)». In giurisprudenza sull’applicabilità di tale disciplina anche agli atti della p.a. v. Cass. civ., Sez. I, 6 dicembre 2007, n. 25435, in Mass. Giur. It., laddove il Supremo Collegio afferma che «la disciplina dettata dall’ art. 1988 c.c. (secondo cui la promessa di pagamento o la ricognizione di debito dispensa colui a favore del quale è fatta dall’onere di provare l’esistenza del rapporto fondamentale, la quale si presume fino a prova contraria) è applicabile anche agli atti della Pubblica Amministrazione, nel concorso dei requisiti formali e procedimentali che ne condizionano la validità e l’efficacia, onde un valido ed efficace riconoscimento di debito può provenire dalla Pubblica Amministrazione ove vengano rispettate le forme prescritte per la relativa manifestazione di volontà». In senso conforme v. Cass. civ., sez. III, 29 maggio 2003, n. 8643, in Mass. Giust. civ., 2003. 74 La circostanza che il “fatto riconosciuto” e conseguentemente dichiarato consista nell’esistenza del debito induce ad escludere che la certificazione possa essere qualificata alla stregua di un atto ricognitivo ex art. 2720 c.c. L’atto di ricognizione ai sensi di tale ultima disposizione, infatti, pur consistendo in una dichiarazione contra se, al pari della ricognizione di debito, ha per oggetto l’esistenza di uno specifico fatto, val quanto dire l’esistenza del documento originale, laddove, invece, la ricognizione di debito ha ad oggetto il riconoscimento di un pregresso rapporto giuridico. È proprio questo tipo di riconoscimento che si realizza nel caso di certificazione. L’atto di ricognizione ex art. 2720 c.c., invece, consiste in una dichiarazione documentale che attesta l’esistenza di un precedente documento o, più esattamente, di una precedente dichiarazione documentale, proveniente da chi ne risente pregiudizio. A tale dichiarazione il legislatore attribuisce efficacia probatoria dell’esistenza e del contenuto del documento stesso. E la prova delle dichiarazioni contenute nel documento originale è superabile solamente mediate la dimostrazione, producendo il documento originale, che vi è stato errore di fatto nella ricognizione. Sul tema v. C.A. GRAZIANI, voce Ricognizione (di atti), in Enc. dir., XL, Milano, 1989, p. 691 ss.

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M.G.Ortoleva, La compensazione dei debiti…

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costitutivo del credito oltre ad una breve descrizione del rapporto sottostante 75 –

sembrano consentire di andare oltre tale qualificazione e di ipotizzare che la

certificazione abbia anche in parte la funzione di una confessione.

A riguardo non sembra superfluo ricordare che la qualificazione della certificazione

in termini di atto ricognitivo di debito assuma particolare rilevanza sul piano della

prova del rapporto all’origine dell’obbligazione, determinando innanzitutto

un’inversione, in ottica processuale, del relativo onus probandi. In altri termini,

mentre normalmente l’esistenza del credito deve essere dimostrata da chi fa valere

in giudizio il diritto (id est dal creditore) mediante la prova del fatto costituivo, ossia

l’attestazione dell’esistenza del debito, in applicazione della disciplina di cui all’art.

1988 c.c., il creditore, non è onerato della dimostrazione del predetto rapporto, il

quale si presume fino a prova contraria76. In tal modo, ai fini processuali, sembra

verificarsi un fenomeno di astrazione della causa debendi, nel senso che il rapporto

sottostante, sebbene nel caso di specie menzionato nella certificazione, appare privo

di rilevanza immediata per il creditore in quanto la ricognizione di debito fa sì che

sul piano del processo si prescinda da esso 77. Tuttavia, come noto, a livello

sostanziale non è, invece, possibile astrarre dal rapporto giuridico sottostante, posto

che, per un verso, la ricognizione di debito non è autonoma fonte di obbligazione78 e

75 Nell’istanza il contribuente è tenuto a compilare una sezione relativa ai dati del credito, con conseguente indicazione delle fatture e di altri dati utili, inclusa la descrizione dell’oggetto del contratto (fornitura, somministrazioni o appalti), i suoi estremi e la data. Tali dati sono poi riportati nella certificazione da parte dell’amministrazione pubblica (come stabilito nel modello previsto negli allegati 2 e 2 bis sopra citati), la quale in tal modo ammette l’esistenza e la validità del rapporto sottostante dal quale scaturisce il credito del contribuente. Questi dati sono riprodotti anche nella certificazione mediante procedura automatica. 76 Cfr. E. LA ROSA, voce Riconoscimento dei diritti, XL, 1989, secondo il quale «mentre normalmente l’esistenza del debito non può essere provata altrimenti che fornendo la prova del fatto da cui origina, eccezionalmente l’attestazione di verità contenuta nella dichiarazione ricognitiva è da sola sufficiente a spiegare efficacia probatoria, seppure di grado limitato. E ciò in base al principio di autoresponsabilità per il quale vanno imputate al soggetto le conseguenze negative di quanto consapevolmente asserito contra se». 77 Sul fenomeno dell’astrazione processuale v. A. D’ANGELO, Le promesse unilaterali, Artt. 1987-1991, in Commentario al codice civile, diretto da P. Schlesinger, Milano, 1996, p. 416 ss., nonché C.A. GRAZIANI, voce Promessa di pagamento ricognizione di debito, in Enc. giur., XXIV, Roma, 1991, p. 1 ss. Cfr. anche E. LA ROSA, voce Riconoscimento dei diritti, XL, 1989, secondo il quale «appare [più] corretto parlare di ‘astrazione formale’, nel senso peculiare di indipendenza, nell’àmbito del processo della dichiarazione attestante l’esistenza di un rapporto obbligatorio, dal fatto costitutivo». 78 Sul tema cfr. A. DI MAJO, voce Promessa di pagamento (storia), XXVIII, 1988, il quale evidenzia che «nell’attuale codificazione più non figurano invece analoghe disposizioni (come quelle degli art. 1120 e 1121 c.c. 1865), attraverso le quali emergeva l’esigenza di tutelare documenti recanti dichiarazioni o attestazioni unilaterali. Efficacia probatoria viene attribuita ad atti di ricognizione o rinnovazione con riferimento a dichiarazioni contenute nel documento originale (art. 2720 c.c.). In compenso, e più pretenziosamente, compare una (strana) disposizione, che può definirsi frutto di un infelice compromesso tra l’esigenza di dare ingresso a tutto campo alla figura della promessa unilaterale (v. precedente dell’art. 60

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GIURISPRUDENZA DELLE IMPOSTE n. 1-2019

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che, per l’altro, secondo il nostro ordinamento, ogni attribuzione patrimoniale deve

avere una giustificazione causale79, con la conseguenza che la pretesa creditoria non

potrebbe trovare accoglimento laddove risultasse provata l’inesistenza, l’invalidità,

l’estinzione o l’inadempimento dell’obbligazione della controparte del rapporto

fondamentale.

Conformemente a quanto affermato, la seconda parte dell’art. 1988 c.c. consente

dunque al dichiarante la “prova contraria”, ossia la possibilità di provare che il

rapporto non sia mai venuto ad esistenza, sia invalido o estinto, o che esista, altresì,

un ulteriore elemento atto a incidere sull’adempimento dell’obbligazione oggetto del

riconoscimento 80.

In applicazione di questa disciplina, e più in generale della disposizione di cui all’art.

2697 c.c., il debitore può dunque fornire la prova di fatti impeditivi, estintivi o

modificativi del diritto di credito 81.

È proprio con riguardo a questo aspetto che si avverte la particolarità della

del programma di codice unico delle obbligazioni e dei contratti) e quella di ancorare il vigore di tali unilaterali dichiarazioni al (solo) terreno della prova (dispensando il beneficiario di esse dall’onere di provare il rapporto fondamentale)». L’Autore specifica inoltre che la norma di cui all’art. 1988 cod. civ. «non ha eguali in altre codificazioni», nascendo come un compromesso tra il modello francese e il modello tedesco. Sul tema v. anche C.A. GRAZIANI, voce Ricognizione (atti di), XL, 1989. In giurisprudenza cfr. ex multis Cass., 8 agosto 2007, n. 17423, ove si afferma che «secondo l’indirizzo consolidato dettato da questa Corte la promessa di pagamento, al pari della ricognizione di debito, non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma ha soltanto effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale, venendo a operarsi un’astrazione meramente processuale della “causa debendi” comportante una semplice “relevatio ab onere probandi” per la quale il destinatario della promessa è dispensato dall’onere di provare l’esistenza del rapporto fondamentale, che si presume sino a prova contraria». Nello stesso senso v. Cass. civ., sez. I, 15 luglio 2016, n. 14533, in banca dati www.leggiditalia.it, secondo la quale «Tale negozio non costituisce, pertanto, una fonte autonoma di obbligazioni, spiegando invece soltanto l’effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale, producendo il mero effetto dell’astrazione processuale dalla causa debendi». 79 Cfr. E. LA ROSA, voce Riconoscimento dei diritti, XL, 1989, secondo il quale «la dichiarazione ricognitiva è da sola sufficiente ad accertare l’esistenza del debito ma non è equiparabile sul piano giuridico al rapporto fondamentale, né può supplire alla sua mancanza». Per l’A. «ciò significa che il rapporto fondamentale deve essere sempre provato, ma non che tale onere debba gravare sul destinatario della ricognizione anziché sul debitore». 80 Alle medesime conclusioni si deve giungere anche nelle ipotesi in cui il dichiarante abbia fatto riferimento alla causa debendi del riconoscimento, giacché, in tale caso, l’indicazione del rapporto sottostante avrebbe quale effetto unicamente quello di rendere più agevole la prova contraria, di cui è onerato il debitore. 81 In giurisprudenza si afferma che la ricognizione di debito, al pari della promessa di pagamento, non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma determina un’astrazione meramente processuale della “causa debendi”, la quale comporta una semplice “relevatio ab onere probandi” in virtù della quale il destinatario della dichiarazione è dispensato dall’onere di provare, “sub specie facti”, l’esistenza del rapporto fondamentale. In applicazione degli artt. 2727 e 2697 c.c. anche la prova contraria deve riguardare la sussistenza o meno di fatti, costitutivi, modificativi o estintivi del diritto. In tal senso v. Cass. civ., sez. lav., 8 agosto 2007, n. 17423, in Mass. Giur. it., 2007.

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M.G.Ortoleva, La compensazione dei debiti…

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dichiarazione ricognitiva emessa dall’ente debitore. Essa, invero, porta con sé anche

il riconoscimento della insussistenza di “fatti” che possono incidere sull’idoneità del

contratto a produrre validamente effetti giuridici e, dunque, sulla sua attitudine a

costituire efficacemente il rapporto giuridico e reca altresì l’ammissione

dell’insussistenza di fatti che impediscano l’esecuzione della prestazione a carico

dell’amministrazione pubblica. In altri termini, la sussistenza di fatti impeditivi e/o

estintivi che potrebbe essere oggetto di prova contraria ex art. 1988 c.c. è verificata

ed esclusa ex ante dall’ente debitore certificante82.

Sotto tale profilo il richiamo all’art. 1988 del codice civile pare eccessivamente

riduttivo degli effetti che la certificazione sarebbe idonea a spiegare; appare cioè

opportuno verificare se la certificazione, sulla base dei requisiti e delle modalità del

controllo effettuata dalla pubblica amministrazione in sede di rilascio, non abbia

valore solamente ricognitivo, ma anche confessorio.

L’osservazione non è di irrilevante importanza in quanto la natura (anche)

confessoria della certificazione sarebbe destinata a produrre conseguenze radicali sul

piano probatorio. Come noto, infatti, ai sensi dell’art. 2732 c.c., la confessione non può

essere revocata (rectius: rettificata 83) se non si prova che è stata determinata da

errore di fatto o da violenza 84. Con la conseguenza che la natura confessoria della

82 Nel modello, costituente l’Allegato 2 al D.M. 22 maggio 2012, è infatti indicato se il credito «è certo, liquido ed esigibile alla data della presente certificazione», se «è risultato totalmente insussistente o inesigibile per le seguenti ragioni» che l’amministrazione è tenuta a indicare, oppure se «può essere certificato per un ammontare». 83 Il rimedio in tema di confessione, cioè lo strumento mediante il quale è possibile eliminare l’efficacia dell’atto, è denominato dall’art. 2730 c.c. “revoca”. Tuttavia, è opinione condivisa in dottrina quella secondo la quale il suddetto termine non possa essere assunto nel suo significato tecnico. Non trattandosi, infatti, di un atto negoziale, la confessione può operare solamente sul piano della conoscenza, sicché, mentre le dichiarazioni di volontà sono revocabili, le dichiarazioni di scienza sono rettificabili. Cfr. per tutti V. PANUCCIO, voce Confessione, in Enc. giur., VIII, Roma, 1988, p. 1 ss., spec., p. 3. La revoca può essere pertanto concepita più che altro come un atto volto ad infirmare, ad invalidare un ulteriore atto (appunto la confessione), il quale è destinato a sortire effetti soprattutto di natura processuale. Cfr. F. SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali, Napoli, 1944, p. 303; L. MONTESANO, Note sulla natura giuridica della confessione, in Giur. compl. Cass. Civ., 1948, III, p. 147 ss. Quello che appare certo, data la natura non negoziale della dichiarazione confessoria, è l’impossibilità di parlare della revoca della confessione come di un atto negoziale di segno contrario rispetto a quello che viene ad eliminare. V. F.D. BUSNELLI, La disciplina dei vizi del volere nella confessione e nel riconoscimento dei figli naturali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1959, II, p. 1235 ss., spec. p. 1236. 84 Le due ragioni di rettifica dell’atto espressamente previste dal legislatore sono l’errore di fatto e la violenza. L’errore di fatto consiste nella difformità oggettiva fra il dichiarato e la situazione anteriore, sebbene secondo la giurisprudenza occorra anche l’errore in senso soggettivo, val quanto dire l’erronea credenza del dichiarante della verità del fatto (Cass. civ., sez. II, 3 febbraio 1995, n. 1309, in Mass. Giur. it., 1995; Cass. civ., sez. lav., n. 525/1980) L. LAUDISA, Il ritiro delle dichiarazioni di verità, Padova, 1978, p. 109. È dubbio se queste conclusioni possano essere applicate anche alla confessione che sia l’esito di violenza morale. A fronte di quegli autori secondo i quali in questa ipotesi si prescinde dalla verità o meno del

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GIURISPRUDENZA DELLE IMPOSTE n. 1-2019

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certificazione potrebbe definitivamente precludere la possibilità, per il debitore che

intenda superare la presunzione iuris tantum di esistenza del rapporto

fondamentale, di provare eventuali fatti impeditivi e/o estintivi di cui l’art. 1988 c.c.,

in quanto oggetto di espressa indicazione nella certificazione.

