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FORME DI STATO E DI GOVERNO

Sommario: 1. Il federalismo nelle prospettive della vecchia e della nuova scienza del di-ritto. – 2. Lo stato occidentale moderno e le diverse figure di organizzazione «fede-ralistica» dei poteri. – 3. Confederazione di stati e stati federali nel modello costitu-zionale «liberale». – 4. Stati federali e stati regionali nel modello costituzionale «so-ciale»: A) Modello «sociale» e stato federale; B) I valori serviti dallo stato federalenel modello «sociale»; C) Modello sociale e stato regionale; D) Le figure di orga-nizzazione «federalistica» dei poteri nel quadro di una nuova sistematica concet-tuale. – 5. Stati federali e stati regionali nei paesi socialisti e in quelli in via di svi-luppo. – 6. Le organizzazioni sovranazionali di stati e la Comunità europea. – 7. Lostato federale mondiale come pretesa soluzione per il superamento delle guerre ecome garanzia di pace perpetua.

1. Il federalismo nelle prospettive della vecchia e della nuova scienzadel diritto

Federalismo è il termine con cui si suol designare la tendenza, pre-sente come fenomeno abbastanza diffuso nella storia moderna, a or-ganizzare ordinamenti politico-giuridici ripartendo i poteri di comandotipici dello stato tra enti politici distinti – un apparato di governo cen-trale e una pluralità di apparati di governo periferici, l’uno e gli altrisovrapposti allo strato delle semplici autorità amministrative municipalio locali. Il termine è anche usato per designare quella corrente di pen-siero che ritiene essere l’organizzazione federalistica degli stati unaesigenza essenziale per la realizzazione del buon governo di tutte lesocietà complesse nonché addirittura l’unica soluzione finale validadel problema della pacifica convivenza sulla terra dei vari popoli or-dinati in stati distinti.

Nell’antichità e durante il medioevo il fenomeno della ripartizionedi poteri pubblici di comando tra varie formazioni politiche, tra loroin diversi modi collegate, non mancò di certo; ed anzi il medioevoeuropeo fu tutto un insigne esempio di organizzazione politico-giu-ridica per centri di potere plurimi, variamente coordinati tra di loroattraverso la distribuzione di distinte sfere di competenza (o, comesi diceva, di giurisdizione) e il gioco di limitate e parziali subordi-nazioni gerarchiche (Impero e Chiesa ai vertici; regni e principati;dentro quest’ultimi, autorità feudali, città autonome, enti ecclesiasticiimmuni, e via dicendo). Applicare tuttavia l’aggettivo «federalistico»a queste forme passate di divisione organizzativa dei poteri politicitra entità di governo distinte non può farsi senza il grave pericolodi perdere, sotto le analogie che pure esistono, il senso della irripe-tibile peculiarità del «federalismo moderno» o, per meglio dire, del«federalismo» senz’altro. Questo è un fenomeno storico connessostrettamente con la figura dell’ente politico «stato» – una figura tuttamoderna, che ha le sue origini nella storia europea post-medievale–. E i più rilevanti aspetti della sua realtà, sia sotto il profilo deglisviluppi degli istituti che lo caratterizzano sia sotto il profilo dellequestioni dottrinali cui ha dato luogo, non si possono addirittura com-prendere fuori dal contesto della storia dello stato occidentale nelcorso degli ultimi due secoli.

D’altra parte, per comprendere a fondo il significato del fenomenostorico «federalismo», anche solo da un punto di vista che voglia essererigorosamente giuridico, i complessi schemi concettuali elaborati dallascienza del diritto del xix e della prima metà del xx secolo in ordinealla natura dello «stato federale» e delle più o meno contigue figuredella «confederazione di stati», delle «organizzazioni sovranazionalidi stati», dello «stato regionale», ecc., mentre certamente sono peralcuni lati d’aiuto, per altri possono riuscire gravemente svianti e inogni caso non bastano. Quella scienza del diritto ha posto efficace-mente in luce la maggior forza del vincolo che lega nello «stato fe-derale» l’apparato centrale e quelli periferici rispetto al nesso che corretra autorità centrali e stati membri nelle «confederazioni» e nelle or-ganizzazioni sovranazionali, ed ha parimenti utilmente illustrato la mag-giore subordinazione delle regioni allo stato nello «stato regionale» ri-spetto al rapporto che stringe i cosiddetti «stati membri» allo «statocentrale» nello «stato federale». Ma essa ha per lo più tentato di fondare

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la distinzione tra quelle varie figure classificatorie soprattutto utiliz-zando un concetto dogmatico di «sovranità» come potere originario,assoluto e illimitato di comando che sarebbe caratteristico dell’entestato e in base al quale, attraverso la ricerca della sua diversa collo-cazione nel sistema di ciascuna figura, si potrebbero identificare iprecisi tratti qualitativi differenzianti di tutte esse. Il concetto dog-matico di sovranità non è, se preso alla lettera, una rivendicazione uni-forme e costante delle classi politiche che hanno fondato e governatogli stati dell’epoca moderna: ed anzi, a parere di chi scrive, non fuforse mai rivendicazione effettiva di alcuna di quelle classi politiche.Sul piano della realistica descrizione del fenomeno storico-giuridico«stato», e dei sottotipi «stato federale» e «regionale» e «confedera-zione» e «organizzazione sovranazionale di stati», il concetto non puòdunque servire per un’intelligente trattazione della materia (anche se,in epoca di diffusa «giurisprudenza dei concetti» esso poté senza dubbiotalvolta servire, per impulso della dottrina, a promuovere utili sviluppinell’interpretazione e applicazione del dato normativo di questo o quelsistema: per esempio col favorire, nell’ambito di un sistema federaleo confederale, l’espandersi dei poteri delle autorità centrali a spesedelle periferiche o viceversa. Occorre appena ricordare che il giudiziosulla positività o meno di siffatte utilizzazioni pratiche del concettonon può che essere un giudizio storico di natura, in ultima analisi,etico-politica). Al di là delle riserve che si possono fare per i motiviaccennati al concetto di sovranità che sta alla base delle definizioniclassificatorie operate dalla scienza del diritto fino alla metà del nostrosecolo, v’è poi il fatto che quelle definizioni, proprio per il loro con-centrarsi sul problema della collocazione della sovranità e comunqueper volerne dedurre rigorose differenze qualitative tra figura e figura,non hanno abbastanza avvertito che i concetti di stato federale e distato regionale, di confederazione e di organizzazione sovranazionaledi stati sono astrazioni classificatorie che sfumano l’una nell’altra eche si riferiscono in realtà a ordinamenti concreti tra i quali inter-corrono differenze ma non cesure rigidamente separanti. Dal polo dellostato unitario, ove si raggruppano gli ordinamenti che concentrano inun apparato solo i poteri politici, la fenomenologia storica ci mette di-nanzi il dispiegarsi, verso un polo opposto, di una distribuzione quan-titativamente crescente e sempre più stabile e sicura di poteri politiciad altre distinte entità o formazioni governative: a partire, verso

