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Vetrate medievali

di Enrico Castelnuovo

Storia dell’arte Einaudi 1

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Edizione di riferimento:Enrico Castelnuovo, Vetrate medievali. Officine tecniche

maestri, Einaudi, Torino 1994

Storia dell’arte Einaudi 2

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Indice

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Premessa 8

I. Vetrate e arte medievale 13La luce, il colore, la trasparenza 18

Una «tecnica-pilota» 20Vetrate e tecniche suntuarie 24In età gotica, le vetrate nell’architettura... 26... e nella decorazione parietale 30Saint-Denis, trionfo della vetrata 32

II. Le tecniche 41Il trattato di Theophilus 42La fabbricazione del vetro 44Il mercato 46Le vetrerie 47I colori 49Vetri placcati 51Progettazione e fabbricazione 53La pittura del vetro 54I tre toni della grisaille 56Pittura per via di levare 58

Vetrate monocrome 60Cottura della grisaille 61Il giallo d’argento 62«Come apporre gemme sul vetro dipinto» 63La messa in piombo 64L’armatura 65Deterioramento e restauro 66

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III. Atelier e committenti 74Officine monastiche e urbane 75Il caso di Saint-Denis 77Maestri itineranti: Pierre d’Arras

alla cattedrale di Losanna 78Botteghe e maestri 79La cappella di Santo Stefano a Westminster 81Progetto ed esecuzione 82Il caso italiano 83Maestri vetrari e pittori 86Costi e manutenzione 90I committenti 91Religiosi, guerrieri e artigiani a Chartres 95

IV. Problemi iconografici 109Saint-Denis 109I soggetti 114Immagini politiche 117Vetrate tipologiche 119L’albero di Jesse e il trono di Salomone 121Figurazioni leggendarie 124

Programmi e programmatori 126La rosa 128

V. Problemi formali 134I colori 135I precetti di Antonio da Pisa 137Vetrate leggendarie e modi della narrazione 138Gli sfondi e le scene 141

Mutamenti di impaginazione 142

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VI. Fortuna delle vetrate 148Immagini 156Il cinquecento 159Iconoclastia 161

Ricerca della luce e distruzione della vetrata 162Pierre Le Vieil e il suo trattato 164Riscoperte e reimpieghi 166Commercio e collezionismo 167L’ottocento 170Indagini storiche, restauri,vetrate archeologiche 173Fin de siècle 179

Itinerario 191

VII. Le origini 193Le fonti letterarie 194Le fonti monumentali 198Evoluzione e mutazioni 202La vetrata orientale 202

VIII.Le vetrate del XII secolo 209Saint-Denis 211Chartres 216La Francia occidentale 216Il centro e il sud della Francia 221L’est della Francia 222L’Inghilterra 225Vetrate romaniche in Germania 227

I profeti di Augusta 227

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L’opera di Gherlacus 228La cattedrale di Strasburgo 230L’Alsazia e la Germania meridionale 232Esempi romanici in Germania 234

Weitensfeld e Flums 235IX. Il tempo delle cattedrali 241

Dall’unico alla serie 241Disegno e impaginazione 243Forme della rappresentazione 245Lo stile 12oo 246La Francia 248La Piccardia e il nord 248Chartres 251Centri francesi nel duecento: Bourges 254L’ovest, la Normandia e il centro 255Borgogna e Champagne 257Parigi 260La Sainte-Chapelle 261Dopo la metà del secolo 264L’Inghilterra 265

La Germania 268Strasburgo 271Friburgo 273Germania centrale e orientale 274Marburg 275Naumburg e lo Zackenstil  276L’Austria 279Vetrate ad Assisi 280

La Scandinavia 281Tra occidente e oriente 282

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X. Espressionismo gotico 293La Francia 295Vetrate inglesi 301Il mondo tedesco 302

Strasburgo 303La Crocifissione di Mutzig 307Wimpfen 307Costanza 308La cattedrale di Friburgo 310Esslingen 312Colonia 315L’Austria 316Esperienze italiane 317

XI. La grande svolta 328L’Italia 332La Francia 335Strasburgo e la Germania 338Da Königsfelden a Strassengel 342L’Inghilterra 343

Nota bibliografica 352

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Premessa

Le ultime pagine di questo libro venivano scritte neigiorni in cui era viva la discussione sulle vetrate che Pier-re Soulages aveva creato per la veneranda chiesa di Sain-te-Foy di Conques, uno dei grandi monumenti del roma-nico. Si trattava di opere di grande sottigliezza, ma chetanto accattivavano e dirigevano lo sguardo nel loroinseguirsi di linee e di tracciati da risultare addiritturaun poco svianti sul piano della percezione, in quanto ilmodo di leggere l’architettura, lo spazio, l’involucro del-

l’edificio poteva venirne modificato.Minori problemi avevano sollevato le vetrate dellanuova stazione di Disneyland che «Le Monde» ripro-duceva a colori. Queste non avevano pretese formali, mapiuttosto illustrative. Si limitavano a evocare castellifatati, erano là come testimonianze luminose di una tec-nica desueta e carica di implicazioni, dovevano precipi-tare i visitatori in un passato fiabesco, un po’ come le

innumeri vetrate di cui è disseminata la cattedrale diWashington e che riconducono tutte a un glorioso pas-sato.

L’ottocento ha prodotto vetrate in numero tale dagareggiare, quantitativamente, con il xiii secolo, ha ripo-polato le nostre chiese di vetrate, strumento principe direligiosità, di spiritualità, utilizzabili per tutti gli usi,tranne forse che per la cronaca: «la monarchia in redin-gote non si addice alle vetrate», irrideva un contempo-

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raneo scorgendo l’enbonpoint e gli abiti borghesi di LuigiFilippo farsi largo dall’alto di una vetrata di Saint-Denis.

E il nostro secolo ha continuato con la «Renaissance del’art sacré» e con la scoperta delle potenzialità astraen-ti delle vetrate, luogo di colori puri, smaterializzati. Èdi questi giorni una mostra dedicata alle vetrate di Joseph Albers a riprova di una fortuna non banale anchenelle piú sofisticate officine di arte contemporanea. Unatecnica che due secoli fa sembrava smarrita («e se qual-cuno la ritrovasse cosa ce ne faremmo?» veniva rispo-sto dall’Académie des Beaux-Arts a un appassionatozelatore che voleva resuscitarla) è dunque in pieno ri-goglio, magari con qualche malinteso e qualche equivo-co. Le vetrate sono ancora tra noi.

Questo libro, tuttavia, si occupa del passato, di unpassato in cui le vetrate furono una realtà estremamen-te viva e necessaria alla vita religiosa, una delle massi-me tecniche artistiche, e quella piú capace di co-municare.

Ogni libro è in qualche modo un’autobiografia. Perquel che mi riguarda dirò solo che, come qualche voltasuccede, tutto è cominciato in anni molto lontani, conuna rivelazione. A me è venuta da una bellissima mostrache nel 1953 si tenne a Parigi al Musée des Arts Déco-ratifs, con il titolo Les Vitraux de France du XI 

e  au XVI e 

 siècle. Vi erano esposte vetrate intere, grandi personag-

gi, scene singole che erano state per la massima partesmontate all’inizio della guerra e che si apprestavano aritornare nella loro collocazione d’origine. La scelta erastata molto rigorosa. Le opere esposte erano in buonecondizioni di conservazione, esenti da quelle pesantiintegrazioni che finiscono per stingere sulle parti origi-nali, talora con i piombi di origine. Soprattutto si pote-vano vedere da vicino, si poteva seguire il modo di sten-dere la pittura a grisaille, il modo di toglierla via per far

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dendo a suo padre, ma penso che l’unica cosa che gli stes-se veramente a cuore fossero le vetrate.

Se Jean Lafond era una sorta di figura paterna perchi, apprendista inesperto, si avvicinava alle vetrate,Louis Grodecki, straordinariamente brillante, spiritoso,intelligentissimo, di una ventina d’anni più giovane, eratutto un altro tipo. Era stato allievo di Focillon e fu pro-prio attraverso il ricordo di Focillon tenuto vivo dai suoiantichi allievi, in un tempo in cui le sorti della storia del-l’arte in Sorbona non sembravano né magnifiche né pro-gressive, che lo incontrai per la prima volta nel salottodi Jurgis Baltrusaitis dalle parti della Porte d’Orleans,dove un gruppo di anciens élèves si ritrovava regolar-mente e dove ero stato ammesso grazie ad André Cha-stel. Durante la guerra era stato negli Stati Uniti conFocillon; in Francia in quel momento aveva, mi sembradi ricordare, qualche difficoltà di inserimento nella tra-fila accademica, pur essendo uno dei piú brillanti medie-visti del suo tempo, forse a causa di un temperamento

che di accademico non aveva nulla e che lo tenne lon-tano dal prodursi in una di quelle thèses monumentaliche aprono la via alla carriera universitaria. A quell’e-poca aveva già scritto una bella sintesi sugli avori medie-vali e alcuni saggi fondamentali sulla storia delle vetra-te. Stranamente il primo posto ufficiale che ebbe fuquello di conservatore del Musée des Plans en Relief,una splendida collezione di maquettes e di modelli di for-

tezze, città di frontiera e porti della Francia, che aitempi di Luigi XIV era disposta nella Grande Galeriedel Louvre e che allora come oggi occupava un pianopoco frequentato del Musée de l’Armée agli Invalides.Mi ricordo di esser stato accompagnato da lui per quel-le sale deserte piene di meraviglie. Piú tardi sarebbe di-venuto professore a Strasburgo e infine alla Sorbona eavrebbe stimolato generazioni di medievisti e di studiosidi vetrate sulle due rive dell’Oceano.

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Vorrei ricordare anche Catherine Brisac che ci halasciato troppo presto, e, naturalmente, André Chastel,

che mi ha spinto a scrivere di questo, e Roberto Lon-ghi, che in anni lontani ha pubblicato su «Paragone»qualche mio saggio e intervento su questi temi, a comin-ciare dalla recensione di quella mostra fatale.

Per quale ragione poi questo libro, o meglio l’idea diquesto libro e singole parti e capitoli di esso, mi abbia-no accompagnato per tanto tempo senza prendere maiuna forma definitiva non saprei dire. Mia moglie e miofiglio hanno sopportato con pazienza e spirito solidale latessitura sempre interrotta, disfatta e ripresa di questatela di Penelope; per ciò sono loro molto grato. Ringra-zio Paolo Fossati per avermi dato una mano a usciredalle more, e Valentina Castellani, Patrizia Guerra eMaria Perosino per avermi incalzato e aiutato in ognimodo. Per stimoli, segnalazioni, suggerimenti, aiutibibliografici e fotografici ringrazio Jérôme Baschet,

Mariolina Bertini, Rüdiger Becksmann, Olivier Bonfait,Marco Collareta, Claudine Lautier, Costanza Segre Mon-tel, Jacques Thuillier. Per finire vorrei dire la mia rico-noscenza agli studenti di Losanna, di Torino e di Pisa cuiin piú di un’occasione ho parlato di questi temi: le lorodomande e le loro obbiezioni mi sono state molto utili.

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Capitolo primo

Vetrate e arte medievale

Testimonianze radiose, fatte di luce e di colori sma-terializzati, le vetrate, per secoli le manifestazioni piùricche di fascino, più visibili, piú ammirate della pittu-ra, strumenti tra i piú efficaci della comunicazione perimmagini, hanno conservato un prestigio altissimo, indi-scusso, vagamente misterioso. Un loro privilegio pecu-liare è quello di essere pittura luminosa, di valersi delleinnumerevoli possibilità di un elemento continuamentevariabile per poter assumere aspetti diversissimi a se-

conda delle ore, dei giorni, delle stagioni. L’impressio-ne profonda che suscitano è dovuta al richiamo che laluce continua a esercitare su di noi, al fatto che la mate-ria di cui sono fatte ne è traversata ma, a sua volta, lamodifica e, a seconda di quanta ne riceve, cambia d’a-spetto e di intensità. Grazie alla luce il mosaico inertefatto di vetri e di piombi diventa splendente, simile allegemme, e muta di colorazione nel volgere di brevissimo

tempo.Lo avvertirà chi entri verso il tramonto in una gran-de chiesa gotica del nord. In alto, contro le pareti scuredi cui non si distinguono piú le pietre, contro le finestre,i cui limiti sono ormai invisibili, una teoria scandita e rit-mata di profeti, di re, di apostoli rutilanti e translucidisembra sospesa nel cielo, illuminata e splendente perl’ultima luce, mentre l’ombra scende e si infittisce sullanavata e i colori si spengono nelle navi minori e nelle cap-

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pelle. Cosí quando un grigiore opprimente grava sullacittà, le nuvole si accavallano nel cielo e le strade sono

nere e lucide di pioggia, all’interno della chiesa una lucelattiginosa, ma sicura, convogliata ed esaltata dal filtrotrasparente e colorato dei vetri, spiove dalle finestre alte,come nella mitica chiesa di Combray le cui vetrate

non eran mai cosí cangianti come nei giorni che il sole simostrava appena, di modo che, se fuori c’era un tempo gri-gio si poteva star certi che sarebbe stato bello in chiesa1.

Marcel Proust evoca questo richiamo e questo fasci-no quando ricorda come nella sua mente di bambino lachiesa del villaggio dove passava parte delle sue vacan-ze si estendesse in quattro dimensioni, come di campa-ta in campata, di cappella in cappella, la navata dallepareti umide, dalla volta scura e rocciosa dove ci si inol-trava come in una valle visitata dalle fate, sembrasse tra-versare e vincere non solo le distanze di qualche metro,

ma intere epoche storiche. Tra gli strumenti che face-vano della chiesa di Combray una sorta di macchina deltempo erano appunto le vetrate, tapis eblouissant et doré de myosotis en verre2, che il raggio del sole faceva fiorirein una primavera storica che trasportava chi le guardas-se fino ai tempi di san Luigi e dei suoi successori. Unavetrata della chiesa in cui dominava l’azzurro, divisa inun centinaio di compartimenti come un gran mazzo di

carte, cambiava aspetto tutto il tempo, volta a voltaspenta e riaccesa. Ora aveva il brillare della coda di unpavone, ora tremava e ondulava in una pioggia fantasticae fiammeggiante che gocciolava dall’alto delle volte, orale sue piccole losanghe di vetro prendevano le traspa-renze profonde, l’infrangibile durezza degli zaffiri mon-tati su qualche immenso pettorale dietro il quale si av-vertiva, piú ancora che tutte queste ricchezze, il sorri-so momentaneo del sole.

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Colori e luce, trasparenze e riflessi, barbagli e scin-tillii; il fascino delle vetrate ha dietro di sé una lunga sto-

ria. Ma fino a che punto le vetrate medievali esistonoancora? Possiamo cioè considerarle degli originali, purtenendo conto del loro stato di conservazione piú omeno buono, del loro maggiore o minore deterioramen-to, o dobbiamo rassegnarci al fatto che la sostituzionedei vetri e dei piombi, che gli spostamenti da una fine-stra all’altra, i cambiamenti di collocazione, ci hanno tra-mandato soltanto delle vaghe ombre, delle repliche,delle ricostruzioni? Non sono domande da poco: diver-samente da quanto avviene in un dipinto su tavola, sutela, su muro, su pergamena, l’intervento sulle vetratecomporta non una sovrapposizione, sotto la quale saràspesso possibile recuperare una parte almeno dell’origi-nale, ma una radicale sostituzione. È stato in fondoquesto dubbio piú o meno inespresso, sono state le gran-di difficoltà che si opponevano all’esame e al confrontodiretto delle opere oltre alle consuete abitudini, ai pre-

giudizi non mai morti sulla gerarchia delle tecniche arti-stiche, agli interrogativi sull’autografia minacciata dalletrasposizioni subite nel processo che dal progetto por-tava alla realizzazione, che hanno fatto delle vetrate unsoggetto un po’ particolare.

Per molto tempo le studiarono e ne fecero la storiacoloro che ne avevano in qualche modo pratica diretta,come Pierre Le Vieil, testimone, sul finire del settecen-

to, della piú profonda crisi traversata da questa tecnica,e come coloro che furono coinvolti di persona nelle bat-taglie ottocentesche per il rinnovamento delle vetrate3

e dell’arte cristiana: da Eustache Hyacinthe Langlois,che per primo indagò le vetrate di Rouen, a Ferdinandde Lasteyrie, da Charles Winston a Nathaniel Westlake,da Adolphe-Napoléon Didron4 a Louis Ottin5, a OlivierMerson6, da Lewis Day a Lucien Bégule che studiò levetrate di Lione7, da Fritz Geiges (1853-1935), autore

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di radicali restauri nonché di importanti studi sullevetrate di Friburgo8, a Heinrich Oidtmann9 (1861-

1912), figlio del fondatore di una celebre impresa divetrate, le Linnicher Werkstätten, a Joseph LudwigFischer10 e a tanti e tanti altri i cui nomi troveremo quae là in questo libro11. Si indagarono particolarmente iproblemi tecnici, si impostarono le prime grandi inda-gini iconografiche, si riunirono i frammenti documentarisparsi nelle antiche cronache, si tentò in tutta Europa,e in condizioni fortunose, di individuare le opere piúimportanti, di stabilire i primi inventari del patrimoniovitreo, di confrontare opere e maestri, di ricalcare,copiare, disegnare, incidere i monumenti. Che ciò venis-se fatto per preparare le colossali campagne di restauro,per proporre temi e soluzioni alle grandi imprese legatealla costruzione di nuove chiese e all’arricchimento delleantiche12, non fece che aumentare l’impegno e la parte-cipazione degli autori, anche se poté dare una partico-lare angolazione alle ricerche e ai risultati.

Uno studio storicamente attento e filologicamenteagguerrito delle vetrate condotto con i metodi rigorosiche venivano utilizzati nella storia della pittura tardò adaffermarsi, ed Emile Mâle nel 19o6 denunciava le ter-ribili difficoltà sul piano della documentazione, che lorendevano pressoché impraticabile, auspicando la crea-zione di un corpus, un’idea che trovò realizzazione circamezzo secolo dopo:

Occorrerebbe avere continuamente sotto gli occhi, inun corpus ben fatto, tutte le vetrate di Francia, ma que-sto corpus non esiste. Speriamo che un giorno o l’altro lafotografia a colori renda piú facile l’opera dello storico13.

In Germania, tuttavia, si cominciarono a studiare levetrate con i metodi e i criteri con cui veniva affronta-ta la storia della pittura14, e alcune grandi personalità di

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storici dell’arte, come Paul Frankl (1878-1962), inter-vennero in questo campo con buoni studi. Dalla fine

dell’ultima guerra mondiale, in seguito allo smontaggioe alla ricollocazione di gran parte del vastissimo patri-monio vetrario europeo che consentirono ricognizioniravvicinate, alla nascita, nel 1952, del Corpus Vitrearum Medii Aevi15 che di questo patrimonio si è proposto lapubblicazione integrale con una precisa documentazio-ne sullo stato delle opere, grazie all’attività di alcuni stu-diosi, autentici padri-fondatori dello studio modernodelle vetrate quali Jean Lafond (1888-1975)16, HansWentzel (1913-75)17, Louis Grodecki (1910-82)18, EvaFrodl-Kraft, questi studi conobbero una grande ripresa.Alcuni avvenimenti furono di fondamentale importan-za per questa vicenda negli anni cinquanta, in particolareuna mostra e due pubblicazioni. La mostra fu quella,memorabile, tenutasi al Musée des arts décoratifs diParigi nel 195319; i libri furono i Meisterwerke der Gla- smalerei di Hans Wenuel20 e il volume collettivo Le

Vitrail Français che molto dovette all’impulso di AndréChastel21. Grazie soprattutto all’opera e alla ricerca diLafond, Wentzel e Grodecki e agli studi da loro susci-tati, da quelli di Rüdiger Becksmann a quelli di Cathe-rine Brisac (1935-91)22, di Françoise Perrot, della atti-vissima cellule vitrail dell’Inventaire général du Patrimoi-ne francese23 e di studiosi americani come Margaret Har-rison Caviness, Meredith Parsons Lillich, Virginia

Chieffo Raguin, la situazione è radicalmente mutata. Lostudio e la conoscenza delle vetrate ha enormementeprogredito, e oggi siamo in grado di conoscere e valuta-re meglio l’estensione di questo grande patrimonio del-l’arte europea, il suo stato di conservazione, la suaautenticità, i suoi caratteri, la sua storia, la sua impor-tanza, la sua singolarità.

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La luce, il colore, la trasparenza.

La sua singolarità, appunto. Facciamo un passo indie-tro di qualche secolo e troveremo chi sulla vetrata riflet-te con queste parole:

Ma poiché questo tipo di pittura non può essere tran-slucido, mi sono da buon ricercatore affannato a scoprirequelle tecniche ingegnose grazie alle quali l’interno di unedificio possa essere abbellito con gran varietà di colorisenza perciò impedire ai raggi e alla luce del sole di pene-trarvi. E dato che io stesso mi sono applicato a questocompito sono arrivato a comprendere la natura del vetroe ho capito come sia possibile realizzare l’oggetto della miaricerca solo attraverso un corretto uso del vetro e delle suevarietà24.

Si apre con questa frase il piú antico testo dedicatoalle vetrate, parte di un trattato sulle tecniche artistiche,

scritto probabilmente agli inizi del xiii secolo in unmonastero tedesco da un sacerdote che si presenta al let-tore sotto lo pseudonimo di Theophilus25.

Con quale meraviglia e ammirazione si dovevanoguardare le vetrate nel medioevo, quanto alto e irrag-giungibile doveva apparire il prestigio di questa tecnicaa un chierico cui grandi maestri, da Ugo di San Vittorea Tommaso d’Aquino, erano andati ripetendo che la

luce è uno dei principali attributi del bello e che avevapotuto leggere sui testi dei massimi rappresentanti dellascolastica, da san Bonaventura ad Alberto Magno, cheessa era l’attributo stesso di Dio. L’amore della luce siaccompagna al timore delle tenebre, contro cui si hannonel medioevo poche difese; frequentemente nei testiletterari le nozioni di bello, di chiaro e di nobile26 sonostrettamente legate, se non addirittura sinonime. Levetrate significano al tempo stesso luce e colore; costrui-

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scono un’architettura colorata e luminosa, hanno dimen-sione monumentale e conservano nel tempo stesso il

carattere prezioso delle gemme.I Lapidaria medievali attribuivano alle gemme qualitàinsigni e straordinarie, e quell’arte maggiore e vera-mente pilota che fu nel medioevo l’oreficeria impiegòprofusamente pietre dai colori scintillanti, vibranti, inca-stonate nei metalli piú preziosi. A ogni pietra eranoattribuite qualità peculiari, particolari significati; nelDe lapidibus di Marbodo di Rennes, per esempio, ognipietra è impregnata di virtù trasmesse dal potere divi-no. Nel xii secolo Suger, abate di Saint-Denis – la gran-de abbazia prossima a Parigi intimamente legata allastoria delle dinastie regnanti sulla Francia – e commit-tente di opere d’arte tra i piú attivi, creativi e impegnatiche il medioevo abbia conosciuto, racconta come unavolta che contemplava estaticamente la preziosissimasuppellettile del tesoro dell’abbazia, che in gran parteaveva riunito o commissionato egli stesso, gli salissero

alle labbra le parole di Ezechiele:

la tua copertura era fatta da tutte le pietre preziose: il sar-dio, il topazio, il diaspro, la crisolite, l’onice, il berillo, ilrubino, lo smeraldo27.

Nella Bibbia queste parole erano riferite al pettoraledi Aronne, ognuna delle cui pietre simboleggiava una

tribú di Israele. Anche per Suger ogni pietra degli ogget-ti del suo tesoro aveva, «per chi ne intendesse le pro-prietà», un significato, ed egli sottolinea come nessunadelle pietre citate dal testo biblico – tranne il rubino –mancasse, e che tutte anzi fossero in gran copia.

L’effetto di questa contemplazione era duplice, simanifestava a due livelli: poiché ogni pietra era porta-trice di un significato, la loro varietà e profusione costi-tuiva un messaggio per coloro che sapevano decifrarlo;

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d’altra parte la semplice contemplazione dei colori splen-denti aveva per effetto di innalzare lo spirito dalle cose

materiali alle immateriali e di trasportare la mente da unmondo inferiore a uno superiore, in una regione dell’u-niverso che non apparteneva interamente né alla bassaterra né al puro cielo28.

Questo celebre passo fa comprendere la fascinazionee il potere pressoché ipnotico esercitati dalle gemme suun uomo del medioevo. Ora, tra lo scintillio cromaticodelle gemme e il fulgore colorato delle vetrate c’era unrapporto diretto che non poteva sfuggire allo spettato-re, e uno stretto nesso correva tra i procedimenti appli-cati per ottenere vetri colorati e quelli messi in opera perla fabbricazione delle gemme artificiali. La particolarelavorazione del vetro rosso doublé a microstrati alternatichiari e scuri produce effetti analoghi a quelli di certegemme lavorate a cabochon con il loro brillare variabilee imprevedibile, e spesso nei trattati tecnici medievalila fabbricazione del vetro per le vetrate e quella delle

gemme artificiali vengono trattate in parallelo29. In seco-li in cui i richiami delle dottrine estetiche e metafisichenelle quali la luce ha tanta importanza si esercitarono inmodo cosí generale e pressante, lo sviluppo delle vetra-te e quello delle arti suntuarie sono fenomeni conver-genti che derivano da motivazioni analoghe.

Una «tecnica- pilota».L’interesse che Theophilus manifesta per la vetrata,

la sua tecnica, le sue funzioni e i suoi risultati fannointravedere il ruolo primario che le verrà attribuito nelladecorazione degli edifici religiosi gotici, vale a dire ilruolo di vera e propria tecnica-pilota della pittura monu-mentale.

Secondo i tempi, secondo le attese dei pubblici, dei

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committenti, degli artisti, tecniche artistiche diversehanno potuto svolgere volta per volta un ruolo privile-

giato: sono quelle che potremmo chiamare le tecni-che-guida, quelle i cui prodotti furono particolarmenteapprezzati e ricercati, quelle in cui si manifestano in uncerto momento le innovazioni piú importanti che mag-giormente rispondono alle attese del pubblico, quelle chepiú compiutamente di altre sembrano esprimere le gran-di tendenze, le scelte, gli interessi di un momento. Cosíne scrive Henri Focillon nella Vita delle forme:

ogni stile nella storia è sotto l’impero di una tecnica cheprende il sopravvento sulle altre e dà a codesto stile la suatonalità30.

Le preferenze che, secondo i luoghi e i tempi, si sonomanifestate nel campo della pittura per il mosaico, l’af-fresco, la vetrata o l’arazzo possono essere consideratevolta per volta quali spie significative di certe situazioni.

Un’interpretazione veramente esauriente del significatointrinseco o contenuto potrebbe addirittura scoprire che iprocedimenti tecnici caratteristici di un certo paese, perio-do o artista [...] sono sintomi rivelatori dello stesso at-teggiamento di fondo che si riscontra in tutte le altre qua-lità specifiche del suo stile,

avvertiva Erwin Panofsky

31

. Certe scelte, certe propen-sioni, sembrano rivelare i caratteri fondamentali di un’e-poca, di una cultura. In questo senso il fulmineo trionfodella vetrata appare come uno di quegli eventi per eccel-lenza illuminanti.

Differenti epoche e culture hanno avuto infatti con-cezioni diverse e molto contrastanti della decorazione daquando nelle prime basiliche cristiane si venne attra-verso di essa a privilegiare l’interno piú che l’esterno

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degli edifici di culto. La soluzione che volta per voltavenne adottata fu scelta in funzione di diversi fattori,

dai modi di percepire lo spazio prevalenti a una certaepoca alle preferenze cromatiche, dalle particolarità dellediverse tradizioni alle esigenze climatiche, alla volontàdi distinzione. Analogamente a quanto era avvenutoper il mosaico, per la pittura parietale, per le vetrate,l’arte degli anni attorno al 1400, quella che viene chia-mata «del gotico internazionale», ha, per esempio, pri-vilegiato particolarmente l’arazzo. Questo equivalentemobile dell’affresco si prestava a decorare rapidamenteambienti diversi, dalla sala di un castello all’interno diuna chiesa al padiglione di un accampamento, rispon-dendo quindi compiutamente alle esigenze di mobilitàdella classe egemone dell’epoca e, nello stesso tempo, aquelle di lusso e di distinzione. D’altra parte, è proprioil suo carattere «esteticamente ibrido [...] che partecipaal tempo stesso alla decorazione di superficie e all’il-lusione di paesaggio»32 e che interpreta l’ambiguo modo

di rappresentare lo spazio proprio al gotico internazio-nale a conferirgli il particolare valore che esso prese aquel momento.

Ogni scelta investí direttamente la forma della costru-zione e reciprocamente, in quanto la soluzione archi-tettonica condizionò il tipo di decorazione venendone asua volta influenzata. La decorazione infatti non è qual-cosa di aggiunto alle strutture che serve ad abbellirle, è

parte integrante delle stesse strutture e può intervenirea modificarle. La scelta di una decorazione parietaleconcentra l’attenzione sulla superficie delle mura, men-tre quella di una decorazione vitrea conferisce partico-lare importanza alle finestre. Parete e finestra sono ele-menti architettonici coesistenti ma di segno opposto: laparete tende a imporre l’opacità e la materialità delle suesuperfici su cui si sviluppa la decorazione pittorica e alimitare lo sviluppo delle finestre, le finestre tendono a

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vanificare l’opacità della parete per sostituire a essa unoschermo di vetri colorati variegato e luminoso su cui si

stende una pittura monocroma. Da semplice apertura,rettangolare, cuspidata o circolare, nel tessuto continuodella parete, la finestra giunge ad acquisire una impor-tanza crescente e diviene una sorta di elemento auto-sufficiente e autonomo rispetto alla parete.

Per restituire i modi con cui vennero guardati i pro-dotti di questa tecnica ai tempi dei suoi massimi trion-fi, le immagini che se ne fecero i contemporanei, occor-rerà prendere in esame, accanto alle testimonianze primeofferte dalle vetrate superstiti, anche altri documenti:trattati tecnici, scritti liturgici, cronache conventuali,tutto quanto possa aiutare a conoscere dove, come e per-ché si sviluppò la vetrata medievale, in qual modo vennevista e apprezzata dai contemporanei.

La storia del pensiero religioso e liturgico come quel-le delle mentalità, degli atteggiamenti collettivi, delgusto, della sensibilità, delle idee estetiche possono esse-

re di aiuto in tale ricerca. Accanto a queste, la storia del-l’architettura e del costruire potrà fornire informazionisulle possibilità di sviluppo delle vetrate negli edifici,come farà la storia della tecnologia per quanto riguardala produzione e la lavorazione dei materiali di cui esseerano fatte; la storia economica potrà indicare qualisiano stati il peso, la portata e le incidenze di un’atti-vità che, per volume di produzione, ebbe aspetti quasi

protoindustriali; la storia dell’arte potrà dire fino a chepunto i problemi formali, compositivi, iconograficiaffrontati dai creatori di vetrate si siano situati in rap-porto a quelli abbordati dagli artisti a loro contempora-nei operosi in altre tecniche.

Di fatto, se la storia delle vetrate medievali presen-ta tutta una serie di interferenze con le storie delle idee,della teologia, delle mentalità, con quelle della tecnolo-gia o dell’economia, essa deve essere integrata, come già

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ha osservato Paul Frankl33, nella piú vasta storia dellapittura medievale. Per certi paesi e per certe epoche ne

rappresenta anzi il campo piú ricco e importante. Nel xiisecolo il Maestro dell’Ascensione di Le Mans o Gherla-cus, all’inizio del xiii il Maestro delle Reliquie di SantoStefano di Bourges o il Maestro di Saint-Eustache diChartres, più tardi il Maestro del Martirio di san Pro-tasio a Le Mans (1255 circa) o Lampertus a Esslingen(128o circa), sono tra i grandi pittori del medioevo, etuttavia il fior fiore delle vetrate medievali venne per lopiú esposto nei musei di arte applicata, nelle raccolted’arte decorativa e industriale piuttosto che nelle gran-di gallerie nazionali, perché la loro produzione implicacollaborazioni, passaggi, traduzioni da una tecnica al-l’altra, dal disegno del progetto alla realizzazione suvetro, operazioni che complicano le cose per chi, comespesso gli storici dell’arte, sia tradizionalmente portatoa esaltare l’autografia.

In qualche modo, questa tecnica in cui agli inizi del

xii secolo il  presbyter Theophilus vedeva una delle piúalte espressioni dell’arte a lui contemporanea, è restataa lungo isolata, confinata, reclusa nella sua specificità.

Vetrate e tecniche suntuarie.

Una tecnica che si apparenta strettamente a quella

delle vetrate, e che ebbe con questa un fecondo e fre-quente interscambio, è quella dello smalto. Già mate-rialmente vi sono molti punti in comune. Nello smaltochamplevé una pasta vitrea è versata entro gli incavi sca-vati in una lastra di metallo. Attorno a questa depres-sione la linea sottile di metallo che la delimita appare insuperficie svolgendo un ruolo analogo a quello del piom-bo in una vetrata, venendo cosí a racchiudere e incor-niciare un’area cromatica. Lo smalto in generale non è

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translucido, ma i suoi toni puri e profondi ricordanoquelli di certi vetri. Anche nel successo di questa tecni-

ca avvertiamo una preferenza per la pittura dalla mate-ria dura e preziosa, la stessa preferenza che spingeràSuger, contro ogni tradizione locale, a voler ornato conun mosaico il timpano di una delle porte di Saint-Denis.Alla fine del xii secolo è in smalto che viene creato ilmassimo capolavoro pittorico del tempo, l’ Ambone diKlosterneuburg di Nicolas de Verdun.

Per la sua stessa natura lo smalto ha proporzioniridotte, è una microtecnica piuttosto che una tecnicamonumentale. Da esso la vetrata si distingue per la scalaoltre che per il carattere; non si tratta di un oggetto chedebba essere visto da vicino come lo smalto, ma da lon-tano. Eppure questo aspetto di microtecnica preziosa èripreso e imitato in certe vetrate tedesche del xii seco-lo caratterizzate dalle piccole dimensioni e dalla esube-ranza decorativa: rosette, perle, meandri, trifogli, pal-mette, motivi geometrici e floreali di vari tipi ornavano

per esempio le scene – già a Berlino e distrutte durantel’ultima guerra – o i frammenti da Alpirsbach con San- sone e le porte di Gaza, oggi a Stoccarda, o le vetrate diGherlacus create per l’abbazia premostratense di Arn-stein sulla Lahn, oggi a Münster in Westfalia. In Fran-cia, la frammentaria vetrata della Crocifissione dellacattedrale di Châlons-sur-Marne mostra precisi rappor-ti – che sono stati messi in luce – con l’ Altare di Stavelot 

di Godefroy de Huy. Una cinquantina di anni dopo, esiamo già verso il 1200-10, una piccola stupenda vetra-ta tipologica a Orbais, che reca la Crocifissione ed epi-sodi dell’Antico Testamento che a essa venivano asso-ciati, sembra addirittura la trasposizione in vetro di unacroce di smalto.

Durante l’intero xii secolo la vetrata ha conservatorapporti molto stretti con le tecniche suntuarie, conqueste ha partecipato a quell’arte dei tesori ecclesiasti-

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ci34 che conobbe il suo grande splendore tra l’xi e il xiisecolo. Ai suoi inizi essa aveva profittato, al pari di

altre tecniche, di quella particolare sensibilità che si eraandata sviluppando nei confronti delle materie prezio-se e luminose; la sua situazione non ne venne, tuttavia,privilegiata: per certi aspetti, anzi, fu tributaria di solu-zioni elaborate in altri campi, in quello dello smalto peresempio.

In età gotica, le vetrate nell’architettura...

Molto presto, a partire dal grande ciclo del deambu-latorio di Saint-Denis, dalle vetrate della facciata occi-dentale della cattedrale di Chartres, da quelle dell’absi-de della cattedrale di Poitiers, la situazione tende amutare. Tuttavia il cambiamento non è generale e con-temporaneo. In certe aree – Mosa, Renania, Alsazia – irapporti con le microtecniche suntuarie saranno privi-

legiati, in altre la vetrata assumerà sempre più caratterimonumentali. Nel corso del xii secolo, il mutarsi delsistema architettonico e la nascita di quella che oggichiamiamo architettura gotica, con il variare degli ele-menti portanti, dalle pareti ai pilastri, con il modificar-si delle spinte esercitate dalle volte, non più distribuitein modo uniforme ma concentrate su punti focali, haavuto conseguenze determinanti sullo sviluppo delle

finestre e delle vetrate e sulla luminosità degli interni.L’architettura gotica è basata infatti su una struttura ascheletro portante e tende a concentrare le spinte su ele-menti determinati in modo che la parete venga grada-tamente a perdere alcune delle sue funzioni, abbando-nando il carattere di struttura d’appoggio per mantene-re solo quello di schermo, di delimitazione. In una strut-tura di questo tipo la funzione di separazione tra inter-no ed esterno potrà essere assunta dalla vetrata:

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Attraverso la finestra della cattedrale non si vede né ilsole né quanto si trova al di fuori. La finestra non costi-

tuisce un legame con il mondo esterno ma, piuttosto, unaseparazione35.

La funzione della finestra muta in conseguenza dellatrasformazione della struttura architettonica e del ruolosempre maggiore svolto dalla vetrata. Alla base delnuovo sistema sembra stare proprio la volontà di sfrut-tare al massimo il principio della parete translucida otte-nendo vetrate di superficie sempre maggiore. GeorgesDuby, nella sua prolusione al Collège de France, hamesso in rilievo le implicazioni profonde della illumina-zione della chiesa:

Anche il santuario gotico, liberandosi dalla penombradove a lungo aveva giaciuto prona una religione di pro-sternazione, aprendosi alla luce del mondo, offrendo aglisguardi l’immagine di un Dio incarnato, presente nel cuore

stesso della vita, viene a significare in modo di piú in piúcosciente e attraverso ogni suo simbolo che l’uomo è chia-mato a cooperare in modo decisivo con la sua azione per-sonale a questo progresso ininterrotto in cui ormai si risol-ve il mito della creazione.

Già nel xii secolo nell’area di Reims e di Soissonserano state sperimentate nuove soluzioni per il pianodelle finestre, introducendovi bifore e trifore occasio-nalmente sormontate da un oculo36. L’anonimo archi-tetto che ricostruí la cattedrale di Chartres dopo l’in-cendio del 1196 aveva concepito le ampie superficivitree non tanto come elemento subordinato, quantocome reali e determinanti elementi architettonici. Lariduzione da quattro a tre piani dell’elevazione internadella navata, ottenuta con l’eliminazione della zonaprofonda e ombrosa delle tribune, sottolineò l’unità

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della parete e la sua bidimensionalità. A sua volta que-sta parete, grazie al sistema di appoggi esterni stabiliti

dagli archi rampanti, poté essere largamente intaccatadalle finestre. Cosí venne organizzato in modo nuovo erivoluzionario il clair-étage, il piano delle finestre, facen-do sormontare da un grande rosone (oltre sei metri didiametro) due ampie luci cuspidate e creando in talmodo una nuova finestra a tre elementi. E tuttavia levetrate di Chartres restano solo un’apertura entro unmuro massiccio. Questa soluzione verrà ripresa e porta-ta radicalmente avanti una quindicina d’anni dopo da Jean d’Orbais, l’architetto della cattedrale di Reims,che elimina risolutamente i resti della parete occupan-do l’intero spazio della campata con una «finestra atraforo», dove solo un piccolo ruolo è lasciato alla mura-tura e si dissolve la solidità della parete. Hans Jantzenha definito cosí questo passaggio:

Il maestro di Chartres aveva creato le sue finestre come

un susseguirsi di aperture quasi tagliate nel muro: nono-stante le estesissime aperture in lui esiste sempre il rappor-to con la parete. Anche nella cattedrale di Reims la finestradella navata mediana occupa tutto lo spazio tra le colonnetteche sorreggono la volta, ma la finestra è incastonata come«traforo» nell’apertura della parete per mezzo di stipiti elistelli in muratura indipendenti, rendendo cosí possibile lacompleta eliminazione della superficie muraria entro i soste-

gni della volta. I singoli elementi della finestra della navatamediana di Chartres (due luci e un rosone) si fondono oranella forma a traforo in una sorta di grata fatta di due archia sesto acuto e di un rosone a sei lobi che, come a Chartres,viene interamente riempita dalla vetrata colorata37.

Un passo successivo è compiuto da Robert de Luzar-ches ad Amiens, dove le finestre vengono raddoppiatee portate a quattro luci. Nella navata di Saint-Denis un

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grande architetto arriva a soluzioni ancora più avanza-te unendo, come ad Amiens, due finestre a due luci, ma

facendo altresí sormontare ciascun elemento a due lucida un oculo a sei lobi, e i due oculi a loro volta da unterzo che conclude lo sviluppo ascensionale della fine-stra. Inoltre, fatto di importanza fondamentale, le aper-ture del triforio, la galleria che corre sotto la claire-voieerano state a loro volta invetriate, e una chiara artico-lazione formale aveva stabilito una continuità tra il trifo-rio e il piano superiore delle finestre38.

Nel passaggio tra due sistemi architettonici la fun-zione della finestra cambia radicalmente:

Tra la finestra romanica e quella gotica la differenza nonè solo nelle dimensioni o nella forma, è soprattutto nellefunzioni. Come lo Hypaetron antico, apertura zenitale acielo aperto, la finestra romanica è una sorgente di luce euna bocca d’aria e niente altro: se il clima lo permette puòrestare sguarnita, senza un elemento fisso di chiusura (tale

era il caso anche a Vézelay). La finestra gotica arrivata altermine della sua evoluzione, cioè all’incirca verso il 1235,nel coro di Saint-Denis, nel coro della cattedrale di Troyes,non è l’apertura del muro, ma il muro stesso, o per megliodire l’elemento di separazione. Il suo ruolo essenziale è dilimitare lo spazio interno, di separare la chiesa dall’esterno,di arrestare il vento e la pioggia; è una parete translucidascandita e consolidata dagli umili elementi verticali che

sopportano la volta [...] La funzione di rischiarare diventasecondaria nel senso che è inadatta a giustificare la prodi-giosa amplificazione della superficie vitrea39.

Il costante ampliarsi delle superfici invetriate andòinfatti di pari passo, come ha notato Louis Grodecki,con l’incupirsi della gamma cromatica dei vetri, di modoche la quantità di luce degli interni rimase pressochécostante.

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Nel corso dei primi decenni del xiii secolo il gradua-le processo di ampliamento e la nuova strutturazione

della finestra nei confronti della parete avrà conseguenzeimportanti nell’organizzarsi della superficie vitrea. Ilpassaggio da una finestra a due luci a una a quattro cheincorpora altresí dei rosoni porrà problemi nuovi ai mae-stri vetrari. Una analoga evoluzione verso una articola-zione sempre piú ricca e complessa delle superfici siritrova nelle spartizioni interne degli oculi e delle gran-di rose delle facciate, come si vede passando dalla rosadella facciata occidentale di Chartres, alla rosa meri-dionale di Notre-Dame di Parigi, a quella occidentaledella cattedrale di Reims.

... e nella decorazione parietale.

Questa evoluzione non fu tuttavia globale e genera-lizzata. In Italia per esempio, dove per secoli la pittura

murale aveva conosciuto una invariata importanza, lavischiosità, ma anche la forza, della tradizione fecero síche le due culture, quella della solida parete dipinta equella della vetrata, convivessero ponendo problemisignificativi. Qui spesso la vetrata è accompagnata, sullemura che la attorniano e su cui essa si apre, da una deco-razione a fresco: gli esempi non mancano, dalla chiesasuperiore di San Francesco ad Assisi a Santa Croce a

Firenze, al duomo di Orvieto. Si manifesta qui una resi-stenza alle soluzioni più radicali che porterebbero allosvuotamento integrale della superficie esistente tra duesupporti: l’architetto della chiesa superiore di San Fran-cesco ad Assisi riserverà alle finestre invetriate apertu-re limitate lasciando spazio ai grandi cicli di affreschi chesi distendono sulle pareti e nei sottarchi, e questa opzio-ne è dettata probabilmente altrettanto da abitudini per-cettive che da ragioni statiche.

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L’accordo delle vetrate con le pitture murali pone piúdi un problema nelle chiese gotiche dell’Italia centrale.

A causa della profondità della finestra, i vetri sono situa-ti in una posizione arretrata rispetto alla superficie del-l’affresco, tuttavia la ricerca di profondità condotta nellapittura trecentesca italiana può cambiare le condizionidella percezione suggerendo l’illusione che gli affreschisprofondino letteralmente entro le pareti, di modo cheil loro piano di fondo sembra porsi allo stesso livellodelle vetrate. L’illusione tuttavia non è completa, laluminosità del vetro esercita un richiamo talmente forteche l’attenzione si fissa prima di tutto sulle finestre e lospettatore avverte che le scene si svolgono su pianidiversi in un modo che rende impossibile la percezionecontemporanea dell’affresco e della vetrata.

Anche in Francia la decorazione murale accompa-gnava spesso le vetrate, come ad esempio nella Sain-te-Chapelle di Parigi (dove il restauro ottocentesco haperò radicalmente alterato la decorazione dipinta), ma

qui il problema dell’accordo tra le due tecniche si basasoprattutto su problemi di intensità cromatica. Come haosservato Viollet-le-Duc, le tonalità opache e trattenu-te della pittura murale non possono accordarsi con ildispiegarsi luminoso dei colori di una vetrata, e nasce diqui la necessità di alzare risolutamente i toni della deco-razione pittorica per poter reggere al confronto40.

L’aspetto di una vetrata dipende da una quantità di

fattori, in primo luogo dalla funzione della finestra entrola struttura architettonica e di conseguenza dal ruolo cheviene conferito alla luce, che può essere uniforme o con-trastata, bianca o colorata, scarsa o abbondante, utiliz-zata per privilegiare una certa organizzazione e deter-minati elementi all’interno dello spazio di un edificio oper unificare questo spazio in modo uniforme senzavariazioni. La luce che illumina un ambiente passandoattraverso una vetrata proviene dall’esterno ed è modi-

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ficata dallo schermo translucido41; un uso diverso dellaluce è quello del mosaico, che riceve la luce dall’esterno

e la rifrange dando cosí una nuova animazione alla pare-te. Nel primo caso, la finestra è il punto focale privile-giato che si oppone alla superficie piú o meno uniformedella parete; nel secondo, è la parete luminescente chediviene determinante mentre la finestra ha un’impor-tanza molto minore. Nella celebre descrizione di SantaSofia di Costantinopoli scritta sotto Giustiniano daPaolo Silenziario è ben sottolineato il valore vibrante eluminoso delle superfici decorate a mosaico:

La conca dell’abside è come un pavone con penne dicento pupille. Dall’oro immenso della volta si diffonde unatale luce che abbaglia la vista. E un fasto barbaro e latinoinsieme [...] Di sera una tale luce si diffonde dal tempio suciò che lo attornia che lo si potrebbe chiamare un sole not-turno [...] Il navigatore non ha bisogno d’altro faro, glibasta guardare la luce del tempio42.

Saint-Denis, trionfo della vetrata.

Tra vetrate e architettura si stabilì una dialetticaserrata, e un momento importante, determinante addi-rittura, di questa vicenda si svolse negli anni 1140-5oattorno al cantiere di Saint-Denis, la grande chiesa

abbaziale che fu luogo di sepoltura dei re di Francia eche fu intrinsecamente legata alla storia della dinastia.Era qui abate attorno al 1140 Suger, uno dei grandipersonaggi della storia medievale, uno di quei monacicostruttori che fu uomo di chiesa e uomo di stato,amico, confidente e strettissimo collaboratore di re,scrittore, committente, animatore e organizzatore diuno straordinario cantiere dove confluirono orafi, mae-stri vetrari, tagliapietre, scultori e muratori da ogni

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parte d’Europa43. Il progetto di Suger fu quello di rico-struire l’antica abbazia carolingia, ed egli riuscí a por-

tare a termine la ricostruzione della parte anterioredella chiesa, il nartece, e di quella terminale, il coro conla soggiacente cripta. Il deambulatorio della basilica,con la sua corona di cappelle largamente invetriate, ègeneralmente considerato uno dei primi esempi com-pleti e organici della nuova architettura gotica e di ungeneroso e nuovo uso delle vetrate, ma dobbiamo pen-sare che la massima parte delle vetrate fatte eseguire daSuger sia andata distrutta e che quanto rimane in loco,tremendamente interpolato da onnipresenti restauri,non sia che una piccolissima parte di ciò che esisteva.Del coro di Suger infatti non è conservato oggi che ilpiano terreno, quello del deambulatorio; la cripta e idue livelli superiori non sono stati conservati. Ora,secondo le ricostruzioni che ne hanno dato Crosby eConant44, il coro, nei suoi quattro registri sovrapposti(comprendendovi anche la cripta le cui finestre erano

invetriate), dovette avere rispettivamente cinquantot-to o sessantotto finestre, cui si debbono aggiungerequelle del nartece ed eventualmente anche quelle postenelle finestre dell’antica navata carolingia, fino a untotale di circa novanta vetrate45.

Per la consacrazione dell’edificio il committente, l’a-bate Suger, dettò questi versi:

Era l’anno 1144 del Verbo quando fu consacrato. Lanuova parte absidale si congiunge ora con quella della fron-te e la chiesa rifulge perché la parte centrale è resa luminosa.Risplende infatti ciò che alla luce è armoniosamente unitoe risplende l’edificio pervaso di nuova luce46.

Fonte del chiaro lume che illumina la chiesa sono lefinestre del nuovo deambulatorio grazie al quale

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l’intera chiesa risplende per la luce mirabile e continuadelle chiarissime vetrate che pervade l’interna bellezza47.

Questi passi mostrano come nell’opera di Suger laluce avesse una particolarissima importanza, e ciò è statosottolineato con particolare enfasi da Erwin Panofsky,che ha posto in evidenza come uno stimolo in questosenso potesse essergli venuto proprio da alcuni testi teo-logici conservati nella biblioteca dell’abbazia. Essi eranostati inviati nell’827 a Carlo il Calvo dall’imperatore diBisanzio, Michele il Balbo, ed erano stati affidati a Hil-duinus, arcicancelliere di Carlo il Calvo, abate diSaint-Denis e buon conoscitore del greco.

Si trattava di un gruppo di testi scritti in greco –Gerarchia celeste, Gerarchia ecclesiastica, Nomi divini,Teologia mistica e Lettere – da un anonimo pensatoreneoplatonico vissuto in Siria tra la fine del v e gli inizidel vi secolo, che si presentava al lettore come Dionigil’Areopagita, l’ateniese che, convertito da san Paolo, era

stato vescovo della sua città nel i secolo. Hilduinus,nella sua Vita sancti Dyonisii scritta nell’835, unificò lepersone di Dionigi l’Areopagita, di un altro Dionigivescovo di Corinto nel iii secolo e autore di epistole, edel san Dionigi vescovo di Parigi, martirizzato intornoal 27o e patrono dell’abbazia, attribuendo al personag-gio fittizio sorto da questa operazione gli scritti dell’er-metico teologo che verrà ai nostri giorni chiamato loPseudo-Dionigi. Al tempo di Suger i testi dello Pseu-do-Dionigi nella versione latina che nel ix secolo neaveva dato Giovanni Scoto Eriugena erano conservatinell’abbazia di Saint-Denis ed erano oggetto di grandevenerazione48.

Erwin Panofsky ha argomentato in modo estrema-mente suggestivo come l’appassionato interesse per laluce che scorgeva negli scritti di Suger, e che si manife-stava nelle vetrate da lui commissionate, fosse una con-

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seguenza del rispetto per le tradizioni dell’abbazia, delrispetto cioè per quei testi che l’abate riteneva esser stati

scritti dal venerato martire cui il monastero era dedica-to. Questa ipotesi ha raccolto molti consensi, ma oggile tesi di Panofsky sono state messe in dubbio da piúparti, e si discute se gli scritti dello Pseudo-Dionigisiano realmente stati determinanti per la nascita delgrande programma vitreo; se, infine, e in quale misura,l’abate sia stato responsabile – come Panofsky suggeri-va – delle nuove soluzioni architettoniche e decorativetentate a Saint-Denis. Alla prima domanda la rispostanon potrà essere totalmente affermativa. È chiaro cheSuger trovò, nelle opere dello Pseudo-Dionigi, piú delleconferme a certe preoccupazioni che si poneva che dellerivelazioni inaspettate. L’abate non fu certo il primonella storia del pensiero medievale ad attribuire alla luceun ruolo tanto importante, e si colloca in una certa tra-dizione piú di quanto non la crei. Spinto da una sortadi  pietas archeologica, egli è in fondo partecipe degli

atteggiamenti mentali, delle attese e della sensibilità ditanti pensatori del suo tempo. D’altra parte, se il ruoloprivilegiato della luce nel pensiero e nel sistema di valo-ri di Suger ha avuto peso determinante nell’impulso a farerigere a Saint-Denis una tale serie di vetrate, esso noncostituisce l’unica spinta in questa direzione. La lucenon è l’unico elemento di una vetrata, il colore svolgeanch’esso un ruolo molto importante. La predilezione

per le vetrate policrome è una delle tante manifestazio-ni dell’interesse che suscitavano gli oggetti vivamentecolorati, smalti, pietre preziose, vetri:

agli occhi di un autore medievale bellezza significava splen-dore in quanto varietà di colori, significava lo scintillio del-l’oro e dei gioielli49.

L’amore per una decorazione vivacemente cromatica

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caratterizzò l’arte romanica come quella carolingia, lasobria monocromia dell’arte romanica è un’invenzione

recente che corrisponde a una sensibilità estetica pros-sima a noi, ma anacronistica se rapportata ai tempi.Gli scritti dello Pseudo-Dionigi devono essere letti

come un dichiarato inno alla luce, proprio come avevasostenuto Panofsky? Anche su questo punto si sonooggi alzate voci divergenti, che hanno sottolineato unaltro aspetto del pensiero dello Pseudo-Dionigi chePanofsky aveva tralasciato50: la sua «teologia negativa»,la sua «metafisica dell’oscurità», la sua definizione diDio come luce inaccessibile, divina oscurità. Non è tantola luminosità delle vetrate di Saint-Denis a veniresottolineata a questo punto, quanto la loro gammaprofonda, la cupezza dei loro azzurri, la nobile saphiro-rum materia effettivamente celebrata da Suger51. Inbreve, l’influenza degli scritti dell’antico teologo sisarebbe manifestata piuttosto nella predilezione, evi-dentissima a Saint-Denis come a Chartres, per il cupo

splendore dei blu e dei rossi che nella chiarezza dellevetrate. Si era poi realmente esercitata una tale influen-za? Anche questo è stato messo in dubbio52.

Molto è stato dunque rimesso in causa della genialeipotesi di Panofsky, ma anche se l’ipotesi del primato delcommittente sull’architetto e della cultura teologico-filo-sofica su quella tecnica, portata alle estreme conseguenzenel libro sulla cattedrale gotica di Otto von Simson53, è

aspramente discussa, anche se la sapienza tecnica e geo-metrica dell’ignoto progettista del coro, vero responsa-bile delle nuove soluzioni architettoniche54, appare par-ticolarmente innovatrice e personale, anche se la gene-si neoplatonica dell’architettura gotica si avvia altramonto sotto l’incalzare di una ondata di desimboliz-zazione55, anche se i legami particolari della cultura edella visione del mondo di Suger con gli scritti delloPseudo-Dionigi sono rimessi in causa56 e gli stessi carat-

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teri del messaggio estetico dionisiano possono venirediversamente letti57, pure il ruolo dell’abate e delle sue

scelte non sembra diminuire. Dai suoi scritti – l’Ordi-natio, redatta nel 1140-41, il De Consecratione e il De Administratione posteriori al 1144, data della consacra-zione del nuovo coro della chiesa – si trae l’impressio-ne che egli abbia avuto una determinante responsabilitànella creazione di quell’originale crogiuolo di cultureartistiche che fu il cantiere di Saint-Denis. In piú luo-ghi e a piú riprese si sottolinea infatti il carattere cosmo-polita del centro, si parla di molti maestri di diversenazioni attivi alle vetrate, di pittori de diversis partibuse ancora di mercanti di gemme de diversis regnis et natio-nibus. Il suscitare l’incontro e la collaborazione di arte-fici provenienti da (e portatori di) tradizioni diverseebbe effetti molto importanti; senza voler adottare lasoluzione estrema e romantica di leggere il gotico dioni-giano come una creazione collettiva, è chiaro che que-sta collaborazione di artisti provenienti da culture dif-

ferenti deve essere stata particolarmente efficace nellaelaborazione di nuove soluzioni. Se la struttura aereadell’edificio era opera dell’architetto restato anonimo,l’«ammirevole illuminazione ininterrotta delle vetraterisplendenti» nel deambulatorio del coro, e anche la«divina oscurità» diffusa dalle finestre del nartece edella cripta, costituiscono l’apporto personale e vera-mente originale di Suger all’abbellimento della sua chie-

sa. Nella ricostruzione dell’abbazia voluta e diretta daSuger è inscritto il trionfale destino della vetrata medie-vale e della sua grandiosa espansione.

1 m. proust, A la recherche du temps perdu, edizione Pléiade a curadi J.-Y. Tadie, Paris 1987, vol. I, pp. 58-59: «ne chatoyaient jamaistant que le jours où le soleil se montrait peu, de sorte que, fît-il grisdehors, on était sûr qu’il ferait beau dans l’église» [trad. it. Torino

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19636, vol. I, p. 651. Sulle vetrate nell’opera di Proust cfr. r. bales,Proust and the Middle Ages, Genève 1975, pp. 34-52 e gli articoli Ver-rière e Vitrail in l. fraisse, L’Œuvre Cathédrale, Proust et l’architectu-

re médiévale, Paris 1990, pp. 492-528.2 proust, A la recherche cit., p. 6o.3 Cfr. m. harrison caviness, Stained Glass before 154o. An anno-

tated bibliography, Boston 1983, p. xiv; r. becksmann, Deutsche Gla- smalerei des Mittelalters. Eine exemplarische Auswahl , Stuttgart 1988, pp.18-2o.

4 c. brisac e j.-m. leniaud, Adolphe-Napoléon Didron ou les médiasau service de l’art chrétien, in «Revue de l’Art», 77, 1987, pp. 33-42.

5 Le vitrail: son histoire, ses manifestations à travers les âges et les peu- ples, Paris 1896.

6 Les Vitraux, Paris 1895.7 l. bégule, Les vitraux du Moyen Age et de la Renaissance dansla région lyonnaise et spécialement dans l’ancienne diocèse de Lyon,Lyon 1911.

8 f. geiges, Der alte Fensterschmuck des Freiburger Münsters, Freiburg1910.

9 h. oidtmann, Die Glasmalerei, Köln 1892-98; id., Die rheinischenGlasmalereien vom 12 bis zum 16 Jahrhundert , Düsseldorf 1912-29.

10 Autore di un fortunato Handbuch der Glasmalerei pubblicato aLipsia nel 1914 e in seconda edizione nel 1937.

11

Particolarmente nel sesto capitolo dedicato alla fortuna dellevetrate.12 j.-m. leniaud, Les Cathédrales au XIX e  siècle, Paris 1993; c. bou-

chon, c. brisac, n.-j. chaline e j.-m. lemaud, Ces églises du XIX e  siè-cle, Amiens 1993.

13 e. mâle, La peinture sur verre en France,in Histoire de l’art publiée sous la direction d’André Michel , I (2), Paris 1905, pp. 782-95; II (1),Paris 1906, pp. 372-96.

14 w. waetzoldt, Glasmalerei des Mittelalters. Ein Kapitel deutscher Wissenschaftsgeschichte, in Vitrea dedicata, Berlin 1975, pp. 11-19.

15 r. becksmann, Zur Situation des deutschen Corpus Vitrearum Medii Aevi, in «Kunstchronik» xxiv (1971), pp. 233-38; l. grodecki, Dix ansd’activité du Corpus Vitrearum, in «Revue de l’Art», 51, 1981, pp.23-30; id., Corpus Vitrearum. Histoire et état actuel de l’entreprise inter-nationale, Wien 1982.

16 Se ne veda la bibliografia nella terza edizione, a cura di F. Per-rot, di Le Vitrail , Lyon 1988, pp. 209-14.

17 Bibliografia in Beiträge zur Kunst des Mittelalters: Festschrift für Hans Wentzel zum 6o. Geburtstag , a cura di R. Becksmann, U.-D. Korne J. Zahlten, Berlin 1975, pp. 255-67.

18 La bibliografia, a cura di C. Lautier, è apparsa nel primo volu-

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me della raccolta dei suoi scritti, Le Moyen- Age retrouvé , Paris 1986,pp. 15-29.

19 Vitraux de France du XI e au XVI e  siècle, Paris 1953.20 h. wentzel, Meisterwerke der Glasmalerei, Berlin 1951.21 m. aubert, a. chastel, l. grodecki, j.-j. gruber, j. lafond, f.

mathey, j. taralon e  j. verrier, Le Vitrail Français. Sous la hautedirection du Musée des Arts Décoratifs, Paris 1958.

22Se ne veda la bibliografia in aa.vv., Les Vitraux de Narbonne, Nar-bonne 1992, pp. 15-18.

23 Si vedano tra l’altro i contributi di Colette Manhes-Deremble, Jean-Paul Deremble, Michel Herold, Guy Leproux, Claudine Lautier,Françoise Gatouillat, Nicole Blondel, Anne Granboulan.

24 theophilus, The Various Arts - De Diversis Artibus, edizione a

cura di c. r. dodwell, London 1961. I passi citati sono presi dallaseconda edizione dell’opera, Oxford 1986, p. 37.25 Su Theophilus si veda il capitolo seguente.26 m. pastoureau, Les couleurs médiévales: systèmes de valeurs et 

modes de sensibilité , in Figures et Couleurs, Paris 1986, pp. 35-49.27 sugerii, De Administratione, in e. panofsky, Abbot Suger on the

 Abbey Church of St-Denis and Its Art Treasures, Princeton 1946 (2a ed.1979), p. 62.

28 sugerii, De Administratione cit., pp. 62-64. Cfr. l. marin, Dansla lumière du vitrail , in Des pouvoir de l’image, Paris 1993, pp. 211-32.

29

 j. r. johnson, Stained Glass and Imitations Gems, in «Art Bulle-tin», xxxix (195 7), pp. 221-24.30 h. focillon, Vita delle forme, Torino 1987, p. 17 (ed. orig. Paris

1934).31 e. panofsky, Il significato nelle arti visive, Torino 1962, p. 35 (ed.

orig. New York 1955).32 o. pächt nel catalogo dell’esposizione Europäische Kunst um

1400, Wien 1962, p. 62.33 p. frankl, Die Glasmalerei des 15 Jahrhunderts in Bayern und 

Schwaben, Strassburg 1912; h. wentzel, Glasmaler und Maler im Mit-telalter , in «Zeitschrift für Kunstgeschichte», iii (1949), p. 53.

34 h. swarzensky, Monuments of Romanesque Art . The Art of Chur-ch-Treasures in NorthWestern Europe, London 19672, p. 5.

35 e. frodl-kraft, Le Vitrail Médiéval . Technique et esthétique, in«Cahiers de Civilisation médiévale», x (1967), p. 1.

36 r. branner, Saint -Louis and the Court Style in Gothic Architectu-re, London 1965, p. 15.

37 h. jantzen, Kunst der Gotik, Hamburg 1957 [trad. it. Firenze1961, pp. 63-65].

38 c. a. bruzelius, The 13th Century Church at Saint -Denis, NewHaven 1985.

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39 l. grodecki, Le vitrail et l’architecture au XII e  et au XIII 

e  siècle, in«Gazette des Beaux-Arts», VI serie, xxxvi/ii (1949), pp. 5-24.

40 e.-e. viollet-le-duc, Fresque, in Dictionnaire raisonné de l’archi-

tecture française du XI au XVI  siècles, Paris 1861, vol. V, p. 93.41  j. michler, Über die Farbfassung hochgotischer Sakralraume, in

«Wallraf-Richartz Jahrbuch», xxxix (1977), pp. 29-64; e.frodl-kraft, Die Farbsprache der gotischen Malerei. Ein Entwurf , in«Wiener Jahrbuch für Kunstgeschichte», xxx-xxxi (1977-78), pp.89-178.

42 a. veniero, Paolo Silenziario. Studio sulla letteratura bizantina del VI  secolo, Catania 1916.

43 Su Suger, oltre allo splendido testo di Panofsky che si è spessocitato, si veda m. bur, Suger, Abbé de Saint-Denis, Régent de France,

Paris 1991.44 s. mc knight crosby, The Royal Abbey of Saint -Denis from ItsBeginnings to the Death of Suger 475-1151, New Haven 1987.

45 j. gage, Gothic Glass. Two Aspects of a Dionysian Aesthetic, in«Art History», v (1982), p. 39.

46 sugerii, De Administratione cit., p. 5o.47 sugerii, Libellus alter de consecratione ecclesiae Sancti Dionysii, in

panofsky, Abbot Suger cit., p. 100.48 a. m. romero, Saint -Denis. La montée des pouvoirs, Paris 1992;

h. f. dondaine o. p., Le corpus dyonisien de l’Université de Paris au XII e 

 siècle, Roma 1953.49 f. p. chambers, The History of Taste, New York 1932, p. 8.50 panofsky, Abbot Suger cit., p. 19.51 gage, Gothic Glass cit., particolarmente pp. 39-46; m. parsons

lillich,  Monastic Stained Glass: Patronage and Style, in T. Verdon (acura di), Monasticism and the Arts, Syracuse 1984, pp. 207-54.

52 p. kidson, Panofsky, Suger and Saint -Denis, in «Journal of the War-burg and Courtauld Institutes», l (1987), pp. 1-17.

53 o. von simson, The Gothic Cathedral , Princeton 1962 [trad. it.Bologna 1988].

54 r. suckale, Neue Literatur über die Abteikirche von Saint -Denis,in «Kunstchronik», xliii (1990), pp. 62 sgg.

55 w. sauerländer, Gothic Art Reconsidered: New Aspects and OpenQuestions, in The Cloisters, Studies in Honor of the Fiftieth Anniversary,a cura di E. C. Parker, New York 1992.

56 kidson, Panofsky, Suger and Saint -Denis cit.57 gage, Gothic Glass cit.

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Capitolo secondo

Le tecniche

La vetrata è una composizione di frammenti di vetro,per lo piú diversamente colorati, posta a chiudere unafinestra. Sui vetri, riuniti secondo un disegno, è diste-sa una pittura monocroma che viene fissata stabilmen-te al supporto da una cottura in forno. Essi sono tenu-ti insieme da listelli di piombo e da un’armatura di ferrograzie alla quale la vetrata viene assicurata stabilmentealla struttura muraria1.

Composta da diversi frammenti di vetro colorato (o,

talora, incolore), la vetrata è dunque una pittura fattacon il vetro, in quanto composta essenzialmente da talemateria (e pertanto simile per certi aspetti al mosaico oallo smalto), e, nello stesso tempo, una pittura stesasopra il vetro. Ha una funzione decorativa e architetto-nica, svolgendo contemporaneamente il ruolo di pittu-ra luminosa e di schermo translucido che separa l’ester-no dall’interno di un edificio.

Poiché la luce che passa attraverso il vetro ha unruolo capitale (i maestri di vetrate dipingevano «con laluce stessa» scrive il pittore Eustache Hyacinthe Lan-glois, che fu un pioniere dello studio e del rinnovamentoottocentesco delle vetrate)2, ne consegue che gli ele-menti di cui questa tecnica si avvale sono essenzial-mente i vetri, la luce che li attraversa e che viene dif-fusa e modificata in diverso modo a seconda del lorocolore e della loro struttura, la pittura monocroma stesa

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sopra di essi, i piombi che li tengono insieme e ne sot-tolineano i contorni, l’armatura infine che raggruppa e

ripartisce in compartimenti le singole scene e contri-buisce all’impaginazione della vetrata secondo disegnipiú o meno complessi.

Il trattato di Theophilus.

Grazie ai numerosi scritti a essa dedicati conosciamodiscretamente la tecnica delle vetrate che, d’altra parte,non ha conosciuto, nel corso del tempo, che scarsi muta-menti3.

Si è già accennato al primo e piú esteso di questi trat-tati, il cui autore si è firmato con il nome di Theophi-lus – chiaramente uno pseudonimo – ma fa intendere diessersi chiamato Rugerus; infatti all’inizio di quello cheè forse il piú antico manoscritto conservato del suotesto, oggi nella biblioteca di Vienna, troviamo scritto:

«Comincia il prologo del primo libro di Theophilus chia-mato anche Rugerus».La discussione sulla datazione e la localizzazione di

questo testo, edito per la prima volta da Lessing, che nerinvenne un manoscritto nella biblioteca di Wolfenbüt-tel nella seconda metà del settecento, e noto come Sche-dula diversarum artium,ocome De diversis artibus,èanno-sa e ha conosciuto pareri assai divergenti, con oscilla-

zioni notevoli sul piano spaziale come su quello tempo-rale. Lessing, che riteneva il testo del ix secolo e crede-va che il suo autore fosse il mitico Tuotilo, un monacoeccezionalmente capace in ogni tecnica artistica di cuiparlano le cronache del monastero di San Gallo, si eraparticolarmente entusiasmato per il manoscritto grazieagli accenni all’uso dell’olio in pittura che vi aveva tro-vato, e scrisse nel 1774 una sorta di violento pamphletantivasariano sulla precocità di questa tecnica (Vom

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 Alter der Ölmalerey aus dem Theophilus Presbyter ), men-tre la trascrizione del testo da lui scoperto uscí solo

dopo la sua morte4

. Oggi generalmente si ritiene che iltesto sia stato scritto all’inizio del xii secolo in un mona-stero della Germania settentrionale, forse in Renania oin Westfalia5. Il suo autore dovette essere un monacoappartenente a uno di quei grandi stabilimenti bene-dettini in cui venivano praticate varie attività artistiche,nelle quali egli fu direttamente implicato. Si mostrainfatti tanto bene al corrente dei diversi procedimentiimpiegati che c’è chi ha tentato di identificarlo con ungrande personaggio della storia dell’arte medievale, l’o-rafo Rogkerus, attivo nel monastero di Helmarshausen,autore nel 1100, per il vescovo di Paderborn Heinrichvon Werl, di un ammirevole altare portatile la cui ese-cuzione è ben documentata e che oggi è conservato neltesoro della cattedrale6.

Lo scritto di Theophilus si divide in tre libri, il primodedicato alla pittura e alla miniatura, il secondo alla

fabbricazione del vetro e delle vetrate, il terzo alle tec-niche della lavorazione dei metalli e all’oreficeria. Attra-verso la descrizione dei procedimenti e dei materialiusati, Theophilus volle caratterizzare le maggiori tecni-che artistiche in auge al suo tempo, giustificandone l’e-sercizio da parte di un monaco come un dovere e unesercizio religioso7.

La ripartizione stessa dei soggetti indica l’importan-

za che le arti del vetro ebbero nell’attività di un ateliermonastico del xii secolo nell’Europa del nord. Theophi-lus dedica infatti molti capitoli a descrivere come venis-se prodotto il vetro e come si progettasse e realizzasseuna vetrata, scendendo nei particolari di tutto il pro-cesso di produzione, dalla costruzione dei forni alla sof-fiatura dei vetri, alla formulazione di un modello, altaglio dei vetri di diverso colore, al loro assemblaggio,alla preparazione e all’impiego della pittura monocroma,

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alla ricottura, alla messa in piombo, fino alle ultime fasidella lavorazione. Egli definisce la vetrata come una

pittura translucida grazie alla quale l’interno di un edi-ficio poteva essere abbellito da una quantità di colorisenza con questo impedire ai raggi del sole di penetrar-vi: ... quo artis ingenio et colorum varietas opus decoraret,et lucem diei solisque radios non repelleret , e ne sottolineain questi termini i singolari caratteri: «Se l’occhioumano contempla l’abbondanza della luce che penetradalle finestre, ammira allora la bellezza inestimabile delvetro e la varietà dell’opera preziosissima»8.

La fabbricazione del vetro.

Per fabbricare una vetrata occorreva anzitutto lamateria prima, il vetro, la cui apparizione ha inizioall’età del bronzo, tra il v e il iv millennio prima di Cri-sto, non esclusivamente in oriente come si è a lungo cre-

duto, ma un po’ dovunque si praticasse la lavorazionedel rame, come risulta da gioielli trovati in tombe del-l’età del bronzo e addirittura della fine dell’età neoliti-ca9. Ora, se i popoli dell’oriente mediterraneo e spe-cialmente i romani lo avevano usato largamente, alme-no a partire dalla fine del i secolo a. C., quando l’intro-duzione della tecnica della soffiatura aveva comportatoun’autentica rivoluzione trasformando in produzione di

massa per coppe, anfore, vasi, bicchieri e varie suppellet-tili ciò che, anteriormente, era una manifattura dilusso10, l’uso di questa materia si era andato molto ridu-cendo nell’Europa occidentale nei primi secoli delmedioevo, mentre aveva al contrario attinto ecceziona-li risultati a Costantinopoli e nell’area islamica.

È probabile che la produzione di lastre di vetro11 pervetrate abbia costituito a un certo momento un impor-tante stimolo all’incremento della fabbricazione del

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vetro almeno in certe zone dell’Europa medievale12. Neiprimi tre decenni del duecento la richiesta di vetri piani

per la sola cattedrale di Chartres dovette essere dell’or-dine di circa duemila metri quadri, pari a otto metri cubie a circa venti tonnellate13.

Generalmente il vetro non era prodotto dai medesi-mi atelier che confezionavano le vetrate. Ciò potevaavvenire nel caso dei laboratori sorti all’interno di un’ab-bazia14, fissi e non itineranti, situati fuori di una città,in prossimità di una foresta che forniva i materiali perla fabbricazione. Questo fu il caso per esempio dell’ab-bazia di Tegernsee in Baviera, nel medioevo uno deigrandi centri culturali europei, dove nel primo decenniodell’xi secolo lavoravano maestri vetrari. Ciò apparedalla richiesta di vetri che il vescovo della città di Frei-sing, Godescalcus, tra il 1003 e il 1013, fa a Peringerus,abate di Tegernsee, il quale si affretta a far lavorare perlui «i nostri vetrai» e gli spedisce duecento lastre divetro15. Questo dovette essere anche il caso del mona-

stero dove Theophilus scrisse il suo trattato, nel qualedescrive attentamente sia la produzione del vetro e lastrumentazione a essa necessaria, sia la fattura dellevetrate, mostrando una conoscenza dell’intero processoproduttivo che doveva venirgli da una esperienza diret-ta. Ma nella maggior parte dei casi, e particolarmente inquello degli atelier attivi alla invetriatura delle finestredelle grandi cattedrali, il vetro in lastre proveniva da

vetrerie situate spesso a non grande distanza dalla città,o talvolta poteva essere acquistato in pani, prodotti inprecedenza in officine vetrarie specializzate, che veni-vano quindi rifusi e rilavorati sul posto. Il ritrovamen-to, nel corso degli scavi della torre civica di Pavia, dipani di vetro accanto a frammenti di vetrate riferibiliagli inizi del xiii secolo testimonia di questa pratica16,sulla quale, tuttavia, non possediamo una documenta-zione sufficientemente vasta.

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Il mercato

Nel caso della cattedrale di Chartres, per esempio, lenotizie che abbiamo sulla provenienza dei vetri sonopiuttosto tardive. Ci è rimasto un contratto stipulato il30 settembre 1375 per l’acquisto di vetri azzurri, verdie porpora dal vetraio Jean Hennequin, che aveva la suaofficina presso Senonches, da parte di un Guillemin,maestro vetrario dell’opera della cattedrale. Un altrodocumento, del 24 novembre 1415, riguarda acquisti daparte del maestro vetrario dell’opera della cattedrale a Jehan de Voirre, mercante di vetro abitante presso Lon-gny17. Queste scarse notizie fanno intravedere l’esisten-za di un grosso mercato del vetro con produttori, mer-canti e consumatori18.

Per quanto riguarda i produttori, era opportuno chela vetreria sorgesse in luoghi dove fosse facile approv-vigionarsi di legno per i forni e di foglie di felci, le cuiceneri utilizzare nella produzione del vetro. Nei conti

del 1302 della vetreria normanna di Fontaine-du-Houx,per esempio, si registrano minutamente i costi degli ope-rai impiegati a raccogliere felci per fare i vetri, e quellirelativi al trasporto delle foglie fino alla fornace ( pro die-tis minutorum operanorum qui collegerunt gencheriam ad  faciendum vitra)19.

In certi casi poteva anche avvenire che la massimaparte dei vetri fosse importata da lontano. Nel contrat-

to per la cappella funeraria di Richard Beauchamp nellacollegiata di St Mary’s a Warwick (1447) si specifica cheil vetro doveva venire d’oltremare e che non dovevaessere impiegato alcun vetro inglese. In questo caso sitratta però di un esempio eccezionale, della vetrata piùpreziosa e costosa che un maestro vetrario inglese potes-se produrre20. È possibile d’altra parte che il vetro pro-dotto in Inghilterra non sia stato per molto tempo cheun vetro d’uso corrente, come il vetro verde prodotto a

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Chiddington nel Surrey21, e che la massima parte deivetri per le grandi vetrate del duecento sia stata impor-

tata dalla Francia o dalla Germania. La notizia cheprovenissero dall’Inghilterra certe splendide vetratedonate all’abbazia di Braine alla fine del xii secolo smen-tirebbe questa ipotesi, ma si tratta di una informazionetardiva ed estremamente dubbia, come altrettanto dub-bia, ma meno inverosimile data la superiorità francesein questo campo, è quella che una delle clausole deitrattati tra Luigi VII di Francia ed Enrico II d’Inghil-terra avrebbe richiesto che uno dei migliori maestrivetrari francesi del tempo fosse libero di recarsi inInghilterra22. Vetri di particolare pregio e con caratteri-stiche peculiari potevano, in certi casi, essere chiestimolto lontano, alle vetrerie veneziane per esempio.

Le vetrerie.

