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3Museando

Assamaka, 25 agosto 2007

Assamaka, al confine tra l’Algeria e il Niger, è la porta del Sahara algerino, un invisibile punto nellecartine del mondo che rappresenta però uno dei più importanti snodi di passaggio per i migranti chedall’Africa subsahariana tentano di arrivare in Europa. Attraversano il Niger ed entranonell’infernale oceano di sabbia algerino cercando di arrivare sulle coste del Mediterraneo, da cui poiraggiungere le nostre sponde.

Assamaka è una brevissima pausa d’ombra in un nulla di fuoco.Una trentina di abitazioni con i muri di terra, un unico albero, qualche gallina e un pozzo inquinato

che formano una stazione di scambio per contrabbandieri di persone e oggetti.Quando scende dal camion su cui sta appollaiato da giorni, Dominique non mangia da settanta ore.

Entra nella baracca che mi «ospita» da una quindicina di giorni e chiede da bere. Mentrecondividiamo la magra porzione di riso scondito, i soldati di frontiera, fuori, si dividono la miseratangente per il passaggio dei clandestini, una piccola parte del prezzo di un «biglietto» che,passaggio dopo passaggio, arriva a costare migliaia di euro.

All’ombra dei cartoni che fanno da tetto parliamo dell’Italia, di ricchezza, sogni, paura, guerra,morte, miseria, speranza, vestiti, iPhone, ristoranti… Per Dominique tutti gli italiani sono ricchi ebelli, vivono in case lussuose, vestono eleganti, mangiano tanto e bene. È sicuro di riuscire adarrivarci e di diventare anche lui ricco in brevissimo tempo. Sa che ci metterà ancora molti mesi persuperare una distanza che si copre in poche ore di aereo.

Provo a dire che non è tutto così luccicante, e che, se non morirà durante il tragitto, scoprirà unarealtà diversa da quella che immagina. Non gli importa. Sta scappando dalla guerra civile cheinfiamma il Nord del Mali e nulla lo può fermare.

Sono discorsi che si fanno quasi quotidianamente con tutti quelli che si fermano qui. Dominiqueperò è diverso, ha studiato in una missione, e all’improvviso, guardandomi con quegli immensi occhipieni di sogni dei suoi sedici anni, dice: «Un giorno un prete italiano della missione ci ha raccontatoche da voi ci sono un sacco di musei dove sono raccolte le più belle opere che l’uomo ha realizzatoin tutta la storia. Il padre ci ha anche mostrato le foto di un libro con delle statue e ce n’era una conGesù morto e sua mamma che lo teneva tra le braccia. Guardandola io mi sono commosso, perchénon avevo mai visto una cosa così bella. Io riuscirò ad arrivare in Italia e a vedere quella statua».

Poi si alza ed esce nel sole accecante. Lo vedo salire sul camion che sta per ripartire e poiallontanarsi nell’aria tremolante di calore con la sua meta fissa nella mente: la Pietà diMichelangelo.

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Foto di Emilio Casalini

Musei

Se il suo corpo non è rimasto tra le sabbie del deserto o nelle acque del Mediterraneo, Dominiquesarà riuscito a entrare a San Pietro e a vedere con i suoi occhi «Gesù morto e la sua mamma».

Poi forse avrà potuto visitare anche qualche altro museo, entrando così nelle statistiche deivisitatori dei musei italiani. Statistiche abbastanza drammatiche.

Nel mondo ci sono grandi musei che esplodono di vitalità, da Taipei a Seul, da Rio de Janeiro aShanghai, ma per trovare il primo italiano nella classifica del 2012, ossia gli Uffizi di Firenze (iMusei Vaticani non sono italiani), dobbiamo arrivare al 21 o posto (1,8 milioni di visitatori) 16.

Sua maestà il Louvre riceve quasi 10 milioni di visitatori all’anno, praticamente lo stesso numerodi tutti i musei italiani messi insieme, che nel 2012 sono stati 10.052.277. Nel 2013 poche migliaia inpiù, ma sono numeri sempre uguali da quindici anni, anzi, peggiorati, visto che nel 1998 erano entrateun milione di persone in più. 17

Al Louvre, invece, solo nel 2012 gli ingressi sono aumentati di quasi un milione, e le 15esposizioni organizzate all’estero hanno richiamato un milione e mezzo di visitatori, promuovendo inquesto modo le bellezze artistiche francesi. E così il gigante transalpino sta per aprire una filiale adAbu Dhabi, mentre noi rischiamo di chiudere le sedi di molti musei.