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l’esterno, dalle autorità centrali di una confederazione o di una orga-nizzazione sovranazionale e, verso l’interno, dalle autorità regionali,per arrivare al modello complesso di uno stato federale ove i poterisono ripartiti con un massimo di equilibrio tra governo centrale e go-verni di periferia. Ma allora, di fronte a questo continuum fenomeno-logico di diversificata distribuzione dei poteri, una scienza del dirittoche non si contenti di aridi incasellamenti classificatori (del resto de-stinati ad arrestarsi nell’incertezza davanti ai molti casi concreti diconfine tra casella e casella) vorrà conoscere, se non le molteplicicause che hanno determinato nelle varie situazioni l’adozione delle di-verse forme di distribuzione dei poteri (una ricerca che pertiene piùalla storia politica e alla scienza politica) almeno i valori che, nel com-piere la scelta, le classi politiche hanno inteso servire; e vorrà saperese esistono raccordi più o meno sistematici tra certi insiemi di valorie i vari tipi di distribuzione dei poteri che la storia ci fa scorrere da-vanti agli occhi.

Una indagine rivolta in questa direzione non solo aiuta a megliocapire la logica interna degli ordinamenti investiti o lambiti dal fe-nomeno «federalistico» e quella dei loro sviluppi storici. Aiuta anchea formulare più esatti giudizi di politica del diritto e di giurisprudenzainterpretativa pratica, quando l’azione sia chiamata ad affrontare pro-blemi di «federalismo».

Proprio l’insoddisfazione nei confronti degli elaborati della scienzatradizionale del diritto ha spinto nella seconda metà del nostro secolovari giuristi, e primo tra essi il Friedrich, a rifiutare la statica equa-zione «federalismo = instaurazione di uno stato federale in sensostretto» e ad attribuire al termine un significato largo, coprente l’in-sieme dei processi onde gli ordinamenti tendono a ripartire, in variamaniera e misura, verso l’interno e verso l’esterno, i poteri politici tradistinti centri o livelli di governo; processi di «federalizzazione» chevanno studiati nella loro mobile dinamicità.

Non tutti i risultati prodotti con la nuova impostazione e con ilnuovo metodo di studio sono probabilmente da sottoscrivere. In que-st’articolo esporremo, in forma estremamente sintetica, le conclusioniche ci sembra il giurista possa formulare, con il maggior grado rag-giungibile di verosimiglianza, lavorando lungo le prospettive indicatedal nuovo approccio.

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2. Lo stato occidentale moderno e le diverse figure di organizzazione«federalistica » dei poteri

Il «federalismo» moderno si distingue dal «pluralismo politico» chel’Europa ereditò dal medioevo e conservò per alcuni aspetti fino allarivoluzione francese, perché esso presuppone l’intervenuta, grande sem-plificazione nel sistema delle autorità con potere di comando che ca-ratterizza l’avvento della figura moderna dello stato e presuppone so-prattutto – almeno a partire dal pieno affermarsi della formula politicaliberale – il riconoscimento dell’individuo, con le sue libertà e i suoidiritti fondamentali, come il valore centrale dell’ordinamento. Sortodall’età del Rinascimento e della Riforma, lo stato punta di solito auna concentrazione rigorosa di poteri nelle mani di un apparato go-vernativo unico: il quale non ammette altra autorità sopra di sé o sottodi sé (eccetto le modeste autonomie delle ridotte amministrazioni locali)capace di comandare e obbligare i singoli individui a lui sottoposti.Codesta concentrazione intransigente di poteri spazza via, nella primafase dell’epoca moderna, vecchi istituti e formazioni politico-socialiche in diverse guise legavano l’individuo: opera indirettamente, in altreparole, per la sua liberazione. Lo stato a forte concentrazione di poteri,lo stato unitario, diventa così di per sé un presidio per la libertà indi-viduale. E lo diventa tanto più quando poi nell’ordinamento giuridicola «costituzione materiale» – e spesso anche quella «formale» – enunciai diritti fondamentali dell’individuo che quell’apparato governativo, cheha il monopolio dei poteri politici, deve rispettare e, in sostanza, disolito, rispetta. Ma naturalmente lo stato, unitario al suo interno e liberodi legami e dipendenze all’esterno, non è l’unico modello di organiz-zazione dei poteri politici che la storia degli ultimi secoli conosca:anzi, nell’età contemporanea esso tende a diventare un caso abbastanzararo.