L’antica tradizione della lavorazione del vetro si eramantenuta in Italia anche nell’alto medioevo (ne è unesempio la vetreria di Torcello); molto attive furono poile vetrerie di Altare in Liguria, e numerose le fornaci nel-l’Italia settentrionale, in quella centrale23 e in Sicilia, men-tre fu probabilmente a Roma che venne compilato, a unadata che è ancora molto discussa24, il trattato De Colori-bus et Artibus Romanorum che porta il nome di Eraclio,

una cui parte, piú tarda del resto del testo, si occupa delvetro. Tuttavia le vetrerie veneziane, dal 1297 a Mura-no25, pur producendo i vetri più ricercati d’Europa e glioggetti piú prestigiosi, non vennero particolarmente sol-lecitate dai maestri di vetrate. Del resto Giorgio Vasarisconsiglia l’uso dei vetri di Murano per questa tecnica, eciò a causa della loro scarsa translucidità.

Le fornaci che produssero la massima parte dei vetriper le vetrate si trovavano in Germania e in Francia,

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spesso in aree già celebri al tempo del tardo impero perla loro produzione vetraria, come il basso Reno o la

valle della Senna.Per secoli la produzione del vetro per finestre fu con-siderata una specialità francese, e questa immagine tro-viamo ribadita nella prima pagina del trattato diTheophilus, laddove parla della preziosa varietà dellefinestre francesi come di una delle peculiarità artistichedi questo paese. Ma assai prima questa situazione è illu-minata dalla Historia Abbatum di Beda il Venerabile, chenarra come l’abate Benedict Biscop, fondatore dei piúcelebri monasteri del Northumberland, avesse inviatonel 675 emissari in Francia per cercarvi maestri vetrariche introducessero in Inghilterra questa tecnica scono-sciuta, operazione poi ripetuta dall’abate Cuthbert nel758. L’attendibilità di queste notizie è confermata dalritrovamento di frammenti di vetrate del vii e del ixsecolo negli scavi di Monkwearmouth e di Jarrow.

Nel medioevo il vetro veniva fabbricato a partire da

una mistura fatta di due terzi di ceneri vegetali, che con-tenevano potassa e servivano come fondenti abbassan-do la temperatura di fusione della sabbia, e di un terzodi sabbia di fiume ricca di silicio, a cui venivano aggiun-ti frammenti di vetro e di tessere di mosaico accurata-mente ridotte in polvere. Raccolta in un recipiente, essaveniva sottoposta a una cottura in forno a una tempe-ratura elevata di circa 1500 gradi, ma che poteva essere

diminuita anche al di sotto di 1000 gradi se il tenoredella soda era molto alto.In Francia si preferivano le ceneri di felce, che dava-

no il cosiddetto «verre de fougère», in Germania quel-le delle foglie del faggio, che entrano nella composizio-ne del vetro chiamato «Waldglas».

A parte le impurità e altri elementi variabili, la for-mula differiva da quella del vetro antico, ove invece dipotassa (vale a dire carbonato di potassio) veniva piú

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generalmente impiegata soda, cioè carbonato di sodio,il che dava luogo a un prodotto piú soddisfacente, piú

fine, malleabile e facile da lavorare e meno esposto adeterioramenti. Il ricorso alla soda, ottenuta dalle cene-ri di certe alghe, piante marine o dei deserti, o dal saledei laghi salati, che permetteva di ottenere un vetro dimigliore qualità, sarà di nuovo più generalmente prati-cato, dopo un lungo periodo di parziale abbandono(nelle vetrerie situate nelle aree costiere mediterranee lasoda però continuò a essere utilizzata)26, solo a partiredal xvi secolo, grazie all’intensificarsi delle comunica-zioni e degli scambi. Già nel xii secolo però certi vetriazzurri particolarmente apprezzati, utilizzati nelle vetra-te della facciata occidentale della cattedrale di Chartres,in certe vetrate di Saint-Denis o della cattedrale diYork, contenevano alte percentuali di sali di sodio, equesto fenomeno si estende nel xiii secolo27.

Altro elemento importante era la percentuale di sili-cio contenuta nella sabbia che si trovava nel vetro. Piú

essa era alta, piú resistente e durevole era il prodotto;per contro una forte presenza di sali di potassio potevarivelarsi alla lunga estremamente nociva: vetri checontengono meno del 14 per cento di sali di potassio sisono rivelati inattaccabili dalla corrosione, mentreaumentando la percentuale aumentano considerevol-mente i rischi – si hanno crateri causati dalla corrosio-ne confinati a certe zone quando la percentuale dei sali

di potassio oscilla tra il 15 e il 18 per cento, crateri gene-ralizzati quando la percentuale di questi sali va dal 18al 27 per cento.

I colori.

La colorazione dei vetri28 era dovuta all’impiego diossidi metallici che venivano aggiunti agli altri compo-

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nenti del vetro e, in certa misura, anche ai tempi di cot-tura che potevano influenzare il grado di ossidazione. Si

usavano il protossido di rame per ottenere il rosso, ossi-di di rame o di ferro per il verde, di cobalto o di rameper l’azzurro (in particolare il prezioso ossido di cobal-to proveniente dalla Boemia permetteva di ottenereazzurri profondi e luminosi)29, di ferro per il giallo, dimanganese per il color porpora. Solo moderne analisimicroscopiche, chimiche e spettroscopiche30 hanno for-nito informazioni precise sugli ossidi utilizzati, come,del resto, sui componenti del vetro, punti sui quali gliantichi trattati rimanevano abbastanza vaghi. Alla colo-razione dei vetri erano dedicati alcuni capitoli andatiperduti del testo di Theophilus31.

La pasta vitrea ottenuta grazie alla fusione dellamistura di ceneri vegetali, sabbia, polvere di vetro e ossi-di metallici era soffiata in cilindri, che venivano quinditagliati all’estremità e nel senso della lunghezza ondepermettere di distenderne la superficie, oppure in dischi

piatti ottenuti per forza centrifuga dalla lavorazione diuna bolla di vetro soffiato, raccolta su una punta diferro e fatta girare rapidamente di fronte a un fuoco. InGermania si preferiva il metodo di lavorazione in cilin-dri, in Francia quello in dischi. Secondo che venisseimpiegata l’una o l’altra lavorazione, potevano notevol-mente variare la struttura del vetro, la disposizione dellebolle d’aria all’interno della massa, l’uniformità dello

spessore, elementi tutti che producevano differenze diintensità nei colori, variazioni nella rifrazione della lucee influivano, quindi, sulle qualità del vetro prodotto.

Theophilus dà un’efficace descrizione della fabbrica-zione di un cilindro di vetro soffiato:

Se vuoi fare tavole di vetro, allora, alle prime ore del mat-tino, prendi una canna di ferro e ficca la sua estremità in unvaso pieno di vetro fuso. Quando il vetro aderisce alla canna

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comincia a girarla con la mano fino a quando non avrai rac-colto attorno a essa quanto vetro avrai voluto. A questo

punto tirala fuori, mettila in bocca e soffia leggermente.Leva immediatamente la canna dalla bocca e tienla vicinaalla mascella per non rischiare di bruciarti con la fiammaquando aspiri. Abbi una pietra levigata e batti leggermentesu questa con il vetro incandescente per eguagliarlo in ognisua parte e torna a soffiare immediatamente e ripetutamen-te, sempre ricordandoti di togliere la canna dalla bocca.Quando vedi che il vetro pende dalla canna come una lungavescica, esponi la sua estremità alla fiamma e subito questasi liquefarà e apparirà un buco. A questo punto prendi unlegno adatto e allarga il buco fino a ottenere un diametroanalogo a quello che è al centro della vescica […]32.

Vetri placcati.

Il testo di Theophilus non accenna al fatto che molto

frequentemente i vetri erano placcati, formati cioè dadue o piú strati di diverso colore; ciò si otteneva immer-gendo successivamente la canna in vasi contenenti dif-ferenti paste vitree. Questo avveniva regolarmente nelcaso dei vetri rossi, perché i sali di rame danno ai vetriuna colorazione talmente forte e una tonalità cosí cupada renderlo, quando abbia un certo spessore, completa-mente opaco. Se il vetro era soffiato in cilindri si venivacosí a ottenere un foglio rosso da una parte e bianco dal-l’altra (in realtà generalmente vi erano numerosi strati),se invece era lavorato in dischi si aveva un vetro marez-zato, in quanto la spinta centrifuga cui era sottopostofaceva sí che gli strati rossi e bianchi si disponessero ir-regolarmente. Nacquero cosí i bei vetri rossi marmoriz-zati del xii e del xiii secolo33.

Analisi microfotografiche hanno permesso di accer-tare che, molto sovente, la struttura dei vetri rossi del

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xii secolo era estremamente complessa. Non soltanto lostrato piú spesso del vetro era incolore e il piú esiguo era

rosso, ma quest’ultimo, lungi dall’essere omogeneo, eraformato da sottilissime lamine di vetro rosso alternatead altre di vetro incolore, una struttura che non man-cava di avere conseguenze sui modi della penetrazionedella luce, che traversava il vetro in modo non omoge-neo e irregolare, dando origine a vibrazioni cromatichee a una sorta di scintillio tale da produrre effetti similia quelli delle gemme.34

Non solo il vetro rosso, ma anche altri vetri del xii

secolo, come hanno mostrato gli esami cui sono stati sot-toposti frammenti di vetrate trovati negli scavi dellacattedrale di Spira, rivelano, all’esame microscopico, diessere stati trattati in maniera analoga; in certi casi sisono trovati vetri composti di finissime pellicole sovrap-poste. Si tratta di vetri placcati due o tre volte con stra-ti di colore (verde-giallo, verde-rosso, violaceo) alterna-ti a strati incolori, vagamente verdastri. Ove si tratti di

un vetro a piú strati, quello di colore piú forte si trova,generalmente, al centro. Nel caso di questi vetri strati-ficati il cilindro di vetro è immerso piú volte (non unasola come nel vetro placcato) in una fusione colorata obianca35.

Giorgio Vasari, che era stato allievo in giovinezza diun grande maestro vetrario, il francese Guillaume deMarcillat, nella Introduzione alle tre arti del disegno che

precede le Vite, discute con grande competenza anchedi pittura su vetro, indicando bene gli svantaggi di unvetro troppo scuro:

la trasparenza consiste nel saper fare elezione di vetri, chesiano lucidi per se stessi. Et in ciò meglio sono i franzesi,fiaminghi et inghilesi che i veniziani: perché i fiaminghisono molto chiari, et i veniziani molto carichi di colore, equegli che son chiari, adombrandoli di scuro, non perdono

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il lume del tutto tale che e’ non traspaino nell’ombre loro;ma i veniziani, essendo di loro natura scuri et oscurandoli

di piú con l’ombre, perdono in tutto la trasparenza. Etancora che molti si dilettino d’avergli carichi di colori, arti-fiziatamente soprapostivi, che sbattuti dall’aria e dal solemostrano non so che di bello piú che non fanno i colorinaturali, meglio è nondimeno aver i vetri di loro naturachiari che scuri, a ciò che da la grossezza del colore nonrimanghino offuscati36.

Progettazione e fabbricazione.

I vetri cosí preparati venivano quindi trasportati all’a-telier. Qui il capomaestro preparava il modello dellavetrata. Secondo un passo del testo di Theophilus dedi-cato alla composizione delle finestre vitree, egli si ser-viva di una tavola di legno liscia, spalmata da un fineimpasto di gesso. Nel museo di Gerona in Catalogna

sono conservati due frammenti di una tavola usata da unmaestro vetrario del trecento per progettare il corona-mento pseudo-architettonico di una delle vetrate dellacattedrale; il fatto poi che la vetrata sia stata conserva-ta rende possibile in questo caso un preciso confrontotra progetto ed esecuzione37. Sulla parte posteriore di unaltare dipinto della fine del trecento nel duomo di Bran-denburg sono d’altronde visibili resti di disegni per unavetrata, e questo mostra tra l’altro come nello stesso ate-lier si lavorasse sia alla preparazione di vetrate sia allaconfezione di un polittico dipinto38. Vennero ancheimpiegati materiali piú maneggevoli del legno, comestoffa, pergamena, carta e, a partire dalla fine del tre-cento, si diffuse l’uso del cartone di origine italiana.

Sopra la tavola coperta di gesso, con una punta dimetallo, e con l’aiuto della riga e del compasso, veniva-no disegnate le dimensioni e la forma della finestra, il

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bordo e cosí via. Quindi, prima con la punta di stagnoo di piombo, poi con il colore rosso o nero, venivano

tracciate le linee, le ombre, le luci e i tratti delle imma-gini, in modo sufficientemente accurato da poterli tra-sporre sul vetro. I vari colori da utilizzare per le vestivenivano indicati sulla tavola con lettere differenti.

I singoli pezzi di vetro venivano poi posti nei luoghiloro destinati sulla tavola e su di essi venivano riporta-ti con il gesso i tratti e le linee quali si vedevano per tra-sparenza sulla tavola sottostante. Seguiva il taglio delvetro secondo le forme stabilite nel progetto. Esso veni-va eseguito con un ferro rovente, i bordi venivano poilivellati con uno strumento chiamato, secondo il Vasa-ri, «grisatoio» ovvero «topo».

La pittura del vetro

A questo punto i vetri venivano dipinti con una tinta

monocroma. Secondo Theophilus, nel capitolo che dedi-ca al colore con cui si dipinge il vetro39, essa era com-posta in parti eguali da rame bruciato e ridotto in pol-vere, da frammenti di vetro verde e di «zaffiro greco»(verisimilmente un vetro azzurro di fabbricazione bizan-tina o veneziana o un carbonato di rame come l’azzur-rite) che servivano da fondenti, schiacciati tra lastre diporfido e stemperati con estrema cura in vino o in uri-

na. Due testi trecenteschi ci forniscono qualche infor-mazione: uno è il celebre trattato di Cennino Cennini,pittore fiorentino direttamente legato alla tradizionegiottesca in quanto allievo, come egli stesso precisa, diAgnolo Gaddi, e poi operoso a Verona. Questi, nel capi-tolo che nel suo testo dedica alla pittura del vetro, èabbastanza vago e accenna solo alla polvere di rame cheentra nella preparazione: «un colore el quale si fa dilimatura di rame ben macinato»40. Assai piú preciso l’al-

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tro testo, la Memmoria del magisterio de fare fenestre devetro, opera questa volta di un uomo strettamente del

mestiere, di un maestro vetrario, Antonio da Pisa41

. Suquesto punto la ricetta di Antonio da Pisa differisce daquella di Theophilus soprattutto nelle proporzioni chesono qui di due parti di vetro e una di rame:

pilglia de quellj paternostrj piccolini de vetro giallo, cioè dequelli venentianj finj che sono a modo de ambre çalle, epistalj bene: in polvere reducti e sutilmente macinatj, pil-glia uno scudellino de scalcaglia de ramo che sia necta e pu-ra, e duoj scudellini de questa polvere decta di sopra, emescola insieme e macina insieme sotilmente sopre de umporfido: e questo è el colore negro.

Di «zaffiro greco» non si parla. Subito dopo peròAntonio da Pisa aggiunge:

Et quando non podessi avere dellj decti paternostri pil-

glia de lo smalto giallo, e fa’ come tu saj e metegli un pochode (rosso?)42.

Con questa mistura i vetri venivano accuratamentedipinti secondo il progetto.

Dopo quello della progettazione, il momento dellapittura è la fase piú importante nella creazione di unavetrata. La tinta monocroma43 poteva essere di vari colo-

ri, nera se nel composto entravano sali di ferro, brunaove ci fosse dell’ossido di rame, rossastra o verdastra.Essa poteva essere usata per modificare, almeno par-zialmente, la tonalità di alcuni vetri. I vetri coloratiinfatti assorbono la luce in diversa misura e spetta al pit-tore di armonizzarli se vuole ottenere un risultatoomogeneo. Cosí i vetri azzurri potevano, in certi casi,ricevere una velatura dipinta per diminuirne l’intensità(assai piú forte di quella dei vetri rossi) in favore del-

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l’effetto di insieme. D’altra parte la pittura veniva ancheimpiegata attorno al piombo che divide due vetri di

colore differente per attenuare il contrasto dovuto all’ac-costamento di due superfici cromatiche diverse.

I tre toni della grisaille.

Infine la pittura monocroma, ed era questo il suo pre-cipuo e piú importante impiego, veniva utilizzata perdelineare i contorni, i lineamenti di un volto, le pieghedi un panneggio e per creare effetti di modellato. Ser-vendosi di essa il maestro dipingeva il vetro stendendo-vi successivamente strati di grisaille piú o meno leggeri,tracciava pieghe e lineamenti, accentuava le ombre, face-va trasparire le luci. L’operazione è cosí descritta daTheophilus in un capitolo dedicato ai tre modi da usareper fare le luci sul vetro:

Se sarai applicato in questo lavoro potrai fare le ombree le luci delle vesti allo stesso modo nel quale vengono fattenella pittura che usa i colori. Quando, con la tinta che si èdetto, avrai dato dei tocchi sulle vesti, distribuisci il colo-re con il pennello in modo che il vetro resti trasparente nelleparti in cui in pittura faresti le luci; e questo tocco in unaparte sia denso, in altra leggero, in altra ancora leggerissi-mo, e distinto con tanta cura che paia quasi che tu abbia

usato tre colori. E questo modo lo devi osservare anchesotto le sopracciglia, e intorno agli occhi, alle narici, almento, e intorno al volto dei giovani, intorno ai piedi nudie alle mani e attorno alle altre membra del corpo nudo. Ela tua pittura sembrerà fatta con una varietà di colori44.

In uno splendido frammento di vetrata della metà delxii secolo che forse proviene da Lione o Saint-Denis, lacosiddetta Tête Gérente (dal nome del maestro vetrario

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ottocentesco che l’ebbe nella sua collezione) o nella piútarda testa di san Paolo proveniente dal castello di

Rouen, il procedimento illustrato da Theophilus è per-fettamente visibile.Se egli mostra come simulare, con una sola tinta,

l’impiego di colori diversi, possiamo constatare come, apartire da un certo momento almeno, la pittura mono-croma non fosse piú di un solo tipo. In molte vetrateinfatti si osserva l’uso di due tinte differenti, l’una nera,l’altra bruna, di composizione chimica diversa. In certevetrate austriache del trecento si è altresí rilevato l’usodi una pittura verde45.

Giorgio Vasari, nella Vita di Guglielmo da Marcillanota:

Adoprava Guglielmo solamente di due sorti colori perombrare que’ vetri che voleva reggessino al fuoco: l’uno fuscaglia di ferro, e l’altro scaglia di rame: quella di ferro neragl’ombrava i panni, i capelli et i casamenti, e l’altra, cioè

quella di rame, che fa tané le carnagioni46.

Per molti aspetti la pratica della tinta monocroma èestremamente simile a quella di altri tipi di pittura ed èstato ben mostrato47 come i procedimenti della pitturasu vetro fossero vicini a quelli della pittura murale, neldefinire le forme, nel degradare le ombre, nel caratteriz-zare, con tratti piú spessi e sottolineati, i contorni e i

lineamenti. Occorrerà considerare ancora un punto, ilfatto cioè che questa pittura non era distesa sulla solafaccia interna del vetro, ma spesso anche sulla facciaesterna. Era il lato interno del vetro che la ricevevaprevalentemente, ma per accentuare gli effetti delleombre sui panneggi, per ottenere certi aspetti di sfumatonei volti e nei corpi si dipingeva la parte esterna deivetri; così pure per ottenere certi aspetti di stoffe dama-scate il disegno del damasco veniva dipinto sull’esterno.

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Su tale lato, tuttavia, maggiormente esposto agli agentiatmosferici, questi ultimi, nonché le abrasioni prodotte

da puliture troppo energiche, hanno spesso asportato lapittura. A Chartres, per esempio, essa è visibile sulle ve-trate delle finestre esposte a sud, mentre è quasi scom-parsa da quelle poste a settentrione48.

Pittura per via di levare.

Nel caso del vetro, diversamente da quanto avvieneper la pittura murale, il momento della asportazionedella tinta era altrettanto importante di quello della ste-sura della medesima, perché il pittore su vetro nondipingeva solo con la grisaille e con l’accostamento deivetri colorati, ma anche con la luce che traversa il vetro.Cosí il bordo di una vetrata, e talora il fondo, potevaessere ricoperto da uno spesso strato di pittura mono-croma, da cui, per abrasione, venivano ricavate lettere,

perle, greche, virgulti, foglie, rametti e altri elementidecorativi che si stagliavano chiari sul fondo scuro.Anche su questo punto il testo di Theophilus è elo-quente:

Si faccia anche qualche ornato nel vetro, e in particola-re nelle vesti, nei troni e nei fondi, nel vetro azzurro, inquello verde e in quello chiaro di colore bianco e purpureo.

Quando avrai fatto le prime ombre nei panneggi di questotipo, ed esse saranno secche, ricopri ciò che resta del vetrocon un colore lieve, che non sia tanto denso come la secon-da ombra né tanto chiaro come la terza, ma medio tra que-ste due. Quando questo colore sia secco traccia con il mani-co del pennello intorno alle prime ombre che hai fatto deitratti sottili da tutte e due le parti in modo che tocchi sot-tili di questo colore leggero rimangano tra queste linee e leombre precedenti. Nel fondo poi fa’ circoli e rametti con

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fiori e foglie, allo stesso modo che si usa nelle lettere minia-te, ma i fondi che nelle lettere miniate si riempiono con il

colore, nel vetro devi dipingerli con sottilissimi ramoscelli.Puoi anche inserire qua e là in questi circoli bestiole, uccel-lini, insetti e figure nude49.

E altrove:

Se vuoi tracciare delle lettere sul vetro, copri completa-mente con la grisaglia le parti sulle quali vuoi farle, e scri-vile con il manico del pennello50.

Piú tardi Giorgio Vasari:

volendoli dare lumi fieri, si ha un pennello di setole cortoe sottile e con quello si graffiano i vetri in su il lume, e leva-si di quel panno che aveva dato per tutto il primo colore, econ l’asticciuola del pennello si va lumeggiando i capegli, lebarbe, i panni, i casamenti e’ paesi come tu vuoi51.

La pittura su vetro appare cosí caratterizzata comeuna tecnica ove l’operazione di «levare» ha un’impor-tanza pari a quella di «porre». E se si potevano ottene-re effetti straordinari grattando via con il manico delpennello la pittura distesa sul vetro, altri effetti ancorpiú spettacolari si potevano ottenere scalfendo lo stratosuperficiale di un vetro doublé in modo da far apparireil secondo, di diverso colore. Di tale operazione parla-no Antonio da Pisa e il Vasari: in un caso si procede conun acido, una sorta di acqua regia, nell’altro con unostrumento che scalfisce il vetro.

Scrive, infatti, Antonio da Pisa:

Se tu volissi fare uno leone o altro animale o altra cosasopra um vetro rosso, talglia el vetro alla forma del leone ode quella cosa che tu vuoi fare e abbi della cera disfacta,

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come quando se fanno le candele, e mectegli dentro questopecìo di vetro e tiralo fore e quando quello à refreddata que-

sta cera che è apiccata ad questo vetro, valgli desengnandosuso in questa cera, quelle parte del leone o d’altri anima-le che tu volissi fare, che tu vuoi che remangna biancha ecava via quella cera che tu ài desegnata; e quando l’araicavata fa’ d’avere l’acqua da partire l’oro da l’argento, laquale acqua vendono li auriffici e da questa acqua mectinedentro alla cavatura che ài fatta nella cera cavata via, e las-savila stare questa acqua doi ore o tre e deventarà bianco;e poi, levata via quella cera con un coltello, fa’ d’avere dellosmirilglio pesto con l’ piombo, un pocho de... e sfregalosuso, e verrà lustro e chiaro e bello. Ma nota che quandotu farai questo, guarda di farlo dal lato del colore cioè doveel vetro à el colore rosso, perché si tu l’acqua el metissi dalato dove non è el colore, non faristi niente52.

Quanto a Vasari avverte:

segnando su un colore rosso un fogliame o cosa minuta,volendo che a fuoco venga colorito di altro colore, si puòsquamare quel vetro quanto tiene il fogliame con la puntadi ferro che levi la prima scaglia del vetro, cioè il primosuolo e non la passi52.

Vetrate monocrome.

In certi casi la pittura venne applicata non su vetricolorati nella massa, ma su vetri incolori. È questo ilcaso, per esempio, delle vetrate che si trovano in moltechiese cistercensi, in cui la decorazione è basata su ele-menti geometrici e vegetali, escludendo scene e perso-naggi. I motivi geometrici o vegetali della decorazionedelle vetrate cistercensi talora derivano dal disegno delletransenne di marmo, dai claustra tardoromani o dagli ele-

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menti in stucco che costituivano l’ossatura della vetrataislamica54.

Questo tipo di vetrata è da mettere in rapporto conle idee di san Bernardo sulla decorazione dell’edificioreligioso. Desiderando che dall’interno della chiesavenisse bandito ogni elemento che potesse distogliere ilmonaco dalla preghiera, san Bernardo fu portato a pre-diligere un’arte povera, esclusivamente ornamentale,priva di suggestioni figurative, che si ponesse chiara-mente in contrapposizione allo sfarzo sontuoso, caricodi colore, dell’arte contemporanea, quale era ad esem-pio praticata nelle abbazie benedettine.

L’uso del vetro monocromo dipinto a grisaille, oaddirittura non dipinto, ma animato solo dal disegnodei piombi, come per esempio avviene nelle vetratemonocrome della chiesa di Orbais, fu praticato per lopiú, ma non certo esclusivamente, nelle chiese cister-censi; è frequente fin dal xiii secolo accanto a vetrateintensamente colorate per permettere una maggiore

luminosità. Sarà poi dalla metà del duecento che as-sumerà una nuova importanza. Larghi fondi incoloridipinti a pittura monocroma incorniceranno allorascene e personaggi trattati cromaticamente. Si fa stra-da un gusto del camaieu, degli effetti sottili che con-trasta con i violenti cromatismi del momento prece-dente55.

Cottura della grisaille.

Una volta dipinti, i vetri erano cotti in forno per sta-bilizzarne la pittura, operazione che è descritta daTheophilus, da Antonio da Pisa e da Vasari56. La gri-saille, il cui punto di fusione (circa 6oo gradi) era infe-riore a quello del vetro su cui era posta, si fondeva ade-rendo perfettamente alla superficie vitrea e penetrando

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nei suoi pori. È questo un elemento fondamentale perla durata e la conservazione delle vetrate.

Quando la pittura di una vetrata o di una sua partemostra di non avere ben resistito agli agenti atmosferi-ci, la ragione ne è per lo piú una cottura non regolare,o una inadeguata composizione della tinta, o, in certicasi, la composizione del vetro di supporto. Quando lacottura riusciva, il vetro dipinto poteva affrontare irischi dell’esposizione agli agenti atmosferici piú sfavo-revoli e alle ingiurie del tempo.

La pittura monocroma non poteva tuttavia giungerea modificare il colore, per cui, quando nella vetrata eranecessario un mutamento cromatico, era giocoforza inse-rire un nuovo pezzo di vetro e un listello di piombo chelo reggesse. Gli stacchi cromatici sono di conseguenzabruschi, le uniche modulazioni di tono sono quelle con-sentite dalla pittura monocroma, altrimenti si passa bru-scamente da un colore a un altro.

Il giallo d’argento.

La possibilità di avere su un unico pezzo due distin-ti colori si ha solo con l’introduzione del cosiddetto«giallo d’argento», un composto di sali metallici (nitra-ti, solfuri o cloruri d’argento) o, piú semplicemente, unalimatura d’argento che, steso sul vetro, generalmente

sulla sua parte esterna, ed esposto alla cottura, assumeun colore dorato. Questa tecnica, che era conosciuta inoriente già nell’alto medioevo (in Egitto era utilizzatafin dal vi secolo per decorare i vasi), arrivò in occiden-te forse tramite il Lapidario di Alfonso il Savio, re diCastiglia, redatto tra il 1276 e il 1279, e venne adotta-ta e diffusa in Francia fin dagli inizi del trecento (se neconserva un esempio datato 1312)57. Essa permette dimodificare il colore su una singola parte della superficie

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di un vetro. Per fare un esempio, su uno stesso fram-mento di vetro possono coesistere una parte bianca e

una dorata. Mentre prima dell’introduzione del giallod’argento, per rappresentare il volto chiaro e i capellibiondi di un personaggio occorreva cambiare vetro einserire tra i due frammenti un listello di piombo, conil ricorso al nuovo ritrovato l’operazione poteva essereeseguita sullo stesso frammento di vetro senza intro-durre un piombo supplementare. Oltre che sul vetroincolore, il giallo d’argento è stato utilizzato sul vetrocolorato, dando luogo a differenti effetti cromatici: siottiene per esempio il verde ponendolo su un vetroazzurro, o l’arancio ponendolo su un vetro rosso.

«Come apporre gemme sul vetro dipinto».

Anche prima dell’introduzione del giallo d’argento fupossibile, in qualche caso molto particolare e circoscrit-

to, nell’ornamento di un bordo, di una corona, di unacroce, di una veste, inserire un frammento di vetro entroun vetro di colore diverso senza l’uso del piombo: èquanto illustra Theophilus nel ventottesimo capitolo delsuo secondo libro, intitolato Come apporre gemme sul vetro dipinto. Si indica qui come si potessero disporre suun vetro dipinto, non ancora passato alla ricottura neces-saria per rendere solida e aderente la tinta monocroma,

frammenti di vetro colorato, azzurro o verde, in mododa simulare delle gemme, come si dovessero circondarecon il pennello questi frammenti con un denso strato dipittura monocroma, e come tutto dovesse essere quindidisposto nel forno per la ricottura del vetro. In questomodo le false gemme venivano ad aderire al vetro comela tinta monocroma. Su una vetrata del xii secolo a Che-millé-sur-Indrois in Turenna è stato identificato questoprocedimento58, che appare praticato anche sui bordi

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della vetrata dell’albero di Jesse della cattedrale di Rati-sbona (circa 1225-30). Questo tipo di lavorazione non ha

tuttavia trovato applicazione che in casi molto partico-lari, o, piú verisimilmente, data la fragilità del prodotto,non ne sono stati conservati che pochissimi esempi, alcu-ni dei quali si trovano anche in vetrate più tarde a Klo-sterneuburg e a York, databili tra il 1375 e il 143059.

La messa in piombo.

All’operazione della ricottura del vetro segue quella,delicatissima, della messa in piombo. I doppi righelli dipiombo a profonde gole che, visti in sezione, formanouna H maiuscola, servivano a tenere insieme i diversipezzi di vetro e nel tempo stesso a sottolineare il dise-gno delle immagini. Venivano in questo modo a svolge-re il ruolo fondamentale di scheletro portante e di sche-ma lineare, unendo una funzione statica a una compo-

sitiva. Questi piombi erano fusi in forme di ferro, dilegno e di altro materiale60 e rifiniti in un secondo tempoa mano. I vetri erano poi introdotti entro le gole delrighello di piombo tra le due ali che venivano ribattuteper assicurare una buona tenuta. Nei differenti punti digiunzione si procedeva alla saldatura dei piombi. Assaipoche sono le vetrate del xiii o del xiv secolo giunte finoa oggi conservando i loro piombi originali; nella massi-

ma parte dei casi i piombi antichi sono stati sostituitidurante i restauri causando danni spesso assai gravi. Laraffinata sottigliezza delle antiche montature non è perla maggior parte dei casi piú recuperabile, e la sostitu-zione dei piombi sovente ha potuto alterare profonda-mente il disegno di una vetrata rendendone piatte einerti le linee di contorno61. Un passo della Vita diGuglielmo da Marcilla del Vasari62 illumina l’importanzadel trattamento dei piombi; vi leggiamo infatti:

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Disegnò costui le sue pitture per le finestre con tantobuon modo et ordine, che le commettiture de’ piombi e de’

ferri che attraversano in certi luoghi, l’accomodò di manie-ra nelle congiunture delle figure e nelle pieghe de’ panni chenon si conoscano, anzi davano tanta grazia che piú nonarebbe fatto il pennello: e cosí seppe fare della necessitàvirtú.

L’armatura.

Il peso dei vetri e dei piombi era molto grande, e unavetrata avrebbe rischiato di deformarsi completamentese non fosse stata inquadrata e contenuta da un’arma-tura. I montanti di questa erano, in origine, fissati a untelaio di legno che incorniciava la vetrata (ne abbiamoqualche residuo frammento del xiii secolo a Noyon,Reims, Canterbury, York), il quale era, a sua volta, assi-curato alla finestra. L’uso del telaio di legno venne tut-

tavia abbandonato, perché troppo poco resistente, nelcorso del xiii secolo e le sbarre dell’armatura in ferrovennero direttamente fissate ai bordi e ai montanti dellafinestra63.

In origine il disegno dell’armatura era assai semplice.Le sbarre di ferro erano sistemate sia verticalmente siaorizzontalmente formando dei quadrati di 6o-8o centi-metri di lato, tendenzialmente simili. Il disegno dell’ar-matura non influiva in questi casi nella soluzione com-positiva della vetrata. Quando si trattava di finestre apiù episodi il maestro vetrario adottava una soluzione amedaglioni sovrapposti e contigui.

Un mutamento importantissimo si verificò nellaimpaginazione delle vetrate: da un tipo di vetrata amedaglioni rigidamente sovrastanti si passò a combina-re piú medaglioni insieme in forme svariate. I primiesempi si trovano in vetrate dell’abbazia di Saint-Denis,

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delle cattedrali di Châlons-sur-Marne64 e di Angers, poiil medaglione composito conobbe a Chartres come a

Bourges un rapido sviluppo. Migliorie tecnologiche con-sentirono quindi di sostituire alle intelaiature tradizio-nali a barre perpendicolari una intelaiatura più flessibi-le, con elementi curvilinei in ferro battuto che seguiva-no la forma dei medaglioni. In questo modo l’armatura,da elemento puramente funzionale, assunse un ruoloimportante nella composizione della finestra. Tuttaviail ruolo compositivo dell’armatura in ferro non fu che unbreve intermezzo: verso la metà del xiii secolo si rinun-ciò definitivamente alle forme complicate dell’armaturaper ritornare alle tradizionali barre diritte65.

Deterioramento e restauro.

Restauri sono stati largamente praticati sulle vetratenei secoli passati. Talora si trattò di sostituzioni pres-

soché complete di volti, personaggi, animali, architet-ture con nuovi vetri dipinti, talaltra si improvvisò unasorta di  patchwork utilizzando come tappabuchi fram-menti di altre vetrate.

La fragilità dei materiali, la loro esposizione prolun-gata per secoli alle intemperie, e particolarmente al cre-scente inquinamento atmosferico, ha fatto sí che inter-venti d’urgenza di restauro, consolidamento, pulitura si

siano moltiplicati negli ultimi trent’anni sulle vetratemedievali. Gli elementi piú esposti alle minacce dellapolluzione sono il vetro stesso e la pittura monocromache lo copre. Lungi dall’essere messi in pericolo soltan-to dalla loro intrinseca fragilità, e quindi minacciati neltempo da grandinate, sassi, esplosioni, uccelli, i vetrisono infatti, piú o meno, a seconda della loro composi-zione chimica (piú vulnerabili, come si è detto, quelli ric-chi in sali di potassio), minacciati di degradazioni, ero-

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sioni, sfaldamenti, incrostazioni che ne modificano letonalità ne riducono o addirittura ne annullano la tra-

sparenza attraverso processi di devitrificazione. Caden-do su vetri potassici, l’acqua contribuisce a sciogliernei costituenti alcalini, e disgrega di conseguenza il tessu-to siliceo che costituisce il vetro. D’altra parte l’azionedell’anidride carbonica è causa della formazione di car-bonati, specie sulle facce esterne dei vetri, e quella del-l’anidride solforosa contribuisce al depositarsi sulle facceesterne di gesso (solfato di calcio) o di solfati di calcio epotassio che erodono il vetro in profondità, ne modifi-cano i colori, lo rendono opaco e danneggiano anche lapittura monocroma che vi è sovrapposta. A sua voltaquesta pittura, la cui aderenza è stata ottenuta con unasuccessiva cottura che l’ha vetrificata, può, a causa deldifferente coefficiente di dilatazione che ha rispetto alvetro, sfaldarsi e cadere. La incomparabile differenza diconservazione che può essere verificata nelle residuevetrate di Saint-Denis, di cui alcuni frammenti, entrati

in collezioni e musei già sul finire del settecento, sonostati ospitati da allora in ambienti protetti, mentre altrisono stati rimontati in loco ed esposti alla polluzionedegli ultimi due secoli, mostra ad abundantiam gli effet-ti tragici dell’inquinamento atmosferico sulle vetrate. Siè trattato dunque di correre ai ripari fermando i processidi degradazione, restituendo la trasparenza, consoli-dando la pittura, cambiando i piombi ed eventualmente

le armature. Interventi particolarmente importantihanno avuto luogo a Friburgo, Norimberga, Augusta,Canterbury sulle vetrate occidentali del xiii secolo, allacattedrale di Chartres nel 197766, e successivamente suuna serie di vetrate duecentesche delle cattedrali diChartres, di Bourges, di Troyes, di Le Mans, su quelletrecentesche di Saint-Père di Chartres, di Evreux o diSaint-Ouen a Rouen, e hanno dato luogo a numerosiscritti e dibattiti67.

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1 Si veda la definizione di Vitrail in n. blondel, Le Vitrail, Voca-bulaire typologique et technique, Paris 1993, pp. 6o sgg., e si noti chel’italiano non ha la distinzione esistente in francese tra verrière e vitrail ,dove il primo termine è piú generale e il secondo ne rappresenta unaforma e una tipologia particolari.

2 e. h. langlois, Essai Historique et Descriptif sur la Peinture sur Verreancienne et moderne, Rouen 1832, p. 64.

3 Sulla tecnica delle vetrate si vedano particolarmente j. j. gruber,Technique, in aa.vv., Le Vitrail Français, Paris 1958, pp. 55-70; e.frodl-kraft, Die Glasmalerei, Wien 1970, pp. 29-64; j. lafond, LeVitrail , 3a ed. a cura di F. Perrot, Lyon 1988, pp. 37-70; c. lautier,La technique du vitrail à la Renaissance, in aa.vv., Vitraux parisiens dela Renaissance, Paris 1993, pp. 163-70. Sulla letteratura tecnica medie-

vale cfr. b. bischoff, Die Überlieferung der technischen Literatur ,in Artee tecnica nella società dell’alto medioevo, Settimane del Centro di Studisull’Alto Medioevo, 18, 1971, pp. 267-96.

4 g. e. lessing (a cura di), Theophili Presbyteri Diversarum ArtiumSchedula, edito postumo da c. leiste in Zur Geschichte und Literatur aus den Schätzen der herzoglichen Bibliothek zu Wolfenbüttel , Braun-schweig 1781. Sui manoscritti e le edizioni del testo di Theophilus cfr.d. v. thompson jr, The Schedula of Theophilus Presbyter , in «Specu-lum», vii (1932), pp. 199-220; r. parker johnson, The Manuscripts of the Schedula of Theophilus Presbyter , in «Speculum», xiii (1938), pp.

86-103; b. bischoff, Die Überlieferung des Theophilus = Rugerus nachder ältesten Handschriften, in «Münchner Jahrbuch d. bildende Kunst»,iii-iv (1952-53), pp. 145-49. Sul vocabolario di Theophilus, l.thorndyke, Words in Theophilus, in «Technology and Culture», vi(1965), pp. 442-43; d. v. thompson jr, Theophilus Presbyter Words and  Meaning in Technical Translations, in «Speculum», lxii (1967), pp.313-39. Tra le edizioni del testo varrà la pena di ricordare almeno lafondamentale edizione che ne diede a. ilg (Wien 1874); quella ricca-mente annotata, specie dal punto di vista della tecnologia, dell’ingegnerw. theobald (Technik des Kunsthandwerks im Zehnten Jahrhundert . DasTheophilus Presbyter Diversarum Artium Schedula, Berlin 1933); quellagià citata del Dodwell e la traduzione inglese, particolarmente attentaagli aspetti tecnici, del filologo j. g. hawthorne e dello storico delletecniche c. s. smith, On Divers Arts. The Treatise of Theophilus tran- slated from the medieval latin with introduction and notes, Chicago 1963.

5 l. white jr, Theophilus Redivivus, in «Technology and Culture»,v (1964), pp. 224-33, ripubblicato nella raccolta di saggi dello stessoautore con il titolo Medieval Religion and Technology. Collected Essays,Berkeley 1978, pp. 93-103;  j. van engen, Theophilus Presbyter and Rupert of Deutz: The Manual Arts and Benedictine Theology in the EarlyTwelfth Century, in «Viator», xi (198o), pp. 147-63.

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6 e. freise, Roger von Helmarshausen, ein maasländischer Künstler und Mönch in Westfalen, in G. Jaszai (a cura di), Monastisches West- falen, Klöster und Stifte 800-1000, Münster 1982, pp. 287 sgg.; K.Weidemann (a cura di), Das Reich der Salier , Sigmaringen 1992, pp.388 sgg.

7 j. van engen, Theophilus Presbyter and Rupert of Deutz cit.8 theophilus, The Various Arts - De Diversis Artibus, edizione a cura

di c. r. dodwell, London 1961, cap. i, p. 63.9 Cfr. il capitolo Historical development of glass in r. newton e S.

davison, Conservation of Glass, London 1989, e si veda la voce Verrein blondel, Le Vitrail cit., pp. 152 sgg.

10 d. b. harden, nel catalogo della mostra Vetri dei Cesari, Milano1988.

11 Cfr. Le verre plat et ses mises en œuvre, in blondel, Le Vitrail cit.,pp. 177 sgg.12 f. rademacher, Die deutsche Gläser des Mittelalters, Berlin 1933;

 j. barrelet, La verrerie en France de l’époque gallo-romaine à nos jours,Paris 1953; p. piganiol, Le Verre, son histoire et sa technique, Paris1965; d. foy, Le verre médiéval et son artisanat en France méditer-ranéenne, Paris 1988.

13 barrelet, La verrerie en France cit.14 d. b. harden, Medieval Glass in the West , in Proceedings of the

8th International Congress on Glass, Sheffield 1969, pp. 91-99, affer-

ma che la presenza di fornaci per il vetro era corrente nelle abbaziebenedettine.15 o. lehmann-brockhaus, Schriftquellen zur Kunstgeschichte des 11

und 12 Jahrhunderts für Deutschland, Lothringen und Italien, Berlin 1938,p. 722, nn. 3042-43.

16 r. j. charleston, Glass «cakes» as raw material and articles of com-merce, in «Journal of Glass Studies», v (1963), pp. 54-68. Per i ritro-vamenti pavesi cfr. b. ward perkins, I frammenti di vetrate, in aa.vv.,Scavi nella torre civica di Pavia, in «Archeologia Medievale», v (1978),pp. 101-7.

17 Cfr. y. delaporte, Les Vitraux de la Cathédrale de Chartres, Char-tres 1926, vol. I, pp. 22 e 25.

18 Per una esemplare analisi del mercato del vetro nella Franciameridionale cfr. foy, Le verre médiéval cit.

19 a. millet, Histoire d’un four à verre de l’ancienne Normandie,Paris-Rouen 1871, p. 10-12; j. lafond, La prétendue invention du «plat de verre» au XIV 

e  siècle et les familles de «grosse verrerie» en Normandie,in «Revue des Sociétés Savantes de Haute Normandie», l (1968).

20 j. d. le couteur, Ancient Glass in Winchester , Winchester 1920,p. 104; c. woodforde, English Stained and Painted Glass, Oxford 1954,p. 22.

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21 h. arnold, intervento sulla relazione di c. heaton, The founda-tion of stained glass work, in «Journal of the Royal Society of the Arts»,18 marzo 1910, p. 467. e. s. godfrey, The Development of English Glass

 Making 1560-1640, Oxford 1975, nota che prima del 1567 la produ-zione vetraria inglese è insignificante.

22 n. h. j. westlake, A History of Design in Painted Glass, London1881, vol. I, p. 38; m. harrison caviness, Sumptuous Arts at the Royal  Abbeys in Reims and Braine, Princeton 1990, p. 123, nota 109.

23 m. mendera, La produzione di vetro nella Toscana bassomedieva-le, Firenze 1989, con buona bibliografia.

24 m. merrifield, Original Treatises dating from the Twelfth Centuryto the Eighteenth Century on the Arts of Painting , London 1849, vol. I,pp. 166-257. Su Heraclius cfr. a. giry, Mélanges publiés par l’Ecole des

Hautes Etudes, Paris 1878, pp. 109-227.25 Sulle vetrerie veneziane e più in generale sui problemi della storiae della tecnica del vetro si vedano i fondamentali saggi di l. zecchin, Vetroe vetrai di Murano. Studi sulla storia del vetro, Venezia 1987-90.

26 foy, Le verre médiéval cit., pp. 31 sgg.27  j.-m. bettembourg, La dégradation des vitraux, in «Revue du

Palais de la Découverte», vi (1977), p. 43.28 Cfr. blondel, Le Vitrail cit., pp. 159 sgg.29 Sulla difficile commercializzazione di questi sali minerali cfr.

m.-m. gauthier, Emaux du Moyen-Age Occidental , Fribourg 19722, pp.

22 sgg.30 c. d. vassas, Etude colorimétrique de verre de vitraux au Moyen Age, in IX Congrès International du Verre, Communications artisti-ques et historiques (Versailles 1971), Paris 1972, pp. 267-93.

31 Cfr. On Divers Arts. The Treatise of Theophilus cit., p. 58, nota 1; j. lafond, Le Vitrail , Lyon 1988, p. 43.

32 theophilus, De Diversis Artibus cit., pp. 40-41.33 j. r. johnson, Modern and Mediaeval Stained Glass, in «Art Bul-

letin», xxxviii (1956), pp. 185 sgg.; lafond, Le Vitrail , cit. p. 43.34 j. r. johnson, Stained Glass and Imitation Gems, in «Art Bulle-

tin», xxxix (1957), p. 221 sgg.35 e. frodl-kraft, Le Vitrail Médiéval . Technique et esthétique, in

«Cahiers de Civilisation Médiévale», x (1967), p. 3.36 g. vasari, Le Vite..., edizione a cura di r. bettarini e p. baroc-

chi, Firenze 1966, vol. I, p. 16o.37 j. vila-grau, La table du peintre-verrier de Gérone, in «La Revue

de l’Art», 72, 1986, pp. 32-34; id. in j. ainaud de lasarte, Els vitral-ls de la catedral de Girona, Barcelona 1987, pp. 49-52.

38 Cfr. k. joachim maercker, Überlegungen zu drei Scheibenrissen auf den «bömischen Altar» in Dom zu Brandenburg , in «ÖsterreichischeZeitschrift für Kunst und Denkmalpflege», xl (1986), pp. 183 sgg.

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39 theophilus, De Diversis Artibus cit., cap. xviii, De colore cum quovitrum pingitur , p. 49.

40 c. cennini, Il Libro dell’Arte o Trattato della Pittura, a cura di F.Tempesti, Milano 1975, p. 135.

41 Il testo di Antonio da Pisa, conservato nel manoscritto 692 dellaBiblioteca del Sacro Convento di Assisi, è stato ripetutamente pub-blicato tra la fine dell’ottocento e il primo novecento. Si veda la sto-ria della sua vicenda critica nell’edizione curata da s. pezzella, Il trat-tato di Antonio da Pisa sulla fabbricazione delle vetrate artistiche, Peru-gia 1976, con una prefazione di G. Marchini, e in quella di p. monac-chia in Vetrate. Arte e Restauro, Milano 1992, pp. 51-69.

42 antonio da pisa, Memmoria del magisterio de fare fenestre de vetro,trascrizione di p. monacchia, in Vetrate cit., pp. 56-57.

43 Cfr. voce Grisaille sur verre in blondel, Le Vitrail cit., pp. 258sgg.44 theophilus, De Diversis Artibus cit., p. 50. Sulla Tête Gérente cfr.

c. brisac in «Revue de l’Art», 47, 1980, pp. 72-75.45 e. frodl-kraft, Beobachtungen zur Technik und Conservierung mit-

telalterlichen Glasmalereien, in «Österreichische Zeitschrift für Kunstund Denkmalpflege», xiv (196o), pp. 69 sgg.

46 vasari, Le Vite cit., vol. IV, p. 221.47 frodl-kraft, Le Vitrail cit.48 g. frenzel, Schwarzloterhaitung und Schwarzlotrestaurierung beim

mittelalterlichen Glasmalereien, in «Zeitschrift für Kunstgeschichte»,xxiii (1960), pp. 1 sgg.; l. grodecki, La quatrième réunion internationaledu Corpus Vîtrearum Medii Aevi et ses enseignements, in «Bulletin Monu-mental», cxxi (1963), pp. 73-82, particolarmente pp. 77-8o; c. lautier,Les peintres-verriers des bas-côtés de la nef de Chartres au début du XIII 

e  siè-cle, in «Bulletin Monumental», cxlviii (1990), p. 43, nota 43.

49 theophilus, De Diversis Artibus cit., cap. xxi, De ornatu picturaein vitro, pp. 5o-51.

50 Ibid ., p. 49.51 vasari, Le Vite cit., vol. I, p. 162.52 antonio da pisa, Memmoria cit., pp. 62-64.53 vasari, Le Vite cit., vol. I, p. 162.54 e. frodl-kraft, Die Glasmalerei: Entwicklung, Technik, Eigenart ,

Wien 1970, p. 16 sgg.55 m. parsons lillich, The Band Window: A Theory of Origin and 

Development , in «Gesta», ix (1970), pp. 26 sgg.; id., A Redating of theThirteenth Century Grisaille Windows of Chartres Cathedral , in «Gesta»,xi (1972), pp. 11 sgg.; id., Three Essays on French Thirteenth CenturyGrisaille Glass, in «Journal of Glass Studies», xv (1973), pp. 69 sgg.:id., The Stained Glass of St . Père de Chartres, Middletown 1978 (cfr. v.chieffo raguin in «Speculum», 1980, n. 1).

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56 theophilus, De Diversis Artibus cit., libro II, cap. xxiii, Quomodocoquatur vitrum, p. 52; antonio da pisa, Memmoria cit., p. 57; vasa-ri, Le Vite cit., vol. I, p. 163.

57 j. lafond, Pratique de la peinture sur verre à l’usage des curieux suivid’un essai historique sur le jaune d’argent et d’une note sur les plus anciensverres gravées, Rouen 1943; id., Un vitrail de Mesnil Villemain et les ori- gines du jaune d’argent , in «Bulletin de la Société Nationale des Anti-quaires de France», 1954, pp. 93 sgg.; id., Le Vitrail cit., pp. 55 sgg.;m. parsons lillich, European stained glass around thirteenth hundred: theintroduction of silver stain, in Europäische Kunst um 1300, Atti delXXV Congrès International d’Histoire de l’Art (VI sezione), Wien1986, pp. 45-6o; blondel, Le Vitrail cit., pp. 278 sgg.

58 a. granboulan, Chemillé-sur-Indrois, un exemple méconnu d’un

 procédé de fabrication du vitrail , in «Bulletin Monumental», cxlviii(1990), pp. 90-91.

59 l. grodecki, Le chapitre XXVIII de la Schedula du Moine Théophi-le: technique et esthétique du vitrail roman, in «Comptes rendus des séan-ces de l’Académie des Inscriptions et Belles Lettres», 1976, pp. 345-57;s. brown e d. o’connor, Glass Painters, London 1991, pp. 62-63;blondel, Le Vitrail cit., pp. 316 sgg.

60 Sulla fusione e la preparazione dei piombi cfr. theophilus, DeDiversis Artibus cit., pp. 53 sgg.; vasari, Le Vite cit., vol. I, p. 163.Sulla tipologia e la terminologia cfr. blondel, Le Vitrail cit., pp. 134

sgg.61 Sul ruolo dei piombi nel disegno della vetrata e sui problemi dellaloro sostituzione ha richiamato l’attenzione l. grodecki nel catalogodell’esposizione Vitraux de France, Paris 1953, pp. 26 sgg., 53. Cfr.anche il suo intervento La quatriéme réunion internationale cit. parti-colarmente pp. 80-81; gruber, Technique cit., pp. 6o sgg.; e.frodl-kraft in «Österreichische Zeitung für Kunst und Denkmalp-flege», xviii (1963), pp. 38 sgg.; d. rentsch, Wohin mit den mittelal-terlichen Bleifeldern der Kölner Hochverglasung?, in «Zeitschrift fürKunstgeschichte», lvi (1992), pp. 227-85.

62 vasari, Le Vite cit., vol. IV p. 221.63 lafond, Le Vitrail , cit., pp. 69-70; blondel, Le Vitrail cit. pp.

32 sgg.64 j. hayward, Stained Glass Window, in The Year 1200. A Back-

 ground Survey, New York 1970, p. 69.65 frodl-kraft, Le Vitrail , cit., p. 7.66 Cfr. il numero i del 1977 della rivista «Les Monuments Histori-

ques de la France».67 Una bibliografia critica sui problemi della conservazione è stata

raccolta da r. newton, The Deterioration and Conservation of Painted Glass. A Critical Bibliography, London 1974. Una seconda edizione, piú

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estesa e completamente rimaneggiata, di quest’opera è stata pubblica-ta nel 1982. Successivamente si veda la bibliografia raccolta nellaseconda sezione di m. harrison caviness, Stained Glass before 154o. A Critical Bibliography, Boston 1983; g. frenzel, Il restauro delle vetra-te medioevali, in «Le Scienze-Scientific American», luglio 1985, pp.98-105; gli articoli di c. di matteo, Les verrières de Chartres, e di g.nicod, La sauvegarde des vitraux de Chartres, nel n. 153 (Les Cathédra-les) di «Monuments Historiques», 1987, pp. 75-84; il volume 7, 1991,della rivista «Vitrea»; Vetrate.  Arte e Restauro cit.; e m. harrisoncaviness, The Politics of Conservation and the Role of the Corpus Vitrea-rum in the Preservation of Stained Glass Windows, in Künstlerische Austausch, Atti del XXVIII Congrès International d’Histoire de l’Art,vol. III, Berlin 1993, pp. 381-86. Si veda anche il manuale di r. new-

ton e s. davison, Conservation of Glass, London 1989, e la parte IV,Les altérations, remaniements, et restaurations, pp. 350-401, del volumedi blondel, Le Vitrail , già piú volte citato.

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Capitolo terzo

Atelier e committenti

Se conosciamo discretamente la tecnica con cui ven-nero eseguite le vetrate medievali, meno sappiamo dicoloro che vi lavorarono; se siamo in grado di intenderei modi e i tempi della loro esecuzione, non molto sap-piamo dell’organizzazione su cui si basava l’attivitàdella bottega di un maestro vetrario. In molti casi idocumenti ci mostrano che una bottega di maestrovetrario nel trecento consisteva di non piú di due o trepersone, il maestro stesso e uno o due apprendisti o

aiuti1; tuttavia diversi maestri potevano essere chiamatitemporaneamente a collaborare alla medesima impre-sa, tanto che non sarebbe corretto parlare di una bot-tega o di un atelier come di qualcosa che rimane immo-bile nel variare delle età e delle situazioni. Dovremmosempre distinguere tra le singole botteghe gestite eportate avanti da un maestro e quelle aggregazionitemporanee, ma talora di lunga vita, che risultano dal

convergere in un’impresa o in una serie di imprese dimaestri vetrari di differente origine. Possiamo essercerti, e i documenti ce lo confermano, che, almeno apartire da quando le imprese di invetriatura comincia-rono a crescere di numero e di dimensioni, l’artista cheideava, progettava ed eventualmente dipingeva levetrate non lavorava solo, ma faceva parte di una verae propria squadra, di un gruppo, magari assai ristret-to, che conosceva però al suo interno, specie quando

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si trattava di iniziative su larga scala, una divisione deiruoli e del lavoro.

Officine monastiche e urbane.

Questi gruppi potevano essere formati da religiosi oda laici, legati a uno stabilimento abbaziale, a una corteoppure a un cantiere urbano. In base ai documenti checi sono rimasti si direbbe che per secoli la produzionedelle vetrate sia stata prevalentemente, ma nonesclusivamente, legata ad abbazie e a monasteri, in mododel resto analogo a quanto avveniva per la maggior partedella contemporanea produzione artistica. Esistevanoanche maestri vetrari che lavoravano per le corti, comequel Baldricus o quel Ragerulfus che nell’anno 862 eranopresenti alla corte di Carlo il Calvo con mogli e figli. Perun certo tempo, tuttavia, i nomi di maestri vetrari checonosciamo sono in prevalenza legati a quelli di una

chiesa o di un monastero, il che non significa che colo-ro che lavoravano attorno a un edificio religioso fosse-ro monaci o membri del clero secolare: in molti casi sitrattava di conversi.

Dalle cronache e dai documenti emergono non pochinomi che, anche se non trovano riferimento in alcunaopera conservata, testimoniano di come ben prima delxii secolo fosse diffusa la pratica di questa tecnica (se ne

parlerà piú specificatamente in un prossimo capitolo), edi come essa si diffondesse e si allargasse particolar-mente a partire da questo momento. Uno Stracholfuslavorava vetrate a San Gallo ai tempi di Ludovico il Pio2;successivamente, nell’xi secolo, un Fulco «pittore ver-sato nell’arte», legato al monastero di Saint-Aubin adAngers, aveva avuto il compito di occuparsi della deco-razione pittorica del monastero e delle sue vetrate,secondo i temi che gli sarebbero stati indicati. A queste

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condizioni sarebbe diventato converso e uomo liberodell’abate, e avrebbe ricevuto in feudo una vigna e una

casa. Un vetrario Wernherus famiglio del monastero èmenzionato a proposito del monastero di Petershausenpresso Costanza3. Ma un pittore di vetrate poteva anchediventare canonico: fu questo per esempio il caso, nel-l’xi secolo, di un maestro vetrario nominato canonicoonorario dal vescovo di Auxerre, Geoffroy de Cham-pallement (1051-76), condividendo questa promozionecon un orafo e con un pittore (aurifabrum mirabilem, pic-torem doctum, vitrearium sagacem)4 o di Guillelmus vitrea-rius canonico a Le Mans all’inizio del xii secolo. Piútardi, intorno alla metà del xii secolo, conosciamo ilnome di un Daniel, «povero lavorante del vetro e quasilaico» che, con l’aiuto del re d’Inghilterra Stefano, sosti-tuí l’abate in carica di Saint-Benet-at-Holme e a cuimancò poco per divenire, sempre con l’appoggio delsovrano, arcivescovo di Canterbury5.

Con la crescita e il ruolo sempre maggiore delle città

nel xii e nel xiii secolo si assiste a una progressiva urba-nizzazione degli atelier. Mentre la vetrata uscita daun’officina abbaziale mostrava stretti rapporti con laminiatura e lo smalto, la vetrata della cattedralemostrerà sovente maggiori rapporti con la grande scul-tura praticata nei cantieri delle cattedrali cittadine.Diverse microtecniche venivano infatti praticate neilaboratori e negli scyiptoria dei conventi, e le consuetu-

dini cluniacensi dette di Farfa (prima del 1049) indica-no come a Cluny nella prima metà dell’xi secolo, per illavoro di orafi, smaltisti e maestri di vetrate fosse espli-citamente prevista una cella comune nel complessoabbaziale:

vicino a questa cella ne sia predisposta un’altra in cui siincontrino orafi, maestri vetrari e smaltisti per praticare laloro arte6.

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Se le officine abbaziali furono numerose nel xii seco-lo, il loro numero dovette in seguito essere di gran lunga

superato da quello degli atelier laici; sarà bene tuttavianon immaginare divisioni troppo marcate tra le duecategorie, che conobbero, con il passare del tempo, sen-sibili modificazioni e interscambi. Occorrerà anche evi-tare di farsi un’idea troppo rigida di ciò che chiamiamoatelier, un termine che qualche volta viene usato perindicare la bottega, numericamente assai ridotta, di unmaestro, talaltra per indicare un gruppo di maestri ope-rosi a un’impresa comune. Esso infatti appare semprepiú spesso non tanto come un’istituzione stabile, ma,piuttosto, come un’aggregazione temporanea di arteficiche poteva conoscere un frequente e vasto avvicenda-mento. Il fatto è che, in assenza di documenti contem-poranei sul loro funzionamento nel xii o nel xiii secolo,dobbiamo costruire le nostre ipotesi sulla base di pro-babili analogie con situazioni descritte da testi o docu-menti piú tardivi e su quanto si può evincere dalle vetra-

te medesime.

Il caso di Saint-Denis.

Poco prima della metà del xii secolo, l’abate Suger diSaint-Denis parla dei maestri «provenienti da differen-ti nazioni»7 che aveva chiamato a lavorare alle vetrate

della sua chiesa.La sua testimonianza riveste un grande interesse peril problema dei maestri itineranti e per quanto riguardala molteplicità e la diversità degli artefici che poteronotrovarsi nel medesimo tempo a lavorare in uno stessocantiere, anche perché apparirà chiaro come piú tardi,in grandi cattedrali quali quelle di Chartres o di Bour-ges, si siano trovati contemporaneamente all’opera arti-sti di diversa provenienza, formazione e inclinazioni. Il

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testo di Suger attesta infatti che i maestri operosi aSaint-Denis vi erano stati chiamati da diversi luoghi, e

ciò induce a pensare che avessero portato con sé tradi-zioni e abitudini diverse. Nelle vetrate di Saint-Denis,che sono state conservate frammentariamente, la trac-cia di modi stilistici diversi è evidentissima8. La praticadi chiamare da lontano maestri particolarmente celebriper fare eseguire vetrate non era del resto certo nata aSaint-Denis. Nella seconda metà del’xi secolo un Roge-rus, pittore di Reims, fu chiamato proprio con questocompito a lavorare nell’abbazia di Saint-Hubert d’Ar-denne nel Lussemburgo, sotto l’abate Theodericus(1065-74), ricordato tra l’altro proprio perché

illuminò anche gli oratori che aveva costruito con splendi-de finestre eseguite da un certo Rogerus, fatto venire daReims, uomo assai valente, capacissimo in quest’arte e peri-tissimo9.

 Maestri itineranti: Pierre d’Arras alla cattedrale diLosanna.

Possiamo immaginare che attorno al cantiere di unacattedrale siano state operose botteghe stabili, o alme-no stabili per lungo tempo, e maestri itineranti: di quila presenza di vetrate stilisticamente e tecnicamente

assai simili in località diverse.Una notizia del 1235, riportata nel Cartolario dellacattedrale di Losanna di Conon d’Estavayer10, conce-de licenza allo scrivano Petrus Eliot di impiantareprovvisoriamente il proprio banco «ante monasterium,in loco ubi Petrus de Arraz habuerat fabricam adfaciendas ad opus monasterii vitreas fenestras», din-nanzi alla chiesa, nel luogo dove Pierre d’Arras avevala sua officina per fare le finestre vitree della cat-

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tedrale. Apprendiamo cosí che un maestro vetrariopiccardo, Pierre d’Arras, era attivo sui primi del due-

cento a Losanna, assai lontano dalla sua patria. Unaltro documento ce lo mostrava qui già nel 121711; pos-siamo dunque pensare che vi abbia diretto per anniun’atelier di pittura su vetro, che spetti a lui la gran-de rosa del transetto sud della chiesa, realizzata men-tre un suo conterraneo, anch’egli piccardo, Jean Cote-reel, sopraintendeva ai lavori della cattedrale, e cheuna volta terminati i compiti che gli erano stati affi-dati, si sia spostato in qualche altro cantiere.

Botteghe e maestri.

Un esame delle vetrate delle cattedrali di Chartres odi Bourges permette di identificare senza esitazioni lapresenza di maestri di tradizioni e abitudini tecniche estilistiche differenti, anche all’interno di una medesima

finestra. Recenti esami ravvicinati delle vetrate dellenavate laterali della cattedrale di Chartres, resi possibi-li dal loro smontaggio e trasporto in laboratorio perpulitura e restauro, hanno permesso di accertare chemaestri assai diversi nel segno pittorico e addiritturanella scelta dei vetri poterono talvolta lavorare contem-poraneamente alla stessa opera12. Ciò suggerisce cheanche se botteghe diverse cui erano state affidate sin-

gole vetrate furono attive nel medesimo tempo, le di-visioni non dovettero essere tanto rigide da impedire cheil maestro responsabile di una vetrata potesse interve-nire in un’altra in cui pure era preminente la presenzadi una diversa personalità.

Spesso questi atelier, che sono stati definiti come«gruppi di artigiani che utilizzano gli stessi modelli»13,non ebbero vita lunga, ma si costituirono e si disperse-ro a seconda delle circostanze, rimanendo attivi e uniti

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fino a che l’opera fosse compiuta, il che faceva sí cheattorno a un grande edificio potessero lavorare nello

stesso tempo più maestri di diversa origine e differen-temente caratterizzati. Questa presenza nello stessotempo di maestri di diversa formazione e cultura ma dianaloghe capacità e di pari posizione gerarchica sarà piútardi ben illustrata per la cappella di Santo Stefano aWestminster.

Talora, invece, nel caso di imprese di ampia porta-ta e di vasta durata, proprio l’utilizzazione continuatadegli stessi modelli prolunga di fatto per decenni la vitadi un atelier, come accade per il cosiddetto atelier rémois, la cui attività è stata seguita per circa mezzosecolo (1160-1210) da Madeline Caviness, aSaint-Remi a Reims e alla cattedrale di Canterbury. Sitrattò di un gruppo che, secondo la Caviness, si sareb-be formato a Reims e che ebbe modo di conservare alsuo interno schemi e modelli per un periodo abba-stanza lungo. Evidentemente, dato il lasso di tempo

trascorso, l’atelier ebbe modo di rinnovarsi completa-mente, sí che coloro che avevano partecipato alle sueprime imprese non furono certo presenti nelle ultime,ma ci dovette essere una trasmissione di saperi, di abi-tudini, la costituzione di un patrimonio comune costi-tuito da disegni, modelli e progetti cui si poté conti-nuare ad attingere. A partire dall’inizio del xiii secolol’uso di uno stesso modello per differenti figure è evi-

dente nelle finestre alte della cattedrale di Chartres;nel trecento questo modo di operare si diffonde larga-mente. Due vetrate con Madonna e Bambino vivace-mente espressive esistenti in due diverse località delWorchestershire lo mostrano chiaramente, mentrel’uso di un medesimo modello per rappresentare duediversi donatori è riconoscibile in alcune vetrateaustriache14.

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La cappella di Santo Stefano a Westminster .

Il costituirsi e il dissolversi di un atelier di maestrivetrari può essere bene esemplificato dalla vicenda dellainvetriatura della cappella di Santo Stefano dell’abbaziadi Westminster intorno al 135015. In un primo tempo unmaestro, John di Lincoln, fu incaricato di reclutare lamano d’opera, compito che lo porterà a viaggiare perventisette contee. Successivamente venne costituito ungruppo in cui, sotto la direzione di un altro maestro, John di Chester, lavorarono, per la paga di uno scellinoal giorno, sei o sette maestri – ivi compreso lo stesso John di Lincoln – incaricati di preparare i disegni per lefinestre e di dipingere i modelli sulle tavole di legno. Perun salario giornaliero di sette pence, una decina di altriartefici (non menzionati nei documenti come magistri)lavorò a dipingere le finestre e quindi collaborò con ilprimo gruppo, mentre una quindicina circa di persone,pagate sei pence al giorno, vale a dire la metà di uno scel-

lino, erano attive nel tagliare e assemblare i vetri sulletavole di legno dove era disegnato e dipinto il progetto.Due o tre altre infine, probabilmente apprendisti, paga-te quattro pence e mezzo al giorno, aiutavano a prepa-rare i pigmenti per la pittura.

I lavori continuarono dal giugno al novembre del1351, ma in quest’ultimo mese John di Chester avevacon sé solo tre maestri: a questo punto gran parte delle

vetrate doveva essere già stata terminata. Una voltaesauriti i rispettivi compiti, vari membri del gruppovennero via via licenziati, e le finestre furono compiu-te entro il febbraio del 1352. Nel loro costo di 240 ster-line i singoli fattori avevano avuto questa incidenza: 195sterline di salari, 34 di vetro, 1 sterlina e 10 scellini dipittura e utensili, 9 sterline e 10 scellini di ferro per learmature e varie.

Non si può generalizzare una situazione di questo

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genere, che ha, a monte, una committenza ricca e deter-minata a portare avanti l’impresa in un tempo assai

breve; tuttavia si tratta di un caso esemplare per illu-strare il costituirsi e lo sciogliersi di un atelier e il con-fluire in esso di diversi maestri.

Progetto ed esecuzione.

Può essere avvenuto, e anzi in certi momenti ciòdeve essere stato estremamente frequente, che proget-ti per vetrate fossero opera di personaggi esterni all’a-telier, in certi casi dei committenti, in altri del capo-cantiere. L’esistenza di somiglianze formali tra alcunesculture e certe vetrate della cattedrale di Chartres haper esempio sollevato il problema dei rapporti tra ilcapo del cantiere e i differenti atelier di maestri vetra-ri16. È possibile che la stessa persona abbia fornitoschemi e disegni per vetrate e sculture, e che questa per-

sona sia stata il capomaestro che sovrintendeva al can-tiere della cattedrale. Una lastra tombale trecentescanella chiesa di Saint-Ouen a Rouen mostra un archi-tetto con in mano un compasso e lo schizzo di una fine-stra, ed è da pensare che la progettazione di una fine-stra non si limitasse solo alla parte di disegno architet-tonico17. Due documenti, uno del 1303 che riguarda lacattedrale di Valencia, un altro del 1316 che concerne

la chiesa agostiniana di Tolosa, indicano con chiarezzacome il capomaestro dovesse sopraintendere a ogniimpresa che riguardasse la decorazione della chiesa especificamente dovesse occuparsi anche delle vetrate18.Purtroppo, mentre conosciamo un buon numero di dise-gni per vetrate del xv e del xvi secolo19, che in alcunicasi ci permettono di seguire le modificazioni interve-nute dal progetto all’esecuzione, ben poco ci è noto peril periodo precedente20. Un disegno che risale agli inizi

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del xiv secolo, ora negli archivi di Dresda, mostra l’in-tervento di più mani, una delle quali doveva essere

quella del committente, o dell’impresario responsabiledei lavori, non di qualcuno del mestiere21. È un esem-pio che non aiuta a risolvere il problema di Chartres,proprio perché certi elementi comuni che a Chartres siritrovano in sculture e vetrate testimoniano della pre-senza di una fortissima personalità d’artista capace diinfluenzare stilisticamente opere eseguite in tecnichedifferenti, caso che certo non si presenta nel disegno inquestione. Tuttavia anche questo esiguo spiraglio per-mette di scorgere la complessa interazione che sta die-tro la nascita di una vetrata.

Il caso italiano.

Ora, mentre in Francia e in Germania sembra piut-tosto eccezionale il fatto che l’atelier abbia lavorato

sulla base di un progetto formulato da un pittore solooccasionalmente coinvolto in tale genere di operazioni,in pratica da qualcuno dell’esterno, in Toscana questa èla regola. Duccio, Giotto, Simone Martini, TaddeoGaddi diedero disegni per vetrate. Piú tardi, alla catte-drale di Firenze per esempio, chi dà il disegno di unavetrata non è, quasi mai, un maestro vetrario. Sono pit-tori, orafi, scultori come Agnolo Gaddi, Lorenzo Ghi-

berti, Paolo Uccello, Andrea del Castagno e Donatelloche creano i primi progetti. Poi il compito passa alla bot-tega del maestro vetrario, dove il disegno primitivo èripreso e trasportato in grandezza d’esecuzione. Un capi-tolo del Libro dell’Arte di Cennino Cennini intitolatoCome si lavorano in vetro finestre testimonia appunto dicome il maestro vetrario usasse rivolgersi al pittore peril disegno della vetrata, e quale fosse la collaborazioneche si instaurava tra i due:

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Mo diremo prima del modo delle finestre: vero è chequesta tale arte poco si pratica per l’arte nostra, e pratica-

si piú per quelli che lavorano di ciò; e comunemente quel-li maestri che lavorano, hanno piú pratica che disegno, e permezza forza e per la guida del disegno pervengono a chi hal’arte compiuta, cioè che sia, universale e buona pratica. Eper tanto quando i detti verranno a te tu piglierai questomodo. È ti verrà con la misura della sua finestra, larghezzae lunghezza; tu torrai tanti fogli di carta incollati insiemequanto ti farà per bisogno alla tua finestra; e disegnerai latua figura prima con carbone, poi fermerai con inchiostro,aombrata la tua figura compiutamente si come disegni intavola. Poi il tuo maestro de’ vetri toglie questo disegno espianalo in sul desco o tavola, grande e piano; e secondo checolorire vuole i vestimenti della figura, cosí di parte inparte va tagliando i vetri, e datti un colore il quale si fa dilimatura di rame ben macinato; e con questo colore tu conpennelletto di vaio, di punta vai ritrovando pezzo a pezzole tue ombre, concordando l’andare delle pieghe e dell’al-

tre cose della figura, di pezzo in pezzo di vetro, si come elmaestro ha tagliato e commesso; e di questo cotal colore tupuoi universalmente aombrare ogni vetro. Poi il maestroinnanzi che leghi insieme l’un pezzo coll’altro secondo lorousanza, il cuoce temperatamente in casse di ferro con suocendere, e poi li lega insieme22.

In questo caso il pittore interviene sia nel disegno sianella stesura della grisaille, ma sovente questo non suc-cede e l’intervento del pittore si limita al primo dise-gno. Cosí avviene, per esempio, nel tondo con l’ Assun-zione della Vergine in Santa Maria del Fiore a Firenze,il cui progetto, affidato a Lorenzo Ghiberti, sarà ripre-so a scala maggiore e pagato al maestro vetrario Niccolòdi Pietro tedesco «per il disegno che eseguì per l’oculoanteriore della chiesa di Santa Reparata». Questa mar-cata divisione del lavoro deve essere intervenuta parti-

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colarmente a Firenze nel corso del xiv secolo. Nellaprima metà di questo secolo ci sono maestri vetrari che

sono anche grandi pittori, e ce lo mostra il caso di Gio-vanni di Bonino, cui si devono alcune delle piú splen-dide vetrate del secolo e in cui si è pensato di ricono-scere il drammatico e misterioso Maestro di Figline23,ma la situazione cambia in seguito e varrà qui la penadi leggere quanto ne ha detto molto lucidamente Pie-tro Toesca:

Quando nella prima metà del Quattrocento i maestri divetri ebbero a decorare in Santa Maria del Fiore le finestredella tribuna o gli otto «occhi» della cupola dovetteroriprodurre cartoni disegnati e colorati da artisti grandissi-mi inconsapevoli di quelle vecchie tradizioni, o piuttostointenti soltanto a novità, nel preparare modelli simili alleproprie pitture, senza punto riguardare alla loro tradizionevetraria: e non abili abbastanza per adattare subito la lorotecnica ai nuovi propositi o per mettere questi in schietta

evidenza, composero vetrate assai inferiori per bellezzadecorativa a quelle del Trecento, e incertissime nell’effet-to pittorico, perché la forma vi è cosí sfigurata dal retico-lato dei piombi che lo sguardo difficilmente l’afferra24.

In linea generale a Firenze un artista estraneo allabottega dei maestri vetrari dà i disegni delle vetrate cheverranno poi tradotti in questa tecnica dagli specialisti25.

Tuttavia l’immagine che si ha di tale stato di cose variase si passa dal testo di Cennino che abbiamo citato aquello di Antonio da Pisa, vale a dire a quello di un veroe proprio maestro vetrario, che presenta la situazione inun’altra luce e non parla di interventi di pittori estranei;evidentemente volta a volta la situazione poteva pre-sentarsi diversamente26. In Francia, in Germania e ingenerale nel nord sarà per lo piú lo stesso maestro a capodell’atelier dei pittori vetrari che dà il disegno e segue

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attentamente fino alla fine, talora intervenendo anchenell’operazione di pittura, la lavorazione della vetrata.

Del resto in Francia e in Germania, come anche nell’I-talia del nord, esistettero pittori che padroneggiavanoperfettamente i problemi tecnici delle vetrate. In casi diquesto genere il risultato è ovviamente piú unitario.

Da quanto si è detto emerge un problema chiave:quello delle conseguenze della divisione del lavoro e delrapporto tra progetto e realizzazione.

 Maestri vetrari e pittori.

La collaborazione di molte mani a un’opera e, d’al-tra parte, il rapporto intercorso tra l’autore del model-lo e il maestro che lo traduce in vetro, personaggi chenon sempre coincidono, possono essere prese a pretesto,e in realtà lo sono state, per respingere la vetrata nellacategoria delle tecniche subalterne e di traduzione inve-

ce che in quella delle arti maggiori e libere; si metteràin dubbio, in altre parole, che in una vetrata si possachiaramente discernere il segno e l’autografia dell’arti-sta che l’ha progettata. In realtà, formulazioni di que-sto tipo applicano al medioevo criteri di giudizio di epo-che posteriori, mentre una diversità di ruoli, che si tra-duce in una diversità di trattamento economico, emer-ge chiaramente da documenti come quelli che riguarda-

no le vetrate della cappella di Santo Stefano a West-minster.La lettura che facciamo di certi testi può essere fonte

di equivoci; spesso occorre fare una distinzione tra il pit-tore su vetro e il maestro vetrario. Chi produce i vetri,chi li taglia e chi monta le finestre può non essere iden-tificabile, e in generale non lo è, con chi le dipinge e chile progetta. Ma molto spesso, quando in testi medieva-li si parla di vitrearii, può trattarsi volta a volta di per-

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sone che avevano la pratica di fare il vetro, di tagliarlo,di dipingerlo, di fare finestre27. Con la crescente dif-

fusione della vetrata figurata nel xii secolo si preciseràuna distinzione piú netta tra le attività. A questo puntotroviamo il maestro, che si considera e si rappresentacome un autentico pittore, e il vetraio, addetto a un’at-tività di carattere piú tecnico e subordinato.