Invero la considerazione secondo la quale, nell’accertare i requisiti del credito

(chiesti dal legislatore per la certificazione), l’amministrazione debitrice compia un

riscontro che dalla “mera esistenza” del credito giunga fino alla sua esigibilità induce

a ritenere che nella certificazione vi sia non solo una dichiarazione ricognitiva, ma

altresì una dichiarazione confessoria di fatti storici “sfavorevoli” al dichiarante ossia

il riconoscimento della regolare esecuzione del rapporto contrattuale di appalto,

fornitura o somministrazione da parte del contribuente.

Sono proprio i requisiti chiesti dal legislatore per il rilascio della certificazione a

confermare l’impostazione qui prospettata secondo la quale con essa

l’amministrazione debitrice ammette la “insussistenza” di fatti impeditivi

dell’esistenza e del perfezionamento del sinallagma contrattuale, quali la mancata o

non corretta esecuzione della prestazione, nonché della concreta esigibilità della

stessa e riconosce, inoltre, l’assenza di vizi che inficiano fin dall’origine la validità del

contratto, nonché l’insussistenza di fatti impeditivi o estintivi, quali il mancato

compimento del termine di prescrizione o, eventualmente, il già avvenuto

pagamento85.

A sostegno di tale prospettazione assumono inoltre particolare significato sia il

procedimento previsto dal decreto certificazione ai fini del rilascio della

certificazione, sia, come anticipato, il contenuto stesso del “documento”.

Sotto il primo profilo si ricorda che l’art. 2, comma 2, del Decreto certificazione

prevede, infatti, con riferimento alle amministrazioni statali, che l’esito del riscontro

della certezza, liquidità ed esigibilità del credito sia verificato dal competente Ufficio

fatto confessato (L. MONTESANO, Note sulla natura giuridica della confessione, in Giur. compl. Cass. Civ., 1948, III, p. 147 ss., spec. p. 148) secondo altra dottrina occorre quantomeno contestare il fatto, anche soltanto implicitamente (V. PANUCCIO, op. ult. cit., p. 4). Quanto alla violenza fisica è stato, invece, osservato che essa, eliminando la stessa volontarietà della dichiarazione, renderebbe la confessione radicalmente nulla e, quindi, priva di valore probatorio (L. LAUDISA, op. ult. cit., p. 114). Dalla natura giuridica della confessione, quale dichiarazione di scienza (in argomento cfr. inoltre, G. MESSINA, Contributo alla dottrina della confessione, in Scritti giuridici, Milano, 1948; E.T. LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile, Milano, 1981, p. 145; L. LAUDISA, op. ult. cit., p. 113) consegue l’inapplicabilità delle norme generali in tema di contratto (cfr. Cass. civ., sez. III, n. 95/1960). Sicché, esclusa la rilevanza del dolo, se non nei limiti in cui abbia provocato un errore di fatto nel confitente (cfr. C. FURNO, voce Confessione (dir. proc. civ.), in Enc. dir., VIII, Milano, 1961, p. 870 ss., spec. p. 903), sia l’errore di fatto sia la violenza non possono essere considerate alla stregua di vizi che consentono l’impugnazione dell’atto. Essi, piuttosto, legittimano il dichiarante ad eliminare la confessione mediante revoca. 85 In tema di inesistenza e invalidità si rinvia al paragrafo seguente.

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M.G.Ortoleva, La compensazione dei debiti…

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centrale del bilancio (d’ora in avanti UCB) per le amministrazioni centrali, e dalla

competente Ragioneria territoriale dello Stato (d’ora in avanti RTS) per le

amministrazioni periferiche. In particolare, come precisato dalla Circolare Mef n.

35/2012, le amministrazioni statali debitrici trasmettono all’UCB/RTS una bozza di

certificazione 86, unitamente alla documentazione giustificativa dei requisiti del

credito, richiedendo il nulla osta al rilascio. L’UBC/RTS – effettuata detta verifica – in

caso di esito positivo restituisce il modello all’amministrazione con apposito timbro

attestante che nulla osta al rilascio della certificazione. La certificazione è pertanto il

risultato di un riscontro per così dire “rafforzato”; il che confermerebbe che con essa

l’ente debitore riconosce in toto la legittimità della pretesa del beneficiario 87.

Quanto al contenuto dell’atto, dalle indicazioni presenti nel D.M. 22 maggio 2012

(come modificato dal D.M. 24 settembre 2012) risulta che nella certificazione va

indicato il fatto costitutivo del credito oltre ad una breve descrizione del rapporto

sottostante. Quest’ultimo dato risulta senza dubbio rilevante ai fini della

qualificazione. Secondo un orientamento dei Giudici di legittimità, condiviso da

parte della dottrina88, la ricognizione di debito, qualora rechi l’indicazione del

rapporto fondamentale, assume natura confessoria, potendo la confessione

estendersi sub specie facti anche a negozi giuridici e, in genere, a situazioni

giuridiche rilevanti89. Essa, invece, dovendo comunque avere ad oggetto

86 Trattasi del modello 2 allegato al D.M. certificazione. 87 Potrebbe ancora obiettarsi che il fatto che l’ente debitore abbia riconosciuto sia il debito sia l’inesistenza di qualsivoglia fatto impeditivo o estintivo dell’adempimento non possa assumere il significato di una preclusione definitiva ed assoluta alla proponibilità di eccezioni che, invece, l’art. 1988 c.c. ammette quale strumento che consente al debitore di superare la presunzione iuris tantum di esistenza del debito. Tuttavia, la previa verifica della sussistenza nel credito dei requisiti anzidetti sembra confermare che sia anticipatamente ammessa dall’amministrazione pubblica l’inesistenza di fatti impeditivi e/o estintivi che potrebbero costituire oggetto di prova contraria. 88 Cfr. V. SCALISI, voce Negozio astratto, XXVIII, 1978, secondo il quale «la promessa e il riconoscimento titolati, in quanto contenenti un espresso richiamo al titolo costitutivo del debito, non rientrano invece nell’ambito applicativo dell’art. 1988: sono vere e proprie confessioni (stragiudiziali), come tali soggette alla relativa disciplina». Cfr., altresì, MONTESANO, Note sulla natura giuridica, cit., pp. 147, 158, ma dello stesso autore in senso contrario, a quanto sembra, Confessione e astrazione, cit., p. 85 ss.; PUGLIESE, Intorno al riconoscimento, cit., p. 23, ma senza prendere posizione sulla qualificazione come confessione; BETTI, Ricognizione di debito e promessa di pagamento secondo il nuovo codice, in Temi emil., 1943, fascicolo 4, p. 3 ss.; e, FURNO, Accertamento convenzionale, cit., p. 165 ss.; ID., Promessa di pagamento, cit., pp. 97, 99 ss., p. 117 ss.; ID., In tema di riconoscimento, cit., pp. 747, 750, entrambi però con riferimento anche al riconoscimento e alla promessa non titolati. 89 Cfr. Cass. civ., 5 ottobre 2017, in banca dati www.leggiditalia.it secondo la quale «La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito da tempo che se, in linea di principio, si deve escludere la natura confessoria di una promessa di pagamento anche se titolata, poiché, consistendo essa in una dichiarazione di volontà intesa ad impegnare il promittente all’adempimento della prestazione oggetto della promessa, non può confondersi con la confessione, la quale consiste nella dichiarazione di fatti sfavorevoli al dichiarante, ed ha

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GIURISPRUDENZA DELLE IMPOSTE n. 1-2019

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esclusivamente fatti, non può comprendere l’ulteriore operazione della

qualificazione giuridica del fatto, che è riservata al giudice, secondo il principio iura

novit curia 90.

In definitiva, anche ove si volesse ritenere che l’utilizzo della locuzione

“certificazione” non sia risolutivo nell’attribuire ad essa gli effetti della certificazione

in senso stretto, sul piano civilistico sembra comunque potersi riconoscere in essa

l’efficacia di confessione stragiudiziale.

6.2 Gli effetti del controllo sull’esistenza e sulla validità della certificazione.

perciò il contenuto di una dichiarazione di scienza, tuttavia è possibile che, nel contesto di un unico documento, accanto alla volontà diretta alla promessa, coesista la dichiarazione di fatti storici dai quali scaturisce il rapporto fondamentale. Ferma restando, quindi, la distinzione concettuale e sostanziale delle figure, non si può escludere che, nell’ambito dello stesso documento, una promessa di pagamento (o una ricognizione di debito) coesista con una confessione di fatti pertinenti al rapporto fondamentale, e qualora ciò risulti, poiché la confessione (in ipotesi concernente l’esistenza del credito) ha valore di prova legale, sarà preclusa la prova contraria ai sensi dell’art. 1988 c.c. (sull’inesistenza o sull’estinzione della prestazione promessa), salva la eventuale revoca della confessione per errore di fatto o violenza». In termini v. anche Cass. civ., 15 luglio 2016, n. 14533; Id., 31 luglio 2012, n. 13689; Id., 5 luglio 2004, n. 12285; Id., 13 gennaio 1997, n. 259; Id., 9 febbraio 1994, n. 1328, tutte in banca dati www.leggiditalia.it. 90 Cfr. Cass. civ., sez. II, 21 ottobre 1992, n. 11498, in Mass. Giur. it., 1992. Nella categoria la Cassazione fa dunque rientrare atti, negozi, rapporti e situazioni giuridiche rilevanti se considerati sub specie facti, cioè come meri accadimenti storici, indipendentemente da ogni valutazione di ordine giuridico e prescindendo dagli effetti. In tal senso v. anche Cass. civ., sez. II, 30 maggio 1996, n. 5019, in Mass. Giur. it., 1996; Cass. civ., sez. II, 14 febbraio 1996, n. 1102, in Mass. Giur. it., 1996. Il dato indefettibile rimane la qualificazione del fatto come sfavorevole. Ma questa condizione trae origine dalla situazione particolare in cui il fatto interessato viene a porsi nell’ambito dei contrapposti interessi delle parti, in posizione tale per cui dalla sua ammissione (che ha l’effetto di escludere qualsivoglia contestazione sul punto) consegue un pregiudizio effettivo per l’interesse del dichiarante, cui fa riscontro un vantaggio per l’altra parte. A conclusione opposte giunge altra giurisprudenza secondo la quale – stante la distinzione tra le figure giuridiche della ricognizione di debito e della confessione (la prima, disciplinata dall’art. 1988 c.c. ha ad oggetto “rapporti giuridici” e comporta la presunzione fino a prova contraria del rapporto fondamentale, la seconda, disciplinata dagli artt. 2730 ss., c.c. ha ad oggetto “fatti”, sfavorevoli al dichiarante e favorevoli all’altra parte) – la ricognizione di debito, anche qualora rechi l’indicazione del rapporto fondamentale, non assume natura confessoria e, pertanto, anche in tali ipotesi vige la regola, stabilita dall’ultima parte dell’art. 1988 c.c., secondo la quale il dichiarante può sempre dimostrare l’inesistenza della causa e, perciò la nullità dell’atto. In tal senso v. Cass. civ., sez. III, 5 luglio 2004 n. 12285, in Corr. giur., 2004, 1, p. 13 ss., nonché Cass. civ., sez. I, 20 gennaio 1995, n. 629, in Mass. Giur. it., 1995. La menzione del rapporto sottostante dispiegherebbe, quindi, soltanto l’effetto di rendere più agevole al debitore la prova contraria. In dottrina sembra aderire alla prima tesi E. LA ROSA, voce Riconoscimento dei diritti, in Enc. dir., XL, Milano, 1989, p. 602 ss. Per l’A. l’art. 1988 c.c. non lascia spazio all’indicazione, anche soltanto generica, del rapporto fondamentale, il quale rileverebbe solamente in via di eccezione, val quanto dire solamente ai fini della prova contraria. Ne consegue che soltanto il riconoscimento astratto, in quanto tale privo di indicazioni relative al fatto costitutivo, rientra nell’ambito di operatività dell’art. 1988 c.c., mentre ne resterebbe fuori il riconoscimento titolato, il quale contenendo l’enunciazione del fatto costitutivo del debito, assumerebbe natura di vera e propria confessione.

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M.G.Ortoleva, La compensazione dei debiti…

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Le esposte precisazioni sulla natura della certificazione sono utili per comprendere

l’oggetto della verifica che ai sensi dell’art. 28 quater l’agente è chiamato a compiere.

Tale controllo è particolarmente rilevante nell’operare dell’istituto in esame giacché,

ricevuta l’istanza di compensazione da parte del contribuente, l’estinzione del debito

iscritto a ruolo è espressamente subordinata all’esito della verifica dell’esistenza e

della validità della certificazione (emessa, come precisa l’art. 28 quater, mediante

l’apposita piattaforma elettronica) 91.

Al fine dell’espletamento di tale attività l’art. 4, comma 3, del D.M. 25 giugno 2012,

stabilisce che l’agente deve rivolgersi mediante piattaforma elettronica alla stessa

amministrazione che ha emesso l’atto; quest’ultima a sua volta, entro il decimo

giorno successivo alla richiesta, deve rispondere comunicando, con lo stesso mezzo,

l’esito della verifica, del quale l’agente della riscossione infine informa il titolare.

Occorre, quindi, comprendere in che cosa debba consistere il controllo di questi due

aspetti. Alla luce delle precisazioni appena svolte sulla natura della certificazione

quanto alla verifica della sua “esistenza”, pare possibile affermare che l’ente debitore

che “conferma” la certificazione pone in essere un atto ricognitivo ai sensi dell’art.

2720 c.c. In quanto tale, la ricognizione costituisce piena prova della esistenza della

certificazione e del suo contenuto 92.