A fianco di questo tipo di stato fin dal secolo diciottesimo si puòconstatare l’esistenza di figure organizzative in cui i poteri non sonoconcentrati ma distribuiti variamente tra soggetti politici distinti; e ilnumero e la complicatezza delle figure cresce col tempo. Qui, comenell’età premoderna, le autorità, con poteri di imperio dal contenutovario e dagli effetti giuridici diversi, sono plures. Senonché, la loropluralità ha un significato profondamente diverso da quello della pre-cedente pluralità. In non pochi casi essa nasce espressamente perché,

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nelle circostanze, l’unitarietà dello stato o l’assenza per esso di precisivincoli istituzionali verso l’esterno appare pericolosa – e gravementepericolosa – per la conservazione delle fondamentali libertà e dei fon-damentali diritti dell’individuo come li definisce la coscienza politicamoderna; la divisione dei poteri tra più enti o la loro limitazione afavore di autorità terze risulta necessaria ed è voluta in funzione dellamiglior tutela di attese e di pretese dell’individuo che l’età premo-derna assolutamente non avrebbe riconosciute. V’è persino chi, in ge-nerale, argomenta che senza strutture «federalistiche» (in senso largo)del potere politico – così come senza una divisione «orizzontale» dellefunzioni tra distinti poteri dello stato e senza una poderosa conces-sione di autonomia a livello municipale – le moderne libertà civili epolitiche della persona non potrebbero mai esser sicure. Ma anchequando la «federalizzazione» degli ordinamenti non nasce espressa-mente e principalmente per meglio realizzare l’ideale di una societàcivile composta da individui modernamente liberi e eguali ed è attuatainvece per assicurare soprattutto beni d’altro tipo, in certo senso tra-dizionali – l’eliminazione di conflitti militari tra preesistenti distintecomunità; il raggiungimento di una unità tra comunità che serva a per-mettere una comune, vigorosa politica di potenza o a far crescere laricchezza di tutte; il mantenimento della possibile, utile unità nel-l’ambito di una comunità che inclina a scindersi, per cause econo-miche o culturali, in gruppi distinti; il bisogno di ottenere, attraversoun forte decentramento, una migliore cura di una quantità di interessicollettivi differenziati; e via dicendo – le forme del moderno «federa-lismo» tendono ad atteggiarsi in modo tale da rispettare quanto menoquelle attese e quelle pretese. Nella loro varietà, esse, nel mondo oc-cidentale, assumono di solito contenuti che si adeguano strettamentealle esigenze di quell’ideale individualistico che da due-tre secoli in-forma, sebbene in modi e misure diversi, i nostri ordinamenti. E senzaquell’adeguamento non riusciremmo a spiegarne le caratteristiche pe-culiari.

Senonché, proprio da questo punto di vista occorre fare delle di-stinzioni. Le forme espresse dai processi «federalistici» cambiano dicontenuto e di ruolo a seconda che si inseriscono nel contesto nel-l’una o nell’altra delle due forme di stato, che nel corso della storiala civiltà individualistica occidentale ha saputo produrre: il modellodello stato liberale (durato fino a un dipresso alle due grandi guerre

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mondiali del ventesimo secolo) e il modello di stato della democraziasociale (affermatosi nella seconda metà del Novecento).

Schematicamente i principali tipi di sistemi di distribuzione «fede-ralistica» di poteri politici tra soggetti istituzionali distinti sono stati,finora, i seguenti.

a) L’unione confederale di stati. Qui una pluralità di stati confe-risce a una autorità politica centrale una serie di poteri per la cura dialcuni interessi comuni particolari, di solito concernenti la difesa e lapolitica estera, ma talvolta anche materie economiche. Le decisionidell’autorità centrale vincolano gli stati membri e valgono, versol’esterno, come decisioni di tutti essi, ma, salvo casi assolutamente ec-cezionali, norme e comandi dell’autorità centrale non penetrano negliordinamenti statuali a vincolare direttamente i singoli individui ad essisoggetti. Il documento giuridico che dà vita all’unione non di rado neproclama la «perpetuità» o la «indissolubilità»; ma anche in questi casila dottrina prevalente, ravvisando nel documento un «trattato interna-zionale», afferma ciononostante il diritto dello stato al recesso dal-l’unione.

b) La organizzazione sovranazionale di stati. In questa figura i trattisono analoghi a quelli della unione confederale. Le materie assegnatealla competenza dell’autorità centrale sono peraltro di solito di naturaeconomico sociale e non hanno a che fare con la difesa. Qualche voltala robustezza e l’articolazione istituzionali dell’autorità centrale sonoragguardevoli e maggiori che nell’unione confederale e le norme e co-mandi d’essa raggiungono immediatamente, all’interno dei singoli or-dinamenti statali, gli individui.

c) Lo stato federale. In esso l’autorità centrale possiede le dimen-sioni di un vero e proprio stato-apparato, in quanto le appartengonotutti i tipi di funzioni – legislative, giudiziarie, amministrative – chenon possono mancare ad uno stato. Anche le materie affidate alla com-petenza dell’autorità centrale – sebbene più o meno limitate nel numero– oltre ad includere sempre la politica estera e la difesa spaziano inaltri campi e non sono così particolari e circoscritte come nelle pre-cedenti figure. L’autorità centrale stabilisce nella sua opera norme ecomandi che vincolano direttamente gli individui e può imporre, e ri-scuotere direttamente da loro, tributi. Include in sé un organo che hail potere di interpretare autoritativamente la «costituzione federale» edunque, tra l’altro, la ripartizione dei poteri tra l’autorità o stato «cen-

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trale» e gli «stati membri» – le rispettive «sfere» di competenza –. Lamodificazione formale della «costituzione federale» richiede in qualchemodo l’assenso degli stati membri – talvolta, per vari punti, comel’atto costitutivo delle figure precedenti, l’unanimità dei loro consensi;spesso, soltanto un alto quorum d’essi –. Il recesso dall’unione delsingolo stato membro, anche se non esplicitamente vietato, è escluso,a meno che la costituzione federale eccezionalmente non lo permetta.

d) Lo stato regionale. In questo stato sono i poteri delle «regioni»ad essere enumerati e limitati a materie particolari. La loro stabile per-tinenza alle regioni e il loro rispetto sono comunque «garantiti» dallacostituzione «rigida» dello stato. I poteri delle regioni possono esseretalvolta assai vasti; non includono peraltro mai, o quasi mai, poterigiurisdizionali. Le regioni come tali non partecipano di solito al pro-cedimento di revisione della costituzione statale (la cui interpretazionespetta, anche qui, a un organo dell’autorità centrale, lo stato). Alla re-gione non è riconosciuto il diritto di separarsi dallo stato.