Suger chiama magistri gli artisti di diverse nazioni dalui chiamati a lavorare alle vetrate di Saint-Denis e,nota Hans Wentzel, il titolo di magister è attribuito nelmedioevo all’artista, o in ogni modo a chi dirige l’ese-cuzione di un’opera, più che al semplice artigiano28. Unavetrata tedesca della metà del secolo, di poco posterio-re quindi alle imprese di Suger a Saint-Denis, ci mostral’immagine di uno di questi pittori su vetro: è l’autori-tratto di un Gherlacus che si rappresenta nella parteinferiore della vetrata da lui eseguita (quella dove ingenere si trovavano le rappresentazioni dei committen-ti), in uno dei piú straordinari autoritratti del medioe-

vo, con in mano il pennello e il vasetto contenente ilcolore, mentre intorno corre un’iscrizione (Rex regumclare Gherlaco propiciare) che prega il Signore di esserepropizio al pittore. Il fatto di rappresentarsi nell’atto diesercitare la propria attività e di porre il proprio nomenell’iscrizione dedicatoria implorando la protezione cele-ste è segno di un’alta coscienza di sé e del proprio lavo-ro, e si è anche pensato che Gherlacus abbia donato egli

stesso la vetrata all’abbazia premostratense di Arnsteinsulla Lahn29, un fatto che tra l’altro starebbe a indicarel’elevata situazione economica a cui un pittore di vetra-te poteva arrivare nel xii secolo, lo stesso tempo in cuil’orafo Godefroy de Huy dona all’abbazia di Neufmou-stier un prezioso reliquiario del Battista. È possibile chesia un ritratto anche quello di un Lampertus rap-presentato inginocchiato ai piedi di san Dionigi in unavetrata fatta intorno al 128o per la chiesa di Sankt

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Dionys a Esslingen. Questa volontà di autorappresen-tarsi fa intendere che la posizione sociale del pittore su

vetro non è piú quella del vitrearius Stracholfus, servodel monastero di San Gallo, cui Ludovico il Pio avevafatto dono dei propri abiti e che una cronaca dicevaappartenente a un infimo grado sociale30.

In un periodo successivo e in una tecnica come quel-la dell’arazzo la situazione è relativamente chiara; il pro-getto dell’opera spetta al pittore, il tapissier si limiterà atradurre questo progetto in tessuto; al massimo se lasbrigherà da solo quando si tratti di eseguire arazzi à ver-dures, a motivi vegetali, ma ogni volta che ci siano figu-re e scene il compito di progettarle è del pittore, che inquesto caso è anche protetto dalla propria corporazione.Diverso il caso delle vetrate: a Parigi nel cinquecento ilmaître verrier , la cui corporazione aveva ricevuto gli sta-tuti nel 1467, si occupava di ogni situazione che leriguardasse, dal taglio dei vetri alla loro pittura e gene-ralmente anche alla loro progettazione. Di converso non

si occupava della produzione del vetro né della com-mercializzazione di altri articoli in vetro e poteva eser-citare la pittura in altri campi e in altre tecniche solo seavesse praticato un secondo apprendistato31. Possiamocongetturare che mentre in Toscana alla fine del tre-cento (è questa la situazione descritta da Cennino, masi veda in contrario quanto afferma Antonio da Pisa) imaestri vetrari si rivolgevano a pittori che generalmen-

te lavoravano in altri campi e che solo occasionalmentesi occupavano di vetrate, nel settentrione, dove la pro-duzione di vetrate dipinte era assai piú estesa, siano esi-stiti pittori che lavoravano prevalentemente nel campodella vetrata. Prevalentemente, ma, almeno fino almomento della codificazione corporativa che intervieneabbastanza tardi, non esclusivamente. Spesso è statoavvertito che i rapporti tra pittori di vetrate e miniato-ri sono cosí stretti da credere che si tratti delle medesi-

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me persone, e Louis Grodecki ha ritenuto del medesi-mo maestro un gruppo di vetrate proveniente da Troyes

del xii secolo e un certo numero di illustrazioni di mano-scritti, mentre Christopher Woodforde32 presume unostretto rapporto tra maestri vetrari e miniatori attivi aOxford nella seconda metà del duecento.

La sola firma (qualche nome come quello del già cita-to Pierre di Arras e di un maestro vetrario attivo aBourges li conosciamo da documenti, ma non da firme)che sia sopravvissuta su una vetrata del duecento (quel-la di Lupuldus frater in una grisaille della chiesa cister-cense di Haina33 è forse già degli inizi del secolo suc-cessivo) la troviamo su una vetrata del deambulatoriodella cattedrale di Rouen, a sinistra della cappella assia-le con le storie di Giuseppe, ed è quella di Clemensvitrearius carnotensis, cioè di Clemente vetrario di Char-tres34. È significativo che il pittore della vetrata, ché taledeve essere stato chi ha apposto una firma come questa,sapientemente disposta su un cartiglio in lettere ela-

borate, parli di sé come di vitrearius, cosí come è inte-ressante constatare che Clemens vitrearius venga da Char-tres, la città che, grazie al numero dei maestri e degli ate-lier che avevano lavorato all’immenso compito dellainvetriatura della cattedrale, portata avanti in un lassodi tempo di una trentina d’anni, deve essere stata neiprimi decenni del duecento il centro dove giungevano,operavano e da cui partivano maestri vetrari di tutta la

Francia settentrionale. Mentre nell’xi secolo l’abate diSaint-Aubin di Angers chiedeva al pittore Fulco di occu-parsi di affreschi e di vetrate per il suo monastero35, ementre nel secolo successivo un Bertoldus magister pic-tor decorava con vetrate e pitture, nel 1109, il mona-stero di Zwiefalten36, e, sempre nello stesso secolo, sipoteva ritrovare la stessa mano in vetrate e miniaturefatte a Troyes, lo sviluppo della vetrata ha portato inseguito a una specializzazione dei suoi artefici.

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Costi e manutenzione.

Poco sappiamo sui costi delle vetrate medievali esulle remunerazioni degli esecutori. Suger di Saint-Denisaccenna che l’invetriatura del coro della sua abbazia eracostata circa 700 lire37, una cifra assai considerevole poi-ché in genere il costo di una vetrata sembra oscillare trale 2o e le 40 lire. Una nota in un manoscritto liturgicoproveniente da Saint-Martial di Limoges (Parigi,Bibliothèque Nationale, ms lat. 1139, fol. 1), riportatadal canonico Delaporte38, dà notizia di una somma di 23lire pagata (e il prezzo comprendeva l’armatura) nel xiiisecolo per una vetrata consacrata allo Spirito Santo; peruna vetrata della cattedrale di Soissons Filippo Augustodonò «30 lire parigine per eseguire la grande vetrataposta nell’abside della nostra chiesa», ricorda l’obitua-rio della cattedrale per la data dell’11 luglio del 122339

–; altri dati, riguardanti questa volta vetrate trecente-sche, sono quelli relativi alla cappella di Santo Stefano

a Westminster di cui si è discusso40.Accanto al compito di progettare e confezionare unavetrata, un’altra funzione che svolgeva il maestro vetra-rio riguardava la manutenzione e il restauro delle vetra-te esistenti. Nell’abbazia di Saint-Trond, sotto l’abateRudolph (1108-38), un tale Arnoult è incaricato delrestauro delle vetrate e vi provvede con nuovi vetri,piombi e cera: «ripara le finestre vitree del monastero,

del chiostro, della cella dell’abate, avendo ricevuto dalpadre guardiano vetro, piombo, cera e denaro». Sugerdichiara a proposito delle vetrate di Saint-Denis che,considerato il grande valore dovuto alla loro pittura e alprezioso vetro azzurro ( saphirorum materia), nominò unmaestro con l’incarico ufficiale della conservazione edel restauro tuitioni et refectioni41 delle vetrate. Con lamessa in opera dei colossali cicli duecenteschi questoruolo si amplia e si moltiplica. Circa un secolo dopo un

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altro grande committente, san Luigi, prende un’analo-ga decisione per le vetrate della Sainte-Chapelle, e nel

1240 John the Glazier (Giovanni il Vetraio) e i suoieredi ricevettero l’incarico di vegliare sulle vetrate dellacattedrale di Chichester e di «conservare le antiche fine-stre invetriate e lavare e pulire ciò che doveva esserelavato e pulito, e riparato ciò che doveva essere ripara-to, e aggiunto ciò che doveva essere aggiunto, il tutto aspese della chiesa»42. Questo è altresí il compito diNicholas Fayerchild a Norfolk43, mentre a Chartres taleincombenza è affidata a uno Geoffroy, ricordato in undocumento del 1317, in cui egli si impegna a riparare ea rimettere in buono stato, nello spazio di un anno e asue spese, tutte le vetrate della cattedrale, essendo paga-to a forfait con 30 lire di Chartres, e continuando a eser-citare questa funzione, dopo questo primo restaurogenerale, per la somma di 6 lire di Chartres all’anno44 (aChichester il compenso era fissato a un rifornimentoquotidiano di pane e un marco – cioè 13 scelllini e 4

pence – all’anno); ad Angers nel 1364 20 franchi d’orovengono pagati a un Petrus vetrario de reparando vitrasecclesiae45.

I committenti.

Sin qui si è cercato di vedere quale era lo stato, la

condizione del maestro vetrario, quale l’immagine chese ne facevano i contemporanei; ma qual era la contro-parte dell’artista, chi erano e come apparivano i clienti,i committenti dei maestri vetrari?

Qualche risposta ci verrà dalle vetrate medesime.Nella mitica chiesa di Combray una delle vetrate «eraoccupata in tutta la sua grandezza da una sola figura,simile al re d’una carta da gioco, che viveva là in alto,sotto un baldacchino architettonico, fra cielo e terra»46.

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Un gran numero di uomini e di donne, di re e di abati,di nobildonne e di canonici, di vescovi, di principi e di

baroni guarda i fedeli dall’alto delle finestre di catte-drali, di chiese abbaziali o di cappelle. Sul finire del sei-cento, un grande e infaticabile genealogista come Rogerde Gaignières, avendo riconosciuto nelle immagini dellevetrate un terreno di indagine molto promettente per ipropri studi, mandò disegnatori a riprodurre le fattez-ze, i blasoni, i costumi di tanti di questi personaggi47. Ilfatto è che, almeno nei paesi a nord delle Alpi, le vetra-te furono per molti secoli, come si è detto, la piú pre-stigiosa tra le tecniche pittoriche, il piú efficace tra imezzi di comunicazione visiva.

I nomi che conosciamo sono prevalentemente, in unprimo tempo, quelli di grandi personaggi del mondoecclesiastico: vescovi – gli obituari delle cattedrali o legesta dei vescovi delle piú insigni sedi sono piene dimenzioni in questo senso, dai vescovi di Auxerre comeGeoffroy de Champallement (1051-76), Humbaudus

(1087-1114), Hugues de Noyers (1183-1206), a quelli diLe Mans, quali Hoel (1085-96) o Hildebert de Lavardin(1096-1125), a quelli di Angers come Raoul (1178-98) oGuillaume de Beaumont. Al posto d’onore, nelle posi-zioni piú visibili e prestigiose delle cattedrali di Reimse di Le Mans, troneggiano, in modo che la loro vista siimponga a tutti, le figure dei prelati costruttori: a ReimsHenri de Braines è accompagnato dai vescovi delle dio-

cesi suffraganee e dalle immagini delle loro chiese, a LeMans la presenza di Geoffroy de Loudun è sottolinea-ta da quella, ripetuta otto volte, del suo blasone. Nellevetrate di Le Mans tuttavia compaiono nelle finestremolte altre immagini di donatori, mentre tale non è ilcaso a Reims, dove le figure dell’arcivescovo e dei suoisuffraganei sono le uniche presenze contemporanee.

Vi sono poi canonici, come Hugues de Chamblancé,morto intorno al 1177, ricordato nell’obituario della

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cattedrale di Angers per aver fatto fare in vetro tutte lefinestre, tranne tre, della navata della cattedrale, pre-

cedentemente chiuse da sporti lignei48

, o come i varicanonici rappresentati a Chartres (tra cui Henri Nobletsi fa addirittura rappresentare due volte ai piedi di Cri-sto benedicente e della Vergine con il Bambino), o comei  presbiteri Lochenses, i canonici di Loches che riem-piono con le loro alte figure una vetrata della cattedra-le di Tours; abati come Suger di Saint-Denis, la cuiceleberrima immagine in  proskynesis ai piedi dell’ An-nunciazione, in una delle vetrate della sua chiesa, con-trasta per la sua umiltà con la deliberata, ripetuta onni-presenza sottolineata dalla profusione dei versiculi appo-sti per ogni dove e che spesso ripetono il suo nome.Tutti costoro furono attivi talora di persona e con pro-pri fondi, talaltra curando che le imprese venisserofinanziate da loro clienti o da persone che orbitavanoattorno a loro. In questo senso è illuminante un testo chericorda come Geoffroy de Champallement, figlio di Ugo

visconte di Nevers, vescovo di Auxerre, quello stessoche, come si è visto, aveva nominato canonico onorarioun pittore di vetrate, abbia fatto invetriare cinque fine-stre dell’abside della sua chiesa, affidandone la realiz-zazione «a cinque clienti della sua famiglia affinché cia-scuno ne realizzasse una» e facendo fare la sesta, mag-giore, che illuminava l’altare di Sant’Alessandro, dalsuo cappellano.

Accanto agli ecclesiastici sono i grandi signori laici:imperatori come Federico Barbarossa che volle ricorda-to il suo nome e la fausta circostanza – la sconfitta cheaveva inflitto ai milanesi – nelle vetrate – oggi scom-parse – di cui aveva fatto dono alla chiesa di Sélestat inAlsazia. Esse portavano l’iscrizione, che conosciamograzie alla trascrizione che ne ha fatto l’umanista diStrasburgo Beatus Rhenanus, e che venne pubblicata nel1531 nel terzo volume delle sue Rerum Germanicarum:

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«Tempore quo rediit superatis Mediolanis | Nos rex roma-nus fieri iussit Fridericus»; re come Enrico II Plantage-

neto che, unitamente alla regina Aliénor di Aquitaine eai figli, si fece rappresentare in atto di offerente sottoil medaglione con la crocifissione di san Pietro situatonella parte inferiore della colossale vetrata con la Croci- fissione che aveva donato alla cattedrale di Poitiers49, ocome Filippo Augusto di Francia, ricordato nell’obitua-rio della cattedrale di Soissons per aver donato una ve-trata alla cattedrale; nobili come il conte cui è indiriz-zato alla fine del x secolo il ringraziamento dell’abate diTegernsee per aver donato alla chiesa quelle che veni-vano considerate delle straordinarie novità, delle vetra-te appunto.

Il numero dei personaggi contemporanei che si fecerappresentare in una vetrata nel corso del xii secolo è assailimitato – e probabilmente ciò è dovuto al numero ristret-to di vetrate conservate appartenenti a questo periodo ealla loro frammentarietà –; la situazione si modifica radi-

calmente nel secolo successivo, durante il quale non soloaumentano le rappresentazioni di aristocratici e di eccle-siastici, ma si diffonde un nuovo genere di rappresenta-zione, una nuova iconografia: quella di gruppi di artigia-ni o commercianti rappresentati al lavoro, mentre gliecclesiastici erano per lo piú effigiati in preghiera e inobili spesso in assetto guerriero, come nelle finestre altedel coro di Chartres. Relativamente rara in un primo

tempo è l’immagine dell’offerta vera e propria della vetra-ta (tra le tante vetrate «artigiane» di Chartres solo due,ambedue donate dai calzolai, la mostrano), che diventerà,poco piú tardi, estremamente diffusa.

La crescente rappresentazione dei laboratores rendepalese l’aumentare dell’importanza di questi gruppisociali, e in qualche modo di una certa qual loro agia-tezza, ma certo anche la volontà di rappresentare al-l’interno della chiesa, immagine della Gerusalemme cele-

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ste, un messaggio di concordia sociale proprio nelmomento in cui piú acuti erano gli scontri tra i differenti

gruppi e i diversi e talora opposti interessi.

Religiosi, guerrieri e artigiani a Chartres.

Se entriamo nella cattedrale di Chartres, che ha con-servato quasi per intero la sua decorazione vitrea due-centesca, questa varietà di personaggi e di ruoli ci verràtestimoniata dalle vetrate. Nelle finestre basse, dove levite dei santi e le pie leggende si svolgono lungo tuttol’involucro dell’edificio, troviamo le rappresentazionidi lavoratori, artigiani e commercianti intenti alle loroattività. Le immagini dei panettieri e dei mercanti distoffe ritornano in ben cinque vetrate, quelle dei cam-biavalute in quattro; sono poi rappresentati conciatori,muratori, acquaioli, mercanti di generi alimentari, cal-zolai, armaioli, macellai, pescivendoli, pellicciai, tessi-

tori, tagliapietre e scultori, carpentieri, falegnami, bot-tai, vignaioli, mercanti di vino, speziali, carradori,maniscalchi, merciai, farmacisti, pellai. Anche un sin-golo commerciante, un tale Gaufridus, appare con imembri della sua famiglia come donatore di due finestrealte, e inalbera le insegne dei mercanti di calze come gliaristocratici fanno con i blasoni50. I componenti dei varimestieri e delle varie professioni, organizzati in corpo-

razioni

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e confraternite, avrebbero commissionatomolte delle splendide finestre della cattedrale, il gran-dioso edificio al centro della città. La ripartizione nume-rica delle quarantaquattro vetrate che furono offerte aNotre-Dame con le immagini di artigiani e commer-cianti al lavoro indica d’altra parte il carattere poco evo-luto dell’economia della città52: si tratta prevalentemen-te di rappresentazioni di piccoli mestieri, di attività arti-gianali o commerciali di ambito ristretto.

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Undici vetrate portano immagini relative a mestieridell’alimentazione: panettieri (cinque casi), macellai (tre

casi), tavernieri (due casi), portatori d’acqua (un caso);otto rappresentano gli addetti ai lavori del cuoio, seiquelli del legno e, via via, tre gli artigiani dell’abbiglia-mento, due gli addetti alla costruzione e altre due i lavo-ratori del ferro, mentre nelle altre sono riprodotte leeffigi di commercianti (in cinque casi venditori di stof-fe e di pelli, in altri cinque orafi e cambiatori di mone-ta, in una merciai).

Se non proprio tutti gli abitanti, come vorrebbero leleggende romantiche, si è a lungo ritenuto che almenotutti i gruppi di un qualche peso sociale, tutte le orga-nizzazioni in cui erano riunite le forze attive della cittàabbiano contribuito a loro spese a decorare il tempio,che non apparteneva solo al vescovo e al capitolo deicanonici, ma che, dopo la ricostruzione seguita all’in-cendio del 1194, e grazie all’impegno economico richie-sto ai cittadini, doveva essere percepito come un auten-

tico monumento municipale53, dove si pregava, ci siincontrava, si commerciava, si stendevano atti di com-pravendita, si visitavano le sacre reliquie.

Custodite nel gigantesco scrigno della cattedrale, que-ste erano l’oggetto dei frequenti pellegrinaggi che ren-devano noto, anche molto lontano, il nome della città,e aiutavano sostanzialmente lo sviluppo delle fiere chesi tenevano quattro volte l’anno nei giorni delle feste

della Vergine

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. I corpi di mestiere avrebbero ornato lacattedrale non solo perché spinti da pietà religiosa, nonsolo per mettere le loro attività sotto la diretta prote-zione di un santo patrono di cui la vetrata raccontava legesta, ma perché la cattedrale era per eccellenza, e nonsolo simbolicamente, l’edificio pubblico della città. Cisarebbe stato in tutto questo un desiderio di autoaffer-mazione e di visibilità, lo stesso desiderio che faceva par-tecipare allo sforzo il clero, la nobiltà, la corte.

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Ma esistevano a Chartres corpi di mestiere organiz-zati all’inizio del duecento? Ed è verisimile che essi

abbiano avuto la forza economica e l’autorità sociale perintervenire in una misura tanto grande alla decorazionedella cattedrale? E che volontariamente abbiano parte-cipato accanto ai nobili e agli ecclesiastici a questaimpresa? Sono queste le domande poste da una recentericerca55 che ha messo in rilievo i forti contrasti socialiesistenti a Chartres nel primo duecento. Erano avvenutiscontri anche cruenti, e l’assenza di precise notizie sul-l’esistenza in quel tempo nella città di corporazioni arti-giane e di confraternite a esse legate ha spinto a con-cludere che la rappresentazione dei gruppi artigiani allavoro poteva eventualmente riguardare solo coloro chesvolgevano un’attività all’interno del recinto del cloîtreNotre-Dame ed erano sotto la diretta dipendenza deicanonici. Gli ispiratori e anche i finanziatori di questevetrate dovettero quindi essere con molta probabilità glistessi canonici interessati a diffondere un’immagine di

concordia sociale.Il problema non è risolvibile con certezza in un sensoo in un altro, anche se la soluzione proposta nella ricer-ca di Jane W. Williams sembra molto sofisticata e pocodocumentabile, tanto piú che a Chartres le vetrate conrappresentazioni di artigiani al lavoro sono situate indiverse zone della cattedrale e a diverse altezze (finestrebasse delle vetrate laterali, finestre alte della navata e

dell’abside), sono state eseguite in tempi diversi e pos-sono dunque avere avuto origini e committenze diverse.D’altra parte gli urti tra gruppi popolari e gerarchieecclesiastiche erano all’ordine del giorno nelle città traxii e xiii secolo, e questo non ha certo impedito la par-tecipazione dei cittadini alle grandi imprese costruttive.Il fatto invece che in precedenza rappresentazioni diartigiani al lavoro fossero state utilizzate nella catte-drale di Piacenza per marcare le colonne e i pilastri

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offerti dalle corporazioni di mestiere, e che nel corso delxiii secolo analoghe rappresentazioni si presentino in

altre cattedrali francesi, da Bourges a Le Mans, adAmiens, a Tours, a Rouen, e che infine questi esempisiano stati seguiti nel primo trecento fuori di Francia,nella nuova e grande collegiata di una città dalle molteattività manifatturiere e commerciali come Friburgo, oin Inghilterra a York, fa pensare che queste rappresen-tazioni attestino veramente l’entrata di nuovi gruppisociali nell’orizzonte della committenza.

Nelle vetrate offerte dai grandi del regno mancanoquelle scene di vita quotidiana che fanno delle vetrate«borghesi» delle navate laterali e del coro una vera summa delle attività artigiane e mercantili del duecentoe un repertorio unico di notazioni e di rappresentazio-ni concrete56; troviamo per contro rappresentati, maanche in questo caso in modo del tutto innovatore, igrandi protagonisti di un periodo assai movimentatodella storia di Francia, quello che vide gli ultimi anni di

Filippo Augusto, il breve regno di Luigi VIII (1223-28),la reggenza di Bianca di Castiglia, la giovinezza di sanLuigi.

Come nel caso delle figurazioni delle attività artigia-nali nelle finestre delle navate laterali, le rappresenta-zioni dei donatori danno luogo a straordinarie novitàiconografiche. Per la prima volta in una cattedrale i bla-soni dei donatori sono presenti con tanta frequenza,

combinati con episodi e personaggi della storia sacra; perla prima volta un gruppo di donatori si fa rappresenta-re dentro una chiesa a cavallo e in armi57. Le rose chesovrastano le finestre a doppie luci del coro ospitano unaparata di sette cavalieri attorno all’immagine del futuroLuigi VIII, rappresentato sopra una finestra della pare-te nord ancora senza corona, quindi prima della suaaccessione al trono (1223). Si tratta di un membro dellafamiglia di Montfort (Simon o il figlio Amauri), di un

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conte di Beaumont, di Robert de Courtenay, di re Fer-dinando III di Castiglia, di Philippe de Boulogne detto

Hurepel, figlio naturale di Filippo Augusto e quindi fra-tellastro del principe Luigi, e di Pierre de Dreux dettoMauclerc, ed è possibile che questa parata di guerrierivoglia commemorare la crociata del 1217 contro gli albi-gesi alla quale il principe e i suoi compagni d’arme ave-vano partecipato.

Nelle parti circolari in forma di rosa che sormontano levetrate della parte superiore della chiesa sono rappresenta-ti re, duchi, conti, baroni, armati dalla testa ai piedi, e mon-tati su cavalli riccamente agghindati,

ne scrive stupito Eustache Langlois58. Un’altra aristo-cratica schiera di donatori si incontra nelle vetrate altedel transetto, e anche qui i motivi dell’autoesaltazionee della legittimazione attraverso le immagini sono pre-senti. Ancora una volta appaiono i grandi ufficiali del

regno come Jean Clément maresciallo di Francia, i mas-simi feudatari come Thibault VI di Champagne, Phi-lippe de Boulogne, Pierre Mauclerc. La loro storia siinterseca, si sovrappone, si unisce e si differenzia conquella del re Luigi VIII e della regina Bianca di Casti-glia, mentre le loro scelte, le loro posizioni mutano e sitrasformano59.

Prendiamo il caso di Pierre de Dreux, che, discen-

dente da Luigi VI e quindi legato da vincoli di strettaparentela con la famiglia reale, era diventato duca diBretagna nel 1212, grazie al matrimonio con Alix deThouars. I due sposi avevano dato prova di una straor-dinaria munificenza verso la cattedrale, e forse eranostati committenti della decorazione plastica del grandeportale del transetto sud, ove se ne erano volute rico-noscere le immagini sotto la statua di Cristo del trumeau(ma piú probabilmente si tratta del conte Luigi di

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Blois-Chartres); di certo avevano donato la grande rosameridionale – la rosa dell’Apocalisse – e le cinque gran-

di finestre della claire-voie sottostante, ove troneggia laVergine col Bambino tra i quattro profeti maggiori chereggono sulle spalle gli evangelisti, e appaiono, con i lorostemmi, quattro membri della famiglia di Dreux-Breta-gna. La datazione di questo insieme può essere fissatatra il 1219 e il 1220 all’incirca – Alix de Thouars cheappare come donatrice della vetrata muore nel 1221, isuoi figli Jean e Jolande nascono rispettivamente nel1217 e nel 1218 e sono rappresentati come bambini pic-coli, mentre non vi appare l’ultimogenito Artus nato nel122060. Di fronte a questa, a chiudere l’alta parete deltransetto nord sta la rosa nord, dedicata alla Vergine,che, con le relative finestre della claire-voie, è una dona-zione reale segnata dai gigli di Francia e dai castelli diCastiglia, la patria della regina Bianca.

Le vicende di tutti i donatori sono strettamenteintrecciate dalle comuni imprese militari, specie contro

gli albigesi, fino a che, dopo la prematura morte di LuigiVIII (1226), giungono a una svolta conflittuale. Duran-te la reggenza di Bianca di Castiglia, Mauclerc saràinfatti uno dei capi della coalizione di feudatari checerca di opporsi al potere della reggente. Accanto a luistavano Thibault de Champagne e Philippe de Boulo-gne, altri munifici mecenati della cattedrale. La coali-zione fu spezzata proprio da Jean Clément, maresciallo

di Francia, che in un’altra vetrata è rappresentato men-tre riceve da san Dionigi l’orifiamma.Non abbiamo elementi certi per datare ad annum

queste vetrate, e tutto porta a credere che esse sianostate eseguite prima della morte del re e della rivolta deibaroni, quando la loro lealtà alla dinastia era ancora in-discussa. Certo la rosa nord, con l’esaltazione dell’isti-tuto monarchico attraverso la presenza dei dodici re diGiuda antenati della Vergine, e delle alte figure dei re

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e dei sacerdoti di Israele (Melchisedec, Davide, Salo-mone, Aronne) che accompagnano la figura di sant’An-

na nella claire-voie e incombono sulle immagini dei resconfitti e idolatri rappresentati sotto di loro, ha avutoun significato politico preciso. Sia che, eseguita quandoera vivo Luigi VIII, volesse costituire il primo manifestodell’ideologia regia dei capetingi61 e ricordare ancorauna volta le vittorie sugli eretici, sia che – realizzata altempo della reggenza di Bianca di Castiglia – abbia volu-to suggellare la sconfitta dei baroni e contrapporsi allarosa Dreux di fronte.

Osservando come la vetrata del vittorioso Jean Clé-ment sia stata posta deliberatamente nel transetto sud,non lontana da quella dello sconfitto Mauclerc, PaulFrankl ha rilevato: «dietro le pacifiche mura la cat-tedrale celava le ostilità troppo umane tra alcuni di colo-ro che avevano contribuito alla sua perfezione»62. Anco-ra una volta essa si presenta come un autentico puntodi incontro delle varie attività, ambizioni, imprese

umane.Non mancano le donazioni dei canonici membri delcapitolo, rappresentati in ginocchio davanti alla Vergi-ne patrona di Chartres, come il canonico Henri Noblet,e di vescovi come Regnault de Mouçon, ma sono assaimeno numerose di quelle della borghesia e della nobiltà:un calcolo condotto sulle vetrate che portano chiara-mente traccia dell’identità dei donatori fa ammontare a

sedici le donazioni ecclesiastiche, a quarantaquattroquelle dei re e dei signori (accanto ai grandi del regnomolti altri aristocratici sono presenti come donatori dellefinestre alte: Bouchard de Marly, Robert de Berou, iMontfort, i Courtenay, i Beaumont), a quarantaduequelle degli artigiani e mercanti.

Quanto alla disposizione e alla ripartizione dellevetrate, essa ubbidisce alle gerarchie sociali: general-mente in basso, nelle finestre delle navate laterali e del

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deambulatorio, le vetrate degli artigiani, in alto quelledegli ecclesiastici e dei nobili, in posizioni privilegiate,

come le facciate del transetto o le campate del coro chesovrastavano gli stalli dei canonici, queste ultime. Iltutto con parecchie eccezioni. Nelle finestre alte si tro-vano in gran numero anche vetrate donate dalle corpo-razioni piú ricche, come quelle dei panettieri o dei cam-biavalute, mentre vetrate di donatori ecclesiastici pos-sono situarsi in basso, a un posto d’onore però, al cen-tro della cappella absidale.

Una partecipazione sociale tanto diffusa e intensaalla decorazione della cattedrale poté essere facilitata aChartres dalle solidarietà di interessi tra il vescovo, icanonici e le forze borghesi che si appoggiavano al capi-tolo per sottrarsi alla tutela del conte, e si trova anchea Bourges, a Le Mans o a Rouen, ma manca in altreoccasioni, a Lione o a Reims, dove forti erano i contra-sti o totale era la supremazia del vescovo63.

Abbiamo altri casi dove l’iniziativa è piú particolare

e privata. La volontà di un potente, religioso o laico, puòessere all’origine della decorazione di un intero edificio,di una chiesa abbaziale come di una cappella palatina.È il caso celebre delle vetrate di Suger a Saint-Denis.Anche qui, come e prima che a Chartres, la volontà diautorappresentazione e di autoperpetuazione costituisceuna motivazione potente. L’abate si fa ritrarre nellevetrate della chiesa cosí come iscrive il suo nome sugli

altari, sui portali, nelle formule di consacrazione. Abbia-mo cercato di comprendere quali ragioni profondeabbiano spinto Suger a dare una spiccata preferenza allavetrata. Una volta che il prestigio dei prodotti di que-sta tecnica si fu affermato nelle coscienze e nell’imma-ginario degli uomini del xii e del xiiii secolo, la vetratadivenne una forma artistica particolarmente ricercata ei vari detentori del potere e della ricchezza gareggiaro-no nel commetterne. Il prestigio dell’opera si riflette sui

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committenti, le loro rappresentazioni aumentano inmodo impressionante nel corso del tempo per giungere,

nel trecento, a forme palesi di esibizione della propriafigura, delle proprie armi, del proprio ruolo, del proprionome.

Nelle Visions of Piers the Ploughman, scritte in trediverse versioni tra il 136o e il 139o dal misterioso Wil-liam Langland, un frate invita Lady Mede, la dama cheha usurpato il posto della Chiesa e che rappresenta ilpotere mondano del denaro, a pagare una vetrata aWestminster dove si potrà leggere il suo nome, assicu-randola che questo atto garantirà l’accesso al cielo dellasua anima:

Abbiamo in fattura una finestrache ci costerà molto cara.Vorresti invetriarla tu questa finestrae incidervi il tuo nome?Nelle messe e nei mattutini

per Mede canteremosolennemente e dolcementecome fosse una sorella del nostro ordine.

Ma Dio alle buone gentiproibisce tali incisionie di scrivere sulle finestredelle proprie buone azioni.

Atto di avventuroso orgoglio è l’esservi dipinto epompa mondana...64.

Così, al tramontare del medioevo, le immagini deidonatori, dei loro blasoni, dei loro nomi che incombe-vano dalle alte vetrate delle chiese erano avvertite daalcuni fedeli come preoccupanti presenze della pompamondana.

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1 r. marks, Stained Glass in England during the Middle Ages, Lon-don 1993, p. 44, in generale si veda c. brisac e j.-j. gruber, Le métier du maître verrier , in «Métiers d’Art», 2, 1977, pp. 25-37.

2 «Stracholfo vitreario, servi Sancti Galli», in Monumenta Germa-niae Historica, Scriptores II, Scriptores Rerum Sangallensium, a cura di G.H. Pertz, Hannover 1829:  Monachi Sangallensis de gestis Karoli Impe-ratoris Libri II , p. 763.

3 Monumenta Germaniae Historica, Necr. I, p. 674.4 Historia Episcopum Autissiodorensium in ph. labbe, Novae

Bibliothecae Manoscriptorum librorum tomus primus, Paris 1657, p. 453.5 Per le notizie su nomi di maestri vetrari cfr. h. oidtmann, Die

Rheinischen Glasmalereien vom 12 bis zum 16 Jahrhunderts, Düsseldorf1912, vol. I, pp. 51 sgg.: Älteste Berichte über das Vorkommen von Gla-

 smalereien; j. l. fischer, Handbuch der Glasmalerei, Leipzig 1914, cap.vi: Die gesellschaftliche und materielle Lage des Glasmalers, pp. 63 sgg;c. woodforde, English Stained and Painted Glass, Oxford 1954, p. 7.

6 v. mortet, Recueil de textes relatifs à l’histoire de l’architecture et à la condition des architectes en France au Moyen Age, XI - XII  siècles, Paris1911, p. 139; e. sackur, Die Cluniazenser ... bis zur Mitte des II  Jahrhun-derts, Halle 1892-94, vol. II, p. 410.

7 sugerii, De Administratione, in e. panofsky  Abbot Suger on the Abbey Church of St-Denis and Its Art Treasures, Princeton 1979, pp. 72 sgg.

8 m. w. cothren, Suger’s Stained Glass Masters and their Workshop

at Saint-Denis, in Paris, Center of Artistic Enlightment , «Papers in ArtHistory from Pennsylvania State University», 4, 1988, pp. 44-75.9 de reiffenberg, Monuments pour servir à l’histoire de Namur, de

Hainaut, et de Luxembourg , Bruxelles 1847, vol. VII, p. 26o.10 ch. roth, Le cartulaire du chapitre de Notre-Dame de Lausanne, in

«Mémoires et documents publiés par la Société d’histoire de la Suisseromande», III serie, iii (1948); e. j. beer, Les vitraux du Moyen Age dela Cathédrale, in aa.vv., La Cathédrale de Lausanne, Bern 1975, pp.245-46.

11 m. grandjean, A propos de la construction de la cathédrale de Lau- sanne, in «Genava», xi (1963), p. 274, nota 57.

12 c. lautier, Les peintres-vertiers des bas-côtés de la nef de Chartresau début du XIII 

e  siècle, in «Bulletin Monumental», cxlviii (1990), pp.7 sgg.

13 m. harrison caviness, Sumptous Arts at the Royal Abbeys inReims and Braine. «Ornatus elegantiae, varietate stupendes», Princeton1990, p. 10.

14 e. frodl-kraft in Studies in Medieval Stained Glass, CVMA, Uni-ted States, Occasional Papers, I, New York 1985.

15 l. f. salzman, The Glazing of St Stephen’s Chapel Westminster 1351-52, in «Journal of the British Society of Master Glass-Painters»,

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i (1926-27), pp. 14-16, 31-35, 38-41; id., Building in England to 154o. A Documentary History, Oxford 1952, pp. 182 sgg.

16 l. grodecki, Les problèmes de l’origine de la peinture gothique et 

le «Maître de Saint-Chéron» de la cathédrale de Chartres, in «Revue del’Art», 40-41, 1978, pp. 43-64, in particolare 57 sgg.

17 Se ne veda la riproduzione in j. lafond, Le Vitrail , Lyon 1988,p. 178.

18 m. durliat, Les attributions de l’architecte à Toulouse au début duXIV 

e  siècle, in «Pallas», xi (1962), pp. 205-12; marks, Stained Glass inEngland cit., pp. 53-54.

19 h. wentzel, recensione a p. frankl, Peter Hemmel Glasmaler von Andlau, in «Kunstchronik», xi (1958), p. 106.

20 h. wentzel, Eine deutsche Glasmalerei-Zeichnung des 14 Jahrhun-

derts, in «Zeitschrift für Kunstwissenschaft», xii (1958), pp. 131 sgg.;e. frodl-kraft, Ein Scheibenriss aus der Mitte des 14 Jahrhunderts, inFestschrift Hans R. Hahnloser , Basel 1961, pp. 307 sgg.

21 h. wentzel, Un projet de vitrail au XIV e  siècle, in «Revue de

l’Art», 10, 1970, pp. 7-14.22 c. cennini, Il Libro dell’Arte, a cura di F. Tempesti, Milano

1975, pp. 134-35.23 g. marchini, Il giottesco Giovanni di Bonino, in Giotto e il suo

tempo, Atti del Congresso Internazionale per la celebrazione del VIICentenario della nascita di Giotto, Roma 1971, pp. 67-77.

24

p. toesca, Vetrate dipinte fiorentine, in «Bollettino d’Arte», xiv(1920), pp. 3-6.25 e. castelnuovo, Vetrate Italiane, in «Paragone», 103, 1958, p.

17.26 r. g. burnam, Medieval Stained Glass Practice in Florence, Italy: 

the Case of Orsanmickele, in «Journal of Glass Studies», xxx (1988),pp. 77 sgg.

27 w. theobald, Technik des Kunsthandwerks im zehnten Jahrhun-derts, Des Theophilus Presbyter Diversarium Artium Schedula, Berlin1933, p. 241, nota 1, ricorda come documenti di Colonia (citati da j. j. merlo in Die Meister der altkölner Malerschule, Köln 1852, p. 190)definiscano volta a volta coloro che lavoravano alle vetrate come fene- strator (1056), glaseator (1314), vitriator (1327), factor vitrorum (1341);g. m. leproux, Recherches sur les peintres verriers parisiens de la Renais- sance (154o-162o), Genève 1988, pp. 1-10.

28 h. wentzel, Glasmaler und Maler im Mittelalter , in «Zeitschriftfür Kunstwissenschaft», iii (1949), pp. 53 sgg.

29 r. becksmann, in aa.vv., Vitrea Dedicata, Berlin 1975, p. 66. Suc-cessivamente lo stesso becksmann (in Deutsche Glasmalerei des Mitte-lalters, Stuttgart 1988, p. 95) ha ritenuto che Gherlacus non dovesseessere il donatore, ma solo il creatore della vetrata.

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30 «Quae eius liberalitas usque ad infimos etiam pervenit, adeo utStracholfo vitreario, servo Sancti Galli, totam vestituram suam tuncsibi servienti praeciperet dari», in  Monumenta Germaniae Historica,Scriptores II cit. (cfr. nota 3).

31 leproux, Recherches cit., p. 8.32 l. grodecki, Problèmes de la peinture en Champagne pendant la

 seconde moitié du XII e  siècle,in Studies in Western Art , Atti del XX Con-

grès International d’Histoire de l’Art, Princeton 1963, vol. I, pp. 129sgg; woodforde, English Stained cit., p. 7. Sui rapporti tra maestrivetrari e miniatori in Inghilterra cfr. marks, Stained Glass in England cit., pp. 56-58.

33 h. wentzel, Die Glasmalerei der Zisterzienzer in Deutschland , inDie Klosterbaukunst , «Arbeitsbericht der Deutsch-Französischen Kun-

sthistoriker Tagung», Mainz 1951.34 La firma di Clemente di Chartres è stata scoperta da e. h. langloische così ne scrive in Mémoire sur la peinture sur verre et sur quelques vitrauxremarquables des églises de Rouen, Rouen 1823, p. 9: «Le nom du vieuxpeintre-verrier auquel on doit attribuer celles dont nous occupons en cetinstant est, par un heureux hazard, échappé à la proscription, maismutilé et recouvert en partie par les plombs d’une restauration; ce n’estpas sans peine qu’on peut le déchiffrer sur un philactère où il se trouveinscrit». Sulle firme dei maestri vetrari cfr. f. perrot, La signature des peintres verriers, in «Revue de l’Art», 26, 1974, pp. 40-45; m. parsons

lillich, Gothic Glaziers: monks, Jews, taxpayers, Bretons, women, in «Jour-nal of Glass Studies», xxvii (1985), pp. 72-92.35 mortet, Recueil cit., pp. 264-65.36 o. lehmann-brockhaus, Schriftquellen zur Kunstgeschichte des 11

und 12 Jahrhunderts für Deutschland Lothringen und Italien, Berlin 1938,n. 1602, p. 316.

37 sugerii, De Administratione cit., pp. 52-53.38 e. delaporte, Les vitraux de la cathédrale de Chartres, Chartres

1926, p. 6, nota 1.39 l. grodecki, Un vitrail démembré de la Cathédrale de Soissons, in

«Gazette des Beaux Arts», 42, 1953, p. 175. La notizia è riportata nel1660 da e. baluze, Ex martyrologis Ecclesiae Sancti Gervasii Suessio-nensis, Parigi, B. N., coll. Baluze 46, f0l. 463 r , traendola dal necrolo-gio, ora scomparso, del capitolo della cattedrale.

40 salzman, The Glazing cit., passim.41 sugerii, De Administratione cit., cap. 34, p. 76; brisac e gruber,

Le métier cit., p. 29.42 salzman, Building in England cit., p. 175.43 woodforde, English Stained cit., p. 8.44 delaporte, Les Vitraux de la Cathédrale de Chartres cit., pp. 19

sgg.; c. lautier, Les vitraux de la cathédrale de Chartres à la lumière des

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restaurations anciennes, in Künstlerische Austausch, Atti del XXVIIICongrès International d’Histoire de l’Art, Berlin 1993, pp. 413-24.

45 Sulle spese sostenute ad Angers per la riparazione e la manuten-zione delle vetrate della cattedrale cfr. l. de farcy, Monographie de laCathédrale d’Angers, I. Les Immeubles, Angers 1910, pp. 172-81.

46 m. proust, A la recherche du temps perdu, edizione Pléiade a curadi J.-Y. Tadie, Paris 1987, vol. I, p. 59 [trad. it. Torino 19636, vol. I,p. 65].

47 j. guibert, Les dessins d’archéologie de Roger de Gaignières, série II:Vitraux, Paris s. d. Sono i personaggi e i blasoni delle vetrate di Char-tres a essere particolarmente indagati dal Gaignières e tra i molti dise-gni che fece eseguire si trovano anche piante e schemi del 1699 per lalocalizzazione delle vetrate con la specifica indicazione: Disposition des

vitres de l’église Notre-Dame de Chartres selon l’ordre quelle sont placés.48 ... universas fenestras navis ecclesie cum lignae essent fecit vitras,tribus exceptis.

49 La rappresentazione schematica della vetrata offerta dai duedonatori è frutto del restauro dello Steinheil (1882). È possibile cheoriginariamente la coppia coronata fosse rappresentata nell’atto dioffrire una tiara a san Pietro, di cui nello scomparto superiore era rap-presentato il martirio; questo è almeno ciò che appare dalla litografia,tratta da un disegno di un artista locale, H. Hivonnait, pubblicata nellaHistoire de la Cathédrale de Poitiers di ch. a. auber, Poitiers 1848, ma

niente permette di affermare che, a sua volta, la tiara fosse originale,cosa che anzi viene messa in dubbio dall’Auber.50 h. kraus, The Living Theatre of Medieval Art , Bloomington-Lon-

don 1967, p. 82; w. kemp, Sermo Corporeus, München 1987.51 g. aclocque, Les Corporations, l’industrie et le commerce à Char-

tres du XI e  siècle à la Révolution, Paris 1917.

52 a. chedeville, Chartres et ses campagnes ( XI - XIII e siècles), Paris1973.

53 delaporte, Les Vitraux cit., p. 2, nota come sulle diciotto vetra-te citate nei necrologi di Chartres come esistenti nella cattedrale primadel grande incendio del 1194, diciassette risultassero donate da eccle-siastici. Nel xiii secolo questa proporzione si altera radicalmente.

54 a. lecocq, Histoire du Cloître Notre-Dame, in «Mémoires de laSociété Archéologique d’Eure et Loir», i (1858).

55 j. welch williams, The Windows of the Trades at Chartres Cathe-dral , tesi della University of California, Los Angeles 1987, sostiene chele corporazioni artigiane non offrirono né diressero le vetrate nelle qualivennero rappresentate, ipotesi contro la quale reagisce w. kemp, Lescris de Chartres. Rezeptionästhetische und andere Überlegungen zu zweiFenstern der Kathedrale von Chartres, in Kunstgeschichte – aber wie?, acura di C. Fruh, R. Rosenberg e H. P. Rosinski, Berlin 1989, pp.

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190-220. La tesi della Williams è stata pubblicata in volume sotto iltitolo Bread , Wine and Money. The Windows of the Trades at ChartresCathedral , Chicago 1993.

56 j. welch williams, nel suo libro sulle vetrate di Chartres, mettein discussione anche il rapporto con la realtà di queste scene, identifi-cando un certo numero di schemi rappresentativi ripetutamente usati,stabilendo un repertorio delle differenti posture e mettendole in rap-porto con rappresentazioni di attività artigianali in monumenti tardoantichi provinciali. L’indiscutibile utilizzazione di topoi non toglieniente tuttavia all’importanza e al significato di questa improvvisaesplosione di raffigurazioni di attività quotidiane.

57 b. brenk, Bildprogrammatik und Geschichtsvertändnis der Kapetin- ger im Querhaus der Kathedrale von Chartres, in «Arte Medievale», II

serie, v (1991), pp. 71-95.58 e. h. langlois, Essai Historique et Descriptif sur la Peinture sur Verre ancienne et moderne, Rouen 1832, p. 121.

59 f. perrot, Le Vitrail, la Croisade et la Champagne: réflexions sur les fenêtres hautes du chœur de la cathédrale de Chartres,in y. bellengere d. quéruel, Les Champenois et la Croisade, Paris 1989; harrisoncaviness, Sumptous Arts cit.

60 perrot, Le Vitrail, La Croisade cit., pp. 118-119. brenk, Bild- programmatik cit., p. 87, ritiene che l’invetriatura del transetto sud con-cepita ai tempi di Filippo Augusto, il quale aveva progettato l’inve-

triatura del transetto della cattedrale d’accordo con Pierre Mauclerc egli altri aristocratici donatori, possa essere datata qualche anno piútardi, al tempo del regno di Luigi VIII, e che quindi l’immagine di Alixde Thouars, realizzata dopo la sua morte, possa essere letta nella pro-spettiva di una sorta di Memorienstiftung .

61 Cfr. brenk, Bildprogrammatik cit., pp. 83 sgg.62 p. frankl, The Chronology of Chartres Cathedral , in «The Art Bul-

letin», xliii (1961), pp. 51 sgg.63 kraus, The Living cit., pp. 71 sg. Come si è detto, la tesi della

Williams è invece che a Chartres i contrasti tra canonici e gruppi dellanascente borghesia fossero molto forti, come rivela tra l’altro la som-mossa del 1210, e che di conseguenza le immagini degli artigiani rive-lino un wishful thinking dei canonici piuttosto che una realtà.

64 Piers Plowman by William Langland . An edition of the C Text byd. pearsall, Berkeley 1979, pp. 67-68: «We han a wyndowe a wor-chinge | Wolde ze stande vs ful heye | Woldestow glaze that gable | andgrave ther zour name? | In messe and in matynes | for Mede we shalsynge | Solempneliche and softlyche | as for a suster of cure ordre | AcGod to afle god folk | Suche grauynge defendeth | to writen on wyn-dowes | of eny wel dedes | An auntur pruyde be paynted there and |pomp of the world...».

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Capitolo quarto

Problemi iconografici

Saint-Denis.

Nel trentaquattresimo capitolo della relazione diquanto era stato fatto a Saint-Denis sotto la suaamministrazione, Suger prende cosí a illustrare il pro-gramma che aveva elaborato per le vetrate della suachiesa:

Abbiamo altresí fatte dipingere dalle mani eccelse di

molti maestri di diverse nazioni la splendida varietà dellenuove vetrate, sia in basso che in alto, dalla prima all’e-stremità del coro che ne inizia la sequenza dove èrappresentata la stirpe di Jesse fino a quella che sovrastala principale porta d’entrata alla chiesa. Una di queste, sti-molando il passaggio dalle cose materiali a quelle im-materiali, rappresenta l’apostolo Paolo che fa girare unmulino e i profeti che vi portano sacchi. Ed ecco i versi che

riguardano questo soggetto:Scevera con il mulino, o Paolo, la farina dalla cruscaE rendi noto l’intimo senso della legge di Mosè.Il vero pane sia fatto di tutti i grani senza crusca,E sia per sempre cibo nostro e degli angeli.

E nella stessa vetrata, là dove viene tolto il velo dal voltodi Mosè:

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Ciò che Mosè vela, la dottrina di Cristo rivela.Coloro che spogliano Mosè mettono a nudo la Legge.

Nella medesima vetrata sopra l’Arca dell’Alleanza:

Sull’arca dell’Alleanza sta l’altare con la croce di Cristo;A causa di un patto piú alto qui vuol morire la vita.

Sempre nella stessa vetrata, dove il leone e l’agnello dis-suggellano il libro:

Egli è il grande Iddio, e il leone e l’agnello ne aprono illibro.

E l’agnello – o il leone – divengono carne congiunta aDio.

In un’altra vetrata, dove la figlia del Faraone trova Mosènella cesta:

Mosè nella cesta è il Bambino, e la FanciullaRegale, la Chiesa, si prende cura di lui con mente pia.

Nella stessa vetrata, dove il Signore appare a Mosè inmezzo a un roveto ardente:

Come si vede il roveto che arde, ma non si consuma,Cosí chi è pieno del Signore arde di questo fuoco, ma

non brucia.

Sempre nella medesima vetrata, dove si vede il Faraonesommerso dal mare con la sua cavalleria:

Ciò che il Battesimo è per i buoni, è l’acqua per l’eser-cito del Faraone La forma ne è simile, ma dissimile lacausa.

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E nella stessa, dove Mosè innalza il serpente di bronzo:

Come il serpente di bronzo uccide tutti i serpenti,Cosí Cristo innalzato sulla croce uccide i nemici.

Nella medesima vetrata, dove Mosè riceve la legge sullamontagna:

Data la legge a Mosè, a essa giova la grazia del Cristo.La Grazia vivifica, la lettera mortifica1.

I tituli approntati per le scene, quelle brevi didasca-lie di cui Suger era autore fertilissimo giungendo a dis-seminarne ogni opera da lui commissionata, ne chiari-scono l’interpretazione mettendo in rapporto gli episo-di dell’Antico con quelli del Nuovo Testamento e illu-minando senso e intenzione delle scelte2.

Le vetrate donate da Suger sono state conservatesolo assai parzialmente e hanno subito radicali restauri3,

ma il testo redatto dal loro committente, che fu anchecolui che ne stabilí il programma, ci parla dei soggettidi alcune di esse e del loro significato. In queste pagineSuger chiarisce la funzione e il senso che attribuiva allevetrate della sua chiesa e, in particolare, a quelle la cuilettura poteva essere piú difficile. Per usare le sue paro-le, la loro funzione doveva essere quella di spingere«dalle cose materiali alle immateriali» secondo il pro-cesso «anagogico» precisato proprio in quegli anni aParigi da Ugo di San Vittore4. Per «cose materiali» nonsi deve intendere solo la materia della vetrata, ma ancheil soggetto (Ugo di San Vittore avrebbe detto la histo-ria), tal quale si rivela da una lettura di primo grado.

Prendiamo per esempio la vetrata di Mosè. In essatroviamo come primo episodio il ritrovamento di Mosè;la scena, in questo caso appunto la historia, illustra uncelebre episodio biblico, ma il suo significato va oltre.

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Mosè bambino nella sua cesta è il Cristo, l’uomo-Dio,la principessa che si prende cura di lui è la Chiesa. È

questo il senso fondamentale dell’episodio (l’allegoriaavrebbe detto Ugo di San Vittore). Un fatto narrato dal-l’Antico Testamento accenna cosí e si invera in unaallusione al Nuovo.

Particolarmente significativo per il soggetto e per laillustrazione che ne viene data, dove si specifica l’in-tento, il modus operandi di questo programma, che con-siste nello spingere dalle cose materiali alle immateriali,è il primo episodio con i profeti che portano il granomacinato, separato dalla crusca e trasformato in farina,grazie al mulino mosso da san Paolo. Attraverso il filtroe l’azione del Nuovo Testamento, la materia dell’Anti-co, separata dalle scorie, può diventare pane, ostia euca-ristica. Dal significato materiale, la scena che si svolgeintorno al mulino con i profeti e san Paolo, si passa aquello immateriale, la continuità dei due Testamenti,l’inverarsi dell’Antico nel Nuovo. Il passaggio dal ma-

teriale all’immateriale, che in questa prima vetrata èmesso in evidenza anche dai soggetti insoliti, complessie allusivi, continua nella vetrata dedicata alle storie diMosè, dove, come si è visto, un episodio storico rap-presentato nel suo aspetto narrativo è illustrato dal titu-lus nel suo significato ultimo e trascendente. ComeMosè infante è prefigurazione di Cristo e la principes-sa della Chiesa, le acque del battesimo sono messe in

rapporto con quelle che sommergono l’armata del farao-ne, il serpente di bronzo che, innalzato su una colonna,uccide ogni serpente è come il Cristo che dalla crocevince i suoi nemici. Per finire con Mosè, che sul montericeve le tavole della legge, dove il commento spiega chela grazia di Cristo rinvigorisce la legge mosaica e con-clude con l’affermazione che la lettera uccide e lo spiri-to vivifica, parafrasando un concetto di san Paolo nel-l’Epistola ai Corinzi: Nam littera occidit et spititus vivifi-

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cat . Questo problema della lettura parallela, del passag-gio da un significato palese a uno riposto e piú profon-

do, è tipico di Suger, ma anche del modo di operare diun intellettuale del suo tempo. Si tratta di spingere lalettura a diversi livelli. Dietro ogni avvenimento, epi-sodio, personaggio vi è un significato fondamentale enascosto che occorre mettere in luce. Suger insiste suquesto fatto e fa largo uso di espressioni come «far notoil significato intimo», «rivelare», per concludere ladescrizione delle sue vetrate con quell’allusione al pas-saggio di san Paolo nell’Epistola ai Corinzi che è un chia-ro accenno ai pericoli di una lettura che si arresti alprimo livello.

Le pagine di Suger offrono una chiave preziosa percomprendere che cosa potesse essere il programma ico-nografico di un ciclo di vetrate, ma non si deve pensa-re che propongano un modello che potesse essere gene-ralizzato, né che dietro ogni vetrata medievale si sia cela-to un gioco di rinvii tanto complesso e raffinato.

È sempre necessario identificare e distinguere il pub-blico cui un’opera si indirizza, e ciò tanto piú in unasocietà dove la differenza tra coloro che sapevano leg-gere e detenevano la cultura e la stragrande mag-gioranza, che era analfabeta, era molto profonda. Aseconda del pubblico cui si rivolgevano, le immaginipotevano avere funzioni diverse5. Il messaggio dell’aba-te di Saint-Denis si rivolgeva ai chierici litterati, a mona-

ci colti, capaci di leggere, il cui bagaglio culturale pote-va fornire, con l’ausilio dei tituli, gli strumenti di unadecifrazione.

Le sue vetrate «anagogiche» dovettero tuttavia appa-rire enigmatiche e di difficile comprensione anche aicontemporanei colti, come si può dedurre dal fatto cheil loro programma estremamente sofisticato non abbiafunzionato come un modello e non sia stato imitato,mentre altre vetrate di Saint-Denis, come quella del-

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l’albero di Jesse, o quella dell’infanzia di Cristo6, eser-citarono una precisa influenza a Chartres e altrove. Ciò

permette di rivedere almeno parzialmente la tesi diEmile Mâle7, che in tutte le vetrate del xii secolo vede-va al lavoro pittori provenienti da Saint-Denis e attri-buiva alle vetrate di Suger un’influenza piú vasta eonnipresente di quanto in realtà esse non abbiano avuto.

I soggetti.

Le vetrate dovevano infatti essere comprese non solodal loro programmatore, ma anche dal pubblico cheentrava nella chiesa. Questo era assai differenziato, com-posto com’era di religiosi e di laici, di diversa cultura edi differenti esperienze, attese e abitudini, e abbiamopiú di una testimonianza di come una tale differenzia-zione fosse percepita. Nella  Apologia ad Guillelmumindirizzata intorno al 1124 all’abate Guillaume de

Saint-Thierry, san Bernardo, che di Suger era contempo-raneo e per certi aspetti avversario, attacca violente-mente l’uso delle immagini negli stabilimenti monasti-ci, perché esse, sostiene, potevano distrarre i monacidalla meditazione religiosa, ma le ammette nelle chiesedove aveva accesso un pubblico piú vasto, compostoanche di laici, cui, ai suoi occhi, le immagini erano desti-nate. Piú tardi, ma questa volta per chiari motivi apo-

logetici, sarà il cardinale Eudes de Chateauroux a ricor-dare come, nella sua giovinezza, la vetrata del BuonSamaritano nella cattedrale di Bourges gli fosse difficil-mente comprensibile8.

Il fatto che anche gli strati piú colti del pubblico delxii secolo difficilmente fossero in grado di identificaree comprendere allusioni cosí complicate come quellecontenute in alcune delle vetrate di Suger fu tanto piúrilevante in quanto ci si attendeva che le vetrate aves-

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sero un valore didattico immediato e piú generalmentecomprensibile. Quando Honorius Augustodunensis, un

ecclesiastico vissuto in Germania tra xi e xii secolo,paragona la società a una chiesa, i vescovi ne sono lecolonne, i principi le volte, il popolo il pavimento, e levetrate, proprio in quanto portatrici di un insegnamen-to, i maestri9.

Quali temi erano trattati nelle vetrate delle chiesemedievali? Molti e diversi, legati alla liturgia, al pensieroteologico, all’idea della salvezza, ma anche all’immagi-ne del mondo, ai poteri che lo reggevano, alla crociata.

Una prima distinzione dipendeva dalla collocazionedelle finestre, a seconda che si trattasse delle finestrealte della claire-voie, per solito dedicate a personaggi iso-lati, santi, apostoli, profeti, patriarchi10, re, o delle fine-stre basse, dove di preferenza prendevano posto vetra-te leggendarie dedicate alla vita di un santo, a episodicristologici o altotestamentari, all’illustrazione di para-bole, oppure invece si trattasse di rose o rosoni con

spartizioni e programmi complessi.Potevano essere affrontati i momenti e gli episodi piúimportanti della storia di Cristo: della giovinezza, odella vita pubblica, spesso attraverso episodi tratti daivangeli apocrifi, l’insegnamento delle parabole (il BuonSamaritano, il Figliuol prodigo eccetera), la Passione,l’Ascensione, le apparizioni dopo la morte.

Un tema onnipresente è quello della Vergine: la sua

immagine, le storie della sua vita, della morte e dell’in-coronazione, dei miracoli da lei compiuti – come quel-lo celebre della leggenda del sacerdote Theophilus che,avendo venduto l’anima al diavolo, si pente e vieneriscattato dalla condanna grazie alle preghiere fattedavanti alla sua statua – sono frequentissime11. EmileMâle ha indicato come questa leggenda sia stata a piúriprese trattata in vetrate del xiii secolo (a Chartres, aGercy, a Beauvais, a Troyes, a Laon, a Le Mans), men-

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tre altre leggende della Vergine non hanno fornito sog-getto a vetrate. Solo la cattedrale di Le Mans possiede

un gruppo particolarmente nutrito di vetrate duecente-sche dedicate ai miracoli della Vergine quali li aveva nar-rati Gregorio di Tours nel De Gloria Martyrum, e qualivennero ripresi nei lezionari in relazione alla festa del-l’Assunzione12.

Altri soggetti potevano riguardare personaggi, epi-sodi e immagini dell’Antico Testamento visti in diret-to rapporto con il Nuovo. In piú di un caso (a Châ-lons-sur-Marne, a Bourges, a Chartres ad esempio) larappresentazione della Passione è al centro di elabo-rati programmi tipologici in cui la Crocifissione èattorniata da episodi e personaggi biblici. Di questiprogrammi Charles Cahier e Arthur Martin diederonella monumentale monografia sulle vetrate della cat-tedrale di Bourges una prima estesa lettura. Il discor-so tipologico si può svolgere attraverso immagini diprofeti, di storie bibliche tratte dalla Genesi, in par-

ticolare la Creazione e le storie di Noè e di Giuseppe,dall’Esodo, e anche, ma piú raramente, dagli altri libri(il ciclo biblico piú ricco è quello della Sainte-Chapelledi Parigi); o ancora dell’albero di Jesse, inteso comel’albero dell’ascendenza terrena di Cristo o del tronodi Salomone, interpretato come figura della Vergine.Frequenti i temi escatologici come il Giudizio finale,i ventiquattro vegliardi dell’Apocalisse, e frequentis-

sime le rappresentazioni e le leggende dei santi e degliapostoli.Potevano comparire, in specie nelle rose, che nella

loro elaborata struttura circolare erano particolarmenteadatte a ospitare soggetti enciclopedici, anche temi appa-rentemente profani come i segni dello zodiaco, i mesi,le arti liberali, le diverse razze, i venti. Questi ultimisoggetti non possono essere considerati come qualcosadi diverso da quelli specificamente religiosi: il tempo, il

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cosmo e i loro simboli, come d’altronde tutte le attivitàumane, rientrano in un discorso generale sul mondo,

l’uomo e il suo destino.

Immagini politiche.

Il presente, la storia piú recente, ma anche soggettidi origine classica divenuti leggendari, attinti per esem-pio dal Romanzo di Alessandro, potevano fornire temi,spunti, immagini, ed essere alla base dell’organizzazio-ne di complessi cicli. La crociata, le lotte contro gli ere-tici, l’appropriazione di venerate reliquie, la polemicaantisemita, il primato di una sede arcivescovile, l’auto-rità dell’imperatore, l’esaltazione dell’istituto monar-chico, il primato della Chiesa forniscono volta a voltasoggetti per singole vetrate o interi cicli.

Situazioni particolari, legate alla funzione e alla sto-ria di un edificio o della città dove sorge, ebbero un peso

sulla genesi e sulla formulazione di determinate soluzioniiconografiche. Ciò è evidente per i culti locali, ma esem-pi di tal tipo, assai comuni, non sono i piú rappresenta-tivi, poiché in questi casi possono variare i singoli ele-menti del racconto – i personaggi, le vicende – pur rima-nendo invariata la sua struttura; la cosa cambia quandola mutazione non porta su singoli episodi e personaggima, per cosí dire, sull’accento stesso del racconto tema-

tico. Quando per esempio, nota Hans Reinhardt

13

, lefinestre alte della cattedrale di Reims, la chiesa dove ilre di Francia veniva tradizionalmente consacrato, nonsono dedicate, come nelle altre cattedrali, a santi raffi-gurati in posizione eretta, bensí, con qualche eccezione,«unicamente a personaggi seduti: la Madonna con ilBambino, gli apostoli, l’arcivescovo di Reims e i suoi suf-fraganei nel coro, gli arcivescovi di Reims e i re di Fran-cia nella navata», allora si pone veramente un problema.

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La sostituzione di personaggi eretti con personaggi sedu-ti (la posa della maestà), l’insistenza sul clero locale e sul-

l’alternanza tra arcivescovi di Reims e re di Franciahanno un notevole valore sintomatico: «affermano [...]la superiorità della sede metropolitana di Reims su tuttala Seconda Gallia Belgica e il diritto dei suoi arcivesco-vi a consacrare i re di Francia»14. Un discorso analogosi può fare per la serie dei vescovi di Reims sovrastatida profeti e apostoli a Saint-Remi. Nella cattedrale diStrasburgo, dove l’esaltazione dell’istituto monarchicogià traspare nelle vetrate dedicate a re Salomone, lastraordinaria serie di imperatori che ornava un tempo lacattedrale romanica e che oggi, dopo molti rifacimentisubiti nel periodo gotico e nell’ottocento, si snoda nellefinestre della navata, ha le proprie origini nelle relazio-ni privilegiate tra la città alsaziana e l’impero, e una con-ferma di questi legami privilegiati viene dall’iscrizioneche si trovava su una delle vetrate, oggi perdute, dellachiesa alsaziana di Sélestat, forse rappresentante l’albe-

ro di Jesse, che ricordava come esse fossero state ordi-nate da Federico imperatore di ritorno dopo aver vintoi milanesi.

Particolarmente significativi per questo rapporto conil presente i temi relativi al conflitto tra regnum e sacer-dotium, quali il martirio di san Thomas Becket15, cheillumina l’opposizione della Chiesa al cattivo monarca,al tiranno, la storia di Costantino, primo imperatore

cristiano, e quella di san Remigio, che aveva battezzatoClodoveo facendo della nazione franca il baluardo dellaChiesa e del suo sovrano il buon re per eccellenza16. D’al-tro canto i temi relativi alla lotta contro gli infedeli17 –alla prima crociata, e proprio alla vigilia della seconda,l’abate Suger aveva consacrato una finestra, oggi distrut-ta ma conosciuta attraverso l’incisione che ne dà ilMontfaucon18 – illuminano la temperie del momento ele funzioni di propaganda che venivano attribuite alla

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vetrata. Un valore di attualità hanno inoltre le storie diCarlo Magno19, anch’esse intese come incitamento alla

crociata; o ancora le rappresentazioni dell’acquisizionedi reliquie particolarmente venerate, come è il caso perla cattedrale di Troyes, il cui vescovo, Garnier de Trai-nel, ne aveva riportate alcune importantissime dall’o-riente, dove era andato crociato; o ancora della Sain-te-Chapelle, costruita da san Luigi per ospitare appun-to le piú preziose reliquie della Passione di Cristo.

Frequentemente presenti, e con preciso carattere diattualità, sono d’altronde, accanto ai motivi antiereti-cali, quelli antisemiti, quali la leggenda del fanciullogettato nella fornace, tratta anch’essa dai miracoli dellaVergine20.

I temi sono dunque molto numerosi, benché non sidiversifichino particolarmente da quelli affrontati inaltre tecniche come la scultura, la pittura, la miniaturae anzi attingano largamente da queste; tuttavia, data laposizione privilegiata di cui per secoli godettero i pro-

dotti di questa tecnica, la loro disposizione nell’edificio,la loro ripartizione, la loro sequenza, la loro impagina-zione ebbero un’importanza del tutto particolare21. Masono esistiti dei soggetti trattati esclusivamente, o al-meno prevalentemente, in questa tecnica? E le vetratedi un edificio sono state, come le pitture e le sculture,coordinate secondo un programma prestabilito e gene-ralizzabile? E infine come è mutata nel tempo la loro

iconografia?

Vetrate tipologiche.

In un modo o in un altro, e sia pure in forme assaimeno elaborate di quelle delle vetrate dionisiane, il feno-meno dei richiami e dei rimandi, per cui un episodio oun personaggio rappresentato rinvia a un altro, perma-

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ne, perché risponde a un’essenziale struttura dell’orga-nizzazione del pensiero nel medioevo che si spinge anche

a livello popolare, come nei cicli del xiv secolo ispiratiallo Speculum Humanae Salvationis. Questo sistema pren-de una forma chiara nelle vetrate tipologiche, dove gliepisodi dell’Antico e del Nuovo Testamento sono diret-tamente messi in rapporto gli uni con gli altri. La cultu-ra teologica del xii secolo aveva sistemato le concordan-ze non solo tra Antico e Nuovo Testamento, e in Fran-cia ciò è enfatizzato dalla reazione all’eresia catara cherigettava in blocco l’Antico Testamento, ma anche coni fenomeni del mondo fisico attinti ai bestiari ispirati dal-l’antica tradizione del Physiologus, un testo molto diffu-so e assai conosciuto sulle virtù e i comportamenti deglianimali. A ogni animale venivano attribuite caratteristi-che particolari legate a significati simbolici: in questomodo era possibile mettere in rapporto leggendarie costu-manze di animali con episodi della storia sacra.

Un pannello di vetrata nel museo di Darmstadt pro-

veniente dalla Ritterstiftskirche di Wimpfen im Tal,con un leone che soffia su due piccoli, ce ne offre unesempio. Il suo pendant è perduto, ma doveva rappre-sentare la resurrezione di Cristo. Secondo il Physiologus,infatti, i piccoli del leone muoiono subito dopo la nasci-ta e vengono poi rianimati dal padre. Questa leggendadel mondo animale diviene cosí un corrispettivo tipolo-gico della Resurrezione, largamente utilizzato e presen-

te anche nella volta della cappella degli Scrovegni. D’al-tra parte la Resurrezione poteva essere anche evocata daun episodio dell’Antico Testamento come il miracolososalvataggio di Giona dalla balena; cosí in una finestradella cattedrale di Lione degli inizi del duecento laResurrezione si trova accompagnata da due scene egual-mente allusive: Giona e la balena e il leone con i suoipiccoli22. La vetrata della Redenzione situata nella fine-stra assiale del coro della cattedrale di Lione presenta,

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appunto, un programma molto significativo, in cui gliepisodi del Nuovo Testamento (dall’Annunciazione

all’Ascensione) sono accompagnati nei bordi da episodidell’Antico Testamento e da temi del Physiologus. EmileMâle ne ha trattato in un passaggio tra i piú affascinantidel suo classico testo sull’arte religiosa del xiii secolo inFrancia23, ravvisandone la fonte nello Speculum Ecclesiaedi Honorius Augustodunensis, una raccolta di sermoniper le principali feste dell’anno in cui i grandi avve-nimenti della vita del Signore sono accompagnati e com-mentati da episodi dell’Antico Testamento che li prefi-gurano e dalle descrizioni di comportamenti e abitudi-ni attribuite a certi animali, attinte dal Physiologus, cuisi riconosce un valore simbolico. Cosí l’unicorno che silascia catturare solo da una fanciulla è scelto ad accom-pagnare un episodio della vita della Vergine, mentre illeone che resuscita con l’alito i suoi figli è accostato allaResurrezione. Quanto all’Ascensione, essa è accom-pagnata da una parte dall’immagine dell’aquila e dei

suoi piccoli, e dall’altra da quella di un uccello indicatocon il nome di Kladrius, due figure che sono entrambeevocate nel sermone sull’Ascensione di Honorius. L’a-quila infatti prende i suoi piccoli sulle proprie ali stesee li trasporta in cielo, mentre l’uccello Charadrius (cor-rotto in Kladrius nella scritta della vetrata), posto pres-so un malato, permette di sapere se questi morirà o sisalverà. Nel caso che l’esito sia funesto, l’uccello disto-

glierà la testa dal malato; in caso contrario la volgeràverso di lui, ne assorbirà con il becco la malattia e siallontanerà nel cielo liberandolo dal pericolo della morte.

L’albero di Jesse e il trono di Salomone.

Una rappresentazione particolarmente cara all’ico-nografia medievale e che fornisce un’esemplificazione

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visiva della continuità tra Antico e Nuovo Testamentoè l’albero di Jesse24. All’origine sta il testo di Isaia (xi.

1-3): «E un ramo uscirà dal tronco di Jesse e dalla suaradice monterà un fiore e lo spirito del Signore poseràsu di lui»25. Su questo testo si fonda l’immagine delpatriarca addormentato dal cui fianco sorge un albero suicui rami sono rappresentati i diversi re di Giuda ante-nati di Cristo, Maria e il Cristo. Il tema, che associastrettamente il concetto di monarchia terrena con quel-lo di monarchia celeste sottolineando l’ascendenza ari-stocratica di Cristo, conosce nel xii e nel xiii secolo unarapidissima e straordinaria diffusione; non a caso è que-sto il soggetto di una vetrata donata dal re di FranciaFilippo Augusto per una finestra del coro della catte-drale di Soissons26. Verso il 1145 Suger, strettamentelegato alla dinastia regnante, vi dedica nell’abbazia realedi Saint-Denis la vetrata assiale del coro; questo temasarà immediatamente ripreso in una finestra della fac-ciata occidentale della cattedrale di Chartres e poi, con

impaginazioni talora molto differenti, in numerose altrevetrate in Francia, Germania e Inghilterra27. La suaeccezionale fortuna nel campo della vetrata deve esserevista anche in rapporto con il suo perfetto adattarsi allaforma e alle proporzioni della finestra, che, con il suoaccento verticale, offre una superficie e una inquadra-tura particolarmente adeguate.

Un caso analogo, ma che si presenta in un momento

successivo, è quello del trono di Salomone. Questo è cosídescritto nella Bibbia:

Il re fece pure un gran trono d’avorio che rivestí d’oropuro. Questo trono aveva sei gradini e una predella d’oroconnessa col trono; vi erano dei bracci da un lato e dall’al-tro del seggio, due leoni stavano presso i bracci e dodici leo-ni stavano sui sei gradini da una parte e dall’altra28.

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Nel suo commento alla Bibbia, Rabano Mauro dàuna spiegazione simbolica del passo: il trono non è

altri che la Chiesa, e piú tardi Nicholas de Clairvauxidentifica il trono con la Vergine medesima29. L’iden-tità cosí proposta è alla base di un tipo iconografico checombina e unisce i temi dell’Antico Testamento (Salo-mone) a quelli del Nuovo (la Vergine). Nella rappre-sentazione di questo tema, che si svilupperà par-ticolarmente nel xiii e nel xiv secolo, si trova general-mente Maria seduta su un trono a baldacchino dall’ar-chitettura assai complessa, che comprende, entro nic-chie laterali, tutta una serie di virtú e profeti, oltre,naturalmente, ai celebri leoni del testo biblico. Conparticolare frequenza troviamo illustrato questo tema,elaborato originariamente in ambiente parigino30, invetrate trecentesche, specialmente in Alsazia, doveesso troneggia in scultura sulla facciata della cattedra-le di Strasburgo, nella regione del lago di Costanza enel Baden, vale a dire in un’area dove la ricezione dei

modelli francesi è particolarmente forte e originale31.Esso conosce particolare favore proprio nel momentoi cui si sviluppa con forza nella vetrata il gusto per ladecorazione architettonica. Si tratta di un fortunatoincontro tra un’iconografia che esige un certo tipo ditrattamento formale e una tendenza stilistica che fa-vorisce e sviluppa proprio questo tipo di problematica.È da credere che senza questo incontro tra la tenden-

za alla rappresentazione pseudoarchitettonica nellavetrata, propria del momento 1250-1350, e l’interesseper il tema, squisitamente architettonico, del trono diSalomone non si sarebbe arrivati a una rappresenta-zione cosí frequente di questo motivo.

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Figurazioni leggendarie.

Per molti aspetti la vetrata a motivi architettonici, dicui il trono di Salomone è un caso particolare, è una raf-figurazione tipica e rappresentativa di un certo momen-to del gotico, come lo era stata in precedenza la vetra-ta «a tappeto», i cui medaglioni variamente combinati,entro i quali si trattano episodi leggendari, si dispongo-no su un fondo decorato. Vetrate di questo tipo si tro-vano sovente, già a partire dalla metà del xii secolo, nellefinestre basse delle navate minori e delle cappelle. Laloro posizione è facilmente spiegabile, dato che ledimensioni minori delle scene richiedono, per poter esse-re viste e comprese, una distanza ravvicinata da partedello spettatore.

La vetrata leggendaria32 è in genere consacrata allastoria di uno o piú santi, a episodi altotestamentari oevangelici, in particolare all’illustrazione delle parabole,o in certi casi a un tema tipologico33, in cui le concor-

danze tra Vecchio e Nuovo Testamento vengano messein luce. Una vetrata illustra numerosi episodi, taloraanche piú di una trentina, e questi prendono posto inmedaglioni di diversa forma organizzati in varie manie-re. Il problema del rapporto dei medaglioni tra loro econ il fondo ha aspetti piú specificamente formali. Quiinteressa seguire i dati piú propriamente iconografici, maè chiaro che il legame tra i due aspetti è molto forte. Tal-

volta la disposizione delle scene non pone problemi par-ticolari, poiché esse sono ordinate per semplice allinea-mento e sovrapposizione. In questo caso la lettura si fageneralmente dal basso verso l’alto e da sinistra versodestra (nelle estremità inferiori trovano posto le imma-gini dei o del donatore, e qui, nelle vetrate donate dagruppi di artigiani, si trovano le straordinarie illustra-zioni delle loro attività), ma in alcuni casi possono esse-re adottate soluzioni che richiedono una lettura bustro-

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fedica, in cui la direzione del racconto cambia e si inver-te di registro in registro (Chartres, vetrata di Giuseppe

ebreo e vetrata di Santa Margherita), oppure una lettu-ra che si svolge dall’alto verso il basso (Chartres, vetra-ta della Redenzione)34.

Il problema tuttavia si complica, in quanto, come siè visto, nella maggioranza delle vetrate della prima metàdel duecento i medaglioni non sono semplicemente postigli uni accanto agli altri, ma combinati in strutture oschemi complessi che riuniscono più elementi, il chepermette di privilegiare la scena posta al centro dellacomposizione quadriloba attribuendole una maggioreimportanza. Le finestre basse delle cattedrali di Char-tres e di Bourges offrono esempi celeberrimi di questotipo. I temi sono le parabole evangeliche, le leggendedegli apostoli, di santi universalmente venerati e celebri,o anche di santi locali legati alla storia della diocesi. Illegame tra le leggende rappresentate e i committenti èin certi casi evidente, perché vengono prescelti i patro-

ni dei donatori e dei singoli mestieri; talora è piú incer-to, e si deve supporre che vi sia stato un suggerimentodi intellettuali direttamente legati alla vita della chiesa:dal vescovo ai membri del capitolo, ai cancellieri dellascuola della cattedrale. Le fonti non sono le classicheraccolte di vite di santi come la Leggenda Aurea, perchéqueste sono in genere posteriori, ma testi liturgici, talo-ra locali, o anche enciclopedie.

Difficile è determinare se nella disposizione dei sog-getti si segua un programma unitario precisamente strut-turato, oppure se le vetrate siano state disposte unadopo l’altra senza tener conto di un programma d’in-sieme; questo dipende dalle circostanze in cui l’inve-triatura della chiesa ha avuto luogo e dalla presenza diun eventuale committente - organizzatore-programma-tore. In certi casi, come accade per gli affreschi, si devecredere che una vetrata sia stata donata come ex voto e

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non abbia quindi niente a che fare con un eventuale pro-gramma generale. Sembrerebbe questo il caso di una

vetrata della chiesa di Saint-Gengoult a Toul, dove sonoillustrate tre leggende dei santi Nicola, Agata e Agapi-to che non hanno tra loro alcun rapporto. Esse potrebbe-ro qui essere state accostate in relazione a tradizioni checollegano in un modo o nell’altro i tre santi alla prote-zione contro gli incendi, cosa che sembrerebbe ulte-riormente provata dalla presenza di due figurette didonatori raffigurati entro un edificio in fiamme35.