91 Insieme con la procedura mediante piattaforma elettronica il legislatore ha inizialmente previsto la c.d. procedura ordinaria (disciplinata dal comma 2 dell’art. 4 del Decreto del 25 giugno 2012). Nella procedura c.d. ordinaria la richiesta di verificare l’esistenza e la validità della certificazione è trasmessa all’amministrazione debitrice con posta elettronica certificata. Nel caso l’agente della riscossione, ricevuta l’istanza di compensazione da parte del contribuente deve trattenere l’originale della certificazione, ne rilascia copia timbrata per ricevuta al titolare del credito e procederà, entro i tre giorni lavorativi successivi, mediante richiesta trasmessa all’amministrazione debitrice, con posta elettronica certificata, alla verifica della esistenza e validità della certificazione. Adesso, come esposto prima, la certificazione è integrata nella comunicazione che l’Ente fa della esistenza del credito. 92 Secondo la migliore dottrina l’atto ricognitivo è un atto idoneo a fornire piena prova dell’esistenza del documento anteriore e delle dichiarazioni in esso contenute. Cfr. F. CARNELUTTI, Documento ricognitivo e rinnovativo, in Riv. dir. priv., 1942, I, p. 233 ss., il quale ha osservato che il documento ricognitivo costituisce la prova diretta del documento originario e la prova indiretta del fatto o rapporto che il documento originario ha riportato. In argomento cfr. anche F. TOMMASEO, Delle prove, in Comm. Cendon, VI, Torino, 1991, p. 200. In base alla norma in commento l’efficacia di piena prova viene meno solo se si dimostra, producendo il documento originale, che vi è stato errore di fatto nella ricognizione. Invero parte della dottrina ha rilevato l’incongruità della soluzione dettata dal legislatore in ordine alla difformità tra atto ricognitivo e documento originale, subordinando la rilevanza della eventuale difformità alla condizione della produzione del documento originale, rispetto alla disciplina dettata per la prova dell’errore nella dichiarazione confessoria. Infatti, mentre la prova dell’errore nella dichiarazione confessoria può essere fornita con ogni mezzo, la prova dell’errore nell’atto di ricognizione può invece essere fornita solamente mediante l’esibizione del documento originale (cfr. in argomento L.P. COMOGLIO, Le prove, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, Torino, 1997, p. 295; E.T. LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile, Milano, 1981, p. 122). Pare opportuno anche ricordare che secondo la dottrina tradizionale (cfr. F. CARNELUTTI, op. ult. cit., p. 233; E.T. LIEBMAN, op. ult. cit., p.

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Sembra altresì da escludere che alla richiesta di verifica faccia seguito un’ulteriore

attività istruttoria da parte dell’ente debitore, atteso che per un verso l’Ente debitore

è sollecitato soltanto a verificare l’esistenza della certificazione 93, per l’altro l’attività di

controllo nel merito della fondatezza del credito è già stata compiuta.

La verifica dell’esistenza, pertanto, non può che avere ad oggetto il controllo

sull’esistenza in sé del documento94.

L’esigenza di detto controllo dovrebbe peraltro ritenersi affievolita per effetto

dell’adozione della procedura mediante piattaforma elettronica, in quanto la

certificazione che compare in piattaforma è certamente esistente. In tal caso, quindi,

la risposta all’istanza di verifica dell’esistenza pare assumere il significato di

un’indiretta conferma del contenuto della certificazione e del riconoscimento del

debito.

Quanto al controllo della “validità” della certificazione – fatte salve le ipotesi di

nullità strutturale della certificazione, per mancanza dei requisiti essenziali

dell’atto 95, le quali nel caso sono difficili da ipotizzare giacché tutti questi elementi si

possono ritenere sussistenti nell’ipotesi di certificazione avviata mediante

piattaforma elettronica – le uniche situazioni che possono venire in rilievo sono

122) la dichiarazione di scienza contenuta nell’atto ricognitivo ha propriamente natura confessoria. Tuttavia sorgono dubbi ove si consideri, sul piano tecnico, l’incompatibilità tra i sistemi di contestazione e di invalidazione rispettivamente previsti negli artt. 2720 e 2732 c.c. Ma sul punto occorre anche ricordare la posizione di quella dottrina che ritiene applicabile anche alla ricognizione ex art. 2720 c.c. il regime dettato dall’art. 2732 c.c. Cfr. in tal senso L. LAUDISA, Il ritiro delle dichiarazioni di verità, Padova, 1978, p. 33. 93 Sotto il profilo amministrativistico, volendo porre l’accento sul procedimento certificatorio, l’atto con il quale un’autorità amministrativa ribadisce una precedente determinazione, riproducendone eventualmente il contenuto, è la conferma. In tal caso la conferma è ritenuta propria. Nel caso che ci occupa, invece, sembrerebbe verificarsi una conferma impropria. Nella dottrina amministrativistica il criterio discretivo fra l’una e l’altra fattispecie sembra essere individuato nella circostanza che nel primo caso viene adottato un nuovo provvedimento in base ad una nuova istruttoria, mentre nel secondo l’atto successivamente adottato è meramente confermativo del precedente, difettando una nuova istruttoria. Al riguardo il Cons. Stato, sez. VI, 8 marzo 2004, n. 1080, in Foro amm. CDS, 2004, p. 905 ss. – soffermandosi sulla distinzione tra conferma e atto meramente confermativo – ha precisato come per poter considerare l’atto adottato alla stregua di una vera e propria conferma sia necessario un completo esame della fattispecie; di talché si considera atto meramente confermativo quello che, senza alcuna nuova valutazione, dunque senza alcuna nuova istruttoria e senza alcun nuovo esame degli elementi di fatto e di diritto già considerati in precedenza, si limita a dichiarare l’esistenza del precedente. In termini v. anche Cons. Stato, sez. IV, 28 agosto 2001, n. 4534, in Foro amm., 2001, p. 1948 ss.; Cons. Stato, sez. IV, 26 giugno 2002, n. 3551, in Foro amm. CDS, 2002, p. 1424 ss.; Cons. Stato, sez. V, 12 aprile 2005, n. 1645, in Massima redazionale, 2005. 94 Appare evidente, per contro, che proprio nella procedura di certificazione avviata con la modalità cartacea si riscontra la necessità di accertare che all’agente della riscossione non sia presentata una falsa certificazione. 95 Cfr. S. GIACCHETTI, op. cit., p. 4. Le certificazioni devono in specie far constare il soggetto certificante, quello al quale la certificazione si riferisce, il fatto che si è inteso certificare, la data e la sottoscrizione.

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M.G.Ortoleva, La compensazione dei debiti…

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quelle specifiche nelle quali la legge prevede la nullità della certificazione 96.

96 Per un’introduzione al tema della invalidità in diritto amministrativo si veda M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, Milano, 1988, p. 709, G. CORSO, voce Validità (dir. amm.), in Enc. dir., XLVI, Milano, 1993, p. 84 ss..; F. LUCIANI, Contributo allo studio del provvedimento amministrativo nullo. Rilevanza ed efficacia, Torino, 2010; A. PIRAS, Invalidità (Dir. Amm.), in Enc. Giur idica, vol. XXII, Milano, 1972, p. 598 ss.; P. M. VIPIANA PERPETUA, Invalidità, annullamento d’ufficio e revoca degli atti amministrativi, Padova, 2007; D. Ponte, La nullità dell’atto amministrativo, Milano, 2015; M. TRIMARCHII, La validità del provvedimento amministrativo: profili di teoria generale, Pisa, 2013; R. CARANTA, L’inesistenza dell’atto amministrativo, Torino, 1990. La possibilità di estendere la categoria giuridica della nullità anche al provvedimento amministrativo è conquista legislativa relativamente recente, e segnatamente della Legge 11 febbraio 2005, n. 15, che ha introdotto all’interno del corpus normativo della Legge n. 241/1990 l’art. 21 septies. Ai sensi di questa disposizione «è nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi previsti dalla legge». La norma prevede quindi la cd. nullità strutturale, laddove il provvedimento sia privo dei requisiti essenziali; la nullità per difetto assoluto di attribuzione; la nullità per violazione o elusione del giudicato e la nullità cd. testuale, ossia le ipotesi di nullità espressamente previste dalla legge. È noto e da più parti contestato come il legislatore, pur positivizzando nell’art. 21 septies le fattispecie idonee ad integrare la nullità, abbia completamente tralasciato di delineare il regime giuridico e la disciplina applicabile a tale specie di invalidità, assegnando, in un primo tempo, tale compito alla dottrina e alla giurisprudenza. Sul punto si v. F. LUCIANI, L’invalidità e le altre anomalie dell’atto amministrativo: inquadramento teorico, in V. CERULLI IERELLI – L. DE LUCIA, L’invalidità amministrativa, Torino, 2009, p. 16 ss., la quale ha osservato che la norma si “limita ad individuare le cause di nullità dell’atto senza indicare il regime di tale nullità; non fornisce cioè una risposta teorica alle tradizionali incertezze. In via generale si può ipotizzare il ricorso al codice civile, per quanto compatibile; anche se il testo definitivo non contiene più l’espresso rinvio alla disciplina civilistica, tale possibilità deve essere ammessa, atteso che la nullità è una nozione di teoria generale … omissis …, la quale proprio nel codice civile trova uno dei principali fondamenti normativi (così Cons. St., V, 9 giugno 2008, n. 2872)”. Ciò nonostante è innegabile che la Legge 11 febbraio 2005, n. 15 abbia profondamente innovato il tema delle invalidità, ponendo altresì fine ad un dibattito che si protraeva da anni. Invero, in passato, parte della dottrina, confortata da alcuna giurisprudenza, riconosceva una terza specie di invalidità, ossia l’inesistenza del provvedimento. Sul punto si v. B. CAVALLO, Provvedimenti e atti amministrativi, Padova, 1993, p. 299, secondo il quale “in via meramente astratta, l’inesistenza coglie la situazione dell’atto che non acquista rilevanza giuridica come tale per l’ordinamento, mentre la nullità appare quale reazione sanzionatoria dello stesso ad uno stato invalidante il provvedimento”. In realtà, la dottrina più attenta, posta l’identità di regime giuridico applicabile alla nullità e all’inesistenza, denunciava la mancanza di utilità di una tale distinzione che, collocandosi su un piano meramente semantico, era potenzialmente foriera di dubbi ed incertezze, si veda B. G. MATTARELLA, Il provvedimento, in S. CASSESE, Trattato di diritto amministrativo, Milano, 2000, p. 1017. Oggi, l’introduzione di una norma quale l’art. 21 septies può essere considerata la manifestazione della volontà del legislatore di esaurire l’area delle invalidità del provvedimento amministrativo, ripartendola tra nullità ed annullabilità (in tal senso B. G. Mattarella, La nuova legge, cit. p. 479, secondo il quale “considerando che la figura dell’inesistenza si è imposta a causa dell’assenza di quella della nullità, è ragionevole ritenere che l’affermazione della seconda determini la morte della prima”). Si tenga inoltre presente che, prima della Legge n. 15/2005, si era giunti all’estensione della nullità al provvedimento amministrativo grazie all’opera della giurisprudenza che ne aveva altresì enucleato le ipotesi. Tuttavia la categoria era oggetto di ampio dibattito. Infatti, ad una tesi che riteneva applicabili le categorie della nullità civilistica al diritto amministrativo – enucleando, a partire da questo, le categorie della nullità virtuale (per contrasto dell’atto con norme dell’ordinamento regolanti l’azione amministrativa), della nullità strutturale (per carenza di taluno dei requisiti strutturali dell’atto amministrativo, cfr. Cons. Stato, sez V, 22 aprile 1961, n. 161) e della nullità testuale (per espressa previsione di legge) – si contrapponeva la tesi che

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GIURISPRUDENZA DELLE IMPOSTE n. 1-2019

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In particolare, sono nulle ai sensi del comma 3 ter dell’art. 9 del D.L. n. 185/2008 le

certificazioni rilasciate dagli Enti locali commissariati o da un ente del Servizio

Sanitario Nazionale delle Regioni sottoposto a piano di rientro dai disavanzi sanitari

o a programmi operativi, ai quali è fatto divieto di emetterle 97.

escludeva la configurabilità di detta categoria nell’ambito del diritto amministrativo. Con riferimento alla nullità virtuale, infatti, veniva fatto rilevare come, nell’ambito del diritto amministrativo, di regola, la contrarietà dell’azione amministrativa a norme imperative, desse luogo ad annullabilità da farsi valere nel termine decadenziale di sessanta giorni mentre, con riferimento alla nullità strutturale, si osservava come il diritto amministrativo non prevedesse una norma, come quella di cui all’art. 1325 c.c., che individuasse i requisiti strutturali del provvedimento amministrativo. Secondo tale tesi, dunque, la nullità dell’atto non assurgeva ad autonoma categoria del diritto amministrativo, dovendosi esclusivamente distinguere tra atti annullabili e atti amministrativi inesistenti. Del resto la sanzione della nullità del provvedimento era stata prevista solo con riferimento ad ipotesi speciali, considerate tassative ed in quanto tali non passibili di estensione analogica. Ne erano esempi la situazione delle assunzioni senza concorso (art. 3, comma 6, D.P.R. n. 3/1957), la assegnazione di mansioni superiori (art. 52 al comma 2 del D.Lgs. n. 165/2001), l’accertamento tributario difforme dalla risposta all’interpello (art. 11, Legge n. 212/2000), gli accordi procedimentali privi del requisito di forma (art. 11, Legge n. 241/1990), gli atti emessi dopo il regime di prorogatio di quarantacinque giorni (Legge n. 444/1994). Almeno in altri due casi, tesi dottrinali (e in parte giurisprudenziali) minoritarie hanno evocato la categoria più grave della nullità in luogo della annullabilità, in ragione della natura comunitaria (diretta o indiretta) delle norme violate. Si tratta del vizio del contratto stipulato a seguito dell’annullamento della aggiudicazione e dell’atto amministrativo contrario a normativa comunitaria. Con l’art. 21 septies della Legge n. 241/1990, introdotto dalla citata Legge n. 15/2005, sono state, invece, tipizzate le fattispecie di nullità, positivizzando la casistica precedentemente individuata ed elaborata dalla giurisprudenza amministrativa. Quanto alle conseguenze determinate dalla invalidità, l’atto amministrativo nullo è insuscettibile di produrre effetti, non è esecutorio e, in caso d’esecuzione dello stesso da parte della pubblica amministrazione, il privato è ammesso a resistere, non è inoppugnabile decorso il termine di sessanta giorni dalla sua adozione, avendo l’art. 31 co. 4, D. Lgs n. 104/2010 disciplinato l’azione di nullità sancendo, da un lato, la sua perpetua opponibilità in giudizio ad opera della parte resistente e, dall’altro, introducendo un termine di decadenza di 180 giorni per la proposizione della relativa domanda (eccezion fatta per la nullità conseguente a violazione o elusione del giudicato per la quale vale il termine più lungo di prescrizione dell’actio iudicati, art. 114, co. 4 lett. b, c.p.a., sul punto si v. F. VETRÒ, L’azione di nullità dinanzi al giudice amministrativo, Napoli, 2012; A. CARBONE, La nullità e l’azione di accertamento nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2009, p. 795 ss.; B. SASSANI, Riflessioni sull’azione di nullità, in Dir. proc. amm., 2011, p. 269 ss.). Infine il provvedimento non può essere sanato o convalidato potendo esclusivamente essere convertito in un atto valido. L’annullabilità è determinata invece dai vizi di legittimità dell’atto, val quanto dire dall’incompetenza, dalla violazione di legge e dall’eccesso di potere. L’atto amministrativo annullabile è immediatamente efficace e può essere caducato solo a seguito di tempestiva impugnativa giudiziale, è suscettibile di convalida o di annullamento d’ufficio, così come delle altre forme di sanatoria con effetto conservativo (ratifica, sanatoria, conversione, proroga, rinnovazione). 97 In dottrina si è osservato come sia «inappropriato parlare di nullità in relazione a queste particolari certificazioni nei casi in cui è fatto divieto di rilasciarle, dovendosene tutt’al più predicare l’inefficacia» cfr. A. LAUDONIO, Crediti e Pubblica Amministrazione (di eccezioni che anticipano le regole), cit. p. 16. Non è, peraltro, chiara quale possa essere la ragione della comminata nullità della certificazione in tali ipotesi. Non è cioè chiaro se la nullità di cui è affetta la certificazione rilasciata dagli enti che versino in una delle condizioni predette sia una nullità testuale o scaturisca da una carenza di attribuzione o ancora da un difetto connesso all’incompetenza. Dovrebbe escludersi il difetto assoluto di attribuzione trattandosi di concetto correlato, invece, alla carenza di potere. Nel caso non dovrebbe configurarsi una