Senza dimenticare che nella sola capitale francese ci sono anche il Centre Pompidou (3,8 milionidi visitatori), il Musée D’Orsay (3,6 milioni), il GrandPalais (1,5 milioni), il Quai Branly (1,3milioni), l’Orangerie (800mila) e il Museo delle Arti Decorative (655mila) per un totale di 21milioni di ingressi. 18

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Vale la pena anche confrontare gli incassi, che da noi sono molto esigui, visto che tutti i museipubblici italiani messi insieme, nel 2012, hanno incassato dalla vendita dei biglietti circa 30 milionidi euro, saliti a 32 milioni nel 2013. 19 Il Louvre, da solo, incassa quasi il doppio, 58 milioni, chesalgono a 100 considerando le donazioni, i mecenati e le attività commerciali. 20

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È questa la prima frontiera del grande dibattito che da sempre accompagna la vita dei musei:quanto devono costare per essere considerati virtuosi o, più semplicemente, per poter restare aperti?

Mantenere i musei costa. In ogni Paese del mondo il settore pubblico interviene per sostenerli, e siconsidera «efficiente» un museo il cui budget è coperto al 50% da fondi pubblici. Giovani e anziani,giustamente, entrano gratis, e, nelle aree di minore attrattiva del Paese, dove i turisti sono pochi, loStato deve essere fedele al suo mandato di preservare e tutelare il proprio patrimonio, mantenendolodisponibile. E se è comprensibile la scelta di mantenere gratuito l’ingresso a un sito per promuovereun’area, soprattutto dove vi sia un indotto che ne trae giovamento, ci sono però dei limiti che nonvanno superati, come nel caso del museo siciliano di Ravanusa, raccontato dalla Repubblica, 21 alcentro delle polemiche per i 340mila euro di spese contro i zero euro di incassi che hanno spinto idirigenti regionali a trasformare in gratuiti i musei che incassano troppo poco.

Senza arrivare a questi estremi, anche nel 2013 sono molti i musei italiani che, a fine anno,offrono incassi esigui arrivando fino ai 718 euro del Museo Archeologico Nazionale di Pontecagnano(SA) o ai 391 euro del Museo Archeologico Statale di Arcevia (AN), dove la nuova direttricericonosce che molto si può fare per migliorare la promozione.

Un’Italia degli opposti, perché a Ravenna, nel Mausoleo di Teodorico, in un anno sono entrate3mila persone, tutte paganti, con un incasso di 30mila euro. Precisi precisi.

A volte nascondere le nostre bellezze sembra quasi una scelta.I Bronzi di Riace, tra le statue più famose dell’intero globo, sono rimasti abbandonati per tre anni

e mezzo in un’anonima stanza del Consiglio regionale della Calabria, buttati in un angolo senza chenessuno ne sapesse niente, in attesa che finisse il restauro del Museo della Magna Grecia.

A Napoli è custodita una delle sculture considerate tra le più belle mai realizzate dall’uomo: ilCristo velato del Sanmartino.

Di fronte a quell’opera in marmo che sembra ai limiti dell’impossibile, la fantasia si adagia sullaleggenda che si tratti di un vero e proprio corpo umano «marmorizzato» con una tecnica segretadell’alchimista che ha progettato e realizzato la cappella di famiglia: Raimondo di Sangro, principedi Sansevero.

La stessa cappella è un vero capolavoro: sculture, pitture, racconti, leggende, simboli… Unconcentrato di esoterismo, una meraviglia unica al mondo, tanto da essere premiata dagli utenti diTrip Advisor (il portale dei viaggiatori) come il più amato museo italiano, classificato al 21° postomondiale, appena dopo il British Museum di Londra e il Prado di Madrid. 22

Eppure questa meraviglia è difficile da trovare tra le malandate stradine che la circondano, dovele poche indicazioni impediscono di raggiungerla con facilità. Non sognatevi però di fare la caccia altesoro di domenica pomeriggio, il momento della settimana che non solo i turisti, ma anche i localidedicano al tempo libero e alle passeggiate, perché il museo (privato) chiude alle 14!