Programmi e programmatori.

Nei casi in cui un intero edificio sia dovuto all’in-tervento di un singolo donatore o organizzatore, comenel xii secolo Saint-Denis, nel xiii la Sainte-Chapelle diParigi, nel xiv Königsfelden36, un programma unitarioviene generalmente elaborato in accordo con le inten-

zioni del committente (il caso di Saint-Denis è un casolimite, l’abate Suger essendo nello stesso tempo com-mittente, organizzatore dei lavori e ideologo-program-matore); piú complesso, pieno di apparenti contrad-dizioni e di ripetizioni invece il caso delle grandi catte-drali dove religiosi, nobili, borghesi hanno moltiplicatole donazioni. Anche qui, peraltro, possono essere avver-tite le influenze di teologi e intellettuali, se per il com-

plesso messaggio teologico della vetrata della Crocifis-sione della cattedrale di Poitiers si è parlato di un’in-fluenza degli scritti di Gilbert de la Porrée, che erastato vescovo della città37; se per le vetrate di SanktPatroklus a Soest si sono sottolineati i rapporti con ilpensiero teologico di Ruprecht di Deutz38; e se per la cat-tedrale di Bourges si sono volute ritrovare le tracce diun programma organico, forse dovuto a san Guglielmodi Corbeil, arcivescovo della città dal 1199 al 1209.

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Qui, nelle finestre alte, profeti e apostoli, situati gli unisul lato settentrionale, dalla parte della notte, gli altri su

quello meridionale, dalla parte del giorno, si corrispon-dono strettamente in una serie di sapienti cor-rispondenze tematiche, che ritroviamo nelle complessevetrate teologiche del coro39; ma altrove non è cosí, e gliaccostamenti non sembrano seguire una logica precisa.In generale, del resto, è piú facile avvertire una unità euna continuità di disegno nella sistemazione delle partialte dei grandi edifici religiosi che in quella delle partibasse, dove la sequenza delle vetrate leggendarie poneregolarmente piú di un interrogativo sul loro significa-to e sulla loro coerenza, come nel caso della cattedraledi Chartres. Tuttavia anche qui, contro l’opinione, gene-ralmente accettata, dell’assenza di un preciso disegno,vi è stato chi ha voluto riconoscere l’esistenza di un pro-gramma molto preciso, che lega, nell’idea e nella pro-spettiva della Salute, temi e personaggi del Nuovo edell’Antico Testamento, nonché leggende di santi40.

Anche se non è certo che a Chartres sia esistito unprogetto organico, ed è anzi possibile che temi e soggettisiano stati, in piú di un’occasione, casualmente avvici-nati, gli accenti, le opzioni e le soluzioni adottate hannosicuramente risentito della situazione e del patrimonioculturale della città, e questo non solo nella scelta disanti locali, quali Lubin e Chéron, le cui vicende (par-ticolarmente arricchite di significati eucaristici nel caso

di san Leobinus, che era stato cellerarius, addetto allecantine) sono illustrate in due delle finestre basse, maanche nella scelta di particolari modi di rappresentazio-ne. È questo per esempio, a Chartres, il caso delle vetra-te della claire-voie che corre sotto la grande rosa diDreux, sulla facciata meridionale del transetto. Trovia-mo qui le figure degli apostoli arrampicate sulle spallegigantesche dei profeti: è un modo per legare intima-mente, nel piú autentico spirito tipologico, personaggi

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dell’Antico e del Nuovo Testamento; ma difficilmentepossiamo pensare che nella scelta di questa soluzione

cosí suggestiva non abbia pesato la tradizione di unacelebre frase di Bernardo, il gran cancelliere della scuo-la della cattedrale agli inizi del xii secolo, dove si parladei moderni come di «nani assisi sulle spalle dei gigan-ti», che proprio per questa loro posizione possono vede-re piú cose e piú lontano.

La rosa.

Particolarmente interessante è l’iconografia dellarosa, la finestra circolare che costituisce l’autenticopunto focale estetico delle facciate delle cattedrali goti-che. Tali aperture, la cui forma privilegiata evoca laruota e il sole, ebbero origini e significati simbolici assaicomplessi41, e ricevettero nell’architettura gotica unastupenda valorizzazione. Il loro interno è organizzato in

forma articolata: per lo piú da un circolo centrale sidipartono raggi in pietra uniti gli uni agli altri da archia sesto acuto, in modo tale che due raggi vengano aincorniciare e a delimitare una superficie conclusa. Altrielementi tipici del disegno gotico42, trilobi, quadrilobieccetera, intervengono ad arricchire le spartizioni in-terne di ciascuna luce. Lo spazio circolare viene cosídiviso in un certo numero di lancette, dodici e piú, a

disposizione stellare. Questa non è però che una dellesoluzioni adottate dagli architetti gotici; altre ne sonostate tentate, come nella rosa sud della cattedrale diLosanna dove il disegno è basato su una contrapposi-zione e compenetrazione di forme quadrate e circolari43.La superficie circolare, comunque organizzata e divisa,rimane profondamente unitaria e deve essere letta cometale. Un programma coerente è dunque alla base delprogramma delle rose delle grandi cattedrali. In linea di

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massima la ripartizione dei temi secondo i punti cardi-nali è analoga a quella che si ha per la scultura mo-

numentale:Il nord che è la regione del freddo e della notte è con-

sacrato di preferenza all’Antico Testamento, il mezzogior-no riscaldato dal sole e bagnato dalla piena luce è consacratoal Nuovo. D’altra parte la facciata occidentale è quasi sem-pre riservata alle rappresentazioni del Giudizio finale. Ilsole al tramonto rischiara questa grande scena dell’ultimasera del mondo.

In questo modo Emile Mâle44 ha mostrato il signifi-cato dei punti cardinali nell’organizzazione dei pro-grammi delle cattedrali e questa regola, seppur con molteeccezioni, è seguita anche per le rose. Al nord è fre-quentemente rappresentata la Vergine, tramite tra l’An-tico e il Nuovo Testamento, accompagnata da re epatriarchi dell’antica legge (Chartres, Notre-Dame di

Parigi, Reims); a sud il Cristo accompagnato da santi emartiri. Quanto alla rosa occidentale essa è frequente-mente dedicata al Giudizio finale (Chartres, Mantes,Sainte-Chapelle di Parigi). Tuttavia spesso una rosa (larosa meridionale a Losanna, quella settentrionale aLaon, quella occidentale a Notre-Dame di Parigi, quel-la orientale a Brie-Comte-Robert) è dedicata a un sog-getto enciclopedico-cosmologico, all’anno, alle stagioni,

ai lavori dei mesi, ai segni dello zodiaco, alle arti libe-rali, agli elementi, ai fiumi del paradiso. Soggetti giàtrattati nei mosaici pavimentali dell’Italia settentriona-le (ad Aosta per esempio), e che ritrovano un nuovosignificato nel fatto di decorare un’apertura circolare, larosa, che con la sua forma simbolizza appunto il cosmos.È probabile, come ha proposto Ellen Beer, che la cre-scente importanza che la rosa assume nell’architetturagotica, e che apparentemente contrasta con la sua forma

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eminentemente non gotica, sia dovuta proprio al fattoche essa proponeva una cornice ideale per l’organizza-

zione di complessi programmi iconografici a carattereenciclopedico.

1 Vitrearum etiam novarum praeclaram varietatem, ab ea primaquae incipita Stirps Jesse in capitu ecclesiae usque ad eam quae supe-rest principali portae in introitu ecclesiae, tam superius quam inferiusmagîstrorurn multorum de diversis nationibus manu exquisita depingifecimus. Una quarum de materialibus ad immaterialia excitans, Pau-lum apostolum molam vertere, prophetas saccos ad molam apportarerepraesentat. Sunt itaque eius materiae versus isti: «Tollis agendomolam de furfure, Paule, farinam. | Mosaicae legis intima nota facis. |Fit de tot granis verus sine furfure panis, | Perpetuusque cibus nosteret angelicus.» Item in eadem, vitrea, ubi aufertur velamen de facieMoysi: «Quod Moyses velat, Christi doctrina revelat. | Denudantlegem qui spoliant Moysen.» In eadem vitrea, super arcam foederis:«Foederis ex arca Christi cruce sistitur ara; Foedere majori vult ibi vitamori.» Item in eadem, ubi solvunt librum leo et agnus: «Qui Deus estmagnus, librum Leo solvit et Agnus. | Agnus sive Leo fit caro juncta

Deo.» In alia vitrea, ubi filia Pharaonis invenit Moysen in fiscella: «Estin fiscella Moyses Puer ille, puella | Regia mente pia quem. fovet Eccle-sia.» In eadem vitrea, ubi Moysi Dominus apparuit in igne rubi: «Sicutconspicitur rubus hic ardere, nec ardet, | Sic divo plenus hoc ardet abigne, nec ardet.» Item in eadem vitrea, ubi Pharao cum equitatu suoin mare demergitur: «Quod baptisma bonis, hoc militiae Pharaonis |Forma facit similis, causaque dissimilis.» Item in eadem, ubi Moysesexaltat serpentem aeneum: «Sicut serpentes serpens necat aeneusomnes, | Sic exaltatus hostes necat in cruce Christus.» In eadem vitrea,ubi Moyses accipit legem in monte: «Lege data Moysi, juvat illam gra-

tia Christi. | Gratia vivificat, littera mortificat.».2 sugerii, De administratione, in e. panofsky, Abbot Suger on the Abbey Church of St-Denis and Its Art Treasures, Princeton 19792, cap.xxxiv, pp. 72 sgg.

3 l. grodecki, Les vitraux de Saint-Denis, vol. I, Paris 1976;  j.hayward, Stained Glass at Saint-Denis, in Abbot Suger and Saint-Denis. A Symposium, a cura di P. L. Gerson, New York 1986, pp. 84-98; m.harrison caviness, Suger’s Stained Glass at Saint-Denis: The State of Research, in Abbot Suger and Saint-Denis cit., pp. 257-72.

4 g. a. zinn jr, Suger, Theology and the Pseudo-Dionysian Tradition,

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in  Abbot Suger and Saint-Denis cit., pp. 33-40; c. rudolph,  ArtisticChange at St-Denis. Abbot Sugers Program and the Early Twelfth-CenturyControversy on Art , Princeton 1990.

5 m. camille, Seeing and Reading . Some Visual Implications of Medie-val Literacy and Illiteracy, in «Art History», viii (1985), pp. 26-49; l.c. duggan, Was Art Really the «Book of the Illiterate»?, in «Word andImage», v (1989), pp. 227-51; c. m. chazelle, Pictures, Books and theIlliterate. Pope Gregory I’s letters to Serenus of Marseille, in «Word andImage», vi (1990), pp. 138-53.

6 m. w. cothren, The Infancy of Christ Window from the Abbey of St-Denis: A Reconsideration of Its Design and Iconography, in «Art Bul-letin», lxviii (1986), pp. 398-419.

7 e. mâle, La peinture sur verre en France, in a. michel, Histoire de

l’Art , Paris 1905, vol. I, parte ii, pp. 786-92; id., Lepart de Suger dansla création de l’iconographie du Moyen-Age, in «Revue de l’Art Ancienet Moderne», 35, 1914, poi in L’art religieux du XII 

e  siècle en France.Etudes sur les origines de l’iconographie du Moyen-Age. Diverse da quel-le di Mâle le opinioni di w. r. lethaby, The Part of Suger in the Crea-tion of Medieval Iconography, in «Burlington Magazine», xxv(1914-15), pp. 2o6-7; harrison caviness, Suger’s Stained Glass cit., p.267 e nota 75.

8 eudes de chateauroux, Sermo 4, in j. b. pitra, Analecta novis- sima spicilegii Solesmensis altera continuatio, Paris 1888, vol. II, pp. 273

sgg. Citato in w. kemp, Sermo Corporeus, München 1987, p. 96. Sulloscritto di san Bernardo cfr. c. rudolph, The Things of Greater Impor-tance, Philadelphia 1990.

9 j.-p. migne, Patrologia Latina, vol. 172, col. 586; b. j. sauer, Sym-bolik des Kirchengebäudes und seiner Ausstattung in der Auffassung des Mittelalters, Freiburg 1902, pp. 12 sgg.

10 Sul significato delle figure dei patriarchi, per esempio della riccaserie di Canterbury legata all’esaltazione dei primi tempi biblici, ante-riori all’instaurazione del potere monarchico, cfr. m. harrison cavi-ness, The Early Stained Glass of Canterbury Cathedral , London 1977, p.108; c. manhes-deremble, Les vitraux narratifs de la cathédrale de Char-tres, Paris 1993, p. 240.

11 m. cothren, The Iconography of Theophilus Windows in First Half of the Thirteenth Century, in «Speculum», lix (1984), pp. 308-41.

12 e. mâle, L’art religieux du XIII e  siècle en France, Paris 1958, p. 263.

13 h. reinhardt, La cathédrale de Reims, Paris 1963, pp. 181-94.14 Ibid .15 c. brisac, Thomas Becket dans le vitrail français au début du XIII 

 siècle, in Atti del Colloquio Thomas Becket , Paris 1975, pp. 221-30.16 manhes-deremble, Les vitraux narratifs cit.17 f. perrot, Le Vitrail, la Croisade et la Champagne: réflexions sur 

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les fenêtres hautes du chœur de la cathédrale de Chartres,in y. bellengere d. quéruel, Les Champenois et la Croisade, Paris 1989, pp. 109-28.

18 bernard de montfaucon, Les Monumens de la Monarchie françoi-

 se, Paris 1730, vol. II.19 c. robertson haines, The Charle Magne Window at Chartres

Cathedral: New Considerations on Text and Image, in «Speculum», lii(1977), pp. 810-22; i. rolland, Le mythe carolingien et l’art du vitrail:  sur le choix et l’ordre des épisodes dans le vitrail de Charlemagne à la cathé-drale de Chartres, in Mélanges René Louis, Paris 1982, pp. 255-78.

20 m. parsons lillich, Gothic Glaziers: monks, Jews, taxpayers, Bre-tons, women, in «Journal of Glass Studies», xxviii (1985), pp. 72-92;e. i. carson pastan, Tam hereticos quam Judeos. Shifting Symbols in theGlazing of Troyes Cathedral , in «Word and Image», x (1994), pp.

66-83.21 v. raguin, The Visual Designer in the Middle Ages: The Case for Stained Glass, in «Journal of Glass Studies», xxviii (1986), pp. 31-32.

22 j. l. fischer, Handbuch der Glasmalerei, Leipzig 1914, pp. 232 sgg.23 mâle, L’art religieux du XIII 

e  siècle cit. Una prima analisi di que-sta vetrata è in c. cahier e a. martin, Monographie de la Cathédrale deBourges, Paris 1841-44.

24 a. watson, The Early Iconography of the Tree of Jesse, London1934;  j. r. johnson, The Tree of Jesse Window of Chartres. LaudesRegiae, in «Speculum», xxxvi (1961), pp. 1-22; manhes-deremble, Les

vitraux narratifs cit., pp. 239-48.25 Et egredietur virga de radice Iesse, et flos de radice eius ascen-det, et requiescet super eum spiritus Domini.

26 l. grodecki, Un vitrail démembré de la cathédrale de Soissons, in«Gazette des Beaux-Arts», VI serie, xlii (1953), pp. 169-76; j. ancien,Vitraux de la cathédrale de Soissons, Reims 1980.

27 m. harrison caviness e v. chieffo raguin,  Another Dispersed Window from Soissons. A Tree of Jesse in the Sainte-Chapelle Style, in«Gesta», xx (1981), pp. 191-98; m. harrison caviness, The Canter-bury Jesse Window, in J. Hoffeld (a cura di), The Year 1200. A Sym- posium, New York 1975, pp. 374-76.

28 i. Re, x. 18-20.29 f. wormald, The Throne of Solomon and St Edwards Chair , in De

 Artibus Opuscula XL. Essays in Honor of Envin Panofsky, New York1961, pp. 532 sgg. Sulla letteratura sul trono di Salomone cfr. il com-mento di e. j. beer alla edizione in facsimile del Graduale di St . Katha-rinenthal , Luzern 1983, pp. 163-66. Si veda anche v. beyer, SedesSapientiae et vierge au trone de Salomon en Alsace, in«Pays d’Alsace»,147-148, 1989, pp.15-20; r. becksmann, in Deutsche Glasmalerei des Mittelalters. Bildprogramme, Auftraggeber, Werkstätten, Berlin 1992, pp.62-65.

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30 r. becksmann, Le Vitrail et l’Architecture, in R. Recht (a cura di),Les Bâtisseurs de Cathédrales Gothiques, Strasbourg 1989, pp. 463-64,mette in luce l’esecuzione a Parigi di modelli destinati a conventi dellaGermania meridionale.

31 r. becksmann, Die architektonische Rahmung des hochgotischenBildfenster , Berlin 1967; h. wentzel, Un projet de vitrail au XIV 

e  siècle,in «Revue de l’Art», 10, 1970, pp. 10-14.

32 w. kemp, Sermo Corporeus. Die Erzählung der mittelalterlichen Gla- sfenster , München 1987; j.-p. deremble e c. manhes, Les vitraux légen-daires de Chartres, Paris 1988; manhes-deremble, Les Vitraux narratifs cit.

33 kemp, Sermo Corporeus cit., pp. 56-116.34 deremble e manhes, Les vitraux légendaires cit., pp. 62-64.35 m. parsons lillich, The Ex-Voto Window at Saint-Gengoult,

Toul , in «Art Bulletin», lxx (1988), pp. 123-33.36 e. frodl-kraft, Die Glasmalerei, Wien 1970, p. 114.37 r. grinnell, Iconography and Philosophy in the Crucifixion Win-

dow at Poitiers, in «Art Bulletin», xxviii (1946), pp. 171-96.38 u. d. korn, Die romanische Farbverglasung von Sankt Patrokli in

Soest , Münster 1967.39 l. grodecki, A Stained-Glass Atelier of the Thirteenth Century, in

«Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», xi (1948), pp.87-111.

40 p. popesco, La Cathédrale de Chartres, Paris 1970, ma particolar-

mente manhes-deremble, Les vitraux narratifs cit.41 h. j. dow, The Rose-Window, in «Journal of the Warburg andCourtauld Institutes», xxi (1958), pp. 248 sgg.; p. cowen, Rose Win-dows, London 1979; f. kobler, Fensterrose in Reallexikon zur deutschenKunstgeschichte, München 1982, vol. VIII, pp. 65-203.

42 g. binding, Masswerk, Darmstadt 1989.43 e. j. beer, Nouvelles réflexions sur l’image du monde dans la cathé-

drale de Lausanne, in «La Revue de l’Art», x (1970), pp. 57 sgg.44 mâle, L’art religieux du XIII 

e  siècle cit., pp. 5 sgg.

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Capitolo quinto

Problemi formali

Una vetrata non è solo una pittura su vetro, è ancheuna pittura fatta con il vetro, destinata a essere monta-ta in un luogo determinato, entro una finestra. Il suoaspetto è la risposta a molti obblighi, a molti condizio-namenti ed è il risultato di molte scelte. Sarà bene evi-tare di considerarla alla stregua di una pittura come lealtre, realizzata in una tecnica un po’ particolare; hainfatti regole, obblighi e potenzialità molto specifiche.La sua forma, le sue dimensioni saranno dettate da quel-

le della finestra, che a sua volta essa potrà influenzare.La sua composizione, come la sua impaginazione, l’arti-colazione della sua superficie, il ruolo e l’economia dellesue varie componenti pongono questioni diverse da quel-le che possono riguardare una pittura murale, una tavo-la, il foglio illustrato di un manoscritto.

Quali siano stati i problemi che si è posto il maestrovetrario, e con lui, quando non si sia trattato della mede-

sima persona, il pittore nell’impaginare la vetrata, comeabbia definito il bordo che la incornicia e che svolge unruolo importante, gli sfondi contro cui si stagliano le fi-gure o le singole scene, come abbia strutturato la nar-razione disponendo i medaglioni, come abbia scelto icolori, privilegiandone alcuni, avvicinandoli e dosando-li secondo certi criteri, come abbia operato per daremaggiore evidenza alle figure e alle scene che intende-va rappresentare, sono per noi altrettante domande. A

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giudicare da quanto conosciamo, si direbbe che fin dal-l’inizio della storia delle vetrate sia esistita una doppia

tipologia che rispecchiava la disposizione delle finestre:vetrate a piú scene, incorniciate da medaglioni, per lefinestre basse; vetrate con singole grandi figure, inqua-drate, a partire da un certo momento, da una sorta disommario e simbolico baldacchino con schematici tim-pani e torricelle per le finestre della zona alta delle pare-ti, il cosiddetto clerestory o claire-voie1. Quali sarannostate le scelte cromatiche e compositive del maestrovetrario di fronte alle vetrate situate nella parte bassadelle pareti che dovevano esser viste da vicino, rispettoa quelle delle finestre alte che, per contro, dovevanoessere viste da lontano?2

I colori.

Il colore è uno degli elementi fondamentali di una

vetrata: aereo, smaterializzato, accende lo spazio dellachiesa3. I colori hanno una storia e in qualche modo unageografia4. Determinate predilezioni si manifestano apartire da un certo tempo e in certi luoghi. La gammadi una vetrata romanica tedesca con i suoi gialli e i suoiverdi squillanti è molto diversa da quella di una con-temporanea vetrata francese. A parte certe scelte difondo, alla base della selezione di un colore stanno

essenzialmente due motivazioni: da una parte il suocomportamento rispetto alla luce incidente nonché aglialtri colori che dovevano essergli posti accanto, dall’al-tra i suoi possibili significati simbolici5, o quanto menole regole, le convenzioni, le abitudini che una lunga tra-dizione aveva consacrato.

Vi sono colori che lasciano filtrare la luce o che laassorbono in quantità maggiore o minore, ve ne sono chehanno maggiore o minore capacità di irradiazione nelle

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zone contigue6. La variabilità della intensità luminosapuò d’altra parte produrre effetti diversi di profondità.

All’origine di certi accostamenti e di certe scelte stadunque la conoscenza del comportamento dei diversivetri rispetto alla luce. D’altra parte il fatto che a uncolore venisse attribuito un significato particolare e fissopuò aver avuto la sua importanza nella scelta. Si aggiun-ga che questi due elementi non sono determinati unavolta per tutte, fuori dal tempo, ma che conoscono evo-luzioni e modificazioni profonde. Da un lato il valoresimbolico del colore potrà avere maggiore o minoreimportanza, comportare obblighi maggiori o minori, dal-l’altro i maestri vetrari sapranno avvalersi delle caratte-ristiche dei diversi vetri per ottenere risultati di volta involta diversi.

La gamma cromatica conoscerà cosí modificazioniprofonde, a seconda degli effetti ricercati7: si incupiràparallelamente al progressivo ampliarsi delle finestre,tornerà verso valori fondamentalmente piú chiari in

seguito e, con l’introduzione del vetro incolore controcui si stagliano le figure vivacemente colorate, mostreràl’affermarsi di una nuova concezione della parete vitrea.Louis Grodecki in un celebre saggio8 indicò le ragioni delmutamento avvenuto dopo il 125o negli effetti ricerca-ti e sottili dell’architettura rayonnante, che potevanoessere percepiti e apprezzati solo in buone condizioni diilluminazione. Su questo punto la tesi di Grodecki

venne contraddetta dalle osservazioni di John Gage

9

, chevide nello schiarirsi della gamma cromatica non tantoun’intenzione estetica, quanto il riflesso di una nuovaconcezione della luce e della luminosità che si era mani-festata nella filosofia del xiii secolo, come appare dalLiber de Mineralibus di Alberto Magno o nel Liber denatura rerum, trattazione enciclopedica di Thomas deCantimpré. La preminenza data nei loro scritti al rubi-no, pietra solare e splendente, rispetto allo zaffiro, caro

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a Suger di Saint-Denis che aveva esaltato la saphirorummateria evocata dagli azzurri intensi delle vetrate del xiii

e dell’inizio del xiii secolo, andrebbe appunto in questadirezione.

I precetti di Antonio da Pisa.

Precise istruzioni sull’uso dei vetri colorati potevanoessere amministrate da trattati didattici. La Memmoriadel magisterio de fare fenestre de vetro, un libretto diAntonio da Pisa scritto sul finire del trecento, si sof-ferma in piú di un punto sui problemi cromatici, sia chesi tratti di fissare regole per l’inquadramento architet-tonico di un personaggio, sia per suggerire come megliomettere in evidenza le vesti, o ancora per precisare imodi del contrasto cromatico tra fondo e figura10:

In prima si voi fare uno tabernaculo:

Fa’ sempre la base e capitelli de vetro çallo e le colon-nelle de vetro bianco o de vetro incarnato e i casamenti devetro biancho in similetudine de marmo et in similitudenede lengname, mictili sempre vetro çallo del piú chiaro chepuoi avere et in scanbio de pietra cotta, micti sempre vetrorosso, cioè uno coloraccio chiaro.

Et si figura grande volessi fare:Nota che si tu fai la veste de la figura verde, fa’ lo suo

mantello de vetro rosso o de colore de laccha e lo riversodel mantello, de vetro biancho o de çallo.Se tu volessi fare istorie:Et tu le vestissi, una de biffo et una de rosso o de lac-

cha fa’ sempre nel meço de questi colori una vestita de bian-cho o de çallo perchè si mecterai infra rosso o verde o lac-cha o bifo, sempre nel meço una figura çalla o biancha, tifarà relevare l’altre figure per ragione naturale.

Li campi:

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Nota che li campi de le figure volgliono essere semprede açurro e quando el mantello o la vestimenta fosse d’açur-

ro, el campo fa’rosso.Figura de çallo o bianco:Si tu vestissi una figura de çallo o biancho, fa li riversi

della veste, di rosso o de bifo o de verde o d’açurro, salvonon vi serà da lato del campo.

D’altra parte Antonio da Pisa affronta anche il pro-blema delle tradizioni seguite nell’attribuire un colorealle vesti dei santi e cosí ne scrive:

Figure d’apostoli o altri sancti:Si figure d’apostoli o d’altri sancti volissi fare e non

avessi bene in memmoria de che deverli vestire, vattene ale chiese e guarda a quelle che sono dipente per li dipentu-ri e de che colori l’anno vestiti le sue figure e cosí tu fa’ si-milemente. Nota che sempre sancto Pietro veste di mantelloçallo e la gonella vuole essere de açurro e li reversi de rosso

e verde o bifo11

.

Vetrate leggendarie e modi della narrazione.

Al di fuori delle scelte cromatiche la composizione diuna vetrata pone altri problemi: se dei rapporti tra vetra-te e architetture, e in particolare tra finestre e pareti etra vetrate e finestre nel sistema costruttivo gotico si ègià parlato nel primo capitolo, rimangono quelli di tipocompositivo, che riguardano l’organizzazione e la dispo-sizione delle scene figurate, la spartizione della superfi-cie vitrea e i rapporti tra scene e fondo, il ruolo dei varielementi che compongono la vetrata – dalle scene alleinquadrature e ai tipi di compassi che le contengono:circolari, mistilinei, quadrati –, il tipo e l’importanza deldisegno del bordo esterno.

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La tipologia della vetrata leggendaria con diversescene offre una ricca serie di problemi che vanno dalla

forma dei medaglioni alla loro disposizione all’internodella finestra, alle dimensioni e alla funzione del bordo.La vetrata leggendaria francese del xii secolo presentaper lo piú una sovrapposizione di scene contenute entromedaglioni generalmente tondi, talora, come nella vetra-ta dell’infanzia di Cristo di Chartres, alternativamentequadrati e tondi, oppure ottagonali o ellittici (Le Mans, Apparizione di san Paolo a sant’Ambrogio). I medaglionisono incorniciati da un bordo decorato a perle, a pal-mette, a fogliami stilizzati, comprendente, in certi casi,anche delle iscrizioni. Un’ampia fascia con motivi ana-loghi, che include talora grifoni o altri animali favolosiattinti al repertorio delle stoffe orientali, incornicia l’in-tera finestra. Lo spazio tra i medaglioni è spesso orna-to con motivi geometrici, fogliami o palmette analoghia quelli dei bordi. In certi casi il fondo stesso del meda-glione su cui si stagliano le figure è ornato preziosamente

con racemi o altri elementi decorativi. È il caso peresempio della splendida vetrata dell’Ascensione diChamps-près-Froges (Isère) o delle vetrate di Gherlacus,oggi a Münster, in Westfalia.

Nel corso del xii secolo il semplice alternarsi deimedaglioni venne modificato dall’intervento di schemipiú complessi, già presenti, del resto, in pieno xii seco-lo nella Crocifissione di Châlons-sur-Marne o nella parte

inferiore della grande vetrata della Crocifissione nellacattedrale di Poitiers. Questi schemi sono determinatie sottolineati dalle armature in ferro, il cui ruolo neldisegno complessivo della vetrata e le cui forme si modi-ficano sensibilmente in questo periodo, portando alraggruppamento di vari medaglioni o di parti di essi inuna composizione accentrata, sovente a quattro lobi.Invece di comprendere una sola scena, il nuovo meda-glione, che risulta dalla fusione e dalla intersecazione di

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diversi elementi, giunge a inquadrarne quattro o cinque,e ciò conduce a una spartizione assai diversa della super-

ficie della vetrata. Piuttosto che in una scansione innumerosi registri, la composizione, e quindi la nar-razione, si organizzano in Francia attorno a tre o quat-tro grandi elementi sovrapposti, secondo un modelloche non sarà seguito in Germania.

Contemporaneamente a questa tendenza, che tendea raggruppare le scene in grandi elementi unitari il cuinucleo si situa al centro della vetrata e lontano dai bordi,ne esiste un’altra, a essa non avversa ma piuttosto com-plementare, non concentrica ma centrifuga, che com-porta una sorta di proiezione dei medaglioni verso ibordi. A Chartres si trovano numerosi esempi delle duetendenze, sia dei medaglioni raggruppati attorno a unnucleo centrale (vetrata del Buon Samaritano, vetratadelle storie della Vergine, vetrata delle storie degli Apo-stoli, vetrata dei santi Antonio e Paolo, di san GiacomoMaggiore eccetera), sia dei medaglioni organizzati in

modo centrifugo con una importante proiezione versol’esterno (vetrata di Carlo Magno, vetrata di santo Ste-fano). Piú che di tendenze diverse si dovrebbe parlaredi soluzioni diverse ottenute nello stesso modo, con l’in-tersecazione e la rotazione, la dimidiazione e la molti-plicazione di circoli e di quadrati. Da questa evoluzio-ne nella spartizione della superficie derivano importan-ti conseguenze per l’aspetto complessivo della vetrata,

che prende ad assomigliare a una sorta di tessuto mar-cato e scandito da medaglioni variamente disposti (perquesto è stata chiamata vetrata-tappeto) e che mostrad’altra parte una complessa struttura narrativa che hapermesso di paragonarla ai jeux e ai fabliaux12.

Lo svolgersi degli avvenimenti nelle vetrate leggen-darie segue vie complesse e diversificate: a ordinate suc-cessioni dal basso verso l’alto, da sinistra verso destra,si alternano improvvise inversioni che cambiano il per-

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corso della lettura, mentre la gerarchizzazione dellescene, ottenuta attraverso la centralità e quindi l’evi-

denza che assumono alcune di esse, attorno a cui o inrapporto a cui si dispongono le altre, impone un ordineal racconto. I modi e i ritmi della narrazione sono statiin tempi recenti oggetto di una particolare attenzione13

suscitata dal crescente interesse per la narratologia, perl’intertestualità, per il linguaggio delle immagini, per leforme e i modi della lettura, per i rapporti tra testi e let-tori, ma anche in passato avevano dato lo spunto a inda-gini approfondite da parte di August Schmarsow e dellasua scuola14.

Gli sfondi e le scene.

Contemporaneamente al raggruppamento delle scenee al conseguente nuovo rapporto tra fondo e medaglio-ni, il fondo stesso cambia aspetto secondo schemi e

modelli diversi. Talora una fitta quadrettatura lo fasomigliare a una grata o a un mosaico, talaltra l’impie-go di minuti elementi curvilinei produce l’impressionedi una sovrapposizione di scaglie o tegole multicolori,come negli smalti. Gli elementi-base impiegati nei fondipossono essere anche circoli, rombi, quadrilobi e moltealtre forme elementari che spartiscono la superficie insingole e minute unità ripetute e sovrapposte, talvolta

alternate. Siano essi circoli, quadrati, semicerchi, rombio altro ancora, essi sono generalmente di colore rosso oblu delimitati da una incorniciatura, rossa quando ilfondo è blu e viceversa, e dipinti al loro interno conmotivi di fiori o di fogliami. Le intersezioni di due cor-nici sono spesso sottolineate da un punto, da una perli-na o da un minuscolo quadrilobo giallo o bianco. In certicasi, come nella vetrata delle storie di santo Stefano aChartres, a questo fondo quadrettato si sovrappongono,

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in luoghi determinati, dei circoli piú grandi, inquadratida un sottile listello bianco e decorati all’interno da uno

straordinario motivo a girandola a spicchi alternati rossie blu. L’alternanza del rosso e del blu, stabilita già dalcontrasto tra il listello di contorno e l’area interna, puòripetersi all’interno dei singoli elementi; in molti casi isingoli elementi del mosaico saranno alternativamenterossi e blu. Sono questi i due colori fondamentali dellavetrata francese della prima metà del duecento.

Il dispiegarsi e l’alternarsi di questi due colori sulfondo spartito geometricamente della vetrata provocanello spettatore singolari effetti percettivi di retroces-sione o di avanzamento, resi piú complessi dall’uso dellagrisaille che, incupendo o rischiarando le superfici, svol-ge un ruolo non indifferente nel suscitare un’illusionespaziale. Non sempre il fondo della vetrata è quadret-tato o comunque diviso in singoli elementi geometrici.Talora motivi vegetali, rami stilizzati con foglie o fiorisi stagliano sulla superficie unita del fondo (Chartres,

vetrata della morte di Maria, vetrata di san Martino),tuttavia la spartizione geometrica rimane per moltotempo la piú usata.

 Mutamenti di impaginazione.

Accanto a questa spartizione del fondo e al comples-

so mutarsi della forma dei compassi entro cui prendonoposto le scene, altri importanti cambiamenti hannoluogo nei margini. Innanzi tutto i bordi dei medaglioninon vengono piú ornati tanto riccamente come avveni-va nelle vetrate del xii secolo; la zona dell’incorniciatu-ra si semplifica e si riduce. Mutamenti di rilievo hannoluogo anche nelle dimensioni e nel disegno del bordoesterno: anch’esso si riduce e riceve in certi casi unornamento naturalistico, un virgulto d’albero che si

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arrampica attorcendosi a un listello lungo il bordo pertutta la sua altezza (Chartres, vetrata di san Giovanni

Evangelista; Orbais, vetrata della Passione)15

, mentre inGermania sopravvivono per lungo tempo gli ampi bordiromanici a foglie di acanto.

Questo doppio processo di organizzazione delle sceneentro schemi geometrici complessi da un lato, e di muta-mento nell’aspetto e nella funzione del bordo dall’altro,differenzia profondamente il carattere della vetrata delxiii secolo rispetto a quelle del periodo precedente. Ilmutamento stilistico non è solo avvertibile nella rap-presentazione dei singoli personaggi o nella composi-zione delle scene, esso investe l’intero organismo dellavetrata e del suo disegno.

Altri mutamenti si produrranno in seguito, sia allivello della composizione, sia a quello della gamma cro-matica. Il disegno ricco e complesso del medaglionecomposito comprendente piú scene sarà abbandonato aprofitto di schemi più semplici, adottati perché meglio

rispondenti allo sviluppo verticale delle finestre. Rispet-to alla estrema varietà di soluzioni offerte dalle vetratedi Chartres e di Bourges, gli schemi compositivi adot-tati alla Sainte-Chapelle di Parigi possono sembraremonotoni, ma rispondono pienamente alle superficistrette e allungate delle luci. A partire dalla secondametà del secolo si impone una nuova soluzione che avràuna immediata ricezione internazionale: la vetrata a

inquadramento architettonico

16

.Frattanto la gamma cromatica aveva subito anch’es-sa numerose modificazioni. Se per un certo tempo ilcostante ampliarsi della superficie invetriata andò dipari passo con l’incupirsi della gamma cromatica deivetri, di modo che la quantità di luce degli interni rima-se pressoché costante17, a partire da un certo momentoessa ridiventa chiara grazie a un impiego sempre cre-scente di vetri bianchi, appena ravvivati da sottili listel-

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li colorati che compongono motivi geometrici e da ramie foglie tenuemente dipinti a grisaille.

La vetrata chiara, fatta di vetro incolore dipinto a gri-saille, che avrà un ruolo importante nel trecento, ha die-tro di sé una lunga storia. Una delle sue radici è statacertamente, già nel xii secolo, la vetrata cistercense, perla quale norme precise dettate da una ricercata austerità,in cui l’atteggiamento ascetico di san Bernardo avevaavuto una gran parte, proibivano l’uso di vivaci colori ela rappresentazione di scene o personaggi, ma il suo usofu diffuso più generalmente per permettere attraversodelle localizzazioni studiate una maggiore luminosità delcoro o delle singole cappelle. Cosí Suger di Saint-Denisaveva sperimentato nella sua chiesa abbaziale una seriedi vetrate a grisaille ornate di grifoni, e successivamen-te l’uso di vetrate dove il vetro chiaro aveva una parteimportante si trova in molte chiese, da Angers a Lione,a Poitiers, a Reims, a Auxerre, a Chartres, a Bourges18.

Alla finestra-tappeto, dove i medaglioni con le scene

si dispongono su un fondo intensamente e variamentecolorato, si sostituisce una combinazione di vetri colo-rati e vetri incolori. Analogamente alle tendenze che pre-valgono nella plastica e nella miniatura, conosce unagrande fortuna la finestra-baldacchino, dove singolefigure o scene incorniciate da elaborate architetture sistagliano contro un fondo bianco. Se questo schema disviluppo può funzionare, con qualche eccezione, per la

Francia, esso non può venire applicato senza modifica-zioni al mondo germanico, dove la vetrata-tappeto, tipi-ca del duecento francese, non conosce una analoga for-tuna. Piú di quelli francesi gli atelier tedeschi restano fe-deli ad alcune formule elaborate nel corso del xii seco-lo – grandi bordi riccamente lavorati, fondo delle sceneornato – e manifesta chiaramente la sua ritrosia ad accet-tare il disegno complesso del medaglione a piú scene.Nel grande ciclo di Sankt Kunibert a Colonia (1215-30

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circa) la vetrata leggendaria francese conosce una tra-duzione semplificata. Le scene prendono posto entro

compassi mistilinei semplicemente sovrapposti che occu-pano l’intera larghezza della superficie compresa entroi due larghi bordi; i maestri vetrari tedeschi danno lapreferenza a una incorniciatura mistilinea infinitamen-te meno complessa di quelle prevalenti in Francia e con-sistente essenzialmente in una alternanza di angoli ottu-si o retti, di semicerchi e di frammenti di circoli. Ilfondo della vetrata, pur accettando largamente elemen-ti di origine francese, concede ancora largo spazio afogliami e fiori di discendenza romanica, anche se talo-ra trattati in modo nuovo e naturalistico. La particola-re tendenza conservatrice della vetrata tedesca non simanifesta solo nei panneggi a pieghe dure e angoloseprofondamente cariche d’ombra, o nella espressionedrammatica e patetica dei volti, ma anche nella fedeltàa elementi di un repertorio antico: la perla, la palmetta,la foglia d’acanto, il fondo a racemi bianchi tracciati con

il manico del pennello secondo la lezione di Theophilus.Verso la fine del xiii secolo tuttavia la distanza tra le duearee artistiche andrà attenuandosi.

Frattanto, alla fine del duecento e agli inizi del tre-cento, la nascente vetrata italiana sarà molto piú sensibi-le agli schemi e alle soluzioni formali della vetrata tede-sca che a quelli della vetrata francese, dimostrando cosíuna riserva all’accettazione totale del disegno gotico e una

netta propensione verso forme piú moderate e meno inno-vatrici. Ne è tra l’altro testimonianza la generale adozio-ne dei compassi mistilinei ispirati a modelli tedeschi chesi ritrovano nella vetrata di Duccio alla cattedrale diSiena, in molte vetrate di San Francesco di Assisi e inaltre in Santa Croce a Firenze19. Anche nelle soluzionidate ai problemi apparentemente semplici della impagi-nazione si possono seguire cosí in modo esemplare le ten-denze profonde e le opzioni di una cultura formale.

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1 m. parsons lillich, The Band Window. A Theory of Origin and Development , in «Gesta», ix (1970).

2 v. raguin, The Visual Designer in the Middle Ages: The Casefor Stai-

ned Glass, in «Journal of Glass Studies», xxviii (1986), pp. 30-39.3 h. phleps, Die farbige Arkitektur bei den Römern und im Mittelal-

ter , Berlin, s. d. ma 1950; j. michler, Über die Farbfassung hochgoti- scher Sakralräume, in «Wallraf-Richartz Jahrbuch», xxxix (1977), pp.29-68; e. frodl-kraft, Die Farbsprache der gotischen Malerei EinEntwurf , in «Wiener Jahrbuch für Kunstgeschichte», xxx-xxxi(1977-78), pp. 89-178.

4 m. pastoureau, Figures et couleurs, Paris 1986.5 g. haupt, Die Farbensymbolik in der sakralen Kunst des abendlän-

dischen Mittelalters, Dresden 1941.6 e.-e. viollet-le-duc, Vitrail in Dictionnaire raisonné de l’archi-

tecture française du XI e au XVI 

e siècle, vol. IX, Paris 1868, pp. 373-482.7 l. grodecki, La couleur dans le vitrail du XII 

e  au XVI e  siècles, in

Entretiens sur la couleur , Atti del Colloque du Centre de Recherche dePsycologie comparative, Paris 1958, pp. 186-2o6.

8 l. grodecki, Le Vitrail et l’Architecture au XII e et au XIII 

e  siècle, in«Gazette des Beaux Arts», serie VI, xxxvi (1949), p. 524, pp. 121-38.

9 j. gage, Gothic Glass: Two Aspects of a Dionysian Aesthetic, in «ArtHistory», v (1982), pp. 36-58.

10 antonio da pisa, Memmoria del magisterio de fare fenestre de vetro

in aa.vv., Vetrate. Arte e Restauro, Milano 1991, p. 55.11 Ibid ., p. 56.12 w. kemp, Sermo Corporeus. Die Erzählung der mittelalterlichen Gla-

 sfenster , München 1987.13 Oltre a kemp, Sermo Corporeus cit., si veda j.-p. deremble e c.

manhes, Les vitraux légendaires de Chartres. Des récits en images, Paris1988, e la recensione che ai due libri ha dedicato m. harrison cavi-ness in «Speculum», lxv (1990), pp. 972-75.

14 a. schmarsow, Kompositionsgesetze in der Kunst des Mittelalten,Leipzig 1915; id., Kompositionsgesetze romanischer Glasgemälde in früh- gotische Kirchenfenstern, in «Abhandlungen der philologisch-histori-schen Klasse der Königlich Sachsischen Gesellschaft der Wissen-schaften», 33/2, 1916, pp. 1-55; id., Kompositionsgesetze frühgotischer Glasgemälde, ivi, 36/3, 1919, pp. 1-122; w. dahmen, Gotische Gla- sfenster . Rhythmus und Strophenbau, Bonn-Leipzig 1922; m. t. engels,Zur Problematik der mittelalterlichen Glasmalerei, Berlin 1937.

15 Un’analisi e un raggruppamento dei differenti bordi delle vetra-te di Chartres, nonché una attenta lettura dei differenti elementi di unavetrata duecentesca, e in particolare dello sfondo «a mosaico», in p.popesco, Verrière du Bon Samaritain de la Cathédrale de Chartres, in

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«Cahiers de la Céramique, du Verre et des Arts du Feu», 38, 1966,pp. 119 sgg.

16 r. becksmann, Die architektonische Rahmung des hochgotischen

Bildfensters, Berlin 1967, recensito in «Speculum», 1973, pp. 110 sgg.17 grodecki, Le Vitrail et l’Architecture cit.18 e. frodl-kraft, Das «Flechtwerk» der frühen Zisterzienserfenster .

Versuch einer Ableitung , in «Wiener Jahrbuch für Kunstgeschichte», xx(1965), pp. 7-20; parsons lillich, The Band Window cit.; id., A Reda-ting of the Thirteenth Century Grisaille-Windows of Chartres Cathedral ,in «Gesta», xi (1973), pp. 11-18; id., Three Essays on French ThirteenthCentury Grisaille Glass, in «Journal of Glass Studies», xv (1973), pp.69-78; h. zakin, French Cistercian Grisaille Glass, New York-London1979.

19 e. castelnuovo, Vetrate Italiane, in «Paragone», 103, 1958, pp.3-24, e in particolare pp. 12 e 14.

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Capitolo sesto

Fortuna delle vetrate

Finora le finestre delle nostre chiese non erano chiu-se che da vecchie tele, grazie a voi per la prima volta ilsole dalla chioma dorata splende sul pavimento dellanostra basilica traversando i vetri dipinti con diversi colo-ri. Una gioia inesauribile riempie il cuore di coloro chepossono ammirare la straordinaria novità di quest’operaeccezionale1.

Una storia della fortuna delle vetrate può comincia-

re da questa lettera, scritta sul finire del x secolo daGozbertus, abate del monastero di Tegernsee in Bavie-ra, a un aristocratico donatore, anche se preceden-temente non mancano reazioni ammirative nei confrontidelle finestre translucide delle basiliche paleocristiane,«smaglianti come i fiori di primavera» aveva scrittoPrudenzio. Ma l’entusiasmo per quella che sembra esse-re un’assoluta novità traspare tanto fortemente in que-

sto passo che la vicenda che vogliamo seguire potràprendere le mosse proprio di qui.In seguito le testimonianze si accumulano: nell’xi

secolo l’edificio della rotonda di San Benigno a Digio-ne, da poco costruita sotto la direzione di Guglielmo daVolpiano è «illuminato dallo splendore delle finestre»,mentre la basilica «irradiata in ogni sua parte dai vetri»e le cappelle fatte costruire dall’abate Thierry aSaint-Hubert d’Ardenne sono illuminate da pulcherrimis

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 fenestris dipinte da un Rogerus che per questo compitoera stato chiamato da Reims.

Agli inizi del xii secolo il monaco Theophilus dedi-cava il secondo libro del suo trattato a una apologia delvetro, mentre, piú o meno negli stessi anni, William diMalmesbury sottolineava in De gestibus pontificum anglo-rum come non si potesse vedere in Inghilterra niente dicomparabile alla luce delle vetrate della cattedrale diCanterbury2. Pochi anni dopo l’abate Suger diSaint-Denis eleverà un autentico inno alle vetrate cheaveva fatto eseguire e dipingere «dalla mano squisita dimolti maestri di diverse nazioni». Delle «ammirevolivetrate», della «preclara varietà delle nuove vetrate»,dell’«opera mirifica riccamente profusa di vetri dipinti[vitrei vestiti] e di materia di zaffiro»3 parla sovente ediffusamente per sottolinearne la luminosità, il pregio ela rarità dei materiali, la eccezionale qualità della pittu-ra. Nella prosa dell’abate Suger, il cui nome è connessocon una storica svolta nella storia dell’architettura, la

nascita del gotico, termini come micat , claret , clarificet ,lumen, lux abbondano, come del resto avviene anchenelle pagine degli enigmatici Libri Heracli de coloribus et artibus romanorum dove frequente è l’uso di nitens, reni-tere, splendens e cosí via4. Una metafisica e quindi un’e-stetica della luce si sviluppano su basi neoplatoniche, manon solo su quelle. Nuove riflessioni e nuove definizio-ni della luce e della chiarezza si fanno strada nella filo-

sofia del xiii secolo, da Thomas de Cantimpré ad Alber-to Magno5, mentre con Witelo, Grossatesta, Pechaml’ottica diviene un argomento centrale di studio e didiscussione6. In un tale clima mentale e culturale dovet-tero farsi strada e diventare sempre piú urgenti e gene-rali le attese di una decorazione luminosa.

Ma il fasto delle vetrate cariche di colori aveva giàsuscitato il sospetto e la ripulsa dell’ordine cistercenseche, nelle raccomandazioni emesse dai capitoli generali

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dell’ordine intorno agli anni 1136 e 1145-115o, e rin-novate nel 1182, nel 124o e nel 1256, prescrivevano che

«le vetrate devono essere bianche senza croci e senzaimmagini»7, stabilendo cosí di mettere al bando le vetra-te colorate e figurate e accogliendo nelle proprie chiesesolo quelle di vetro incolore decorate dalle forme geo-metriche del reticolo di piombo che regge i vetri. Nelleabbazie benedettine e nelle grandi chiese urbane tutta-via lo sfarzo colorato delle vetrate trovava ampio campo.A perpetuo ricordo e lode di Agnes de Braine (morta nel1204) vengono citate le vetrate che – ma la cosa è quan-to meno dubbia – sarebbero venute d’Inghilterra indono da parte di una regina, splendide e variate di colo-ri, dipinte da pennelli mirabili ( Agnes […] vitris ex Angliaadductis, mirabili penicillo colorumque inassequibili tem- peramento, et varietate stupendis, fenestras clausit ) con cuiaveva ornato l’abbazia di Braine, la «vastissima chiesaornata con tale eleganza da non essere seconda a nessu-na» che aveva fatto costruire8.

Elogi straordinari sono profusi negli Atti dei vesco-vi di Le Mans per un artista che nel xii secolo avevadipinto splendide finestre nel palazzo del vescovo Guil-laume de Passavant. Il suo capolavoro furono le pitturedella cappella palatina (non è chiaro in verità se si trat-tasse di vetrate dipinte o di pitture murali, ma, datal’insistenza con cui in altri due punti il testo ritorna suvetrate confezionate da questo artefice, la prima ipo-

tesi è forse la piú probabile) su cui gli Atti si esprimo-no cosí:

Precedentemente accanto a questa camera il prelatoaveva costruito una cappella e, benché non si trattasse chedella prima fatica dell’artista, essa non risplendeva meno dibellezza. Le figure dipinte con un talento ammirevole, rap-presentazioni vere di personaggi viventi, non solo attira-vano gli occhi ma ancora catturavano e assorbivano tal-

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mente le facoltà dell’intelletto che nel vederle tutti dimen-ticando le loro occupazioni rimanevano in preda a una deli-

ziosa ammirazione e anche quelli che avrebbero avuto dafare altrove sostavano per la meraviglia affascinati da que-ste immagini9.

Quanto alla sala attigua alla cappella, essa risplende-va soprattutto per un fenestrarum opus di tale bellezzache chi vi entrasse era sorpreso dallo splendido aspettodelle finestre.

Nei trattati liturgici degli stessi anni ritornano di fre-quente passi sulle vetrate, considerate un elemento capi-tale nella decorazione e nella struttura stessa della chie-sa. Nella simbologia dell’architettura religiosa, quale erapresentata in questi manuali, ogni parte dell’edificioaveva un suo preciso significato. Ora le finestre inve-triate da cui scendeva la luce che rischiarava i fedeli ave-vano un posto di elezione: esse erano i dottori, i profe-ti la cui dottrina illuminava il cristiano e lo difendeva

dalle tenebre del male10

.Pierre de Roissy, cancelliere della scuola della catte-drale di Chartres tra il 12o8 e il 1213 all’incirca, neglianni cioè in cui la chiesa ricostruita dopo l’incendio del1196 cresceva e si ergeva sempre piú imponente inmezzo al suo grande cantiere, e già nelle finestre bassedelle navate si stavano montando gli splendenti tappetivitrei, scrive:

le finestre invetriate che sono nella chiesa, attraverso lequali si trasmette la chiara luce del sole e sono tenuti lon-tano i venti e le pioggie, stanno a significare le sacre scrit-ture che illuminandoci allontanano da noi il male11.

Sono le espressioni consuete tante volte ripetute neilibri di esegesi biblica o nei trattati di liturgia, ma inquesto caso prendono un sapore particolare dato lo

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stretto legame che il loro autore ebbe con la cattedraledi Chartres, un rapporto che si avverte anche dalle

notazioni precise sulla forma e la varietà delle finestre,quadrate nella parte inferiore e rotonde in quella supe-riore, grandi e piccole, non ognuna della stessa dimen-sione12.

Parole analoghe – «le finestre translucide che ci sepa-rano dalla tempesta e ci versano la luce sono i dottori»– si trovano nel xii secolo nella Gemma Animae diHonorius Augustodunensis13, nel Mitrale di Sicardo:

Il vetro delle finestre attraverso il quale il raggio del soleci colpisce è la mente dei dottori che attraverso lo specchiocontempla l’arcano delle cose celesti. [...] Le finestre chetengono lontano la tempesta e trasmettono la luce sono idottori che resistono al turbine dell’eresia e infondono aifedeli la luce della chiesa per cui è stato detto: Ecco egli stadietro la parete guardando attraverso le finestre14.

Immagini simili ricorrono nei sermoni di Ugo di SanVittore sulla consacrazione delle chiese:

Le finestre vitree sono quegli uomini spirituali grazie acui siamo illuminati dalla cognizione divina [...]. Le finestrevitree hanno un senso spirituale attraverso il quale siamoilluminati dal vero sole e liberati dalla cecità dell’ignoran-za15,

o nel Commento al Cantico dei Cantici di Robert deTuy:

le finestre sono Mosè e i Profeti16.

Concetti molto simili appaiono cent’anni dopo nelRationale di Guglielmo Durandus vescovo di Mende:

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Le pitture sono per i laici [per gli illetterati cioè] lezio-ni e scritture. Le vetrate sono scritture divine che versano

la chiarezza del vero sole [cioè di Dio] nell’interno dellachiesa, vale a dire, illuminandoli nel cuore dei fedeli17.

Se una pittura è intesa genericamente come una lezio-ne per gli illetterati, la pittura luminosa delle vetrate èqualcosa di piú, un’autentica lezione divina.

Accanto alle evocazioni di vetrate presenti nei trat-tati liturgici, precisi accenni a esse si trovano nelle pre-diche. Il cardinale Eudes de Chateauroux (morto nel1273), che in giovinezza era stato canonico e cancellieredella chiesa di Bourges, ricorda, predicando alla Por-ziuncola, come da giovane, per quanto la avesse osser-vata, non era riuscito a comprendere il senso di unavetrata con la storia del Buon Samaritano, fino a che unsuo coetaneo laico non gliela aveva illustrata spiegan-dogli che i religiosi erano molto piú ignari e lontanidalle miserie e dalle tragedie della vita di quanto non

avvenisse ai laici, che di necessità la conoscevano intutti i suoi aspetti. Un passo come questo è chiaramen-te dettato dalla volontà di spingere coloro che lo ascol-tavano a vivere nel mondo e a essere vicini ai poveri eagli infelici, ma offre nello stesso tempo una testi-monianza di come una vetrata – verisimilmente quelladel Buon Samaritano della cattedrale di Bourges – venis-se guardata, scrutata, intesa18. La beata Angela da Foli-gno ricorda come una rivelazione una vetrata con sanFrancesco tenuto dal Cristo tra le braccia, che avevavisto nella chiesa superiore di Assisi al tempo del suo pel-legrinaggio nel 129119. Sui colori che si compongono inuna vetrata, una splendente riflessione appare in unapredica (8 giugno 1305) di fra Giordano da Pisa:

Tutte le gemme sono belle per sé; ma tutte insieme ordi-nate sono piú belle, l’una per l’altra, siccome di colori ché

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l’uno dà bellezza all’altro; e il colore nero che pare rusticoper sé essendo co gli altri se compagnato pare bello, ed anco-

ra dà agli altri bellezza. Questa natura pare di colori chetutti paiono legati ed attrecciati insieme e chi volessi fareuna bella finestra di vetro, conviene che ci metta di tutti icolori, e quelle sono le belle20.

Le vetrate avevano trasformato la chiesa in qualcosadi molto simile alla «Gerusalemme Celeste» di cui sinarra nell’ Apocalisse di Giovanni e in cui fin dai piúantichi tempi le chiese cristiane avevano cercato unmodello21, evocavano il giardino di Dio in Eden di cuiparla il profeta Ezechiele, o ancora il pettorale di Aron-ne decorato di dodici diverse pietre corrispondenti alledodici tribù di Israele che è descritto nell’Esodo. Nellachiesa illuminata dalle vetrate si poteva riconoscere lacittà splendente che «scendeva dal cielo appresso Dioavendo la gloria di Dio» e la cui luce era «simile a pie-tra preziosissima, a guisa di una pietra di diaspro cri-

stallino». Le sue pareti diafane e brillanti richiamavanoalla mente «il muro costituito di diaspro» e la «cittàd’oro puro simile a vetro puro». Nelle vetrate scintillantiinserite nelle mura non si ritrovavano forse tutte le pie-tre preziose evocate da Ezechiele nell’Eden e da Gio-vanni nominate partitamente? Nelle vetrate, insomma,si doveva vedere qualcosa di sacro e insieme di favolo-so, una pittura che univa il potere delle gemme decan-tate nei Lapidaria – trattati sulle virtú soprannaturalidelle pietre – con la proprietà meravigliosa di poter esse-re traversata e quasi compenetrata da una sostanza estra-nea, la luce, senza esserne modificata.

A partire dalla fine del xii secolo le descrizioni divetrate rutilanti di colori abbondano nella letteraturaprofana: nell’edificio di cristallo evocato nel xii secolodal prete Lamprecht nell’ Alexanderlied , dove berilli e cri-stalli erano misti ai vetri sí che le finestre colpite dal sole

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all’inizio del giorno continuavano a lungo a risplendere22;nell’Eneit di Heinrich von Veldecke (1175-84) in cui

Frau Kamille raccoglie pietre preziose di ogni colore perconfezionare quattro finestre:

e aveva nelle quattro direzioniquattro splendide finestredi granati e di zaffiri,di smeraldi e di rubini,di crisoliti e di sardonietopazi e berilliche Dama Camillaaveva raccolto in abbondanzaprima che l’opera cominciasse

o nella descrizione di una magica sala nel Parzival diWolfram von Eschenbach, dove le vetrate che chiude-vano le finestre erano fatte di pietre preziose:

ampie e tutte incastonate – di diamanti e ametiste,di topazi e di granati – crisoliti e di rubini,di smeraldi e di sardonie;

o ancora in quella del tempio del Graal nello Jünger Titurel di Albrecht von Scharfenberg, scritto intorno al1270, in cui le vetrate, ancora una volta composte di pie-tre preziose, erano dipinte proprio per attenuare lo

splendore troppo abbagliante della luce

24

.Nel 1323 Jean de Jandun elogia le rose diNotre-Dame e le vetrate rutilanti di preziosi colori e sot-tilmente dipinte con eleganti figure domandandosi dovealtro nel mondo se ne potessero trovare di simili25. AVenezia, piú o meno negli stessi anni, le vetrate sonooggetto di ammirazione e di apprezzamento. Lo rivelaun passaggio del celebre quaderno in cui l’amatore d’ar-te e collezionista trevisano Oliviero Forzetta annota

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codici, anticaglie e opere d’arte da acquistare a Venezia.Vi si parla tra l’altro di finestre vitree fatte per mano di

maestro Marco veneziano et bene facte, e di come que-ste fossero esemplate su quelle fatte precedentemente daun quidam frater Theotonicus26. Sulla fine del trecento,il Credo di Piers the Plowman (circa 1394) evoca «leampie vetrate con allegri vetri scintillanti splendenticome il sole»27 dove erano rappresentati Cristo e i santi.

Immagini.

Un omaggio del tutto particolare è quello che allevetrate viene reso da artisti operanti in altre tecniche eche in esse le rappresentano. Il reliquiario del capo di sanGalgano a Siena (Museo dell’Opera) della fine del xiiisecolo è a forma di tempietto ottagono e presenta nel suoregistro mediano coppie di apostoli, di profeti, di santi,inquadrati entro bifore archiacute sormontate da un

rosone a tre lobi. Esili colonnine che sorreggono un tim-pano sporgente in cui si iscrive una modanatura trilobatavengono a coronare il tutto. Tra una coppia e l’altra dipersonaggi si alzano svelti contrafforti aggettanti deco-rati da logge, timpani, pinnacoli. L’orafo senese, sce-gliendo per la forma del suo reliquiario un modello archi-tettonico, volle fingere delle vetrate nella sezione media-na e l’impostazione di queste potrebbe essere paragonata

a quella delle vetrate con coppie di santi della chiesasuperiore di San Francesco ad Assisi.Poco piú tardi nell’affresco giottesco con l’ Allegoria

dell’Ubbidienza, dipinto su una delle vele sovrastanti latomba del santo nella chiesa inferiore di San Francescoin Assisi, appaiono finestre chiuse da vetrate decorate.È questo, attorno al 1320, in anni non lontani da quel-li in cui Jean de Jandun celebrava le vetrate diNotre-Dame, il primo esempio di rappresentazione di

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vetrate in un dipinto. In seguito il tema conosce ungrande successo: vetrate sono rappresentate, nelle nava-

telle minori dell’edificio, nella Presentazione al Tempiodi Ambrogio Lorenzetti agli Uffizi, o nella tavola tre-centesca boema con la Morte della Vergine del Museumof Fine Arts di Boston, dove tre grandi bifore invetria-te chiudono le absidi della chiesa all’interno della qualesi svolge l’episodio, mentre in una stupenda tavola delgotico internazionale, l’ Annunciazione Sachs, ora almuseo di Cleveland, il baldacchino che sovrasta il tronodella Vergine ha bifore gotiche sormontate da rosoni echiuse da vetrate con grandi personaggi, ispirate allefinestre alte di una chiesa.

Nella pittura fiamminga del quattrocento immaginidi vetrate abbondano ogni volta che gli episodi rap-presentati, svolgendosi in un tempio, una cappella, unachiesa, ne offrano l’opportunità28: vetrate a medaglioninella Presentazione al Tempio del Maestro di Flémalle alPrado o nella Messa di san Gregorio, di cui si conosco-

no soltanto copie, del medesimo artista; nella Presenta-zione al Tempio di Jacques Daret al Petit Palais o inquella attribuita a Jean de Maisoncelles al museo diDigione; vetrate a motivi decorativi nella Madonna diDresda o nella Vergine del Cancelliere Rolin di Jan VanEyck. Una grande vetrata domina dall’alto l’ Annun-ciazione di Jan Van Eyck a Washington, e una scenadell’arazzo con esempi di giustizia, già nella cattedrale

di Losanna e oggi all’Historisches Museum di Berna,che replica un famoso ciclo murale perduto di Rogervan der Weyden, un tempo nell’Hôtel de Ville diBruxelles, si svolge in una cappella adorna di splendi-de vetrate. Il cosiddetto Maestro dell’Altare di Alber-to, un pittore austriaco operoso nel 1438, situa la Cac-ciata di Gioacchino dal Tempio in una cappella illumi-nata da grandi vetrate; vetrate sono rappresentate nel-l’ Altare della Passione di Hans Bornemann (1444-47)

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creato per l’abbazia di Heiligental e oggi nella chiesa diSankt Nikolai a Lüneburg29, mentre in un dipinto di

Dirc Bouts a Londra la figura di san Pietro si stagliacontro uno sfondo di vetrate. Numerosi poi gli esempidi vetrate profane: dall’interno borghese dell’ Annun-ciazione de Mérode del Maestro di Flémalle (New York,Cloisters) al polittico Villa di Roger van der Weyden(Riggisberg, Fondazione Abegg), al dittico di Martinvan Nieuwenhove di Memling a Bruges. Non si trattache di pochi casi scelti per il loro valore esemplare, chése si dovessero elencare tutte le rappresentazioni divetrate in dipinti del quattrocento la lista sarebbe benpiú lunga.

Inutile insistere sulle motivazioni che sono dietro aqueste preferenze, o sul significato simbolico o realisti-co di queste rappresentazioni. Il valore simbolico dellavetrata con la rappresentazione del Dio-Sabaoth del-l’Antico Testamento nella Annunciazione di Van Eyckè indiscutibile, ma ciò nulla toglie all’importanza di que-

sto documento anche su un altro piano, su quello cioèdella fortuna delle vetrate. Che è anche la storia del-l’immagine che generazioni di uomini si sono fatti diquesta tecnica e dei suoi prodotti. A voler restituirequesta storia dovremmo pazientemente mettere a con-fronto dati di diverso tipo, testi letterari, documenti dicommissioni, testimonianze di distruzioni, cataloghi dicollezioni e via dicendo. In questo senso, il fatto che in

un dipinto di una certa epoca e di una certa scuola siarappresentata una vetrata è un fatto importante, comeè importante sapere che a una certa data si prendanoprovvedimenti per assicurare la conservazione di unciclo di finestre dipinte, che si stanzino somme per laloro manutenzione e il loro restauro o che se ne decidala distruzione. Estremamente significative da questopunto di vista le grandi campagne di restauro che nel xvsecolo ebbero luogo sulle vetrate romaniche della catte-

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drale di Chartres30 o l’attentissima e filologicamente sor-prendente ricostruzione, all’inizio del xvi secolo, del-

l’antica vetrata di Mosè nella cattedrale di Augusta31

.

Il cinquecento.

Esemplare è da questo punto di vista un secolo comeil cinquecento, un tempo in cui il prestigio delle vetra-te rimane altissimo, ma in cui la Riforma e le guerre direligione sono occasione della distruzione di nu-merosissime finestre vitree dalla Germania ai PaesiBassi, all’Inghilterra, alla Francia32.

Scriveva nel 155o Giorgio Vasari, nel capitolo inti-tolato Del dipignere le finestre di vetro e come elle si con-duchino co’ piombi e co’ ferri da sostenerle senza impedi-mento delle figure che è compreso nella parte introdutti-va delle Vite e che con minimi cambiamenti riappare nel-l’edizione Giuntina del 1568:

Ma i moderni, che in molto maggior copia hanno avutole fornaci de’ vetri, hanno fatto le finestre di vetro – diocchi e di piastre –, a similitudine od imitazione di quelleche gli antichi fecero di pietra, e con i piombi accanalatida ogni banda le hanno insieme serrate e ferme [...] E doveelle si facevano nel principio semplicemente di occhi bian-chi e con angoli bianchi o pur colorati, hanno poi imagi-

nato gli artefici fare un musaico de le figure di questi vetri,diversamente colorati e commessi ad uso di pittura. E tal-mente si è assotigliato lo ingegno in ciò, che e’ si vede oggicondotta questa arte delle finestre di vetro a quella per-fezzione che nelle tavole si conducono le belle pitture,unite di colori e pulitamente dipinte [...] Di questa artehanno lavorato meglio i Fiaminghi e i Franzesi che l’altrenazioni [...] Le quali opre, se non fossero in materia trop-po frangibile, durerebbono al mondo infinito tempo. Ma

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per questo non resta che l’arte non sia difficile, artificio-sa e bellissima33.

Pochi anni dopo, nel 1572, il Tasso, di ritorno dallaFrancia, scrive al duca di Ferrara sugli usi e costumi delpaese ed esalta

le finestre di vetro colorite ed effigiate, le quali in molti-tudine grandissima sono degne di ammirazione non che dilode, cosí per la vivezza e la vivacità de’ colori, como ancoper lo disegno e artificio de le figure. Ed in questa partehanno i francesi che rimproverare gli italiani; perché l’usode l’arte de’ vetri, che presso di noi è particolarmente inpregio per pompa e per delicia de’ bevitori, è da loro impie-gata ne l’ornamento de le chiese di Dio, e nel culto de lareligione34.

Allo stesso tempo appartiene la lettera di LambertLombard a Giorgio Vasari (27 aprile 1565), dove il pit-

tore fiammingo esprime il desiderio di confrontare imodi degli antichi pittori toscani con quelli che si vedo-no nelle antiche vetrate del suo paese: «mi bastaria unaistoria di Margaritone, et del Gaddi, et di Giotto unaparimente, per conferir le con certi vetri che sono quiin antiqui monasterii»35, mostrando di considerare levetrate i grandi monumenti della pittura medievale nelsettentrione.

Un secolo dopo verrà pubblicata in Francia un’ope-ra che per le vetrate fu significativa: i Principes de l’ar-chitecture... et des... arts qui en dépendent di André Féli-bien des Avaux, che in rapporto appunto con l’archi-tettura dedicava, sotto il titolo De la vitrerie, qualchepagina e molte incisioni con ampio commento, nonchéun certo numero di voci del glossario che le accompagna,alle vetrate e agli strumenti necessari per farle36. Per laverità Félibien non mostra di apprezzare molto le vetra-

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te medievali anteriori al momento in cui si cominciaro-no a porre sui vetri i colori a smalto quando scrive:

ma per fare gli incarnati e le vesti sul vetro bianco stende-vano colori chiari o bruni senza mezze tinte né forti né debo-li come la pittura richiederebbe. Così questa prima specie diopere, quali vediamo nelle più antiche vetrate delle nostrechiese eseguite prima del secolo scorso, sono di maniera goti-ca e quanto al disegno, e a ciò che i lavoranti chiamano la pre-parazione dei colori, non hanno che del barbaro37.

Diverso e molto positivo l’apprezzamento sulle vetra-te cinquecentesche, ma quando il testo di Félibien vedela luce le vetrate stanno attraversando un momentodrammatico: la loro stella è in ribasso e le distruzioni siaggiungono alle distruzioni.

Iconoclastia.

I gravissimi episodi di iconoclastia che colpirono levetrate nel cinquecento (nel 1525 tutte le vetrate figu-rate delle chiese di Stralsund furono rimosse e seppelli-te nel cimitero del convento di Santa Caterina)38 nonfurono dovuti a una particolare ostilità verso la vetratacome tecnica o verso i suoi prodotti, quanto al genera-le atteggiamento di diffidenza e ostilità nei confronti

delle immagini viste come pericolose occasioni di idola-tria, un’accusa da cui anzi le vetrate potevano sottrarsimeglio di altre opere d’arte in quanto, come scrivevaZwingli, «non si era mai visto qualcuno inginocchiarsidavanti a una vetrata». In seguito alla dissoluzione deimonasteri, portata avanti negli anni 1536-39, i dannialle vetrate in Inghilterra furono estremamente gravi.Molte le distruzioni, contro alcuni salvataggi come quel-lo di una serie di vetrate oggi a Morley (Derbyshire) che

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erano state acquistate e trasferite da Dale Abbey. Glieditti emessi sotto Edoardo VI proibirono queste deva-

stazioni, ma proprio nello stesso momento (1547-53)quasi tutte le vetrate della cattedrale di Durham vennerodistrutte dal vescovo Hone di Winchester. In questoperiodo la funzione piú direttamente pratica delle vetra-te, quella di chiudere le finestre della chiesa e di costi-tuire perciò una protezione, contribuí a salvarle. Scrivenel 1577 William Harrison nella sua Description of England :

I monumenti dell’idolatria sono rimossi, gettati a terra,distrutti. Solo le storie delle vetrate sono eccettuate intutto il regno, sia per mancanza di materiale per sostituir-le, sia per il radicale cambiamento che provocherebbe la lo-ro sostituzione con vetri bianchi40.

Successivamente al tempo dei puritani e della crociatacontro le immagini religiose, intorno al 1643, anno in cui

furono distrutte le vetrate della cattedrale di Norwich,un emissario del Parlamento, William Dowsing, tiene undiario in cui, giorno per giorno, registra le distruzionicon annotazioni di questo tipo:

Sudbury. Gregory Parish, 9 gennaio. Abbiamo distrut-to 10 enormi angeli di vetro. In tutto fanno ottanta. Eye,30 agosto; sette dipinti superstiziosi nel coro e nel transet-

to, uno rappresentava Maria Maddalena, tutti in vetro, esei nelle finestre della chiesa. Molte altre vetrate eranostate distrutte in precedenza41.

Ricerca della luce e distruzione della vetrata.

Intanto, proprio nell’avanzato seicento, quando Féli-bien illustrava la produzione delle vetrate nei suoi Prin-

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cipes de l’architecture, si manifesta nei loro confrontiuna disaffezione marcata. Il problema, questa volta, è

quello della luce, quello della illuminazione degli inter-ni delle chiese. Già nel corso del trecento la tonalitàdelle vetrate aveva subito grandi mutamenti con la forteschiarita della gamma cromatica, ottenuta grazie a unuso sempre più vasto di vetri bianchi, appena ravvivatidalla grisaglia. Questo mutamento della sensibilità, le cuimanifestazioni sono state rievocate in modo particolar-mente suggestivo da Jean Lafond, portò gradualmentea gravissime conseguenze. Come indica la risposta datanel 1764 da Nicolas Cochin, segretario perpetuodell’Académie de Peinture et Sculpture, al conte diMarigny, che gli aveva richiesto un parere su una sup-plica per riabilitare l’arte delle vetrate rivoltagli da unappassionato apologeta di questa tecnica, lo strasbur-ghese Jean-Adolphe Danekker:

In verità le vetrate non usano piú, perché né negli

appartamenti, né nelle chiese, non si vuol niente che possadiminuire la luce. Così, anche se fosse stato provato chequest’arte è perduta e che la si è ritrovata, non si sapreb-be cosa farne42.

Nel 1429 il capitolo della cattedrale di Rouen deci-de di trasformare le finestre alte della chiesa, sacrifi-cando le vetrate del xiii secolo «per rendere più ricco,

nobile e luminoso il coro della chiesa di Rouen»

43

.Nel 1575 le vetrate della chiesa di San Michele di Jena in Sassonia furono distrutte e sostituite da vetrichiari44, e nel corso del seicento il fenomeno si genera-lizza. Lo storico Henri Sauval, morto nel 1670, cita letante chiese di Parigi:

Saint Denys de la Chartre, Saint Germain des Prés [...]Sainte Geneviève, Saint Merry, Saint Germain l’Auxerrois

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e via dicendo dove sono state tolte molte vetrate anticheper mettervi dei vetri bianchi45.

Per le stesse ragioni nel xviii secolo il capitolo dellacattedrale di Reims decreta la sostituzione con vetribianchi di tutte le vetrate delle navate laterali della cat-tedrale. Questa tendenza suscita in certi casi delle oppo-sizioni: cosí il capitolo della cattedrale di Tours crea nel1771 una commissione di sorveglianza sulle vetrate erespinge poco dopo le richieste dell’architetto che vole-va sostituire nel coro le vetrate duecentesche con vetriincolori46. Del resto importanti interventi di restauro edi salvaguardia sulle vetrate ebbero luogo nel corso delsettecento, come ad esempio quelli del pittore su vetro Jakob Kalkar di Linz, che nel dicembre del 1723 fuincaricato di restaurare due finestre duecentesche e dieseguirne ex novo altre tre per la chiesa di Sankt Lau-rentius ad Ahrweiler presso Bonn o come quelli effet-tuati a Notre-Dame (1737) e alla Sainte-Chapelle (1765)

di Parigi dal maître-vitrier Guillaume Brice, appassiona-to collezionista di vetrate, di cui Pierre Le Vieil, nel suotrattato, tesserà l’elogio47. Intanto storici e antiquaricome Roger de Gaignières o Bernard de Montfauconosservavano attentamente le vetrate per leggervi e rico-noscervi figure e avvenimenti del passato.

Pierre Le Vieil e il suo trattato.

Uno straordinario documento di questa situazione èl’art de la peinture sur verre et de la vitrerie di Pierre LeVieil, autentica apologia di una tecnica morente scrittasul declinare del settecento, che segna il punto limite diuna situazione.

Il suo autore è un maître-verrier che sopravvive al suomestiere come una creatura prestorica, poiché quest’ar-

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te è ormai caduta «in un oblio, in un annichilimento talida far dubitare che sia giammai esistita»48. Discenden-

do egli stesso da generazioni di peintres-verriers, non erastato dal padre istruito a sufficienza nel disegno perpoter dipingere su vetro, poiché la sua professione nonaveva piú l’antico splendore, e le imprese dei vetraierano piú prospere di quelle dei pittori su vetro. Lefrustrazioni dell’ultimo rappresentante di una tecnicache aveva dietro di sé in Francia un passato tanto glo-rioso indicano chiaramente quanto precaria fosse al suotempo la situazione delle vetrate. Non si produconoquasi piú vetri colorati, rossi in particolare (anche i tede-schi, impareggiabili fabbricanti di ogni tipo di vetro, nonsi avventurano in quel segreto perduto che è il verrerouge), non si disegnano piú, o quasi piú, scene figurate;la pittura su vetro è ridotta all’esecuzione di fregi, armi,blasoni e le antiche vetrate vanno sempre piú deterio-randosi per distruzioni volontarie e per la mancanza diun’elementare vigilanza. Questo il quadro poco ameno

in cui opera a Parigi la famiglia Le Vieil. Il fratellominore, Jean, diviene peintre sur verre du roi, carica cheera già stata del padre, Guillaume Le Vieil, ma che eraormai ridotta a una semplice sinecura. Pierre, l’autoredel trattato, dirige l’atelier, impegnandosi soprattutto inopere di vetreria e nel campo specifico delle vetrate inoperazioni di restauro, se non di radicale sostituzione diantiche vetrate con vetri bianchi ornati di semplici bordi

decorativi. In questa attività riesce talvolta a salvareimportanti testimonianze del passato, come a Saint-Etienne-du-Mont, dove distruggendo i montanti centralidelle finestre, sostituendoli con sbarre di ferro di minoringombro e riempiendo di vetri bianchi lo spazio cosíacquistato, riesce a far entrare piú luce (il problema delsecolo!) all’interno della chiesa, senza per questodistruggere le antiche vetrate. Altrove, come nelle fine-stre alte del coro di Notre-Dame, tocca proprio a lui l’in-

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grato compito della distruzione degli antichi vetri e dellaloro sostituzione. Ma le sue attitudini e la sua forma-

zione, compiuta in ambiente benedettino, l’orientanoverso l’indagine erudita. Incaricato, come lo era statosuo padre, di vegliare alla conservazione delle antichevetrate (un insieme che andava dal xiii al xvii secolo)dell’abbazia di Saint-Victor a Parigi, scende spesso dalleimpalcature per chiudersi in biblioteca e scrivere quellache può considerarsi la prima organica storia della pit-tura su vetro49.

Contemporanee all’accorata apologia di Le Vieil sonole prime avvisaglie del gothic revival e prende cosí iniziola vicenda del commercio e del trasporto delle vetratelontano dai loro luoghi di origine.

Riscoperte e reimpieghi.

