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Alma Mater Studiorum - Università di BolognaDipartimento di Archeologia

LE RICERCHE DELLE MISSIONI ARCHEOLOGICHE IN ALBANIA

NELLA RICORRENZA DEI DIECI ANNI DI SCAVI DELL’UNIVERSITÀ DI BOLOGNA A PHOINIKE (2000-2010)

Atti della Giornata di Studi (Università di Bologna, 10 novembre 2010)

a cura di Sandro De Maria

ESTRATTO

Volume realizzato con il contributo di:Alma Mater Studiorum - Università di Bologna

La Missione Archeologica Italiana a Phoinike è sostenuta da:Ministero degli Affari EsteriDirezione Generale per la Promozione del Sistema Paese

Per le abbreviazioni delle riviste si sono seguite le norme dell’Archäologische Bibliographie

© 2012 Ante Quem soc. coop.© 2012 Dipartimento di Archeologia dell’Università di Bologna

Ante Quem soc. coop.Via San Petronio Vecchio 6, 40125 Bologna - tel. e fax +39 051 4211109www.antequem.it

redazione e impaginazione: Cristina Servadei

ISBN 978-88-7849-067-3

IndIcE

InterventI IntroduttIvI aI lavorI

L’Alma Mater in Albania. Gli scavi di Phoinike Ivano Dionigi 9

Il Dipartimento di Archeologia e la Missione a Phoinike Giuseppe Sassatelli 11

Il Ministero degli Affari Esteri a sostegno della ricerca archeologica italiana in Albania Mario Bova 13

Il “progetto Phoinike” e il suo significato per l’archeologia albanese Muzafer Korkuti 17

relazIonI

Storia delle ricerche archeologiche a PhoinikeShpresa Gjongecaj 21

Dieci anni di attività archeologiche a Phoinike. Ricerca, formazione, valorizzazioneSandro De Maria 27

A new topographic history of Butrint, ancient Buthrotum Richard Hodges 53

Découvertes récentes à Apollonia d’IllyrieJean-Luc Lamboley, Faïk Drini, Altin Skenderaj 79

Ricerche, studi e scavi italo-albanesi a Durrës fra 2001 e 2010. Un primo bilancioSara Santoro 91

Le indagini archeologiche ad Hadrianopolis (Sophratikë) e nel territorio della valle delDrino (campagne 2008-2010). Per una prima sintesi storica dei risultati Roberto Perna 111

Alcuni risultati preliminari degli scavi albano-svizzeri 2007-2010 a OrikosGionata Consagra, Jean-Paul Descœudres 131

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RiceRche, studi e scavi italo-albanesi a duRRës fRa 2001 e 2010. un pRimo bilancio

Sara Santoro

il pRogetto duRRës

Come spesso avviene nella ricerca scientifica, che nasce anzitutto dagli uomini e dai loro rapporti interpersonali, anche le nostre ricerche a Durrës sono nate da una serie di circostanze casuali, legate a vicende personali, che ho qualche pudore a raccontare. Rievocarle, tuttavia, può servire a ricordare con affetto, e ringraziare, i tanti amici e collaboratori a cui la Missione Archeologica Italiana a Durrës deve la sua esistenza e i suoi successi ed anche a ricollocarla nel quadro ampio e complesso delle iniziative ita-liane in un’Albania appena uscita dall’emergenza, fra 2000 e 2001, iniziative di cui la Missione Archeologica dell’Università di Bologna a Phoinike è stata capofila e modello. Nell’inevitabile autoreferenzialità, di cui mi scuso, questo testo può inoltre aiutare a ritrovare il fil rouge che lega le differenti attività della nostra Missione. Tutte hanno avuto un tema comune: un’archeologia della città, un’archeologia per la città (Fig. 1).

Nei primi giorni di settembre 2001 ero andata a Tirana a fare qualche lezione nell’am-bito di un progetto dell’Università di Bologna1 sul tema delle potenzialità della piccola impresa culturale (editoria e multimedia, turismo, marketing, organizzazione di eventi,

1 Progetto di analisi, studio e formazione per la realizzazione di una collaborazione fra organizza-zioni delle piccole e medie imprese italiane e albanesi per la creazione e lo sviluppo della impren-ditorialità, Albania 2001-2002, UNIBO-Ministero Affari Esteri D.G.F.C.C., contributo ai sensi della l. 401/90, coordinatore prof. M. Bianchi.

1. Durrës 2009: panoramica del centro storico: boulevard, anfi-teatro, colline

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restauro). In quella occasione, su sollecitazione di un buon amico e collaboratore, l’atti-vissimo direttore dei Musei Civici di Udine, Maurizio Buora, avevo incontrato il coordi-natore di UNOPS2 a Durrës, Davide Chiavegatti, che era a sua volta amico di Buora e che gli aveva proposto di intervenire in possibili progetti di cooperazione decentrata allo sviluppo in Albania nel settore dei beni culturali. Buora, davanti ad un mitico risotto friulano, me ne aveva parlato con entusiasmo, proponendomi di far qualcosa insieme.

L’Albania, allora, era tutta scoprire. Molti anni prima, dal traghetto, andando in Gre-cia per un viaggio di studio e passando all’alba davanti a Corfù, avevo visto le sue mon-tagne boscose fino al mare, le sue coste selvagge e qualcuno accanto a me aveva rievocato le sue ricchezze archeologiche, favolose, che da decenni nessuno aveva più visto. In quello stesso viaggio, a Dodona, scostando le sacre fronde del boschetto, avevamo guardato con curiosità la vallata oltre la quale si dispiegavano le quinte ininterrotte di montagne di quel paese ancora chiuso al resto del mondo.

Nel 2001 l’Albania era un paese appena uscito dall’emergenza e tutto da ricostru-ire: un pizzico di sapore di avventura condiva la voglia di partecipare a quella rico-struzione di un popolo tanto vicino e così strettamente legato alla nostra storia. Un anno prima, con molto coraggio, in una situazione difficilissima ma con l’orgoglio di riprendere un filo interrotto ma non spezzato, per iniziativa di Sandro De Maria il Dipartimento di Archeologia dell’Università di Bologna, quello dal quale anch’io venivo, aveva ripreso la Missione Italiana a Phoinike e, nonostante le mille difficoltà, i primi risultati erano già molto interessanti.

Davide Chiavegatti mi parlò di quella agenzia delle Nazioni Unite, UNOPS, del suo programma di supporto ai progetti di sviluppo (PASARP), degli scopi e delle ini-ziative della cooperazione decentrata, tutto un mondo che non conoscevo3 e mi portò a Durrës, in un caldo pomeriggio settembrino. La città aveva un aspetto disastrato, il porto ancora presidiato da un fortino della marina italiana cinto di filo spinato, ma cominciava ad essere investita da una forte speculazione edilizia, che minacciava con nuove costruzioni il centro storico e gli edifici antichi già messi in luce, come lo straor-dinario macellum scoperto una dozzina di anni prima nel cuore della città.