Questi sistemi «federalisti» di distribuzione dei poteri sono presentiin genere sia tra gli ordinamenti dell’epoca liberale sia tra gli ordina-menti contemporanei di democrazia sociale (le figure b e d quasi esclu-sivamente tra questi ultimi). Ma in concreto si tratta, presso gli uni epresso gli altri, di cose diverse.

3. Confederazione di stati e stati federali nel modello costituzionale«liberale»

Il modello costituzionale ideale dello stato liberale – l’insieme deivalori fondamentali a cui tendono ad informarsi gli ordinamenti deimaggiori stati occidentali dell’Ottocento – si ispira ad una idea fon-dante principale: quella della separazione della società civile dallostato-apparato. La società civile si compone di individui cui vanno ri-conosciute sfere inviolabili di libertà in tutti i campi in cui possonoesplicarsi le attività umane. Lo stato deve appunto definire con precisenorme giuridiche quelle sfere e badare che esse vengano di fatto ri-spettate da tutti.

In ciò si attua naturalmente un contatto tra stato e società civile:ma oltre questo contatto, secondo il modello costituzionale liberale, lostato non ha molte ragioni di ulteriori incontri con la società. Que-

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st’ultima, munita degli istituti giuridici di libertà definiti dalla normadello stato, è capace di organizzarsi e di sviluppare le proprie attivitàda sola; e lo stato solo eccezionalmente e per la tutela di interessi su-premi potrà interferire, con regole e controlli, in quell’autoorganizza-zione e in quel libero sviluppo.

Ciò vale in particolare per quanto concerne il vastissimo e impor-tantissimo campo dell’economia. In esso gli individui, utilizzando gliistituti della proprietà privata e dell’autonomia contrattuale, della li-bertà di lavoro e della libertà di iniziativa economica, daranno vita auna feconda economia di mercato, ove la produzione e la distribu-zione della ricchezza avverranno secondo la regola della domanda edell’offerta. Allo stato non è proibito in assoluto di intervenire sulmercato; ma lo potrà fare solo marginalmente e per motivi specia-lissimi. Ciò almeno rispetto ai processi economici che si svolgono sulsuo territorio. I rapporti dell’economia nazionale con l’estero, in uncontesto di nazioni indipendenti e sovrane, restano invece in generesoggetti per intero ai suoi poteri regolamentari (anche se l’ideale li-berale rimane quello, anche qui, di una massima libertà, ove questasia compatibile con gli interessi complessivi della nazione).

Data questa esigenza di separazione tra società civile e stato, il mo-dello costituzionale liberale ravvisa la necessità, per meglio garantirnel’attuazione, di procedere a una particolare divisione dei poteri nel-l’ambito dell’organismo stesso dello stato-apparato.

Tre funzioni vengono identificate come le fondamentali dello stato-apparato: la normativa, l’esecutiva e la giurisdizionale; le due ultimeda svolgersi nel rigoroso rispetto dei precetti posti dalla prima.

Le tre funzioni, inoltre, vanno assegnate in via tendenzialmenteesclusiva a tre distinti gruppi di organi, costituenti i tre poteri dellostato (Legislativo-Esecutivo-Giudiziario). Tra gli organi componenti illegislativo almeno uno deve essere rappresentativo della società civile,affinché le norme dell’ordinamento non tradiscano le aspettative di li-bertà nutrite in seno a quella. Il Giudiziario deve essere indipendentedagli altri poteri per applicare nelle controversie, con massimo rigore,il diritto prestabilito dalla funzione normativa; deve inoltre poter giu-dicare, per la piena sicurezza degli individui, anche della conformitàdegli atti esecutivi alle norme.

A questo modello costituzionale hanno più o meno tentato di con-formarsi – con diversa misura di successo –, durante l’epoca liberale,

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tutte le principali unità statali occidentali. Ma, mentre per gli stati unitarie liberi di legami istituzionali all’esterno il discorso sull’influenza del-l’idea fondante del modello può in certo senso fermarsi a questo punto,le cose stanno altrimenti con gli stati che in qualche modo risultanopartecipi di quelli che abbiamo chiamati «processi federalistici».

In verità, confederazioni di stati e stati federali assumono, durantel’epoca liberale, forme e contenuti particolari che appaiono propriodettati dal bisogno di meglio servire l’idea-base della giusta separa-zione tra stato e società civile.

L’impulso principale alla formazione di confederazioni è dato senzadubbio, anche in questo periodo, dal desiderio di rinforzare le condi-zioni di pace tra una pluralità di stati e di potenziarne, unendole, lecapacità di difesa-offesa nei confronti di stati terzi.

Ma spesso affiora anche – e trova recezione in principi inclusi nel-l’atto confederale – la volontà di eliminare, in campo economico e inaltri campi, alcune interferenze dello stato che possono intralciare illibero, utile spiegarsi dell’iniziativa privata individuale: meno intralcistatali per una società civile che dovrebbe, almeno per vari rispetti,unificarsi e operare liberamente su tutto il territorio soggetto alla po-testà degli stati confederati. I fattori che rendono possibile e favori-scono il confederarsi di stati sono di solito condizioni di stretta af-finità tra i vari popoli sotto il profilo linguistico o culturale o generi-camente storico-politico; ma attira anche molto la speranza di rea-lizzare su spazi più vasti quella libertà del mercato che viene oramaiacquisendo, all’interno di ciascuno stato, la posizione di un importantevalore. Si spiega in tal modo la presenza, per esempio, nell’atto cherinnova e rifonda nel 1815 la Confederazione elvetica (confederazioneallora nel senso del termine definito sopra), del principio secondo cui(art. 11) su tutto il territorio della Confederazione «il libero mercatodelle derrate, dei prodotti del suolo e delle merci, la libera uscita e ilpassaggio da un cantone all’altro di questi oggetti e del bestiame, sonogarantiti». E la stessa aspirazione, sia pur in parte diversamente fra-seggiata nelle disposizioni normative, ritroviamo nei documenti di fon-dazione di altre importanti unioni confederali del periodo: negli Ar-ticoli di confederazione (1778) degli stati americani da poco diventatitali da colonie che erano sotto la Corona britannica (art. 4); nell’Attocostitutivo della Confederazione germanica (1815) – ove (art. 18) siassicura la libera mobilità personale e patrimoniale all’interno della

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Germania, premessa per quell’unione doganale (Zollverein) che, for-malmente distinta dalla Confederazione, pure integrerà, sul versanteeconomico, la logica di unificazione germanica che questa vuol per-seguire soprattutto sul versante politico-militare –; e via dicendo.