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M.G.Ortoleva, La compensazione dei debiti…

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Se sono questi gli aspetti da controllare ai fini del riscontro del requisito di validità,

appare evidente che tale verifica non può essere rimessa all’amministrazione

pubblica certificante né esaurirsi nella semplice presa d’atto della esistenza delle

comunicazioni in piattaforma ma occorrerà un’ulteriore particolare attenzione da

parte dell’Agente.

A suffragare questa considerazione soccorre quanto previsto nella Circolare n.

35/2012 del MEF, ove si invita l’agente della riscossione a compiere tale controllo

svolgendo le opportune verifiche di competenza fuori piattaforma98.

Considerato, quindi, da una parte che la richiesta all’amministrazione di controllo

dell’esistenza ha il significato di un indiretto esame del contenuto della certificazione

e consiste in una conferma dell’esistenza della condizione debitoria, e, dall’altra che

la verifica della validità della certificazione non può dare luogo ad un nuovo

accertamento dei requisiti della stessa, la risposta dell’amministrazione pubblica (sia

essa via p.e.c. oppure in piattaforma elettronica) pare assumere valore confermativo

dell’impegno a pagare all’agente della riscossione il debito del contribuente 99.

Espletato, dunque, il controllo e ottenuto l’impegno dell’amministrazione al

pagamento, l’agente della riscossione può procedere a dichiarare avvenuta la

compensazione ed estinto il debito, dandone comunicazione al contribuente.

Da quanto fin qui esposto emerge chiaramente la peculiarità dell’istituto in esame, il

quale – sebbene in linea di principio pensato “a favore” 100 delle imprese e, dunque

prima facie a tutela dell’integrità patrimoniale del contribuente – si connota per la

sua stretta subordinazione alle politiche di bilancio ovvero, se si vuole, alla mera

disponibilità di risorse finanziarie da destinare al pagamento dei debiti pregressi

piuttosto che “ad altro” (secondo un ordine di priorità che sembra ad oggi ancora

essere demandato essenzialmente alla “politica”) 101.

fattispecie di carenza di potere in astratto, in quanto questa si verifica allorché il potere manchi ab origine nell’organo che lo ha esercitato, perché ha invaso la sfera di pertinenza di un’altra autorità o inciso in materia totalmente estranea alla branca di amministrazione di appartenenza. Ricade, invece sub specie di annullabilità la c.d. carenza di potere in concreto, ove non è violata la norma attributiva del potere, che esiste, ma non si sono rispettate le sole norme che ne limitano l’esercizio e lo condizionano (cosiddetto cattivo esercizio del potere), in quanto ne manca il fatto permissivo. 98 L’agente della riscossione dovrà peraltro controllare che il titolare del credito sia anche il debitore delle somme. 99 In proposito si ricorda che il versamento di cui all’art. 28 quater del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, da parte dell’amministrazione debitrice deve essere effettuato entro 12 mesi dal rilascio della certificazione. 100 L’uso di tale termine non deve fare pensare ad un beneficio arrecato trattandosi piuttosto di consentire un giusto esercizio di diritti. 101 Cfr. B. INZITARI, op. ult. cit., p. 1343, il quale rileva che «Il pagamento dei debiti arretrati diviene quindi in questo contesto una operazione di scopo che si muove secondo una direttiva di carattere produttivo riassunto nella formula del sostegno alla economia reale».

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GIURISPRUDENZA DELLE IMPOSTE n. 1-2019

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In questo senso sembra deporre non solo la coeva introduzione di meccanismi di

“ricognizione” dei debiti della Pubblica Amministrazione ma soprattutto la modalità

con la quale, fin dall’introduzione, il Ministero ha dato attuazione alla disposizione.

Alla luce dell’analisi fin qui svolta sembra possibile affermare con riferimento

all’istituto in esame che fintanto che, da una parte, non si smaltiscono i debiti

pregressi e dall’altra, non si impedisce alla pubblica amministrazione di assumere

impegni che non saranno “tempestivamente” onorati non ci si può aspettare

un’effettiva “sistematizzazione” dell’istituto, la cui natura di strumento a tutela o a

beneficio del contribuente sembra già solo per tale motivo difficilmente sostenibile.

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F.Tuccillo, Il regime della prescrizione…

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Francesco Tuccillo Il regime della prescrizione nei reati tributari dopo la “saga” Taricco e le recenti riforme * Abstract: Il lavoro ripercorre la tormentata “saga Taricco”, originata dalla sentenza

con cui la Corte di giustizia dell’Unione europea ha sancito l’obbligo per il giudice

nazionale di disapplicare la disciplina interna sulla prescrizione nell’ipotesi in cui

questa impedisca di contrastare efficacemente le frodi lesive degli interessi finanziari

dell’Unione. In seguito, si è esaminata la risposta fornita dalla Corte Costituzionale,

la quale, specificando la reale portata del principio di determinatezza della

fattispecie penale, ha categoricamente precluso l’applicabilità nel nostro

ordinamento di tale regola, neppure nella forma “temperata” di cui alla seconda

sentenza della Corte di giustizia. Da ultimo, si è valutata la compatibilità delle

recenti riforme Orlando e “Spazza corrotti” rispetto ai principi garantistici ricevuti in

eredità dalla vicenda in esame.

The paper retraces the troubled case of the so-called Taricco saga, originated from

the judgement in which the Court of Justice of European Union stated the existence

of an obligation, binding upon national judges, to disapply national provisions

regarding limitation in case said provisions prevent from countering effectively any

fraud which appears to be detrimental to the financial interests of the EU. Next, the

present work examines the Constitutional Court’s response to this position: indeed,

after having clarified the real scope of the principles of legality and legal certainty in

criminal matters, the Judges flatly denied the applicability of such a rule within the

Italian legal system, not even in the more “moderate” version identified in the

second judgement given by the CJEU on the case. Lastly, the article assesses the

compatibility of the recent “Orlando” and “Spazza corrotti” reforms with the

constitutional guarantees at issue in Taricco, as interpreted in the examined

decisions.

SOMMARIO: 1. Il fondamento del diritto all’oblio – 2. La “saga” Taricco: il quadro

normativo previgente – 2.1. La prima sentenza della Corte di Giustizia – 2.2. La

“reazione” della Corte costituzionale – 2.3. La sentenza Taricco- bis – 3. La

giurisprudenza di legittimità successiva – 3.1. La sentenza n. 115 del 2018 della

Corte costituzionale – 4. Gli ultimi interventi normativi: soluzioni di carattere

emergenziale a inefficienze di natura sistematica.

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GIURISPRUDENZA DELLE IMPOSTE n. 1-2019

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1. Il fondamento del diritto all’oblio

In materia penale, ciascuno degli ordinamenti europei attribuisce al decorso del

tempo una peculiare valenza giuridica, che influisce, a seconda dei casi, sul reato o

sulla pena. Nella tradizione liberale dei Paesi di civil law, infatti, è costante l’idea

secondo cui, trascorso un certo lasso di tempo dalla commissione di un fatto tipico o

dal passaggio in giudicato di una sentenza di condanna, la comunità dei consociati

finisca per perdere il proprio interesse alle vicende a questi riconnesse, siano esse

riferite alla perseguibilità del reato ovvero alla materiale esecuzione di una sentenza

di condanna divenuta irrevocabile.

Nell’esperienza nostrana, rispetto all’impostazione ottocentesca del codice

Zanardelli, che attribuiva alla prescrizione l’effetto di estinguere l’azione penale1, il

legislatore Rocco ha invece preferito abbandonare qualsivoglia istanza

processualistica2, sposando l’archetipo di un istituto di natura sostanziale, idoneo a

estinguere il reato stesso sulla scorta del rilievo per cui «l’oblio copre ogni cosa»3. Di

qui, l’enunciazione del principio per cui il fenomeno dello scorrere del tempo agisca

non tanto sulla procedibilità dell’azione o sulla prosecuzione del giudizio penale, ma

esprima un effetto di radicale consunzione delle esigenze di repressione dei reati da

parte della collettività4.

Non stupisce, quindi, che la ratio dell’istituto della prescrizione del reato venga

comunemente individuata proprio nel terreno della prevenzione generale e speciale,

ossia in termini di affievolimento dell’opportunità di dare corso all’incriminazione

ed esercitare la funzione repressiva a distanza di eccessivo tempo dal fatto5,

* Pubblicazione sottoposta a revisione anonima da parte di un componente del Comitato di valutazione scientifica della rivista. 1 L’art. 91, primo comma, recitava appunto che «La prescrizione, salvo i casi nei quali la legge disponga altrimenti, estingue l’azione penale». 2 Tale scelta politico-criminale si apprezza chiaramente nella relazione ministeriale sul progetto preliminare del codice del 1930, in larga parte ispirata dagli studi della teoria generale dell’azione in campo civile, di cui all’art. 2105 del codice civile del 1865. In questo senso, A. MACCHIA, Prescrizione, Taricco e dintorni: spunti a margine di un sistema da rifondare, in Questione Giustizia, 1/2017, p. 11. 3 G. BETTIOL – L. PETTOELLO MANTOVANI, Diritto penale, Padova, 1986 p. 920. 4 Cfr. Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, parte I, Relazione sul libro I del Progetto, Roma, 1929, pp. 206 ss., in cui si specifica come la prescrizione si basi «sull’azione corroditrice del tempo», la quale fa perdere «la memoria del fatto criminoso e scomparire l’allarme sociale». 5 G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale. Parte generale, Bologna, 2019, pp. 838-839; F. GIUNTA – D. MICHELETTI, Tempori cedere. Prescrizione del reato e funzione della pena nello scenario della ragionevole durata del processo, Torino, 2003, pp. 36 ss.; A. MOLARI, voce Prescrizione del reato e della pena (diritto penale), in Noviss. dig. it., XIII, Torino, 1966, p. 684. Sottolinea l’efficacia «taumaturgica» dello scorrere del tempo anche T. PADOVANI, Diritto penale, XI ediz., Milano, 2017, p. 413.

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F.Tuccillo, Il regime della prescrizione…

69

congiuntamente alla consapevole infruttuosità della risocializzazione6 di un

individuo che, al momento della esecuzione della sentenza di condanna, sia ormai

così profondamente diverso rispetto a quando realizzò la condotta tipica, da potersi

a tutti gli effetti ritenere “un’altra persona”7. Proprio per tali ragioni, la portata

specialpreventiva della prescrizione dovrebbe, in punto teorico, operare sempre pro

reo, giacché una sua eventuale valorizzazione in chiave sfavorevole all’imputato

determinerebbe una pericolosa deriva verso un diritto penale d’autore8 – ben

evidente, del resto, nelle disposizioni derogatorie in malam partem previste per i

recidivi9.

2. La “saga” Taricco: il quadro normativo previgente

Il diritto penale tributario ha da sempre offerto soluzioni originali e derogatorie

rispetto a quelle del codice Rocco, anche in riferimento alle cause estintive del

reato10.

Sin dalla sua formulazione originaria, infatti, il regime della prescrizione del reato

appariva del tutto peculiare in detto settore, presentando termini più lunghi rispetto

alla regola di parte generale contenuta nell’art. 157 c.p. Tale previsione trovava la

propria giustificazione nella circostanza che, sovente, l’amministrazione finanziaria

non riusciva a verificare tempestivamente la regolarità delle dichiarazioni fiscali,

6 Per una condivisibile analisi sulla funzione della pena, in termini di deeticizzazione del concetto costituzionale di «rieducazione del condannato», da intendersi in chiave di amorale «risocializzazione» (o comunque di «non ulteriore desocializzazione») del reo, si rinvia a: S. MOCCIA, Il diritto penale tra essere e valore. Funzione della pena e sistematica teleologica, Napoli, 1992, pp. 109 ss. Cfr. anche E.M. AMBROSETTI, Politica criminale e riforma della prescrizione del reato, in Politica criminale e cultura giuspenalistica. Scritti in onore di Sergio Moccia, a cura di A. CAVALIERE – C. LONGOBARDO – V. MASARONE – A. SESSA – F. SCHIAFFO, Napoli, 2017, pp. 416 ss. 7 Chiarisce esaustivamente il carattere desocializzante di tale scenario F. PALAZZO, Corso di diritto penale. Parte generale, Torino, 2016, p. 626, rilevando che la distanza temporale dal fatto attenua il rapporto stesso di «appartenenza personale» tra il reo e il reato, ai sensi dei commi primo e terzo dell’art. 27 della Costituzione. 8 A. CAVALIERE, Le nuove disposizioni “emergenziali” in tema di prescrizione del reato, in La legislazione penale, II, Torino, 2018, p. 6. 9 In argomento, la dottrina non ha mancato di evidenziare le disparità di trattamento previste per le diverse ipotesi di recidiva: solo quella semplice, infatti, comportando un aumento della pena fino a un terzo, sfugge al meccanismo di allungamento dei termini prescrizionali di cui all’art. 157, co. 2° c.p., chiaramente riscontrabile nelle ipotesi di recidiva aggravata e reiterata. Ex multis, D. PULITANÒ, Diritto penale, Torino, 2013, p. 568; M. ROMANO, Art.157, in M. ROMANO - G. GRASSO - T. PADOVANI, Commentario sistematico del codice penale, III, Artt.150-240, Milano 2011, pp. 67, 74-75; G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., pp. 841-842. 10 E.M. AMROSETTI – E. MEZZETTI – M. RONCO, Diritto penale dell’impresa, IV ediz., Torino, 2016, p. 488.