L’edificio del nuovo museo, sul lungomare, era imponente, appena costruito, ma all’interno i materiali erano tutti da sistemare, restaurare, studiare. Il direttore Afrim Hoti mi mostrò gli affreschi romani, stesi su un tavolo in attesa di un restauro che in quel momento, in Albania, nessuno sapeva fare. Mancava la corrente elettrica, come sempre. Illuminandoli con l’accendino, Afrim mi guardò con i suoi occhi azzurri, sem-pre così diretti e sinceri, e mi disse, semplicemente: aiutami. Quei materiali straordinari li aveva salvati lui, con due guardiani, barricati dentro al museo, difendendoli notte e giorno nei giorni della tumultuosa “transizione alla democrazia”. La comunità scientifica internazionale dovrà sempre essergli grata per questa sua devozione esemplare.

Tornata a Parma, dopo aver riflettuto e discusso con Buora e Chiavegatti, stendem-mo un progetto di cooperazione che avrebbe potuto essere supportato da UNOPS, dai Musei Civici di Udine e dall’Università di Parma, dove lavoravo come unica archeolo-ga, ma con un folto gruppo di allievi molto motivati e già collaudati in altri progetti di scavo e valorizzazione. Non si sarebbe trattato, infatti, di una missione archeologica tradizionale, dedicata allo scavo e al restauro di un sito archeologico, ma un progetto mirato ad obiettivi più propri della cooperazione allo sviluppo: la formazione e riqua-lificazione del personale ed il sostegno alle attività del Museo, la valorizzazione del

2 United Nation Office for Project Service (http://www.unops.org) è un’agenzia delle Nazioni Uni-te che opera con progetti diretti allo sviluppo umano. In Albania ha gestito il progetto PASARP (Programme of Activities in Support of Albanian Regions and Prefectures) nelle regioni di Dur-rës, Scutari e Valona; il progetto PASARP, un programma ponte fra l’emergenza e lo sviluppo, è stato finanziato dal Ministero degli Affari Esteri italiano attraverso fondi per la cooperazione internazionale e da alcune Regioni nell’ambito della cooperazione decentrata.

3 Sui concetti-chiave e il quadro istituzionale del progetto Durrës vedi Bonini 2006.

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patrimonio archeologico e la diffusione della sua conoscenza e soprattutto la realiz-zazione di un indispensabile strumento di gestione urbanistica, una carta del rischio archeologico, secondo gli esempi che proprio in quegli anni si andavano realizzando in Italia, ed anzi proprio nella mia città, Cesena, e nella mia regione, all’avanguardia in quel momento in questo settore4. Con quel progetto in mano andai dal Rettore a chiedergli l’autorizzazione ad operare e un po’ di fondi per partire. Era il pomeriggio dell’11 settembre 2001 e sembrava che tutto il nostro mondo stesse crollando.

Il Rettore Ferretti è un ingegnere, quadrato come sono gli ingegneri ed anzi di più, essendo di Reggio Emilia, ma per l’archeologia, questa strana disciplina che dall’esterno sembra a tutti un po’ utopistica, aveva sempre avuto attenzione. Mi aveva aiutato quando gli avevo chiesto un piccolo finanziamento per le ricerche sulla ceramica di Pantelleria e per gli scavi di Castelraimondo, in Friuli e gli era piaciuto visitare il parco archeologico allora in costruzione. A quel tempo, un rettore aveva ancora qualche autonomia e possi-bilità, pur modesta, per sostenere ricerche ed iniziative particolari; più tardi, mille lacci burocratici e finanziari legarono le mani anche a chi aveva voglia e spirito per fare.

Quel giorno drammatico, il Rettore Ferretti mi ascoltò con attenzione e mi autorizzò ad aprire il progetto. Davanti ai miei timori per la contingenza drammatica in cui ci tro-vavamo, mi ricordò che, proprio quando tutto sembra crollare, è dovere degli uomini di cultura portare avanti con fermezza i valori in cui credono. Non l’ho mai dimenticato.

Così, a partire dal 2002 e fino al 2004 prese vita il Progetto Durrës, un’azione di cooperazione internazionale decentrata svolta da PASARP Durrës, Università di Par-ma, Musei Civici di Udine e Dipartimento di Archeologia di Durrës (sezione decen-trata dell’Istituto di Archeologia d’Albania , che a quel tempo dipendeva dall’Acca-demia delle Scienze). Nella dichiarazione degli accordi su cui si basava, gli obiettivi generali erano la salvaguardia, valorizzazione e fruizione dei beni archeologici della città e del territorio attraverso il supporto agli scambi e alla collaborazione scienti-fica e tecnologica, al restauro, alla formazione professionale e dell’imprenditoria nel settore culturale, alla programmazione urbanistica e alla promozione del patrimonio archeologico di Durrës in Albania e all’estero.

Il progetto, fondato su tre concetti guida (conoscenza, formazione, tutela), era articolato in singole azioni-prodotti, concertate e messe in atto da tutte le parti coinvolte (italiana, albanese e internazionale, rappresentata da UNOPS) ed ambizio-samente elencate in una flow chart5.

L’idea di partenza era la necessità di una conoscenza migliore, quantitativa e qua-litativa, del patrimonio archeologico della città, come strumento indispensabile alla sua tutela.

Lo sviluppo economico ed edilizio di Durrës aveva moltiplicato negli ultimi anni i casi di intercettazione della stratigrafia archeologica. La caratteristica comune a tutte queste scoperte era quella di essere nate dall’emergenza, non da un’attività di ricerca programmata né da un protocollo di diagnosi preventiva del rischio archeo-logico sistematicamente applicato. Sottoposte alle cogenti necessità dell’urgenza e condizionate da una gravissima carenza di mezzi, molte di queste scoperte non erano state documentate sufficientemente e non erano state poste in relazione le une con le altre, all’interno di una planimetria urbana che ne consentisse la comprensione attraverso le relazioni reciproche, costruendo una visione organica della città anti-ca e permettendo una qualche previsionalità del rischio archeologico. Moltissimo restava affidato alla memoria dei protagonisti di quelle scoperte, in una situazione estremamente rischiosa di conservazione dei dati, oltre che delle strutture. Anche i monumenti già posti in luce erano minacciati dalle nuove costruzioni e soffocati da

4 AlBerti, Gelichi, liBrenti 1999; Gelichi 2001; GuermAndi 2001; progetto C.A.R.T. Carta Ar-cheologica del Rischio Territoriale (IBC-SAER-CNR).

5 SAntoro 2003, fig.1.

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queste, senza aree di rispetto che ne consentissero una valorizzazio-ne ed una fruizione pubblica, con grave pregiudizio delle possibili vocazioni turistiche della città.

Anzitutto, dunque, era necessa-rio raccogliere tutte le informazio-ni disponibili, relative ai rinveni-menti nell’area urbana, vagliarne l’attendibilità, provvedere a loca-lizzarle con precisione e a catalo-garle e renderle quindi disponibili ad amministratori ed imprendito-ri, elaborando concretamente una

proposta di gradazione dei provvedimenti di tutela preventiva ed esercitando conte-stualmente una forte pressione, tramite le agenzie internazionali e un’opinione pub-blica opportunamente sensibilizzata, affinché fossero adottate le misure legislative necessarie per attuarla. In sostanza, la prima azione/prodotto doveva essere, e fu, una carta del rischio archeologico su piattaforma GIS, molto stringata nella parte delle schede di catalogazione dei rinvenimenti (la parte più propriamente archeologica), ma completa nei rimandi bibliografici e documentali che giustificavano le proposte di tutela e redatta nelle due lingue, italiano ed albanese: era concepita dunque anzi-tutto come strumento di gestione urbanistica per gli amministratori della città, che la accolsero infatti con entusiasmo, e come strumento di conoscenza e informazione per gli imprenditori edili, perché fossero consapevoli dei rischi che affrontavano in-traprendendo costruzioni soprattutto nel centro storico della città (Figg. 2-3).