I musei si nascondono anche quando sono nei posti più visibili.A Roma, in pieno centro, a pochi metri dalla basilica di Santa Maria Maggiore, si trova il Museo

Nazionale d’Arte Orientale ‘Giuseppe Tucci’. Solo un paio di poster ne indicano l’esistenza. Per ilresto è invisibile, pagando, assieme all’affitto dei locali del palazzo Brancaccio che lo ospita, ancheil prezzo di non poter gestire liberamente la propria promozione. Si registrano 11.265 ingressi, circa30 al giorno, grazie ai quali, nel 2011, si collocava al 213° posto della classifica italiana su 281

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musei.Due anni dopo, nel 2013, mentre nella Città Eterna i turisti aumentavano di un +5%, quelli del

museo Tucci scendevano a 11.176, di cui due terzi (7669) gratuiti.E così in un anno hanno incassato 19mila euro, meno dello stipendio di un dipendente.Anche se Roma beneficia dei turisti che vengono per gli avvenimenti sacri questo museo sembra

non giovarsene, e così, nel giorno della beatificazione dei due papi, lungo la strada sciamano fileinterminabili di turisti, ma nessuno di loro varca il portone per salire le scale del PalazzoBrancaccio, dove è ospitato il museo.

All’interno delle sale stordisce il silenzio e la totale assenza di esseri umani, visitatori epersonale. «Siamo troppo pochi, mancano i soldi», spiega un’impiegata che, dentro uno stanzino,osserva i monitor di servizio. Sacrosanta verità, però parte del personale viene impiegato per i turnidi sorveglianza notturna pur in presenza di un sistema di allarme collegato con le forze dell’ordine.Altro problema annoso: cosa scegliere tra il rischio di furti del nostro patrimonio artistico outilizzare lo scarso personale per una reale assistenza ai visitatori, così come dovrebbe peraltroessere in un’ottica di formazione professionale moderna e specializzata?

Visitatori che, nel caso del museo romano, sono rarissimi, persi tra le bacheche stile anni ’70dove giacciono singoli monili appoggiati sul vetro come nella più classica delle tradizioni museali.Nessuna traduzione in inglese nelle fotocopie all’ingresso delle sale, nessuna traduzione sulletarghette descrittive, nulla nei rari pannelli affissi ai muri. Possibile che anche in questo caso,l’infernale burocrazia di regole e ruoli o l’infinita alternanza di direttori impedisca di fare dellesemplici traduzioni?

Le descrizioni dei reperti sono, se possibile, ancora più aride.Dove c’è una punta di lancia, la targhetta dice «punta di lancia», dove c’è un vaso c’è scritto

«vaso» e così via, in un tripudio di «anfora», «ciotola» «maschera», «anello», «statua», «mattonella»eccetera. Niente racconta l’ambiente da cui quell’oggetto proviene, il suo significato, il suo valore.Una mappa colorata della Corea, raro spunto di modernità comunicativa in una piccola salasponsorizzata da una fondazione, sembra stata appesa da una mano pietosa, con il nastro adesivo, suuna porta di sicurezza.

Niente e nessuno aiuta il visitatore a uscire dalle sale con un minimo di conoscenza in più sumondi lontani che sarebbe invece bellissimo scoprire.

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A Padova, nel 2013, è stata allestita «Wenetkens», una mostra sui veneti antichi realizzatautilizzando reperti conservati nei musei regionali. Dentro una grande sala pubblica (il Palazzo dellaRagione) sono stati installati dei banali pannelli bianchi creando così un semplicissimo percorsolungo poche decine di metri. Semplice solo all’apparenza, perché tutte le energie sono stateconcentrate sulla comunicazione visiva e sulla narrazione, grazie alle quali il visitatore ha potutoimmergersi nella vita quotidiana degli antichi progenitori. Come per magia, i monili di un temporemoto hanno preso vita raccontando paure, speranze, glorie e sconfitte di quel popolo scomparso.L’antico alfabeto con caratteri etruschi era spiegato tramite pannelli luminosi nello stesso modo incui si rivelerebbe un codice magico, stimolando, come in un gioco, la curiosità e la sete diconoscenza. La possibilità di stampare gratuitamente il proprio nome nell’antica lingua per portarsi acasa un economicissimo souvenir testimonia finalmente l’applicazione delle conoscenze dimarketing. Professionalità incrociate per creare un percorso emozionale, prima ancora cheaccademico, premiato dall’affluenza del pubblico: 85mila visitatori con prolungamento della mostraper consentire a tutti di ripercorrere le tracce del passato. Bambini e adulti insieme, ugualmentestupiti e coinvolti nella scoperta di un mondo scomparso grazie a quegli stessi reperti che,semplicemente appoggiati in anonime bacheche avrebbero interessato ben pochi.