Il reimpiego delle antiche vetrate è stato praticato per

secoli e per motivi diversi50. In certi casi esso fu detta-to dalla volontà di conservare una immagine particolar-mente venerata, come nel caso della cosiddetta NotreDame de la Belle Verrière di Chartres, dove un fram-mento di vetrata del xii secolo con le figure della Ver-gine e del Bambino, scampata all’incendio del 1196, fumessa nel duecento al centro di una nuova composizio-ne in cui figure di angeli inginocchiati fanno corona e

cornice alla venerata immagine

51

. Analogamente, la Ver-gine col Bambino della chiesa abbaziale di Vendôme, uncapolavoro della pittura romanica in Francia, vennereimpiegata nel nuovo edificio e i medaglioni della splen-dida vetrata della Redenzione di Chálons-sur-Marne(circa 1147) vennero riutilizzati dopo l’incendio dellacattedrale nel 1230. In Germania i medaglioni dellavetrata dell’albero di Jesse, posta nella finestra assialedel coro romanico della cattedrale di Friburgo, vennero

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reimpiegati nel nuovo coro gotico della chiesa52, comeavvenne nella Marktskirche di Goslar o nella Barfüs-

serkirche di Erfurt, dove le vetrate duecentesche conl’albero di Jesse e storie di san Francesco vennero riuti-lizzate nel trecento nel nuovo edificio gotico. In altricasi si trattò invece di riparare qualche lacuna di unavetrata utilizzando come materiale di riempimento,come tappabuchi53, frammenti o addirittura medaglionidi opere piú antiche, o ancora di trasportare integral-mente vetrate in altri luoghi del medesimo edificio (sivedano le riutilizzazioni subite da antiche vetrate dellacattedrale di Lincoln54 o di quella di Canterbury) o inaltri contesti. Tra l’altro è in questo modo che sonogiunti sino a noi esempi di vetrate civili del tre e delquattrocento55 altrimenti destinate a sicura distruzione.

Commercio e collezionismo.

Il problema del commercio delle vetrate si ricollegaalla loro, sia pur difficile e travagliata, mobilità, masvela nuove motivazioni, in particolare il gusto di rac-cogliere e di esibire le antiche vetrate come oggetti dicollezione, come elementi di arredamento destinati aconferire un tono e una distinzione particolare a unambiente. Ricchi mercanti e aristocratici inglesi le acqui-stano sul continente profittando della secolarizzazione

dei beni ecclesiastici e di un certo décalage nel gusto, chefaceva sí che opere considerate come desuete sul conti-nente venissero invece particolarmente ricercate inInghilterra.

Gli Anedoctes of Painting in England di Walpole for-niscono in questo senso un’ampia casistica rivelando unfitto commercio di vetrate fiamminghe in Inghilterra:lord Cobham, per un «tempio gotico» che aveva fattocostruire da James Gibbs a Stowe nel Buckinghamshi-

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re, si procura vetrate araldiche. Il right honorable MrBateman acquista nel 1753 da un tale Asciotti – un ita-

liano sposato a una fiamminga, attivissimo mercante eprocacciatore di vetrate – una cassa di vetri importatidai Paesi Bassi; lo stesso Asciotti è inviato nelle Fian-dre da Horace Walpole che gli acquista per 36 ghinee450 frammenti di vetrate per la sua dimora neogotica diStrawberry Hill; un vetraio londinese di nome Palmercompra antiche vetrate fiamminghe dalla moglie diAsciotti e le rimonta inquadrandole con mosaici di vetridi tinta unita. In occasione delle aste tenute alla EssexHouse di Londra un tal Peterson organizza le primeesposizioni di vetrate importate dalle Fiandre (il 26marzo 1773 apre all’Essex House un’esposizione divetrate, ben 285 pezzi distribuiti in nove finestre goti-che) e si occupa in prima persona di produzione di vetra-te pubblicando nel 1758 The Handmaid to Art , mentresua figlia sposa James Pearson, pittore di vetrate56.

Le stesse riutilizzazioni di vetrate duecentesche che

ebbero luogo sul finire del settecento in Inghilterra nellecattedrali di Lincoln e di Canterbury (si attribuisce aldecano Percy la decisione di far trasportare nel coroquanto restava delle antiche vetrate della cappella di StThomas Becket di modo che nessuna vetrata visibiledagli stalli dei canonici fosse composta di semplice vetrobianco), mostrano, come ha rilevato Jean Lafond, il cre-scente gusto per le vetrate che si manifestava in In-

ghilterra nel xviii secolo, anticipando quanto avverrà poinel resto dell’Europa.La rivoluzione francese, con la secolarizzazione, la

vendita e la manomissione dei beni ecclesiastici, minac-ciati tra l’altro anche dalle operazioni di recupero deimetalli per servire all’armamento (e questo riguardavaanche i piombi delle vetrate), fu occasione di moltedistruzioni e anche di significative disseminazioni.Esemplare a questo proposito la vicenda delle vetrate di

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Saint-Denis. Quando, nel 1794, si discusse sulla sortedella chiesa, venne proposto di salvare dalla progettata

distruzione le vetrate, curieux pour l’art, l’histoire et lescostumes57. Dopo molte peripezie e dopo che fu consu-mata probabilmente la distruzione di molte delle vetra-te, il principio della loro salvaguardia fu finalmenteadottato. I disegni di Charles Percier, conservati in untaccuino oggi alla biblioteca di Compiègne, mostranoalcune vetrate ancora in loco agli inizi del 179558. Essevennero rimosse nel 1799 per essere trasportate alMusée des Monuments Français di Alexandre Lenoir.Pierre Gauthier, che era stato organista della chiesa etornava spesso sul luogo, annota che nel corso del set-tembre 1799 si prese a trasportare le vetrate della chie-sa di Saint-Denis, «magnifiche per la varietà e la finez-za dei colori e che facevano un superbo effetto [...] Mal-grado fossero passati piú di seicento anni dalla loro crea-zione erano sempre belle».

Lo smontaggio delle vetrate di Saint-Denis quando

ormai esse non erano minacciate da alcun pericolo fudovuto alla volontà di Lenoir di esporle nelle sale del suomuseo59, di utilizzarle per creare ambienti evocativi oaddirittura per suscitare un air de mysticité attorno amonumenti inventati di sana pianta come la tomba diAbelardo ed Eloisa. Durante lo smontaggio e il tra-sporto, avvenuto in condizioni catastrofiche, molti ele-menti furono distrutti o deteriorati, altri vennero ven-

duti nel 1802 a un mercante di nascita tedesca ma sta-bilito a Norwich, John Christopher Hampp, che importòin Inghilterra molte vetrate dalla Normandia e dallaGermania, disperdendole in vendite pubbliche a Norwi-ch e a Londra da Christie nel 180460. Alcune importan-ti vetrate medievali francesi finirono cosí in Inghilter-ra, e molte altre le seguirono durante i grandi lavori direstauro delle chiese medievali portati avanti in Francianel corso del xix secolo.

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L’ottocento.

Questo secolo vide in tutta Europa un imponenterisveglio della vetrata61. Oggetto di collezionismo aristo-cratico e raffinato e di appassionata curiosità archeolo-gica in Inghilterra, le vetrate in Germania divengonooccasione di slanci patriottici. Tra i primi collezionisti èil barone von Stein, uomo politico, fondatore e anima-tore dei Monumenta Germaniae Historica, che si assicuranel 1815 le vetrate di Gherlacus della chiesa premostra-tense di Arnstein sulla Lahn62 per ornare, insieme conaltri pezzi provenienti da Colonia come le due vetratedella chiesa di Santa Gertrude, la torre gotica del suocastello di Nassau. Goethe non solo lo accompagna neisuoi viaggi e di questi parla nel suo scritto del 1816,Kunst und Altertum in den Rhein und Maingegend , maraccoglie egli stesso frammenti di vetrate medievali nellacasa di Weimar, e paragona in un suo scritto le vetratealla poesia: opache e oscure se riguardate dall’esterno,

dalla piazza del mercato, scintillanti, colorate, solari seviste dall’interno della chiesa63. La nascita di uno spiritonazionale tedesco si manifesta sia nella raccolta di monu-menti artistici del passato (Boisserée, Wallraf, Stein), sianella grande campagna per la ripresa dei lavori alla cat-tedrale di Colonia, sia nel restauro, o piuttosto nel radi-cale rifacimento, di miriadi di castelli feudali, in partico-lare sulle rive del Reno. Per mille tramiti questa Stim-

mung influisce sulla nascita di un culto delle vetrate chedel resto in Germania poteva contare due autorevolissi-mi patroni: Lessing, che aveva pubblicato il trattato diTheophilus, e, come si è visto, lo stesso Goethe64.

Un grande numero di vetrate tedesche fu raccolto aColonia da un mercante di vino, Christian Geerling,che, analogamente a quanto fatto dallo Hampp in Inghil-terra, le espose e le disperse in una vendita nel 1827.Nella sua monografia sulla cattedrale di Colonia, Sulpiz

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Boisserée addita nelle vetrate gli strumenti che hannofatto dell’interno delle chiese gotiche un’immagine della

Gerusalemme celeste:Se consideriamo la grande estensione delle vetrate dipin-

te che prendono il posto delle mura e se riflettiamo sul loroeffetto magico, vi troviamo realizzata nel modo piú sor-prendente l’idea di questa Gerusalemme celeste costruitacon pietre preziose di cui si parla nella dedica della catte-drale. È stato probabilmente all’uso molto esteso della pit-tura a mosaico che utilizzava quasi esclusivamente il vetrocolorato che si deve l’invenzione delle vetrate dipinte, equesta scoperta, che forniva i mezzi per costruire pareti tra-sparenti, ha portato a dare una meravigliosa soluzione a unproblema che fino ad allora si era considerato irresolubile65.

Il clima della restaurazione rilancia la vetrata, che,legittimata dalla connotazione medievale, diviene stru-mento di propaganda dinastica dalla Francia all’Austria,

alla Baviera, dalla Savoia all’Inghilterra, da Saint-Denisal castello di Brandhof in Stiria, il cui programmaiconografico fu fissato dall’arciduca Giovanni d’Austriae per le cui vetrate, eseguite nel 1825 dal vienneseAnton Kothgasser, diede i cartoni Schnorr von Carol-sfeld66, al castello di Laxenburg67, alla St George’s Cha-pel di Windsor, alla Great Hall di Hampton Court,all’abbazia di Hautecombe in Savoia, pantheon della

dinastia sabauda

68

, alla cappella reale di Dreux

69

. Si mol-tiplicano gli studi sulla loro storia, si polemizza sui se-greti degli antichi maestri, non piú conosciuti né, forse,conoscibili70, si tentano esperimenti per ritrovare i segre-ti perduti della coloritura dei vetri e della pittura afuoco, ci si getta con foga in colossali, e talora cata-strofiche, imprese di restauro, procedendo alla pulitura,alla rimessa in piombo, all’integrazione e al completa-mento dei grandi cicli medievali.

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Due testi apparsi in Francia a distanza di pochi annidaranno un’idea del ritmo incalzante dei tempi. Il

primo, del 1831, scritto dal padre di Prosper Mériméeè un articolo di enciclopedia sulla peinture sur verre71, incui, dando un giudizio molto positivo su quanto si erafatto in quegli anni in questo campo – si trattava perlo piú di vetrate che riproducevano quadri celebri –scriveva:

oggi che il gran favore del pubblico si indirizza di nuovo allevetrate dipinte si può presumere che si ritornerà all’usoantico di decorarne le nostre chiese? Non è probabile. Nonsiamo piú al tempo in cui la maggior parte dei fedeli nonsapeva leggere. Allora le vetrate colorate che non trasmet-tevano che una debole luce invitavano al raccoglimento ein questo senso erano molto indicate, ma ora che le nostreabitudini sono molto differenti da quelle di una volta e lepareti delle nostre chiese sono coperte di quadri che richie-dono una luce pura non si potranno sistemare vetrate dipin-

te che in qualche cappella.

Questo testo è del 1831; pochi anni dopo, nel 1837,una serie di articoli sulla pittura su vetro pubblicata da«L’Artiste» si concludeva in questo modo:

Ora che ho fatto la storia della pittura su vetro non miresta che domandare che essa sia introdotta nelle finestre

degli antichi templi cristiani e protestare altamente controi vetri bianchi di Notre-Dame, di Saint-Germain-des-Prés,di Saint-Séverin, di Saint-Merri e delle altre chiese france-si, che l’incapacità di architetti e di vescovi ha messo alposto delle ricche vetrate del xiv e del xv secolo. Che ven-gano rese a noi, artisti, queste antiche cattedrali cristianeche i nostri padri avevano decorato con tanto lusso e tantamagnificenza! Che ci siano rese e noi sapremo dare agliinterni delle chiese quel lume misterioso e triste che con-

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viene alla celebrazione dei misteri della fede! Ripariamolee rendiamo a queste venerabili chiese la loro atmosfera sim-

bolica e il loro antico splendore!72

.

Indagini storiche, restauri, vetrate archeologiche.

Tra il 184o e il 186o hanno luogo in Francia colos-sali imprese di restauro e un imponente fiorire dellecostruzioni neogotiche73. Contro il medievalismoromanzesco e troubadour degli anni venti-trenta, con-tro la pretesa di trasferire direttamente su vetro, concolori vetrificabili, composizioni pittoriche come erastato praticato dalla manifattura di Sèvres nei primidecenni dell’ottocento74, si leva la polemica di un grup-po di architetti e di medievalisti – Lassus 75,Viollet-le-Duc76, Didron77 – alfieri di quello che sipotrebbe definire un «romanticismo scientifico», chedirigono restauri, progettano e disegnano pezzi di ore-

ficeria, ornamenti vari e, soprattutto, vetrate78

. La rivi-sta «Annales Archéologiques», fondata nel 1844 ediretta da Alphonse-Napoléon Didron (18o6-67), cheaprirà un atelier di pittura su vetro, è il manifesto deiromantici-scientifici, la chiesa parigina di Saint-Ger-main-l’Auxerrois ne è la scuola. La vetrata della Pas-sione del 1839, realizzata da Louis Steinheil su progettidi Lassus e Didron, è la prima vetrata leggendaria – chesi ispira cioè al tipo delle vetrate duecentesche con sto-rie di santi – dell’ottocento e avrà larghissimo seguito.Sarà questo il tipo di vetrata che si imporrà alle fine-stre delle chiese di mezza Francia. Scriverà piú tardiViollet-le-Duc:

Nessuno ignora i tentativi fatti da una trentina d’an-ni per dare nuovo fulgore alla pittura su vetro. I nostrimaestri piú abili hanno fatto degli eccellenti pastiches;

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hanno completato vetrate antiche con tale perfezionenell’imitazione che non si saprebbero distinguere le parti

di restauro dalle parti antiche, si sono tanto bene impa-droniti dei procedimenti non solo della fabbricazionemateriale, ma di quelli piú propriamente artistici applica-bili a questo genere di pitture (tra questi facsimili si pos-sono citare come particolarmente notevoli quelli messi inopera nel restauro della Sainte Chapelle dovuti a Lussone Steinheil, quelli delle finestre del xii secolo aSaint-Denis di Alfred Gérente, e certi restauri delle vetra-te di Bourges e di Le Mans fatti da Coffetier). In talmodo hanno potuto riconoscere le grandi qualità dellevetrate antiche dal punto di visto dell’effetto decorativoe dell’armonia, la perfezione, difficile da raggiungere, dicerti procedimenti di esecuzione, l’abilità materiale degliesecutori e apprezzare lo stile dei maestri, cosí ben appro-priato all’oggetto. L’arte del maestro vetrario non è piúdunque un mistero, un segreto perduto.

Lo sviluppo degli atelier produttori di vetrate è inFrancia velocissimo: nel 1835 ne esistevano tre, nel1849 quasi una cinquantina. Si affermano maestrivetrari come Antoine Lusson, che lavora a Le Mans79

su progetti di Viollet-le-Duc e Lassus, Henri Gérente,vincitore nel 1847 del concorso per il restauro dellevetrate della Sainte-Chapelle e suo fratello Alfred,Charles-Laurent Maréchal di Metz, che dà vetrate permolte chiese parigine, il Lafage e lo Steinheil, sempreconsigliati dal gruppo delle «Annales». Di questi anniè il fiorire degli studi sulle vetrate medievali condottidagli studiosi e dagli artisti piú direttamente implica-ti nel movimento: Viollet-le-Duc scrive la voce Vitrail per il Dictionnaire raisonné de l’Architecture80, Ferdi-nand de Lasteyrie, che a partire dal 1835 esplora laFrancia «per scoprire con un fiuto infallibile le vetra-te piú significative, per disegnarle e riprodurle in

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cromolitografia e datarle in modo verisimile»81, pub-blica un volume di testo e uno di riproduzioni a colo-

ri basate su disegni fatti da lui di una Histoire de laPeinture sur Verre82, che propone per la prima voltaun’ampia, ragionata e ben costruita selezione dellevetrate medievali francesi. In Inghilterra Charles Win-ston (1814-64)83, un uomo di legge studioso di vetratemedievali e appassionato e riuscito sperimentatore deimodi di colorare i vetri, pubblica nel 1847 un’indagi-ne abbondantemente illustrata sulle vetrate inglesi84,dove viene portato avanti con rigore il tentativo dischizzare una cronologia su basi stilistiche applicandoalle vetrate le distinzioni (Early English, Decorated ecce-tera) fatte da Thomas Rikman per l’architettura goti-ca in un libro che aveva conosciuto un’enorme fortu-na85. L’anno dopo esce una storia delle vetrate di Wil-liam Warrington, un maestro vetrario che aveva lavo-rato per Pugin86.In Germania, dove il Gessert avevaprecocemente pubblicata una storia delle vetrate euro-

pee87, Wilhelm Wackernagel scrive (1855) una storiadelle vetrate tedesche88; in Belgio, Edmond Lévy pub-blica nel 186o una storia delle vetrate in Europa illu-strata dal pittore su vetro Jean Baptiste Capronnier89;piú tardi apparirà in Inghilterra la monumentale sto-ria di Nathaniel Westlake (1833-1921) – studioso distoria della miniatura e della pittura medievale e anchepittore su vetro – in quattro volumi90.

La prima monumentale monografia su un ciclo divetrate è quella che due gesuiti, Charles Cahier e ArthurMartin91, pubblicano tra il 1841 e il 1844 sulle vetratedella cattedrale di Bourges92. Erano passati pochi anni daquando il canonico Romelot in una descrizione della cat-tedrale di Bourges93 vi aveva visto solo un filtro che pro-curava alla chiesa e alle cappelle «un colore oscuro e miste-rioso assai propizio a ispirare raccoglimento e a invitarealla preghiera», aggiungendo subito dopo che le vetrate

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non danno una grande idea della pittura su vetro di que-st’epoca, si direbbe che l’artista insensibile alle bellezze del-

l’arte non abbia attribuito valore che al brillare della pit-tura e alla singolarità delle forme irregolari e bizzarre,

esclamando per finire:

Lasciamo queste vecchie anticaglie gotiche (ces vieilles fri- peries gothiques) dormire nella polvere che le copre e tra-scorriamo rapidamente su questi oggetti che respingonol’occhio per le loro figure massicce e grossolane e per laquantità di personaggi ridicoli di cui sono cariche.

Ora i due religiosi provvedono con gran foga e vastadottrina a risvegliare le vieilles friperies gothiques dallapolvere di secoli che le ricopriva affrontando attraver-so confronti diramati e precisi con vetrate diSaint-Denis, di Lione, Tours, Le Mans, Auxerre, Fri-burgo, Sankt Kunibert a Colonia il programma icono-

grafico delle vetrate della cattedrale. Seguono a questacolossale impresa l’Histoìre de la peinture sur verre dansle Limousin dell’abbé Texier (1847), la monografia sullevetrate di Tournai (Descamps, Lemaistre d’Anstaing eCapronnier, 1848), i volumi sulle vetrate della cattedraledi Tours, scritta da due canonici della chiesa e bene illu-strata da un Marchand, che era stato direttore dellamanifattura di vetrate di Tours94, di Chartres (Lassus eAmaury-Duval, 1855), di Auch (François Caneto,1857), di Le Mans (Eugène Hucher, 1855-64).

Quest’ultima impresa è importante e molto signifi-cativa in quanto nelle sue cento tavole di formato atlan-tico riunisce le riproduzioni di un certo numero di cal-chi condotti sugli originali95, con particolari di scene,personaggi, panneggi, bordi riprodotti in scala uno auno, giustificando questa scelta sia con la necessità diavvicinare gli originali, unico modo per poterli real-

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mente conoscere e studiare, sia con l’intento di offriremodelli ai moderni pittori di vetrate. Le osservazioni di

Hucher sono sufficientemente rivelatrici e intelligentiperché valga la pena di riportarne qualcuna:

La pittura di vetrate in Francia non è ai suoi inizi e tut-tavia non esiste ancora una scuola propriamente detta.Ognuno si affretta a produrre prendendo qua e là i suoi tipie i suoi modelli di esecuzione senza pensare che la stradapiú diretta per arrivare a imprimere all’arte un passo sicu-ro e saggiamente progressivo è di studiare con cura le bellevetrate del xii e del xiii secolo. I calchi che noi oggi pub-blichiamo offriranno per la prima volta dei campioni esat-ti delle nostre vetrate [...] per giunta le nostre riproduzio-ni costituiranno degli autentici cartoni pronti per servire aipittori su vetro che non si fideranno delle composizionimoderne [...].

Si deve d’altronde notare riguardo a ogni opera d’arte,e particolarmente quando si tratta di pitture appartenenti

a epoche e a generazioni da noi molto lontane, che tra l’o-riginale e la copia, come la si è generalmente intesa sino-ra, esiste quasi sempre una distanza immensa, in quantoinvolontariamente il copista mette nel proprio lavoro qual-cosa del gusto del suo tempo, quel non so che che fa lo stilenell’arte e caratterizza le opere di un’epoca [...] Se si vuoleavere un’idea molto precisa di queste scuole scomparseper sempre è necessario studiare la pittura su vetro non piú

con un canocchiale ma proprio con la mano sull’oggetto.Infatti queste antiche vetrate sono state talmente maltrat-tate dagli agenti atmosferici che anche il tatto può spessoessere un indispensabile aiuto per la loro completa inter-pretazione.

La «vetrata archeologica», nata come reazione algusto romanzesco e troubadour , portò certamente a unamigliore e piú scientifica conoscenza del medioevo goti-

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co e in molti casi al salvataggio di opere condannate, maal prezzo – è stato spesso ripetuto – di un fallimento sul

piano della creazione artistica. Il fenomeno non ebbecerto coloritura reazionaria, lo spirito in cui si svolse nonfu quello della Restaurazione, e la concezione dell’etàgotica di un Viollet-le-Duc è chiaramente democratica,specie se confrontata con quella che prevarrà alla fine delsecolo. Certo il senso dei grandi cantieri di restauro gra-zie ai quali poté crescere e svilupparsi un’ultima fiam-mata dell’artigianato tradizionale fu connessa in qualchemodo, e sia pure antagonisticamente, con il problemadella rivoluzione industriale e delle sue conseguenze sulpiano della produzione artistica. Il problema ha voltidiversi: da una parte c’è in nuce quell’atteggiamentopolemico verso la standardizzazione e la mec-canizzazione dell’attività artistica che sarà proprio amolti movimenti revivalisti e a molte «rinascite dell’ar-tigianato»; dall’altra, attraverso la produzione di unavetrata, esso fa appello a un tipico lavoro collettivo, che

richiede non solo il progetto dell’artista ma una colla-borazione assai vasta e l’intervento di artefici diversi contecniche e saperi distinti. Un rapporto molto stretto siinstaura nel corso dell’ottocento tra gli studiosi delleantiche testimonianze vitree nelle abbazie e nelle catte-drali e i pittori delle nuove vetrate che cercano neimonumenti antichi testimonianze di tecnica, di storia edi stile.

In Inghilterra l’interesse e lo studio delle vetratemedievali e l’impetuoso aumento nella produzione divetrate per le chiese anglicane e cattoliche suscitato dal gothic revival vanno di pari passo. Come in Francia, sifa sempre piú frequente la costruzione di nuove chiesein seguito al rapidissimo estendersi dei centri urbani, aimovimenti per il rinnovamento della chiesa anglicana,all’emancipazione della chiesa cattolica (1829) e al rista-bilirsi di una struttura ecclesiastica cattolica (1852). Nel

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1851 sono ventiquattro gli atelier inglesi produttori divetrate che espongono al Crystal Palace durante la Great 

Exhibition; nel 1862, alla esposizione internazionale chesi terrà di nuovo a Londra, saranno ventotto. Si trattadi imprese importanti e assai attive, che da Londra, Bir-mingham e Newcastle inondano l’Inghilterra con i loroprodotti. Come era stato il caso per il gruppo delle«Annales Archéologiques», tutto un gruppo di studiosiappassionati, di medievisti fanatici, di entusiasti maestrivetrari si raccoglie in Inghilterra intorno ad AugustusPugin, fervente cattolico e appassionatisssimo apologe-ta dell’architettura gotica, a «The Ecclesiologist», orga-no della Cambridge Camden Society pubblicato tra il1841 e il 1868 e impegnato in un rinnovamento dellachiesa anglicana, quindi al circolo preraffaellita e alleimprese di William Morris. John Ruskin evoca lapida-riamente le possibilità delle vetrate quando scrive: «sevolete costruire un palazzo di pietre preziose, le vetra-te sono piú ricche di tutti i tesori della lampada di Ala-

dino»96.

Fin de siècle.

L’integrazione di tecniche, arte e storia nella nascitadi una vetrata è rivendicata con calore particolare da unintelligente seguace di Morris, Lewis Foreman Day, che

cosí ne scrive:Chi intende fare un buon lavoro in questo campo dovrà

dedicare uno studio altrettanto serio alle antiche vetrate diquello che i pittori consacrano agli old masters. Non saràsoddisfatto se non riuscirà a conoscere ciò che è stato fat-to e come e perché, ma non vorrà restar cieco davanti allenuove possibilità per il solo fatto che nessuno le ha mai pro-vate. Il guaio è che spesso l’erudito è terribilmente limita-

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to, il maestro vetrario troppo meccanico e il pittore comple-tamente ignorante dei problemi del vetro. Questi tre uomi-

ni devono fondersi in uno solo. L’artigiano ideale è uno cheha familiarità con le grandi opere del passato e del presen-te, che è un maestro nella propria tecnica e, allo stessotempo, un artista, un uomo che apprezza talmente il meglioda non essere soddisfatto dal proprio lavoro, che ha una talefiducia in sé da non accettare, come risultato finale, quel-lo che fa97.

Vennero poi le evocazioni ricche di oscurità e di lucibaluginanti di quell’inno a Chartres che è La Cathédra-le di Joris-Karl Huysmans98, apparso nel 1898, nellostesso anno in cui venne pubblicato il capolavoro diEmile Mâle, L’art religieux du XIII e  siècle en France, in cuiChartres ha tanta parte e che una cosí grande impor-tanza ebbe per Proust99; e vennero le tante evocazionidei decadenti fin de siècle che trovarono un’eco fino aPaul Claudel100. Sfiducia nelle possibilità di una cono-

scenza razionale, entusiasmi mistici, accettazione, omeglio elogio, della perpetua illusorietà delle cose abbon-dano. Basta percorrere quei testi e si troveranno ripe-tute evocazioni di minerali preziosi da cui emana unacerta cupa luminosità, simboli di un altro universo e diquesto universo, finestre che si spalancano sull’orizzon-te quotidiano; gli equivalenti figurativi non mancano, daGustave Moreau a Odilon Redon. Negli anni a cavallotra otto e novecento, quando nabis e simbolisti speri-mentavano il colore puro e le superfici bidimensionali,quando la rappresentazione e la stessa concezione dellospazio in pittura subirono un mutamento radicale, ilfascino delle vetrate conobbe il suo apice. Intanto, nel1895, Siegfried Bing espone a Parigi, alla prima esposi-zione dell’ Art Nouveau, vetrate eseguite dall’americanoLouis Comfort Tiffany (1848-1933), geniale creatore divetri nuovi e mai visti su cartoni di Toulouse-Lautrec,

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Bonnard, Vuillard, Vallotton, Sérusier e Xavier Rous-sel. Nello stesso tempo (1898) in cui i testi di Mâle e di

Huysmans conoscono un grande successo, l’editore Bat-sford pubblica a Londra Windows di Lewis Day, quellibro delizioso e intelligente, prodotto tra i piú notevo-li del movimento Arts and Crafts101, che si è appena avutomodo di citare. La terza edizione di quest’opera è del1909, e in questo decennio, tra queste due date, si col-locano alcuni dei migliori esempi di vetrate Art Nouveau, Jugendstil o edoardiane. Nel 1905 Henry Adams – chetra l’altro acquista per Isabella Stewart Gardner fram-menti di vetrate provenienti da Soissons102 – pubblica Mont -Saint - Michel and Chartres: cattolici e protestantirispondono in modo analogo agli stessi richiami profon-di di cui Charles Péguy sarà appassionato e tormentatointerprete. In Germania due maestri vetrari quali Hein-rich Oidtmann (1861-1912), figlio di un fabbricante divetri, e Fritz Geiges (1853-1935) sono nello stessotempo impegnati in colossali imprese di restauro (il

primo particolarmente in Renania, il secondo alla cat-tedrale di Friburgo) e in seri lavori storiografici103. Altempo stesso la vetrata diventa un autentico cavallo dibattaglia dei sostenitori del risveglio dell’arte sacra104.Convinzioni diverse, estetiche, religiose, ideologiche, sisono servite di questi schermi diafani, coloratissimi efragili.

Se da una parte, nel revival della vetrata, hanno

avuto grande importanza la nuova riflessione sul rap-porto arte-società e la contestazione della tradizionalegerarchia delle arti che caratterizzano gli ultimi decennidell’ottocento, un’altra spinta decisiva viene, come si èvisto, dalla profonda crisi nella rappresentazione dellospazio che si manifesta nella pittura appunto negli stes-si anni, come anche dalle nuove concezioni sull’uso e ilruolo del colore. Queste radici diverse non si sono maiinteramente fuse e ne discende piú di un’ambiguità.

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Negli anni all’inizio del secolo la vetrata, come d’altraparte il mosaico, esercitano un forte richiamo sulla fan-

tasia degli artisti. Se Klimt nei suoi dipinti evoca lo scin-tillio bidimensionale delle tessere del mosaico, Kandin-sky intorno al 19o6-907, come Augusto Giacometti pocopiú tardi, e ancora Léon Bakst o Henri Filiger, mostra-no di essere sensibili alle suggestioni della vetrata, dellasua tecnica, delle sue possibilità espressive, delle suesoluzioni formali. Proprio in coloro che andavano ricer-cando un’autonomia del segno che presto sarebbe sfo-ciata nell’astrazione, la vetrata, con le sue possibilità disistema scomponibile dal comportamento mutevole, orainerte, ora animato e vivissimo, esercita un’influenza danon sottovalutare. Non direttamente, ma tramite espe-rienze mediate, essa esercita un ruolo nel momento cru-ciale che vede alcuni artisti passare dall’ Art Nouveau odallo Jugendstil all’astrazione.

1 «Ecclesiae nostrae fenestre veteribus pannis usque nunc fueruntclausae. Vestris felicibus temporibus auricomus sol primum infulsitbasilicae nostrae pavimenta per discoloria picturarum vitra cuncto-rumque inspicientium corda pertemptant multiplicia gaudia, qui interse mirantur insofiti operis varietates. Quocirca quousque locus iste cer-nitur tali decoratus ornatu, vestrum nomen die noctuque celebrationi-bus orationum asscribitur»: Monumenta Germaniae Historica, EpistolaeSelectae III, Die Tegernseer Briefsammlung , a cura di K. Strecker, Ber-lin 1925, p. 25, nota 24.

2

william of malmesbury, De Gestis pontificum anglorum, a curadi A. Hamilton, London 1870, p. 138.3 sugerii, De Administratione in e. panofski,  Abbot Suger on the

 Abbey Church of St Denis and Its Art Treasures, Princeton 19792, p. 52,linea 12, p. 76, linea 8.

4 Il testo di heraclius è pubblicato in m. merrifield, OriginalTreatises ... on the Arts of Painting , London 1849, vol. I, pp. 185 sgg.

5  j. gage, Gothic Glass. Two Aspects of a Dyonysian Aesthetic, in«Art History», v (1982), pp. 36-58.

6 d. c. lindberg,  John Pecham and the Science of Optics, Madi-

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son-Milwaukee-London 1970 (recensito in «Speculum», xlvi (1972),pp. 322 sgg.); id., Lines of Influence in Thirteenth Century Optics. Bacon,Witelo and Pecham, in «Speculum», xlvi (1971), pp. 66 sgg.

7 Vitree albe fiant et sine crucibus et picturis in v. mortet e p.deschamps, Recueuil de textes relatifs à l’histoire de l’architecture enFrance au Moyen Age, XII e -XIII e  siècles, Paris 1929, p. 32. Sulle vetratecistercensi, cfr. principalmente: e. frodl-kraft, Das Flechtwerk der  frühen Zisterzienserfenster . Versuch einer Ableitung , in «Wiener Jahrbu-ch für Kunstgeschichte», xx (1965), pp. 7-20; h. zakin, French Cister-cian Grisaille Glass, New York - London 1979; c. norton, VarietatesPavimentorum. Contribution à l’étude de l’art cistercien en France, in«Cahiers Archéologiques», xxxi (1983), pp. 69-113; f. perrot, inSaint -Bernard et le monde cistercien, a cura di L. Pressouyre e T. N. Kin-

der, Paris 1990, pp. 250-53.8 m. harrison caviness, Sumptuous Arts at the Royal Abbeys inReims and Braine. «Ornatus elegantiae, varietate stupendes», Princeton1990, pp. 65 e 123, cita, a proposito della provenienza inglese dellevetrate, i brani di antiche cronache riportate nell’Ordinis Prae-monstratensis Chronichon di aubinus miraeus, Köln 1613 e nei Sacri et canonici ordinis Praemostratensis Annales di ch.-l. hugo, (vol. I, Nancy1734) mettendone però in luce la dubbia attendibilità.

9 Camerae illi capellam continuam posuerat, quae, etsi prima manuartificio, nichilorminus pulchrius resplenderet. Imagines tamen ibi pic-

tae, ingenio admirabili viventium speciebus expressis conformatae,intentium non solum oculos sed etiam intellectum depredaentes, intui-tus eorum in se adeo convertebant ut ipsi, suarum occupationum obli-ti, in eis delectarentur, et quos sua occupatio expectabat, per imaginesdelusi otiosi viderentur.

10 Sui trattati liturgici medievali: r. e. kaske,  Medieval ChristianLiterary Imagery. A Guide to Interpretation, Medieval Bibliographies XI,Toronto 1988; c. vogel, Medieval Liturgy. An Introduction to the Sour-ces, Washington 1986. Sul rapporto tra le vetrate e la teologia medie-vale cfr. b. j. sauer, Symbolik des Kirchengebaudes und seiner Austat-tung in der Auffassung der Mittelalter , Freiburg 19242, pp. 118-29; m. t.engels, Zur Problematik der mittelalterlichen Glasmalerei, Berlin 1937,e in particolare il cap. ii, Die geistigen Voraussetzungen der Glasmalerei,pp. 26 sgg.; l. grodecki, Fonctions spirituelles in Le Vitrail Français,Paris 1958, pp. 39 sgg.

11 Fenestrae vitrae quae sunt in ecclesia per quas ventum et pluviasarcentur et claritas solis transmittitur significant sacram scripturamquae a nobis nociva repellit et nos illuminat. Cfr. m.-th. d’alverny,Les mystères de l’Eglise d’après Pierre de Roissy, in Mélanges Réné Cro-zet , Poitiers 1966, vol. II, p. 1095. Su Pierre de Roissy, a.katzenellenbogen, The Sculptural Programs of Chartres Cathedral , Bal-

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timore 1959, pp. 78 sgg.; w. kemp, Sermo Corporeus, München 1987,pp. 125 sgg.; e particolarmente c. manhes-deremble, Les vitraux nar-ratifs de la cathédrale de Chartres, Paris 1993, pp. 22-26.

12 Sunt autem quadrati in inferiori quia praelati debent quadrari invirtutibus. Sunt et rotundi in superiori qui debent perfecti esse et proeternis Deo servire qui est Alpha et Omega [...] Sunt magnae et suntparvae, qui non omnes sunt eiusdem capacitatis. d’alverny, Les mystè-res de l’Eglise cit., pp. 1095-96; manhes-deremble, Les vitraux narratifscit., p. 2 4.

13 Su Honorius: j. flint, Heinricus of Augsburg and Honorius Augu- stodunensis: are they the same person?, in «Revue Bénédectine», xcii(1982), pp. 148-58.

14 sicardus,  Mitrale: «Vitrum fenestrarum per quod nobis radius

solis iaculatur, mens doctorum est quae coelestia per speculum in aenig-mate contemplantur [...] Fenestrae quae tempestatem excludunt etlumen inducunt sunt doctores qui haeresum turbini resistunt et fideli-bus ecclesiae lucem infundunt unde: En ipse stat post parietemnostrum, respiciens per fenestras», (Cont. 2) Lib. I, in  j.-p. migne,Patrologia Latina, vol. CCXIII, c0ll. 20-21. Cfr. p. g. ficker, Der  Mitralis, Leipzig 1889.

15 «Fenestrae vitrae sunt viri spirituales per quos nobis divina cogni-tio illuscet [...] Habent vitreas fenestras sensus spirituales per quosradio vero soli illustratur et cecitate ignorantiae suae liberatur», in

migne, Patrologia Latina, vol. CLXXVII, coll. 902-4.16 radpertus tuitensis, Commentarius in Cantica Canticorum, lib.II, in migne, Patrologia Latina, CLXVIII, col. 8661.

17 g. durandus, Rationale, divinorum officiorum, Lyon 1672, lib. I,cap. 3.

18 eudes de chateauroux, Sermo 4, in j. b. pitra, Analecta novis- sima spicilegii Solesmensis altera continuatio, Paris 1888, vol. II, pp. 273sgg. Citato in kemp, Sermo Corporeus cit., p. 96.

19  j. poulenc, in «Archivum Franciscanum Historicum», lxxvi(1983), pp. 712-13.

20 c. del corno, Giordano da Pisa e l’antica predicazione volgare,Firenze 1975, pp. 214-15, rimanda all’edizione delle Prediche ... reci-tate in Firenze dal MCCCIII al MCCCVI , a cura di J. Moreni, Firenze 1831,vol. I, p. 74.

21 l. kitschelt, Die Frühchristliche Basilika als Darstellung des himm-liches Jerusalem, München 1938; h. sedlmayr, Die Entstehung der Kathedrale, Zürich 1950, cap. 29, pp. 111 sgg.

22 l. grodecki, Introduzione al catalogo Vitraux de France du XI e au

XVI e siècle, Paris 1953, p. 15.23 h. von veldecke, Eneit , ed. Behagel, Heidelberg 1882, vv. 9468

sgg.: «et hadde in vier sinnen | goeder venstern viere | van granâte en

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van saphîre, | van smaragde ende van rubînen, | van crisolîten end vansardînen, topazien end berillen | der hadde frou Kamille | selve genoe-ch gewonnen ê des werkes worde begonnen»; w. von eschenbach, Par-

zival , ed. a cura di L. Mancinelli, Torino 1993, libro xii, 589.20-25, ilcui testo originale è: «adamâs und amatiste | (diu aventiure uns wiz-zen lât) | thopaze und grânat | crisolte und rubbîne, | smarâde und sardî-ne, | sus wârn diu venster rîche».

24 Cfr. b. roethlisberger, Die Architektur des Graaltempels im Jün- gern Titurel , Bern 1917; h. lichtenberg, Die Architekturdarstellungenin der Mittelhochdeutschen Dichtung , Münster 1931; p. frankl, TheGothic, Princeton 196o, passim; u. engelen, Die Edelsteine in der deut- schen Dichtung des 12 und 13 Jahrhundert , München 1978.

25 jean de jandun, Tractatus de Laudibus Parisii,in le roux de lincy

e tisserand, Paris et ses historiens au  XIV e 

et au XV e 

 siècle, Paris 1867,p. 44; j. lafond e l. grodecki, Les Vitraux de Notre-Dame et de la Sain-te-Chapelle, Paris 1959, p. 18.

26 Cfr. per Forzetta: l. gargan, Cultura e arte nel Veneto al tempodel Petrarca, Padova 1978, pp. 66 sgg.; id., Oliviero Forzetta e la nasci-ta del collezionismo nel Veneto, in La pittura nel Veneto. Il Trecento, acura di M. Lucco, Milano 1992, pp. 503-16.

27 [...] wide windows [...] with gaye glittering glas glowing as ye sonne.28 Sulla storicità delle rappresentazioni architettoniche nella pittu-

ra fiamminga del quattrocento cfr. e. frodl-kraft, Der Tempel von

 Jerusalem in der «Vermählung Mariae» des Meisters von Flémalle. Archaeo-logische Realien und Ideale Bildwirklichkeit , in Etudes d’Art Médiéval offertes à Louis Grodecki, Paris 1981, pp. 293-316. In particolare sullarappresentazione di vetrate nella pittura fiamminga: id., Das Bildfen- ster im Bild . Glasmalereien in den Interieurs der früeheren Niederländer ,in Bau und Bildkunst im Spiegel internationaler Forschung , Berlin 1989,pp. 166-81.

29 r. becksmann e u. d. korn, Die mittelalterlichen Glasmalereien inLüneburg und den Heideklöstern, Berlin 1992, pp. xlvi sgg.

30 f. perrot, Les verrières du XII e  siècle de la façade occidentale de lacathédrale de Chartres, in «Monuments Historiques de la France», xxiii

(1977), pp. 37-51.31 r. becksmann, Deutsche Glasmalerei des Mittelalters, Stuttgart

1988, pp. 16-17.32 j. lafond, Le Vitrail , Lyon 1988, pp. 89 sgg.33 g. vasari, Le Vite, edizione a cura di r. bettarini e p. barocchi,

Firenze 1966, vol. I, pp. 158 sgg.34 t. tasso, Prose, a cura di F. Flora, Milano 1935, p. 569.35 Lambert Lombard a Giorgio Vasari, da Liegi, 27 Aprile 1565, in

G. Gaye (a cura di), Carteggio inedito d’artisti..., Firenze 1840, vol. III,pp. 173 sgg.

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36 a. felibien des avaux, Principes de l’architecture, de la sculpture,de la peinture et des autres arts qui en dépendent, avec un dictionnaire destermes propres à chacun de ces arts, Paris 1675 (altre edizioni sono statepubblicate nel 1690 e nel 1699); j. lafond, Félibien est -il notre premier historien du vitrail? Les principes de l’architecture et l’origine de l’art dela peinture sur verre, in «Bulletin de la société de l’histoire de l’artfrançais», 1954, pp. 45-6o.

37 félibien des avaux, Principes de l’architecture cit., 16993, p. 181.38 m. a. gessert, Geschichte der Glasmalerei in Deutschland und den

Niederlanden, Frankreich, England, der Schweiz, Italien und Spanien, vonihrem Ursprung bis auf die neueste Zeit , Stuttgart-Tübingen 1839, reprintOsnabrück 1983.

39 a. michel, Histoire de l’Art , vol. V, parte I, p. 491, citato da

lafond, Le Vitrail cit., p. 92.40 « Monuments of idolatrie are remooved, taken downe and defaced; onlie the stories in glasse windowes excepted, which for want of sufficient  store of newe stuffe, and by reason of extreame charge that should grow bythe alteration of the same into white panes throughout the realme, are not altogither abolished in most places at once», in s. brown e d. o’connor,Glass Painters, London 1991, p. 69.

41 Citato in p. cowen, A Guide to Stained Glass in Britain, London1985, p. 185.

42 lafond, Le Vitrail cit. Si veda particolarmente il cap. iii,

Destinées, pp. 71-157. Sulla battuta di Cochin, cfr. ibid ., p. 120; id.,De 1560 à 1789, in Le Vitrail Français, Paris 1958, p. 325, nota 48.43 g. ritter, Les Vitraux de la Cathédrale de Rouen, Cognac 1925,

pp. 12, 27, 59; j. lafond, De 138o à 15oo, in Le Vitrail Français cit.,p. 198.

44 h. oidtmann, Rheinische Glasmalereien, Düsseldorf 1929, vol. II,p. 467; lafond, Le Vitrail cit., p. 76.

45 h. sauval, Histoire et recherche des antiquités de la ville de Paris,Paris 1724, vol. II, p. 291; lafond, Le Vitrail cit., p. 76.

46 j.-j. bourrassé e e. manceau, Verrières du chœur de l’église métro- politaine de Tours, Paris 1849, p. 18; lafond, Le Vitrail cit., p. 79.

47 u. d. korn, Bucken, Legden, Lohne, in Deutsche Glasmalerei des Mittelaiters, a cura di R. Becksmann, Berlin 1992, p. 32. Su GuillaumeBrice, cfr. j. lafond, Notre-Dame de Paris, in Les Vitraux de Notre-Dameet de la Sainte-Chapelle de Paris, CVMA, France, I, Paris 1959, p. 53 ec. brisac e  j.-j. gruber, Le métier des peintres-verriers, in «Métiersd’Art», 2, 1972, p. 31.

48 p. le vieil, L’Art de la peinture sur verre et de la vitrerie, Paris 1774.49 Ibid .50 m. harrison caviness, De convenentia et coerentia antiqui et novi

operis. Medieval conservation, restauration, pastiche and forgery in Intui-

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tion und Kunstwissenshaft, Festschrift für Hanns Swarzenski, a cura di P.Bloch, T. Buddensieg, A. Hentzen e T. Müller, Berlin 1973, pp.205-21; c. lautier, Les vitraux de la cathédrale de Chartres à la lumière

des restaurations anciennes,in Künstlerischer Austausch, Atti del XXVIIICongrès International d’Histoire de l’Art, Berlin 1992, pp. 413-24.

51 c. brisac e altri, La «Belle-Verrière» de Chartres, in «Revue del’Art», 46, 1979, pp. 16-24.

52 r. becksmann, Deutsche Glasmalerei des Mittelalters, Stuttgart1988, p. 100.

53 Medaglioni del xii secolo sono stati reimpiegati nella rosa sud diNotre-Dame di Parigi (lafond, Notre Dame de Paris cit.) e numerosiacquisti di vetrate antiche da utilizzare nei restauri sono testimoniati(lafond, Le Vitrail cit., pp. 112-13) per la chiesa di Saint-Ouen di

Rouen come per la cattedrale di Chartres.54 j. lafond, The Stained Glass Decoration of Lincoln Cathedral , in«The Archaeological Journal», ciii (1946), pp. 119-56.

55 j. lafond, Le Vitrail civil à l’église et au musée, in «Medecine deFrance», 77, 1956, pp. 16-32.

56 j. lafond, Le commerce des vitraux étrangers anciens en Angleterreau XVIII 

e  et au XIX e  Siècles, in «Revue des sociétés savantes de HauteNormandie – Histoire de l’Art», xx (1960), pp. 6-15.

57 l. grodecki, Les vitraux de Saint -Denis, Paris 1976, vol. I, p. 40.58 g. huard, Percier et l’abbaye de Saint -Denis, in «Les Monuments

Historiques de la France», 1936, pp. 140 sgg.59 Si veda la descrizione delle vetrate trasportate al museo in a.lenoir, Histoire de la peinture sur verre et description des vitraux ancienset modernes, pour servir à l’histoire de l’art, relativement à la France ,Paris 1803.

60 b. rackham, English Importations of Foreign Stained Glass in theEarly Nineteenth Century, in «Journal of the British Society of MasterGlass Painters», ii (1927), pp. 86-94.

61 j. taralon, De la Révolution à 1920, in Le Vitrail Français, Paris1958, pp. 273-91; e. castelnuovo, Vetrate francesi, in «Paragone»,113, 1959, pp. 6o-61; c. brisac, La moda delle vetrate nei secoli  XIX eXX , in Le Vetrate, Milano 1985, pp. 145-63; c. bouchon e c. brisac,Le vitrail au XIX e  siècle. Etat des travaux et bibliographie, in «Revue del’Art», 72, 1986, pp. 35-38; Le vitrail au XIX e  siècle, numero specialedelle «Annales de Bretagne et des Pays de l’Ouest», xciii (1986), n. 4;aa.vv., Ces églises du XIX e  siècle, Amiens 1993, pp. 215-46.

62 p. bloch, r. becksmann e altri,  Meisterwerke mittelalterlicher Glasmalerei aus der Sammlung des Reichsfreiherrn vom Stein, catalogo del-l’esposizione al Museum für Kunst und Gewerbe, Hamburg 1966.

63 Gedichte sind gemalte Fensterscheiben! | Sieht man vom Marktin die Kirche hinein | da ist alles dunkel und düster; | und so sieht’s;

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auch der Herr Philister: | der mag denn wohl verdriesslich sein | undlebenslang verdriesslich bleiben. | Kommt aber nur einmal herein! |Begrüsst die heilige Kapelle, | da ist’s auf einmal farbig helle, | Ge-schicht’ und Zierat glänzt in Schnelle, | bedeutend wirkt ein edlerSchein; | dies wird äuch Kindern Gottes taugen, | erbaut euch undergetzt die Augen!: j. w. goethe, Werke, Hamburger Ausgabe, Mün-chen 1981, vol. I, p. 326.

64 g. e. lessing è stato il primo editore del trattato di Theophilus(Theophili Presbyteri Diversarum Artium Schedula) pubblicato da C. Lei-ste dopo la morte di Lessing in Zur Geschichte und Literatur aus denSchätzen der Herzoglichen Bibliothek zu Wölfenbüttel , Braunschweig1781, vol. VI). Sugli interventi di Goethe sulle vetrate cfr. h. schmitz,Die Glasgemälde des Königlichen Kunstgewerbemuseum, Berlin 1913, p.

228.65 s. boisserée, Monographie de la Cathédrale de Cologne, Stuttgart1823, vol. I, pp. 22 sgg. Cfr p. frankl, The Gothic. Literary Sourcesand Interpretations Through Eight Centuries, Princeton 196o, pp. 514 sgg.

66 w. koschatsky, Neue Forschungen zu den Glasfenstern desBrandhofes, in «Alte und Moderne Kunst», xii (1967), pp. 28-33.

67 Cfr. il catalogo dell’esposizione Romantische Glasmalerei in Laxen-burg , Wien 1862; j. zykan, Laxenburg , Wien 1969.

68 e. castelnuovo, Hautecombe: un paradigma del «Gothique Trou-badour», in Giuseppe Jappelli e il suo tempo, Padova 1982, pp. 121-36.

69

 j. leliévre, La Chapelle Royale, Colmar 1986; p. ennes, nelcatalogo dell’esposizione Un âge d’or des arts décoratifs 1814-48, Paris1991, pp. 416-21.

70 e. h. thévenot, Essai historique sur le vitrail ou observations histo-riques et critiques sur l’art de la peinture sur verre, Clermont 1837; g. bon-temps, Peinture sur verre au  XIX 

e  siècle. Les secrets de cet art sont -ilsretrouvés?, Paris 1845. Bontemps, che lavorava alla cristalleria di Choi-sy-le-Roy, attiva tra il 1821 e il 1851, aveva riscoperto il modo di pro-durre il vetro rosso colorato nella massa, e questo gli valse una meda-glia all’esposizione dei Produits de l’Industrie tenutasi a Parigi nel1827. Piú tardi, in Inghilterra, l’avvocato Charles Winston, fanaticodi vetrate, mette a punto, lavorando con maestri vetrari della Powelldi Blackfriars, dei modi di coloritura dei vetri che sembrarono resu-scitare le antiche tonalità.

71 Encyclopedie Moderne, Paris 1831, vol. XXIII, p. 504.72 e. bareste, in «L’Artiste», 1837.73 j.-m. leniaud, Les Cathédrales du XIX 

e  siècle, Paris 1993; aa.vv.,Ces églises cit.

74 Un atelier di pittura su vetro fu creato a Sèvres nel 1824; parti-colarmente favorito dalla committenza di Luigi Filippo, non sopravvissemolto alla sua caduta e fu chiuso nel 1851: Un âge d’or des arts décora-

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tifs cit., pp. 416-26.75  j.-m. leniaud,  Jean-Baptiste Lassus (18o7-1857) ou le temps

retrouvé des Cathédrales, Genève 1980.76 Cfr. la bibliografia fino al 198o raccolta nel catalogo dell’esposi-

zione Viollet-le-Duc a cura di B. Foucart, Paris 198o.77 e. castelnuovo, La «cathédrale de poche». Enluminure et vitrail 

à la lumière de l’historiographie du XIX e  siècle, in «Zeitschrift für Schwei-zerische Archaeologie und Kunstgeschichte», xl (1983), pp. 91-93; c.brisac e j. m. leniaud, Adolphe-Napoléon Didron ou les médias au ser-vice de l’art chrétien, in «Revue de l’Art», 77, 1987, pp. 33-42.

78 Si veda Le Vitrail au XIX e  siècle, numero speciale delle «Annalesde Bretagne et des Pays de l’Ouest», xcii (1986), n. 4 e il capitolo LeVitrail , in Ces églises cit., pp. 215-46.

79 c. brisac e d. alliou, La peinture sur verre au  XIX e 

 siècle dans laSarthe in Le Vitrail au XIX 

e  siècle cit., pp. 389-93.80 Pubblicata nel IX volume del Dictionnaire raisonné de l’architec-

ture française du XI e au xvie  siècle, Paris 1868.

81 lafond, Le Vitrail cit., p. 40.82 f. de lasteyrie du saillant, Histoire de la peinture sur verre d’a-

 près ses monuments en France, Paris 1853-57.83 ch. winston, An Inquiry into the Differences of Style Observable

in Ancient Glass Paintings, especially in England with Hints on Glass Pain-ting, by an amateur , Oxford 1847, 2 voll. Una seconda edizione, con

qualche modifica nel testo e nelle illustrazioni, è uscita postuma nel1867. Su Charles Winston cfr. Dictionary of National Biography, Lon-don 1900, vol. 62, pp. 21 sgg.

84 Il libro è diviso in due parti, una storico-antiquaria condotta inordine cronologico, l’altra, gli Hints appunto, di tono impegnato nelpresente e propositivo, dove si fa un elogio delle manifatture tedesche,si propone una serie di principî per la pittura su vetro del presente, sidiscutono le questioni tecniche della produzione di vetri all’antica, spes-so in accordo con le idee di Bontemps.

85 th. rikman, An Attempt to Discriminate the Styles of Architecturein England from the Conquest to the Reformation, London 1817.

86 w. warrington, History of Stained Glass from the Earliest Period of the Art to the Present Time. Illustrated by Coloured Examples of Enti-re Windows in the Various Styles, London 1848.

87 gessert, Geschichte der Glasmalerei in Deutschland cit.88 w. wackernagel, Die Deutsche Glasmalerei: Geschichtlicher 

Entwurf mit Belegen, Leipzig 1855.89 e. lévy e j. b. capronnier, Histoire de la peinture sur verre en Euro-

 pe et particulierement en Belgique, Bruxelles 186o.90 n. h. j. westlake, A History of Design in Painted Glass, London

1881-94.

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91 Su Arthur Martin, animatore dell’impresa si veda f. de lastey-rie, Notice sur la vie et les travaux du père Arthur Martin, in «Bulletinde la Société Impériale des Antiquaires», 1857.

92 Monographie de la Cathédrale de Bourges par les Pères A. Martin et C . Cahier de la Compagnie de Jésus, Première partie. Vitraux du XIII e  siè-cle, Paris 1841-44.

93 j. l. romelot, Description Historique et Monumentale de l’église patriarchale, primatiale et métropolitaine de Bourges, Bourges 1824, pp.192-93.

94 bourrassé e manceau, Verrières du chœur cit.95 e. hucher, Calques des vitraux peints de la cathédrale du Mans.

Ouvrage renfermant les calques ou la reduction d’après les calques de ver-rières de cette cathédrale les plus intéressants pour les rapports de l’art et de

l’histoire, Le Mans 1864. L’autore (1814-89) dirigeva a Le Mans un’im-portante manifattura di vetrate. Precedentemente erano stati pubbli-cati alcuni calchi di vetrate della cattedrale di Bourges (cahier e mar-tin, Monographie de la Cathédrale de Bourges cit.). Cfr. anche n. blon-del, Le Vitrail , Paris 1993, pp. 386 sgg.

96 j. ruskin, The Stones of Venice, London 1893, vol. II, App. 12,pp. 393-94; id., Lectures on Art , London 1870, par. 186.

97 l. f. day, Windows. A Book about painted and stained glass, Lon-don 19093, p. 2.

98 Cfr. frankl, The Gothic cit., pp. 66o sgg.; r. griffith, The

Reactionary Revolution, London 1966.99 r. bales, Proust and the Middle Ages, Genève 1975; id., Proust et Emile Mâle, in «Bulletin de la Société des amis de Marcel Proust et desamis de Combray», 24, 1974, pp. 1925-36.

100 p. claudel, Prefazione a m. aubert, Vitraux des Cathédrales deFrance, XII e et  XIII e  siècles, Paris 1937.

101 Cfr. d. m. ross, Lewis Foreman Day Designer and Writer on Stai-ned Glass, Cambridge 1929; e. rycroft, Lewis Foreman Day, 1849-1910, in «The Journal of the Decorative Art Society», xiii (1989), pp.19-26; p. floud, Victorian and Edwardian Decorative Arts, catalogo del-l’esposizione al Victoria and Albert Museum, London 1952, p. 63; c.sewter, The Stained Glass of William Moryis and His Circle, NewHaven - London 1974; m. harrison, Victorian Stained Glass, London198o; catalogo della mostra Cento acquerelli preraffaelliti e neogoticiinglesi per vetrate, Milano 1984.

102 e. scheyer, Henry Adams as a Collector of Art , in «Art Quar-terly», xv (1952), pp. 221-33.

103 becksmann, Deutsche Glasmalerei des Mittelalters cit., pp. 19-20.104 a. cingria, La décadence de l’art sacré , Paris 1919.

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Itinerario

Augusta Arnstein an der Lahn Saint-Denis CanterburyLe Mans Chartres Bourges Parigi Colonia Marburg Rouen

Assisi Wimpfen im Tal Esslingen Siena StrasburgoKönigsfelden York

Questo itinerario integra e in qualche modo invera erende tangibile il percorso seguito sino qui. Percorso che

si snoda dalla Francia alla Germania, all’Inghilterra,all’Italia per due secoli e mezzo, dagli inizi del xii allametà del xiv: un periodo in cui le vetrate hanno rag-giunto vertici tra i piú alti della pittura medievale. Si èvoluto illustrare questa situazione attraverso esempi chepresentassero casi e centri tra i piú significativi. La scel-ta si è fermata su un numero limitato di luoghi, una ven-tina circa, di cui si è data una documentazione piú arti-

colata, scegliendo all’interno di un ciclo gli esempi piúimportanti e talvolta proponendo piú di un particolare.Dalla solenne e arcaica fissità dei profeti di Augusta

con cui ha inizio la storia delle vetrate europee alleestreme raffinatezze fabbrili di Gherlacus ad Arnstein,dalla violenza espressiva della  Ascensione di Le Mansalla varietà dei maestri di diverse nazioni operosi aSaint-Denis, e poi via via attraverso i cantieri di Can-terbury e di Chartres, di Bourges o della Sainte-Cha-

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pelle di Parigi dove nasce e si sviluppa la pittura goti-ca europea.

In Germania, da Colonia a Marburg a Wimpfen,nascono e si sviluppano nel duecento proposte alterna-tive a quelle del gotico francese. Questo tuttavia finiràper imporre all’Europa intera – da Rouen a Esslingen adAssisi – un medesimo stile nella varietà delle sue decli-nazioni. A questo punto, passando da Siena a Strasbur-go, da Königsfelden a York, il percorso si conclude conla rivoluzione apportata dall’uso del giallo d’argento edall’ingresso della tridimensionalità nella pittura suvetro. Con esse un’epoca si chiude, un’altra comincia.

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Capitolo settimo

Le origini

Quando e dove ha inizio la storia delle vetrate? Iprimi cicli conservati vengono generalmente datati nonprima del xii secolo, tuttavia, quando proprio agli albo-ri del secolo Theophilus ne parla, lascia intendere chequesta tecnica ha già alle spalle un grande passato. D’al-tra parte tutta una serie di testi che vanno dal iv all’xisecolo accennano a finestre vitree nelle chiese e anchenei palazzi e non mancano notizie in cronache e docu-menti relative all’attività di maestri vetrari: uno Stra-

cholfus, per esempio, lavorava vetrate a San Gallo aitempi di Ludovico il Pio, e queste menzioni si infitti-scono nel corso dell’xi secolo. Esistono inoltre fram-menti vitrei oggetto di molte discussioni che sono cer-tamente anteriori al xii secolo, come quelli trovati aSan Vitale di Ravenna o quelli, rinvenuti aSéry-lès-Mézières nel nord della Francia, che hanno per-messo di ricostruire una piccola vetrata con croce, o

ancora come le teste ritrovate a Lorsch, Magdeburgo,Wissembourg e Schwarzach. Negli ultimi decenni gliscavi archeologici hanno d’altra parte portato alla luce,in numero sempre maggiore, frammenti di vetri dipintie di piombi, tanto da fornire innumeri testimonianzedell’esistenza di vetrate in edifici anteriori al xii secolo.

Pesa infine sul problema un’ulteriore ipoteca: quelladel ruolo dell’oriente nell’origine e nello sviluppo dellevetrate. La questione è stata riproposta dal ritrovamen-

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to, nella chiesa del Pantocrator a Costantinopoli, diframmenti di vetri dipinti e di piombi, databili agli inizi

del xii secolo e quindi anteriori o contemporanei aiprimi grandi esempi occidentali.

Le fonti letterarie.

In molti testi letterari, anche assai remoti, si parla divetrate. In termini diversi, tuttavia. Occorrerà infattidistinguere un gruppo di scritti che va dal iv al vi seco-lo all’incirca da un altro che va dal ix all’xi. Tra i primiscrittori a menzionare, paragonandole agli occhi, le fine-stre chiuse da vetri, attraverso cui si vede il mondoesterno, è Lattanzio, morto verso il 330, che nel setti-mo capitolo del De Opificio Dei scrive di finestre «chiu-se da vetro lucente o da pietre traslucide»1. Passi ana-loghi si trovano in scritti di padri della chiesa come sanGirolamo o san Giovanni Grisostomo, che evocano tal-

volta, come termini di confronto del loro argomentare,le chiusure traslucide delle finestre che lasciano pene-trare la luce. Piú esplicitamente alcuni testi alludono avetrate poste in edifici precisi, a Roma o a Costantino-poli: cosí Aurelio Prudenzio, morto nel 413, paragonale vetrate colorate della basilica di San Paolo fuori leMura ai prati smaltati di fiori primaverili (Sic prata ver-nis floribus renident )2, mentre nel vi secolo Paolo Silen-

ziario e Procopio di Cesarea parlano di quelle di SantaSofia di Costantinopoli. In un periodo posteriore, ilLiber Pontificalis menziona vetrate donate dai ponteficialle chiese romane, e ricorda per esempio che Sergio II(844-47) in San Martino ai Monti «fece nell’abside dellefinestre un decoro con vetri di diversi colori»3. Vi è poiun’altra area nella quale, dalle menzioni fatte dai testi,appare che le vetrate abbiano abbondato: sono le Gal-lie. Qui, secondo le testimonianze, esistevano vetrate a

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Parigi, a Tours, a Nantes, a Lione, a Limoges, a Verdun.Sidonio Apollinare (43o-88) parla delle vetrate colorate

della basilica dei Maccabei a Lione, mentre piú tardiVenanzio Fortunato, morto nel 6o9, evoca le finestreinvetriate della basilica di San Vincenzo (poiSaint-Germain-des-Prés) a Parigi, costruita sotto il remerovingio Childeberto, e accenna in molti altri casiall’esistenza di finestre chiuse da vetri, e ancora la Vitadi Sant’Eligio, del vi secolo, ricorda come, per trovareun rifugio ai prigionieri, venisse infranta a Limoges unagrande vetrata della basilica di Saint-Sulpice, le cui porteerano sprangate.

Particolarmente interessante è un passo di Gregoriodi Tours (seconda metà del vi secolo) ove si racconta diun ladro che di notte scardinò le finestre di una chiesaper farne fondere il vetro ove pensava fossero statidisciolti preziosi metalli4. Il passo è rivelatore per piú diun aspetto: indica che le vetrate erano incorniciate datelai di legno e suggerisce come la vivace coloritura dei

vetri avesse alimentato la fiducia del ladro di trovarvimaterie pregiate.Dall’esame di questi testi possiamo concludere che

già nelle prime basiliche cristiane erano stati usati vetribianchi o colorati contenuti entro armature di legno ocalati entro supporti di stucco o di pietra (claustra, tran- sennae) che avevano la funzione di far passare la lucemodificandola grazie ai loro colori, ma che spesso non

erano dipinti, sí che le finestre invetriate non doveva-no differenziarsi molto da quelle chiuse da lastre di sele-nite o di alabastro.

Abbiamo tuttavia esempi assai antichi di vetri dipin-ti usati per chiudere finestre. Il caso piú noto è quellodei frammenti trovati a San Vitale di Ravenna5, unacittà in cui da tempo dovevano esistere finestre vitree,poiché una notizia dello Spicilegium Ravennatis Historiae6

ci informa che la finestra absidale della chiesa di San

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Giovanni Evangelista, un edificio fatto erigere da GallaPlacidia come ringraziamento di uno scampato pericolo

corso in mare nel 426, durante un viaggio di ritorno daCostantinopoli, era invetriata. Quanto ai resti ritrovatia San Vitale, dovevano far parte di una o piú finestredella chiesa, e alcuni di essi mostrano tracce di pittura.Dai frammenti superstiti è chiaramente riconoscibileuna figura di Cristo Pantocrator di cui è ben visibile latesta con il nimbo crociato. Resta però non chiarita unaquestione, se cioè la pittura brunastra apposta sui vetriravennati fosse stata o meno sottoposta a cottura afuoco7. I vetri non erano comunque incorniciati da piom-bi, ma piuttosto, come si deduce dalla loro forma roton-da, situati in transenne con aperture circolari. Sono staticonservati del resto a Ravenna sia transenne bronzee, siaavanzi di telai in legno (Sant’Apollinare in Classe), men-tre vari frammenti di transenne usate per chiudere fine-stre e realizzate in materiali diversi sono state ritrovatenella cattedrale di Grado, ad Aquileia, nel battistero di

Albenga8.Resti di finestre vitree del periodo carolingio sonostati rinvenuti nel corso di campagne di scavo in molteregioni d’Europa, dal mezzogiorno al settentrione, dal-l’abbazia di Farfa a quella di Saint-Denis, mentre fram-menti di vetrate assai piú antiche sono venuti alla lucenelle esplorazioni dei monasteri inglesi di Monkwear-mouth e di Jarrow9. Questi ritrovamenti trovano spie-

gazione nella Historia Abbatum di Beda il Venerabile,che narra come l’abate Benedict Biscop, fondatore deipiú celebri monasteri del Northumberland, avesse invia-to nel 675 emissari in Francia per cercarvi maestrivetrari che introducessero in Inghilterra questa tecnicasconosciuta, operazione poi ripetuta dall’abate Cuth-bert nel 75810.

Una radicale trasformazione si ebbe con la nascitadella vetrata nel vero senso del termine, vale a dire con

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la creazione di un manufatto tutto particolare, com-posto di vetri variamente colorati o monocromi, dipinti

a grisaille e tenuti insieme da un reticolo di righelli dipiombo. Rispetto a una composizione di vetri inseritiin una transenna di pietra o in un telaio di legno si haqui un autentico salto di qualità, che porta alla nasci-ta di una nuova tecnica, una tecnica che si affermeràcome una delle espressioni piú singolari e significativedell’intera arte medievale. Sarà possibile in questomodo che la vetrata si svincoli dal rapporto deter-minante con la finestra per essere qualcosa di piú diuna semplice chiusura, per acquisire una funzionearchitettonica, per diventare essa stessa parete lumi-nosa, colorata, dipinta.

Di vere e proprie vetrate come oggi le intendiamo, dicomposizioni di vetri colorati, tagliati, dipinti e messi inpiombo in modo da formare immagini o storie, trovia-mo testimonianze solo a partire dal ix secolo.

Un testo sulla consacrazione del Frauenmünster di

Zurigo, avvenuto nell’874, accenna a vetrate dipintenel modo stesso in cui era dipinto il soffitto, ma la suainterpretazione lascia adito a qualche dubbio11. Un passodella Vita di San Liudgerius vescovo di Münster, scrittaintorno alla metà del ix secolo è, per contro, assoluta-mente chiaro: vi si legge di una fanciulla cieca che, perintervento del santo, recupera la vista e si volge a indi-care con il dito le immagini sulle finestre illuminate

dall’aurora rosseggiante

12

.Da questo momento i riferimenti sono numerosi: inuna cronaca scritta da Richerius, religioso dell’abbaziadi Saint-Remi a Reims, si parla dei lavori fatti eseguirenel 969 dal vescovo Adalberto nella cattedrale, e siaccenna a «finestre che contenevano varie storie» ( fene- stris diversas continentibus historias)13; un altro cronistascrive, nel 1052, di una vetrata con il martirio di santaPascasia (santa cui nella chiesa era dedicato un altare),

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esistente nella chiesa di Saint-Benigne a Digione14, comedi un’opera antica giunta sino al suo tempo (ut quadam

vitrea antiquitus facta et usque ad nos perdurans temporaeleganti praemonstrabat pictura). Molto probabilmente lavetrata apparteneva all’abbazia fondata nell’871 daHincmarus arcivescovo di Langres, restauratore del-l’antica basilica che cadeva in rovina, anche se potreb-be darsi che risalisse piuttosto all’inizio dell’xi secolo,al tempo della ricostruzione dell’abbazia sotto Gugliel-mo da Volpiano.

Se, come appare sicuro, la vetrata come noi la inten-diamo esisteva già in epoca carolingia, la sua diffusio-ne non fu molto estesa e dovette probabilmente trova-re un limite nel periodo delle invasioni normanne. Allafine del x secolo infatti, agli occhi di Gozbertus, abatedell’abbazia di Tegernsee in Baviera, le vetrate che unaristocratico committente, il conte Arnold, aveva fattoeseguire da maestri vetrari per la sua chiesa erano, comesi è visto, delle straordinarie novità15. Il fatto che l’a-

bate considerasse in questi termini i prodotti di una tec-nica che era praticata almeno da circa due secoli hafatto pensare che la diffusione ne fosse stata bloccata.Ma fino a che punto giocava qui il topos del ringrazia-mento?

Le fonti monumentali.

Dopo i testi letterari, e ve ne sarebbero molti altri,prendiamo in esame le testimonianze materiali. Le dueprime, che risalirebbero all’epoca carolingia, sono lavetrata di Séry-lès-Mézières e quella di Lorsch. Laprima era una piccola vetrata (cm 52x46), già deposi-tata al museo di Saint-Quentin e distrutta nel 1918. Erastata ricostruita dal maestro vetrario Edmond Socardcon frammenti di vetro trovati dall’archeologo Jules

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Pilloy, in uno scavo nel 1872, in un cimitero abbando-nato verso l’anno 1000, e rappresentava una croce dal

cui braccio orizzontale pendevano un’alfa e un’omega.I frammenti di vetro colorati erano dipinti a grisaille etenuti insieme da piombi, uno dei quali fu ritrovato. Siè pensato che questa composizione di vetri potesse avercostituito il lato superiore di una cassetta-reliquiario,ma è piú probabile che fosse stata impiegata per chiu-dere una piccola finestra. La sua datazione dovrebberisalire al periodo carolingio, come risulterebbe dallastratigrafia dello scavo e da altri elementi, ma non èescluso che sia lievemente anteriore. Comune è infattinella miniatura dell’viii secolo il tema della croce conl’alfa e l’omega16.

Quanto alla seconda vetrata, quella di Lorsch, essa ècostituita dai minuti frammenti della testa di un santo,forse san Giovanni Battista, parte di una figura di scalamonumentale, ritrovati nel 1933 negli scavi dell’abba-zia consacrata nel 774 e oggi ricomposti allo Hessisches

Landesmuseum di Darmstadt. La loro datazione è pro-blematica; generalmente si ritiene che essi possano pro-venire dalla chiesa che venne ricostruita dopo l’87617 perraccogliere i resti di Ludovico il Germanico, ma LouisGrodecki non esclude una datazione piú tarda, già in etàromanica. Altri ritrovamenti di vetri colorati prove-nienti da vetrate di alta epoca (rispettivamente mero-vingia e carolingia) hanno avuto luogo a Mondeville e a

Beauvais in Normandia

18

, mentre frammenti di vetratedatabili con certezza al ix secolo, decorati con motivivegetali e con lettere, sono venuti alla luce nel corsodegli scavi portati avanti tra il 1973 e il 1990 attorno allachiesa abbaziale di Saint-Denis. Nei resti dell’atelier divetraio scoperti in questa occasione sono state addirit-tura ritrovate le forme in pietra entro cui veniva colatoil metallo bollente per fabbricare i righelli di piombo perle vetrate19. Se si aggiungono a questi i ritrovamenti di

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resti di finestre vitree dello stesso periodo a Farfa20 e letante menzioni di vetrate nei testi contemporanei, si

vedrà che l’esistenza di vetrate dipinte nell’età carolin-gia è indiscutibile. Un poco piú tardi si situa una picco-la testa di giovane, che misura circa cm 7x5, trovata inuno scavo effettuato attorno all’abbazia ottoniana diSchwarzach nel Baden. Date le sue ridotte proporzioni(il personaggio di cui ha fatto parte doveva misurareall’incirca 40 centimetri) si può pensare che abbia fattoparte di una scena leggendaria; dati archeologici, non-ché alcune somiglianze con la miniatura ottoniana, qualile illustrazioni dell’Evangelario di Ottone III , hannoindotto a datarla alla fine del x secolo21. Già all’xi seco-lo doveva risalire la testa di un martire, un frammentoritrovato nel 1926 negli scavi attorno al duomo di Mag-deburgo e quindi distrutto nella seconda guerra mon-diale. La finestra da cui proveniva era situata nella crip-ta orientale della chiesa, consacrata nel 104922. Recenteè il ritrovamento di frammenti di vetrate dipinte dell’i-

nizio dell’xi secolo a Volpiano, negli scavi dell’abbaziadi Fruttuaria fondata da san Guglielmo, cui si deveanche il rinnovamento dell’abbazia di Saint-Benigne aDigione.

A un tempo non lontano deve appartenere una pic-cola vetrata, oggi al Musée de l’Œuvre Notre-Dame diStrasburgo, che proviene, secondo la tradizione, dallachiesa abbaziale dei Santi Pietro e Paolo di Wis-

sembourg in Alsazia, una fondazione dell’viii secolo chevenne ricostruita tra il 103o e il 1070. Ha un diametrodi 25 centimetri e rappresenta una testa. I tre modi distendere la grisaille sono gli stessi descritti da Theophi-lus nel suo trattato23.

Sono questi i pochissimi resti di cui possiamo dispor-re (e due sono andati distrutti) per giudicare di ciò chefurono le piú antiche vetrate occidentali. Tecnicamen-te essi non presentano sostanziali differenze rispetto

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alle vetrate romaniche; iconograficamente notiamo chesi passa da un tipo di vetrata con motivi decorativi

(Séry) a frammenti di vetrate monumentali, a grandi per-sonaggi (Lorsch, Wissembourg), e a resti di rappresen-tazioni di storie o leggende (Schwarzach). La prevalen-za dei ritrovamenti in aree germaniche (fattore che nonha importanza determinante data l’estrema scarsità delcampione) può far dedurre che nel periodo carolingio ein quello successivo la Germania non abbia avuto in que-sta vicenda minore importanza della Francia.Precedentemente, come è logico data la differenza dilivello economico e culturale, era la Francia che preva-leva. Lo avvertiamo dai testi di Gregorio di Tours,Venanzio Fortunato, Sidonio Apollinare, dal fatto chenel vii secolo dall’Inghilterra si facesse appello a maestrivetrari francesi, infine dalla ripetuta affermazione diTheophilus sull’eccellenza dei francesi in questa tecni-ca. D’altra parte, nell’xi secolo troviamo con una certafrequenza nomi di maestri vetrari e di pittori di vetra-

te in documenti che riguardano sia la Francia, sia l’areamosana, sia la Germania. È il caso di quel maestro vetra-rio che era stato nominato canonico onorario dal ve-scovo di Auxerre Godefroy; di Fulco, pittore di paretie di vetrate, legato al monastero di Saint-Aubin diAngers24; del monaco Valerius, vir subtilis ingenii, che erauscito miracolosamente illeso da un grave incidenteoccorsogli nel sistemare una vetrata dell’abbazia di

Sainte-Mélaine a Rennes (1055-56)

25

; di Rogerus diReims a cui, «uomo di grandissimo valore, capacissimoe peritissimo in quest’arte»26, era stato fatto appello pereseguire le vetrate dell’abbazia di Saint-Hubert d’Ar-denne nel Lussemburgo; di Werinherus, detto Weczil,orafo, scriba e miniatore, ma anche pittore di vetrate,che aveva lavorato nel monastero di Tegernsee ai tempidell’abate Eberhardus, morto nel 109126; di Walterius,vitri artifex a Molême28.

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Evoluzione e mutazioni.

Potremmo schematizzare cosí quanto è emerso fino-ra: in un primo periodo (iv-viii secolo) le vetrate sono for-mate da lastre di vetro bianco o colorato, incorniciate daarmature di legno o calate entro supporti di gesso, pie-tra o stucco. Potevano essere monocrome o policrome(come i prati che brillano di fiori primaverili, aveva dettoPrudenzio parlando delle vetrate della basilica di SanPaolo); talora dipinte, come rivelano i frammenti diRavenna. Queste prime vetrate non erano sostenute daarmature di ferro né composte da diversi frammenti divetro di vari colori tagliati secondo certe forme, tenutiinsieme da piombi, dipinti e riuniti a formare immagini.

A partire dal ix secolo si impone un altro tipo divetrata, assemblaggio di vetri colorati tenuti insieme dapiombi e dipinti con grisaille vetrificata. Da figurazio-ni puramente simboliche (Séry) si passa a rappre-sentazioni di scene e personaggi. Cresce intanto il nume-

ro delle testimonianze che riguardano maestri vetrari opittori che dipingono vetrate.I due tipi di vetrata, quello inquadrato da un’armatura

e quello contenuto da claustra o transenne, potranno inun primo tempo convivere, come nel 1066 a Cassinosecondo la testimonianza di Leone d’Ostia29. Piú o menocontemporaneamente, nella seconda metà dell’xi secolo,il carpentiere Vital d’Isigny lavora per due settimane

alla cattedrale di Coutances a fare incorniciature in legnoper le finestre: «che aveva lavorato con sapienza ed ele-ganza ai telai delle finestre chiamati capsilia»30.