In linea generale, una carta del rischio archeologico deve registrare e documentare con rigore scientifico la collocazione, profondità, ingombro e natura delle strutture archeologiche intercettate nel tempo. Essa è qualcosa di più di un ordinato ed esau-stivo catasto dei ritrovamenti archeologici, che è pure una delle funzioni principali

Le ricerche delle Missioni Archeologiche in Albania

2. Durrës 2002: realizzazione della Carta del Rischio Archeologico. Operatori UNIPR al lavoro sul torrione settentrio-nale delle mura bizantine. Sullo sfondo, il porto

3. Carta del Rischio Archeolo-gico, elab. 2008: posizionamento degli ingombri dei siti sulla foto aerea 1928 (base aerofototeca IGM Firenze, elab. Monti)

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della cartografia archeologica. Può infatti valutare le potenzialità di questo “archivio sotterraneo” anche attraverso elaborazioni previsionali, fondate sulla prevedibilità dei comportamenti abitativi umani in ambienti determinati, sulla struttura e densità insediativa e sulla sequenza stratigrafica. Quest’ultimo aspetto non è stato sviluppa-to nelle edizioni del 2003 e del 2004 e nei suoi successivi aggiornamenti6, bastando a definire le aree di rischio le numerosissime attestazioni di strutture effettivamente intercettate. Per l’emissione del vincolo, infatti, occorre la concreta individuazione del bene da preservare, non la presunzione della sua esistenza. Gli aspetti previsiona-li e le riflessioni ed elaborazioni di carattere più propriamente storico-archeologico finalizzate ad una conoscenza più compiuta ed organica del divenire storico dell’abi-tato, furono dunque rinviate ad un momento successivo di elaborazione scientifica.

Realizzata nel corso del 2002, consegnata nel febbraio 20037, pubblicata in lin-gua italiana con un’ampia premessa metodologica nel 20048, la Carta del Rischio Archeologico di Durrës è stata aggiornata con le nuove scoperte fino al 2007, quan-do il nostro partner albanese, il Dipartimento di Archeologia di Durrës, fu sciolto nell’ambito di una riforma degli organi di tutela ancora oggi non conclusa. È stata poi rivista completamente ed arricchita nella parte propriamente archeologica, in occasione di una tesi di dottorato che sarà presto pubblicata9.

Fin dalla sua prima configurazione, la carta del rischio archeologico della città di Durrës registra e documenta i rinvenimenti archeologici di strutture e stratigrafie (escludendo quindi i soli reperti mobili) sulla base della bibliografia, albanese ed inter-nazionale, della documentazione d’archivio del Dipartimento di Archeologia di Durrës (DAD) e degli archivi personali e delle testimonianze dei collaboratori (in particolare A. Hoti ed E. Shehi), delle fotografie dell’archivio storico aerofotografico dell’Istituto Geografico Militare di Firenze (voli 1928 e 1937). Il DAD era garante della correttezza ed esaustività della propria documentazione. La valutazione dei dati è stata condotta in collaborazione fra DAD e Università di Parma. Il posizionamento e l’indicazione degli ingombri è stato fatto sulla carta catastale in scala 1:2500, nel suo più recente aggiorna-mento (anni Novanta) fornita dal Municipio di Durrës, che ne garantiva l’accuratezza. Ulteriori misure e rilievi topografici sono stati condotti dai tecnici italiani ed integrati nella carta, georeferenziati e posizionati anche sulla fotografia aerea. L’impianto scien-tifico della carta, il coordinamento e la progettazione del sistema informativo sono stati realizzati dagli operatori dell’Università di Parma (Santoro, Monti). La carta integra, inoltre, la ricognizione sistematica di superficie nell’area collinare fra la città e Porto Romano condotta nel 2000-2001 dall’International Center of Albanian Archaeology di Tirana, avvalendosi di un pool di studiosi anglo-americani e albanesi delle Università di Cambridge, Cincinnati, Tirana con il sostegno del Packard Humanities Institute10. Lo strumento fornisce, infine, valutazioni sul rischio e sulle potenzialità delle risorse archeologiche della città. Propone di conseguenza provvedimenti di tutela opportuna-mente graduati, secondo un concetto qualitativo oltre che quantitativo.

Nella sua attuale configurazione (2010), la Carta si è trasformata da strumento di gestione e programmazione a strumento di ricerca e previsione. Attraverso la recente implementazione dei dati tratti dalla lettura geomorfologica e geoarcheologica delle stratigrafie, la Carta oggi permette non solo di effettuare previsioni di rischio notevol-mente più affidabili, ma anche di potenziare al massimo la conoscenza delle trasforma-zioni morfologiche intervenute attraverso i secoli, causate dai terremoti e bradisismi, da variazioni di livello del mare, dal dissesto dei versanti della collina sovrastante la

6 CRA Durrës 2003; SAntoro et alii 2004.7 CRA Durrës 2003.8 SAntoro et alii 2004; SAntoro, monti 2004.9 SASSi c.d.s.10 dAviS et alii 2003.

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città: queste trasformazio-ni nei duemila e settecen-to anni di storia urbana sono state molto rilevanti ed una loro migliore co-noscenza consentirà una progettazione edilizia più adeguata alla prevenzione dei rovinosi effetti delle catastrofi naturali, a cui la città è andata soggetta più volte nel corso della sua lunga storia. Da un pun-to di vista tecnico, inoltre, l’intera architettura della piattaforma GIS si è tra-

sformata, passando da un sistema basato sulla predominanza di livelli informativi raster bidimensionali ad un sistema vettoriale e tridimensionale. Lo scopo è quello di realizzare un modello tridimensionale della città antica e delle sue trasformazioni nel tempo, correlando le evidenze archeologiche e quelle ambientali.

Al momento della sua prima realizzazione, fu subito realizzato, nell’ambito del Progetto Durrës ed in collaborazione con l’Università di Bologna, un corso di ag-giornamento per i funzionari dell’amministrazione pubblica per la sua utilizzazione ed implementazione e furono fatte presentazioni pubbliche, soprattutto mirate agli imprenditori edili, per spiegarne i contenuti e le finalità (Fig. 4).