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sicché, avvenendo l’accertamento ad anni di distanza dal momento consumativo,

occorrevano dei termini prescrizionali più lunghi di quelli canonici11.

Successivamente, la materia ha subìto interventi “altalenanti”, intervallando

momenti di adeguamento alla disciplina codicistica ed altri, invece, di scostamento

dalla stessa. Invero, ad una prima fase di abolizione della disciplina speciale della

prescrizione, con conseguente applicazione delle regole generali12, in seguito si è

affermata la tendenza ad allungare nuovamente i suddetti termini, con l’evidente

finalità di garantire una più aspra risposta sanzionatoria agli illeciti tributari13.

L’originalità in peius del regime, peraltro, ha storicamente trovato conferma nella

presenza di una peculiare causa interruttiva della prescrizione, prevista dal primo

comma dell’art. 17, d.lgs. n. 74/2000; tale norma, difatti, stabilisce come, in

aggiunta agli atti interruttivi “tipici” di cui all’art. 160 c.p., nelle fattispecie tributarie

il corso del termine prescrizionale venga altresì interrotto «dal verbale di

constatazione o dall’atto di accertamento delle relative violazioni».

In riferimento al descritto quadro normativo e, in dettaglio, proprio riguardo al

regime degli atti interruttivi della prescrizione in ambito penal-tributario, si è

inserita una delle vicende giurisprudenziali più discusse degli ultimi anni, oggetto di

un non ancora sopito dibattito dottrinale e foriera di reazioni – se non di vere e

proprie prese di posizione – da parte di tutti i più alti organi giurisdizionali italiani.

Ci si riferisce agli sviluppi della notissima sentenza “Taricco”14, con cui la Grande

Sezione della Corte di giustizia dell’Unione europea ha, di fatto, sancito

l’inapplicabilità, nei procedimenti penali riguardanti ipotesi di frodi gravi in materia

di IVA, della disciplina italiana della prescrizione del reato.

Pertanto, al fine di apprezzare appieno tutte le ripercussioni di tale iter

giurisprudenziale, appare opportuno ripercorrerne le tappe principali.

11 Per un esaustivo excursus sul regime previgente alla riforma del 2005, si rinvia a F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Leggi complementari, I, XIII ediz., 2014, pp. 355 ss. 12 Si veda soprattutto quanto previsto dalla riferita legge “ex Cirielli”, secondo la quale, anche in riferimento alle fattispecie tributarie, il tempo necessario a prescrivere andava calcolato guardando al massimo edittale previsto dalla singola fattispecie, senza computare gli aumenti e le diminuzioni derivanti da circostanze (escluse quelle cd. autonome e a effetto speciale). In dottrina, cfr. D. MICHELETTI, La nuova disciplina della prescrizione, in F.B. GIUNTA (a cura di), Le innovazioni al sistema penale, apportate dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251, Milano, 2006, pp. 221 ss. 13 Il riferimento va naturalmente al d.lgs. 13 agosto 2011, n. 138 (conv. in l. 14 settembre 2011, n. 148), il quale ha previsto che, per i reati di cui agli artt. 2-10 del d.lgs. n. 74/2000, i termini di prescrizione vadano elevati di un terzo, quindi da sei a otto anni (cfr. il nuovo art. 17, co. 1-bis d.lgs. 74/2000). 14 Corte di giustizia, Grande Sezione, 8 settembre 2015, causa C-105/14.

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F.Tuccillo, Il regime della prescrizione…

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2.1. La prima sentenza della Corte di giustizia

La vicenda trae origine dal procedimento penale a carico di Ivo Taricco ed altri,

imputati di aver costituito e organizzato, tra il 2005 e il 2009, un’associazione a

delinquere dedita ad operazioni note come “frodi carosello”; secondo la

prospettazione accusatoria, i predetti, avvalendosi di una serie di società interposte e

di falsa documentazione, avrebbero acquistato diversi milioni di euro di champagne

in esenzione da IVA, quindi a un prezzo inferiore rispetto a quello di mercato.

Senonché, a causa della complessità delle indagini preliminari e della lunghezza del

procedimento penale, il Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di

Cuneo preannunciava che si sarebbe certamente determinata, sul piano pratico,

l’impossibilità di addivenire ad una sentenza definitiva, così garantendo agli

imputati una sorta di impunità fattuale, coincidente con la maturazione del termine

prescrizionale.

Per tali motivi, con ordinanza del gennaio 2014, il Gup, nel constatare, da un lato,

l’intervenuto decorso della prescrizione nei confronti di uno degli imputati, e,

dall’altro, che nei confronti di tutti gli altri la prescrizione sarebbe maturata al

massimo nel termine di otto anni e nove mesi (al più tardi, nel febbraio 2018),

chiedeva alla Corte di pronunciarsi sulla compatibilità della disciplina nostrana con

la normativa UE.

Più in dettaglio, occorreva stabilire se la previsione di un tetto massimo al termine di

prescrizione in presenza di atti interruttivi (artt. 160-161 c.p.) non avesse dato

origine, nella sostanza, ad una nuova ipotesi di esenzione dall’IVA, non disciplinata

dai Trattati e legittimante forme di concorrenza sleale da parte degli operatori

economici italiani rispetto ad imprese aventi sede in altri Stati membri. Pertanto,

paventando la possibile violazione degli obblighi di cui agli artt. 101, 107 e 119 TFUE,

nonché della direttiva 2006/112/UE in materia di IVA, alla Corte veniva

conseguentemente chiesto di specificare se il giudice italiano avesse o meno la

facoltà di disapplicare tali disposizioni nazionali, ove ritenute appunto contrastanti

con quelle eurounitarie.

La Corte di giustizia, focalizzando la propria attenzione sulle norme di diritto UE

invocate nelle conclusioni dell’Avvocato generale Juliane Kokott15 più che su quelle

15 Le conclusioni, presentate il 30 aprile 2015, sono liberamente consultabili all’indirizzo: http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=&docid=164056&pageIndex=0&doclang=IT&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=228194#Footref82.

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richiamate dal giudice del rinvio, ha abilmente “riformulato” la originaria domanda,

indirizzandola verso i corretti fondamenti normativi16.

Più precisamente, i giudici di Lussemburgo, richiamando il principio di cd. primauté

del diritto dell’Unione17, ormai ampiamente consolidato18, hanno in premessa

ribadito l’onere per i giudici nazionali di garantire la piena efficacia del diritto

eurounitario, sia attraverso l’interpretazione conforme del diritto interno, sia

mediante la disapplicazione, all’occorrenza e di propria iniziativa, delle disposizioni

nazionali incompatibili con quest’ultimo – senza doverne chiedere la previa

rimozione in via legislativa o mediante un procedimento costituzionale19.

Nel caso di specie, però, la Grande Sezione è stata chiamata ad affrontare il

problema della disapplicazione di una normativa nazionale di favore (quella appunto

legata alla prescrizione del reato), perché incompatibile con il diritto UE, che

produca conseguenze in malam partem nei confronti dell’imputato,

determinandone la punibilità20.

Sul punto, peraltro, l’Avvocato generale non ha mancato di prendere le distanze

rispetto al precedente caso “Berlusconi”21, vertente sulla disapplicazione di una

norma di diritto sostanziale, quale la fattispecie di false comunicazioni sociali

precedente alla riforma del 2002; la vicenda Taricco, al contrario, avrebbe

riguardato norme dotate di natura processuale nonostante la collocazione

sistematica nel codice penale, poiché destinate a regolamentare le condizioni per la

perseguibilità di fattispecie sostanziali nazionali.

Ebbene, la Corte europea, in linea con la propria tendenza ad una “vorace

autoattribuzione di competenze”22 – peraltro già manifestata nella vicenda Åkerberg

Fransson23 – ha utilizzato il caso Taricco per consacrare innovativamente l’art. 325

16 Di questa opinione F. VIGANÒ, Disapplicare le norme vigenti sulla prescrizione nelle frodi in materia di IVA? Primato del diritto UE e nullum crimen in una importante sentenza della Corte di giustizia, 14 settembre 2015, in www.penalecontemporaneo.it. 17 G. STROZZI – R. MASTROIANNI, Diritto dell’Unione Europea. Parte istituzionale, VII edizione, Torino, 2016, pp. 453-501. 18 Cfr. le celebri sentenze n. 6/64, Costa c. ENEL e n. 106/77, Amministrazione delle Finanze c. Simmenthal; da ultimo, Grande sezione, 19 gennaio 2010, Seda Kücükdeveci c. Swedex GmbH & Co. KG, C-555/07 (1/2010). 19 Cfr. par. 106-111 delle citate conclusioni dell’Avvocato generale. 20 F. VIGANÒ, Disapplicare le norme vigenti, cit., richiama come precedente, pur leggermente difforme, anche CGCE, 11 novembre 2004, Niselli, causa C-457/02. 21 Sentenza Berlusconi e a. (C-387/02, C-391/02 e C-403/02, EU:C:2005:270). 22 L’espressione è di V. MANES, La “svolta” Taricco e la potenziale “sovversione di sistema”: le ragioni dei controlimiti, 6 maggio 2016, in www.penalecontemporaneo.it. 23 Grande Sezione, 26 febbraio 2013, causa C-617/10 (1/2013), con cui la Corte ha chiarito che gli Stati membri hanno «l’obbligo di adottare tutte le misure legislative e amministrative al fine di garantire che l’IVA sia interamente riscossa nel suo territorio e a lottare contro la frode» (par. 25). Ne deriva che le sovrattasse e i procedimenti per frode

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TFUE quale “base legale” per la tutela degli interessi finanziari dell’Unione. Secondo

i giudici di Lussemburgo, sarebbe cioè possibile superare le fisiologiche limitazioni

di cui all’art. 83 TFUE – che postula, nelle materie ivi indicate, una competenza

penale solo indiretta dell’UE, pur sempre vincolata all’utilizzo delle direttive –

tramite l’utilizzo di una norma, l’art. 325 TFUE, che, legittimando anche atti

immediatamente applicabili, quali i regolamenti, radicherebbe potenzialmente una

competenza penale diretta24.

Ciò posto, dal momento che la norma richiamata vincola gli Stati membri

all’adozione di tutte le misure necessarie non solo per garantire l’effettiva riscossione

dell’IVA, ma anche per contrastare tutti i fenomeni fraudolenti in materia, la Corte

prendeva atto di due circostanze: da un lato, rilevava che l’ammontare significativo

dell’imposta evasa nel caso Taricco finiva per ledere in concreto gli interessi

finanziari dell’Unione; dall’altro, evidenziava che l’illecito sarebbe rimasto

verosimilmente impunito, stante la disciplina italiana della prescrizione,

caratterizzata da un tetto massimo all’aumento del termine conseguente ad atti

interruttivi, pari ad un quarto della sua durata originaria. Simili considerazioni,

dunque, conducevano a configurare una violazione degli obblighi poc’anzi

richiamati, giacché i predetti crimini, se commessi in Italia, sarebbero in concreto

rimasti del tutto privi di conseguenze sanzionatorie.

Pertanto, ritenendo i primi due paragrafi dell’art. 325 TFUE norma di diritto

primario, che imponeva agli Stati membri di adempiere agli obblighi di effettiva

tutela degli interessi finanziari dell’Unione, la Grande Sezione concludeva che questi

dovessero prevalere sul diritto nazionale. Nel caso di specie, invero, la connotazione

degli atti interruttivi del corso della prescrizione, fissando un limite massimo al

tempo necessario ad estinguere il reato, avrebbe impedito allo Stato di contrastare

proficuamente le ipotesi di frodi tributarie di rilevante entità, di talché il giudice

italiano avrebbe dovuto disapplicare gli artt. 160-161 c.p.: sia nel caso in cui la loro

applicazione avesse impedito l’inflizione di sanzioni effettive e dissuasive per gli

autori di frodi gravi in materia di IVA o di interessi finanziari dell’Unione; sia

laddove si fosse determinata una disparità di trattamento tra le ipotesi di frodi gravi

lesive di interessi finanziari interni, per le quali operava il citato aumento di un terzo

dei termini di prescrizione, e quelle (di dimensioni e gravità comparabili)

fiscale attuano, oltre che gli articoli 2, 250 par. 1 e 273 della direttiva 2006/112, soprattutto l’art. 325 TFUE, il quale obbliga gli Stati membri ad adottare misure dissuasive ed effettive per garantire una efficace lotta contro le attività lesive degli interessi finanziari dell’Unione. 24 A. VENEGONI, La sentenza Taricco: una ulteriore lettura sotto il profilo dei riflessi sulla potestà legislativa dell’Unione in diritto penale nell’area della lotta alle frodi, 29 ottobre 2015, in www.penalecontemporaneo.it.

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pregiudizievoli di interessi finanziari dell’UE, regolate invece secondo la più

permissiva disciplina ordinaria.

2.2. La “reazione” della Corte costituzionale

Si può immaginare come la sentenza Taricco abbia avuto un impatto “immediato e

proteiforme”25 sulla giurisprudenza interna.

Infatti, a pochi giorni dalla pronuncia, la Corte di appello di Milano26 ha sollevato

questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge 2 agosto 2008, n. 130,

nella parte in cui, imponendo l’applicazione dell’art. 325 TFUE come interpretato

dalla Corte di giustizia, vincolerebbe il giudice nazionale a disapplicare gli artt. 160

ult. co. e 161, co. 2 c.p. Secondo il giudice remittente, tale previsione si porrebbe in

netto contrasto con il principio di legalità di cui all’art. 25, co. 2 Cost. (come

affermatosi nella consolidata giurisprudenza costituzionale e di legittimità), poiché

un simile aumento dei termini prescrizionali determinerebbe retroattivamente delle

innegabili ricadute in malam partem nei confronti dell’imputato.