Le mostre sono eventi estemporanei, ma il loro moderno approccio comunicativo potrebbe essereutilizzato anche per ristrutturare molti nostri musei bloccati da decenni nelle loro statiche formeespositive. Anche qui è solo un problema di soldi e burocrazia invalicabile?

La stessa carenza di comunicazione sul piano materiale si manifesta sul piano virtuale, il luogodove oggi si combatte la vera sfida per conquistare i visitatori.

Sempre per restare al Museo Nazionale di Arte Orientale di Roma, questa, il 14 luglio 2013, erala homepage del sito web. 23 La stessa che compare quasi un anno dopo, il 14 aprile 2014.

Nulla è cambiato, se non le info sulla barra laterale.

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Comparazione delle homepage del Museo Nazionale d’Arte Orientale ‘Giuseppe Tucci’

Vale la pena di leggere la presentazione ufficiale. Dove tutti i musei del mondo indicano i tesoriche contengono, qui si scrive: «Il museo Nazionale d’Arte Orientale Giuseppe Tucci’ è un istitutocon finalità particolari del ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. Sul pianoistituzionale, inoltre, collabora con le Soprintendenze territoriali, anche accogliendo materialiorientali provenienti da altri Musei statali...» eccetera.

Invece di indicare perché un turista dovrebbe varcarne la soglia, gli spiegano che «accolgonomateriali di altri musei».

Le foto della homepage, che dovrebbero stimolare l’internauta, sono una serie di minuscole iconefotografiche rappresentanti anonimi reperti con tanto di numeretto corrispondente. Non si sa a cosa,visto che, sulla homepage, non è spiegato.

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Dettaglio della homepage del Museo Nazionale d’Arte Orientale ‘Giuseppe Tucci’

Al Museo di Arte Asiatica di San Francisco invece, negli stessi giorni del 2013 e del 2014 lehomepage www.asianart.org erano queste: 24 piene di colori, di proposte, di attrattiva.

Comparazione delle homepage del Museo di Arte Asiatica di San Francisco

Mentre quella italiana è immutata e immutabile, la homepage americana è sempre nuova, intermini di grafica, contenuti e stimoli. Una pagina web che vale davvero la pena di visitare anche perl’innovativo stile di scorrimento su differenti livelli, che raramente si vede sui siti nostrani.

Estetica ma anche elaborazioni grafiche studiate per catturare la curiosità e stimolare l’interesse:innovazione tecnologica al servizio della cultura. Settori dell’industria creativa che si incontrano peressere utili l’uno all’altro. Da noi tutto, anche una pagina web, sembra dover passare attraverso leforche caudine degli appalti e della burocrazia. Un ottimo alibi. Certo, mancano le risorse, ma forseun po’ di fantasia per supplire almeno in parte al desolante abbandono attuale non guasterebbe.

Alla fine dell’anno, nel museo di San Francisco sono entrati 200mila visitatori, a fronte degli11mila in quello di Roma.

Nella classifica internazionale dei musei premiati per la presenza sul web, ovviamente non cisiamo, ma potremmo almeno imparare qualcosa proprio dai migliori, come il Rijksmuseum diAmsterdam (2,2 milioni di visitatori). Dal sito Internet25 è possibile accedere a 150mila immaginiche possono essere scaricate in alta qualità e utilizzate dagli utenti per creare le proprie collezioniprivate o per decorare oggetti e ispirarne di nuovi. Raccolte personalizzate condivise sul web e ideeoriginali premiate dallo stesso museo.

Un «gioco» che, nel primo anno dalla riapertura del museo, ha portato sul sito 6 milioni divisitatori. Il sito dei Musei Capitolini, sempre nel 2013, si è fermato sotto il mezzo milione.