Nel frattempo, il governo albanese aveva promulgato una nuova legge di tutela (Legge nr. 9048 del 07.04.2003, relatore l’on. N. Ceka), in cui si introduceva l’ob-bligo della verifica preventiva per le concessioni edili delle aree urbane e territoriali riconosciute di interesse archeologico, sulla base di carte redatte dall’Istituto dei Monumenti di Cultura in collaborazione con l’Istituto di Archeologia sul modello della nostra Carta del Rischio. Ne fummo molto lusingati ed orgogliosi: raramente è data all’archeologo la possibilità di incidere in modo così immediato sulla società in cui lavora. Si integrava in tal modo la pianificazione urbanistica, di competenza degli Enti locali, con la tutela del patrimonio archeologico, culturale ed ambientale, di competenza dello Stato. Lo scopo era quello di coniugare la salvaguardia di un patrimonio della collettività con le esigenze di sviluppo di questa stessa comunità: due istanze diverse ma non inconciliabili laddove si riesca ad individuare un punto di equilibrio attraverso la discussione libera e democratica e la scelta politica respon-sabile. All’interno dei piani regolatori generali (PRG) adottati attraverso procedure di confronto e concertazione, laddove si pianifica lo sviluppo urbano e si prevedono i comportamenti di crescita e trasformazione, è infatti possibile superare la rigidezza dello strumento giuridico del vincolo graduando la tutela archeologica e preveden-done le varie forme e indirizzando l’espansione urbanistica verso le aree a minor ri-schio. Tutto questo, tuttavia, è teoria; nella pratica, in Italia ed ancor più in Albania, la situazione era ancora molto complicata11.

La nuova legge albanese, rispetto a quelle precedenti della fase comunista, ma soprattutto alla de-legislazione della transizione, certamente riaffermava l’impor-tanza del patrimonio sepolto, di cui dichiarava ancora una volta l’intangibilità; in più, faceva dell’archeologia uno dei rischi imprenditoriali, imponendone gli oneri

11 Sul dibattitto attorno all’archeologia preventiva vedi d’AndreA, GuermAndi 2008; mAlnAti 2010; SASSi, chieSi 2010.

4. Durrës 16.12. 2003: Museo Archeologico: presentazione della Carta del Rischio Archeologico da parte del Sindaco L. Koka

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ai costruttori. Le multe comminate agli inadempienti, tuttavia, erano già allora ir-risorie rispetto all’entità degli investimenti e dei possibili guadagni e l’attribuzio-ne delle competenze relative a queste verifiche preventive era macchinosa, con una serie di nulla osta incrociati che, nelle more dell’emanazione dei decreti attuativi, lasciavano spazio alla pressione speculativa. Se dunque da un lato la nostra Carta, e le iniziative che ad essa avevamo collegato per sensibilizzare l’opinione pubblica sul valore del patrimonio storico-archeologico di Durrës (le conferenze, i convegni, la formazione) sembravano aver sortito l’effetto voluto, quello di far pressione sul legislatore, dall’altro fra spinte al decentramento e controspinte all’accentramento delle funzioni di tutela restava una pericolosa ambiguità nelle competenze (Istituto dei Monumenti di Cultura, Istituto di Archeologia, Amministrazioni locali). In ef-fetti, l’ambiguità era alla radice, nell’atteggiamento mentale degli amministratori sia centrali che periferici, convinti sì della necessità della tutela ma anche tesi alla modernizzazione della città, a trasformarne completamente il volto adeguandola ad un modello (quello di Rimini, per la parte della “spiaggia”, quello di New York come waterfront e sky line della parte storica) del tutto nuovo e diverso da un “prima” che si voleva dimenticare. La prova di questo stato di cose l’avemmo quasi subito: il sindaco della città, che aveva supportato con entusiasmo il progetto della carta, ritengo in perfetta buona fede, non aveva comunque esitato a far costruire una casa di sua proprietà sul mosaico, non asportato, della cd. basilica civile, una costruzione di IV sec. d.C. messa in luce da scavi del decennio precedente, avendo un regolare permesso di costruzione rilasciato qualche tempo prima. Non c’è da scandalizzarsi, il nostro paese non è certo esente da scempi del genere. C’è piuttosto da rimboccarsi le maniche per creare, nel Mediterraneo così ricco di resti archeologici e di città a continuità di vita, una differente cultura dell’approccio alla tutela, che la veda come chance e non come impedimento, e bisogna pretendere da architetti e costruttori uno sforzo creativo, o anche semplicemente l’applicazione di qualche tecnologia ormai di routine, che consenta di salvare il patrimonio archeologico sepolto pur senza rinun-ciare alla possibilità di rinnovare l’edilizia della città12.

Ancora oggi, e pur con tutti i suoi limiti (anzitutto una brutta base cartografica, ma era l’unica allora disponibile), la Carta costituisce il punto di partenza per ogni seria riflessione di carattere urbanistico sulla città antica e le sue possibilità di tutela, aggan-ciando i rinvenimenti alla situazione attuale dell’edificato, ma le gradazioni di rischio e soprattutto l’estensione dell’area a rischio maggiore sarebbero da rivedere ed espandere, alla luce delle nuove scoperte e della conoscenza e comprensione dello sviluppo areale della città antica, recentemente acquisite grazie ai tanti studi condotti13.

Nel tempo, l’esperienza della carta del rischio archeologico si è dimostrata co-munque positiva: nel Master Plan dell’area centrale urbana, redatto nel 2007 da un’équipe italo-albanese vincitrice di un concorso internazionale14, la tav. 6 e il rela-tivo quaderno assumono la CRA integralmente, facendo proprie le sue proposte di tutela ed anche quelle di valorizzazione attraverso percorsi turistico-culturali attrez-zati. Un estratto della CRA con le ultime integrazioni ad essa apportate, relativo a piazza Liria cioè la piazza centrale della città, è stata fra i documenti preparatori e preliminari forniti nel concorso internazionale di architettura per la rivitalizzazione della piazza stessa15. L’archeologia dunque, ha continuato ad essere presente nella gestione della città attuale e futura, almeno (è il caso di dirlo) sulla carta.

12 cArAndini 2008, pp. 152-157.13 Per una sintesi cfr. SAntoro c.d.s.14 Plan for the Central Area of the town of Durrës, approvato dal Territory Adjusting Council of the

Albania Republic il 26.X.2007, team leader prof. Piero Rovigatti.15 International Competition “Revitalization Liria Square”, promosso da INARCH e dal Forum del-

le città Adriatico-Ioniche, indetto dall’Amministrazione municipale di Durrës e svolto fra giugno 2008 e gennaio 2009, per cui vedi roviGAtti 2010, in part. pp. 26-31.

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La convinzione che la buona tutela si basa sull’esistenza di figure professionali in grado di realizzare restauri, attività didattiche, valorizzazione turistica ha ispirato un segmento importante del Progetto Durrës, quello formativo. Queste figure non man-cavano nelle istituzioni locali, ma dopo quarant’anni di chiusura verso la cultura euro-pea e i suoi progressi teorici e tecnici, avevano necessità di aggiornamento e di essere accompagnate in un percorso di maggior responsabilità e intraprendenza anche indi-viduale. Una parte considerevole del Progetto fu dedicata alla formazione di operatori di imprese culturali che potessero lavorare in questo settore, attraverso corsi e stages a Durrës ed in Italia svolti in collaborazione con i già ricordati corsi di formazione allo sviluppo della piccola impresa culturale dell’Università di Bologna, corsi che hanno coinvolto saperi molto differenti tra loro, come l’economia, la comunicazione e la di-dattica ed hanno riguardato diverse decine di persone. Il risultato di questa formazione è stata la costituzione di alcune micro-imprese nel campo dell’editoria e del turismo, aggregate nell’Associazione Culturale E.D.D., che ha realizzato materialmente le mo-stre organizzate nell’ambito del progetto, in Albania e in Italia, il relativo materiale illustrativo e l’attività didattica e di animazione ad esse connesso. Il modello di strate-gia e supporto organizzativo a cui ci si è ispirati è stato, infatti, quello del committment (ma anche degli spin off di cui si cominciavano a vedere applicazioni) in cui alla neonata impresa si fornisce una prima commessa, che le consenta di iniziare ad operare e al tempo stesso il necessario supporto tecnico-scientifico. E.D.D. è sopravvissuta alcuni anni, ma alcune delle micro-imprese che ne facevano parte continuano a lavorare con un discreto successo, soprattutto nei settori dell’editoria, della stampa e del turismo. Il settore del restauro, nel quale ci limitammo ad aggiornare un poco le competenze del personale esistente presso il Museo Archeologico, richiedeva ben altri mezzi finanziari, scientifici ed organizzativi, quelli che riuscì a mettere in campo, qualche anno dopo, l’Università di Bologna con la sua Scuola di restauro di Saranda, formando finalmente una generazione di restauratori bravissimi e preziosissimi.