Dello stesso avviso è stata anche la Terza Sezione della Corte di Cassazione, la quale,

dopo una prima pronuncia aderente alla “regola Taricco”27, ha invece sollevato per

due volte questione di legittimità costituzionale del citato art. 2 della legge 2 agosto

2008, n. 130, per contrasto, oltre che con l’art. 25, co. 2, anche con gli artt. 3, 11, 27

co. 3 e 101 co. 2 della Costituzione28.

È innegabile che la vera questione di cui è stata investita la Consulta riguardi

l’azionabilità dei cd. “controlimiti” nei confronti dell’ordinamento europeo, da

intendersi quale “nucleo duro” di principi nazionali, “impermeabile alla primauté ed

all’integrazione”29. Secondo i giudici remittenti, detto altrimenti, il principio di

legalità – che postula le condizioni ineludibili acché un imputato possa essere

giudicato colpevole e punito – costituirebbe appunto un valore immanente

dell’ordinamento costituzionale interno, non “scavalcabile” dagli obblighi di matrice

25 C. CUPELLI, La Corte Costituzionale ancora non decide sul caso Taricco, e rinvia la questione alla Corte di giustizia, in Diritto Penale Contemporaneo, 1/2017, p. 199. 26 Ordinanza del 18 settembre 2015, con nota di F. VIGANÒ, Prescrizione e reati lesivi degli interessi finanziari dell’UE: la Corte d’appello di Milano sollecita la Corte costituzionale ad azionare i ‘controlimiti’, 21 settembre 2015, in www.penalecontemporaneo.it. 27 Cass. pen., sez. III, 17 settembre 2015-20 gennaio 2016, n. 2210, Pennacchini, con nota di F. ROSSI, La Cassazione disapplica gli artt. 160-161 c.p. dopo la sentenza Taricco, in Giur. it., 2016, pp. 865 ss. Esterna diverse perplessità in merito a tale pronuncia e al principio di diritto ad essa sotteso E.A. AMBROSETTI, La sentenza della C. Giust. UE in tema di disapplicazione dei termini di prescrizione: medioevo prossimo venturo?, in Proc. pen. Giust., 2016, pp. 44ss. 28 Cfr. Cass. pen., III sez., ord. 30 marzo 2016 (dep. 8 luglio 2016), n. 28346; Cass. pen., III sez., ord. 31 marzo 2016, ric. Adami e altri. 29 V. MANES, La “svolta” Taricco, cit.

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F.Tuccillo, Il regime della prescrizione…

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europea e, per così dire, “preferenziale” rispetto alle limitazioni di sovranità

derivanti dall’adesione dell’Italia all’ordinamento dell’Unione, ai sensi dell’art. 11

della Costituzione.

Ebbene, la Consulta, con ordinanza del 26 gennaio 2017, n. 24, ha scelto di non porsi

in aperto contrasto con i Giudici di Lussemburgo, optando al contrario per un rinvio

pregiudiziale di interpretazione30 – soluzione certamente più diplomatica e

dialogica, ma al contempo perentoria nella rivendicazione di talune fondamentali

garanzie31.

Attraverso un’ordinanza articolata e densa di contenuti, i Giudici costituzionali, nel

demandare nuovamente alla Corte di giustizia di fare luce sulla effettiva

interpretazione dell’art. 325 TFUE, hanno riepilogato tutte le pericolose ricadute

assiologiche della sentenza Taricco che, se confermate, avrebbero certamente

richiesto una durissima presa di posizione in difesa di diverse garanzie

costituzionali.

Quasi proclamando una sorta di “sovranismo dei diritti fondamentali”32, infatti, la

Consulta, pur rispettando il ruolo della Corte europea a giudicare circa la portata

delle disposizioni del diritto dell’Unione33, nonché riaffermando il principio del

primato di quest’ultimo, ha senza mezzi termini precisato come tale assioma sia

comunque condizionato, in negativo, al rispetto dei principi supremi dell’ordine

costituzionale italiano e dei diritti inalienabili della persona. Pertanto, poiché quello

di legalità in materia penale rappresenta appunto uno dei cardini supremi

dell’ordinamento, posto a presidio «dei diritti inviolabili dell’individuo, per la parte

in cui esige che le norme penali siano determinate e non abbiano in nessun caso

30 R. MASTROIANNI, La Corte costituzionale si rivolge alla Corte di giustizia in tema di “controlimiti” costituzionali: è un vero dialogo?, in Federalismi.it, 7/2017, p. 1, rammenta come sia la terza volta che la Consulta attiva detto meccanismo (i due precedenti sono le note ordinanze n. 103 del 2008 e 207 del 2013). 31 Alcuni Autori hanno parlato di vero e proprio ultimatum alla Corte di giustizia, prodromico, ove non accolto, ad una dura presa di posizione della Consulta a difesa dei controlimiti. In questo senso, M. CAIANIELLO, Processo penale e prescrizione nel quadro della giurisprudenza europea. Dialogo tra sistemi o conflitto identitario?, in Diritto Penale Contemporaneo, 2/2017, pp. 216 ss.; C. AMALFITANO, La vicenda Taricco nuovamente al vaglio della Corte di giustizia: qualche breve osservazione a caldo, 29 gennaio 2017, in Eurojus.it. 32 L’espressione è di F. VIGANÒ, Le parole e i silenzi. Osservazioni sull’ordinanza n. 24/2017 della Corte costituzionale sul caso Taricco, in A. BERNARDI – C. CUPELLI (a cura di), Il caso Taricco e il dialogo tra le Corti. L’ordinanza 24/2017 della Corte costituzionale, Atti del convegno svoltosi nell’Università degli Studi di Ferrara il 24 febbraio 2017, Napoli, 2017 pp. 475 ss. 33 Cfr. par. 5, ord. n. 24/2017: «Non spetta certamente a questa Corte attribuire all’art. 325 del TFUE un significato differente da quello che gli conferisce la Corte di giustizia; è invece suo dovere prendere atto di quel significato e decidere se esso fosse percepibile dalla persona che ha realizzato la condotta avente rilievo penale».

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GIURISPRUDENZA DELLE IMPOSTE n. 1-2019

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portata retroattiva», allora, nell’ipotesi in cui l’art. 325 TFUE comportasse l’ingresso

nell’ordinamento giuridico di una norma ad esso contrario, la Consulta «avrebbe il

dovere di impedirlo»34.

L’importanza del corollario, inoltre, viene ribadita anche in una “cifra politica”35,

guardando cioè all’intero assetto istituzionale della nostra Repubblica, nella quale il

principio della necessaria separazione dei poteri è declinato, specialmente in materia

penale, secondo un’accezione «particolarmente rigida», cosicché al giudice «non

possono spettare scelte basate su discrezionali valutazioni di politica criminale»36.

La Consulta ha così definitivamente sancito la natura sostanziale dell’istituto

nostrano della prescrizione, specificando dunque come essa non possa non essere

assoggettata a tutti i corollari del principio di legalità, primi fra tutti il principio di

irretroattività e quello di necessaria determinatezza della fattispecie penale. Ne

deriva che, pur trattandosi di una norma relativa al regime di punibilità, occorre

comunque garantire che il destinatario della stessa sia in grado non solo di

conoscere, al momento della commissione del fatto, il comportamento penalmente

perseguito e le conseguenze sanzionatorie ad esso riconnesse, bensì anche di

percepire in maniera sufficientemente chiara ed immediata il limite temporale entro

cui il fatto tipico potrebbe essere perseguito37.

Ciò premesso, la Corte ha ribadito come non via sia alcuna esigenza di uniformità

delle discipline nazionali in tema di prescrizione, per cui ciascuno Stato membro è

libero di attribuirvi «natura di istituto sostanziale o processuale, in conformità alla

sua tradizione costituzionale»38.

L’ordinamento italiano, del resto, conferisce «alla normativa sulla prescrizione il

carattere di norma del diritto penale sostanziale e la assoggetta al principio di

legalità espresso dall’art. 25, co. 2, Cost.», rappresentando questa «una

qualificazione esterna rispetto al significato proprio dell’art. 325 TFUE, che non

dipende dal diritto europeo ma esclusivamente da quello nazionale»39.

La nostra Costituzione, infatti, assegna al principio di legalità penale una portata più

ampia di quella delle fonti europee, includendovi qualsiasi profilo sostanziale che

concerna la punibilità e offrendo così un livello di protezione più elevato di quello

34 Par. 2, ord. cit. 35 V. MANES, La Corte muove e, in tre mosse, dà scacco a “Taricco”, in A. BERNARDI – C. CUPELLI (a cura di), Il caso Taricco e il dialogo tra le Corti, cit., p. 214. 36 Par. 5, ord. cit. 37 Par. 4, ord. cit. 38 Par. 4, ord. cit. 39 Par. 8, ord. cit.

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F.Tuccillo, Il regime della prescrizione…

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riconosciuto sia dall’art. 49 della Carta di Nizza, sia dall’art. 7 della Convenzione

EDU40.

Nel caso di specie, dunque, pur volendo riconoscere al regime degli atti interruttivi

del corso della prescrizione natura processuale (assoggettata al tempus regit actum),

resterebbe in ogni caso impregiudicato il principio a tenore del quale «l’attività del

giudice chiamato ad applicarla deve dipendere da disposizioni legali

sufficientemente determinate»41.

Da questo punto di vista, l’art. 325 TFUE ometterebbe di «indicare con sufficiente

analiticità il percorso che il giudice penale è chiamato a seguire per conseguire lo

scopo», rischiando che il potere giudiziario si possa disfare «in linea potenziale, di

qualsivoglia elemento normativo che attiene alla punibilità o al processo, purché

esso sia ritenuto di ostacolo alla repressione del reato»; una simile conclusione

innegabilmente «eccede il limite proprio della funzione giurisdizionale nello Stato di

diritto quanto meno nella tradizione continentale, e non pare conforme al principio

di legalità enunciato dall’art. 49 della Carta di Nizza»42.

Ebbene, ravvisata tale incompatibilità, la Consulta, invece di contrapporsi

frontalmente alla Corte di giustizia UE, opponendo i controlimiti, ha tentato una

soluzione in qualche modo conciliativa43, ispirata ad una diligente applicazione del

principio di leale collaborazione tra Stati e Unione, ma allo stesso tempo fortemente

orientata verso il “ripudio”44 della legittimazione di un “giudice penale di scopo”45.

40 Sul punto, la Corte effettua altresì un distinguo con il caso Melloni (CGUE, sentenza 26 febbraio 2013), in cui aveva escluso che, in base ai principi costituzionali spagnoli, si potessero aggiungere delle condizioni all’esecuzione di un mandato d’arresto europeo, ulteriori rispetto a quelle pattuite nella Decisione quadro 26 febbraio 2009, n. 2009/299/GAI. Come giustamente sottolineato da C. CUPELLI, La Corte costituzionale ancora non decide sul caso Taricco, cit., p. 204, nell’affaire Taricco, invece, non è in discussione la primauté del diritto UE, bensì l’esistenza di un «impedimento di ordine costituzionale alla sua applicazione diretta da parte del giudice», la quale dipende unicamente dalla «circostanza, esterna all’ordinamento europeo, che la prescrizione in Italia appartiene al diritto penale sostanziale, e soggiace perciò al principio di legalità in materia penale» (cfr. par. 8, ord. cit.). 41 Par. 9, ord. cit. 42 Par. 9, ord. cit. 43 A. RUGGIERI, Ultimatum della Consulta alla Corte di giustizia su Taricco, in una pronunzia che espone, ma non ancora oppone, i controlimiti (a margine di Corte cost. n. 24 del 2017), in Consulta Online, 1/2017, pp. 1 ss. 44 Testualmente, C. SOTIS, “Tra Antigone e Creonte io sto con Porzia”. Riflessioni su Corte costituzionale 24 del 2017 (caso Taricco), in A. BERNARDI – C. CUPELLI (a cura di), Il caso Taricco e il dialogo tra le Corti, cit., p. 449. 45 Sulla contrapposizione tra attività giurisdizionale in materia penale e vincoli di scopo, si rinvia a L. EUSEBI, Nemmeno la Corte di giustizia dell’Unione europea può erigere il giudice a legislatore. Note in merito alla sentenza Taricco, in AA.VV., Dal giudice garante al giudice disapplicatore delle garanzie. I nuovi scenari della soggezione al diritto dell’Unione europea: a proposito della sentenza della Corte di Giustizia Taricco, Pisa, 2016, pp. 93 ss.

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GIURISPRUDENZA DELLE IMPOSTE n. 1-2019

78

2.3. La sentenza Taricco-bis

In seguito all’udienza di discussione del 29 maggio 2017, la Grande Sezione della

Corte di giustizia ha fornito una risposta definitiva ai quesiti formulati dalla Corte

costituzionale, attraverso una pronuncia – denominata appunto “Taricco-bis” 46 –

anch’essa ispirata dall’intento di disinnescare il rischio di uno scontro a viso aperto

con la nostra Corte costituzionale47, privilegiando, al contrario, la diplomatica via di

una “prudente retromarcia”48 ermeneutica.

Dopo aver ribadito l’interpretazione dei primi due paragrafi dell’art. 325 TFUE, nella

medesima accezione fornita nella pronuncia del settembre 201549, la Corte di

giustizia ha però specificato come la regola della disapplicazione di una norma

interna confliggente con il principio di primauté non operi nell’ipotesi in cui ne

derivi una «violazione del principio di legalità dei reati e delle pene».

Evidente, quindi, la differenza rispetto alla precedente pronuncia, la quale, nel

prospettare la disapplicazione delle norme sulla prescrizione «all’occorrenza», aveva

riportato solo un generico dovere per il giudice penale di assicurarsi del rispetto dei

diritti fondamentali degli interessati, senza però premurarsi di richiamare

esplicitamente tra essi il principio di legalità50.

Detto principio, invece, diventa il vero protagonista della Taricco-bis, in cui i

caratteri di «prevedibilità, determinatezza e irretroattività della legge penale

applicabile»51 vengono ancorati direttamente agli artt. 49 e 51 della Carta dei diritti

fondamentali dell’UE, alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri e,

infine, all’art. 7 della CEDU. Una simile sovrapposizione, difatti, ha stroncato sul

nascere i timori collegati all’azionabilità di ipotetici controlimiti domestici da

addurre contro la prevalenza del diritto eurounitario (del resto conforme al diritto

della CEDU).