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Il termine «visite virtuali» sembra non appartenere nemmeno al nostro vocabolario, almeno non insenso moderno.

Sul sito ufficiale del ministero dei Beni Culturali dedicato alle visite virtuali, per esempio, nellapagina su Pompei il visitatore immagina di avere la possibilità di navigare in soggettiva per lestradine e le case congelate dall’eruzione di 2000 anni fa. Una tecnologia interattiva oggi di facilerealizzazione e a bassissimo costo.

Non si trova niente di tutto questo, invece, ma solo un imbarazzante video sgranato, di pessimaqualità, stile anni ’70. 26 Se non siamo capaci di farlo da soli, allora forse potremmo chiedere a PaulW.S. Anderson, regista del recente film Pompei, di concederci l’uso delle ricostruzioni 3D realizzateper l’occasione; sarebbe già qualcosa. Ma meglio ancora sarebbe lanciare un premio nazionale per lemigliaia di giovani appassionati di creatività e cultura digitale che potrebbero consegnare alministero opere digitali non solo al passo con i tempi, ma soprattutto in grado di coinvolgere epromuovere nuova domanda meglio di qualunque altro strumento autoreferenziale e convenzionale.

A oggi, invece, il modo migliore per viaggiare via Internet tra le rovine di Pompei è utilizzareStreetView di Google. Un’azienda privata americana ci offre quello che noi avremmo potuto edovuto fare da molti anni.

La rappresentazione virtuale sarà il terreno su cui verrà generata una parte della ricchezza futuraproveniente dal patrimonio culturale. Rappresentazioni 3D, percorsi interattivi con la possibilità dimuoversi attraverso filmati seguendo la mappa geografica del terreno, da Pompei ai Fori Imperiali diRoma, tra le calli di Venezia o i vicoli di Siena, in quella che, facendo il verso a Google Earth, sipotrebbe chiamare Italy Heart.

Arte o «prodotto»?

Per recuperare qualche soldo e fare promozione del nostro Paese il governo Letta, nel 2013, includenel Decreto del Fare alcune facilitazioni nella gestione delle opere d’arte che possono usciredall’Italia, tra cui la possibilità di affittare quelle che stanno nei magazzini.

Si tratta di opere «non esposte alla pubblica fruizione», ossia che nessuno vede e forse mai vedrà,che devono essere affidate a istituzioni museali, e non a privati, «che ne garantiscano la corretta eadeguata conservazione e protezione e si impegnino a esporli alla pubblica fruizione». Durata,massimo 10 anni estendibili fino a 20. Poi tornano a casa.

Dal mondo dell’arte si sono alzate forti polemiche. Da un lato accademici come TomasoMontanari hanno puntato il dito contro la norma, accusata di trasformare le opere d’arte in «escort»da offrire al miglior offerente, di svendere il patrimonio culturale, di mercificare il valore intrinsecodella cultura e della bellezza. Dall’altro voci come quella di Gabriella Belli, direttrice dei MuseiCivici di Venezia, la ritengono un’utile occasione almeno per portare la nostra arte nel mondo. Se poiarriva qualche quattrino meglio.

Affiancare la parola «profitto economico» all’arte fa venire l’orticaria a molti. Eppure ci sonodegli esempi che potrebbero indicare una via di compromesso realizzabile.

Nel 2008 il Louvre, il faro mondiale per il mondo museale, ha stipulato un accordo con l’HighMuseum of Art di Atlanta. Si tratta di un vero e proprio contratto d’affitto di 185 opere in cambio di13 milioni di euro, con i quali il museo francese ha pagato i lavori di restauro delle sale parigine

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stabilendo inoltre un’«antenna» del Louvre in terra americana, diffondendo ulteriormente il brand delcolosso transalpino oltreoceano e stimolando così la visita della sede madre.

Il marketing e il merchandising, così come le competenze di branding e reputation, sono altristrumenti sottoutilizzati.

Solo la valorizzazione del brand, per il solito Louvre, vale il 37%. In Italia i dati sono difficili dareperire perché, mentre il bilancio del Louvre è disponibile sul loro sito, da noi questo tipo diinformazioni sono tenute segretissime.