Appartiene storicamente all’epoca liberale l’invenzione della figuradello Stato federale in senso proprio e stretto: invenzione che si attri-buisce agli autori della Costituzione americana del 1787. Ma appuntoalle origini di quella Costituzione, e poi negli sviluppi d’essa nel corsodi centocinquant’anni di storia fino al New Deal, opera potentementeil sentimento delle esigenze dell’ideale della società civile «separata»dallo stato.

A rinforzare l’autorità centrale creata dagli Articoli di confedera-zione fino a farla divenire un vero e proprio stato i padri fondatoriamericani furono in parte di certo indotti dal pensiero che solo cosìgli Stati Uniti, sicuri nella loro pace interna, avrebbero potuto far fronte,nell’arena internazionale, a colossi militari-economici quali Gran Bre-tagna, Francia, Spagna. Ma sembra che in misura maggiore essi vifossero indotti anche dal desiderio di meglio assicurare la «giustizia»sul territorio americano, cioè, data la loro idea di «giustizia», gli istitutidi un libero mercato di dimensioni in prospettiva continentali.

Gli Stati, vigendo gli Articoli di confederazione, non s’erano trat-tenuti dal compiere operazioni, che erano loro a rigore permesse, mache danneggiavano seriamente la sicurezza dei rapporti commerciali ela libertà dei traffici. Ed ecco la Costituzione dell’87 (art. 1, sez. 10,nonché sez. 8, 3° co.) togliere loro tutta una serie di poteri che impe-direbbero il formarsi di un mercato unico nazionale operante in pienaautonomia e certezza del diritto: il potere di impedire le esportazionidal loro territorio e di esiger dazi sulle importazioni; il potere di im-porre la propria carta moneta come mezzo legale di pagamento; ilpotere di far leggi intaccanti le obbligazioni dei contratti; il potere difrapporre comunque ostacoli alla libera circolazione di persone, ca-pitali e merci costituenti, nell’insieme del loro movimento, il «com-mercio nazionale».

A petto di queste sottrazioni di poteri agli stati membri stava, inquella stessa costituzione, una attribuzione di poteri al nuovo statocentrale che, se era piena, quasi esclusiva e illimitata per ciò che ri-guarda la politica di difesa e la politica estera in genere (inclusi gliaspetti economici), era invece assai cauta e circoscritta per ciò che ri-

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guarda l’intervento nelle faccende economiche e sociali interne del-l’Unione. In quest’area interna la principale norma attributiva di poteriallo stato centrale era quella (art. 1, sez. 8, 3° co.) relativa al regola-mento del «commercio tra gli stati» (commerce clause: q.v.).

Tale potere regolamentare federale fu col tempo interpretato in modoabbastanza generoso ma non mai così da assoggettare ad essa – du-rante l’epoca liberale – i settori, per esempio, delle attività agricole odell’organizzazione interna delle industrie o dei rapporti di lavoro:sicché la capacità dello stato centrale di intervenire normativamentesui processi dell’economia nazionale risultava, per questo lato, nonpoco limitata. Né essa veniva di molto accresciuta da altre norme at-tributive di poteri. La Costituzione conferiva per esempio allo statocentrale un potere di imposizione sugli individui. Ma per le impostedirette (art. 1, sez. 3) stabiliva una regola che ne assicurava il carattereaddirittura regressivo e perciò in pratica ne escludeva l’adottabilità;mentre per le imposte indirette l’interpretazione finì con il precisareche esse non potevano venir adoperate per influire deliberatamentesull’atteggiarsi di rapporti economico-sociali per i quali non pertinevaaltrimenti allo stato centrale di dettar regole.

L’effetto complessivo della ripartizione dei poteri in materia eco-nomico-sociale tra stati membri e stato centrale fu dunque, nell’Americaliberale, il formarsi di una potente, indiretta garanzia per l’autonomiadella società civile in quell’area e per la sua esenzione da eccessivi con-trolli statali provenienti da qualsiasi parte, periferica o centrale che fosse.La materia rimaneva, nell’insieme, di competenza degli stati membri:ma questi, anche a prescindere dai divieti particolari che legavano lorole mani, erano scoraggiati dal regolare in modo comunque aggravantele attività produttive e la ricchezza dal timore che esse defluissero nelterritorio di altri stati più liberali (dal quale avrebbero oltretutto semprepotuto, in base al principio federale del libero commercio nazionale, in-viare senza ostacoli, in esportazione, i loro prodotti). Lo stato centrale,poi, aveva competenze di intervento limitate (le quali furono ulterior-mente ristrette quasi subito dall’adozione di una Carta dei diritti – Billof rights del 1791: q.v. – che proteggeva, tra l’altro, i diritti patrimo-niali della persona; senza dire che l’esercizio di quelle competenze erain aggiunta difficoltato e rallentato dalla complessità dei meccanismi diapprovazione imposti dalla speciale divisione dei poteri adottata per lostato-apparato centrale: legislativo bicamerale; Senato con rappresentanza

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statale paritaria; veto presidenziale; ecc.). Il sistema funzionava in sensonettamente restrittivo e impeditivo nei confronti di qualunque volontànormativa speciale; e tutelava ed esaltava in conseguenza il ruolo di unasocietà civile che liberamente produceva e distribuiva ricchezza, in modounitario su tutto il territorio nazionale, avvalendosi degli strumenti giu-ridici tipici dell’ideologia individualistica: la proprietà privata estesa atutti i mezzi di produzione; la libertà di iniziativa economica; la libertàdi lavoro; la più ampia autonomia contrattuale. S’è detto che gli svi-luppi dell’ordinamento federale americano durante l’epoca liberale nonfecero che accentuare e perfezionare la sua conformazione in tutto fun-zionale alla logica della società civile «separata» e dell’individuo giuri-dicamente indipendente che ne costituisce il fulcro. E i principali diquesti sviluppi furono due.