La vetrata orientale.

Si è accennato fin qui a esempi e a testimonianzeoccidentali, ma come si pone la questione per l’area

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orientale dove, già nel vi secolo, erano ricordate le fine-stre vitree di Santa Sofia di Costantinopoli? Sul ruolo

svolto dalle regioni del vicino oriente nell’invenzione,nei perfezionamenti e nella produzione del vetro nonesistono dubbi; esso è stato di primaria, fondamentaleimportanza. I piú antichi vetri dipinti usati per chiu-dere una finestra che siano giunti sino a noi, quelli diRavenna, sono probabilmente di origine orientale, e laSiria resta per lungo tempo l’area di produzione deivetri piú preziosi. L’uso di finestre di vetro, decoratedi pittura nera non passata a fuoco, inserite in suppor-ti di stucco, comincia nel vicino oriente nel iv secolo31.Nelle chiese altomedievali di questa regione erano esi-stite vetrate come ne esistevano nelle moschee e neigrandi palazzi dei dinasti islamici dell’viii-ix secolo.Frammenti di vetro entro supporti di stucco sono statiritrovati negli scavi del castello del califfo Al Walid I(743-44) a Kirbet Al-Mafjar, nella valle del Giordano anord di Gerico32. Ma la vetrata orientale, conosciuta nei

suoi primi tempi attraverso frammenti e solo piú tardiattraverso numerosi esempi ancora esistenti in Egitto,Siria, Palestina, Turchia, è di un tipo particolare: nonutilizza piombi, ma dispone frammenti di vetro colora-to, eventualmente dipinto a grisaille, entro supporti distucco e di gesso estremamente elaborati e tagliati constraordinaria finezza, arrivando cosí a composizionidecorative di grande bellezza, ma assai diverse da quel-

le occidentali

33

.Per contro, un importante gruppo di frammenti divetri dipinti e di piombi è stato ritrovato negli scavidella antica chiesa del Pantocrator (Zeyrek Camii) e inquella della Kariye Camii a Costantinopoli34. In questocaso è chiaro che si tratta di resti di vetrate del tuttoanaloghe a quelle dell’occidente. La loro datazione èdiscussa, ma certamente esse risalgono a un momentoanteriore alla quarta crociata e alla presenza di un

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imperatore latino sul trono di Costantinopoli. Se, comeè stato proposto, appartenessero agli inizi del xii seco-

lo, sarebbero anteriori ai grandi cicli francesi e con-temporanee alle prime importanti testimonianze tede-sche, le vetrate del duomo di Augusta, e potrebberocostituire una prova della priorità dell’oriente nellavicenda delle vetrate medievali, un argomento che ungrande bizantinista quale Ernst Kitzinger dà quasi perscontato35. Considerando tuttavia che un certo nume-ro di ritrovamenti occidentali sono anteriori alle vetra-te del Pantocrator, che all’inizio del xii secoloTheophilus, sempre attento ai caratteri artistici pecu-liari di ogni paese e informato di quanto avveniva aBisanzio, insiste sulla specializzazione dei francesi inquesto campo, e che nel trecento le vetrate di Costan-tinopoli tornano a essere le tipiche vetrate orientali consupporti di stucco abbandonando la tradizione delPantocrator, si è per lo piú ritenuto di poter scartarel’ipotesi di un’origine bizantina delle vetrate occiden-

tali e di concludere che furono piuttosto le vetrate delPantocrator a essere opera di maestri provenienti dal-l’occidente36.

Questo problema non può tuttavia essere risolto perora in un senso o nell’altro con argomenti decisivi. Restail fatto che, qualunque ne sia stata l’origine, la vetrataha conosciuto nell’occidente medievale una vicendaaltrimenti ricca, piena e complessa; a un certo momen-

to, anzi, essa ha rappresentato la tecnica-pilota di unagrande civiltà artistica37.

1 lucius coelius firmianus lattantius, De Opificio Dei, cap. vii.Su questo e altri passaggi importanti per la storia delle antiche vetra-te cfr. h. oidtmann, Die Glasmalerei, Köln 1898, vol. II, pp. 33 sgg.;id., Die Rheinischen Glasmalereien vom 12 bis zum 16 Jahrhundert , Düs-

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seldorf 1912, v0l. I, pp. 40 sgg.; j. l. fischer, Handbuch der Glasma-lerei, Leipzig 19372, pp. 1 sgg.

2 aurelii prudentii, Opera Liber Peristephaton, Inno XII, v. 53 sgg.Cfr. m. t. engels, Zur Problematik der mittelalterlichen Glasmalerei,Berlin 1937, p. 14.

3 Liber Pontificalis Ecclesiae Romanae, edizione a cura di l. duche-sne, Paris 1892, p. 94.

4 gregorius turonensis, De Gloria Martyrum, libro I, cap. 59. Cfr.m. vieillard-troiekouroff, Les Monuments chrétiens de la Gaule d’a- près les œuvres de Grégoire de Tours, Paris 1976, p. 345; e oidtmann,Die Glasmalerei cit., p. 37.

5 c. cecchelli, Vetri da finestra del San Vitale di Ravenna, in «FelixRavenna», 1930, fasc. xxxv, pp. 1-20; w. schöne, Über das Licht in

der Malerei, Berlin 1954, p. 53; g. bovini, Gli antichi vetri da finestradella chiesa di San Vitale, in «Felix Ravenna», III serie, 1965, fasc. xl,pp. 98-108.

6 Pubblicato da l. a. muratori nei Rerum Italicarum Scriptores, vol.I, 2, Milano 1725.

7 e. frodl-kraft, Die Glasmalerei, Wien 1970, p. 27.8 h. g. franz, Transennae als Fensterverschluss. Ihre Entwicklung von

der frühchristlichen bis zur islamischen Zeit , in «Istanbuler Mitteilun-gen», viii (1958), pp. 65 sgg.

9 Cfr. r. cramp, Glass finds from the Anglo-Saxon Monastery of 

 Monkwearmouth and Jarrow, in «Studies in Glass History and Design»,1968, pp. 16-19; id., Excavations at the Saxon monastic sites of Wear-mouth and Jarrow, in «Medieval Archaeology», xiii (1969), pp. 21sgg.; id., Decorated window- glass and Millefiori from Monkwearmouth,in «Antiquarian Journal», l (1970), pp. 327-35; id., Window glass fromthe monastic site of Jarrow. Problems of interpretation, in «Journal ofGlass Studies», xvii (1975), pp. 88-95; k. s. pointer, Recent discove-ries in Britain, in Atti del XI Congrès International d’ArchéologieChrétienne, Lyon 1989, pp. 2031-72. Si veda anche: d. b. harden,Domestic window-glass; Roman, Saxon and Medieval in. e. m. jope, Stu-dies in building history: Essays in recognition of the work of B. H . St JohnO’Neil , London 1961, pp. 39 sgg.

10 I testi sono raccolti da m. l. towbridge in Philological Studies in Ancient Glass, University of Illinois, «Studies in Language and Lite-rature», xiii, Urbana 1930, nn. 3-4.

11 Si tratta di una poesia sulla consacrazione del Frauenmünster,fondazione di Berta, figlia di Ludovico il Germanico, scritta dal mona-co Ratpertus di San Gallo per il suo confratello Notkerus, pubblicatanelle «Mitteilungen der antiquarischen Gesellschaft in Zürich», viii,Beilage 9, p. 11. Cfr. oidtmann, Die Rheinischen Glasmalereien cit., p.

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52. Sulle menzioni di vetrate in chiese dell’area germanica nei testi let-terari si veda la inedita dissertazione di dottorato di h. m. von erffa,Die Verwendung des Glasfensters im frühen deutschen Kirchenbau, Mün-chen 1951.

12 La Vita secunda sancti Liudgeri episcopi Monasteriensis è stata pub-blicata da j. b. nordhoff (Die Ältere Glasmalerei, in «Repertorium fürKunstwissenschaft», iii (1880), pp. 461 sgg.) dal manoscritto della finedell’xi secolo esistente nella biblioteca di Berlino (ora a Tübingen). Cfr.il catalogo dell’esposizione Karl der Grosse, Aachen 1965, pp. 510 sgg.

13 richerii, Historiarum Libri, III, 23, in  Monumenta GermaniaeHistorica, vol. III, 623, 23; cfr. oidtmann, Rheinischen Glasmalerei cit.,p. 52.

14 La notizia si trova nella cronaca dell’abbazia di Saint-Benigne a

Digione che arriva fino al 1052. Cfr. t. b. emeric-david, Histoire dela peinture au Moyen Age, Paris 1842, p. 79; oidtmann, RheinischenGlasmalereien, cit. p. 54; j. lafond, Le Vitrail , Paris 19883, p. 23.

15 Cfr. Monumenta Germaniae Historica, Epistulae Selectae, tomo III,Berlin 1925, pp. 25 sgg. Questo testo, molto spesso citato, è stato pub-blicato per la prima volta in b. petz e p. h. hüber, Thesaurus Anedoc-torum, Wien 1729, vol. VI, parte I, p. 122, n. 3. Cfr. oidtmann, Rhei-nischen Glasmalereien cit., p. 53. lafond (Le Vitrail cit., p. 23) insistesul significato di questa testimonianza, in cui vede una prova del «coupd’arrêt» subito dalla diffusione delle vetrate in seguito alle incursioni

normanne.16 j. pilloy, La châsse ou fierte de Séry-lès-Mézières,in Etudès sur d’an-ciens lieux de sepulture dans l’Aisne, Saint-Quentin 1886, vol. I, pp.75-82; j. pilloy e e. socard, Le vitrail carolingien de la chásse de Séty-lés-Mézières, in «Bulletin Monumental», 1910, pp. 5-25. Le vicendedella vetrata di Séry-lès-Mézières e la bibliografia relativa sono ana-lizzate da lafond in Le Vitrail cit., pp. 28 sgg. Cfr. anche l. grodecki,Le Vitrail Roman, Fribourg 1977, pp. 45 e 291.

17 Si veda f. gerke, Das Lorscher Glasfenster , in Beiträge zur Kunst des Mittelalters, Berlin 1950, pp. 186-92 e la scheda che ha dedicato aquesta testa, di cui ha curato la ricostruzione, g. frenzel nel catalogodell’esposizione Karl der Grosse Werck und Wirkung , Aachen 1965, n.641, pp. 467 sgg.

18 grodecki, Le Vitrail Roman cit., p. 44.19 y. rebeyrol, Saint -Denis à ciel ouvert , in «Le Monde», 14.6.1990,

p. 26.20 m. newby, Medieval Glass from Farfa, in «Annales du X Congrès

de l’Association Internationale pour l’Histoire du Verre»,Madrid-Segovia 1985, 1987, pp. 255-70.

21 r. becksmann, Das Schwarzacher Köpfchen. Ein ottonischer Gla- smalereifund , in «Kunstchronik», xxiii (1970), pp. 3 sgg.

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22 Cfr. a. koch, Die Ausgrabungen am Dom zu Magdeburg , nel primo«Sondernummer des Montagsblatt der Magdeburger Zeitung» del1926; h. wentzel, Meisterwerke der Glasmalerei, Berlin 19542, pp. 14e 105; e. frodl-kraft, Die Glasmalerei, Wien 1970, p. 63.

23 Cfr. v. beyer, Les Vitraux des Musées de Strasbourg . Catalogue,Strasbourg 1965, pp. 11 sgg., frodl-kraft, Die Glasmalerei cit., p. 63;grodecki, Le Vitrail Roman cit., pp. 49-50.

24 v. mortet, Recueil de textes relatifs à l’histoire de l’architecture...en France..., Paris 1911, pp. 264-65.

25 Ibid ., pp. 156-57.26 «Valenti admodum viro et promptissimus huius artis et peritis-

simus»: ibid ., p. 192.27 o. lehmann-brockhaus, Schriftquellen zur Kunstgeschichte des 11

und 12 Jahrhunderts, Berlin 1938, n. 3104, pp. 715-16.28 Cfr. Archives Historiques, Artistiques et Littéraires, t. I, 1889-90,p. 31.

29 Cfr. leo ostiensis, Chronicon Casinensis, libro III, capp. 27 e 34,in Patrologia Latina, t. 173, c0ll. 749, 765; oidtmann, Die Glasmale-rei cit., p. 44 sgg.; lafond, Le Vitrail cit., pp. 26 sgg. e nota 26.

30 mortet, Recueil cit., p. 143.31 d. b. harden, Roman window- panes from Jerash and later parallels,

in «Iraq», vi (1939).32 n. brosh, Glass Windows Fragments from Kirbet Al - Mafjar , in

«Annales du IIe

Congrès de l’Association Internationale pour l’Histoiredu Verre», Basel 1988, Amsterdam 1990, pp. 247-50.33 Sulla vetrata islamica cfr. h. g. franz, Neue Funde zur Geschich-

te des Glasfensters, in «Forschungen und Fortschritte», xxix (1955), pp.3o6-12; id., Die Stuckfenster im Qasr al -Hairal -Gharbi, in «Wissen-schaftliche Annalen», v (1956), pp. 465 sgg.; id., Die Fensterrose und ihre Vorgeschichte in der islamischen Baukunst , in «Zeitschrift fürKunstwissenschaft», x (1956), pp. 8 sgg.; id., Transennae als Fenster-veschluss cit.; e. lambert, Vitraux de couleur dans l’art musulman du Moyen Age, in Mélanges d’histoire et d’archéologie de l’Occident Musul-man, Alger 1958, vol. II, pp. 106 sgg.; lafond, Le Vitrail cit., pp. 13sgg.; frodl-kraft, Die Glasmalerei cit., pp. 13 sgg.; grodecki, LeVitrail Roman cit., pp. 38 sgg.; brosh, Glass Window Fragments, cit.,pp. 247-56.

34 a. megaw, Notes on recent work of the Byzantine Institute in Istan-bul , in «Dumbarton Oaks Papers», xvii (1963), pp. 333 sgg., partico-larmente pp. 348 sgg.

35 e. kitzinger in «Dumbarton Oaks Papers», xx (1966), p. 33.36 j. lafond, Découverte de vitraux historiés du Moyen Age à Con-

 stantinople, in «Cahiers Archéologiques», xviii (1968), pp. 231 sgg. Cfr.anche h. wentzel, in «Kunstchronik», xvii (1964), p. 326; l. gro-

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decki, in «Bullettin Monumental», cxxiii (1965), pp. 82 sgg. e in LeVitrail Roman cit. p. 39.

37 Anche e. kitzinger, in «Dumbarton Oaks Papers» cit., dopo aversottolineato come i ritrovamenti di Costantinopoli possano suggerireun’origine bizantina per la tecnica della vetrata, riconosce che le gran-di potenzialità della vetrata furono messe in valore solo in occidente.

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Capitolo ottavo

Le vetrate del xii secolo

I piú antichi cicli di vetrate conservati, sia in Fran-cia sia in Germania, appartengono al xii secolo. Il fattoche in due aree diverse le prime testimonianze monu-mentali superstiti siano pressoché contemporanee non ècerto casuale, come non casuale è il fatto che allo stes-so periodo, che fu quello di un generale e possente svi-luppo di questa tecnica e dei suoi prodotti, appartengail primo trattato tecnico sull’argomento, quello diTheophilus. Sembrerà strano che si conservino tante e

tanto eccezionali testimonianze delle vetrate del xii seco-lo, mentre poco o niente sussiste del periodo preceden-te. Una ragione è che nel corso di quel secolo le volte inmuratura sostituirono in modo crescente le precedenticoperture in legno, occasione di innumeri incendi conconseguenti rovinose perdite; ci si può chiedere tutta-via se, in qualche rara occasione, alcune delle vetrate checonsideriamo del xii secolo non siano in realtà un po’ piú

antiche.Molto vago infatti, tranne nei rari casi per cui esi-stono riferimenti storici precisi e controllabili, è il qua-dro cronologico che dovrebbe permettere di situare estrutturare nel tempo il panorama delle vetrate di que-gli anni. Se da un lato le notizie che si trovano in cro-nache, in obituari o in altri testi non possono quasi maiessere riferite con sicurezza alle opere ancora esistentiin loco, non ci si può d’altra parte affidare con tran-

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quillità alle date di fondazione, di ricostruzione, diconsacrazione dei singoli edifici per datare le vetrate che

ancora vi si conservano. Ciò a causa degli incendi, delledistruzioni e di altri incidenti che sovente li devastaro-no e sulla cui portata non si hanno certezze, a causaaltresí delle trasformazioni subite dalle chiese, dagli spo-stamenti e dalle sostituzioni che ebbero luogo in occa-sione della loro ricostruzione. È assai difficile stabilirese una vetrata ancora esistente in una chiesa debba o noessere vista in rapporto con questa o quella notizia tra-mandata dai testi, e i confronti stilistici con opere,magari in altre tecniche, sicuramente databili sono piúche mai necessari1.

È evidente in ogni modo che nel xii secolo la produ-zione di vetrate abbia preso a svolgersi su scala moltopiú vasta di quanto non fosse in precedenza, e che il sor-gere e lo svilupparsi in questo tempo in Francia dell’ar-chitettura che chiamiamo gotica sia stato un elementoimportante di questo sviluppo. La presenza di motivi

iconografici e di soluzioni formali che sembrano derivaredalla Francia in vetrate tedesche pone poi il problemadei rapporti che dovettero intercorrere, nel corso dellaseconda metà del secolo, tra le aree culturali francesi equelle germaniche. Si è affermato, e certo a ragione, chela differenza di destinazioni tra vetrate francesi e tede-sche in questo periodo ha avuto conseguenze chiara-mente avvertibili: mentre le prime erano create in fun-

zione dei primi edifici gotici e concepite per le finestrepiú ampie del nuovo stile, che ne imponevano dimen-sioni e forma conferendo loro qualità monumentali, lealtre erano destinate alle limitate aperture di edificiromanici, la cui funzione e il cui rapporto con la super-ficie muraria, radicalmente diversi da quelli che nell’ar-chitettura gotica intercorrevano tra finestre e pareti,non solo ne limitavano le dimensioni, ma ne determi-navano il carattere prezioso e ricercato. E tuttavia que-

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sto fatto è importante ma non determinante: la massi-ma parte delle vetrate prodotte in questo secolo fu crea-

ta per edifici romanici; la differenza tra vetrate france-si e tedesche non va dunque cercata esclusivamente nelrapporto con l’architettura.

Troviamo impiegate nel xii secolo formule che rimar-ranno valide per il futuro: vetrate a grandi personaggiper le finestre alte (cattedrali di Augusta e di Canter-bury, abbaziale di Saint-Remi a Reims), grandi compo-sizioni di impianto monumentale consacrate a episodichiave del Nuovo Testamento (Crocifissione di Poitiers, Ascensione di Le Mans e cosí via), vetrate spartite inmedaglioni dedicati a storie evangeliche, a scene dellavita di un santo, o ancora a confronti tipologici tra epi-sodi del Nuovo e dell’Antico Testamento.

Saint -Denis.

Uno dei gruppi piú ricchi e rappresentativi, sia da unpunto di vista iconografico sia da quello stilistico, sonole vetrate – conservate purtroppo solo molto parzial-mente – della chiesa abbaziale di Saint-Denis, che per-mettono di iniziare il discorso sul xii secolo con un pre-ciso punto di riferimento cronologico, anche se nonsono certo queste le vetrate piú antiche appartenenti atale periodo.

Tra il 1140 e il 1144-47 ne venne eseguito, su com-missione dell’abate Suger, un cospicuo gruppo per deco-rare le parti ricostruite della chiesa abbaziale, in parti-colare il deambulatorio del coro e le sue cappelle. Legravi vicende che l’antica chiesa, tradizionalmente lega-ta alle dinastie regnanti sulla Francia che ne avevanofatto il loro luogo di sepoltura, traversò nel periodorivoluzionario fecero sí che non molto ci sia stato con-servato della sua decorazione vitrea. Quanto di essa

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rimane venne in parte profondamente modificato dairestauri ottocenteschi, in parte allontanato e disperso in

luoghi diversi. Smontate dalla loro collocazione origi-naria e trasportate al Musée des Monuments Françaisnel 1799, e qui distribuite e accostate2 secondo una regiache mirava a effetti pittoreschi (un quadro del 1817 diCharles Marie Bouton nel museo di Bourg-en-Bressepresenta la Follia di Carlo VI ambientata nella sala delxiv secolo del museo, dove due pannelli con i grifoniprovenienti da una delle vetrate di Suger a Saint-Denissono accostati a una vetrata del cinquecento con laPietà)3, ritrasportate e rimontate nella chiesa nel 1817-18 dopo la chiusura, al tempo della Restaurazione, delmuseo, sottoposte quindi a radicali e pesanti restauri(prima del 1846 sotto la direzione dall’architettoDebret, quindi sotto l’egida di Viollet-le-Duc), molteparti ne andarono distrutte e perdute, molte vendute eoggi disperse in collezioni e musei francesi, inglesi eamericani o in chiese e in cappelle dove gli acquirenti le

vollero depositare4. Tuttavia quanto ancora rimane, o èdocumentato da disegni o altre testimonianze grafiche,è stato laboriosamente identificato e recensito, tanto dapermettere di restituire almeno una parte della grandeimpresa di Suger e di riscontrare sui testi figurativiquanto egli evoca e descrive nei suoi scritti.

Di quattro delle sette cappelle che si aprono sul deam-bulatorio, ognuna illuminata da due finestre, Louis Gro-

decki ha restituito il programma: al centro, nella cappelladella Vergine, L’albero di Jesse e la vetrata con l’infan-zia di Cristo (quest’ultima ben ricostruita da Michael W.Cothren)5, di cui in loco rimangono l’ Annunciazione conl’immagine del donatore prosternato e la Natività, men-tre altri frammenti si trovano in Inghilterra a Glasgow(Il profeta Geremia), nelle chiese di Twycross e Wilton,nella cappella di Raby Castle, al Victoria and AlbertMuseum, in Francia nel deposito dei Monuments Histo-

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riques di Champs e negli Stati Uniti nel GlencairnMuseum a Bryn Athyn presso Filadelfia. In un’altra,

prossima a questa, erano le due vetrate allegoriche dif-fusamente descritte da Suger, quella che si apre con lascena del mulino dove san Paolo riduce in farina, scar-tandone la crusca, il grano portatovi dai profeti, e quel-la con storie di Mosè, la meglio conservata; in una terzacappella due vetrate dedicate alla Passione con uncommento tipologico, dove a ogni episodio evangelicovenivano confrontate una o piú scene dell’Antico Testa-mento (di queste vetrate rimane in loco una splendidascena del Signum Tau secondo la visione di Ezechiele);in una quarta cappella, infine, due vetrate «storiche»ispirate a episodi della prima crociata e al viaggio diCarlo Magno in Terra Santa, che nel settecento furonodisegnate da Montfaucon per i suoi  Monumens de la Monarchie Françoise, e di cui due frammenti si trovanooggi nel Glencairn Museum di Bryn Athyn6. Altrove sitrovavano finestre con la vita di san Benedetto (fram-

menti se ne conservano al Musée de Cluny a Parigi, nellachiesa di Saint-Léonard a Fougères, e, in Inghilterra,nella chiesa di Twycross e nel castello di Highcliffe) econ storie di san Vincenzo, e vetrate monocrome deco-rate con figure di grifoni (frammenti di queste restanonelle finestre della prima cappella nord del deambula-torio).

L’abate Suger, pensatore e uomo d’azione, politico

nato, grande costruttore e supposto padre spirituale delnuovo stile gotico7, ordinò le vetrate a maestri che avevafatto convergere a Saint-Denis da diversi luoghi, nedettò il programma e dovette sorvegliarne da vicinol’esecuzione. Su tre aspetti di esse si sofferma partico-larmente nei suoi scritti: sull’originalità del messaggioiconografico, sulla splendida e costosa materia, sullaqualità dell’esecuzione, cui misero mano maestri «didifferenti nazioni».

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Sul significato e le novità del loro programma icono-grafico si è discusso molto, da Emile Mâle a Erwin

Panofsky, a Louis Grodecki, mettendo in evidenza l’im-portanza e la straordinaria ricezione europea della vetra-ta con l’albero di Jesse e la singolarità, ma nello stessotempo la scarsa fortuna a causa della difficoltà dellesoluzioni adottate, delle vetrate «anagogiche» e tipolo-giche8. Sulla loro materia, particolarmente esaltata dalcommittente nel caso di certi vetri azzurri «dalla mate-ria di zaffiro», ritornò a riflettere Louis Grodecki, dopoche lo smontaggio, reso necessario dalle sue gravi con-dizioni, della vetrata della vita di Mosè nel 1976 gliaveva permesso un esame ravvicinato dei vetri, conclu-dendo che la qualità del materiale era «molto bella, manon eccezionale»9.

Gli studi di Louis Grodecki e quelli successivi hannodistinto varie tendenze, atelier o gruppi di maestri chehanno lavorato al programma. Un primo atelier che haeseguito la vetrata con l’ Albero di Jesse proveniva forse

dalla Borgogna, come starebbero a provare i rapporti cheper quest’opera sono stati proposti con sculture e minia-ture borgognone10; un altro atelier, quello principale,doveva essere originario dell’Ile de France. Questo ate-lier ha dipinto la massima parte dei frammenti rimasti,le vetrate dell’infanzia di Cristo, di san Vincenzo, delpellegrinaggio di Carlo Magno e della prima crociata,nonché le due vetrate i cui resti mostrano maggiore raf-

finatezza, quella con il mulino di san Paolo e quelladelle storie di Mosè, mentre un altro atelier, verisimil-mente di provenienza mosana, si manifesta con tratti dieccezionale qualità nella scena del Signum Tau apparte-nente alla distrutta vetrata tipologica della Passione; unaltro ancora, piú andante, corsivo e ripetitivo nei modi,con figure allungate che richiamano miniature prove-nienti da scriptoria normanni, è responsabile dei fram-menti con la vita di san Benedetto11.

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In quello che è stato chiamato l’atelier principale, incui hanno lavorato diversi maestri (il che spiega gli sbal-

zi di qualità), è chiara la tendenza verso un’esecuzionepiú attenta ai valori decorativi che ai risultati monu-mentali. Certi frammenti evocano la propensione,frequentemente espressa da Suger, per la materia elettae la raffinatissima esecuzione propria alle arti suntuarie.L’abate di Saint-Denis aveva fatto lavorare per sé i piúgrandi orafi del suo tempo, commissionando loro ogget-ti di pregio singolarissimo12. Se mettiamo in rapportol’apprezzamento che egli esprime per la qualità dell’e-secuzione e la elezione della materia, e il culto della lucefondato su basi religioso-filosofiche ed estetiche tantevolte professato, comprendiamo quale fosse il genere divetrata che doveva piacergli.

La sua incondizionata ammirazione per il carattereprezioso dell’oggetto, il suo entusiasmo per l’arte deitesori ecclesiastici si vorrebbero dire fondamentalmen-te romanici, mentre il suo interesse per la luce ha inve-

ce conseguenze piú innovatrici per la luminosità dell’e-dificio e i mezzi impiegati per ottenerli. Egli intendebene gli aspetti fondamentali del nuovo stile architet-tonico messo in opera dal maestro cui aveva affidato ilprogetto del coro nuovo della chiesa abbaziale e noncessa di lodare la straordinaria luminosità che pervade-va la nuova costruzione nella cui aerea architettura, nonprima sperimentata, le vetrate hanno una funzione ben

precisa. D’altra parte esse non hanno niente della ra-dicale stilizzazione romanica che troviamo nelle vetratedell’occidente e del centro della Francia, e testimonia-no invece di uno stile meno violentemente espressivo etrasfigurante, piú equilibrato, che fu proprio alla Fran-cia settentrionale.

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Chartres.

Le vetrate commissionate da Suger per Saint-Denistrovarono una eco immediata in quelle della cattedrale diChartres. Non molto rimane della invetriatura dell’anti-ca cattedrale del vescovo Fulberto, consacrata nel 1031 edistrutta da un incendio nel 1194, ma le tre finestre dellafacciata occidentale scampata alla catastrofe contengonoquelle che probabilmente sono le piú celebri vetrate fran-cesi del xii secolo. Malgrado gli estesi rifacimenti e restau-ri cui sono state sottoposte nel corso del tempo, partico-larmente nel quattrocento e nel secolo scorso, esse hannomantenuto il loro aspetto e la loro collocazione primiti-va. Un recente intervento di pulitura e di consolidamen-to, portato avanti tra il 1973 e il 1976, ha permesso ilrecupero di quella gamma cromatica chiara e splendenteche con l’opacizzarsi dei vetri era andata perduta13.

Si tratta di tre finestre: la piú grande, posta central-mente, con storie dell’infanzia di Cristo, le due altre con

l’albero di Jesse e con le storie della Passione lateralmen-te. Se l’albero di Jesse deriva direttamente, se pure conmodificazioni, dal modello dionisiano, e se quella del-l’infanzia di Cristo, impostata secondo una sequenza sto-rica, presenta con la vetrata dello stesso soggetto aSaint-Denis notevoli rapporti, diverso è il caso della vetra-ta con storie della Passione, dove il programma tipologicodi Suger è stato abbandonato in favore di una sequenza

narrativa degli avvenimenti. La loro datazione deve porsiattorno al 1150-55, in un tempo immediatamente suc-cessivo a quello delle vetrate di Saint-Denis.

La Francia occidentale

Le vetrate piú importanti e significative dell’ovest sitrovano a Le Mans, Angers, Vendôme e Poitiers.

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Le Mans era nel xii secolo un centro di grande impor-tanza, culla della dinastia plantageneta che regnerà sul-

l’Inghilterra e, per un certo tempo, su gran parte dellaFrancia. La cattedrale, dedicata a san Giuliano, vennecostruita al posto di una chiesa carolingia che era stataeretta verso l’840. L’edificazione del nuovo edificioebbe inizio negli anni intorno al 1060 sotto l’episcopa-to dei vescovi Vulgrin (1053-65), che era stato abate diSaint-Serge di Angers, Arnaud (1065-81), Hoel (1081-96) e Hildebert de Lavardin (1097-1125). Quest’ultimo,celebre intellettuale e scrittore, aveva fatto appello comedirettore dei lavori al monaco Jean dell’abbazia dellaTrinité di Vendôme14. La consacrazione della cattedra-le nel 1158 avvenne in presenza del conte del MaineFoulque V, padre di Goffredo Plantageneto.

Coperta da un soffitto di legno, la chiesa venne perdue volte, nel 1134 e intorno al 1136-37, devastata daincendi, di cui l’ultimo in particolare bruciò il tetto cheera ancora quello di paglia postovi provvisoriamente

dopo la prima catastrofe, distruggendo con esso alcune– o tutte – le vetrate (cum fenestris vitreis concremavit ).Ilvescovo Hugues de Saint-Calais decise allora di coprirladi una volta in pietra, e la cattedrale fu terminata sottol’episcopato di Guillaume de Passavant (1144-86) e con-sacrata il 28 aprile 1158 (una data 1145 si legge sul pi-lastro sud-ovest del deambulatorio). Appartiene a questafase il portale a statue-colonne del fianco meridionale.

Le vetrate romaniche, oggi situate nelle navate late-rali, risalgono, almeno per la massima parte, al tempo diquesto prelato; tuttavia gli Atti che illustrano le impre-se dei vescovi della diocesi parlano di vetrate più anti-che in relazione alla committenza di vescovi preceden-ti. Sono questi, sullo scorcio dell’xi secolo, Hoel, di cuisi ricorda la sontuosa varietà delle vetrate erette nelcoro e nel transetto15, e, all’inizio del xii, Hildebert deLavardin, di cui si menzionano le vetrate fatte per la sala

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capitolare16 e al cui tempo era membro del capitolo unmaestro vetrario, tale Guillelmus, vitrearius, canonicus

Beati Juliani, che lasciò ai poveri e alla cattedrale i pro-venti della vendita della casa «che aveva costruito conil frutto del lavoro delle sue mani».

Ci si può domandare se tutte le vetrate commissio-nate per la cattedrale da Hoel (di cui abbiamo sicuratestimonianza), e probabilmente da Hildebert de Lavar-din, siano andate distrutte nei due incendi successiviavvenuti negli anni trenta del xii secolo, o se le piúantiche vetrate della cattedrale siano precedenti a Guil-laume de Passavant, che, secondo gli Atti dei vescovi diLe Mans, ebbe al suo servizio un pittore dalle straordi-narie capacità. Questi aveva ricevuto dal vescovo tre im-portanti commissioni per il palazzo episcopale: quella diuna camera illuminata da vetrate in cui, secondo l’anti-co topos, materiam superabat opus, di una cappella splen-didamente decorata di pitture (ma non è chiaro se suvetro o su muro), e di una sala prossima alla cappella

dove le vetrate erano di tale qualità da superare quantoaveva già fatto in precedenza.Tra le vetrate romaniche oggi superstiti nella catte-

drale la piú celebre è la mutila Ascensione, uno dei capo-lavori della pittura romanica in Francia, con le alte figu-re degli apostoli parossisticamente contorte in un apicedi espressività, un’opera che dialoga con i prodotti deigrandi scultori visionari di Souillac o di Moissac. Fin da

quando venne ritrovata da Henri Gérente, uno dei piúraffinati artefici del revival ottocentesco della vetrata,in mezzo ad altri frammenti piú recenti con cui era con-fusa, suscitò grande interesse e accese vivaci discussio-ni. Considerata dell’xi secolo da Gérente, venne stu-diata e riprodotta da Parker in un numero di «Archaeo-logia»17, discussa da Pallu nel «Bulletin Monumental» edal Du Sommerard18, e fedelmente riprodotta da uncalco in formato originale nell’opera di Eugène

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Hucher19. La datazione che spesso le si attribuisce sisitua verso il 1145-50, ma, con ogni probabilità, potreb-

be essere un poco anteriore. Essa è in stretto rapportocon la contemporanea miniatura dell’ovest, dal Sacra-mentario di Saint -Etienne di Limoges (Parigi, BibliothèqueNationale, ms Lat. 9438) alla Vita di Santa Radegonda,(Biblioteca di Poitiers, ms 250). A parte questo celebreesempio, la cattedrale conta molte altre vetrate che siscalano su tutta la seconda metà del xii secolo, e talunedi esse sono di eccezionale qualità e importanza. Cin-quantadue pannelli di vetro provenienti da quindicifinestre diverse vennero infatti reimpiegati nel 1901-905in nove finestre delle navate laterali e in tre della fac-ciata occidentale.

Nel corso del xii secolo vi lavorarono in tempi suc-cessivi diverse maestranze. Il primo atelier, più antico,fu forse guidato da quel Guillelmus vitrearius canonicodella cattedrale, ed è autore dell’ Ascensione, eseguitaprobabilmente prima del grave incendio del 1134, e del

Sogno dei re Magi. Altri pannelli con San Pietro condotto fuori della prigione e Pilato che si lava le mani, general-mente attribuiti a questo atelier, sono forse un poco piùtardi. Le Storie di santo Stefano, i cui modi sono assaidiversi da quelli dell’ Ascensione, sono opera di un altroatelier, composto da maestri che furono qui attivi pro-babilmente verso il 1155 e il 1165 dopo aver lavorato aChartres, e che fu probabilmente diretto dal pittore del

vescovo Passavant magnificato negli atti vescovili. L’at-tività di un ulteriore atelier ancora diverso dai prece-denti è stata poi ipotizzata sulla base delle Storie di sant’Ambrogio, di san Vitale, di santa Valeria (circa1175-90), che presentano rapporti con miniature pro-venienti dallo scriptorium di Mont-Saint-Michel20.

Una delle piú celebri vetrate romaniche dell’ovest, diimpostazione e di scala monumentale, è la Crocifissionedella cattedrale di Poitiers. Il coro della chiesa è chiuso

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da una parete rettilinea animata da una finestra alta piúdi otto metri contenente una vetrata donata probabil-

mente da Enrico II Plantageneto ed Eleonora d’Aqui-tania tra il 1162 e il 1175. Si tratta di una colossalecostruzione fitta di personaggi, splendida nell’intensagamma cromatica, nei potenti accordi di rossi, di az-zurri, di verdi, di gialli, romanica negli schemi rappre-sentativi, nella violenta e deformante espressività, nel-l’horror vacui, nell’ampio bordo decorato21. Forti sono irapporti con la piú antica Ascensione di Le Mans, ma ipersonaggi della Crocifissione sono più massicci, menotormentati, assottigliati, agitati.

Per rimanere ancora nella regione occidentale dellaFrancia, altre opere importanti sono ad Angers, dove lacattedrale, che ha visto succedersi grandi personalità divescovi quale Ulger (1125-48), singolare figura di intel-lettuale, conta alcune vetrate romaniche, oggi nelle fine-stre settentrionali della navata, di notevole interesse.Sono forse state donate dal canonico Hugues de Cham-

blancé (morto verso il 1170), che, come abbiamo vistonel terzo capitolo, aveva fatto sostituire con vetrate leantiche chiusure in legno delle finestre della cattedrale.Tra queste, la vetrata con storie dell’infanzia di Cristocon la bellissima scena dell’ Annunciazione (verso 1145-55), ma la chiesa conserva anche cicli piú tardivi (versoil 1180-90) con storie di san Vincenzo, storie di santaCaterina eccetera, particolarmente innovatori nella orga-

nizzazione e nella impaginazione delle finestre e nellaspartizione in medaglioni22.Una splendida ed elegantissima vetrata di questo

periodo, la Vergine entro una mandorla portata da dueangeli in basso e incensata da altri due alla sommità, èconservata nella chiesa abbaziale della Trinité di Vendô-me23. Questa venne fondata nel 1032-35, consacrata nel1040, e si ricorderà come ai tempi del vescovo Hildebertde Lavardin, attraverso l’attività di un monaco costrut-

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tore, il monastero abbia avuto stretti contatti con LeMans. Ricostruito l’edificio, a partire dalla fine del xiii

secolo, la vetrata romanica venne conservata e riadatta-ta nelle nuove strutture, un caso di conservazione ereimpiego di una vetrata piú antica analogo a molti altriin cui vetrate romaniche vennero conservate, e di cui l’e-sempio piú celebre fu quello di Notre-Dame de la Belle-Verrière nella cattedrale di Chartres.

Dall’esame delle piú antiche vetrate di Le Mans, Poi-tiers, Angers e altre esistenti nella regione o di qui pro-venienti, come la Crocifissione di Chemillé-sur-Indroismolto vicina all’ Ascensione di Le Mans, la  Maestà diVendôme, la Madonna di Ferrières (Loiret) oggi a Cope-naghen, o le vetrate di Chenu oggi a Rivenhall in Inghil-terra, si avverte bene come le vetrate dell’ovest, i cuicentri ebbero tra loro in questo periodo rapporti assaistretti, appartengano alla corrente piú espressiva, agita-ta, deformata, strenuamente stilizzante dell’arte roma-nica, e con ciò testimonino di una tendenza profonda-

mente diversa da quella piú aulica, controllata e serenaavvertibile a Saint-Denis o a Chartres.

Il centro e il sud della Francia.

Nella zona centrale e sud-orientale della Francia ilprevalere di elementi stilistici bizantineggianti giunti in

vario modo dall’Italia si manifesta nelle vetrate comenelle pitture murali o nelle miniature. L’opera meglioconservata e del tutto eccezionale si trova in Delfinato,non lontano da Grenoble, ed è la splendida vetrata del-l’Ascensione, oggi nella chiesetta di Champ-près-Froges,verisimilmente proveniente dal vicino priorato bene-dettino di Domène24. In quest’opera il disegno del fondodei medaglioni, impreziosito da una elaborata decora-zione, rivela affinità davvero singolari con i resti di

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vetrate trovati a Costantinopoli e con certe opere tede-sche. Forse da quest’area provengono alcuni medaglioni

reimpiegati nel settecento da Guillaume Brice nella rosasud di Notre-Dame di Parigi. Altri gruppi di vetrate delmedesimo momento e della stessa tendenza si trovanonella cappella di Saint-Pierre della cattedrale di Lione25

e nella cattedrale di Clermont-Ferrand26, dove una ven-tina di pannelli romanici, eseguiti in tempi differenti eche mostrano rapporti con le miniature eseguite in scrip-toria della regione nella seconda metà del xii secolo27,sono stati reimpiegati nelle finestre della cattedrale goti-ca e sono ora raggruppati nelle finestre della quarta cap-pella nord del deambulatorio.

L’est della Francia.

Sensibili legami uniscono le vetrate dell’est, e in par-ticolare alcune che erano state fatte per l’antica catte-

drale di Chalôns-sur-Marne28, agli smalti mosani del xiisecolo, e si manifestano sia a livello compositivo nel-l’impaginazione dei medaglioni, sia a livello stilisticonella rappresentazione dei personaggi e delle scene. Ilprogramma iconografico dei frammenti superstiti dellevetrate della cattedrale romanica di Châlons-sur-Marneè molto complesso. Esse sono databili nel decennio inter-corso tra l’incendio del coro della chiesa (1138) e la con-

sacrazione del nuovo coro (bruciato a sua volta nel 1230),che ebbe luogo nel 1147, piú o meno contemporanea-mente alla consacrazione di Saint-Denis di Suger, daparte di papa Eugenio III. I pannelli vennero reimpiegaticon modificazioni nelle finestre della nuova cattedralegotica, e la loro originale destinazione è stata ipotetica-mente ricostruita in occasione degli ultimi restauri.

In quella che dovette essere stata una vetrata tipolo-gica della Redenzione, la composizione centrale pren-

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deva posto entro un quadrilobo al cui centro era la Cro-cifissione con intorno le parole: Quod vetus intulit alter 

 Adam intulit in cruce fixus, che alludono al programmatipologico. Sopra la Crocifissione era l’immagine dellaChiesa, in basso quella della Sinagoga, a sinistra il Sacri-ficio di  Abramo, a destra l’Elevazione del serpente dibronzo. Dalla medesima vetrata dovevano provenire ipannelli con il Re David , il Profeta Osea, l’Uva di Canaan,la Visione di Ezechiele sul Signum Tau, Giobbe che pescail Leviatano e la Vedova di Sarepta.

Un programma di questo tipo è sovente presentenelle opere degli orafi mosani, ma quello della vetrata diChâlons-sur-Marne è particolarmente vasto, tanto cheLouis Grodecki lo ha addirittura definito il piú ampiotra i cicli tipologici mosani prima di quello ricchissimoed elaborato dell’ Ambone di Klosterneuburg di Nicolas deVerdun29. Per molti aspetti, compositivi, iconografici estilistici, questa vetrata, ricomposta, dovette esser pros-sima alla tavola, un poco posteriore, dell’ Altare di Sta-

velot (1155-65, Bruxelles, Musées Royaux), che ha al suocentro un medaglione quadrilobo in cui, sopra la reli-quia, è un pezzo di cristallo di rocca circondato da raf-figurazioni dell’Ecclesia, della Sinagoga, di Giona e diSansone e tutt’intorno quattro scene altotestamentarietra cui l’Elevazione del serpente di bronzo, il Sacrificio diIsacco e sei scene della Passione. Sui lati dell’altare, sor-retto dalle raffigurazioni dei quattro evangelisti, sono

scene del martirio dei dodici apostoli. Un’altra operamosana che può essere paragonata alle vetrate di Châ-lons-sur-Marne è il Piè di croce di Saint -Omer , prove-niente dall’abbazia di Saint-Bertin, ed è possibile anchequalche confronto con il Reliquiario di Santa Gundulf (Bruxelles, Musées Royaux).

Completamente estranee alle ricerche espressive edeformanti dell’ovest, le vetrate di Châlons-sur-Marnenon sono neppure collocabili nell’ambito di quelle

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influenze bizantine che si avvertono nelle vetrate dellaregione lionese, ma testimoniano, piuttosto, di una sorta

di classicismo, di una ricerca di equilibrio e di armoniatipiche della cultura mosana, che avrà un ruolo fonda-mentale nella nascita dell’arte gotica.

A questa tendenza si rifanno anche una serie di fram-menti di eccezionale qualità, attualmente sparsi tra varimusei (particolarmente il Musée de Cluny, il Victoriaand Albert, il Metropolitan), che si pensava dovesseroprovenire dall’antica cattedrale di Troyes ma che forsevengono dalla chiesa attigua al palazzo dei conti diChampagne, e che furono reimpiegati nelle finestre dellanuova cattedrale gotica e allontanate da queste in occa-sione di restauri30.

La chiesa abbaziale di Saint-Remi a Reims è unmonumento stupefacente, che unisce a una navata roma-nica un coro arioso e luminoso fatto costruire dall’aba-te Pierre de Celle (1162-81). Si tratta di un capolavorodella prima architettura gotica31, che con i suoi tre piani

sovrapposti di finestre invetriate propone un’immagineimpressionante della Gerusalemme Celeste. Le suevetrate furono eseguite in tempi diversi, tra il 116ocirca e il 12oo, e sono state molto danneggiate da alcuniantichi restauri, da spostamenti e dalle distruzioni par-ticolarmente severe causate dalla prima guerra mondia-le. Esse sviluppano un programma molto complesso incui si intrecciano diversi temi; tra questi particolare

importanza ha quello regale, legato al rapporto strettis-simo che l’abbazia aveva avuto con la monarchia fran-cese. Essa era sorta sulla tomba del vescovo di Reims cheaveva battezzato il primo re francese e conservava laSacra Ampolla per l’unzione dei monarchi. Proprio persottolinearne il ruolo politico, l’abate Odo (1118-51)aveva fatto elevare nella sua chiesa monumenti funebriagli ultimi re carolingi32. Un altro programma che sisvolge in una serie di immagini di vescovi e arcivescovi

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di Reims seduti, sormontati da profeti o apostoli, esal-ta l’istituto sacerdotale. Sviluppando in senso gotico e

monumentale certi elementi delle vetrate di Châ-lons-sur-Marne, il ciclo di Saint-Remi arriva a occupareuna posizione di punta al tramonto del xii secolo e ponele basi di un nuovo linguaggio, strettamente apparenta-to con quello della giovane scultura gotica33.

L’Inghilterra.

Le vetrate inglesi di questo periodo ancora conservateappartengono agli ultimi decenni del secolo; preceden-temente si hanno testimonianze scritte che provano l’e-sistenza di vetrate in alcune chiese34 e qualche opera,come il San Michele arcangelo della parrocchiale di Dal-bury, la cui datazione è tuttavia soggetta a discussione35.

Alla fine del xii secolo risalgono alcuni vetri della cat-tedrale di York eseguiti per lo piú al tempo di Roger di

Pont-l’Evêque, che fu arcivescovo della città tra il 1154e il 1181 e ricostruí il coro della chiesa36. Tra essi sonoun frammento di un albero di Jesse prossimo comeimpaginazione alle vetrate di analogo soggetto diSaint-Denis e di Chartres, nonché alcune scene (episo-di dell’Antico e del Nuovo Testamento, storie di sanNicola e di altri santi) e molte parti di bordi provenientida diverse finestre. Quanto resta delle vetrate del xii

secolo della cattedrale di York mostra elementi comunicon vetrate del nord della Francia (Saint-Denis, Char-tres, Saint-Remi a Reims), ma anche stretti rapporticon oreficerie, miniature e sculture inglesi della fine delxii secolo, tanto da poter assegnare un’origine insulareai loro autori.

Uno splendido gruppo di vetrate di questo periodo,estremamente piú consistente e meglio conservato diquanto non fosse il caso a York, è nella cattedrale di

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Canterbury, ricostruita nel nuovo stile gotico dopo l’in-cendio del 1174 sotto la direzione prima di un capo-

maestro francese, Guillaume de Sens, quindi di un ingle-se, conosciuto come William the Englishman. Il nuovocoro era terminato nel 118o e poco dopo lo furono lacripta e altre parti orientali del complesso. L’ampioprogramma iconografico dell’edificio comprendeva nellefinestre alte della claire-voie una serie di grandi figure diantenati di Cristo (piú di ottanta, di cui ne restano tren-tacinque), che cominciava con Adamo e doveva termi-nare con la Vergine, e un imponente numero di finestretipologiche e narrative, dedicate queste ultime alle leg-gende di alcuni santi. I lavori alle vetrate della chiesa siprotrassero per quasi una cinquantina d’anni, dal 1175-8o al 122o, quando vi furono traslate le reliquie di sanThomas Becket. Vi si riconoscono fasi stilistiche diver-se, dal linguaggio tardoromanico agitato e veementeall’equilibrio dello stile 12oo, alla pungente e nervosaeleganza del primo gotico. Margaret Harrison Caviness37

ha proposto di riconoscervi le mani di maestri diversi,operosi in tempi successivi ma sempre all’interno di unmedesimo atelier in cui motivi, modelli, schemi, formulevenivano trasmesse nel tempo. Il piú antico di questimaestri sarebbe stato il Maestro di Matusalemme( Methuselah Master ), autore di alcune delle impressio-nanti immagini degli antenati di Cristo; quindi il Mae-stro della Parabola del Seminatore, il Maestro dell’Al-

bero di Jesse, il Maestro di Petronella, cosí chiamato dalnome di un personaggio di una vetrata dedicata ai mira-coli di san Thomas Becket nel deambulatorio della Tri-nity Chapel, probabilmente di origine francese, e altriancora. Gli scambi con la Francia sarebbero stati fre-quenti e numerosi, e sempre la Caviness38 ha messo inluce gli stretti rapporti che uniscono alcune delle vetra-te di Canterbury dovute al Petronella Master con quelledi Saint-Remi a Reims e con quelle, oggi disperse in vari

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luoghi, della chiesa abbaziale di Braine, mentre sugliinizi del duecento saranno chiari i rapporti tra certe

vetrate di Canterbury e alcune vetrate della cattedraledi Sens39.

Vetrate romaniche in Germania.

I tratti che in certe vetrate francesi dell’est annun-ciano già lo stile pittorico gotico non si manifestano inGermania e, poiché saranno questi tratti che anche quifiniranno gradualmente per prevalere, ciò comporta che,diversamente da quanto si dà in Francia, è difficile trac-ciare per la vetrata tedesca una linea di sviluppo conti-nuo che permetta di collegare direttamente le esperien-ze della fine del xii e quelle del xiv secolo. Del resto,rispetto alla Francia le testimonianze conservate sono innumero minore e spesso in stato assai piú frammentario,tanto da non consentire di tracciare un quadro com-

plessivo sufficientemente completo e organico. Un ele-mento del massimo interesse è la corrispondenza, chia-ramente avvertibile, tra certi espedienti tecnici, certimodi di lavorazione e certe forme decorative descritti daTheophilus e alcune vetrate germaniche.

I profeti di Augusta.

Il piú antico ciclo tedesco di vetrate, e di fatto il piúantico ciclo superstite di vetrate nell’Europa intera(attualmente viene generalmente accettata una datazio-ne all’inizio del xii secolo o alla fine dell’xi, non moltoposteriore alla consacrazione della cattedrale che ebbeluogo nel 1065), è quello della cattedrale di Augusta checonta cinque figure: Davide, Daniele, Giona, Osea eMosè (ma quest’ultima è per la massima parte uno

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straordinario rifacimento del xvi secolo), di dimensionimonumentali e in ottimo stato di conservazione, resti di

una serie di profeti che originariamente trovò postonelle finestre alte della navata sul lato sud, fronteg-giando altrettante immagini di apostoli (in tutto origi-nariamente ventidue figure) in un programma che sot-tolineava la concordanza tra il Vecchio e il Nuovo Testa-mento. La presentazione frontale, la fissità dello sguar-do e una certa sommarietà del segno permettono di scor-gere qualche rapporto tra queste opere e la Testa di Wis- sembourg conservata a Strasburgo, verisimilmente piúantica ed estremamente piú sommaria. La gamma cro-matica ricca in gialli, rossi, verdi e relativamente pove-ra di blu è assai diversa da quelle delle piú antiche vetra-te francesi di Le Mans o di Poitiers, e da queste moltodifferisce il sistema del panneggio, qui composto e solen-ne, là agitato ed espressivo. Prossimo a questo fu forseil ciclo di vetrate della cattedrale di Spira, oggi non piúconservato40.

L’opera di Gherlacus.

Un altro consistente gruppo di vetrate del xii secoloin Germania, appartenente a un momento piú tardo, èquello che porta la firma e l’autoritratto di Gherlacus edeve essere stato eseguito verso a 115o-6o. Esso pro-

viene dall’abbazia premostratense di Arnstein sulla Lahnfondata nel 1139 e consacrata nel 12o6, venne acqui-stato nel 1815 dal barone Heinrich Friedrich Karl vonund zu Stein per il suo castello di Nassau ed è oggi indeposito al Westfalisches Landesmuseum di Münster.Secondo Rüdiger Becksmann le vetrate del coro di Arn-stein erano in origine cinque, una centrale con l’alberodi Jesse, due laterali con storie di Mosè e forse di San-sone, due, prossime alla centrale, con episodi della Pas-

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sione. In tutto quindici pannelli. Di questi ne rimango-no oggi cinque: tre della vita di Mosè – Il roveto arden-

te, Mosè e Aronne con la verga fiorita, Mosè riceve le tavo-le della legge – e due provenienti dalla vetrata con unabbreviato albero di Jesse che doveva esser stata fattaper la finestra assiale del coro: Il patriarca Jesse addor-mentato con il re Davide tra i rami dell’albero e il Cristotra i sette doni dello Spirito Santo; non è stato conserva-to il pannello centrale che doveva contenere la figuradella Vergine. Rispetto alla iconografia dionigiana man-cano i profeti; quanto ai re, antenati di Cristo, essi siriducono al solo David. L’autoritratto di Gherlacus conl’iscrizione che prega il Signore, non a caso invocatocome rex regum, re dei re, di essergli propizio, si trova-va probabilmente non al suo posto attuale, sotto la scenadel roveto ardente, bensí in basso a una delle scenedella Passione, oggi sparite ma la cui esistenza è stataipotizzata, accompagnato forse, su un’altra finestra, dalritratto del donatore, Ludovico III di Arnstein, che nel

1139 aveva fondato il monastero.A Gherlachus veniva attribuita anche una bellissimaCrocifissione, già al Kunstgewerbemuseum di Berlino edistrutta nel 1945. Queste vetrate mostrano una singo-lare esuberanza decorativa che ne costituisce una auten-tica caratterizzazione: fondi riccamente ornati a racemi,interventi fittissimi effettuati per asportare la grisaillecon una punta di ferro o con il manico del pennello per

far bene risaltare le tonalità chiare del vetro sottostan-te, bordi larghi, multipli con fogliami, meandri, spirali,perline, iscrizioni. È possibile che l’origine della cultu-ra figurativa di Gherlacus debba situarsi nella zona delMedio-Reno, intorno a Coblenza41, e non nell’area mosa-na come pure era stato proposto42. La sua influenza èstata avvertita in molte opere renane della seconda metàdel xii secolo, a Metz (dove gli è stata avvicinata la pic-cola Crocifissione di Sainte-Ségolène, assai interessante

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seppure molto meno raffinata dei vetri di Arnstein) e aStrasburgo dove, secondo Paul Frankl, Gherlacus avreb-

be diretto in età matura l’atelier dei maestri vetrari43

.

La cattedrale di Strasburgo.

Legate a un certo carattere aulico con forti accentibizantineggianti – gli stessi che si ritrovavano nellesplendide illustrazioni del manoscritto, distrutto nel1870, dell’Hortus Deliciarum, opera enciclopedica scrit-ta tra il 1175 e il 1195 da Herrade de Landsberg, bades-sa del monastero femminile di Mont-Saint-Odile(Hohenburg) – sono alcune vetrate alsaziane, soprat-tutto quelle del xii e degli inizi del xiii secolo della cat-tedrale di Strasburgo44. Esse vennero confezionate peruna chiesa ottoniana, trasformata quindi in edificio goti-co e radicalmente risistemata nel xix secolo, periodo incui subirono ulteriori danni per il bombardamento della

città nel 1870.La cattedrale era stata costruita dal vescovo Wehr-ner agli inizi dell’xi secolo con l’appoggio dell’impera-tore Enrico II e conclusa verso il 1015; dopo ripetutiincendi, in particolare uno catastrofico nel 1176, il corovenne ricostruito a partire dal 1176-80, il transetto futerminato nel 1230-35, e successivamente ebbe luogo lademolizione dell’antica navata che venne sostituita da

una costruzione gotica.Un tale succedersi di momenti costruttivi e di muta-menti ha avuto conseguenze sulla disseminazione invarie parti dell’edificio delle vetrate romaniche cheancora sopravvivono45 e che non sono anteriori all’e-poca degli Staufen, periodo in cui la cattedrale fu spes-so sede di cerimonie imperiali ai tempi di Enrico VI, diFederico I e di Federico II. A parte ciò che si trova ogginel museo, sussistono ancora in loco tre serie di vetrate

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romaniche, databili alla seconda metà del xii secolo,situate nell’abside, nella cappella di San Giovanni e

nella navata.Una grande vetrata con l’albero di Jesse, per eccel-lenza un tema regale, doveva trovarsi nell’abside, secon-do la ricostruzione che ne è stata tentata da FridtjofZschokke46. Oggi ne sono conservati solo alcuni fram-menti dispersi tra il transetto e la cripta. Il tema vi erastato trattato diversamente da come era stato formula-to a Saint-Denis o negli alberi di Jesse tedeschi di Arn-stein, Soest o, piú tardi, Friburgo, e metteva in risaltola glorificazione della Vergine patrona della cattedrale,rappresentata orante adorata da angeli e arcangeli. Dueframmenti con la Vergine e un angelo sono oggi situatialla sommità delle vetrate della facciata settentrionaledel transetto (la Vergine nella vetrata dei due san Gio-vanni, l’angelo alla sommità della vetrata con storie dire Salomone), mentre un arcangelo che tiene il globo eil labaro, abbigliato secondo il costume bizantino, è

inserito in una vetrata della cripta.Altre testimonianze di questo periodo (circa117o-8o), sempre ospitate oggi in una finestra del tran-setto nord, sono le scene del Giudizio di Salomone rap-presentato in tre diversi episodi: Due madri di fronte aSalomone, Salomone ordina di dividere in due il bambino,Il piccolo restituito alla vera madre. Tra gli altri relittidella cattedrale romanica è un tondo con l’Incoronazio-

ne della Chiesa da parte di Cristo, oggi in una delle rosedel transetto meridionale, le figure dei due San Giovan-ni (provenienti dalla cappella di San Giovanni nel brac-cio nord del transetto) oggi in due finestre di questaparte del transetto, una Visitazione (anch’essa origina-riamente nella cappella di San Giovanni, oggi al Muséede l’Œuvre Notre-Dame), e soprattutto le figure stantio sedute provenienti dalle finestre della navata e dellenavatelle laterali, oggi conservate parzialmente nelle

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finestre del transetto, in quelle della navata o nel museo.La navata ottoniana era di dodici campate, e se si cal-

colano le finestre delle navate laterali dovettero esiste-re in questa parte della chiesa quarantotto finestre inve-triate. Rimangono frammenti, variamente completati eincorniciati nel periodo gotico e molto ampiamente nel-l’ottocento, di una serie di imperatori (Enrico l’Uccel-latore, Federico Barbarossa, Enrico II, i tre Ottoni,Corrado II), di profeti, di apostoli e di santi martiri econfessori, e la celebre figura di imperatore (oggi nelmuseo) seduto, accompagnato da due accoliti, senzaiscrizione, la cui identità (Carlo Magno? Enrico VI?Barbarossa?) resta incerta. Fu ritrovata nel 1933 nelleriserve del museo, dopo che era stata tolta durante unrestauro da una finestra della parete est del transettomeridionale, ma ne rimane dubbia la collocazione origi-nale, che è forse da situarsi nella tribuna eretta dalvescovo Wehrner contro la facciata occidentale.

L’Alsazia e la Germania meridionale.

Assai prossimi a certe vetrate di Strasburgo, in par-ticolare ai tondi con il Giudizio di Salomone con cuihanno in comune alcuni motivi decorativi, sono dueepisodi, certamente eseguiti a Strasburgo, della storia diSansone (lo scardinamento e il trasporto delle porte di

Gaza), provenienti da una vetrata tipologica dell’abba-zia benedettina di Alpirsbach nella Foresta Nera, fon-data tra 1095 e 1098 e costruita nel corso del xii seco-lo. Le storie dell’eroe biblico dovevano essere origina-riamente raffrontate con quelle della Passione di Cristo.Oggi, assieme ad altri due frammenti con animali evan-gelici e resti di bordure, i due episodi riassemblati in unmedesimo tondo si trovano nel Württembergisches Lan-desmuseum di Stoccarda.

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A questo stesso momento dovette appartenere ladecorazione vitrea (verisimilmente sempre eseguita a

Strasburgo e oggi distrutta) della chiesa del priorato diSanta Fede a Sélestat (Schlettstadt) in Alsazia, donatada Federico Barbarossa e di cui si è parlato nel terzocapitolo. Essa comprendeva un albero di Jesse nella fine-stra assiale e, nelle due laterali, scene della fondazionee della costruzione della chiesa ed episodi del martiriodi santa Fede, la santa titolare47.

Testimonia di differenti tendenze nella situazionealsaziana di questo periodo la Madonna in maestà di Wis-sembourg (verso il 1190), reimpiegata nella secondametà del duecento entro l’oculo centrale della rosa deltransetto settentrionale della chiesa abbaziale diSaint-Pierre et Paul, che presenta nella posa frontale eieratica tratti simili a quelli di certe vetrate di Stra-sburgo, ma ne differisce per particolari caratteri – testepiccole, proporzioni allungate, pieghe spezzate emovimentate – che hanno spinto Louis Grodecki a con-

frontarla con l’Evangelario della Cattedrale di Spira48 e conl’Evangelatio di San Pietro della Landesbibliothek (Cod.St. Peter perg. 7) di Karlsruhe49. Il carattere più roma-nico che bizantineggiante dell’immagine e un piú accen-tuato e libero linearismo permette di scorgerne i rapporticon le vetrate di Saint-Remi di Reims.

Anche se per certi elementi le vetrate alsaziane hannorapporti con quelle della regione della Marna e in gene-

rale dell’est della Francia, esse rientrano pienamentenell’ambito linguistico germanico. Per molti aspetti que-sto è piú conservatore di quello francese, di cui nonpresenta, del resto, l’estrema varietà. D’altronde, se bensi caratterizza da un lato per una particolare aperturaverso le influenze bizantine che in certo modo lo ravvi-cina all’area culturale lionese (vetrate di Champ-près-Froges, Lione, Clermont-Ferrand) nonché ai frammen-ti trovati a Costantinopoli, dall’altro, lato, nella conce-

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zione della vetrata come oggetto suntuario e prezioso,la sua esperienza resta, in fondo, senza seguito.

Esempi romanici in Germania.

A parte le vetrate di Strasburgo e di Arnstein, qual-che altra vetrata germanica può essere datata in questotorno di tempo, tra cui i medaglioni che, senza fondateragioni, si voleva provenissero dal palazzo del Barba-rossa a Ingelheim e che forse provengono invece dal coroorientale della chiesa abbaziale di Maria Laach. Si trat-ta di quattro scene della vita di Cristo provenienti da unmedesimo ciclo. Due scene (la Cena in casa di Simone eCristo caccia i mercanti dal Tempio) erano al Kunstge-werbemuseum di Berlino e furono distrutte nel 1945,altre due (Bacio di Giuda e Resurrezione di Lazzaro) sonoal museo di Wiesbaden. Gli autori dei quattro pannellisono diversi: piú moderno e avanzato quello della Cac-

ciata e del Bacio di Giuda, piú tradizionale e frusto quel-lo degli altri due pannelli50.Sussistono inoltre i resti di un insieme assai inte-

ressante di vetrate che ornava la chiesa di SanktPatroklus a Soest (circa 1160-66)51, un San Bartolomeoe qualche altro frammento provenienti da Peterslahre oggi al museo di Darmstadt52, dove si trova pure unSan Vittore di Xanten i cui modi arcaici ricordano un

poco il San Timoteo di Neuwiller. Di grande qualitàuna  Madonna col Bambino, forse proveniente dallaFranconia, e i frammenti di una Natività e di una Cro-cifissione che erano appartenuti a Goethe (Weimar,Goethehaus), nonché i resti, assai rimaneggiati, di un Albero di Jesse nella chiesa di Veitsberg presso Weida,in Sassonia. Assai più tardo, già in pieno xiii secolo,ma estremamente arcaico nella postura frontale e nelfondo sottilmente decorato a racemi, il San Nicolò di

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Göfis nel Vorarlberg, oggi nel Landesmuseum di Bre-genz.

Weitensfeld e Flums.

All’ambito germanico vanno riportate altre due vetra-te isolate, La prima è la piccola e splendente Maddalena(oggi nel Museo diocesano di Klagenfurt) dalla chiesa diWeitensfeld in Carinzia, presso Gurk. Forse l’operavenne eseguita per la cappella battesimale di Weiten-sfeld dedicata ai santi Giovanni e Maddalena o per lachiesa parrocchiale di Santa Maria Maddalena a Gurk(ambedue distrutte). Si tratta probabilmente, secondoFranz Kieslinger e Walter Frodl, di una commissione delvescovo di Gurk Enrico I (1168-74), precedentementeabate di Sankt Peter a Salisburgo53. Il fondo bianco, leproporzioni allungate, la gamma cromatica ricca di bian-chi, rossi, verdi, gialli, propongono appunto rapporti con

la miniatura e pittura salisburghese di quel tempo( Antifonario di San Pietro di Salisburgo)54.La seconda vetrata, databile verso il 117o-8o, è una

 Madonna col Bambino proveniente dalla cappella di SanGiacomo (un edificio di una certa importanza fin dal-l’epoca carolingia) di Flums, nel cantone di San Gallo,oggi nel Museo nazionale svizzero di Zurigo. La Vergi-ne è del tipo della hodegetria e tiene in mano un disco

rosso (una mela?). Come nei profeti di Augusta il fondoè bianco e la gamma cromatica ridotta: bianco, giallo,rosso e azzurro; la testa della Vergine è una integrazio-ne recente. I confronti che sono stati proposti per que-sta Madonna portano su miniature dipinte in centriabbaziali svizzeri (Rheinau, Engelberg) influenzati daimodelli usciti dallo  scriptorium cluniacense di Hirsau(Engelberg, Stiftsbibliothek, ms 3; Zurigo, Zentralbi-bliothek, ms Rh. 14)55.

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1 Il fondamentale testo di riferimento per le vetrate del xii secolo èquello di l. grodecki (con la collaborazione di c. brisac), Le Vitrail Roman, Fribourg 1977, che si cita qui una volte per tutte, ma che valecome continuo riferimento per queste pagine.

2 Cfr. a. lenoir, Musée des Monuments Français. Histoire de la pein-ture sur verre et description des vitraux anciens et modernes pour servir àl’Histoire de l’Art, relativement à la France, Paris 1802, pp. 61-66.

3 Cfr. il catalogo La Jeunesse des Musées, Paris 1994.4 Per le vicende delle vetrate di Saint-Denis cfr. l. grodecki, Les

Vitraux de Saint Denis, I. Histoire et Restitution, Paris 1976.5 m. w. cothren, The Infancy of Christ Window from the Abbey of 

St -Denis: A Reconsideration of Its Design and Iconography, in «Art Bul-letin», lxviii (1986), pp. 398-419.

6 e. a. r. brown e m. w. cothren, The Twelfth Century Crusading Window of the Abbey of Saint -Denis: Praeteritorum enim RecordatioFuturorum est Exhibitio, in «Journal of the Warburg and CourtauldInstitutes», xlix (1986).

7 m. bur, Suger , Abbé de Saint -Denis, Paris 1991. Per una ridiscus-sione del ruolo di Suger nella nascita dell’architettura gotica cfr. p. kid-son, Panofsky, Suger and Saint -Denis, in «Journal of the Warburg andCourtauld Institutes», l (1987), pp. 1 sgg.

8 Sulla iconografia proposta da Suger cfr. l. grodecki, Les Vitrauxde Saint -Denis cit. (con discussione della bibliografia precedente), e gli

atti del simposio Abbot Suger and Saint-Denis, a cura di P. L. Gerson,New York 1986.9 grodecki, Le Vitrail Roman cit., p. 102.10 a. prache, Les Vitraux du XII 

e  siècle, nel numero dedicato alTesoro di Saint-Denis dei «Dossiers d’Archéologie», marzo 1991, pp.64-75.

11 l. grodecki, The Style of the Stained -Glass Windows of Saint -Denis, in  Abbot Suger and Saint -Denis cit., pp. 273-81; m. harrisoncaviness, Sugers Glass at Saint -Denis: The State of Research,in ibid ., pp.257 sgg.

12 d. gaborit chopin, Le Trésor de Saint -Denis, Paris 1991.13 Si veda il n. 1 del 1977 della rivista «Les Monuments Histori-

ques de la France».14 Si veda la lettera pubblicata da Mortet, assai interessante per i

legami tra Le Mans e Vendôme, in cui l’abate Geoffroy de Vendômescrive a Hildebert de Lavardin per richiedergli il ritorno del monaco.

15 «[...] vitreas quoque per ipsum cancellum per que cruces cir-cumquaque laudabili sed sumptuosa nimium artis varietate disporiens»,in Actus Pontificum Cenomannis in urbe degentium, pubblicati da g. bus-son e a. ledru in «Archives Historiques du Maine», II (1910).

16 «[...] domum capituli, que ibi ex multo tempore nulla penitus

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habebatur, laudabili opere cepit a fundamentis construere, eamquedecenter et undique vitreis illustravit», in Actus cit., p. 400.

17 j. h. parker, Letter from J . H . Parker to Sir Henry Ellis upon a

remarkable specimen of early painted glass, in «Archaeologia», xxxiii, tav.xvi, p. 359.

18 h. pallu, Dissertation sur l’antiquité d’une verrière de la cathédra-le du Mans, in «Bulletin Monumental», vii (1841), p. 369; a. du som-merard, Les Arts au Moyen Age, Paris 1844, vol. III, pp. 142.

19 e. hucher, Calques de vitraux peints de la cathédrale du Mans, LeMans 1864.

20 Oltre a grodecki, Le Vitrail Roman cit., cfr. c. brisac, LesVitraux du XII 

e  siècle,in aa.vv., La Cathédrale du Mans, Paris 1981, pp.61-68; id., Les Vitraux, in A. Lévy (a cura di), Le Mans, métamorphose

d’une ville, St-Jean d’Angely 1987, pp. 84-92; a. granboulan, De la parroisse à la cathédrale: une approche renouvelée du vitrail roman dansl’ouest , in «Revue de l’Art», 103, 1994, pp. 42-52.

21 ch.-a. auber, nella Histoire de la cathédrale de Poitiers, Poitiers1849, le data al xii secolo, mentre x. barbier de montault (nel «Bul-letin Monumental», liv (1885), pp. 1745 e 141-68), interpretandoun’iscrizione non bene conservata («... dit hanc vitream... Reas Blas...et s filiis), la ritarda ai primi decenni del xiii secolo, ritenendo che ildonatore ne fosse Thibault conte di Blason. Argomenti decisivi per unadatazione più antica ha portato r. crozet, Le vitrail de la Crucifixion

à la Cathédrale de Poitiers, in «Gazette des Beaux-Arts», vi serie, xi(1934), pp. 218-33, e r. grinnell, che accetta la datazione al xii seco-lo, vede nell’iconografia influenze di Gilbert de la Porrée, che di Poi-tiers era stato arcivescovo (Iconography and Philosophy in the CrucifixionWindow at Poitiers, in «Art Bulletin», xxviii (1946), pp. 171-96).

22 l. de farcy, Monographie de la Cathédrale d’Angers, Angers 1910; j. hayward e l. grodecki, Les vitraux de la Cathédrale d’Angers, in «Bul-letin Monumental», cxxiv (1966), pp. 7-67.

23 a. pascaud-granboulan, Le vitrail de la Vierge à la Trinité deVendôme, in «L’Information de l’Histoire de l’Art», 1971, pp. 128-32.

24 c. brisac, La verrière de Champ- près-Froges, in «L’Information del’Histoire de l’Art», xviii (197 2), pp. 158-62; id., The RomanesqueWindow at Le-Champ-près-Froges, in «Journal of Glass Studies», xxvi(1984), pp. 70-76.

25 c. brisac, La peinture sur verre à Lyon, in «Dossiers de l’Archéo-logie», 26, 1978, pp. 38-49.

26 h. du ranquet, Les vitraux de la Cathédrale de Clermont -Ferrand ,Clermont 1932, pp. 193-96; c. brisac, The Romanesque Panels in theCathedral of Clermont -Ferrand , in Studies in Medieval Stained Glass,CVMA, United States, Occasional Papers, I, New York 1985, pp.15-24.

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27 c. brisac, Le Sacramentaire de la Bibliothèque Municipale de Cler-mont -Ferrand . Nouvelles données sur l’art figuré à Clermont -Ferrand autour de 1200, in «Bulletin Historique et Scientifique de l’Auvergne»,lxxxvi (1974), pp. 303-15.

28 l. grodecki, La restauration des vitraux du XII e  siècle provenants de

la cathédrale de Châlons-sur-Marne, in «Mémoires de la Société d’Agri-culture, Commerce, Sciences, Arts de la Marne», xxviii (1954), pp.323-52.

29 h. buschausen, The Klosterneuburg Altar of Nicholas of Verdun. Art, Theology and Politics, in «Journal of the Warburg and CourtauldInstitutes», xxxvii (1974), pp. 1 sgg.; id., Der Verduner Altar, DasEmailwerk des Nikolaus von Verdun im Stift Klosterneuburg , Wien 1980.

30 l. grodecki, Problèmes de la peinture en Champagne pendant la

 seconde moitié du XII e 

 siècle, in Romanesque and Gothic Art . Studies inWestern Art , Atti del XX Congrès International d’Histoire de l’Art,Princeton 1963, pp. 129-41; id., Nouvelles découvertes sur les vitraux dela cathédrale de Troyes,in Intuition und Kunstwissenschaft . Festschrift für Hanns Swarzenski, Berlin 1973, pp. 191-200; ch. t. little,  MembraDisiecta. More Early Stained Glass from Troyes Cathedral , in «Gesta»,xx (1981), pp. 119-27; e. carson pastan, Fit for a Count: The TwelfthCentury Stained Glass Panels from Troyes, in «Speculum», lxiv (1989),pp. 338-72.

31 a. prache, Saint-Remi de Reims: L’œuvre de Pierre de Celle et sa

 place dans l’architecture gothique, Genève 1978.32 a. prache, Les Monuments funéraires des Carolingiens élevés àSaint -Remi de Reims au XII 

e  siècle, in «La Revue de l’Art», 6, 1969, pp.68-76.

33  j. simon, Restaurations des vitraux de Saint -Remi de Reims, in«Les Monuments Historiques de la France», n.s., 5, 1959, pp. 14-25;l. grodecki, Les plus anciens vitraux de Saint -Remi de Reims, in Beiträ- ge zur Kunst des Mittelalters. Festschrift für Hans Wentzel zum 60 Geburt- stag , a cura di R. Becksmann, U. D. Korn e J. Zahlten, Berlin 1975,pp. 65-77. Uno studio approfondito e estremamente diramato dellevetrate di Saint-Remi è stato fatto da m. harrison caviness in Sump-tous Arts at the Royal Abbeys in Reims and Braine, Princeton 1990.

34 William of Malmesbury tesse l’elogio, come si è visto nel sestocapitolo, delle vetrate dell’antica cattedrale di Canterbury, consacratanel 113o e devastata da un incendio nel 1174. m. harrison caviness,(Romanesque «belles verrières» in Canterbury?, in Romanesque and Gothic. Essays for George Zarnecki, Woodbridge 1987, pp. 35-38) ritie-ne che quattro figure di antenati di Cristo (David, Nathan, Abdia eRoboam) provengano dalla invetriatura dell’antica cattedrale.

35 r. marks, Stained Glass in England during the Middle Ages, Lon-don 1991, pp. 111-12.

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36 w. r. lethaby, Archibishop Roger’s Cathedral at York and Its Stai-ned Glass, in «Archaeological Journal», lxxii (1915); d. o’connor e j.haselock, The Stained and Painted Glass, in G. E. Aylmer e R. Cant(a cura di), A History of York Minster , Oxford 1977, pp. 313-93.

37 m. harrison caviness, The Early Stained Glass of CanterburyCathedral, c. 1175-1220, Princeton 1977; id., The Windows of Christ Church Cathedral Canterbury, London 1981.

38 harrison caviness, Sumptuous Arts at the Royal Abbeys cit.39 harrison caviness, The Early Stained Glass cit.; l. grodecki, A

 propos d’une étude sur les anciens vitraux de la cathédrale de Canterbury,in «Cahiers de Civilisation Médiévale», xxiv (1981), pp. 59-65.

40 a. boeckler, Die romanischen Fenster des Augsburger Domes und die Stilwende vom 11 zum 12 Jhr ., in «Zeitschrift des deutschen Vereins

für Kunstwissenschaft», x (1943), pp. 153-82; g. frenzel e g. hinkes,Die Prophetenfenster des Domes zu Augsburg , in «Jahrbuch der Bayeri-schen Denkmalpflege», xxviii (1970-71), pp. 83-100; r. becksmann,Deutsche Glasmalerei des Mittelalters, Stuttgart 1988, pp. 92 sgg.

41 Sono state viste in rapporto con lo stile di Gherlacus le minia-ture eseguite nello scriptorium dell’abbazia di Helmarshausen attor-no al 1175, come suggerisce la presenza di un’immagine di ThomasBecket, canonizzato in questo anno, dell’Evangeliario di Enrico il Leone, un tempo a Gmünden e oggi in una collezione privata, quel-le della Bibbia di Arnstein (circa 1172) di origine mosana (Londra, Bri-

tish Library, ms Harley 2798-99), quelle della Bibbia di Sankt Kastor di Coblenza oggi a Pommersfelden (Schlossbibliothek, Cod. 333-334)e quelle di un Evangeliario della Bibliothèque Nationale a Parigi, mslat. 17325.

42 Questa ipotesi è sostenuta nel catalogo dell’esposizione Rhein und  Maas. Kunst und Kultur 800-1400, Köln 1972, pp. 126-27.

43 grodecki, Le Vitrail Roman cit., p. 159.44 v. beyer, Les vitraux de la cathédrale de Strasbourg , CVMA, Fran-

ce, IX, 1, Paris 1986.45 Il riconoscimento dei frammenti romanici si deve a L. Schnee-

gans, che nel 1843, insieme al pittore Klein, aveva redatto l’inventa-rio delle vetrate della cattedrale e all’abate v. guerber, autore di unEssai sur les Vitraux de la Cathédrale de Strasbourg , Strasbourg 1848.