Sotto la voce “conoscenza”, ol-tre che “formazione”, vanno po-sti i diversi incontri scientifici, workshop e seminari organizzati nell’ambito del progetto fra 2002 e 2004, ed in particolare i tre incontri scientifici internaziona-li sul tema della conoscenza dei beni culturali albanesi, intesi in una larga accezione, comprensiva del patrimonio archivistico, stori-co artistico ed architettonico, sul tema degli strumenti per la loro salvaguardia, quali le carte del ri-schio e la catalogazione informa-tizzata, e sulle nuove tecnologie di diagnostica geofisica, rilievo e documentazione per la loro inda-gine (Progetto Durrës I e II). Gli atti di quei convegni sono stati anche l’occasione per fare il punto sulle conoscenze dell’urbanistica antica di Durrës e del suo ruolo nel mondo mediterraneo, base per gli sviluppi successivi del proget-to, più propriamente archeologici

5. Parma 23.1.2005: sede centrale dell’Università: il Rettore G. Ferretti e l’on. N. Ceka inaugurano la mostra fotografica Durrës. Tremila anni di civiltà nella versione italiana

6. Parma 23.1.2005: sede centrale dell’Università: studenti in visita alla mostra Durrës. Tremila anni di civiltà

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ed anche per costruire manifestazioni pubbliche volte a far conoscere quel patrimonio, in Albania e all’estero, oltre che a sensibilizzare l’opinione pubblica alla tutela. Andava in quest’ultima direzione l’organizzazione di una mostra fotografica trilingue (albanese, inglese, italiano) dal titolo Durrës. Tremila anni di civiltà, allestita nell’estate 2004 nelle gallerie dell’anfiteatro romano della città, corredata di una piccola guida anch’essa nel-le tre lingue. La mostra intendeva illustrare la lunghissima e straordinaria vicenda di civiltà di questa città adriatica, diffondendone la conoscenza anche al di fuori dell’Al-bania, e al tempo stesso segnava la riproposizione al pubblico locale, ed anche a quel turismo culturale che cominciava timidamente a comparire, del grandioso anfiteatro, solo parzialmente scavato in anni abbastanza recenti ma che in quel momento versava in condizioni di sconfortante degrado. La mostra fu poi allestita nell’inverno presso l’Università di Parma (Figg. 5-6), riallestita nuovamente nell’anfiteatro di Durrës nel-l’estate 2005 (e in quelle successive), fu presentata alla Borsa del Turismo Archeologi-co Mediterraneo di Paestum nel 2005 e nello stesso anno all’Istituto di Archeologia dell’Università di Varsavia, ed infine nella sede dell’ambasciata d’Albania a Varsavia e a Roma. Credo che, pur con il suo limitato circuito, abbia contributo efficacemente a pubblicizzare un’immagine positiva, interessante della città e del suo patrimonio, sfa-tando alcuni luoghi comuni negativi che in quegli anni erano molto diffusi.

Altre iniziative previste nell’ambito del Progetto Durrës e volte, come la mostra, a far conoscere all’esterno la ricchezza del patrimonio culturale della città non sono andate a buon fine. La realizzazione di un Catalogo scientifico dei materiali del Museo Archeo-logico di Durrës, considerato uno strumento primario di salvaguardia, oltre che di co-noscenza, e che era stato progettato dettagliatamente per fascicoli e sezioni di materiali (decorazione architettonica, scultura, ceramica ecc.), naufragò quasi subito sugli scogli della “proprietà intellettuale” dei materiali stessi da parte degli archeologi albanesi, numerosi, che nel tempo li avevano scavati (e ripetutamente pubblicati) e di precedenti accordi con altri studiosi stranieri, di cui venimmo a conoscenza successivamente. A tut-t’oggi, il Museo, che ha un gradevole allestimento ma limitato alla sola sezione greco-ro-mana del piano terra, è privo di un Catalogo scientifico, neppur sintetico, delle migliaia di pezzi che conserva, alcuni veramente straordinari e che nel loro insieme costituiscono un’importante testimonianza culturale, ancora quasi sconosciuta16.

dal pRogetto duRRës al pRogetto del paRco aRcheologico uRbano (2004-2007) e agli studi e scavi nell’anfiteatRo Romano (2008-2011)

Nel frattempo, il quadro era cambiato: quasi subito Davide Chiavegatti aveva la-sciato la direzione della delegazione UNOPS di Durrës ed al suo posto era arrivata Silvia Fadda, un architetto con una forte sensibilità ai problemi urbanistici e della salvaguardia del patrimonio, una rete formidabile di conoscenze, un profondo amore per l’Albania e i suoi abitanti: un’affiancatrice straordinaria, un’amica, una sorella. Ac-canto a lei, un’altra amica carissima, Albana Gojani, che è stata poi sempre il nostro insostituibile, attentissimo ed efficientissimo project assistent. All’Ambasciata d’Italia a

16 Nel tempo, solo qualche articolo ha trattato di qualche reperto specifico, come la statua di prin-cipe loricato (cAvAlieri 2003) o di alcune serie di materiali ceramici: le terrecotte del deposito votivo di Dautë ad opera dell’équipe guidata da A. Muller (muller et alii 2004 e le successive an-ticipazioni del grande lavoro di catalogazione di questo materiale) o alcune produzioni ceramiche come le coppe corinzie decorate a rilievo (Shehi 2005), le sigillate italiche (tArtAri, Shehi 2006), gli spatheia (hoti et alii 2006), la ceramica a vernice rossa (Shehi 2008), l’ARSW (ShkodrA 2008), le LRCW (Guiducci, montAnA 2007; montAnA, Guiducci 2010; ShkodrA 2010), queste ultime classi con corredo di indagini archeometriche, oltre alle iscrizioni greche e latine comprese nei due corpora cABAneS, drini 1995 e AnAmAli, cekA, deniAux 2009, pp. 44-115.

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Tirana era arrivato un Addetto alla Cooperazione scientifica e tecnologica veramente eccezionale, Adriano Ciani, che con un’attività incessante seguiva e sosteneva le due Missioni Archeologiche Italiane, quella di Phoinike e quella di Durrës, valorizzandole al massimo. L’Albania cambiava, ogni giorno, con progressi visibili ovunque; l’emergenza era finita, la ricostruzione si andava radicando, si aprivano nuove prospettive europee in cui il patrimonio archeologico, la sua conservazione e valorizzazione nel quadro di uno sviluppo sostenibile potevano diventare una carta importante da giocare.