Con la guerra civile (1861-65) fu di fatto risolto il problema costi-tuzionale, oggettivamente aperto e molto dibattuto nel mezzo secoloprecedente, se l’Unione americana fosse o non fosse dissolubile: l’esitodella guerra fece accettare come principio costituzionale non scrittoche dall’Unione non si può mai secedere. Ma la guerra civile produsseanche un’altra e persino più importante novità costituzionale: distrussenegli stati del sud e vietò per sempre (XIII Emendamento) l’istitutodella schiavitù, che rappresentava una contraddizione rispetto al mo-dello di una economia libera e un ostacolo al pieno espandersi deisuoi metodi di produzione su tutto il territorio nazionale.

Poco dopo la guerra civile fu anche adottato il XIV Emendamento;e l’interpretazione che più tardi se ne diede sottomise il potere legi-slativo degli stati membri (già limitato nel modo che s’è visto) a unaserie di ulteriori pregnanti limitazioni a vantaggio delle libertà econo-miche (ma non solo di quelle) dell’individuo. La due process of lawclause di quell’Emendamento, così come del resto l’analoga clausolacontenuta nel precedente Bill of rights restrittivo dei poteri dello statocentrale (V Emendamento), fu intesa proteggere rigorosamente da ogniinterferenza incisiva della legge la proprietà privata, la libertà di ini-ziativa economica, la libertà di contratto. Gli strumenti giuridici ondesi autogoverna la società civile «separata» ricevevano in tal modo unadiretta globale consacrazione, la quale si affiancava alle altre dirette eindirette tutele già previste per quegli strumenti e finiva così per ri-badire la totale subservienza dell’ordinamento federale americano almodello di quel tipo di società.

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La Costituzione fin dalle origini aveva stabilito (supremacy clause,art. 6) che i giudici degli stati membri dovevano applicare il dirittofederale (la Costituzione e le leggi emanate dallo stato centrale) anchea preferenza del proprio diritto statale eventualmente contrario: e conciò aveva predisposto l’immediata vigenza delle norme statal-centralidentro gli ordinamenti degli stati membri. La Corte Suprema degliStati Uniti – organo dello stato centrale – aveva inoltre ben presto ri-vendicato il potere d’interpretare in maniera vincolante, per tutti, ancheper i giudiziari statali, tutto il diritto federale e di dichiarar nulle tuttele leggi, degli stati membri e dello stato centrale, che contrastasseroalla Costituzione federale. Cosicché quelle garanzie e quelle tutele dellasocietà civile «separata», di cui abbiamo parlato, non rimasero sullacarta, affidate per la loro applicazione al solo benevolo e volontariorispetto dei vari poteri politici che ne fossero interessati, ma ottenneroil rinforzo vigoroso e decisivo della protezione di un supremo, indi-pendente organo giudiziario.

Il sistema americano rappresenta, durante l’epoca liberale, l’esempiopiù compiuto e perfetto di stato federale costruito per attuare i valoridel modello costituzionale liberale. La divisione «orizzontale» dei poteri(quella delle funzioni fondamentali tra i poteri dello stato), adottatadagli americani sia a livello di stati membri sia a livello di stato cen-trale in una versione particolarmente idonea a ritardare i processi de-cisionali, serviva a suo modo ad assicurare l’autonomia della societàcivile. Ad essa si aggiungeva una divisione «verticale» dei poteri (il«federalismo»: la ripartizione delle competenze tra stato centrale e statimembri) che lavorava con grandissima efficacia al medesimo effetto.Stato centrale e stati membri si ripartivano le materie su cui legiferaree svolgere amministrazione senza possibilità in genere di interferenzereciproche nelle sfere attribuite alle competenze dell’uno e degli altri(cosiddetto dual federalism). Le competenze dello stato centrale eranoperò, nel campo della politica interna, ristrette. Quelle degli stati membrierano larghe (e ciò contribuiva a mantenere agli stati un cospicuo gradodi vitalità politica). Ma esse, per le ragioni che si son dette, erano, ol-treché variamente limitate, anche esercitabili solo con estrema prudenza:a tutto profitto della giuridica libertà d’azione (specie nell’area eco-nomica) dei singoli individui.

Se l’esempio americano sta in prima fila e davanti a tutti, la fun-zionalità al modello costituzionale liberale delle altre maggiori fatti-

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specie di stato federale in questo periodo non può essere messa indubbio.