46 f. zschokke, Die Romanischen Glasgemälde der Strassburger Mün- sters, Basel 1942.

47 r. kautzsch, Die romanische Kirchenbaukunst im Elsass, Freiburg1944, pp. 242-51; r. will, Note archéologique sur l’église de Sainte-Foyde Sélestat , in «Saison d’Alsace», lvii (1976), pp. 33-51.

48 k. Preisendanz e o. homburger, Das Evangelistar des Speyer Domes, Leipzig 1930.

49 e. j. beer, Das Evangelistar aus St . Peter , Basel 1961.

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50 Vedi il catalogo dell’esposizione Die Zeit der Staufer , Stuttgart1977, v0l. I, pp. 279-8o.

51 becksmann, Deutsche Glasmalerei cit., pp. 96-97.52 s. beeh-lustenberger, Glasmalerei um 800-1900 im Hessischen

Landesmuseum in Darmstadt . Abbildungsteil , Frankfurt 1967, fig. 3.53 w. frodl, Glasmalerei in Kärnten 1150-1500, Wien 195o.54 Die Zeit der Staufer cit., n. 420, pp. 295-96; grodecki, Le Vitrail 

Roman cit., pp. 184-85, 276.55 e. j. beer, Die Glasmalereien der Schweiz, vom 12. bis zum beginn

des 14. Jahrhunderts, CVMA, Schweiz, I, Basel 1956, pp. 21-22. Altriconfronti vengono proposti con il Martyrologium di Zwiefalten (Stutt-gart, Landesbibliothek, Cod. Hist., f0l. 415) e, per la decorazione deibordi, con il soffitto dipinto della chiesa di Zillis nei Grigioni.

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Capitolo nono

Il tempo delle cattedrali

Dall’unico alla serie.

Nella prima metà del duecento la vetrata conosce ungrandissimo sviluppo, particolarmente in Francia doveil patrimonio ancora esistente supera da solo tutto ciòche è conservato nel resto d’Europa1. È un momento chevede una straordinaria accelerazione nell’evolversi e tra-sformarsi delle forme architettoniche, e un potente svi-luppo della vetrata leggendaria a medaglioni, che assu-

me impaginazioni varie e diverse; un momento in cuil’invetriatura di immense superfici è conseguenza del-l’inarrestabile progressione verso l’eliminazione dellaparete massiccia e opaca cui tendevano le più recentievoluzioni dell’architettura. Un processo continuo portaa dimensioni sempre maggiori le finestre alte, all’aper-tura verso l’esterno e alla invetriatura del triforio con laconseguente eliminazione della zona opaca intermedia

tra il piano delle finestre alte e le arcate della navata edel coro2. Ed è un momento che vede la vetrata impor-si come tecnica-pilota e influenzare con le sue tipicheforme la miniatura. Le Bibles moralisées di questo perio-do hanno una illustrazione organizzata in medaglionisovrapposti contro un fondo decorato a mosaico cherichiama l’impaginazione di certe vetrate3.

Un semplice raffronto di cifre è eloquente: contro laventina di vetrate che la cattedrale di Chartres doveva

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contare prima dell’incendio del 1196, il nuovo edificione avrà oltre centosessanta e tre grandi rose4. Si com-

prenderà come la vetrata abbia perso rapidamente le suecaratteristiche di prodotto suntuario tipiche del xii seco-lo, che la accomunavano agli smalti piú preziosi, perdivenire una tecnica monumentale e per accentuare inmolti casi il proprio carattere di prodotto seriale. Unaimpresa come l’invetriatura delle finestre della catte-drale di Chartres, circa 26oo metri quadrati di vetridipinti, attuata in un lasso di tempo di una trentinad’anni, comporta divisioni e forme di organizzazione dellavoro che possono portare a una certa ripetitività. Uncaso tra tanti dell’aspetto seriale che può assumere laproduzione è dato dall’uso dei medesimi modelli convariazioni minime nelle vetrate con gli apostoli del tran-setto settentrionale della cattedrale di Chartres5, unasituazione che si ripresenta del resto in piú di un caso,e che anzi tende a diventare una regola. In questo perio-do si moltiplicano i casi di utilizzazione degli stessi pro-

totipi, probabilmente eseguiti su stoffe, per opere diver-se e talora distanti nello spazio. I limiti di tempo impo-sti alla produzione possono facilitare la tendenza a unascrittura piú rapida, piú corsiva. La vetrata viene cosí adabbandonare il suo carattere di unicum prezioso perassumerne uno diverso, legato alle esigenze di unaproduzione piú vasta.

Non è stata esclusivamente la nuova situazione a

imporre un cambiamento stilistico, ma c’è piú di unasemplice coincidenza tra il moltiplicarsi delle vetrate ecerte alterazioni nel loro aspetto. Ogni mutamento nelletecniche di lavorazione delle materie – dai vetri ai piom-bi, ai ferri delle armature – come nella organizzazione enella divisione del lavoro comporta conseguenze sulpiano formale. Cosí i cambiamenti nei processi di colo-razione della pasta vitrea7, il variare in percentuale dicerti elementi – per esempio l’aumento del tenore in

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soda –, la diminuzione dello spessore, il diradarsi delleirregolarità e piú generalmente la relativa standardizza-

zione – un termine da usare con cautela per il xiii seco-lo! – dei vetri, il piegarsi in forme diverse delle arma-ture di ferro, contribuiscono alla grande trasformazio-ne che ha luogo nelle vetrate agli inizi del xiii secolo inFrancia, e in particolare in certe regioni della Franciasettentrionale. In effetti il mutamento stilistico non fugenerale e contemporaneo, ma partí da un’area geogra-ficamente determinata per estendersi in seguito al di làdi ogni confine. Al principio del secolo, per esempio, lebellissime vetrate della cattedrale di Strasburgo nonpossono certamente essere comprese tra i testi della pit-tura gotica, appartenendo a tutt’altro sistema stilistico.

Quali sono i nuovi caratteri delle vetrate duecente-sche? In che modo possono essere definiti gotici? In cherapporto le tendenze che si manifestano nelle vetratesono presenti in opere di altre tecniche? Quali furono,infine, i principali centri, le tendenze più importanti?

Quali i cicli meglio conservati? Allo stato attuale delleconoscenze, con tante vetrate duecentesche ancorainsufficientemente riprodotte o addirittura inedite e ilCorpus Vitrearum Medii Aevi ben lungi dall’essere com-piuto, non sarà possibile andare al di là di qualche ipo-tesi, e occorrerà limitarsi a registrare la situazione qualeappare dagli studi piú recenti.

Disegno e impaginazione.

Per definire i caratteri delle vetrate della prima metàdel duecento sarà bene distinguere due livelli di lettura:il primo che considera la vetrata nel suo insieme, ilsecondo che analizza invece i modi di rappresentazioneadottati nelle singole scene. Una lettura che si tenga alprimo livello rivela con chiarezza la tendenza ad arric-

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chire e a complicare con ingegnose soluzioni geometri-che la disposizione dei medaglioni che, nelle vetrate leg-

gendarie, contengono le scene.Confrontando due vetrate, una del xii e una del xiiisecolo, appare evidente la crescente importanza assun-ta dal moltiplicarsi e dal variare degli schemi geometri-ci che presiedono alla loro impaginazione. Se nell’etàromanica questa era stata in generale piuttosto sempli-ce (medaglioni tondi o quadrati sovrapposti, affiancatio eventualmente alternati come nella vetrata della giovi-nezza di Cristo a Chartres), benché a Châlons-sur-Marne,a Saint-Denis, a Poitiers e a Canterbury si abbiano esem-pi di impaginazione di una certa complessità, essa divie-ne assai più ricca e complicata. I medaglioni vengono oraorganizzati in vari modi in combinazioni e moltiplica-zioni sapienti, ottenute attraverso l’intersecazione, laripetizione, la dimidiazione e la rotazione di elementisemplici come il circolo o il quadrato, e sono struttura-ti dalle forme delle armature. Questo modo di organiz-

zazione non si limita alla sola tecnica della vetrata. Tes-suti, pagine miniate, bassorilievi si sottomettono allostesso principio, che regna sovrano dal timpano di unportale allo zoccolo di una facciata, alla parete di unacassa-reliquiario, alla superficie di un dossale d’altare, aun paramento liturgico. Si tratta di un fenomeno chenell’età precedente non era stato cosí manifesto, e cherisponde a quel bisogno di raggruppare gli elementi con

ordine e con chiarezza caratteristico dell’arte goticarispetto a quella romanica, esigenza che, secondo ErwinPanofsky8, discende dalle forme di organizzazione delpensiero e la cui realizzazione grafica mostra come lageometria sia, per eccellenza, lo strumento di organiz-zazione delle superfici. Il maître d’œuvre gotico disponedi pochi strumenti, principalmente il compasso e la squa-dra, con questi crea delle meraviglie e ne è cosciente: invarie miniature del xiii secolo Dio padre è rappresenta-

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to nell’atto della creazione mentre maneggia abilmentesquadra e compasso.

Un tale modo di organizzare entro una superficie dif-ferenti rappresentazioni raggruppandole e distribuen-dole in medaglioni di varia forma ha origini complesse,che sono state ben illustrate da Jurgis Baltrusaitis9. Sefondamentalmente esso risale ai pavimenti a mosaicoromani, un passo decisivo è rappresentato dalle ricerchedei miniatori carolingi e particolarmente ottoniani (Van- geli della Badessa Uta di Niedermünster , Monaco, Baye-rische Staatsbibliothek; Evangeliario di Enrico II, Roma,Biblioteca Apostolica Vaticana, ambedue illustrati all’i-nizio dell’xi secolo negli  scriptoria di Ratisbona), chehanno speculato insistentemente sulle combinazioni dicerchi, semicerchi, rettangoli, rombi, esplorandone lepossibilità. D’altra parte il medaglione polilobato risul-tante dalla combinazione di quattro circoli e un quadratosi trova in manoscritti bizantini della fine dell’xi seco-lo (Vangelo della Biblioteca Palatina di Parma). L’uso di

questa formula da parte dei grandi smaltisti della Mosae del Reno del xii secolo deriva sia dai modelli ottonianisia da quelli bizantini e si trasmette alle vetrate (vetra-te di Châlons-sur-Marne, parte inferiore della Crocifis- sione di Poitiers). Ora il medaglione polilobato natodalla compenetrazione di circoli e quadrati, o quello aquadrifoglio nato dalla intersezione di diversi circoli,avranno un ruolo importante nel disegno e nella com-

posizione gotici: l’impaginazione a vari elementi com-binati si presterà a discorsi simbolici complessi.

Forme della rappresentazione.

Venendo ora al secondo livello di lettura e analiz-zando i modi della rappresentazione nelle singole scene,si avvertirà come i personaggi abbiano generalmente

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una scala ridotta rispetto all’intera zona delimitata dalcompasso, siano immersi in uno spazio piú ampio e cir-

condati da una superficie piú vasta e meno ingombra,come le figure siano più allungate, piú esili di quantonon avvenisse nel secolo precedente. Lineamenti e corpinon sono stravolti e distorti da una tormentosa edesasperata frenesia espressiva, prevalgono atteggiamen-ti piú calmi, mentre i movimenti dei personaggi sono piúsciolti e disinvolti e le pieghe cadono in modo piú armo-nico rivelando attraverso frequenti punti di contatto ilcorpo sottostante. C’è anche una chiara tendenza all’ab-bandono della presentazione frontale che viene adotta-ta assai meno frequentemente di quanto non avvenissein precedenza.

Lo stile 1200.

La situazione nei primi decenni del duecento è lungi

tuttavia dall’essere unitaria, come non lo era stata delresto nel secolo precedente, tanto che a ogni enuncia-zione con pretese generalizzanti si potrà sempre oppor-re una miriade di casi particolari che vi contrastano.Malgrado ciò è possibile isolare alcuni aspetti che si pre-sentano con particolare frequenza ed evidenza. Inprimo luogo, una tendenza che, per i riferimenti piú omeno diretti a modelli antichi, potremmo chiamare

classicheggiante. Essa si manifesta nel canone di pro-porzioni, nell’organizzazione del panneggio, nelleespressioni e nei movimenti. In secondo luogo è evi-dente l’abbandono di una stilizzazione estrema e defor-mante a favore di una resa piú vera, di un’attenzionerivolta ai dati naturali.

Nell’ornamentazione dei bordi, alle palmette e agliacanti fiorenti e stilizzati tipici della tradizione romani-ca, si contrappongono il virgulto, il tralcio di vite, il

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ramo di quercia o altri motivi vegetali immediatamentericonoscibili attinti dall’osservazione diretta. Ma il pas-

saggio non è generale e immediato. Se i primi esempi dibordi naturalistici nelle vetrate sono precoci e contem-poranei alle ricerche condotte parallelamente nella scul-tura monumentale, gli ampi bordi romanici si manter-ranno per decenni. Le due movenze, classicheggiante enaturalistica, non vanno disgiunte. Il rivolgersi a model-li classici è anzi una conseguenza, un portato dellavolontà di trovare formule e schemi che permettano diraggiungere un certo grado di naturalezza, che piú dialtri possano condurre a una rappresentazione meno sti-lizzata, piú varia e prossima a una resa immediata deldato osservato.

Una nuova movenza stilistica caratterizzata da unavivissima attenzione per i modelli classici, favorita dallacircolazione accresciuta di opere bizantine, avori, libridi modelli, oreficerie, miniature che ha luogo in questoperiodo, si afferma tra la fine del xii e gli inizi del xiii

secolo tra valle della Mosa, Champagne e Piccardia rag-giungendo l’Inghilterra la Renania, la Germania meri-dionale e l’Italia del nord. A essa è stato dato il nomedi «stile 1200»10. Il grande orafo Nicolas de Verdun, lamassima personalità artistica di questo tempo, i cui modisono conosciuti e ripresi in tutta Europa, ne è il prota-gonista. Il nuovo stile, sereno, equilibrato, composto, simanifesta nelle arti suntuarie come nella scultura o nella

miniatura (Salterio di Ingeburge a Chantilly)

11

e ha profon-de ripercussioni nel campo delle vetrate, dall’Inghilter-ra (Canterbury) alla Normandia (Rouen), alla Piccardia(Laon, Soissons), alla Champagne (Troyes, Reims, Brai-ne, Orbais, Baye), alla Borgogna (Sens), all’area del lagoLemano (Losanna), alla Germania (Friburgo, Ratisbo-na). In questo campo del resto era stato attivo un omo-nimo del grande Nicolas, probabilmente un figlio, ricor-dato come pittore di vetrate a Tournai nel 121712.

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La Francia.

La Francia retta dalla monarchia capetingia è unpaese in piena espansione le cui città conoscono unairruente crescita economica. In occasione della rico-struzione delle grandi cattedrali viene qui prodotto ilmaggior numero di vetrate e si conoscono le esperienzee le innovazioni piú importanti. In un celebre articoloche ha suscitato molte discussioni, Roberto S. Lopez13

aveva messo in evidenza il grande immobilizzo di capi-tali che aveva comportato, per le ricche città francesi delduecento, l’erezione e la decorazione di grandiose cat-tedrali in una straordinaria forma di emulazione, ipo-tizzando che la stagnazione economica e il declino suc-cessivo di queste città fosse una conseguenza propriodelle eccessive spese in questo campo. Fu una tesi moltodiscussa e contrastata, ma che illustra con particolareefficacia l’esistenza di un problema.

La Piccardia e il nord .

Un’area situata nel nord del paese, quella della Pic-cardia, dove nelle vetrate delle cattedrali di Laon e diSoissons si manifesta una precoce tendenza classicheg-giante, ha svolto un ruolo assai importante nella storiadella vetrata francese del duecento, facendo sentire la

propria influenza anche in centri lontani grazie allamobilità dei suoi maestri. Purtroppo questi cicli hannoconosciuto tremende traversie, hanno subito estesedistruzioni, radicali restauri, spostamenti, dispersioni, síche una grande quantità di frammenti, spesso di altissi-ma qualità, provenienti da chiese di questa regione sonostati espulsi dal loro contesto in occasione di campagnedi restauri, sottratti alla loro originaria collocazione eimmessi sul mercato. Si veda il caso delle vetrate della

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cattedrale di Laon, dedicata alla Vergine, la cui costru-zione promossa, come attesta un obituario della chiesa,

dal vescovo Gautier de Mortagne (1155-74), che vi con-tribuí con propri denari, era iniziata verso il 1160. Dopoil 1205 aveva avuto luogo la ricostruzione del coro,come si evince da un testo del cartulario che affermacome in questa data la cava di pietra di Chermizy, cheverrà utilizzata nella costruzione del coro, fosse statapresa in gestione dal capitolo della cattedrale, dopo esse-re stata abbandonata dal signore del luogo. Delle moltevetrate che decoravano le circa duecento finestre e lequattro rose della chiesa ben poche sussistono ancora inloco. Ancora piú radicale è il caso della cattedrale diSoissons consacrata ai santi Gervasio e Protasio costrui-ta alla fine del xii secolo (braccio sud del transetto) enegli anni successivi (il coro è già esemplato sul model-lo di Chartres). Le sue vetrate, la cui realizzazione avevacomportato un impegno finanziario diretto del re Filip-po Augusto, sono disperse in varie collezioni e musei, ed

è un fatto significativo per la storia del commercio e delcollezionismo delle vetrate che gran parte di esse si tro-vasse ancora al suo posto nella prima metà dell’otto-cento14. Quanto è ancora conservato in loco nelle duecattedrali e quanto è stato identificato nei musei e nellecollezioni come di tale provenienza permette tuttaviaqualche caratterizzazione. Le ricerche di Louis Gro-decki15 hanno messo a fuoco come una medesima tem-

perie culturale, fortemente marcata dal classicismo dellostile 1200, segnasse l’attività degli atelier all’opera aLaon nella vetrata della Passione nel coro, a Soissonsnella vetrata con l’albero di Jesse donata da FilippoAugusto intorno al 1210 (di cui alcuni elementi sussi-stono ancora in loco, altri al Glencairn Museum a BrynAthyn e altri ancora, i piú belli purtroppo, furonodistrutti con le collezioni del Kunstgewerbemuseum aBerlino durante l’ultima guerra), nella vetrata con le

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storie di san Nicasio (oggi divisa tra il Louvre e l’IsabellaStewart Gardner Museum di Boston), in quella di san

Biagio, anch’essa dispersa tra Parigi e gli Stati Uniti, ein alcune vetrate dell’antica collegiata di Saint-Quentin.Tra le vetrate che manifestano in modo più signifi-

cativo i caratteri classici e nello stesso tempo naturali-stici dello stile 1200 è la splendida finestra assiale conun programma tipologico imperniato attorno alla Cro-cifissione della chiesa abbaziale di Orbais in Champa-gne, databile attorno al 12oo appunto, al momentodella costruzione delle parti alte del coro. Qui unostraordinario virgulto naturalistico si arrampica lungoil bordo e il complesso programma iconografico, legatoa quello delle antiche vetrate di Châlons-sur-Marne ècomposto e impaginato con grande attenzione agli effet-ti spaziali16.

Nella stessa area e nello stesso clima culturale, forsedovute ai medesimi maestri che hanno lavorato aOrbais, sono le vetrate della cappella castrale di Baye

(caso rarissimo di conservazione delle vetrate in unmonumento di questo tipo) costruita tra il 1205 e il122017.

In stretto rapporto con questa cultura è la rosa dellafacciata meridionale del transetto della cattedrale diLosanna eseguita da un maestro piccardo18. Il grandeciclo cosmologico unitariamente organizzato entro lasuperficie della rosa (il cui diametro misura circa nove

metri), spartita all’interno da una serie di quadrati inessa inscritti, è un autentico vertice della composizioneenciclopedica figurata. La sua singolare forma ha attiratol’attenzione di Villard de Honnecourt che ne ha ricor-dato lo schema, pur apportandovi numerose varianti, inuna delle pagine del suo taccuino, annoverandola cosí trai casi esemplari di disegno architettonico19. Ne fu auto-re Pierre d’Arras, a Losanna tra il 1217 e il 1235, e iconfronti che per quest’opera si possono istituire riman-

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dano tutti, sia sul piano iconografico sia su quello stili-stico, verso la Francia del nord20.

Diverso è il caso di quattro medaglioni con scenedella vita del Battista anch’essi provenienti dalla cat-tedrale di Losanna. Stilisticamente assai lontani dallarosa, meno gotici e per contro aperti a influenze bi-zantine, essi sono stati messi in rapporto con vetrate diLione e di Clermont-Ferrand e con esempi renani. Trat-ti caratteristici ne sono una rilevante presenza di ele-menti architettonici, le figure mosse, un panneggiomolto abbondante con un modo tipico di ritorcerlo eavvolgerlo intorno alla vita che ricorda certi personag-gi dell’altare di Klosterneuburg di Nicolas de Verdun eche rimandano anche in questo caso, sia pure soltantoper certi particolari, alle piú antiche manifestazionidello stile 1200. Molti elementi di questi medaglionisembrano in effetti indicare una datazione abbastanzaprecoce21.

Chartres.

Il piú esteso e celebre insieme di vetrate di quest’e-poca è quello della cattedrale di Chartres22. In tempi nontroppo lontani, anzi, l’intero duecento era letto nelsegno di Chartres, considerato come centro propulsoreed egemone di un gran periodo della storia della vetra-

ta. Oggi questo punto di vista non è piú condiviso, inprimo luogo perché sono stati messi in luce altri centricon tendenze specifiche proprie (in particolare, come siè visto, il nord-est, fortemente classicheggiante), in se-condo luogo perché Chartres, lungi dal presentare unaspetto unitario, fu piuttosto luogo di incontro e discontro di tendenze molto distanti.

Ci si trova qui di fronte a opere spesso di ecceziona-le livello, a personalità diverse, a una miriade di pro-

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blemi che vanno dalla seriazione cronologica dell’insie-me alla caratterizzazione dei singoli maestri, alla orga-

nizzazione degli atelier, alle ipotesi sulla loro prove-nienza, al rapporto non sempre facile da impostare e daverificare tra pluralità di maestri e pluralità di atelier23.Controverso è stato il problema della collocazione cro-nologica delle varie vetrate. Se il punto di vista piú con-diviso è quello che situa le vetrate delle navate lateralianteriormente a quelle del coro e in un periodo piúavanzato le rose delle facciate sud e nord del transettoe le finestre alte, non è mancato chi ha voluto invertirela precedenza tra coro e navate24. Il problema è compli-cato dal fatto che le opinioni sono state per lungo tempodiscordi anche sulle tappe della ricostruzione della cat-tedrale, che alcuni vorrebbero far iniziare dal coro, altridalla navata25. Intorno al 1217, in ogni modo, le strut-ture piú importanti della chiesa erano erette e su di esseposava la volta. Questa data ci viene da un passaggiodella Philippide, opera di Guillaume le Breton, cappel-

lano e storiografo di Filippo Augusto, che alla ri-costruzione della cattedrale di Chartres dedica una tren-tina di versi – scritti probabilmente tra il 1214 e il 1217– del quarto libro della sua opera, dove parla tra l’altrodella nuova volta grazie alla quale la chiesa non temeràpiú il fuoco fino al giorno del Giudizio26.

Per certe finestre e per la rosa sud e nord esistonoalcuni punti fermi grazie alla presenza di donatori sto-

ricamente situabili

27

. Quanto ai raggruppamenti stilisti-ci e alla distinzione delle mani, iniziati con la monografiadel canonico Delaporte e sviluppati in molti studi diLouis Grodecki28, sono state ormai ricostruite, attri-buendo loro un nome convenzionale, un gran numero dipersonalità attive con diversi ruoli, talora di progettistie di pittori di una vetrata, talora di collaboratori a unavetrata concepita da altri. Alcuni di questi maestri par-tecipano delle tendenze espressive tipiche dell’ovest –

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cosí il Maestro di Saint-Lubin, autore di alcune vetratedella navatella sinistra tra cui quella da cui prende il

nome dedicata a Leubinus vescovo di Chartres29

, o ilMaestro del Buon Samaritano –, altri invece si mostra-no all’unisono con le tendenze classiche di Soissons,Saint-Quentin e Laon, come il geniale Maestro diSaint-Eustache, uno dei massimi pittori del duecento30.Altri ancora rivelano contatti con l’ambiente parigino;lo provano i rapporti esistenti tra le vetrate della rosaoccidentale della cattedrale di Chartres e quelle dellarosa occidentale di Notre-Dame di Parigi.

Alcuni di questi maestri sono piuttosto arcaizzanti,altri, la cui opera avrà vaste ripercussioni, risolutamen-te moderni e aperti verso l’avvenire. Le tendenze eurit-miche, armoniche, lineari che si esprimono in alcunedelle vetrate più famose, come quella della Morte dellaVergine nella navata laterale sud o nelle vetrate di Carlo Magno,di San Giacomo e nelle molte a esse collegate neldeambulatorio, contrastano con ricerche espressive più

accentuate, con soluzioni più plastiche, talora con unostile più violento e brutale. Questo è ben rappresentatodal Maestro di Saint-Chéron31, che prende nome da unavetrata del deambulatorio offerta dai tagliapietra e dagliscultori, il cui linguaggio angoloso e severo è avvertibi-le sia nelle vetrate alte della navata, sia in certe finestrealte del coro e nella rosa sud.

La maggior parte dei problemi resta dunque aperta:

tra essi è quello dei rapporti che uniscono certe vetra-te della cattedrale di Chartres a opere esistenti in altricentri, da Laon a Soissons, a Sens, a Parigi, a Le Mans,che si possono spiegare in certi casi con la provenien-za da questi ambienti di maestri operosi a Chartres, esuccessivamente con una diaspora dei maestri di Char-tres. Altro problema di grande importanza è quello deirapporti che a Chartres sono intercorsi tra sculture evetrate.

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Per molti aspetti nel campo della vetrata e in quellodella scultura la situazione appare simile nella presenza

contemporanea di maestri di differente provenienza eorientamento: anche tra coloro che operarono alle vetra-te si trovano artisti veramente innovatori e di straordi-naria qualità come era stato in scultura il grande Maestrodelle Teste dei Re nel portale nord32. Un punto interes-sante da chiarire sarebbe quello dell’interscambio tra idue territori. Si è già accennato all’osservazione di LouisGrodecki che rilevava l’esistenza di caratteri comuni trasculture e vetrate di Chartres. Ciò può essere spiegato siacon l’esistenza di disegni preparatori forniti da uno stes-so artista a coloro che operavano nelle due tecniche, siacon l’influenza che le ricerche e le soluzioni trovate in uncampo poterono esercitare sull’altro.

Centri francesi nel duecento. Bourges.

Una situazione analoga a quella di Chartres si pre-senta a Bourges33, la cui cattedrale ospita un altro ecce-zionale complesso vitreo degli inizi del duecento. Quisono stati distinti alcuni gruppi di opere raggruppandoliprincipalmente attorno alle personalità di tre anonimimaestri: il Maestro del Buon Samaritano, vicino allostile appassionato e ancora carico di stilemi romanicidelle vetrate di Poitiers, nonché parallelo, per certi

aspetti, al Maestro di Saint-Lubin di Chartres, cui sonoavvicinate otto delle ventidue vetrate superstiti; il Mae-stro della Nuova Alleanza, prossimo allo stile classico diChartres; e un terzo maestro, il piú moderno e gotico deitre, il Maestro delle Reliquie di santo Stefano. Questi,accanto ai Maestri di Saint-Eustache e di Saint-Chérona Chartres, e a quello insolito e drammatico della fine-stra dei santi Gervasio e Protasio a Le Mans (circa1255), è tra i massimi pittori del duecento.

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L’ovest, la Normandia e il centro.

Se le cattedrali di Chartres e di Bourges raccolgonoi cicli piú vasti, significativi e conosciuti del primo due-cento, la storia delle vetrate francesi del momento nonsi esaurisce in questi due nomi. La ricostruzione o leprofonde modificazioni apportate in questo periodo,che, come si è detto, ha visto una intensissima attivitàcostruttiva attorno a un gran numero di cattedrali, fa síche sia molto alta in questi decenni la produzione divetrate nell’ovest. Sono assai interessanti le vetrate dellacattedrale di Saint-Maurice ad Angers, dove alcune fine-stre dei primi decenni del duecento, eseguite sotto l’e-piscopato del vescovo Guillaume de Beaumont (1203-3o) e di altri prelati della medesima famiglia, mostrano,sia nella decorazione sia nell’impaginazione, la persi-stenza di stilemi tradizionali del secolo precedente34.Altro centro significativo dell’ovest, in contatto conAngers, è Poitiers, nella cui cattedrale vetrate di altis-

sima qualità della fine del xii e degli inizi del xiii seco-lo mantengono una foga espressiva e una tendenza allastilizzazione ancora romaniche.

Sempre nella Francia dell’ovest si trova Le Mans,città che dal dominio dei Plantageneti era passata aquello dei re di Francia, la cui cattedrale venne rico-struita nella sua parte orientale, a partire dal 1217, dalvescovo Maurizio, che aveva ottenuto dal re Filippo

Augusto il consenso a costruire un edificio piú spaziosoche si estendesse oltre l’antica cinta muraria, secondo lostile gotico dell’Ile de France. Il coro venne edificatoseguendo un grandioso progetto che, per spaziosità eluminosità, è paragonabile a quello della cattedrale diBourges. Tale progetto prevedeva un doppio deambu-latorio con una serie di cappelle che da esso si irradia-no, e conseguentemente tre livelli di finestre diversa-mente disposte nello spazio: quelle alte del coro, quelle

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del deambulatorio e quelle delle cappelle. La consacra-zione avvenne nel 1254 sotto il vescovo Geoffroy de

Loudun; quanto alle vetrate, una parte, quelle delle cap-pelle che si irraggiano dal deambulatorio, fu allestitaintorno al 123535, mentre quelle delle finestre alte, dovesi trovano alcuni capolavori di un maestro espressivo eviolento, autore del martirio dei santi Gervasio e Pro-tasio, si situano intorno al 1250-55.

La cattedrale di Rouen, ricostruita a partire dallafine del xii secolo, particolarmente dopo che nel 1200un incendio aveva devastato il precedente edificio roma-nico, è contemporanea a quelle di Chartres e di Bour-ges, e ha ricevuto piú o meno nello stesso periodo unaparte importante della sua decorazione vitrea37. I pan-nelli di alcune vetrate eseguite all’inizio del secolo perle finestre della navate laterali (tra queste una con sto-rie del Battista) sono stati reimpiegati dopo il 127o nellenuove cappelle che si aprono sulla navata sinistra percreare le belles verrières, cosí chiamate fin dal trecento,

che raggruppano diversi medaglioni con storie di santi.Al medesimo maestro delle storie del Battista, che fu,all’inizio del duecento, una notevole personalità dellaprima pittura gotica, appartiene una vetrata con la leg-genda dei Sette Dormienti di Efeso, ora divisa tra la cat-tedrale di Rouen e alcune collezioni americane38. Unimportante gruppo di vetrate donate da gruppi di mer-canti e artigiani (pescivendoli, tagliatori di stoffe, mer-

canti di stoffe e cosí via) è di poco piú tardo (1220-3o)e rimane nella collocazione di origine nel deambulato-rio. Tra queste è la vetrata con storie di Giuseppe ebreo,che porta una firma (rarissima in questo periodo) di unmaestro di Chartres di nome Clemente, cosa che prova– anche se stilisticamente non è possibile riconoscere lamano di Clemente in alcuna delle vetrate di Chartres –i contatti tra i cantieri delle due cattedrali. Altre vetra-te, nella cappella del Sacramento, sono un poco piú

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tarde (1266) e concedono molto spazio al vetro incolo-re dipinto a grisaille. Esse sono state donate da Azon le

Tort, borghese di Rouen, e lo rappresentano con duefamiliari nell’atto di offrire le vetrate alla Vergine.Nel centro della Francia, le vetrate dell’abside della

cattedrale di Lione, eseguite tra il 1215 e il 1225, moltorestaurate nell’ottocento, mostrano caratteri propri piut-tosto diversi da quelli protogotici di tante vetrate diChartres, Bourges e Rouen. Si tratta qui di una persi-stente apertura alle influenze bizantine che accompagnala posizione politica della città e del suo episcopato,legati all’impero piú che alla Francia capetingia, ma nonpriva di rapporti con quest’ultima e sensibile in certevetrate a esempi nordici o borgognoni39.

Borgogna e Champagne.

La cattedrale di Sens nel xii secolo fu uno dei primi

monumenti della nuova architettura gotica e, agli inizidel xiii secolo, luogo di precoci sperimentazioni plasti-che da parte di scultori interessati ai modelli classici.Sens fu il centro di una archidiocesi molto importanteed ebbe stretti rapporti con l’Inghilterra, in particolarecon Canterbury, dove la nuova cattedrale era stata ini-ziata da Guillaume de Sens, un architetto provenientedalla città borgognona. La cattedrale di Sens conserva

nel deambulatorio settentrionale quattro vetrate di assaialta qualità, verisimilmente eseguite poco dopo il 1207,quando un incendio devastò la chiesa. Una di esse illu-stra, con un commento tipologico come a Chartres e aBourges, la parabola del Buon Samaritano40, un’altra lavicenda del Figliuol prodigo, mentre altre due, di cuispesso sono stati messi in luce i rapporti con Canterburye che sono di altra mano rispetto alle prime, sono dedi-cate a sant’Eustachio e a san Thomas Becket.

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La cattedrale Saint-Etienne di Auxerre entra preco-cemente nella storia delle vetrate e vi occupa un posto

importante. Di vetrate infatti parlano ripetutamente leGesta dei suoi vescovi a partire dall’epoca carolingia41,mentre, come si è visto, nell’xi secolo uno dei suoi pre-lati nominò canonico onorario della cattedrale un mae-stro vetrario. Intorno al 1215 il vescovo Guillaume deSeignelay intraprese con propri fondi la costruzionedella nuova cattedrale gotica42, e il suo successore, Hen-ri de Villeneuve (1220-34), provvide a farne largamen-te invetriare il deambulatorio, la cappella assiale e lefinestre alte del coro. Malgrado le distruzioni causate nel1567 dagli ugonotti e le successive risistemazioni che,aggregando pannelli provenienti da finestre diverse,completando e integrando le singole vetrate, hanno nonpoco confuso la situazione rendendo poco leggibile ilprogramma iconografico e difficile la lettura stilistica,quanto ancora resta è imponente. Almeno tre diversiatelier, verisimilmente di origine locale o quanto meno

borgognona, vi hanno lavorato tra il 123o e il 1250circa, con modi talora violenti e abbreviati, spesso diqualità non molto alta ma di grande efficacia. Assaiinteressante è il largo e precoce uso di vetri incoloridipinti a grisaille che inquadrano personaggi e talorascene.

A Reims la cattedrale venne ricostruita in una tren-tina d’anni tra il 1210 e il 1240. Poco è rimasto della

sua invetriatura, anche perché molte finestre della nava-ta furono fatte distruggere nel settecento dai canonici esostituite da altre di vetro chiaro per ottenere una mag-giore luminosità. Rimangono in parte le vetrate alte delcoro e alcune delle finestre alte delle travate orientalidella navata, dove si dispiega un significativo program-ma iconografico volto a esaltare l’importanza e il pri-mato di questa sede metropolitana e il suo ruolo nel-l’unzione dei sovrani. Nelle vetrate alte del coro gli apo-

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stoli, e sotto di loro i vescovi delle sedi suffraganee diReims, con rappresentazioni schematiche ma estrema-

mente efficaci (tra le piú belle immagini di architetturedel xiii secolo) delle loro cattedrali, sono riuniti attornoa Cristo e alla Vergine, all’arcivescovo Hugues de Bra-sne (1227-40) e alla sua chiesa43.

A Troyes, capitale dei conti di Champagne, che furo-no tra i maggiori vassalli della corona, sotto il vescovoGarnier de Trainel iniziarono, intorno al 1200, i lavoriper una nuova cattedrale44. La costruzione dell’edificiosarà assai lunga, circa tre secoli, per non parlare deilavori alla facciata che si prolungheranno ulteriormen-te, ma il coro sarà compiuto nel corso della prima metàdel duecento da tre distinti architetti, di origine localeil primo, provenienti dall’Ile de France il secondo e ilterzo. Quest’ultimo, particolarmente aggiornato sugliultimi sviluppi dell’architettura gotica, innalzò la partesuperiore, crollata a causa di un uragano nel 1228, pro-gettando un triforio aperto verso l’esterno analogo a

quello recentissimo di Saint-Denis. Alle vetrate saràcosí concesso uno spazio amplissimo, sia nelle finestredelle cappelle che si irradiano dal deambulatorio, sianelle finestre alte, sia nelle finestre del triforio, in unsusseguirsi ininterrotto di immagini luminose che fadella cattedrale di Troyes un edificio straordinariamen-te suggestivo dalle pareti diafane e scintillanti. Moltotormentate nel corso dell’ottocento da restauri, com-

pletamenti, ridipinture, sostituzioni, le vetrate delle cap-pelle del deambulatorio del coro mostrano la presenzadi maestri diversi. Un primo atelier, attivo all’inizio delsecolo, è fortemente marcato dalle tradizioni locali eancora memore delle formule decorative mosane; un se-condo, operoso verso il 122o, di grande altezza stilisti-ca, non è lontano dallo stile 12oo quale si manifesta nel-l’area di Laon-Soissons, come appare evidente dalle pie-ghe profonde e movimentate dei suoi personaggi. Esso

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è autore di una vetrata con la vita della Vergine e di unacon l’albero di Jesse da cui provengono probabilmente

alcuni splendidi profeti oggi al Victoria and AlbertMuseum a Londra. Un terzo atelier, infine, è piú pros-simo ai modi parigini. Piú tardi, verso il 1240-50, unmaestro di origine locale diresse l’invetriatura delle fine-stre alte del coro, assai ben conservate, dai toni espres-sivi e dalla stesura rapida e abbreviata in cui si susse-guono, con straordinari effetti cromatici, personaggi escene sovrapposti su tre registri.

Parigi.

Un problema chiave per seguire lo sviluppo dellavetrata francese nel duecento è quello della fisionomiae dell’evoluzione del centro parigino. Opera fondamen-tale in questo contesto è la rosa occidentale della catte-drale di Notre-Dame (con i segni dello zodiaco, i lavori

dei mesi, i vizi e le virtú, i profeti), di cui restano anco-ra in loco alcuni frammenti autentici e che va datataverso il 122045. Altre rose appartenenti agli stessi anniesistono ancora nell’Ile de France: quella occidentaledella collegiata di Mantes con il Giudizio Universale46,quelle di Notre-Dame di Donnemarie-en-Montois47 pres-so Provins, quella orientale di Brie-Comte-Robert conil Cristo benedicente, gli apostoli e una bella serie dei

lavori dei mesi; mentre vetrate di una certa importanzarimangono nell’abside di Saint-Germain-lès-Corbeil asud-est di Parigi48, a Saint-Jean-aux-Bois, e il Musée deCluny a Parigi conserva alcuni frammenti di vetrateprovenienti dalla chiesa di Gercy tra cui quelli di un Albero di Jesse49. Per alcune di queste opere sono strettii rapporti con la zona di Soissons-Laon nonché con larosa occidentale di Chartres, probabilmente influenza-ta da quella di Notre-Dame; per esse si può parlare di

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uno sviluppo in senso gotico rispetto al classicismo delSalterio di Ingeburge e dello stile 1200.

È probabile che molto presto, già agli inizi del due-cento, Parigi abbia assunto quel ruolo capitale nell’ela-borazione e nello sviluppo del linguaggio gotico che lacaratterizzerà ai tempi di san Luigi. Particolarmenteistruttivo in questo senso è il seguire lo sviluppo paral-lelo della vetrata e della miniatura nella regione parigi-na. Sarebbe pure essenziale valutare fino a che punto lapresenza della corte, in una città che agli inizi del seco-lo, sotto Filippo Augusto, si ingrandisce e a tutti glieffetti diventa l’autentica capitale del regno, abbia potu-to incoraggiare o determinare certi sviluppi stilistici,analogamente a quanto avviene per l’architettura50 e perla scultura, dove la tendenza cortese che si manifesta nelportale della Vergine di Notre-Dame, per svilupparsi inseguito a Reims e ad Amiens, diventa una delle princi-pali caratteristiche del linguaggio plastico del goticofrancese51.

La Sainte-Chapelle.

Un rilevante mutamento stilistico ha luogo per l’ap-punto a Parigi attorno al quinto decennio del xiii seco-lo e si accompagna alle significative trasformazioni chein campo architettonico vengono accostate – ma l’ipo-

tesi non è interamente pacifica ed è ancora discussa – alnome di Pierre de Montreuil52. Fino ad allora la formu-la corrente messa a punto nei grandi edifici a piú pianiprevedeva che le vetrate delle finestre basse delle nava-te fossero dedicate a temi agiografici, leggendari e aepisodi della storia sacra esposti in diverse scene, incor-niciati da medaglioni (raggruppati a loro volta in diver-se combinazioni), mentre le finestre alte erano dedica-te a un solo personaggio (o eventualmente a due o a tre

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personaggi sovrapposti), spesso un apostolo o un profe-ta, talora incorniciato da una inquadratura architetto-

nica (come è stato osservato53

, la vetrata che rappresen-ta un personaggio in piedi sotto un’incorniciatura archi-tettonica riprende un tema ellenistico abbondantementesfruttato nella scultura romanica). Nelle finestre alte lescene (come l’ Annunciazione e la Visitazione a Chartres)non erano, invece, molto frequenti. L’evoluzione del-l’architettura gotica nel corso del duecento alterò il rap-porto stabilito tra finestre alte, finestre del triforio efinestre basse risolvendolo, in certi casi limite come puòessere quello appunto di una cappella di palazzo, in unasola grande finestra dall’accentuato sviluppo verticale.La forma della finestra mutò anche per l’introduzionedi elementi verticali in muratura che la dividono in dueo piú scompartimenti alti e stretti. Parallelamente muta-rono le composizioni e prevalse una forma di purasovrapposizione dei medaglioni, fossero essi ovali, tondi,polilobati.

Fondamentale importanza ha il ciclo dellaSainte-Chapelle di Parigi, eretta tra il 1241 o forse il1244 e il 1248 per ospitare la Corona di spine e altre pre-ziose reliquie acquistate da san Luigi all’imperatore d’o-riente Baldovino. L’insieme è uno straordinario monu-mento alla monarchia a cui fanno continuo riferimentoi gigli di Francia e i castelli di Castiglia di cui sono tem-pestati i bordi, l’albero di Jesse, le frequenti scene di

incoronazioni e le continue allusioni ai re di Israele.San Luigi si propone con quest’opera come un nuovoSalomone costruttore di un tempio di pietre preziose perla corona di Cristo54. Le quindici grandi finestre – ottoa quattro luci, sette a due luci – rappresentano scene cheillustrano diversi libri della Bibbia, da quello della Gene- si a quello dei Re a quello di Ester , sottolineando imomenti e le storie in cui si scorgeva una allusione allavenuta di Cristo, episodi delle vite di san Giovanni Bat-

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tista e di san Giovanni Evangelista, episodi della Pas-sione e dell’infanzia di Cristo, l’albero di Jesse. Una

finestra infine è consacrata alle storie delle reliquie dellaCroce, della loro traslazione e della costruzione dellaSainte-Chapelle. La rosa occidentale, che ospita un ci-clo della fine del xv secolo doveva essere già inizial-mente, come lo è oggi, consacrata all’Apocalisse.

Il senso del complesso programma iconografico èstato definito da Louis Grodecki come la storia dellaRedenzione che emerge dall’Antico Testamento e che aquesto è legata dalle parole dei profeti, mentre all’in-carnazione di Cristo rappresentata nell’abside con lestorie dell’infanzia e della Passione corrisponde la suaseconda venuta nella rosa occidentale con l’Apocalisse.In rapporto ai programmi iconografici dei primi decen-ni o della metà del xiii secolo, quello della Sainte-Cha-pelle è di una potente originalità e di una grande sotti-gliezza. Esso, ispirato certamente da un grande teologo(Matteo di Vendôme, suggerisce interrogativamente il

Grodecki), sembra rifarsi alle tendenze della Scolasticacontemporanea, dalla esegesi preoccupata sia dal sensoletterale» delle Scritture, sia dalla varietà delle inter-pretazioni simboliche che non si riducono al confrontodi «tipi» e di «anti-tipi», luogo comune dell’iconogra-fia tradizionale del xiii secolo55. L’insieme, danneggiatogravemente nel xviii e agli inizi del xix secolo, è statooggetto di un attento restauro alla metà dell’ottocento.

In questa grande impresa sono stati distinti partico-larmente tre atelier: un primo a cui è dovuta la maggio-ranza delle scene, la vetrata centrale con la Passione, lefinestre settentrionali e tutte quelle dell’abside a ecce-zione di quella di Ezechiele; un secondo che lavorò allefinestre di Ezechiele e del Libro dei Re; un terzo, infi-ne, cui spettano sul lato sud le finestre con le storie diGiuditta e di Giobbe e quelle tolte dal Libro di Ester,animato da un maestro che probabilmente fu il più

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geniale tra quelli che lavorarono al ciclo e che fu forseanche miniatore, tanto la sua maniera trova paralleli in

manoscritti parigini del tempo.Le alte vetrate a medaglioni sovrapposti rappresen-tano, con i cicli di Chartres e di Bourges, uno degli apicidella vetrata duecentesca. Lo stile veloce e spezzatodelle ben 1134 scene deriva da quello delle vetrate dellacappella della Vergine di Saint-Germain-des-Prés,costruita da Pierre de Montreuil tra il 1232 e il 1245,ora disperse in varie chiese, collezioni e musei56, ed eser-citò una grande influenza sulle vetrate francesi dellaseconda metà del duecento.

Dopo la metà del secolo.

Influenze precise delle vetrate della Sainte-Chapellesi avvertono nelle vetrate del coro della cattedrale diSaint-Gatien a Tours57, nella cui costruzione Luigi IX e

Bianca di Castiglia furono particolarmente impegnati58.Nel coro della chiesa, l’invetriatura del triforio e dellequindici finestre alte causa una luminosità straordinariae propone esempi di grandissimo interesse, che per piúdi un aspetto si pongono in una situazione di cernieratra due modi di concepire e di intendere le vetrate. Levetrate sono databili tra il 126o e il 1270 circa grazie allapresenza di un certo numero di donatori (tra cui Vincent

de Pilmil, arcivescovo di Tours dal 1257 al 1270, Geof-froy Freslon, vescovo di Le Mans tra il 1258 e il 1269, Jacques de Guerande, decano del capitolo e quindivescovo di Nantes dal 1264 al 1267), e se i punti di con-tatto con le vetrate della Sainte-Chapelle e con certimanoscritti luigiani dal punto di vista stilistico e com-positivo sono evidenti59, le novità balzano anch’esse agliocchi, prima fra tutte l’uso degli ampi spazi chiari cheincorniciano o si alternano alle zone intensamente colo-

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rate, come nella vetrata dei canonici di Loches (dopo il1259)60.

Non particolarmente dipendenti da quelle della Sain-te-Chapelle, come è stato ripetutamente affermato, sonole vetrate della nuova cattedrale di Clermont-Ferrand,costruita dall’architetto Jean Deschamps nello stile del-l’Ile de France61. Essa venne ampiamente invetriata trail 1265 e il 127562 circa, mantenendo, contro la tenden-za prevalente a quel tempo dello schiarimento dellagamma cromatica attraverso l’inserimento nelle vetratedi larghi spazi di vetri bianchi dipinti a grisaille, la tra-dizione delle vetrate a pleine couleur 63.

Le vetrate della cattedrale di Amiens, ricostruita apartire dal 1220, hanno subito infinite traversie, dovu-te a distruzioni, a restauri, e a un incendio che, imme-diatamente dopo la prima guerra mondiale, ne dan-neggiò e distrusse un buon numero nell’atelier delrestauratore, sí che l’analisi di quanto resta, sparpaglia-to per giunta da dispersioni, non è agevole. La vetrata

piú significativa è quella di impianto monumentale dona-ta nel 1269, anno in cui venne completata la parte orien-tale della chiesa, dal vescovo Bernard d’Abbeville(1259-81), che vi si è fatto rappresentare accompagna-to da angeli nell’atto di offrire una vetrata alla Vergine.

L’Inghilterra.

La situazione delle vetrate inglesi della prima metàdel duecento è assai difficile da ricostruire a causa dellegravissime distruzioni subite nel corso del cinquecentoe del seicento per l’abbandono di molti edifici monasti-ci e per le ventate di iconoclastia ai tempi del Com-monwealth. Ancora una volta il monumento di granlunga piú importante e che ha conservato il maggiornumero di opere è la cattedrale di Canterbury, dove l’at-

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panneggio, che doveva trovarsi un tempo in una finestraalta della Trinity Chapel ed è oggi nel transetto sud.

Nella Trinity Chapel si trova un ciclo composto origi-nariamente di dodici vetrate, di cui sette sono conser-vate in loco, mentre altri frammenti sono dispersi inmusei. Esso è dedicato alla vita e ai miracoli  post -mor-tem di san Thomas Becket e segue un ricchissimo pro-gramma iconografico elaborato sulla base di due testidella fine del xii secolo. Vi sono stati identificati i modidi due maestri, che, dai nomi di due dei personaggimiracolati che vi sono rappresentati, sono stati chiama-ti Petronella Master e Fitz Eisulf Master . Il primo, di for-mazione francese secondo Madeline Harrison Caviness,avrebbe lavorato anche a Saint-Remi di Reims e a Brai-ne66; il secondo, piú prepotentemente gotico, avrebbeseguito i religiosi in esilio, interrompendo la sua attivitàalle vetrate della Corona e della Trinity Chapel per pro-gettare vetrate alla cattedrale di Sens e forse anche aChartres (vetrata di Giuseppe ebreo)67 e, ritornato in

Inghilterra, avrebbe compiuto il ciclo prima della tra-slazione delle reliquie.Contemporanee a quelle di Canterbury, e dunque

eseguite all’incirca tra il 12oo e il 1220-25 per la catte-drale ricostruita dopo il terremoto del 1185 da Geoffroyde Noyers con soluzioni geniali e assolutamente incon-suete, sono le vetrate di Lincoln, la cattedrale che tra il1235 e il 1253 sarà amministrata da Roberto Grossate-

sta, il celebre filosofo della scuola di Oxford autore didiversi trattati sull’ottica ed elaboratore di una com-plessa cosmologia della luce68. Ciò che resta di questagrande impresa attuata fra la fine del xii secolo e il 1235circa, e di cui è un ricordo in un passo di una composi-zione metrica sulla vita di sant’Ugo di Lincoln, è diassai alta qualità ma disperatamente frammentario. Pocoè rimasto nella collocazione originaria (un esempio ne èla rosa del transetto settentrionale), molto è andato

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distrutto, e molti pannelli sono stati riuniti qua e là invarie finestre alla fine del settecento. Vi sono alcune

scene della vita di Mosè, forse frammenti di una vetra-ta a Mosè dedicata o forse provenienti da vetrate tipo-logiche, scene della vita e dei miracoli della Vergine ealtre tratte dalle storie di diversi santi. Stilisticamente,come nel caso di Canterbury, i rapporti con opere fran-cesi sono molto stretti, tanto che Nathaniel Westlakeaveva, a torto, attribuito queste vetrate a un maestroattivo a Bourges, ma i loro autori sono probabilmentemaestri locali per cui sono stati fatti dei confronti con idisegni del Guthlac Roll , un rotulo pergamenaceo delprimo duecento, oggi al British Museum, che contieneentro medaglioni diciassette scene della vita di sanGuthlac di Crowland, e che è stato anche suggerito po-tesse essere un repertorio di composizioni per vetrate69.Un ruolo importante nell’invetriatura della cattedrale diLincoln, come del resto in quella di Salisbury (qui il riccorepertorio di grisaille è databile tra il 122o e il 1258) e

in quella di York, dove la parete settentrionale del tran-setto nord è forata da cinque altissime luci (the fiveSisters) coperte di vetri chiari, deve essere stato svoltodalle finestre a grisaille, il cui impiego in Inghilterra inquesto periodo fu piú esteso di quanto non accadessealtrove in Europa70. Altre interessanti testimonianzevitree dello stesso periodo sono i pannelli oggi nellacosiddetta sala di Gerusalemme dell’abbazia di West-

minster, forse provenienti dalla cappella della Vergine,iniziata nel 122o e terminata prima del 1246, della stes-sa chiesa abbaziale71.

La Germania.

La situazione delle vetrate tedesche nella prima metàdel duecento è ben diversa da quella esistente in Fran-

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cia, e ciò sia per il numero assai piú esiguo di testimo-nianze esistenti, sia per particolarità di caratteri stilisti-

ci. Diversamente da quanto avvenne in Francia, moltedelle grandi cattedrali tedesche di questo periodo (Bam-berga, Worms, Magonza, Hildesheim, Paderborn, Mag-deburgo, Minden) e delle grandi chiese della Renania,della Westfalia, della Svevia o dell’Assia hanno, conqualche eccezione, perdute le loro antiche finestrevitree72. D’altra parte le vetrate tedesche della primametà del duecento appaiono scarsamente influenzatedal nuovo stile gotico. Elementi romanici permangonomolto piú a lungo, e certe aree in particolare sonoprofondamente sensibili a nuove ondate di culturabizantina. Alcune caratteristiche delle vetrate tedeschedel xii secolo evidenti in quelle dipinte da Gherlacus –fondi decorati a racemi, ampi bordi dalla lussureggian-te decorazione romanica – sono utilizzati ancora perdecenni. Tuttavia i maestri vetrari tedeschi non sonoimpermeabili ad alcune delle novità francesi, e in gene-

rale, piú che di un atteggiamento conservatore e stati-co, sarebbe piú corretto parlare di modelli di sviluppodiversi e alternativi a quelli francesi.

Malgrado certe somiglianze, sarebbe erroneo consi-derare in modo unitario l’intera area artistica germani-ca in questo periodo. Si possono distinguere grossomodo due grandi zone: quella occidentale-renana, i cuicentri sono Colonia, Strasburgo e Friburgo, piú aperta

alle suggestioni della Francia, e quella centro-orientale,che più profondamente risente di una temperie romani-co-bizantina. Non si tratta tuttavia di aree non comu-nicanti: a partire almeno dal 1240 circa i rapporti tra ledue saranno intensi73.

Il ciclo di vetrate piú occidentalizzante della primametà del duecento in Germania è quello del coro(costruito tra il 1215 e il 1230 circa) della chiesa diSankt Kunibert a Colonia74, uno dei pochi monumenti

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tedeschi ad aver conservato la sua decorazione vitrea ori-ginale, che conta sia finestre con grandi personaggi in

piedi (santa Cordula, sant’Ursula, santa Cecilia, santaCaterina, san Giovanni Battista) con inginocchiati inbasso donatori laici ed ecclesiastici, sia vetrate leggen-darie a medaglioni sovrapposti (storie di san Clementeprimo patrono della chiesa, di san Cuniberto), sia il dif-fuso tema dell’albero di Jesse. Questo è trattato secon-do una formula iconografica diversa da quella prevalen-te in Francia, a Saint-Denis, Chartres e altrove: suipiani successivi dell’albero che sorge dal fianco delpatriarca addormentato si trovano, al posto dei re, epi-sodi della vita e della Passione di Cristo, mentre re eprofeti sono disposti lateralmente secondo uno schemache troverà in Germania largo successo75.

Nelle vetrate leggendarie l’organizzazione delle super-fici è meno complessa di quanto non sia nelle contem-poranee vetrate francesi. Non si trovano qui elaboratecombinazioni di medaglioni, ma semplici sovrapposizioni

di compassi mistilinei. La forma di questi, che compren-dono angoli ed elementi curvilinei, deriva da modellifrancesi, ma se ne distingue per soluzioni particolari chesi ritroveranno nelle vetrate austriache e in quelle italia-ne della fine del due e dell’inizio del trecento. Residuiromanici76 sono d’altra parte i larghi bordi, talora concolossali fusti di acanto (finestra di san Giovanni Batti-sta). Un altro elemento caratterizzante rispetto alle vetra-

te francesi è la mancanza dei tipici fondi a mosaico. Lospazio relativamente ristretto compreso tra gli ampi bordiè interamente occupato dai medaglioni e non vi e piùposto per quel complicato gioco dalle significative impli-cazioni spaziali che in Francia opponeva il fondo varie-gato, quadrettato, strigilato e variamente operato allasuperficie unita dei medaglioni.

Prossime alle vetrate di Sankt Kunibert sono duepannelli, ora allo Schnütgen-Museum di Colonia con la

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 Morte e Incoronazione della Vergine. Le figure dei dona-tori, Filippo e Agnese, Theoderus e Gertrude, posso-

no essere paragonate a quelle che appaiono in bassonelle grandi finestre di Sankt Kunibert, per esempio inquella di sant’Ursula. L’organizzazione spaziale vede inprimo piano due importanti elementi tridimensionali,il trono e il letto della Vergine, sviluppando propostegià presenti e ben visibili nelle vetrate con storie di sanCuniberto e di san Clemente ( Addio di san Cunibertoal re, Insediamento di san Cuniberto vescovo di Colonia, Morte di san Clemente), come anche certi grafismi go-tici avvertibili per esempio nella figura del donatoreTheoderus.

Un ciclo, meno rilevante quanto a dimensioni, lega-to a quello di Sankt Kunibert è quello di Heimersheiman der Ahr (non lontano da Colonia), che conta nel corodella piccola chiesa una finestra centrale a due luci conscene della giovinezza e della Passione di Cristo, unalaterale con grandi figure di san Giorgio e san Maurizio

e minori figure di altri santi. Esso contiene qualche ele-mento maggiormente sviluppato in senso gotico (nel-l’ Annunciazione o nella Santa Caterina) rispetto al ciclocolonese che ne indica una datazione piú tardiva, versoil 1245-50. Purtroppo è stato sottoposto dall’Oidtmannnel 1902 a un pesante restauro77.

Strasburgo.Altro centro i cui contatti con l’occidente gotico furo-

no fondamentali e da cui si irradiarono influenze che nelcorso del xiii secolo toccarono la Germania centrale,l’Austria, la Svizzera e l’Italia fu Strasburgo, dovedurante tutto il duecento, come nel secolo successivo,ebbe luogo una produzione di vetrate della massimaimportanza. Rimaneggiamenti ripetuti dovuti a varie

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campagne di costruzione o a incendi hanno sconvolto ledisposizioni originali delle vetrate nel duomo78.

Nella cattedrale romanica, come si è visto, due serie,una di imperatori, l’altra di profeti e di apostoli, si affron-tavano rispettivamente sul lato settentrionale e su quellomeridionale della navata. Una finestra con l’albero di Jesse dominava il coro nella finestra assiale, e forse a essocorrispondeva, nella finestra della facciata occidentale, lavetrata con l’imperatore in maestà, il cosiddetto Carlo Magno, oggi nel Musée de l’Œuvre Notre-Dame.

Nel xiii secolo le finestre alte della nuova navata sonoconsacrate nel lato sud alla Vergine e a una teoria di santimartiri, mentre in quello nord si snoda una lunga fila disanti: papi, diaconi, padri della chiesa, guerrieri, vesco-vi di Strasburgo. Ogni finestra comprende quattro lucie vari personaggi sovrapposti. Grandi finestre a quattroluci vengono aperte anche nelle navate laterali. Attual-mente nelle finestre a nord trova posto la serie, estre-mamente restaurata, degli imperatori, le cui figure sono

spesso formate con vetri appartenenti a epoche diverse,mentre le finestre del lato meridionale accolgono vetra-te trecentesche che illustrano una sorta di Biblia paupe-rum. Appartengono invece alla primitiva decorazionevitrea delle navate laterali, distrutta in gran parte in unincendio nel 1298, le rose al sommo delle finestre delledue pareti con scene, spesso assai ben conservate, dellavita di Cristo e della Vergine79. Molte vetrate sono dun-

que andate totalmente o parzialmente perdute, moltehanno subito radicali restauri o, tolte dalla loro origina-ria collocazione, sono state rimontate assieme a fram-menti di altre epoche e provenienze. Per giunta, la tra-sformazione o la distruzione di talune chiese cittadine hafatto sí che vetrate di svariata origine siano state rimessein opera in determinate finestre della cattedrale, taloraassieme a resti della decorazione originaria.

Per tutte queste ragioni è assai difficile farsi un’idea

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chiara dello svolgimento stilistico delle vetrate stra-sburghesi nel corso del duecento.

Possiamo tuttavia ritenere che almeno quattro diver-si atelier abbiano lavorato alla cattedrale durante questoperiodo, autore il primo delle vetrate di forte improntaromanica databili ai primissimi anni del secolo, respon-sabile il secondo di quei vetri ove chiaramente si avver-tono i primi elementi gotici, come i frammenti con Davi-de e Salomone e Salomone e la regina di Saba che attual-mente si trovano, accanto ad altri piú antichi, tra cui laVergine dell’albero di Jesse, in una finestra della paretenord del transetto. Per i suoi rapporti con le sculture delportale del transetto sud, in particolare con quelle delMaestro della Ecclesia e della Sinagoga che vengono gene-ralmente datate verso il 123o, queste vetrate possonoappartenere al quarto decennio del secolo. Un terzo ate-lier, operoso sia in altre chiese della città, sia, come haproposto il Wentzel, in altri centri della Germania comeFrancoforte e Naumburg, ha lasciato alla cattedrale nume-

rose vetrate. Ne sono esempi, spesso in perfette condi-zioni di conservazione, le rose delle finestre delle navatelaterali che mostrano quanto questo atelier sia stato sen-sibile allo Zackenstil germanico, il caratteristico linguag-gio agitato dalle tipiche pieghe spezzate a zig zag già a suomodo gotico, anzi prima manifestazione di un goticotedesco80. Infine un altro atelier, piú goticheggiante insenso occidentale nel trattamento delle vesti e delle capi-

gliature, in cui si sono volute scorgere influenze di Reims,ha terminato l’opera del terzo atelier nelle finestre altedella navata principale.

Friburgo.

Il terzo centro della Renania è Friburgo. Qui resta-no nella antica collegiata (oggi cattedrale) un certo

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numero di medaglioni provenienti da una finestra conl’albero di Jesse, eseguiti prima del 1218 in uno stile clas-

sicheggiante non esente dal ricordo di opere di Nicolasde Verdun, oggi collocati nelle finestre romaniche deltransetto sud81. Successivamente, come del resto a Stra-sburgo, le cui influenze sono vive e presenti, penetranostilemi gotici corretti dalle brusche abbreviazioni delloZackenstil (frammenti della rosa del transetto sud, ogginell’Augustinermuseum, e i santi Josaphat, Afra, MariaMaddalena posti sotto elaborati tabernacoli, oggi nellefinestre romaniche del transetto nord). Di qualità ecce-zionale e in stretto contatto con le rose delle navate late-rali di Strasburgo, le Opere di Misericordia, nella rosa deltransetto nord82.

Germania centrale e orientale.

Un linguaggio artistico che non mostra aperture verso

elementi gotici francesi come quello renano, ma che èfortemente influenzato da formule stilistiche e icono-grafiche bizantine, di provenienza diretta o mediata tra-mite la Sicilia o Venezia, si incontra in un nutrito grup-po di vetrate della Germania centrale e orientale. Esem-pi bellissimi sono le cinque grandi figure dell’abbazia diSonnenkamp a Neukloster (Meklemburg), le finestredel coro di Breitensfelde (Schleswig-Holstein), la fine-

stra degli apostoli nel transetto dell’abbaziale di Marien-berg a Helmstedt (tra Braunschweig e Halberstadt), ipannelli con profeti provenienti da un albero di Jesse giànella parrocchiale di Lohne presso Soest ora al Lande-smuseum di Münster83, l’albero di Jesse della chiesa diLegden in Westfalia. Altrettanto importanti sono i novepannelli delle finestre della Marktskirche di Goslar, constorie dei santi Cosma e Damiano, i frammenti prove-nienti dal duomo della stessa città, ora al locale museo,

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i medaglioni di altissima qualità del duomo di Merse-burg, non lontano da Lipsia, la finestra biblica del

duomo di Meissen, e infine le vetrate con storie di Cri-sto e san Francesco della chiesa francescana di Erfurt,significative per la precocissima (circa 1230) iconogra-fia francescana e che numerosi legami hanno, come havisto il Wentzel, con quelle dell’abside della basilicasuperiore di San Francesco ad Assisi84 .

Il gruppo formato da queste vetrate è abbastanzaomogeneo e manifesta caratteri formali comuni e coe-renti che lo apparentano alla contemporanea produzio-ne pittorica della Turingia e della Sassonia. Il linguaggioche lo contraddistingue conosce una grande espansione:lo ritroviamo nelle vetrate dell’isola di Gotland (Svezia)come in quelle del coro della chiesa superiore di SanFrancesco ad Assisi. Se gli elementi tardoromanici ebizantini prevalgono nelle proporzioni dei personaggi,nei panneggi, nelle fisionomie, nel costume, nel reper-torio decorativo, non manca qua e là qualche accento

gotico, come per esempio negli intensi ed espressivi pan-nelli di Merseburg, e qualche rapporto con la sculturacontemporanea si può scorgere nelle monumentali figu-re di Neukloster.

 Marburg .

Contatti con formule e schemi gotici sono piú evi-denti nelle vetrate della Elisabethkirche di Marburg,dove le grandi figure della Santa Elisabetta e della Sina- goga mostrano probabili rapporti con modelli francesi,e addirittura con sculture, avvertibili, particolarmentenella Sinagoga, nell’accentuato sbilanciarsi rispetto all’as-se d’equilibrio – quel déhanchement tipico delle figuregotiche francesi – e nel contrapposto tra la testa di pro-filo volta in una direzione e il corpo di tre quarti teso

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nell’opposto verso. Arthur Haseloff, che per primo stu-diò questo ciclo85, si meravigliava che in una chiesa

costruita secondo modelli francesi si trovassero vetratecosí completamente «non-francesi»; tuttavia ammettevache, anche se non si poteva parlare di rapporti diretticon le vetrate francesi, queste opere ponessero il pro-blema della ricezione dei modi gotici nella pittura tede-sca. Ciò è evidente anche negli esempi apparentementepiú romanici, come nella scena della creazione degli ani-mali, ove l’antica tecnica del graffito ornamentale sulfondo si sviluppa in arabeschi vegetali involutissimi, madove il freddo intreccio dei rami è interrotto da morbi-de gemme coperte di peluria, ove tra gli animali i fa-volosi grifoni sono circondati da specie piú riconoscibi-li – gru, anatre, galli, galline, colombi (anche se qui èintervenuta in più di un luogo la mano del restauratore)– segnando nella stessa differenziazione e riconoscibilitàdelle specie un’evoluzione in senso naturalistico. D’al-tra parte gli elementi decorativi occidentali a strisce che

sbarrano il fondo della grande vetrata di santa Elisabettao i quadrilobi che compongono il fondo a mosaico dellavetrata leggendaria con le opere di misericordia pra-ticate da santa Elisabetta si ispirano alle vetrate gotichefrancesi.

Naumburg e lo Zackenstil.

Dopo la metà del secolo, anche nella Germania cen-trale prevale il linguaggio protogotico che abbiamoincontrato nel terzo atelier di Strasburgo. Esempi insi-gni di questa penetrazione sono le vetrate della catte-drale di Naumburg, successive alla metà del secolo comesembra provare la datazione del coro occidentale pro-posta da Ernst Schubert86. Qui, nella chiesa per cui l’a-nonimo artista chiamato il Maestro di Naumburg, uno

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degli scultori piú moderni del secolo, creò nella serie deiFondatori immagini di un eccezionale vigore espressivo

e di un nuovo prepotente realismo, si trova una serie digrandi vetrate con figure di santi, cavalieri, apostoli, ver-gini, vescovi, virtú e vizi. Le immagini, entro una lungacornice mistilinea composta dalla sovrapposizione didue compassi quadrilobi, sono situate le une sopra lealtre contro un fondo a mosaico. Per svariati aspetti –presentazione frontale, convenzioni fisionomiche, anda-mento spezzato delle pieghe secondo le formule delloZackenstil – queste figure sembrano ancora tardo-romaniche, ma la stessa impaginazione della vetrata,cosí come la ricerca di volume attraverso la stesura dellagrisaille, ne rivelano i caratteri gotici. Non siamo qui tut-tavia in presenza del tipo di problemi che si erano postia Chartres, dello stretto rapporto cioè intercorso trascultori e maestri vetrari. A Naumburg, se questi pro-blemi si sono posti, sono stati poco determinanti e impo-stati in modo particolare. I maestri che hanno proget-

tato le vetrate di Naumburg possono aver guardato eaver tratto ispirazione dalle statue dei fondatori, maper tradurne e trasferirne la novità in un sistema diforme piú arcaico, a loro abituale.

In realtà questi problemi riguardano l’insieme dellevetrate tedesche fino a una data assai inoltrata delduecento. Quella ricezione di modelli gotici che siverificò nel campo dell’architettura (proprio a propo-

sito di una chiesa tedesca si incontra in un documen-to il termine di opus francigenum), e che in sculturadiede luogo a creazioni di una così profonda origina-lità come quelle di Naumburg, di Magdeburgo, diBamberga, nel campo della pittura e della vetrata fupiú lenta e contrastata. Tuttavia, piuttosto che parla-re di sopravvivenze tardoromaniche, sarebbe benevalutare in modo positivo lo Zackenstil che Haseloffaveva considerato come una delle manifestazioni piú

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creative dell’arte germanica, e scorgere in esso unasoluzione alternativa al gotico francese, una ipotesi di

sviluppo diversa.A questo proposito sono estremamente indicative leosservazioni di Hans Wentzel a proposito delle vetra-te della chiesa di Bucken an der Weser. Dopo aver sot-tolineato il ruolo certamente attivo e non puramentepassivo che dovettero avere i maestri vetrari creatori diqueste opere estremamente singolari, Wentzel conclu-de con una dichiarazione che vale generalmente perdefinire lo stile prevalente dell’area qui esaminata: «conle loro vetrate essi crearono uno stile indipendente,una concezione particolare tra il gotico e il romanico.Non piú romanico e non ancora gotico»87. Le vetratedella chiesa di questo piccolo paese situato sulla Weser,a mezza strada all’incirca tra Brema e Hannover, sonotra le piú importanti testimonianze vitree della primametà del xiii secolo nella Germania settentrionale,ancorché siano state fortemente integrate nel corso di

un restauro ottocentesco. Si tratta di tre grandi vetra-te, dedicate quella centrale alla vita e alla Passione diCristo, quelle laterali alle storie dei santi Nicola eMaterniano, patrono della chiesa. Singolari sotto l’a-spetto iconografico (ogni vetrata comprende due cicli,uno trattato nell’area centrale, l’altro in quelle lateralio nei bordi; così la vita di Cristo è accompagnata dascene che alludono alla celebrazione della Messa, le sto-

rie di san Nicola dalle Vergini savie e dalle Verginifolli), queste vetrate non mancano di esserlo anchesotto l’aspetto stilistico, in quanto a evidenti tratti chele accomunano alla tradizione turingio-sassone, si acco-munano, specie nelle storie di san Nicola, elementi(forma delle incorniciature dei medaglioni, rapportodelle figure con la superficie del compasso) che sem-brano di origine renana.

Non si esaurisce qui il repertorio delle vetrate ger-

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maniche nel duecento. Esempi importanti esistono aRatisbona (frammenti di un albero di Jesse fortemen-

te segnati dai modi dello stile 1200)88

, a Francoforte(resti della decorazione vitrea del duomo di una ecce-zionale qualità, che sviluppano in senso gotico lo stiledelle vetrate di Marburg), al museo di Darmstadt ealtrove89.

L’Austria.

In Austria le vetrate della prima metà del duecentosono scarse. Una tuttavia è di grande rilievo e signifi-cato: la grande vetrata della chiesa abbaziale di Ardag-ger (Niederösterreich), databile tra il 1226 e il 1241, chevede disposte in medaglioni quattordici scene della vitadi santa Margherita e il donatore, il canonico Enrico diPassau. Si tratta di una vetrata leggendaria di tipo occi-dentale che, pur mostrando un repertorio decorativo

arcaizzante (amplissimi bordi, raffinatissime imitazionidi pietre preziose, fondo tra i medaglioni decorato aracemi, tituli che si dispiegano lungo il bordo dei com-passi per precisare il soggetto rappresentato), non mancadi elementi gotici nella impaginazione e nel disegno deipersonaggi90.

Altre vetrate appartenenti al duecento avanzato sitrovano in Carinzia91, nella cattedrale di Gurk e spe-

cialmente a Friesach, dove nella vetrata con le Verginisavie e le Vergini folli non sono indifferenti i rapporticon il terzo atelier di Strasburgo. Occorre d’altra partesottolineare il rapporto che corre tra queste vetrate e gliaffreschi della cattedrale di Gurk (databili probabil-mente intorno al 126o), che sono uno dei testi fonda-mentali dello Zackenstil 92.

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Vetrate ad Assisi.

In Italia appartengono a questo periodo le tre vetra-te dell’abside della basilica superiore di San Francescoin Assisi: si tratta di tre grandi bifore tipologiche dove,dal basso verso l’alto, si dispongono rispettivamente,nelle luci di destra, in nove medaglioni per finestra, lestorie di Cristo (Infanzia, di cui è conservato solo unmedaglione, Vita pubblica, Passione) e, nelle luci di sini-stra, corrispondenti esempi dall’Antico Testamento. Ladata della loro esecuzione è discussa; secondo il Went-zel93 si collocherebbe anteriormente alla consacrazionedella basilica superiore (1252), secondo altri in unmomento immediatamente successivo. Sono stati messiin luce dal Wentzel i rapporti che uniscono queste vetra-te a esempi della Germania centrale (Erfurt, Merse-burg), e piú recentemente dal Martin i rapporti convetrate e miniature della regione medio-renana (strettiin particolare quelli con una scena dalla vetrata della

chiesa dei domenicani a Colonia, oggi nella cattedrale),tanto da far concludere senza alcun dubbio che la loroesecuzione spetti a maestri germanici.

Resta da precisare la loro data di esecuzione, chenon dovrebbe scostarsi di molto dalla metà del secolo,la provenienza dei maestri (il Martin ne distingue due),e infine da chiarire il fatto che ci si sia rivolti a maestritedeschi piuttosto che a piú moderni maestri francesi,

cosa che il soggiorno in Francia di Papa Innocenzo IV,cui si deve verisimilmente l’iniziativa della decorazionevitrea, avrebbe reso possibile. Se per quest’ultima que-stione un dato importante è l’esistenza nella chiesa deiFrati Minori di Erfurt di un precocissimo ciclo france-scano – segno preciso di tangibili rapporti tra Assisi e ilcentro tedesco – non devono essere trascurati altri tipidi spiegazione, che non escludono il primo, ma lo accom-pagnano e lo rinforzano. Innanzi tutto, come sottolinea

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il Martin, le vetrate tipologiche con una stretta corri-spondenza tra Antico e Nuovo Testamento, espressa

nel confronto attraverso l’accostamento di due meda-glioni, sono, in questo periodo, una specialità tedesca.D’altra parte sarà bene considerare la maggiore com-prensione che il pubblico italiano doveva dimostrare,verso il 1250, nei confronti dello Zackenstil  tedescopiuttosto che della piú avanzata situazione francese.Come in Germania, gli elementi gotici penetreranno inItalia prima nell’architettura e nella scultura e quindinella pittura. Lo stesso divario che avvertiamo nella cat-tedrale di Naumburg tra le vetrate e le sculture del gran-de maestro che qui ha lavorato lo riscontriamo in Italiase paragoniamo la scultura di un Nicola Pisano verso il125o-6o, sensibile del resto a esempi tedeschi oltre chefrancesi, alla pittura toscana contemporanea. Questorapporto tra Italia e Germania nasce dunque da una so-miglianza di situazioni che certo fu determinante nel-l’accoglienza di determinate proposte rispetto ad altre.

Prende origine qui una consuetudine che avrà il suopeso anche nel corso del trecento, secolo in cui le vetra-te italiane continueranno a mostrare rapporti evidenticon quelle germaniche.

La Scandinavia.

In Scandinavia un cospicuo gruppo di vetrate di que-sto periodo è conservato nelle chiese dell’isola svedesedi Gotland nel mar Baltico. Lo stile che qui si incontraè in strettissimo rapporto con quello di molte vetratedella Germania centro-orientale, e come questo accoglienumerosissimi elementi bizantini di provenienza pro-babilmente siciliana (mosaici della Cappella palatina diPalermo) o veneta94. I contatti economico-commercialitra l’isola di Gotland e i centri della Westfalia e della

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Sassonia furono sufficientemente forti nel duecento perspiegare certi nessi formali, ed effettivamente le vetra-

te dell’isola di Gotland costituiscono un capitolo impor-tante di quell’espansione europea dello stile turingio-sas-sone di cui, con maggiore originalità e varietà, testimo-niano le vetrate di Assisi.

Le piú antiche vetrate dell’isola di Gotland sonoquelle di Dalhem (dove lavorarono due diversi maestri),di Barlingbo e di Endre, che si collocano verso il1230-50. Numerosissimi sono gli elementi germanici: ilfondo lavorato a racemi, tutto il repertorio ornamenta-le nei bordi, nelle aureole, le pieghe dei panneggi, ivolti. La qualità è discreta, mentre piú bassa è quelladelle vetrate del periodo immediatamente successivoche sono conservate in diverse chiese dell’isola: Mora,Ekste, Sjonhem, Lojsta, Rone e nei musei di Visby e diStoccolma. Gli stessi maestri lavorarono in chiese diver-se usando talora i medesimi modelli, e i risultati risen-tono di una certa grossolanità artigianale che qualche

volta, con il suo fare corsivo, arriva a risultati piacevol-mente icastici e già protogotici, come nel pannello consan Martino a Visby, proveniente dalla chiesa di Silte95.

Tra occidente e oriente.