A Durrës, questo patrimonio si identificava agli occhi del Governo centrale, un po’ riduttivamente, nel monumento-simbolo della città: l’anfiteatro. Così, nel 2004 il Ministero della Cultura della Repubblica di Albania chiese formalmente il sup-porto dell’Università di Parma per lo studio della sua rifunzionalizzazione. Fu sigla-to un Accordo, fra Ministero della Cultura, Sport e Giovani del Governo Albanese, Università degli Studi di Parma e a UNOPS-PASARP Albania, che prevedeva la programmazione di azioni volte allo scavo, al restauro, alla valorizzazione e rifun-zionalizzazione dell’Anfiteatro romano della città e alla creazione di un Parco Ar-cheologico Urbano. Il Ministero degli Affari Esteri italiano co-finanziò il progetto come progetto pilota 2004-2007 (Progetto Pilota UNIPR-MAE D.G.P.C.C. uff.V Progettazione e realizzazione del Parco Archeologico Urbano di Durrës).

Non mi ero mai occupata di anfiteatri, li ho sempre considerati un tipo di edificio dannatamente complicato, da costruire e ancor più da scavare. Quello di Durrës, poi, appoggiato parzialmente alla collina, interrato dai colluvi dal XVI secolo, riscoperto nel 1966 dagli archeologi albanesi ma solo parzialmente scavato (anche con un in-tervento piuttosto rude e non documentato dei militari americani durante il periodo della “transizione”), in una situazione di forte degrado, con molti edifici”moderni” che ne occupavano ampie porzioni, presentava problemi di recupero di gran lunga superiori a quanto la nostra Missione, sostenuta da una piccola università, potesse affrontare. Scientificamente, l’anfiteatro come monumento romano non mi interes-sava, se non come componente assai ingombrante della città antica e come elemento che ne aveva condizionato le sue trasformazioni post-classiche, quindi da un punto di vista urbanistico assai più che architettonico. In quest’ottica, un eventuale scavo, limitato ad un settore ancora “vergine”, non indagato da scavi precedenti e libero da edifici moderni, avrebbe potuto costituire un utile bacino informativo di dati di det-taglio sulle sequenze stratigrafiche, le modificazioni urbanistiche e le trasformazioni ambientali, anche se condizionato dalla specificità del luogo. Poteva dunque risulta-re utile alla conoscenza della città antica, vero oggetto della nostra ricerca, e poteva anche rappresentare un esempio di “archeologia urbana” in un paese dove questa non era stata ancora mai praticata secondo standard europei. Agli altri partners del progetto, a UNOPS, al MAE così come al Ministero albanese e agli amministrato-ri locali, ed anche alla mia Università, la visibilità di uno scavo in quel luogo così centrale ed emblematico della città piaceva ovviamente molto, come segnale di un rinnovato interesse e di un’ attività finalmente incisiva nel settore culturale.

Consapevole dei limiti economici della Missione (il sostegno di UNOPS si stava con-cludendo ed anzi l’Agenzia era destinata ad essere chiusa, essendo superata la fase critica dell’emergenza; quello del MAE era notevolmente inferiore e se ne poteva prevedere una progressiva riduzione man mano che la situazione economica e politica albanese si conso-lidava, riduzione che puntualmente si è verificata) e delle mie personali competenze, cer-cai di conciliare le richieste e aspettative dei partners con la reale disponibilità di risorse finanziarie ed umane che potevo impiegare, salvaguardando quel taglio di “archeologia della città, archeologia per la città” che aveva caratterizzato il Progetto Durrës e che a me pareva fondamentale, consentendoci sul piano scientifico di continuare a studiare la città antica, i suoi caratteri e le sue trasformazioni e di continuare a fornire assistenza al DAD nei suoi sempre più difficili scavi di emergenza, svolti spesso in condizioni di drammatica carenza di risorse tecnico-scientifiche. Dunque, il progetto pluriennale non

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avrebbe avuto per oggetto direttamente l’anfiteatro in quanto tale, ma in quanto cuore di un percorso di valorizzazione di tutto il patrimonio culturale della città, anche quello che ogni giorno continuava ad essere intercettato dagli scavi di emergenza, in una prospettiva turistico-culturale compatibile con il suo sviluppo sostenibile17: un “Parco archeologico urbano” inteso come percorso che collegava le evidenze monumentali della città, fisica-mente individuabile attraverso opportuni accorgimenti museali ed attrezzato con punti informativi e supporti multimediali; un percorso che al tempo stesso definisse un’area di tutela integrata nel piano regolatore del centro storico e costituisse uno strumento di riqualificazione della città, di salvaguardia e di corretto uso delle sue risorse culturali.

Sulla carta, la progettazione era semplice (Fig. 7): la partenza del percorso era ovvia-mente il grande torrione veneziano quattrocentesco che si colloca quasi di fronte al porto, luogo di arrivo di una ingente massa di passeggeri/turisti sbarcati dai traghetti e dalle navi da crociera che iniziavano a fare scalo in Albania. Praticamente integro, esso rappre-senta la più cospicua traccia del passaggio della Serenissima nella città e grazie al fatto di essere utilizzabile anche all’interno e già di proprietà pubblica, poteva fungere da front office per il tour cittadino. Da lì, attraverso il boulevard, ci si può dirigere verso il cuore della città, la piazza Liria, lambendo il settecentesco hammam restituito ad un uso pub-blico, proseguendo per le terme tardo-repubblicane, per finire al foro circolare, ricevendo così una visione d’insieme della monumentalità della città romana. A quel punto ci si può dirigere verso il castello, tornando cronologicamente verso l’età turca, ma guadagnando la posizione più suggestiva e panoramica della città, dalla quale si domina perfettamente il sottostante anfiteatro. Si discende quindi verso l’anfiteatro, che offre la possibilità di una visita articolata alle cappelle decorate, alle strutture stesse ed alle esposizioni temporanee e permanenti che al suo interno possono essere allestite. L’area degli scavi programmati, nel settore meridionale, costituiva in questo quadro una sorta di finestra temporale sulle trasformazioni e i riusi della città antica e sulla ricchezza del bacino archeologico durazzi-no. Da lì le mura bizantina possono essere apprezzate costeggiandole ora all’esterno ed ora

17 Sul concetto di “sviluppo sostenibile” nei documenti delle istituzioni internazionali vedi Bonini 2006.

7. Durrës: il percorso del Parco archeologico urbano

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all’interno, percorrendo le viuz-ze a fianco della moschea Fatih, che ancora conservano un cer-to sapore del bazaar ottomano. Conclude il tour, anche come meta esplicativa finale, il museo archeologico, dove il visitatore può godere della grande colle-zione di materiali dall’età greca arcaica al medioevo, custodita all’interno e nel lapidario ester-no adeguatamente riallestito, con continui rimandi al conte-sto urbano di provenienza.