La Svizzera, da confederazione che era, divenne stato federale (nelsenso sopra precisato) dopo il tentativo di secessione dei cantoni cat-tolici (1848); e si diede una Costituzione federale definitiva nel 1874.In essa furono garantiti, anche nei confronti dei cantoni e dei loro or-dinamenti, tutti i fondamentali diritti di libertà dell’individuo, da quellistrettamente civili (libertà religiosa, di espressione, di associazione:artt. 49, 50, 55, 56, ecc.) a quelli politici (artt. 43, 57, 6, ecc.), a quelliin particolare economici (libertà di circolazione delle persone e dellecose sul territorio nazionale: artt. 45, 62; libertà di industria e di com-mercio: art. 31; e via dicendo). La potestà di regolare i rapporti al-l’interno della società fu lasciata, di massima, ai cantoni (in conse-guenza dell’art. 3; mentre quella relativa ai rapporti con l’estero fu at-tribuita per intero allo stato centrale: artt. 8-22). Sui rapporti interni,allo stato centrale furono conferite competenze enumerate e non moltoampie: appena poco più ampie, forse, di quelle appartenenti allora allostato centrale americano. Inclusa in quelle competenze stava, princi-palmente, la legislazione sulla capacità civile, sui diritti relativi al com-mercio e alle transazioni mobiliari, sulla proprietà intellettuale, sui fal-limenti, sul lavoro dei fanciulli nelle fabbriche e quello degli adultinelle industrie malsane e pericolose, sulle assicurazioni, sulla caccia epesca, sulle opere pubbliche di interesse nazionale, sulle ferrovie, sulleposte, ecc. (artt. 64, 23, 25, 26, 34, 36). Un insieme di poteri che nonpermetteva di certo alle autorità federali di intervenire a fondo, anchese l’avessero voluto, nei liberi processi della società civile. Interventidi questo genere, a parte i limiti imposti dalle esplicite garanzie con-cernenti i diritti fondamentali, erano resi difficili ai cantoni svizzeri,che ne sarebbero stati in astratto competenti, dallo stesso timore chetratteneva sovente gli stati membri americani: allontanare dal proprioterritorio iniziative economiche apportatrici di ricchezza. Come inAmerica, lo stato centrale poteva stabilire in Svizzera dazi sulle merciimportate (e fu questa, come in America, per tutta l’epoca liberale, lafonte principale delle entrate federali) ma non tributi diretti (venendocosì a mancare al sistema il mezzo più efficace per una ridistribuzioneequitativa di ricchezza tra le persone: l’imposta personale progressivasui redditi gestita dal centro). Il legislativo federale svizzero – Con-siglio nazionale; Consiglio degli Stati – era per composizione in tutto

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simile a quello americano; e non molto diversi erano gli effetti rallen-tatori dei complessivi meccanismi di divisione «orizzontale» dei poteriattuati nella piccola repubblica delle Alpi. Insomma, anche in mezzoalle nevi e ai pascoli alpini le strutture «federali» dell’ordinamentoaiutavano a tener tutte le autorità dotate di potestà di imperio consi-derevolmente «lontane» dalle forze presenti nella società civile, le qualipotevano così operare in larghissima libertà.

Un discorso pressoché eguale potrebbe tenersi con riguardo a duealtri stati del periodo, Canada e Australia. Il British North AmericanAct del 1867 diede al Dominion del Canada una sostanziale indipen-denza, organizzandolo contemporaneamente attorno a un apparatostatale centrale e a 8 «province» e rispettivi governi e distribuendo traessi i poteri.

Contrariamente alla regola solita degli stati federali, che vuole enu-merati i poteri dello stato centrale e i «poteri residui» assegnati a quellimembri, la legge istitutiva del Canada indipendente faceva una du-plice enumerazione e attribuiva al governo centrale le materie nonmenzionate. Ma ciò non toglieva di certo il carattere strettamente fe-derale dell’ordinamento, perché le materie assegnate alle «province»erano moltissime e vastissime, la distribuzione dei poteri non avrebbepotuto in pratica alterarsi senza il consenso di tutte le «province» (peruna «convenzione» accolta dal Parlamento britannico, l’unico organoabilitato a modificare l’Atto del 1867) e sul rispetto della distribuzionestabilita vegliava un Giudiziario indipendente (e in ultima analisi ilPrivy Council britannico). Tra le materie di competenza delle «pro-vince» rientrava, in particolare, la legislazione sulla «proprietà e i di-ritti civili» (art. 92); e l’interpretazione che si diede di tale formula incongiunzione a quella delle norme relative alla competenza del go-verno centrale fu tale, fino oltre la seconda guerra mondiale, che lamassima parte dell’area economico-sociale venne sottratta a un rego-lamento dal centro e riservata alla normazione della periferia, conl’ovvio, tendenziale effetto, che già s’è sottolineato, del lasciar liberele forze spontanee della società civile. E il medesimo effetto produssela Costituzione concessa dalla Gran Bretagna all’Australia nel 1900:una Costituzione che faceva dell’Australia uno stato federale per mol-tissimi rispetti ricalcato sull’esempio americano (salva, in particolare,la forma parlamentare, anziché presidenziale, del governo). Come inAmerica, l’autorità centrale poteva disciplinare l’area dell’economia

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soprattutto in base a una clausola costituzionale che assegnava ad essail regolamento del commercio «con altri paesi e tra gli stati membri»;come in America la clausola non permise per lo più a quella autoritàdi intromettersi nelle faccende economico-sociali interne del paese.

Discorso in parte diverso e più complesso deve farsi con riguardoallo stato federale della Germania imperiale (1871-1918): un ordina-mento la cui importanza esemplare dal punto di vista di una teoria ge-nerale del «federalismo» non può negarsi, e deve essere messa ade-guatamente in luce.

L’importanza dell’esperienza federale tedesca durante l’epoca li-berale per una teoria del federalismo non dipende tanto dalle sottilidisquisizioni teoriche che si ebbero allora, nella dottrina germanica,circa la natura in sé dello stato federale (e degli elementi che lo com-pongono), circa il risiedere la sovranità, nel caso tedesco, nel Reich(Zorn) o ancora negli stati federati (v. Seydel), e via dicendo: disqui-sizioni in parte afflitte da un eccessivo concettualismo, in parte ripe-tenti, sebbene a un livello tecnicamente più alto, conflitti dottrinali giàmanifestatisi in America (per es., tra Webster e Calhoun nella primametà dell’Ottocento). L’importanza dell’esperienza tedesca dipende dalsuo presentare tratti di ispirazione inequivocabilmente liberale assiemead altri che riflettono un diverso indirizzo e che, per certi lati, anti-cipano il futuro.