46 Corte di giustizia, Grande Sezione, sentenza 5 dicembre 2017, causa C-42/17, proc. pen. a carico di M.A.S. e M.B., con nota di M. GAMBARDELLA, La sentenza Taricco 2: obbligo di disapplicazione in malam partem “a meno che” non comporti una violazione del principio di legalità, in Cass. pen., 2018, pp. 106 ss. 47 In questo senso, la Corte europea ha intelligentemente disatteso le conclusioni dell’Avvocato generale Yves Bot, il quale suggeriva, al contrario, di mantenere un atteggiamento “non collaborativo”. Cfr. R. BIN, Taricco: aspettando Godot, leggiamo Yves Bot, in Forum di Quaderni Costituzionali, 13 novembre 2017. 48 L’espressione è di C. CUPELLI, Ecce Taricco II. Fra dialogo e diplomazia, l’attesa sentenza della Corte di Giustizia, in Diritto Penale Contemporaneo, 12/2017, pp. 177 ss. 49 La norma costituisce la fonte di un obbligo cogente per gli Stati membri di garantire la proficua riscossione delle risorse dell’UE, avvalendosi, nelle ipotesi di frodi gravi che ledano gli interessi finanziari dell’Unione in materia IVA, anche di norme sanzionatorie di carattere effettivo e dissuasivo. 50 E. LUPO, La sentenza europea cd. Taricco-bis: risolti i problemi per il passato, rimangono aperti i problemi per il futuro, in Diritto Penale Contemporaneo, 12/2017, p. 110. 51 Par. 51, sent. Taricco-bis.

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F.Tuccillo, Il regime della prescrizione…

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Con specifico riferimento alla disciplina della prescrizione, quindi, pur rilevando

l’anomalia della scelta nostrana di qualificarla come istituto di natura sostanziale e

di assoggettarla al principio di legalità dei reati e delle pene con rispettivi corollari,

la Corte europea ha però dimostrato di rispettare tale opzione, soprattutto alla luce

dell’assenza di un qualsivoglia obbligo di armonizzazione che, all’epoca dei fatti,

vincolasse l’Italia a riconoscerle natura processuale52. Tale situazione, dunque,

legittimava, per il passato, la libera competenza del legislatore italiano ad adottare la

soluzione ritenuta più coerente con i propri principi costituzionali.

Nel contempo, tuttavia, alla luce degli obiettivi e degli obblighi proclamati nella

sentenza del 2015 e fissati con la successiva direttiva del luglio 201753 – grazie alla

quale si sarebbe perfezionata una pur minima armonizzazione della disciplina della

prescrizione – la Corte concludeva nel ribadire la possibilità per il giudice nazionale

di far prevalere il diritto eurounitario in tutte quelle ipotesi di frodi gravi in materia

IVA, commesse successivamente alla prima sentenza Taricco dell’8 settembre 2015.

Sul piano pratico, sarebbe cioè stato compito dell’interprete quello di valutare se la

sussistenza dei presupposti per l’applicazione della “regola Taricco” avesse cagionato

una «situazione di incertezza nell’ordinamento giuridico italiano quanto alla

determinazione del regime di prescrizione applicabile», come tale in chiaro

contrasto con il «principio di determinatezza della legge penale applicabile»54.

In ossequio al principio di irretroattività, dunque, la Corte conveniva che la

disapplicazione delle norme sulla prescrizione anche a illeciti realizzati

precedentemente all’8 settembre 2015 avrebbe finito per assoggettarli

retroattivamente a un regime di punibilità «più severo di quello vigente al momento

della commissione del reato»55. Pertanto, in questi casi e ogniqualvolta ritenesse

l’obbligo di disapplicare le disposizioni del codice penale contrastante con il

principio di legalità dei reati e delle pene, il giudice nazionale non sarebbe tenuto a

«conformarsi a tale obbligo, e ciò neppure qualora il rispetto del medesimo

consentisse di rimediare a una situazione nazionale incompatibile con il diritto

dell’Unione»56.

Si tratta palesemente della conseguenza tangibile più rilevante della sentenza

Taricco-bis, che elimina alla radice il dubbio che il principio di diritto enucleato nella

52 Par. 44, sent. ult. cit. 53 Si tratta della direttiva UE 2017/1371 del Parlamento europeo e del Consiglio, cd. direttiva PIF, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale. 54 Par. 59, sent. ult. cit. 55 Par. 60, sent. ult. cit. 56 Par. 60, sent. ult. cit.

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GIURISPRUDENZA DELLE IMPOSTE n. 1-2019

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prima si potesse applicare anche a fatti commessi anteriormente alla stessa57,

eccezion fatta per quelli già prescritti. Venivano così interamente accolte le doglianze

della Corte costituzionale, secondo la quale «la persona non potesse

ragionevolmente prevedere, in base al quadro normativo vigente al tempo del fatto,

che il diritto dell’Unione, e in particolare l’art. 325 TFUE, avrebbe imposto al giudice

di non applicare gli artt. 160, ultimo comma, e 161, secondo comma, cod. pen. in

presenza delle condizioni enunciate dalla Corte di giustizia in causa Taricco»58.

In conclusione, con tale seconda pronuncia, restava fermo l’obbligo per il giudice

nazionale di disapplicare, nell’ambito di un procedimento penale riguardante reati

in materia di IVA, le disposizioni interne e di diritto sostanziale sulla prescrizione,

ostative all’inflizione di sanzioni penali effettive e dissuasive in un numero

considerevole di casi di frodi gravi pregiudizievoli degli interessi finanziari

dell’Unione, ovvero che contemplassero termini di prescrizione più lunghi di quelli

previsti per le medesime fattispecie che ledono interessi finanziari dello Stato

membro, a meno che una disapplicazione siffatta non avesse comportato una

«violazione del principio di legalità dei reati e delle pene a causa dell’insufficiente

determinatezza della legge applicabile, o dell’applicazione retroattiva di una

normativa che impone un regime di punibilità più severo di quello vigente al

momento della commissione del reato»59.

3. La giurisprudenza di legittimità successiva

A fronte di tale condivisibile “passo indietro” della Corte europea, sono però

residuate diverse questioni irrisolte. Del resto, sebbene appagati i canoni di

prevedibilità e irretroattività, rimanevano privi di copertura gli altri fondamentali

corollari del principio di legalità ricordati dalla Corte costituzionale nell’ordinanza n.

24/2017, quali la separazione dei poteri e la determinatezza60. Se, infatti, era stata

definitivamente stigmatizzata la possibile applicazione retroattiva della “regola

57 E. LUPO, La sentenza europea cd. Taricco-bis, cit., p. 113, ben evidenzia come, in linea di principio, il punto di riferimento per la irretroattività si sarebbe dovuto individuare nella legge di ratifica del Trattato di Lisbona (l. 2 agosto 2008, n. 130), essendo questa la «normativa che impone un regime di punibilità più severo di quello vigente al momento della commissione del reato». L’aver optato, al contrario, per una sentenza che si limita a dichiarare il significato della legge, quale la Taricco, costituisce un palese riconoscimento della funzione non meramente cognitiva, ma anche (sebbene limitatamente) creativa della Corte di giustizia. 58 Corte cost., ord. n. 24/2017, par. 5. 59 Par. 62, sent. Taricco-bis. 60 G. LATTANZI, Il dialogo tra le Corti nei casi Melloni e Taricco, in Cass. pen., 2017, pp. 2134 ss.; R. BIN, Taricco Tango. Quale sarà il prossimo passo?, in Forum di Quaderni Costituzionali, 2 febbraio 2018.

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F.Tuccillo, Il regime della prescrizione…

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Taricco”, permaneva comunque il rischio di abbandonare il giudice in una situazione

di “perdurante incertezza” su come comportarsi al cospetto di frodi IVA commesse

dopo la prima sentenza della Corte di giustizia61.

Per questi motivi, la Quarta Sezione della Corte di Cassazione62, nell’accogliere

positivamente il principio secondo cui la regola della disapplicazione delle norme

nazionali sulla prescrizione non spiega validità nei confronti dei reati commessi

antecedentemente alla data del deposito della prima sentenza Taricco, si è altresì

pronunciata sui risvolti processuali del mutamento giurisprudenziale intervenuto tra

le due pronunce in esame.

Dopo aver precisato che la giurisprudenza eurounitaria sopravvenuta va assimilata

«a una sorta di abolitio criminis» e che l’efficacia vincolante delle sentenze dei

Giudici di Lussemburgo si estende «anche ultra partes nei procedimenti davanti alle

autorità giurisdizionali degli Stati membri»63, la Cassazione ha affermato che, in

base alla forza cogente del diritto penale europeo (come interpretato dalla Corte di

giustizia) rispetto al giudicato nazionale, la “regola Taricco” «ha forza e valore tali da

impedire che scenda il giudicato sulle statuizioni strettamente connesse a una

difforme interpretazione del dritto dell’Unione, come quelle relative (…)

all’applicabilità o meno della disciplina della prescrizione a reati in materia di IVA

commessi in epoca precedente alla prima sentenza Taricco»64. In questo modo,

prosegue la Suprema Corte, si viene a configurare una peculiare forma di jus

superveniens65, rispetto alla quale, anche d’ufficio ex art. 609, co. 2 c.p.p., va

constatata l’incompatibilità della giurisprudenza nazionale che, uniformatasi alla

prima sentenza Taricco, aveva disapplicato le disposizioni codicistiche in materia di

prescrizione del reato a frodi fiscali gravi commesse prima dell’8 settembre 2015.

3.1. La sentenza n. 115 del 2018 della Corte costituzionale

Da ultimo, anche la Corte costituzionale è intervenuta per mettere la parola “fine”

alla saga in commento66, sterilizzando alla radice qualsiasi dubbio sull’applicazione

anche solo residuale dei principi di diritto enucleati dalla Corte di giustizia.

61 C. CUPELLI, Aspettando (di nuovo) la Corte costituzionale… sul caso Taricco ritorna la Cassazione, in Diritto Penale Contemporaneo, 4/2018, p. 203. 62 Cass. pen., sez. IV, sentenza 20 marzo 2018 (dep. 18 aprile 2018), n. 17401. 63 Par. 8-9, Cass. pen., sez. IV, sent. n. 17401/2018. 64 Par. 11, sent. ult. cit. 65 C. CUPELLI, op. ult. cit., loc. cit. 66 Corte cost., sentenza 18 aprile 2018, n. 115, con nota di C. CUPELLI, La Corte costituzionale chiude il caso Taricco e apre a un diritto penale europeo ‘certo’, in Diritto Penale Contemporaneo, 6/2018, pp. 227 ss.

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GIURISPRUDENZA DELLE IMPOSTE n. 1-2019

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La Consulta, infatti, ha chiarito con fermezza che «indipendentemente dalla

collocazione dei fatti, prima o dopo l’8 settembre 2015, il giudice comune non può

applicare loro la “regola Taricco”, perché essa è in contrasto con il principio di

determinatezza in materia penale, consacrato dall’art. 25, secondo comma, Cost.»67.

Siffatta conclusione trova la propria raison d’être in almeno due considerazioni.

Anzitutto, la celeberrima “regola Taricco” appare insanabilmente indeterminata

nella definizione del «numero considerevole di casi» in presenza dei quali il giudice

comune sarebbe chiamato ad applicarla, stante l’inesistenza di un qualsivoglia

«criterio applicativo della legge che gli consenta di trarre da questo enunciato una

regola sufficientemente definita», ed essendogli del tutto precluso «il compito di

perseguire un obiettivo di politica criminale svincolandosi dal governo della legge al

quale è invece soggetto (art. 101, secondo comma, Cost.)»68.

In secondo luogo, ancor prima, ad essere indeterminato risulta lo stesso art. 325

TFUE, il cui testo «non permette alla persona di prospettarsi la vigenza della “regola

Taricco”»69.

Proprio nella sentenza Taricco-bis, del resto, la Corte europea aveva enfatizzato la

necessità che le norme penali sostanziali fossero conoscibili per l’individuo al

momento della commissione del fatto, di modo da consentirgli di sapere in anticipo

le conseguenze della sua condotta, «in base al testo della disposizione rilevante e, se

del caso, con l’aiuto dell’interpretazione che ne sia stata fatta dai giudici»70.

Quest’ultima, d’altronde, assume comunque un’area limitata nei paesi di tradizione

continentale come l’Italia, in cui la punibilità non può prescindere da «testi

legislativi offerti alla conoscenza dei consociati». Rispetto a questi, perciò, l’ausilio

interpretativo del giudice penale va ridimensionato a semplice «posterius incaricato

di scrutare nelle eventuali zone d’ombra, individuando il significato corretto della

disposizione nell’arco delle sole opzioni che il testo autorizza e che la persona può

prefigurarsi leggendolo»71.

In tale ottica, il principio di determinatezza andrebbe inteso operante «in una

duplice direzione», in quanto rivolto non solo a garantire, nei riguardi del giudice, la

conformità alla legge dell’attività interpretativa, bensì anche nei confronti dei

consociati, assicurando «a chiunque una “percezione sufficientemente chiara ed

immediata” dei possibili profili di illiceità penale della propria condotta». Neppure

67 Par. 10, sent. ult. cit. 68 Par. 11, sent. ult. cit. 69 Par. 11, sent. ult. cit. 70 Par. 11, sent. ult. cit. 71 Par. 11, sent. ult. cit.

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la “regola Taricco” potrebbe pertanto spingersi al punto di «colmare l’eventuale

carenza di precisione del precetto penale». Pur essendo vero che anche «la più certa

delle leggi ha bisogno di “letture” ed interpretazioni sistematiche», è altrettanto

intuitivo che esse «non possono surrogarsi integralmente alla praevia lex scripta,

con cui si intende garantire alle persone «la sicurezza giuridica delle consentite,

libere scelte d’azione»72, per cui «una scelta relativa alla punibilità deve essere

autonomamente ricavabile dal testo legislativo al quale i consociati hanno accesso,

diversamente da quanto accade per la “regola Taricco”»73.

Infine, con riferimento al principio di assimilazione di cui all’art. 325, par. 2 TFUE,

la Consulta ha puntualizzato come anch’esso presenti un innegabile deficit di

determinatezza, per cui, anche volendo legittimare la facoltà per il giudice comune di

operare un confronto tra frodi fiscali in danno dello Stato e frodi fiscali in danno

dell’Unione, onde impedire che le ultime siano contrastate in maniera più blanda

delle prime quanto al termine di prescrizione, parimenti la suddetta norma «non

perderebbe il suo tratto non adeguatamente determinato per fungere da base legale

di tale operazione in materia penale, posto che i consociati non avrebbero potuto, né

oggi potrebbero sulla base del solo quadro normativo, raffigurarsi tale effetto»74.