Furono fatte anche ricerche sugli allestimenti necessari al percorso, in particolare sui pannelli illustrativi, proponendo alle autorità locali una serie di esempi italiani a cui potevano ispirarsi le ditte locali di stampa e allestimento fieristico, alcune delle quali nate dalle costole della sopra ricordata E.D.D., continuando così a sostenere l’economia locale attraverso la valorizzazione del patrimonio.

In effetti, l’Amministrazione municipale realizzò, alla fine del 2004, un primo tratto del percorso (Fig. 8) con la sistemazione, molto gradevole e molto apprezzata dai cittadini, di qualche centinaio di metri delle mura bizantine occidentali. Prov-visoriamente, furono collocati qui e in altri punti chiave del percorso come le terme romane e il macellum, i pannelli relativi a questi monumenti, che facevano parte della mostra Durrës. Tremila anni di civiltà.

La realizzazione del Parco Archeologico Urbano si fermò qui: non solo perché la componente internazionale (UNOPS) non fu più in grado di finanziarla, per la chiu-sura del progetto PASARP Albania e la fusione di UNOPS con UNDP, che aveva altre linee di intervento, ma anche perché nell’Amministrazione municipale preval-sero altre priorità. Fu un estenuante esercizio di pazienza riuscire ad avere almeno un cartello indicatore dell’accesso all’anfiteatro. In un quadro di risorse pubbliche comunque limitate, continuavano a prevalere altre necessità e soprattutto un’altra visione dello sviluppo della città. In questa visione, il punto panoramico sulla città non era il castello, ma le terrazze dei nuovi altissimi palazzi del waterfront, animate dai bar e dalle discoteche e nel torrione veneziano fu installato definitivamente non un ufficio di informazioni turistiche, ma un pub.

Lo scavo nel settore meridionale dell’anfiteatro iniziò alla fine di novembre 2004: strana stagione per cominciare uno scavo, ma anche in questo caso occorreva “dare un segnale” di interesse e di intervento. Da qualche mese erano state abbattute al-cune casupole e stalle fatiscenti, di epoca “moderna” e l’area, di proprietà pubblica, era stata recintata con una bassa balaustra, così da essere perfettamente visibile dalla strada. Restavano, però, ancora tre case, abitate, all’interno del monumento, costrui-te sull’arena e sugli spalti della cavea: esse costituivano, e costituiscono ancora, un problema difficile sotto il profilo giuridico (l’esproprio di una moltitudine di co-pro-prietari, un contenzioso di competenze pubbliche in conflitto), e sotto quello sociale e politico, che fra atti di forza, resistenza passiva, polemiche infinite sui giornali e ricerca di compromessi non ha ancora trovato soluzione.

Stretto fra la strada ed una di queste case, peraltro pericolante benché abitata, l’intervento di scavo doveva rispettare (secondo le regole italiane a cui volevo atte-nermi scrupolosamente, nell’indifferenza della legislazione locale) severe limitazioni di sicurezza. Poteva configurarsi quindi solo come un saggio estensivo, esemplifi-cativo dell’uso e dei riusi dell’edificio romano nell’età post-classica e chiarificatore, forse, di alcuni aspetti architettonici, geometrici dell’edificio stesso, quali l’esistenza

8. Durrës 2005: la sistemazione a parco del tratto occidentale delle mura bizantine

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di un anello esterno, che ne avrebbe rese le dimensioni veramente colossali e molto complesso il rapporto con le adiacenti mura bizantine, il sistema di articolazione dei cunei, l’esistenza di una galleria meridionale. Per ottenere risultati più sostanziosi, occorreva far ricorso a tutte le tecniche diagnostiche non invasive che integrassero sull’intero edificio le indagini propriamente archeologiche che dovevamo condurre nel settore meridionale. Reduce da una bella esperienza pompeiana di studio, saggi di scavo e progettazione del restauro (Centenario I), riuscii a coinvolgere gran parte degli specialisti che avevano lavorato con me all’Insula del Centenario: dalla microgravime-tria al georadar e alla geosismica (équipe dell’Università di Roma La Sapienza, proff. Toro, Di Filippo), alle analisi archeometriche sulle malte e sui pigmenti (Università di Parma, proff. Bonazzi e Casoli), sulle tessere musive (Università di Modena, prof. Leonelli e dr. Boschetti). L’Università di Parma mise a disposizione di questo progetto le competenze scientifiche e tecniche dei suoi docenti, ricercatori e allievi delle Facoltà di Lettere, per le indagini archeologiche e storiche e quelli della Facoltà di Architet-tura, guidati dai proff. Giandebiaggi e Blasi, per i rilievi, l’analisi architettonica e la progettazione dei restauri d’emergenza e la valorizzazione del monumento. Quest’ul-timo apporto degli architetti fu particolarmente importante, non solo per la loro in-discutibile competenza specifica, ma proprio per aver saputo ricondurre il problema-anfiteatro all’interno del tema più generale dell’urbanistica attuale della città, con una puntuale documentazione di tutta l’edilizia storica che fa da cornice al monumento e che ne mantiene in parte il calco, anche se celato fra innumerevoli superfetazioni. La documentazione dello stato di fatto, il riconoscimento dei passati interventi di restau-ro (mai documentati), la lettura degli alzati fatta congiuntamente da archeologi ed architetti, le tavole e le linee guida per gli interventi urgenti di restauro, ed infine un progetto-idea di restauro globale e rifunzionalizzazione (Fig. 11) costituiscono il ri-sultato di uno scambio attivissimo e di una magnifica collaborazione interdisciplina-re. L’intervento della Facoltà di Architettura fu sostenuto finanziariamente, nel 2006 e 2007, anche dal Programma MIUR per l’incentivazione del processo di internazio-nalizzazione del sistema universitario italiano. Il progetto “Il rilievo dell’anfiteatro di Durazzo: conoscenza di un monumento per la valorizzazione del patrimonio culturale mondiale”, vide coin-volti, oltre all’Univer-sità di Parma-Facol-tà di Architettura, il Politecnico di Tirana, l’Istituto dei Monu-menti di Cultura, l’Istituto di Archeolo-gia d’Albania, la Mu-nicipalità di Durrës , con il coordinamento del prof. Paolo Giandebiaggi. Le tavole del progetto, archeologico e architettonico, furono esposte a Tirana e Durrës nel 2007 e selezionate e presentate a Tokyo come progetto d’eccellenza nella manifestazione “Primavera Italiana 2007: l’arte del vivere e del creare” organizzata dai Ministeri degli Affari Esteri e dei Beni Culturali. Di Durrës si cominciava a parlare, dunque, anche all’altro capo del mondo, ed in termini positivi. Furono realizzati tre workshop, due in Albania ed uno a Parma, per esporre i metodi e i risultati ai colleghi e agli operatori albanesi, proseguendo la tradizione degli incontri interdisciplinari e di formazione, aggiornamento e disseminazione che erano sempre stati propri della Missione, fin dal suo inizio.