Di fronte alle fattispecie di stato federale che abbiamo ricordato, ilfederalismo tedesco mette in mostra alcuni aspetti di maggiore accen-tramento nel sistema, di maggior robustezza nell’apparato governativocentrale. In tutte quelle fattispecie le strutture di governo centrali nonavevano modo di disporre della composizione e di influire sulla azionedelle strutture governative della periferia (eccetto marginalmente inCanada). Le unità politiche periferiche, in quanto in qualche modorappresentate come tali in una delle due camere legislative del centro,potevano invece in certa misura influire come tali sulla politica na-zionale: con un’opera soprattutto di freno, che riusciva tanto più ef-ficace nei sistemi (come negli Stati Uniti e in Svizzera) ove quellarappresentanza era stabilita su basi paritarie.

Da un certo punto di vista questa era anche la situazione nel se-condo Reich: dove gli stati membri erano, nella loro sfera, oggettiva-mente indipendenti e l’influsso che potevano esercitare sulla politicanazionale attraverso la camera alta (in cui erano rappresentati addi-

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rittura gli Esecutivi di quegli stati) non era di scarso rilievo. E tuttaviav’erano pure delle differenze sostanziali. Intanto, uno degli stati dellafederazione – la Prussia – era molto più popolosa degli altri e il suovoto godeva di un peso nettamente superiore in seno alla camera alta.Inoltre, per il modo in cui la federazione s’era formata, il suo re eraanche, istituzionalmente, il capo dell’«impero». Poiché nell’impero nonvigeva un regime parlamentare, l’Esecutivo imperiale finiva per essereappannaggio esclusivo della Corona prussiana, con un forte sbilancia-mento – soprattutto agli effetti della politica estera e della difesa – degliequilibri tra i membri della federazione (oltreché naturalmente con unaforte riduzione del tasso di «rappresentatività» del governo nazionale,nonostante la presenza in esso di una camera bassa eletta da tutto ilpopolo dell’impero a suffragio universale, il cui concorso era neces-sario per fare le leggi). Codesta innegabile preponderanza prussiana nelsistema introduceva indirettamente in esso, in varie direzioni, elementidi concentrazione del potere. Ma ciò non era tutto. Allo stato centrale,al Reich, la Costituzione garantiva poteri più ampi di quelli goduti daglistati centrali negli altri sistemi federali del periodo.

Per la verità, non così disponeva l’originaria Costituzione del 1871;ma già una riforma del 1873 assegnava al Legislativo dell’impero lacompetenza «sull’insieme del diritto civile, sul diritto penale e sullaprocedura» (art. 4, n. 13): e questa formula metteva il Reich in con-dizioni di fare cose che erano per lo più precluse agli stati centralidegli altri sistemi federali. Di fatto, per esempio, lo sviluppo di un or-ganico diritto del lavoro e dei primi spezzoni di uno stato «sociale»a livello nazionale (sviluppo voluto dal Bismarck) non incontrò in Ger-mania gli ostacoli costituzionali che a lungo gli sbarrarono la stradanei sistemi federali dei popoli di lingua inglese.

Nel federalismo tedesco, il difetto di «rappresentatività» dell’Ese-cutivo era un anacronismo, destinato in futuro a sparire; l’egemoniaprussiana era una anomalia rispetto al modello federale-tipo, che com-portava in concreto alcuni pericoli. Ma la maggior forza nel sistemadello stato centrale, la sua più larga competenza, era una caratteristicache sarebbe divenuta la regola negli stati federali del xx secolo.

Detto questo, va ribadito che il federalismo dell’impero tedescoportava ben chiara su di sé, nonostante tutto, l’impronta del costitu-zionalismo liberale. Il suo stato centrale, a dispetto delle sue fortistrutture, per via dei freni e contrappesi vari che agivano in esso,

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operava a rilento. A dispetto della sua capacità di introdurre nell’or-dinamento i primi spezzoni di uno stato «sociale» nazionale, non avevain realtà la potenza di andar molto oltre, di porsi come un centro divera, larga ridistribuzione equitativa di ricchezza in seno alla societàcivile. Gli mancava per questo, tra l’altro, l’adeguato mezzo fiscale;come gli altri stati federali liberali non poteva stabilire imposte direttee doveva vivere su quelle indirette. All’interno del sistema, gli statimembri erano a loro volta tenuti a freno dal principio, valevole anchenella federazione tedesca, della piena libertà di circolazione di personebeni e capitali sul territorio nazionale (Cost. art. 3).

4. Stati federali e stati regionali nel modello costituzionale «sociale»

A) Modello «sociale» e stato federale

L’avvento del secolo ventesimo ha profondamente modificato il con-cetto prevalente in Occidente del rapporto ideale tra stato e societàcivile. Sotto certi rispetti il desiderio che il potere politico si astengadal regolare dall’alto le attività dei privati è persino cresciuto al con-fronto con l’epoca liberale. Ma codesto desiderato ampliamento dellesfere di intangibile autonomia dell’individuo riguarda essenzialmentele libertà d’esso di natura non economica. Si pensi per esempio al re-cedere dei tanti limiti giuridici che il liberalismo classico poneva, innome del buon costume e di altri collegati valori, alla libertà di espres-sione e di indirizzo della propria vita intima.

In tutto ciò che invece tocca i rapporti economici l’idea della nettaseparazione tra stato e società civile è venuta meno nell’epoca con-temporanea: l’epoca vuole anzi un regolamento statale abbastanza in-tenso della vita economico-sociale della comunità, al fine di realiz-zarvi valori di solidarietà e di eguaglianza sostanziale e anche, in fondo,di libertà, ma di una libertà che significa – per l’individuo – più poteredi fatto in certe direzioni che non assenza generalizzata di soggezionia vincoli e controlli statali. Proprietà privata dei mezzi di produzione,libertà di iniziativa economica, libertà di lavoro permangono; ma sonoistituti o principi ormai contornati da molteplici restrizioni e limiti. Ilmodello costituzionale del nesso tra società civile e stato non è piùdunque, complessivamente, quello liberale della «separatezza», ma un

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