Da siffatte considerazioni, la Corte costituzionale desumeva la totale inapplicabilità

della “regola Taricco”, individuandone la fonte «non solo nella Costituzione

repubblicana, ma nello stesso diritto dell’Unione» – non essendovi tra i due alcun

tipo di contrasto sul punto – con l’ovvia conseguenza che «la violazione del principio

di determinatezza in materia penale sbarra la strada senza eccezioni all’ingresso

della “regola Taricco” nel nostro ordinamento»75.

4. Gli ultimi interventi normativi: soluzioni di carattere emergenziale a inefficienze di natura sistematica

Già durante lo svolgimento della descritta vicenda, il legislatore domestico ha

dimostrato di condividere il giudizio di carattere strutturale alla base sia

dell’ordinanza di rimessione del Gup di Cuneo, sia delle due pronunce della Corte di

giustizia, secondo cui, prescindendo dalla sua natura sostanziale o processuale,

l’attuale conformazione della disciplina generale della prescrizione risulterebbe

geneticamente predisposta a non consentire il raggiungimento del giudicato,

72 Corte cost., sentenza 23-24 marzo 1988, n. 364. 73 Par. 12, Corte cost. sentenza n. 115/2018. 74 Par. 13, sent. ult. cit. 75 Par. 14, sent. ult. cit.

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GIURISPRUDENZA DELLE IMPOSTE n. 1-2019

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“condannando”, per così dire, un numero rilevante di procedimenti a non essere

definiti nel merito, bensì troncati da una declaratoria di estinzione del reato.

Ed infatti, le ultime due riforme in materia hanno dichiaratamente perseguito

l’obiettivo di allungare la durata del suddetto termine massimo, sia tramite il

classico meccanismo dell’innalzamento “simbolico” dei limiti edittali di numerose

fattispecie, sia soprattutto agendo sulle regole di parte generale relative alle cause

interruttive e sospensive.

Dapprima, la riforma Orlando (l. 23 giugno 2017, n. 103) ha previsto una causa

sospensiva “automatica” dei termini di prescrizione, pari ad un periodo non

superiore a un anno e sei mesi, da applicare al frangente temporale che va dal

termine del previsto deposito delle motivazioni della sentenza di condanna resa in

primo grado sino alla pronuncia del dispositivo che definisce il grado di giudizio

successivo, nonché al periodo frapposto tra il deposito delle motivazioni della

sentenza di condanna di secondo grado (anche se emessa in sede di rinvio) e la

pronuncia del dispositivo della sentenza definitiva.

Allo stesso tempo, però, è stata disciplinata una «causa sopravvenuta di perdita

dell’efficacia sospensiva»76, stabilendo che, nell’ipotesi di successivo

proscioglimento, assoluzione o annullamento nel merito, ovvero di declaratoria di

nullità, il decorso della prescrizione debba invece essere computato, retroagendo al

momento dell’inizio della sospensione (art. 159, co. 3 c.p.)77. A ciò si aggiunge,

infine, che, laddove durante le suindicate ipotesi di sospensione si verifichi

un’ulteriore causa sospensiva di cui al primo comma, allora i termini saranno

prolungati per il periodo corrispondente (art. 159, co. 4 c.p.).

Ove ciò non fosse bastato a garantire un sensibile aumento (di almeno tre anni) del

termine massimo di prescrizione, la disciplina è stata da ultimo modificata con la

recente legge 9 gennaio 2019, n. 3, recante “Misure per il contrasto dei reati contro

la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in

materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici” (cd. legge “Spazza

corrotti”). Tale riforma, da un lato, ha ripristinato l’impostazione (previgente alla

76 L’espressione è di S. ZIRULIA, Riforma Orlando: la «nuova» prescrizione e le altre modifiche al codice penale, in Diritto penale contemporaneo, 3/2017, p. 245. 77 In argomento, la dottrina non ha mancato di sottolineare l’irragionevolezza di tale meccanismo, il quale, operando soltanto in caso di condanna resa in primo o in secondo grado, mirerebbe a conservare gli effetti della sentenza di condanna provvisoria, per così dire “proteggendola” dall’incombere della prescrizione. Simile previsione, pertanto, presenterebbe certamente dei profili di incompatibilità con la presunzione di innocenza costituzionalizzata nell’art. 27, secondo comma, alla luce del trattamento deteriore riservato all’imputato esclusivamente sulla base del suo status di condannato non definitivo. In questo senso, A. CAVALIERE, Le nuove disposizioni “emergenziali”, cit., p. 13.

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F.Tuccillo, Il regime della prescrizione…

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legge “ex Cirielli”), secondo cui il dies a quo del termine di prescrizione decorre, nel

reato continuato, dalla cessazione della continuazione, e non più dal momento in cui

si è consumato ciascuno dei singoli reati avvinti dal vincolo della continuazione;

dall’altro, ha introdotto una nuova ipotesi di sospensione del corso della

prescrizione78 – in vigore dal 1° gennaio 2020 – con contestuale abrogazione di

alcune delle riferite disposizioni della riforma Orlando.

Nel dettaglio, l’attuale legislatore, sostituendo il secondo comma dell’art. 159 c.p. e

abrogando il terzo e il quarto comma del medesimo articolo, oltre che il primo

comma dell’art. 160 c.p., ha stabilito che, ferma restando la pregressa disciplina

della prescrizione fino alla sentenza di primo grado (o al decreto di condanna),

quest’ultima bloccherà sine die il decorso del termine prescrizionale fino alla data di

esecutività della sentenza che definisce il giudizio, ovvero della irrevocabilità del

decreto di condanna.

Basta questa sintetica descrizione a palesare quantomeno l’inappropriatezza della

terminologia impiegata, giacché, da una prospettiva squisitamente tecnica, l’ipotesi

in parola non pare configurare né una causa di sospensione, né un’ipotesi di

interruzione del corso della prescrizione; in entrambi in casi, infatti, il corso del

termine può sempre ricominciare a decorrere, il che, appunto, non avviene nel caso

di specie, a fronte della esecutività della sentenza che definisce il giudizio79.

La sentenza di prime cure, dunque, non costituirà più una causa interruttiva del

corso della prescrizione, ma configurerà una vera e propria “causa estintiva” di una

causa di estinzione del reato, poiché, a far data dal gennaio 2020, l’incombere della

prescrizione sarà una preoccupazione che non toccherà più i giudici di appello e di

Cassazione.

Si può immaginare come sussista più di qualche ragionevole dubbio sulla tenuta

costituzionale della novella, tacciata da più parti di lapalissiano antagonismo con

diversi principi fondamentali, quali la ragionevole durata del processo (art. 111, co. 2,

Cost. e art. 6 CEDU), il diritto di difesa (art. 24 Cost.), la presunzione di innocenza

(art. 27, primo comma, Cost.) e la finalità rieducativa della pena (art. 27, terzo

comma, Cost.)80. Del resto, la semplice previsione di una dilatazione ab infinitum

78 Cfr. Art. 1, lett. d), e) f) della citata legge n. 3/2019. 79 Cfr. G.L. GATTA, Una riforma dirompente: stop alla prescrizione del reato nei giudizi di appello e cassazione, 21 gennaio 2019, in www.penalecontemporaneo.it, secondo cui tale previsione avrebbe dovuto trovare la propria sede naturale nell’art. 158 c.p., che regola appunto la decorrenza del termine di prescrizione del reato, e non nella disciplina delle cause di sospensione del corso della prescrizione ex art. 159 c.p. 80 Si vedano le acri note di biasimo esternate nell’appello dell’Unione delle Camere Penali Italiane e sottoscritto da circa centocinquanta docenti universitari, nonché i rilievi fortemente critici espressi dall’Associazione Italiana dei Professori di Diritto Penale,

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del termine di prescrizione dopo la sentenza (assolutoria o di condanna) di primo

grado, produrrà a ben vedere il risultato esattamente opposto alla ratio politico-

criminale della riforma, dal momento che, in termini di effettività, essa determinerà

nient’altro che un ulteriore allungamento dei tempi processuali, essendo meno

incalzante nei gradi di impugnazione la esigenza di scongiurare l’estinzione del reato

per intervenuta prescrizione81. Il tutto senza contare che, statisticamente, la

prescrizione del reato matura, per quasi due procedimenti su tre, nella fase delle

indagini preliminari, quindi prima ancora che venga esercitata l’azione penale da

parte del Pubblico Ministero82.

In conclusione, è innegabile come le ultime due legislature, sebbene diametralmente

opposte sul piano politico, abbiano però reagito ai problemi di efficienza del nostro

sistema giudiziario ricorrendo entrambe a soluzioni meramente dilatorie, che

prendono atto e istituzionalizzano le inevitabili lungaggini della giustizia italiana,

rinunciando a contrastarne alla radice le cause mediante un intervento organico

sull’intero sistema.

Difatti, sia la rigidità delle “vecchie” cause sospensive automatiche tra un grado e

l’altro di giudizio della riforma Orlando, sia soprattutto la nuova previsione di una

sospensione “perenne” del corso della prescrizione, riflettono nient’altro che la

perdurante miopia del legislatore dinnanzi all’esigenza di una riforma strutturale del

processo penale, da tempo proclamata come improcrastinabile.

Eppure, rispetto al passato, il legislatore “Spazza corrotti”, invece di investire la

prescrizione, ancora una volta, della veste di “metronomo” del procedimento penale,

avrebbe potuto e dovuto fare tesoro dei dicta dell’ordinanza n. 24/2017 e della

sentenza n. 115 del 2018 della Corte costituzionale. La vera eredità della “saga

Taricco”, infatti, consiste proprio nella definitiva consacrazione della natura

dall’Associazione tra gli Studiosi del Processo Penale G.D. Disapia e, sotto diversi aspetti, anche dallo stesso CSM. I testi dei comunicati sono liberamente consultabili su internet. 81 Parte della dottrina ritiene che il suesposto meccanismo, consentendo ai giudici delle impugnazioni di «dormire sogni tranquilli» mentre ogni consociato può «restare sotto la spada della giustizia penale a tempo indeterminato», rischia di instaurare, dal punto di vista dell’efficienza del processo, una forma di «presunzione di colpevolezza», alla luce della innegabile afflittività connessa alla mera sottoposizione a procedimento penale. In questi termini, G. INSOLERA, La riforma giallo-verde del diritto penale: adesso tocca alla prescrizione, 9 novembre 2018, in www.penalecontemporaneo.it. 82 Per consultare tutte le statistiche dettagliate, si rinvia ai report del Ministero della Giustizia del 2016 (https://www.giustizia.it/resources/cms/documents/ANALISI_PRESCRIZIONE_CON_COMMENTI.pdf) e ai dati diffusi dalla Corte di Cassazione nell’annuario statistico dell’anno 2017 (http://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/AnnuarioPenale_2017.pdf).

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F.Tuccillo, Il regime della prescrizione…

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sostanziale dell’istituto e del suo assoggettamento a regole garantistiche immanenti

ed intangibili, perché fondanti l’assetto stesso nel nostro ordinamento democratico.

A tal proposito, lascia più che perplessi la colpevole mancanza di una disposizione

transitoria, idonea a fugare qualsivoglia incertezza sul regime intertemporale della

neo-introdotta disposizione più sfavorevole.

Ed infatti, nonostante debba ritenersi ormai pacifica l’applicazione del principio di

irretroattività di cui all’art. 25, co. 2 della Costituzione, stante la ribadita

affermazione della natura sostanziale dell’istituto della prescrizione del reato, la

lacunosità della riforma ha spinto parte della dottrina83 ad “instillare il dubbio” circa

l’invocabilità di tale corollario per i fatti commessi medio tempore, ossia tra l’entrata

in vigore della legge n. 3/2019 e la decorrenza delle disposizioni sulla prescrizione

(operative dal 1° gennaio 2020). Detto altrimenti, poiché la prevedibilità della legge

sfavorevole sarebbe già da oggi assicurata dall’entrata in vigore differita a data certa,

il principio di irretroattività della legge sfavorevole rischierebbe di non trovare

applicazione in riferimento ad ipotetiche programmazioni di reati tributari o

finanziari, i cui autori, scegliendo di commetterli prima del nuovo anno, potrebbero

ancora confidare nella prospettiva che essi si prescrivano nel corso degli eventuali

giudizi di gravame.

Ebbene, una simile affermazione appare di difficile sostenibilità per diversi ordini di

considerazioni.

Anzitutto, essa risulta fondata su di una erronea commistione di due fasi differenti

del fisiologico iter costituzionale di produzione normativa: da un lato, quella della

promulgazione, da parte del Presidente della Repubblica, del testo legislativo

approvato in via definitiva dalle Camere – la cd. fase “integrativa dell’efficacia”84;

dall’altro, il momento dell’entrata in vigore della legge che, subito dopo la

promulgazione, sia stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale. D’altronde, il terzo comma

dell’art. 73 Cost. specifica limpidamente che «le leggi (…) entrano in vigore il

quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che la leggi stesse

stabiliscano altrimenti», sicché è esclusivamente dopo tale periodo di vacatio legis

che il nuovo atto risulterà pienamente obbligatorio e presuntivamente conosciuto

dalla generalità dei consociati – nel senso proprio dell’art. 5 c.p., come interpretato

dalla Consulta nella storica sentenza 24 marzo 1988, n. 364.

In secondo luogo, la paventata retrodatazione della conoscibilità della novella può

essere ulteriormente superata da un altro ineludibile dato testuale della

83 Di questo avviso, G.L. GATTA, Una riforma dirompente, cit. 84 R. BIN – G. PITRUZZELLA, Diritto costituzionale, Torino, 2018, p. 325.

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GIURISPRUDENZA DELLE IMPOSTE n. 1-2019

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Costituzione, la quale, all’art. 25, co. 2, subordina esplicitamente l’operatività dello

strumento punitivo alla circostanza che la legge incriminatrice violata dal soggetto

agente «sia entrata in vigore – e non «sia stata pubblicata» – prima del fatto

commesso».

Per questi motivi, la previsione di una vacatio legis di durata annuale può

giustificarsi unicamente riguardo alla necessità di un lungo periodo di preparazione

– culturale e organizzativa – all’impatto epocale che tale riforma provocherà sulla

prassi giudiziaria, ma non certo spingersi a legittimare la postergazione di garanzie

sancite a livello costituzionale, eurounitario e convenzionale, tantomeno a beneficio

dell’ennesima previsione di carattere tipicamente emergenziale.