9. Durrës 2009: l’équipe italo-albanese dello scavo del settore meridio-nale dell’anfiteatro

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Contemporaneamente, proseguiva lo scavo archeologico, con risultati anche inat-tesi, che sono stati presentati in due report preliminari18, sotto la direzione congiun-ta di chi scrive e di A. Hoti, con la collaborazione di archeologi italiani e albanesi (B. Sassi direttore di scavo, B. Shkodra, E. Metalla responsabile dei materiali) e con la partecipazione di numerosi allievi delle università di Parma e Tirana, per i quali era organizzata anche una Summer School di Archeologia, Archeometria e Architettura (Fig. 9). Tesi di laurea, presentazioni a convegni internazionali, visite, seminari iti-neranti, videro la luce in quegli anni entusiasmanti. Nei periodi di presenza a Dur-rës, i tecnici della Missione supportavano gli scavi di emergenza del DAD, su speci-fica richiesta del Direttore del Dipartimento: tale fu il caso dello scavo del “Faro”, in rruga Troplini, vicino alla piazza Lliria (Fig. 10) e dell’area sepolcrale e santuariale di quota 59, in rruga Durrsaku. La collaborazione e l’intesa con gli archeologi albanesi, ed in particolare con A. Hoti ed E. Metalla, è sempre stata perfetta e sincera.

Ma non tutto fu un idillio. Appena iniziato il progetto, l’anfiteatro fu utilizzato come location di un evento di spettacolo (l’elezione di Miss Globus) i cui allestimenti recarono seri danni agli spalti e restarono per anni ad ingombrare l’area, accentuan-done l’aspetto di sconfortante abbandono. Mentre erano in corso i rilievi e gli studi per le linee guida del restauro di emergenza dell’anfiteatro, e nonostante gli accordi di collaborazione firmati, l’Istituto dei Monumenti di Cultura ritenne di intervenire autonomamente con un restauro integrativo francamente discutibile nei criteri e nei risultati, purtroppo irreversibili, da cui dovemmo dissociarci con fermezza, pubblica-mente. La manutenzione e il controllo del monumento nel suo complesso e dell’area di scavo in particolare, affidata dagli accordi alla sezione locale dello stesso istituto, non impedivano che ad ogni ripresa dello scavo lo trovassimo ridotto a discarica di quartiere. D’altra parte, ai nostri tecnici, formati nelle migliori scuole italiane, non fu data l’autorizzazione di compiere indagini archeometriche sui mosaici della cap-pella di S. Stefano e neppure una pulizia superficiale degli stessi, coperti di polvere e di muffe; inutilmente gli stessi tecnici progettarono e prepararono lo strappo di un interessantissimo mosaico ellenistico trovato in uno scavo d’emergenza, che fu strap-

10. Durrës, 2.8.2007: assistenza tecni-ca agli scavi di emergenza di rruga Troplini (“Faro”)

18 SAntoro, hoti, SASSi 2008; SASSi et alii c.d.s.

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pato invece da operatori inadeguati con esiti disastrosi. La necessità di formazione nel settore del restauro si manifestava in tutta la sua drammaticità e salutammo con vero sollievo l’apertura della Scuola italiana di restauro di Saranda.

Ero e sono convinta che la scommessa sui giovani albanesi e sulla loro formazione sia vincente. A questo scopo la Missione ha accolto ripetutamente i borsisti del Mini-stero degli Affari Esteri per periodi di studio a Parma, purtroppo sempre troppo brevi, e dal 2008, nell’ambito dell’Accordo di Cooperazione Scientifica e Tecnologica fra Italia e Albania, la collaborazione fra il Dipartimento di Archeologia di Durrës e l’Università di Parma ha dato luogo ad un programma congiunto di mobilità dei ricercatori per lo studio archeologico ed archeometrico dei materiali dagli scavi dell’anfiteatro e dagli scavi di emergenza della città. È infatti questo il tema specifico del progetto pilota 2008-2011. È in quest’ultimo ambito che sono stati condotti numerosi studi, quali quello sull’officina vetraria medievale localizzata nel settore meridionale dell’anfiteatro, sulla dieta alimentare e il paesaggio vegetale e le sue trasformazioni fra antichità e medioevo, sulle ceramiche da fuoco tardo-antiche e medievali ecc.

Il saggio di scavo nel settore meridionale dell’anfiteatro è ormai concluso ed anche alcuni saggi minori condotti nella grande galleria settentrionale. I risultati di questa complessa operazione di archeologia urbana, riguardante un quartiere assai particolare della città antica, medievale e moderna necessitano ora della rielaborazione indispensabile per trasformarsi nel racconto della storia di un quartiere della città. Gli approfondimenti, soprattutto archeometrici, antropologici, ceramici ed anche storici, sono in corso ed al-cune anticipazioni sono già state date in incontri specialistici. Urge, ora, il restauro delle

12. Ipotesi 1 e 2 di rifunzionalizza-zione dell’anfiteatro (Fac. Architettura UdA, aprile 2011)

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19 Nel 2010, per risolvere questo problema ricorrente, abbiamo cercato di lavorare di più sulla comu-nicazione nel quartiere e sull’educazione dei giovani, con un programma di manutenzione perio-dica svolto dai giovanissimi allievi della scuola V. Perdhushi sotto la guida di alcuni insegnanti (“Prendiamoci cura del nostro passato”). Siamo particolarmente orgogliosi e grati dell’impegno e della passione che questi ragazzi hanno profuso per tutto un anno scolastico dando un bell’esempio di sensibilità civile.

20 Vedi L’anfiteatro ritrovato. International Exploratory Seminar on Re-discovering Roman Amphithea-tres (Rimini, 20th June 2009), e i relativi testi, pubblicati in Bacini territoriali e bacini culturali 2010.

strutture rimesse in luce, la sistemazione delle pendenze delle superfici, il consolidamento delle pareti dello scavo, la sua presentazione al pubblico che transita lungo quella piccola strada curva che ricalca l’andamento dell’anfiteatro e che ogni giorno è percorsa da mi-gliaia di cittadini, soprattutto da giovani diretti al vicino comparto scolastico.

La lacerazione che lo scavo provoca inesorabilmente nel compatto tessuto urbani-stico, la discontinuità dei livelli, la sovrapposizione incomprensibile di muri su muri devono essere giustificati, spiegati, resi accettabili, fruibili, anche perché quei resti siano rispettati e non diventino di nuovo discarica, degrado19. Il progetto è pronto, è già stato approvato dalle autorità albanesi e sarà attuato entro il 2011. Redatto da un’altra equipe di architetti, quella guidata dal prof. Claudio Varagnoli dell’Uni-versità G. D’Annunzio di Chieti-Pescara, che dal 2010 è subentrata all’Università di Parma nella Missione, esso fa parte di un progetto complessivo che interpreta diversamente la rifunzionalizzazione dell’anfiteatro rispetto a quanto proposto dagli architetti di Parma (Figg. 11-12); si articola in due possibili varianti, a seconda che le case moderne, ancora esistenti, siano o no eliminate. La Missione propone quindi tre idee progettuali di recupero e rifunzionalizzazione, che scaturiscono da approfon-diti studi sugli esempi europei e dibattiti sulle modalità di funzionamento antico ed attuale di questi edifici per spettacolo, condotti a livello internazionale20. Alle autorità albanesi resta il compito di scegliere fra le diverse opzioni, o di trovare altre soluzioni. Prima ancora , alla società civile albanese, e sopratutto durazzina spetta il compito di discutere, criticare, scegliere, anche di fare cose che a noi non piacciono o di non fare, se altre sono le priorità. Durrës è pur sempre la “loro” città, ma ne dovranno rispondere davanti al mondo.

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