Tenendo ancora il Louvre come esempio, è possibile capire quanto e come funzioni un altro deimetodi per trovare i soldi che mancano all’appello: il crowdfunding e il fundraising, che non sonosinonimi come si potrebbe pensare.

Il fundraising (raccolta di fondi) è la rete di relazioni, la strategia di alimentazione finanziaria persostenere un ente.

Il crowdfunding (finanziamento di massa dal basso) è il meccanismo per raccogliere soldi, anchein piccole quantità, attraverso le piattaforme dedicate e i singoli professionisti.

Con il fundraising il Louvre ha raccolto un milione di euro per comprare un quadro (Le tre graziedi Lucas Cranach il Vecchio); la Tate Gallery è finanziata per il 60% dai privati attraverso questeforme di raccolta. E l’ingresso è gratuito.

Da noi c’è l’esempio del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci, aMilano. Ha 60 anni ma non li dimostra, visto che nel 2011 i biglietti venduti sono aumentati del 36%ma soprattutto che la componente di autofinanziamento è diventata più importante. Il risultato è cheoggi biglietteria, visite guidate, merchandising e progetti di raccolta fondi hanno superato lacomponente di finanziamento pubblico.

Anche l’ingresso sul panorama museale delle fondazioni culturali ha portato un fortecambiamento.

A Venezia il MUVE, che gestisce gli 11 Musei Civici della città, è una fondazione a socio unico:il Comune. Organizzazione, gestione efficiente e manageriale, promozione, sponsorizzazionisembrano avere portato buoni risultati, visto che i bilanci sono in attivo e che sostanzialmente nonattingono alle casse pubbliche grazie all’autofinanziamento, che ormai copre la quasi totalità deicosti.

Hanno ragione gli esperti del settore, a mantenere alta l’attenzione affinché il patrimonio nonvenga svenduto a nessun privato e a rivendicare un ruolo più efficiente da parte dello Stato, che nondeve abdicare dal suo ruolo primario di tutela, conservazione e promozione. Ma un buon equilibriotra controllo pubblico e gestione più snella, come avviene nelle Fondazioni, potrebbe essere un buoncompromesso.

Ma, più di tutto, forse servirebbe una completa rivoluzione culturale che riparta dal basso, dallescuole, dall’educazione, dal pensiero di un’intera società, cosciente del valore di cui dispone. Nelnostro recente passato le scelte della politica spesso sono andate nella direzione opposta, minando laformazione delle coscienze fin dalle fondamenta. Nella terra con il maggior numero di patrimonidell’umanità, grazie a una legge, le lezioni di Storia dell’Arte sono state fortemente ridotte negliistituti tecnici ed eliminate in quelli professionali, impedendo così a una parte dei futuri cittadini diessere educati alla bellezza e alla conoscenza del nostro patrimonio. Oltre al danno concreto è stato

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dato un segno dal forte valore simbolico riguardo a che cosa abbia valore e che cosa non lo abbianella visione del nostro Paese. Si potrebbe cominciare proprio da qui, dalle scelte che chi ci governadeve compiere per ricostruire la base della nostra società, rimettendo la bellezza e la cultura alvertice della piramide, rifondando l’intero sistema per far ripartire lo sviluppo.

16. http://www.theartnewspaper.com/attfig/attfig12.pdf17. http://www.statistica.beniculturali.it/RILEVAZIONI/MUSEI/Anno%202013/MUSEI_TAVOLA1_2013.pdf18. http://www.theartnewspaper.com/attfig/attfig12.pdf19. http://www.statistica.beniculturali.it/RILEVAZIONI/MUSEI/Anno%202013/MUSEI_TAVOLA1_2013.pdf20. http://www.louvre.fr21.http://www.repubblica.it/cronaca/2010/03/18/news/sicilia_al_museo_pi_custodi_che_visitatori_record_a_ravanusa_dieci_addetti_zero_biglietti-2729313/22. http://www.tripadvisor.it/TravelersChoice-Attractions-cMuseums-g123. http://www.museorientale.beniculturali.it24. http://www.asianart.org25. https://www.rijksmuseum.nl/en26. http://www.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sito-MiBAC/Contenuti/LuoghiDellaCultura/ViaggiVirtuali/visualizza_asset.html_604558388.html