Nella prima metà del duecento i poli e i centri pro-

pulsori nella vicenda delle vetrate europee sono, sche-matizzando all’eccesso, principalmente due. Da unaparte la Francia capetingia con le sue differenti ten-denze: classicheggianti nel nord-est (Soissons, Laoneccetera), violentemente espressive nell’ovest, di unaeleganza ricercata e cortese a Parigi. Parallelamente alconsolidamento e all’espansione del ruolo politico dellamonarchia e all’importanza crescente della capitale, que-st’ultimo indirizzo finirà, come avviene in scultura, per

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prevalere. Malgrado le diversità di accento, malgrado ilcarattere preferenziale accordato, nei singoli casi, a ele-

menti differenti, queste tre tendenze, che nel grandecantiere di Chartres si incontrano, si fiancheggiano oanche si affrontano, si compongono in una linea di svi-luppo articolata ma fondamentalmente unitaria, ciascu-na apportando elementi singoli alla definizione dellostile gotico in pittura. Dall’altra è la Germania impe-riale, che manifesta nel cuore stesso del paese, nellecittà del centro e del settentrione, tra Reno e Weser, traWeser ed Elba, la sua opposizione al nuovo linguaggio,la sua fedeltà al rapporto privilegiato con l’oriente impe-riale bizantino. Questo rifiuto non deve essere identifi-cato con una posizione puramente conservatrice. Piut-tosto, resta da valutare nella sua complessità il proble-ma posto dalla elaborazione e dalla rapidissima, sor-prendente diffusione dello Zackenstil , il celebre stileseghettato tedesco. Ciò che sorprende e che pone un dif-ficile quesito di storia del gusto è l’accettazione quasi

unanime di questi modelli entro un’area assai vasta,fenomeno che invita a riflettere sulle motivazioniprofonde di una accettazione o di un rifiuto.

Questo stile non è un romanico tardivo, un manieri-smo o un barocco romanico, quanto piuttosto una pro-posta alternativa al gotico. È stato d’altra parte rileva-to come sotto la superficie increspata e distorta dai pan-neggi angolosi e spezzati si manifesti e si prepari «una

nuova organizzazione del corpo, una concezione nuovae monumentale dei personaggi e dell’immagine»96. Inquesto senso, il linguaggio spezzato e sincopato delloZackenstil perseguirebbe ricerche non molto lontane daquelle dell’armonico, ondulato, sinuoso gotico francese.Sotto una differenza di vocabolario si celerebbe unastruttura sintattica non opposta. I due linguaggi nonconosceranno tuttavia un’evoluzione parallela e l’avve-nire vedrà un rapido affermarsi del gotico francese, che

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nell’ultimo quarto del duecento si porrà, ormai vitto-rioso, come linguaggio artistico internazionale.

1 l. grodechi e c. brisac, Le vitrail gothique au XIII e  siècle, Fribourg1984, resta il riferimento di base per questo periodo.

2 e. panofsky, Gothic Architecture and Scholasticism, Latrobe 1951[trad. it. Napoli 1986]. Sull’apertura verso l’esterno e l’invetriatura deltriforio: r. branner, St Louis and the Court Style, London 1965, pp. 22sgg.; p. heliot, Les origines et les débuts de l’abside vitrée (XI e -XIII e  siè-cles), in «Wallraf-Richartz Jahrbuch», 1968, pp. 89 sgg. In generale

sulla parete diafana nell’architettura gotica cfr. h. jantzen, Über den gotischen Kirchenraum, in «Mitteilungen der Freiburger wissenschaf-tliche Gesellschaft», 1927; h. sedlmayr, Die Entstehung der Kathedrale,Zürich 1950, pp. 50 sgg.

3 a. haseloff, in Histoire de l’Art depuis les premiers temps chrétiens jusqu’à nos jours publiée sous la direction d’André Michel , Paris 1905,vol. I, parte II; l. grodecki, Les problèmes de l’origine de la peinture gothique et le «Maître de Saint -Chéron» de la Cathédrale de Chartres, in«Revue de l’Art», 40-41, 1978, pp. 43-64.

4 y. delaporte e e. houvet, Les Vitraux de la Cathédrale de Char-

tres, Chartres 1926, pp. 2 e 5-6; p. popesco, La cathédrale de Chartres,Paris 1970, p. 25.5 delaporte e houvet, Les Vitraux cit., pp. 491 sgg. Casi analoghi

si presentano nelle vetrate dell’isola di Gotland (Svezia), particolar-mente nelle serie di Sjonhem, Lojsta, Rone: cfr. a. andersson, s. chri-stie e c. a. nordman, Die Glasmalereien des Mittelalten in Skandinavien,CVMA, Skandinavien, Stockholm 1964, pp. 61 sgg. Cfr. anche s.brown e d. o’connor, Glass-Painters, London 1991, pp. 32 sgg.

6 m. harrison caviness, Sumptous Arts at the Royal Abbeys in Reimsand Braine, Princeton 1990.

7 e. frodl-kraft, Le Vitrail médiéval . Technique et esthétique, in«Cahiers de civilisation médiévale», x (1967), pp. 1-13.

8 e. panofsky, Gothic Architecture and Scholasticism cit.9 j. baltrusaitis, Réveils et prodiges. Le Gothique fantastique, Paris

1960, pp. 38 sgg.10 l. grodecki, Le «Style 1200», in Encyclopaedia Universalis, Sup-

plement II, 1980, pp. 1337-40, con bibliografia.11 f. deuchler, Der Ingeborgpsalter , Berlin 1967; l. grodecki, Le

Psautier de la reine Ingeburge et ses problèmes, in «Revue de l’Art», 5,1969, pp. 73-78.

12 a. weisberger, Studien zu Nikolaus von Verdun, Bonn 1940. A

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Nicolas de Verdun e all’influenza esercitata in Europa dalle sue opereera essenzialmente dedicata la mostra The Year 12oo, New York 1970.

13 r. s. lopez, Economie et architectures médiévales. Cela aurait -il tué 

ceci?, in «Annales ESC», 1952, pp. 433 sgg.14 l. grodecki, Les vitraux soissonais du Louvre, du Musée Marmot-

tan et des collections américaines, in «La Revue des Arts», x (1960), pp.163-78; m. harrison caviness, Modular Assemblages. Reconstructing thechoir clerestory glazing of the Soissons Cathedral , in «Journal of the Wal-ters Art Gallery», xlviii (1970), pp. 57-68.

15 Raccolte nella quarta sezione, dedicata appunto a Le Style 12oo,nel primo volume della raccolta di suoi scritti: Le Moyen Age retrouvé ,Paris 1986, pp. 383-591.

16 Recensement des vitraux anciens de la France, IV. Les Vitraux de

Champagne-Ardenne, Paris 1992, pp. 377-81.17 Ibid ., pp. 325-26.18 Sulla rosa di Losanna, cfr. e. j. beer, Die Rose der Kathedrale von

Lausanne und der kosmologische Bilderkreis des Mittelalters, Bern 1952; j. lafond, Les vitraux de la Cathédrale de Lausanne, in «Congrès Archéo-logique de France», 1952: Suisse Romande, pp. 116 sgg.; e. j. beer,Die Glasmalereien der Schweiz vom 12 bis zum beginn des 14 Jahrhun-derts, CVMA, Schweiz, I, Basel 1956, pp. 25 sgg.; id., Nouvellesréflexions sur l’image du monde de la cathédrale de Lausanne, in «Revuede l’Art», 10, 1970, pp. 57 sgg.; id., Les vitraux du Moyen Age de la

cathédrale, in aa.vv., La Cathédrale de Lausanne, Bern 1975, pp. 221-56; a. m. hilton, La rose de la cathédrale de Lausanne, in «Zeitschriftfür Schweizerische Archaeologie und Kunstgeschichte», xlvi (1989)pp. 251-69.

19 h. hahnloser, Villard de Honnecourt, Kritische Gesamtausgabe desBauhüttenbuches ms.  fr . 19o93 der pariser Nationalbibliothek, Wien1935.

20 grodecki, Le vitrail gothique cit., p. 124.21Sulle scene della vita del Battista si veda il catalogo The Year 12oo,

New York 1970, pp. 210-11, il catalogo dell’esposizione realizzata aLosanna per il 7oo° anno della consacrazione della cattedrale, Lausanne1975, n. 70, p. 93 e il saggio Les vitraux du Moyen Age cit.

22 Recensement des vitraux anciens de la France,II. Les Vitraux du Cen-tre et des Pays de la Loire, Paris 1981, pp. 25-45.

23 Esami recenti, resi possibili dallo smontaggio delle vetrate dellenavate laterali e dal loro trasporto in laboratorio per le operazioni direstauro, hanno mostrato l’intervento di maestri apparentementeafferenti ad atelier diversi nella stessa vetrata. Cfr. l’importante arti-colo di c. lautier, Les peintres-verriers des bas-côtés de la nef de Char-tres au début du XIII e  siècle, in «Bulletin Monumental», cxlviii (1990),pp. 7-45.

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24 p. frankl, The Chronology of the Stained Glass in Chartres Cathe-dral , in «Art Bulletin», xlv (1963), pp. 310 sgg.

25 j. van der meulen, Die Baugeschichte der Kathedrale Notre-Dame

de Chartres, in «Société archéologique d’Eure et Loir. Mémoires»,xxiii (1965), pp. 70-126; id., Recent Literature on the Chronology of Chartres Cathedral , in «Art Bulletin», xlix (1967), pp. 152-72; j. james,Chartres, Les Constructeurs, Chartres 1977-81; j. van der meulen, r.hoyer e d. cole, Chartres. Sources and Literary Interpretations. A Criti-cal Bibliography, Boston 1989.

26 j.-p. deremble e c. manhes, Guillaume le Breton et la Chronolo- gie de Notre-Dame de Chartres, in «Notre-Dame de Chartres», settem-bre 1988, pp. 11-16; f. perrot, Le Vitrail, la Croisade et la Champagne,in Les Champenois et la Croisade, a cura di Y. Bellenger e D. Quéruel,

Paris 1989, pp. 100-30; j. welch williams, Bread, Wine and Money,Chicago 1993, p. 17.27 b. brenk, Bildprogrammatik und Geschichtsverständnis der Kape-

tinger im Querhaus der Kathedrale von Chartres, in «Arte Medievale»,serie II, v (1991), pp. 71-95.

28 delaporte e houvet, Les Vitraux de la Cathédrale de Chartres cit.29 j. van der meulen, Lubinus von Chartres, in Lexikon der christli-

chen Ikonographie, Roma 1974, vol. VII.30 l. grodecki, Le Maître de Saint -Eustache de la cathédrale de Char-

tres, in Gedenkschrift Ernst Gall , Berlin 1965, pp. 171-94.31

grodecki, Les problèmes de l’origine de la peinture gothique cit.32 w. voege, Die Bahnbrecher des Naturstudiums um 1200 (1914), inBildhauer des Mittelalters, Gesammelte Studien, Berlin 1958, pp. 63-97.

33 l. grodecki, A Stained Glass «Atelier» of the Thirteenth Century,in «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», xi (1948), pp.87-111; id., Le Maître du Bon Samaritain de la Cathédrale de Bourges, inThe Year 1200 cit.

34 Sulle vetrate duecentesche di Saint-Serge ad Angers cfr.  j.hayward e l. grodecki, Les vitraux de la cathédrale d’Angers, in «Bul-letin Monumental», cxxiv (1966), pp. 7-67; Recensement des vitrauxanciens de la France, II. Les vitraux du Centre et des Pays de la Loire, Paris1981, pp. 287-94; grodecki e brisac, Le vitrail gothique cit., pp. 58-6o.

35 l. grodecki, Les Vitraux de la Cathédrale du Mans, in «CongrèsArchéologique», 1961: Maine, pp. 55-99; Recensement des vitrauxanciens de la France, II. Les Vitraux du Centre et des Pays de la Loire cit.,pp. 241 sgg.; ch. schmuckle-mollard e altri, La cathédrale Saint - Julien. La Verrière de la Passion, in «303. Arts, Recherches et Création»,xxxvii (1993), pp. 14-21.

36 a. loisel, La Cathédrale de Rouen, Paris 1924; a. m. car-ment-lanfry, La Cathédrale Notre-Dame à Rouen, Rouen 1977.

37 g. ritter, Les vitraux de la cathédrale de Rouen, Cognac 1926;

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f. perrot, Le vitrail à Rouen, Rouen 1972; m. callias-bey, Rouen.Cathédrale Notre-Dame. Les Verrières, Itinéraires du Patrimoine 25,Paris 1993.

38 grodecki e brisac, Le vitrail gothique cit., p. 48; j. lafond, Laverrière des Sept Dormants d’Ephèse et l’ancienne vitrerie de la Cathédra-le de Rouen, in The Year 12oo. A Symposium cit., pp. 399-411.

39 c. brisac, La peinture sur verre à Lyon au  XII e  siècle et au début du

XIII e , in «Dossiers de l’Archéologie», 14, 1976, pp. 100-6; id., Byzan-

tinismes dans la peinture sur verre à Lyon pendant le premier quart du XIII 

 siècle, in Il medio oriente e l’occidente nell’arte del  XIII  secolo, Atti delxxiv Congrès International d’Histoire de l’Art, Bologna 1979, Bolo-gna 1982, pp. 219-27.

40 j.-p. deremble e c. manhes, Le Vitrail du Bon Samaritain, Char-

tres, Sens, Bourges, Paris 1986.41 j. vallery-radot, La Cathédrale Saint-Etienne. Les principaux tex-tes de l’histoire de la construction, in «Congrès Archéologique de Fran-ce», CXVI Session, Auxerre 1958, Paris 1959, pp. 40-50.

42 r. branner, Burgundian Gothic Architecture, London 1960, pp.38 sgg. (paperback ed.: London 1985); v. chieffo raguin, The Gene- sis Workshop of the Cathedral of Auxerre and Its Parisian Inspiration, in«Gesta», xiii (1974), pp. 27-38; id., Stained Glass in Burgundy during the Thirteenth Century, Princeton 1982, recensita da S. Murraynell’«Art Bulletin» del 1986, pp. 332 sgg.; Recensement des vitraux

anciens de la France, III. Les Vitraux de Bourgogne, Franche Comté et Rhône-Alpes, Paris 1986, pp. 111-23.43 r. branner, Historical Aspects of the Reconstructions of Reims

Cathedral, 1210-1241, in «Speculum», xxxvi (1961), pp. 23-37.44 n. bongartz, Die frühen Bauteile der Kathedrale in Troyes. Archi-

tekturgeschichtliche Monographie, Stuttgart 1979; s. murray, Building Troyes Cathedral , Bloomington 1987, pp. 1-17.

45 j. lafond, Notre-Dame de Paris, in CVMA, France, I, Paris 1959;l. grodecki, f. perrot e j. taralon, Les Vitraux de Paris, de la région parisienne, de la Picardie et du Nord-Pas-de-Calais, CVMA, France,Recensement I , Paris 1978 (d’ora in poi citato come Recensement I ), p.31; p. cowen, Rose Windows, London 1979; grodecki e brisac, Levitrail gothique cit., p. 50.

46 l. grodecki, De 12oo à 1260, in Le Vitrail Français, Paris 1958,pp. 115 sgg.; Recensement I , p. 131.

47 Recensement I , p. 97.48 v. chieffo raguin, Windows at Saint -Germain-lès-Corbeil : A Tra-

velling Glazing Atelier , in «Gesta», xv (1976), pp. 265-72.49 Sulle vetrate della chiesa di Gercy, cfr. i cataloghi delle esposi-

zioni Vitraux de France, Paris 1953, pp. 5o sgg.; Cathédrales, Paris1962, pp. 151 sgg.; Mille ans d’art du vitrail , Strasbourg 1965, vol. II,

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p. 18; The Year 12oo. A Catalogue cit., pp. 205 sgg.; f. perrot, Notes sur les arbres de Jessé de Gercy et de St -Germain-lès-Corbeil , in The Year 12oo. A Symposium cit., pp. 417-28.

50 branner, St Louis and the Court -Style cit.51 w. sauerländer, La sculpture gothique en France 1140-1270,

Paris 1972, pp. 55 sgg.52 Su Pierre de Montreuil, cfr. m. aubert, Pierre de Montreuil , in

Festschrift K.  M. Swoboda, Wien 1959, pp. 19 sgg. La sua capitaleimportanza nell’architettura gotica intorno al 1240-5o era stata sotto-lineata da panofsky, in Gothic Architecture and Scholasticism cit. Tut-tavia l’attribuzione che gli viene fatta della Sainte-Chapelle non risaleal di là del xvi secolo ed è dunque assai insicura. r. branner, A Noteon Pierre de Montreuil and Saint-Denis, in «The Art Bulletin», xlv

(1963), pp. 355 sgg., ha messo in dubbio il ruolo importante che gene-ralmente gli viene attribuito nella ricostruzione duecentesca diSaint-Denis, ma la sua ipotesi è stata discussa e criticata da l. grodecki,Pierre, Eudes et Raoul de Montreuil à l’abbatiale de Saint -Denis, in «Bul-letin Monumental», cxxii (1964), pp. 269 sgg. La discussione sulleattribuzioni a Pierre de Montreuil sono riprese da branner, Saint Louisand the Court Style cit., pp. 61 sgg.; p. heliot, Les origines et les débutsde l’abside vitrée cit.; c. a. bruzelius, The Thirteenth-Century Churchat Saint-Denis, New Haven 1985.

53 j. baltrusaitis, Réveils et prodiges cit., p. 32, si rifà alla celebre

analisi del Focillon in L’Art des sculpteurs romans, Paris 1931 [trad. it.Torino 1972].54 w. sauerländer, Le cattedrali gotiche, Milano 1991, p. 256.55 l. grodecki, Les vitraux de la Sainte-Chapelle, in CVMA, France,

I, Paris 1959, p. 81.56 l. grodecki, Stained Glass Windows of St Germain-des-Prés, in

«Connoisseur», 140, 1957, pp. 33-37; ph. verdier, The Window of Saint -Vincent from the Refectory of the Abbey of Saint -Germain-des-Prés,1239-1244, in «Journal of the Walters Art Gallery», xxv-xxvi(1962-62), pp. 38-99.

57 h. boissonot, Les verrières de la Cathédrale de Tours, Paris 1932.58 f. salet, La Cathédrale de Tours, Paris 1949; branner, St Louis

and the Court Style cit., pp. 37-41.59 l. papanicolaou, The Iconography of the Genesis Window of the

Cathedral of Tours, in «Gesta», xx (1981), n. 1, pp. 179-89.60 m. parsons lillich, The Band-Window. A Theory of Origin and 

Development , in «Gesta», ix (1970), n. 1, pp. 26-33.61 branner, St Louis and the Court Style cit., pp. 97-1oo e 141-142;

m. davis, The Choir of the Cathedral of Clermont -Ferrand; the Beginning of the Construction and the Work of Jean Deschamps, in «Journal of theSociety of Architectural Historians», xl (1981), pp. 181-202.

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62 h. du ranquet, Les Vitraux de la Cathédrale de Clermont -Ferrand ,Clermont 1932.

63 l. grodecki, Le vitrail gothique au XIII e  siècle cit., pp. 138-40.

64 harrison caviness, Sumptous Arts cit.65 m. harrison caviness, The Early Stained Glass of Canterbury

Cathedral , Princeton 1977, pp. 84-96.66 harrison caviness, Sumptous Arts cit., pp. 119-21.67 harrison caviness, The Early Stained Glass cit., pp. 83-95.68 j. lafond, The Stained Glass Decoration of Lincoln Cathedral in the

Thirteenth Century, in «The Archaeological Journal», ciii (1947), pp.119-56; n. morgan, The Medieval Painted Glass of Lincoln Cathedral ,London 1983, recensito da m. harrison caviness in «BurlingtonMagazine», cxxvii (1985), pp. 95-96.

69 Si veda la scheda che lo riguarda sul catalogo dell’esposizione Ageof Chivalry. Art in Plantagenet England , London 1987, pp. 215-16.

70 r. marks Stained Glass in England during the Middle Ages, London1993, pp. 124-36.

71 Cfr. Royal Commission on Historical Monuments I, Westminster  Abbey, London 1924, p. 87; p. brieger, English Art 1206-1307 , Oxford1957, p. 130; j. baker, English Stained Glass of the Medieval Period , Lon-don 196o, p. 44; Age of Chivalry cit., p. 530.

72 h. wentzel, Die ältesten Farbenfenster in der Oberkirche von SanFrancesco zu Assisi und die deutsche Glasmalerei des  XIII  Jahrhunderts, in

«Wallraf Richartz Jahrbuch», xiv (1952), p. 67.73 h. wentzel,  Meistenwerke der Glasmalerei, Berlin 19542, p. 31,ritiene che un medesimo atelier abbia lavorato alle vetrate del duomodi Francoforte, i cui resti sono conservati allo Historisches Museumdella città e nello Hessisches Landesmuseum a Darmstadt (cfr. e. vonwitzleben, Farbwunder deutscher Glasmalerei aus dem Mittelalter , Aug-sburg 1965, p. 32), a quelle di Gelnhausen nell’Assia, a quelle del corodella cattedrale di Naumburg (circa 1250), a quelle delle navate late-rali della cattedrale di Strasburgo, considerando piú antiche quelle diFrancoforte e di Gelnhausen (di qui l’ipotesi di un’origine medio-rena-na dell’atelier) e più recenti quelle di Naumburg e di Strasburgo.

74 Sulle vetrate di Sankt Kunibert a Colonia cfr. h. oidtmann, Dieromanischen Glasmalereien in der Pfarrkirche St . Kunibert zu Köln, in«Zeitschrift für christliche Kunst», xxiii (1910), pp. 199-212; id., Dierheinischen Glasmalereien vom 12. bis zum 16. Jahrhundert , Düsseldorf1912-29, vol. I, pp. 72 sgg; wentzel, Meisterwerke cit., pp. 22 sgg.;von witzleben, Farbwunder cit., pp. 25 sgg.

75 Sulla formula tedesca dell’albero di Jesse cfr. von witzleben,Farbwunder cit., pp. 25 sgg.

76 La caratteristica forma di certi compassi mistilinei tedeschi, intro-dotti dall’atelier medio-renano di cui parla il Wentzel e reperibili a

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Francoforte, Naumburg e Strasburgo, trovano continuazione e svilup-po in Austria nelle vetrate di Pichl bei Tragöss, in quelle di SanktMichael bei Leoben, e in quelle trecentesche di Lieding e di SanktLeonhard im Lavanttal; in Italia in quelle di Assisi (e non solo in quel-le duecentesche del coro della basilica superiore create da un atelier ger-manico, ma anche in quelle trecentesche della cappella della Maddale-na e di San Martino nella basilica inferiore), di Siena (compassi con iquattro santi protettori della città nella vetrata duccesca in Duomo) edi Firenze (in Santa Croce le vetrate della cappella Bardi di Vernio equelle del finestrone centrale dell’abside). Studiare queste filiazionisignificherebbe far luce su una serie di rapporti artistici tra Alsazia,Germania, Austria e Italia nel xiii e nel xiv secolo. Cfr. e. frodl-kraft,Die «Figur im Langpass» in der österreichischen Glasmalerei und die

Naumburger Westchor Verglasung , in Kunst des Mittelalten in Sachsen.Festschrift Wolf Schubert , Weimar 1967, pp. 309 sgg.77 Cfr. von witzleben, Farbwunder cit., p. 30.78 v. beyer, Les vitraux de la cathédrale de Strasbourg , CVMA, Fran-

ce, IX, 1, Paris 1986.79 v. beyer, Les roses de réseau des bas-côtés de la cathédrale et l’œu-

vre d’un atelier strasburgeois du XIII e siècle, in «Bulletin de la Société desAmis de la Cathédrale de Strasbourg», 7, 196o, pp. 63-96.

80 I caratteri dello Zackenstil furono descritti da a. haseloff, Einethuringisch- sachsische Malerschule des XIII  Jahrhunderts, Strassburg 1897.

Sull’origine di questo stile e sull’accoglienza in esso di elementi bizan-tini cfr. g. swarzenski, Aus der Kunstkreis Heinrichs des Löwen, in «Stä-del-Jahrbuch», vii-viii (1932), pp. 241 sgg.; a. stange, Beiträge zur sach- sischen Buchmalerei der 13 Jahrhunderts, in «Münchner Jahrbuch»,1929; o. demus, Der «sachsische» Zackenstil und Venedig , in Kunst des Mittelalters in Sachsen. Festschrift W. Schubert cit., p. 307; j. c. klamt,Deutsche Malerei in Propyläen Kunstgeschichte, vol. VI, Das Mittelalter II , a cura di O. von Simson, Berlin 1972, pp. 26o-64; h. belting, Zwi- schen Gotik und Byzanz, in «Zeitschrift für Kunstgeschichte», xli(1978) pp. 217-257; r. kroos, Sachsische Buchmalerei 12oo-125o, in«Zeitschrift für Kunstgeschichte», xli (1978), pp. 283-316.

81 r. becksmann, The stylistic problems of the Freiburg Jesse-Window,in The Year 1200. A symposium cit., pp. 361-72; catalogo della mostraDie Zeit der Staufer , Stuttgart 1977, vol. I, pp. 409 sgg.

82 r. becksmann, Deutsche Glasmalerei des Mittelalters, Stuttgart1988, p. 116.

83 Catalogo della mostra Die Zeit der Staufer cit., vol. I, pp. 290 sgg.84 wentzel, Die ältesten Farbenfenster cit.85 Cfr. a. haseloff, Die Glasgemälde der Elisabethenkirche in Mar-

burg , Berlin 19o6; e la recensione di p. clemen in «Repertorium fürKunstwissenschaft», xxxiv (1911); a. kippenberger, Grauteppichfen-

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 ster der Elisabethkirche zu Marburg und des Zisterzienserklosters Haina, inFestschrift R. Hamann, Burg 1939, pp. 40-45.

86 Sulla datazione delle vetrate di Naumburg si veda il saggio di e.

schubert, Der Westchor des Naumburger Domes, in «Abhandlungen derdeutschen Akademie d. Wissenschaften zu Berlin. Klasse für Sprache,Literatur und Kunst», 1964, 1, Berlin 1965, che tende a situare dopoil 1249 la costruzione del coro occidentale della chiesa. Di conseguenzale vetrate dovrebbero appartenere alla seconda metà del duecento eavere una datazione un poco piú tardiva di quella (circa 1250) propo-sta dal Wentzel. Cfr. e. drachenberg, k.-j. maercker e c. richter, Mittelalterliche Glasmalerei in der Deutschen Demokratiscken Republik,Berlin 1979.

87 h. wentzel, Die Farbfenster des 13 Jahrhunderts in der Stifiskirche

zu Bucken an der Weser , in «Niederdeutsche Beiträge zur Kunstge-schichte», I, 1961, pp. 57-72: Erhaltungzustand ; II, 1962, pp. 131-51:Ikonographie; III, 1963, pp. 195-214: Stil .

88 g. fritzsche, Die mittelalterliche Glasmalereien im Regensburg Dom, CVMA, Deutschland, XIII, 1, Berlin 1987.

89 Delle vetrate di Francoforte si è detto che il Wentzel le conside-ra tra le prime opere di un atelier in seguito operante a Naumburg e aStrasburgo. Sempre proveniente da Francoforte è una vetrata in otti-mo stato di conservazione, oggi nel museo di Darmstadt, con i santiAgostino e Niccolò e una coppia di donatori inginocchiati. Da citare

anche in questo contesto le piú antiche finestre del duomo di Colonia(vetrata biblica della Marienkapelle, circa 1240, quasi interamenterifatta nell’ottocento; vetrata biblica della Stephanuskapelle, circa1270, proveniente dalla chiesa dei domenicani della città). Cfr. e. vonwitzleben, Die Glasfenster des Kölner Domes, Aschaffenburg 1949; id.,Farbwunder cit. pp. 32 sgg.; h. rode, Die mittelalterlichen Glasmalereiendes Kölner Doms, CVMA, Deutschland, IV, 1, pp. 83-98; u. brink-mann, Das jungere Bibelfenster ( Meisterwerke des Kölner Doms I ), Kölns. d.

90 e. frodl-kraft, Das Margaretenfenster in Ardagger , in «Wiener Jahrbuch für Kunstgeschichte», xvi (1954), pp. 9-46; id., Die mitte-lalterlichen Glasgemälde in Niederösterreich, CVMA, Osterreich, II,Wien 197 2, pp. 10-21.

91 w. frodl, Glasmalerei in Kärnten 1150-1500, Klagenfurt-Wien1950.

92 o. demus, La peinture murale romane, Paris 1970.93 wentzel, Die ältesten Farbfenster cit.; r. haussherr, Der typolo-

 gische Zyklus der Chorfenster der Oberkirche von S. Francesco zu Assisi,in Kunst als Bedeutungsträger, Gedenkschrift für Günther Bandmann, Ber-lin 1978, pp. 95-128; f. martin, Die Apsisverglasung der Oberkirche vonS. Francesco in Assisi, Worms 1993.

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94 Sulle vetrate scandinave cfr. particolarmente j. roosval, Gotland- sk Vitrarius, Stockholm 1950; andersson, Die Glasmalereien des Mitte-lalters in Skandinavien cit.

95 andersson, Die Glasmalereien des Mittelalters in Skandinavien cit.,p. 246, tavola 49.

96 demus, La peinture murale romane cit., p. 96.

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Capitolo decimo

Espressionismo gotico

Nella seconda metà del duecento, e in modo piúaccentuato a partire dagli anni settanta, si afferma inFrancia un modo di rappresentare che acquista assaipresto una diffusione internazionale e che è caratteriz-zato da una insistita ricerca di espressività nei volti deipersonaggi, nei loro atteggiamenti, nelle movenze. Unasorta di espressionismo gotico succede al momento clas-sico dei primi decenni del secolo e al fare rapido e cor-sivo delle vetrate della Sainte-Chapelle.

Una accentuazione della ricerca espressiva non era unfenomeno nuovo. Si era manifestata nel xii secolo, e anzia questa tendenza, particolarmente presente nell’ovest(Le Mans, Poitiers), aveva reagito il carattere sereno,armonico dello stile 1200 che, elaborato nell’area tra laMosa e il nord della Francia, si era diffuso in molte partid’Europa e aveva fatto la sua comparsa anche nel gran-de cantiere di Chartres. Malgrado questa apparente

liquidazione delle tendenze espressive certe propensio-ni non erano mai interamente scomparse. Di fronteall’armonia e alla sempre piú accentuata eleganza corte-se dell’ambiente parigino, un atteggiamento diverso siera mantenuto, manifestandosi con notevole seppureisolato vigore. Cosí un linguaggio vivacemente espres-sivo era prevalso nelle piú recenti vetrate di Chartres(rose e finestre alte del transetto, 1220-30 circa) nell’o-pera del Maestro di Saint-Chéron, e si era espresso poi

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(circa 1255) con forza eccezionale in certe finestre altedel coro della cattedrale di Le Mans. Nella seconda

metà del secolo queste tendenze si accentuarono, si dif-fusero, si manifestarono in modi diversi e indipendentiin vari centri. Non si trattò tanto del ritorno a certesoluzioni formali quanto dell’esprimersi in forma nuovae diversa di una problematica antica. Nel corso di unsecolo il linguaggio della pittura era profondamente cam-biato, tanto da rendere impossibili quelle stilizzazioniestreme e sommarie e quelle deformazioni incontenibi-li che avevano caratterizzato l’arte tardoromanica.Mutati il canone delle proporzioni, il modo di rappre-sentare il volume, il rapporto delle figure con il fondo,il ritmo, la cadenza, e il tracciato delle pieghe, emerge-va la volontà di conferire ai volti, agli atteggiamenti, alrapporto tra i personaggi una potente espressività.

Questa tendenza si affermò quasi contemporanea-mente in vari punti d’Europa, dalla Francia settentrionaleal sud della Germania, dall’Alsazia all’Inghilterra. Nelle

vetrate tipologiche della chiesa benedettina di San Vitoa Mönchen-Gladbach1, non lontano da Düsseldorf, unaviolenta tensione espressiva si manifesta nei volti, neilineamenti dei personaggi e piú ancora nei gesti, negliatteggiamenti. Patriarchi e profeti dalle barbe spioventi,dalle lunghe, agitate capigliature, dalle fronti aggrottateindicano con le dita e con gli occhi i cartigli e sottolinea-no mimicamente le concordanze tra le scene bibliche ed

evangeliche

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. E ciò in un linguaggio agitato, angoloso,abbreviato che deriva dallo Zackenstil e che è quindimolto diverso da quello che si può trovare adoperato inFrancia alla stessa epoca per esprimere urgenze analoghe.

Allo stesso modo, in Italia, una esigenza espressivacomune si manifesterà in forme stilistiche molto diver-se, nei personaggi di Cimabue appassionati e patetici, incui una potente carica sentimentale investe e utilizzaschemi di derivazione bizantina, e nelle sculture di Gio-

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vanni Pisano, tanto moderne nella loro profonda ade-sione al linguaggio gotico da sembrare appartenere a un

altro mondo, a un’altra cultura. Motivazioni simili ven-nero cosí a manifestarsi contemporaneamente attraver-so linguaggi differenti. Presto però caratteri formali – enon solo motivazioni – comuni si ritroveranno in vetra-te di Poitiers come di Strasburgo, di Assisi o di Esslin-gen e di tanti altri centri dall’Austria all’Inghilterra. Sefino a oltre la metà del secolo i nuovi modi della pittu-ra gotica avevano ricevuto un’accoglienza ineguale, spes-so un rifiuto, una resistenza, o avevano ispirato soluzioniformali diverse, ora una specie di koinè accomuna i varicentri europei.

Prima del momento che per antonomasia fu chiama-to del «gotico internazionale» si manifesta così, allafine del duecento, sotto il segno dell’espressività, una«prima internazionale gotica». Questi caratteri comunisi spiegano con il definitivo trionfo, o meglio con la defi-nitiva accettazione del linguaggio pittorico gotico di ori-

gine francese, nei piú svariati centri, dove esso venne asostituirsi a tradizioni ben radicate con la stessa forza ela stessa capacità di penetrazione che molti secoli primaavevano caratterizzato nel bacino del Mediterraneo illinguaggio formale ellenistico e che piú tardi caratteriz-zerà in tutta Europa il linguaggio manierista italiano.

La Francia.Nel Musée de Cluny a Parigi si trovano quattro splen-

denti vetrate provenienti dalla cappella (costruita aitempi di san Luigi) dell’antico castello reale che FilippoAugusto aveva fatto erigere a Rouen3. Le immagini diquattro santi (Pietro, Paolo, Giacomo, Giovanni Evan-gelista) sono rappresentate sedute su troni ed elaboratifaldistori ornati all’estremità dei montanti da vivacissi-

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me protomi animali, leoni, cani. I volti dei personaggisono fortemente caratterizzati, le pieghe dei drappeggi

sono ombrate, agitate, impetuose, e le immagini, rea-lizzate con vetri di colori squillanti e profondi, sonoincorniciate da ampie zone di vetri chiari dipinti con finigrisaille a motivi vegetali che occupano interamente laparte inferiore e quella superiore delle finestre, secon-do una formula che avrà un immenso successo e che,cambiando radicalmente l’aspetto delle vetrate, trasfor-merà la luminosità e la visibilità all’interno delle chie-se4. Si è discusso (se ne è parlato nel quarto capitolo)sulle ragioni che hanno spinto a questo profondo muta-mento nella gamma cromatica delle vetrate, e ne sonostate addotte sia di ordine estetico-percettivo, sia diordine piú propriamente culturale-filosofico.

La tendenza vivacemente espressiva che si manifestagià negli ultimi anni del regno di san Luigi appare inFrancia espressa in modi, forme e stilemi diversi innumerose vetrate, in quelle delle finestre alte del coro

della cattedrale di Le Mans (attorno al 1255), in quelledel triforio della cattedrale di Tours (dopo il 126o), inquelle, disperse per mezzo mondo, della cattedrale diSées (127o-8o circa), in quelle della Trinité di Vendô-me (circa 128o)6, in quelle di Evron, ma anche in Pic-cardia ad Amiens nella grande vetrata donata (come silegge nella gigantesca iscrizione che si svolge in basso)nel 1269 dal vescovo Bernard d’Abbeville (1259-81) cui

abbiamo già accennato e dove sono rappresentati, in fi-gure smisuratamente allungate, il prelato che offre lavetrata alla Vergine e immagini di angeli. All’est, in unaLorena finora poco presente nel campo delle vetrate,dove qualche suggerimento germanico si insinua nel lin-guaggio gotico francese, le tendenze espressive simanifestarono, sia pure in tutt’altri modi, nelle vetrateestremamente interessanti della chiesa di Saint-Gen-goult a Toul7.

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Particolarmente significativi sono tre cicli pur assaidiversi tra loro, quelli di Saint-Urbain di Troyes, di

Sainte-Radegonde di Poitiers e di Saint-Père a Char-tres. Il piú antico dei tre è probabilmente quello diTroyes. La chiesa di Saint-Urbain era stata fondata nel1262 da Urbano IV, il coro e il transetto erano già ter-minati nel 1266. Vari incidenti e un incendio che nedevastò il tetto ritardarono tuttavia il compimento dellaparte orientale dell’edificio (quella occidentale nonvenne terminata che nel xix secolo), sí che non è pos-sibile arrivare a un’esatta datazione per le finestre, chedevono situarsi all’incirca verso il 1270-75 dato chenel 1270 il conte Thibault V di Champagne donavaun’importante somma alla chiesa e le vetrate portano unbordo alle armi di Champagne e di Navarra8. L’interoinvolucro dell’abside poligonale si articola in immensesuperfici vitree appena spartite da esili pilastrini e darobusti contrafforti. Le finestre, divise in due registrida una sottile modanatura architettonica orizzontale,

salgono dallo zoccolo alle volte sottolineando cosí loslancio ascensionale. Nel registro inferiore delle finestresono storie della Passione isolate entro piccoli riquadrinel grande campo del fondo chiaro dipinto a grisaillecon racemi, appena animato da segmenti e semicerchiin vetro colorato, che ricordano il disegno delle vetra-te cistercensi. Nel registro superiore sono invece gran-di personaggi, profeti, patriarchi, santi inquadrati da

una incorniciatura architettonica: baldacchini con tim-pani e ghimberghe sormontati da torri e da guglie. Treelementi caratteristici del nuovo stile compaiono quicontemporaneamente: la forte caratterizzazione espres-siva, particolarmente nei grandi personaggi, l’uso divasti fondi chiari contro cui si staglia e spicca la ristret-ta superficie colorata, e l’importanza data alla in-corniciatura architettonica dei personaggi, un elemen-to già presente in certe vetrate di Chartres, ma che

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prende, nella seconda metà del xiii secolo, una nuovaimportanza9.

La vetrata con la leggenda di santa Radegonda nellaomonima chiesa di Poitiers, dove si trovano fortementerestaurate e variamente ricomposte altre vetrate delmedesimo tempo ma di diversa tendenza stilistica10, èprobabilmente contemporanea a quelle di Saint-Urbain.Le datazioni che per essa vengono proposte oscillano dal1269 (è questa la data proposta da Jean Lafond)11 al 1290circa. Un passo del testamento di Alphonse de Poitiersdel 1271, che fa menzione di una somma di cento soldipoitevini lasciata «per terminare la vetrata», si riferisceverisimilmente a una grande finestra a otto luci sormon-tata da una rosa che mostra altri indirizzi stilistici, mapuò tuttavia fornire un’indicazione cronologica plausi-bile. Il linguaggio che si trova impiegato nella vetrata diSanta Radegonda è tra i piú immediati e icastici che sipossano immaginare: i personaggi sono caratterizzati daun’espressività che sfocia nell’umorismo, da un segno

corsivo che traccia sicuro il profilo di un naso legger-mente arricciato, che muove il volto in un sorriso orabeato, ora timido e intento, ora stolido. I miracoli dellasanta assumono cosí un aspetto quotidiano e la libertà deigesti e degli atteggiamenti è sottolineata dal fatto che gliepisodi non sono inquadrati da un’incorniciatura che lidivide dal fondo, ma i personaggi si stagliano diretta-mente sul fondo in vetro chiaro trattato a grisaille con

motivi geometrici e vegetali. Non vi sono quindi, comea Troyes, due zone, quella delle scene a colore pieno equella del vetro chiaro, trattate in modo diverso; con unasoluzione geniale tutto è messo sullo stesso piano, sì chel’abito della santa a grandi scacchi diventa quasi un moti-vo araldico del fondo.

Un autentico apice espressivo è raggiunto nelle vetra-te dell’antica chiesa abbaziale di Saint-Père (oSaint-Pierre) a Chartres. Le vetrate di questo edificio,

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che ha avuto una storia costruttiva lunga e complessa,vennero eseguite in tempi diversi12. Le piú antiche sono

quelle del coro, databili probabilmente intorno al 127013

;successivamente vengono quelle dell’abside (circa 13oo)e, per finire, quelle della navata, riconducibili, grazie allapresenza di vari donatori identificabili14, al decennio trail 1305 e il 1315. I personaggi non hanno la finezza diquelli di Sainte-Radegonde e le loro sagome pesanti sistipano entro il breve spazio che li ospita. Si manifestanello stesso tempo un dinamismo nervoso bene avverti-bile nel disegno delle pieghe, negli atteggiamenti dellefigure spesso costruite secondo lo schema dell’arabescocon torsioni e controtorsioni, e una tendenza semplifi-catoria evidente nei modi abbreviati dei volti, nellemani enormi, piatte, allungate. Gli elementi scelti comeportatori di precisi significati espressivi vengono sotto-lineati e messi in evidenza, privilegiati. Ne risultanofigure agitate dalla mimica sommaria, accentuazioni cari-caturali dei volti, e la scelta di un repertorio elementa-

re di gesti espressivi fino a essere brutali.Diversi come sono tra loro, questi tre cicli mostranotuttavia un elemento comune, che appartiene allo stiledel tempo, consistente in quella ricerca espressiva chepassa dall’appassionato al satirico, dall’affettuoso alparodistico, e si manifesta contemporaneamente anchenei rilievi di alcune grandi cattedrali (portali dei Libraie delle Calende a Rouen, facciata della cattedrale di

Lione). Il passaggio dall’armonico classicismo goticodella prima metà del duecento al violento espressionismodella fine del secolo è del resto sintomo di una situazionegenerale che non si manifesta solo nel campo della figu-razione. Lo stesso mutamento si rivela infatti quando sipassi dalla prima parte del Roman de la Rose, scrittaverso il 1235 da Guillaume de Lorris, alla seconda,redatta una quarantina d’anni dopo da Guillaume deMeung.

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Non sembra possibile per ora indicare da quali cen-tri abbia preso a svilupparsi questa tendenza, pur con-

statando come l’ovest della Francia abbia conservatouna sorta di continuità nella tradizione espressiva15: con-siderandone la vastissima diffusione europea, volta pervolta con accentuazioni particolari, si potrebbe pensarea una pluralità di focolai, derivante dall’incalzare nellediverse culture di una analoga urgenza espressiva; d’al-tro canto verrebbe fatto di considerare questo stile comeuna reazione al gotico cortese di origine parigina che siera affermato nel secondo quarto del duecento. Non sitrattò tuttavia di un rifiuto o di una contestazione del-l’estetica di corte e dei suoi canoni, di una rivolta versol’imposizione di una certa etichetta aulica, di certi ele-menti a cui – variando tipo, genere e accento – si vole-vano sostituire altri, in quanto è proprio nell’ambienteartistico parigino che fanno la loro comparsa, nellaseconda metà del secolo, accenti fortemente espressivi,sia nella miniatura16 sia nelle vetrate. In assenza di esem-

pi conservati nella città ne testimoniano, non lontano,le vetrate con storie della Vergine della splendida chie-sa di Saint-Sulpice de Favières17. Il linguaggio espressi-vo arriva del resto all’apogeo nella Parigi di Filippo ilBello con l’opera di Maître Honoré e con la tendenzache, a torto o a ragione, a questo nome si riconduce18.Emerge qui, come già in precedenza, il problema deirapporti tra miniaturisti e maestri vetrari: è certo che il-

lustratori di manoscritti abbiano anche dato disegni pervetrate; nel caso delle finestre di Sainte-Radegonde aPoitiers e di tante vetrate normanne del trecento la cosasembra piú che plausibile, manca però per questo perio-do una qualsiasi documentazione che non sia quellaofferta dalle fortissime somiglianze formali tra i prodottidelle due tecniche19.

La fase stilistica contraddistinta da una prevalentericerca di espressività che aveva trasformato gli schemi

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armonici ed eleganti dei primi decenni del regno di sanLuigi continua, pur modificata e attenuata, fino al

nuovo mutamento che segue l’introduzione nelle vetra-te della rappresentazione tridimensionale dello spazio,conseguenza dell’espansione per diverse vie dei modigiotteschi, del probabile viaggio in Italia di Jean Pucel-le e della sua prolungata e prestigiosa attività nella capi-tale20; anche questo, come quello di Maître Honoré, unterreno esemplare per esplorare gli scambi tra miniato-ri e maestri vetrari21.

Vetrate inglesi.

L’Inghilterra conosce una situazione non molto diver-sa da quella francese. Anche qui si manifesta con forzaun trattamento espressivo dei personaggi accompagna-to da un uso sempre maggiore del fondo chiaro dipintoa grisaille e da un ricorso crescente alle inquadrature ar-

chitettoniche. C’è anche un largo incremento nel nume-ro delle vetrate conservate. Mentre nella prima metà delduecento le vetrate inglesi, se paragonate a quelle anco-ra esistenti in Francia, erano in numero assai scarso, ese le poche superstiti mostravano di seguire strettamentei modelli francesi, la situazione ora cambia notevol-mente e le vetrate inglesi mostrano con chiarezza carat-teri propri e autonomi.

Agli inizi del trecento, verso il 1303, lavorò nella cat-tedrale di Exeter il maestro vetrario Walter di Glouce-ster22. Allo stesso periodo, e di grande interesse per l’in-tensa caratterizzazione espressiva dei personaggi rap-presentati, appartiene il ciclo della cappella del MertonCollege a Oxford, donato dal cancelliere dell’univer-sità, Henry di Mamesfeld (1298-1311) che vi si fece rap-presentare inginocchiato per ben ventiquattro volteaccompagnando i santi effigiati nelle luci centrali23.

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Le accentuazioni espressive trovano in Inghilterraun’accoglienza talmente favorevole e di cosí lunga dura-

ta da spingere a domandarsi se non sia stato proprio que-sto uno dei focolai delle nuove tendenze. Anche se lacronologia delle vetrate inglesi non permette di conclu-dere per una priorità insulare, si potrà constatare che quicerte soluzioni – pur impostate su un terreno comune –vanno al di là, in fatto di espressività, di quanto era statocreato in Francia. Le abbreviazioni esasperate della Madonna col Bambino della chiesa di Fladbury (Herefordand Worcester) e di quella, del tutto analoga e che uti-lizza lo stesso modello, che si trova non lontano nellachiesa di Warndon propongono in questo senso unasoluzione estrema24, mentre i personaggi delle vetrate diEaton Bishop (nella medesima contea), donate nel 1328dal canonico Adam de Muirimoth, hanno quell’anda-mento sinuoso e quella linea fluente e ondulata che per-mette una grande intensità di espressione e segna i sal-teri dell’East Anglia nel primo trecento. Poiché, tutta-

via, gran parte delle vetrate inglesi caratterizzate dauna forte presenza di elementi espressivi appartengonoal xiv secolo, se ne parlerà piú estesamente nel prossi-mo capitolo.

Il mondo tedesco.

I cicli piú significativi e importanti di questo perio-do in Germania si trovano nelle regioni occidentali. Ilcentro-nord, che aveva avuto una parte cosí rilevantenella nascita e nella evoluzione dello Zackenstil , vedediminuire la propria capacità creativa. Non che a Bran-denburg, a Erfurt, a Meissen o a Naumburg (vetrate delcoro orientale) non si trovino opere significative25, malo stile che vi si trova impiegato proviene da altre areelinguistiche. Lo Zackenstil non trova uno sviluppo e

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una continuazione e viene sostituito da un altro e diver-so linguaggio che penetra e si afferma a partire dall’oc-

cidente.

Strasburgo.

Il centro propulsore del nuovo linguaggio, il focolaiodelle ricerche gotiche, piú precoci in area germanica,sembra esser stato Strasburgo, dove diversi atelier dal-l’orientamento moderno e avanzato lavorarono succes-sivamente alle vetrate della cattedrale26.

Le ragioni del prestigio di cui godette e dell’influen-za che esercitò la città renana sono molteplici. Per l’e-poca era una città grande, ma non maggiore di altrecome Norimberga e Ulma, e certo minore di Colonia.Era situata in un’area che si trovava alla frontiera tradue lingue e due culture, era stata prediletta dagliHohenstaufen, antichi e privilegiati rapporti la legava-

no alla famiglia degli Asburgo il cui peso negli affarieuropei era crescente. Infine, ed è la cosa piú impor-tante, intorno alla cattedrale ferveva un’attività artisti-ca molteplice e intensissima. La grande navata era stataricostruita nel corso di una trentina d’anni, tra il 124oe il 1275 all’incirca (e in questo periodo è compresa unalunga interruzione), un tempo record per una impresamedievale. Poi era stata la volta della facciata, e il vio-

lento incendio che nell’agosto del 1298 devastò la chie-sa era giunto come una sfida a provocare e a suscitare larisposta dei cittadini. Dopo i vescovi, dopo il capitolo,questi erano divenuti ormai responsabili della gestionedel cantiere. Per la facciata si cercavano i migliori archi-tetti, i piú moderni. Alla fine del duecento e nei primidue decenni del nuovo secolo vi lavora il celebre mae-stro Erwin, che verrà celebrato da Goethe come un eroedell’arte tedesca. Si devono a lui la stupenda rosa trafo-

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rata della fronte e le aeree edicole della tomba del vesco-vo Lichtenberg; le sue soluzioni grafiche nuove e genia-

li non mancarono di avere ripercussioni sui maestri divetrate. A questa città, a questo cantiere, il piú impor-tante dei paesi tedeschi alla fine del duecento e agliinizi del trecento, si rivolge l’attenzione dei committentie degli artisti.

Nelle sue finestre abbiamo il primo monumentofondamentale della pittura gotica in territorio germa-nico. Louis Grodecki ha fatto osservare che mentrel’architettura della navata27 riecheggia lo stile del norddella Francia – di Saint-Denis o, piuttosto, di certechiese dello Champagne – e le sculture dello jubé quel-le dello Champagne, le vetrate avrebbero scarsi rap-porti con l’arte francese. Resta il fatto che molti ele-menti occidentali si trovano qui per la prima volta eche d’altra parte, proprio per il loro relativo arcaismoe per il loro rimanere su posizioni piú conservatricirispetto alle punte avanzate della pittura francese, que-

ste vetrate, come più in generale per l’avvenire quelledegli atelier di Strasburgo, conosceranno una vastaricezione europea.

Già nella invetriatura delle finestre alte della nava-ta principale, condotta negli anni 1250-70 circa, configure sovrapposte a nord di santi diaconi, vescovi epapi, e a sud di santi martiri, sono presenti elementigotici nelle inquadrature architettoniche e nei fregi dei

bordi, nei panneggi, nei volti e nella disposizione stes-sa dei personaggi. Un certo intervallo di tempo separatra loro le vetrate della navata principale e il loro aspet-to diverge fortemente. I baldacchini architettonici chenella prima finestra alta (partendo da est) della paretesettentrionale della navata sovrastano papi e diaconisono relativamente semplici: al di sopra di un arco acutoche inquadra i personaggi si alzano, sormontando unmuro merlato, bifore gotiche con un coronamento trafo-

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rato e modeste ghimberghe. Nella finestra alta corri-spondente sulla parete di fronte le sante prendono posto

sotto baldacchini più elaborati, coronati da una slancia-ta guglia centrale affiancata da due alti pinnacoli che sicollegano a essa mediante archi rampanti. I personaggisono trattati in modo differente: nelle sante la rigidafrontalità dei santi e dei diaconi si trasforma sottilmen-te in una varietà di atteggiamenti, lo hanchement , tipi-ca formula gotica, è ben presente, e anche i bordi a vir-gulti naturalistici e le basi sono diversi. La distinzionefondamentale non si situa però tra le finestre di unaparete e quelle dell’altra; mutamenti importanti sonoavvertibili anche tra le finestre che si trovano sullamedesima parete. Ciò è dovuto sia a cambiamenti inter-venuti nel corso della costruzione della navata, chehanno comportato interruzioni e ritardi, sia all’attivitàcontemporanea di diversi atelier.

Un grave incendio devastò la cattedrale nel 1298;successivamente a questa data il maggiore impegno fu

consacrato alla invetriatura delle finestre della navatalaterale sud. In cinque finestre si svolge qui una lunganarrazione delle storie di Cristo, che si inizia con la rap-presentazione della vicenda di Anna e Gioacchino e ter-mina con il Giudizio e con la Seconda Venuta. A que-sto ciclo si lavorò per quasi tutta la prima metà del seco-lo e di vetrata in vetrata, in conseguenza del succeder-si degli atelier, mutarono diversi elementi, come si dirà

nel prossimo capitolo.Attraverso la storia delle botteghe di Strasburgo,attraverso le loro ricerche e la loro caratterizzazione, èpossibile scorgere a grandi linee le tendenze che domi-neranno in tutta la Germania meridionale fino alla Sviz-zera e all’Austria, ma anche più lontano, nel nord finoalla Prussia, nell’est fino alla Carinzia, nel mezzogiornofino ad Assisi. Strasburgo è stato un focolaio da cui leinfluenze gotiche si sono disseminate nell’area tedesca,

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dalla Svevia (Esslingen) alla Baviera, alla Prussia. L’ori-gine strasburghese di una Madonna della cattedrale di

Brandenburg è dichiarata e impressionante28

. Si trattaevidentemente di una migrazione di maestri vetrari ori-ginari del grande centro alsaziano o che di lí erano pas-sati, alcuni dei quali si sono, come vedremo, spinti finoin Italia.

Un altro elemento ha certo pesato sullo sviluppo esulla tematica delle vetrate alsaziane: il fatto che i con-venti domenicani di Strasburgo e di Colmar fossero cen-tri importanti di speculazione religiosa. A Strasburgoaveva vissuto e insegnato Maestro Eckhart e qui, sem-pre all’interno del convento dei domenicani, deve esse-re stato elaborato un testo che conobbe tra tre e quat-trocento un grande successo: lo Speculum Humanae Sal-vationis, un trattato in cui a ogni episodio della via allasalute (di qui il nome di Specchio dell’umana salvezza)tracciata dal Nuovo Testamento si accompagnano efanno riscontro in modo tipologico altri tre episodi trat-

ti dall’Antico Testamento, dalle leggende popolari, dallastoria profana. È chiara l’importanza fondamentale cheha, per un testo simile, il sistema delle illustrazioni.Proprio a questo testo, dovuto probabilmente a undomenicano di Strasburgo, Ludolf von Sachsen, e ter-minato nel 1324, si ispira il grande ciclo di vetrate dellachiesa di Santo Stefano a Mulhouse, che illustra conaccenti popolari e appassionati il cammino della salvez-

za attraverso concordanze testamentarie, episodi leg-gendari, allegorie morali29.Altri cicli permettono di farsi un’idea del clima cul-

turale che fu proprio in quegli anni dell’Alsazia e dellasua capitale: a Strasburgo stessa le vetrate della chiesadi San Tommaso30, di quella dei domenicani ora allacattedrale31 e di quella di San Guglielmo32, a Colmarquelle delle chiese dei domenicani, dei francescani e diSan Martino33, e ancora quelle delle chiese di Westho-

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fen34, Niederhaslach (queste ultime opera di un atelierche lavorò anche alla chiesa domenicana di Stetten),

Mutzig.

La Crocifissione di Mutzig.

Un documento importante anche per la sua precisadatazione (1310) è la vetrata della Crocifissione prove-niente da Mutzig, oggi al Museo dell’Opera del Duomodi Strasburgo35. La composizione dell’insieme, con archislanciati che inquadrano le figure, guglie e baldacchinialtissimi, ricorda i disegni architettonici dell’epoca e inparticolare lo slancio ascensionale dei progetti per lacattedrale di Strasburgo. I tre personaggi del registroinferiore prendono posto entro inquadrature che simu-lano portali ad arco acuto sormontati da alte ghimber-ghe coronate a fioroni; baldacchini slanciati leggermen-te piú stretti e di un verticalismo piú pronunciato si

aprono nel registro superiore ad accogliere i tre per-sonaggi della Crocifissione. Le figure esili ed elegantiche si stagliano su un fondo decorato a losanghe (comenelle vetrate di san Guglielmo a Strasburgo o in quelladella chiesa francescana di Esslingen) hanno caratteriche d’altra parte li connettono strettamente a oreficeriee architetture della regione di Costanza.

Wimpfen.

L’influenza di Strasburgo va ben al di là dei confinidella regione e si esplica in particolare a Costanza, Fri-burgo, Esslingen, Wimpfen, luoghi che hanno una gran-de importanza per la storia delle vetrate di questomomento. Un centro di produzione di un certo rilievofu probabilmente Wimpfen, nella bassa valle del

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Neckar. Vi si conservano in effetti i resti di importantivetrate tipologiche prodotte a distanza di una trentina

d’anni per due chiese del luogo, la Ritterstiftskirche(chiesa dei cavalieri dell’ordine teutonico) di Wimpfenim Tal, il cui coro fu eretto verso il 127o-8o, e la chie-sa domenicana di Wimpfen am Berg. Un gruppo dimedaglioni di qualità assai alta provenienti dalla finestraa due luci della Ritterstiftskirche è oggi conservato nelloHessisches Landesmuseum di Darmstadt. Si tratta diepisodi ispirati all’Antico Testamento o anche ai Bestia-ri, messi a confronto con scene evangeliche di cui costi-tuivano gli antetipi. Altri pannelli, provenienti dallachiesa domenicana e databili, grazie alle armi del dona-tore Konrad von Weisberg, verso il 1300, si trovano nelWürttembergisches Landesmuseum di Stoccarda. Neidue casi si tratta di opere dove, a distanza di tempo, simanifesta una non comune vena espressiva e in cui sonoforti i contatti con l’ambiente di Strasburgo36.

Costanza.

Le vetrate di Costanza, città importante della Ger-mania meridionale e vivacissimo centro di produzioneartistica, presentano più di un enigma. La loro produ-zione deve essere stata rilevante e per numero e per qua-lità, ma ne conosciamo solo pochi e sparsi esempi37. Pos-

siamo tuttavia collegare lo stile delle vetrate a quello pre-valente nelle splendide opere di oreficeria e nelle minia-ture prodotte nelle botteghe cittadine e negli atelierdella Reichenau e di altri centri abbaziali prossimi38,opere che venivano ricercate ben al di là della regione ela cui appassionata drammaticità sembra tradurre visi-vamente le meditazioni mistiche dei conventi domeni-cani situati sulle rive del Reno o del lago di Costanza,il «mare svevo». Appassionata e drammatica l’arte di

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Costanza lo era frequentemente, e lo manifestava nellefattezze dei volti, nelle posture dei personaggi, in certe

rapide abbreviazioni che la rendevano partecipe delletendenze generali dell’arte della fine del duecento nelnord, ma un’altra sua caratteristica era quella di una ele-ganza armonica e pura, quale per esempio quella che siesprime nei celebri Christus-Johannes-Gruppe, immaginidevozionali che riuniscono il gruppo di Cristo e del gio-vane san Giovanni, isolandolo dall’Ultima Cena edotandolo di vita autonoma, creazioni per eccellenzadell’arte di quest’area39. Questa oscillazione, o piuttostoquesta consistenza di espressività e di serena armonia,si ritrova anche nelle vetrate di Costanza e in quelle ese-guite da atelier provenienti da questa città e operosisoprattutto in Svizzera e nella Svevia.

A Costanza vetrate importanti erano nella cattedra-le, nell’attigua rotonda di San Maurizio e nella chiesa deidomenicani; in gran parte sono andate distrutte, maalcune di esse si trovano nella cattedrale di Friburgo –

come la cosiddetta (dal nome di Ulrich von Klingenberg,uno dei donatori che vi si trova rappresentato) vetrataKlingenberg (1318), o le scene della vita di Cristo (circa132o) dalla chiesa dei domenicani – mentre altre sononella cappella del castello di Heiligenberg40.

In mancanza di precisi punti di riferimento in loco èdifficile stabilire una cronologia e una linea di sviluppostilistico e farsi un’idea della fisionomia delle vetrate a

Costanza nei primi anni del trecento. Tuttavia è possi-bile appoggiarsi su alcuni punti fermi cronologici. Unodi questi è la bellissima finestra orientale della chiesa diHeiligkreuztal, in Svevia, nella regione dell’alto Danu-bio, la cui donatrice – che vi si fece rappresentare – erastata Elisabeth von Stoffeln, badessa del convento trail 1305 e il 1312, il che permette di collocare l’operaverisimilmente prima di quest’ultima data. Le quattrograndi figure femminili della parte inferiore, la Vergine,

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santa Verena di Zursach, santa Caterina, sant’Agnese,sono di una bellezza limpida e distesa, senza nulla di

ammanierato o di cortigiano, di violentemente espressi-vo o di aneddotico. L’autore di questa vetrata – uno deipunti più alti della vetrata gotica tedesca – viene pro-babilmente da Costanza, ma esiste un rapporto tra que-sta e la vetrata delle Virtú e dei Vizi che si trova, moltorestaurata, nella cattedrale di Strasburgo, nella primafinestra alta della parete settentrionale della navata41.

Un’altra data probabile – prima del 1309 – vieneavanzata per un gruppo di vetrate nella chiesa dell’ab-bazia cistercense di Kappel am Albis nel cantone diZurigo, il cui donatore fu Walter von Eschenbach chenel 13o8 aveva partecipato all’uccisione di Alberto diAsburgo e che dovette in seguito fuggire in esilio42.Quanto le vetrate di Heiligkreuztal sono serene e clas-siche, tanto quelle di Kappel sono veementementeespressive nel segno sottolineato dei personaggi, neglisguardi intensi, nei capelli che si torcono come serpen-

telli, nei gesti, nelle stesse proporzioni deformanti dellemani e dei piedi cui viene conferito un nuovo valore.

La cattedrale di Friburgo.

A Costanza niente è stato conservato in loco dellevetrate che illuminavano la cattedrale e la chiesa dei

domenicani; diverso è invece il caso per Friburgo

43

. Seanche qui la chiesa dei domenicani è stata distrutta,importanti resti della sua invetriatura sono conservatiall’Augustinermuseum o sono stati reimpiegati nellefinestre della cattedrale. Quanto alla cattedrale, essapossiede uno dei più impressionanti insiemi di vetratetra due e trecento che esista in Germania, che fu ogget-to di un restauro ampiamente e pesantemente integra-tivo da parte di Fritz Geiges nel primo novecento44. Un

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gran numero di vetrate ancora conservate nelle finestredelle navate laterali appartiene ai primi decenni del tre-

cento (della precedente invetriatura delle navate – circa128o – che aveva aspetti molto simili a quelli della cat-tedrale di Strasburgo resta solo la finestra dei Martirinella navatella meridionale) e sono state eseguite preva-lentemente per incarico delle corporazioni di mestieredella città e di singoli donatori. Nell’insieme non èavvertibile un programma organico e ogni vetrata costi-tuisce piuttosto un episodio a sé. Generalmente esse sicollegano ai modi degli atelier di Strasburgo benché incerti casi siano evidenti contatti anche con Colonia,tanto più che tra i due cantieri i rapporti furono moltostretti e frequenti, specie nel momento dell’erezione deltiburio della cattedrale di Friburgo. Tra le meglio con-servate sono, a nord, la vetrata dei panettieri e quelladei fabbri, dei maniscalchi e dei sarti, a sud quella deicalzolai, quella dei minatori e la vetrata donata dallafamiglia Tulenhaupt. Lo stile di queste vetrate è molto

vicino a quello di certe vetrate di Strasburgo (confrontipossono essere tentati per esempio con le finestre dellanavatella meridionale e con quelle provenienti dalla chie-sa dei domenicani) nella disposizione dei medaglioni, neldisegno dei fondi e infine nell’ornato. A volte sono pic-cole scene poste entro medaglioni sovrapposti e orga-nizzati in schemi di origine alsaziana (vetrata dei panet-tieri, storie di san Nicola nella vetrata Tulenhaupt, scene

della Passione nella vetrata dei calzolai); in altri casi sitratta di grandi personaggi o di scene poste entro ela-borati inquadramenti architettonici come nella vetratadei fabbri ferrai, nella vetrata dei sarti, nella  Madonnadi Misericordia e nel San Nicola della vetrata Tulenhaupt,nella vetrata dei minatori delle miniere d’argento diSchauinsland in una finestra alta della navata meridio-nale. Nell’insieme le vetrate di Friburgo presentanoun’impronta comune che in certi casi fa presumere l’at-

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tività di uno stesso atelier, in altri almeno un fitto inter-scambio. Si distacca dalle altre per certi aspetti la vetrata

dei fabbri ferrai, caratterizzata, sia nei volti e nei modu-li dei personaggi, sia negli inquadramenti architettoni-ci, da elementi, schemi e formule che a Friburgo nontrovano corrispondenza diretta. Questa stessa vetratapresenta elementi colonesi, o addirittura della Franciasettentrionale, che non hanno riscontro in area alsazia-na, per esempio gli angeli musicanti sovrapposti ai latidelle scene nella luce centrale.

È possibile, è anzi certo, che uno o piú maestri ope-rosi a Friburgo siano arrivati da Strasburgo, o diretta-mente o via Costanza. Esistono tuttavia caratteri chesono tipicamente friburghesi, sia nella tipologia dei per-sonaggi, sia in una plasticità sottolineata dall’impiegodella grisaille. Il San Cristoforo della vetrata dei calzolaiè a questo proposito significativo, con le sue piegheprofonde e le ombre che sottolineano il volume del corpoe delle membra. Un problema che si pone a Friburgo

come già in altri casi, e ne avevamo accennato a propo-sito di Chartres, è quello del rapporto che intercorre trasculture e vetrate, rapporto che in piú di un caso si pre-cisa con evidenza. Ancora una volta si presenta la que-stione se il maître d’œuvre abbia dato disegni utilizzatie tradotti nelle rispettive tecniche da scultori e maestrivetrari o se si tratti di influenze reciproche.

Esslingen.

Alla fine del duecento, ai tradizionali centri artisticidella Germania meridionale si aggiunge un nuovo nome,quello di una cittadina sveva non lontana da Stoccardale cui chiese contano un numero eccezionale di vetratedi questo periodo: Esslingen54. Tre chiese qui, una dedi-cata a san Dionigi e dipendente dal capitolo del duomo

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di Spira, una retta dai francescani e una, la Frauenkir-che, costruita per deliberazione del consiglio cittadino,

accolsero, nello spazio di una cinquantina d’anni, dallafine del duecento al 1330 circa, in una situazione cheben si prestò a fenomeni di emulazione e di rivalità, unnutrito gruppo di vetrate tra le piú belle che conti la pit-tura tedesca di questo tempo.

I maestri che hanno lavorato a Esslingen appartene-vano a diverse generazioni e avevano avuto formazionidiverse, ma le loro opere mostrano taluni elementi dicontinuità. Uno di essi si chiamava Lampertus, se lafiguretta di religioso con un cartiglio inginocchiataaccanto al santo titolare nella vetrata assiale della chie-sa di Sankt Dionys, donata dalla famiglia Stainhövel, èquella dell’artista. Può darsi che l’atelier di Lampertussi fosse formato a Esslingen, ma è stato proposto46 cheesso provenisse da un’area piú occidentale, precisamen-te da Spira (la chiesa dipendeva infatti dal capitolo diquesta cattedrale), e che sia stato attivo a Esslingen già

verso il 128o. Una cosa è certa, e cioè che in modo diret-to o indiretto il momento espressivo del gotico france-se fa sentire qui precocemente la propria influenza. Lachiesa di Sankt Dionys ha nel coro cinque grandi fine-stre completamente invetriate, mentre una sesta vetra-ta contiene i resti di un altro ciclo. Le finestre, altissi-me, sono a quattro luci. Si tratta di un insieme ecce-zionale anche per la vastità della superficie e per il nume-

ro delle scene. La finestra assiale, firmata da Lampertus,è consacrata, nelle due luci centrali, a un confrontotipologico tra episodi dell’Antico e del Nuovo Testa-mento che si svolge in quattordici scomparti sovrappo-sti che vanno rispettivamente da Adamo ed Eva a San- sone con le porte di Gaza e da  Jesse addormentato allaResurrezione, mentre nelle due luci laterali sono rappre-sentati profeti, re, eroine bibliche e cosí via. Una vege-tazione naturalistica, lussureggiante, si arrampica su per

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i compartimenti lunghi e stretti e riempie di foglie, grap-poli, fiori e frutti lo spazio non occupato dalle scene.

Queste sono incorniciate da compassi a lobi acuti il cuibordo porta un’iscrizione riferita all’episodio che vi ècontenuto. Il virgulto che si arrampica fino al sommodella finestra si intreccia con il bordo del compasso pas-sandogli ora sopra ora sotto e creando una situazionericca di suggerimenti spaziali. Lampertus mostra carat-teri personali molto definiti e una viva attenzione natu-ralistica che si traduce nelle foglie e nei virgulti delfondo e dei bordi delle due luci centrali, che sono trat-tati in modo diverso: a rami di vite i fondi delle sceneneotestamentarie, a foglie di melo quelli delle scenealtotestamentarie. La ricerca espressiva è accentuata neivolti e negli atteggiamenti ma rifugge dai toni tragici:anche nella descrizione delle situazioni piú gravi e tre-mende i volti dei protagonisti sono animati da un leg-gero sorriso di matrice parigina. Torsioni violente neicorpi, capigliature e barbe ondulate, arricciate, schemi

abbreviati di panneggio la cui origine gotica si rivela nelcaratteristico ricadere delle pieghe nella parte inferioredei personaggi e nelle anse ampie delle tuniche; tuttomostra come Lampertus sia stato un artista che avevaavuto modo di conoscere direttamente e bene il goticofrancese della fine del duecento, e che era stato parte-cipe della stessa cultura, degli stessi problemi che ave-vano conosciuto gli artisti operosi a Troyes o a Poitiers.

Allo stesso Lampertus, con la collaborazione di aiuti, sideve un’altra vetrata della medesima chiesa con scene dimartirii di santi e, sotto altissimi baldacchini nelle lucilaterali, Le Vergini savie e le Vergini folli, che originaria-mente non facevano parte di questa finestra, e duesante. Tra gli altri artisti che qui lavorarono, uno, piúcorsivo, fragile e diminutivo di Lampertus, attivo nellavetrata con storie di Gesú, tende a semplificare al mas-simo sia il numero di personaggi nelle scene ridotte

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all’essenziale, sia le espressioni e i panneggi; un altro,presente nella vetrata con varie sante e l’Incoronazione

della Vergine, si mostra di cultura diversa da quella diLampertus e in piú stretto rapporto con Costanza.

Colonia.

Un centro estremamente importante tra la fine delxiii e gli inizi del xiv secolo è Colonia, città precoce-mente aperta ai modelli del gotico francese, che conta-va in questo periodo molti pittori e dove era in pienaattività il cantiere della cattedrale. Di grande qualità eimportanza sono due finestre, ancora della fine del due-cento, con le alte figure sotto alti baldacchini della Ver-gine e di una santa accompagnate da due donatori, unfrate domenicano e un cavaliere dell’ordine teutonico,che, provenienti dalla chiesa di Santa Gertrude, furonoacquistate nel 1815 dal barone von Stein e sono oggi in

deposito nel museo di Münster. Per quanto riguarda ilprimo trecento, a parte qualche frammento conservatonello Schnütgen Museum e in altre collezioni47, gli esem-pi piú significativi si trovano in duomo e nell’anticabasilica di Sankt Gereon. Nella cattedrale, il gruppo divetrate piú antico è quello della sala capitolare databileattorno al 1290; vengono in seguito quelli delle cappel-le radiali e del triforio del duomo, anteriori al 1322. Le

vetrate delle cappelle radiali, in particolare quella dellacappella assiale dedicata alla Vergine e quella a sinistradi questa, sono molto rifatte. Si tratta di vetrate tipo-logiche, di una  Adorazione dei magi (il pezzo più inte-ressante del complesso) rappresentata entro una elabo-ratissima incorniciatura architettonica e da un fram-mentario Trono di Salomone. Meglio conservate le vetra-te delle finestre alte: una serie di re antenati di Cristo48.

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L’Austria.

In Austria elementi gotici sono presenti, come si èdetto, nelle vetrate delle Vergini sagge e delle Verginifolli nella chiesa parrocchiale di Friesach in Carinzia,probabilmente provenienti dalla chiesa domenicana dellastessa città. Databili attorno al 127o-8o, conservanocadenze tipiche dello Zackenstil e ricordano in certi par-ticolari le finestre alte della cattedrale di Strasburgo49.Vetrate della fine del duecento sono conservate nel-l’abbazia cistercense di Heiligenkreuz, non lontano daVienna. Si tratta di finestre monocrome a decorazioneastratta, di altre con figure di santi nel coro, e dell’al-bero genealogico della potente famiglia dei Babenbergcon la presentazione di diversi personaggi appartenentialla famiglia, conservato nella «cappella della fontana»che si apre sul chiostro50.

Un gruppo di origine stiriana è quello costituitodalle vetrate della parrocchiale di Spital am Semme-

ring, da quelle della chiesa francescana di Bruck e dellaWalpurgiskapelle di Sankt Michael presso Leoben.Queste ultime furono donate dall’abate di AdmontHeinrich, che venne assassinato nel 1297, e sono per-tanto anteriori a questa data51. Agli inizi del secolo sicollocano anche le vetrate della Leechkirche di Graz52,di un gotico pieno ed espressivo senza più ricordi roma-nici. Una datazione verso il 1327 è stata avanzata per

le vetrate della parrocchiale di Annaberg nell’Austriainferiore, ora nel chiostro dell’abbazia cistercense diLilienfeld, mentre il ciclo piú importante di questomomento è quello del chiostro dell’abbazia di Klo-sterneuburg (circa 1330), eseguito, dopo il grandeincendio che ebbe luogo nel 1322, sotto l’abateStephen von Sierendorf53.

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Esperienze italiane.

Anche l’Italia fu toccata dalla fase espressiva dellapittura gotica, che lasciò anzi nella chiesa superiore diSan Francesco ad Assisi alcuni esempi tra i più signifi-cativi dovuti a un atelier transalpino.

Non era questa la prima volta in cui i frati minori sirivolgevano ad artisti nordici per decorare l’interno dellabasilica; già anni prima, per ornare di vetrate le finestredel coro, si erano indirizzati a un atelier germanico, ed’altronde una maestranza oltremontana lavorò ad Assi-si alla decorazione pittorica del transetto settentrionaledella chiesa superiore a una data non distante da quellain cui fu eseguita la grande vetrata del transetto sud54.Nell’insieme, considerando vetrate e affreschi, che purspettano a maestranze diverse, si trattò di uno dei casipiù macroscopici, per la qualità, la dimensione e la col-locazione, di penetrazione gotica transalpina in Italia.

Nella grande quadrifora meridionale della chiesa sono

rappresentate in due luci storie della Genesi (da unaparte le Sette giornate della Creazione, dall’altra sette epi-sodi che vanno dal Peccato Originale al Rimorso diCaino), nelle altre due una serie di sante vergini. La scar-sa coerenza iconografica di questo insieme denuncia unmutamento di intenzioni nel corso della confezione dellavetrata o una manipolazione sopravvenuta in seguito,ma questo niente toglie alla sua splendente qualità55.

Mentre il grande medaglione al sommo della quadrifo-ra è perduto, gli altri due che concludono le coppie diluci sono conservati: sopra le scene della Genesi è DioPadre tra i santi Francesco e Antonio, sopra le luci consa-crate alle vergini è la Madonna con due profeti. Allo stes-so atelier si devono, sulla parete prospiciente della nava-ta, altre due vetrate dedicate agli apostoli: nell’una sonoGiacomo e Andrea, nell’altra Giovanni Evangelista eTommaso e storie della loro vita. Lo stile di questo

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gruppo è molto elevato, si tratta di vetrate tra le piúbelle che l’Europa intera conti a una data che dovette

situarsi entro l’ottavo decennio del secolo. Le tendenzeespressive sono particolarmente avvertibili nelle storiedei progenitori e nel quadrilobo della Vergine con i pro-feti, ma i vivaci accenti gotici sono presenti ovunque:nell’ampio uso di fogliame naturalistico, nelle architet-ture, nelle forme dei compassi polilobi, nei fregi, nei per-sonaggi esili, longilinei, nei volti dall’espressivitàaccentuata dalla sottolineatura delle labbra e degli occhi,nel disegno delle membra e delle articolazioni, nei pan-neggi, nei costumi.

Opere come queste ebbero un’importanza moltogrande per la storia della pittura italiana: presentanoinfatti alcune tra le piú rilevanti novità dell’arte nordi-ca e sono situate in uno dei monumenti piú celebri e fre-quentati d’Italia, nel cuore di uno dei cantieri artisticipiú vivi e fecondi. Come l’architettura della chiesa supe-riore di San Francesco costituisce un esempio impor-

tante delle tendenze costruttive gotiche, degli schemistrutturali e decorativi impiegati al di là delle Alpi56, cosíla grande vetrata e le due minori della navata rendonopalesi i piú recenti raggiungimenti della pittura goticatransalpina. Si può immaginare l’effetto che tale lin-guaggio poté avere su pittori abituati a utilizzare sche-mi di piú o meno remota derivazione bizantina e che sitrovarono di fronte quei nudi esili, eleganti, quelle mem-

bra affusolate, quei movimenti leggeri, ondulanti, queivolti traboccanti di emozioni e di affetti, quei trionfivegetali e insomma tutto quel tesoro di annotazioninaturalistiche e quelle formule e quegli schemi con cuiil gotico del nord affermava elegantemente e senza sfor-zo apparente la propria superiorità. E ciò non in illu-strazioni chiuse nelle pagine non a tutti accessibili di unmessale o di un salterio, ma esposti pubblicamente achiunque volesse intenderli.

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Non mancarono di accorgersene altri pittori di vetra-te, italiani questa volta, o addirittura umbri, che lavo-

rarono alla stessa chiesa e che sono prossimi all’anoni-mo pittore chiamato Maestro di San Francesco cheaveva lasciato l’importante ciclo d’affreschi nella basili-ca inferiore57. Le vetrate da loro progettate sono la qua-drifora del transetto settentrionale con apparizioni diCristo e di angeli affrontate in due luci mentre nellealtre due è una decorazione vegetale, e sei finestre dellanavata. Di queste, tre mostrano coppie di apostoli(Simone e Giuda Taddeo, Filippo e Giacomo Minore,Bartolomeo e Taddeo, quest’ultima con storie della lorovita), una profeti e santi, le ultime due rispettivamentesan Francesco e sant’Antonio da Padova con le loro sto-rie e la glorificazione di san Francesco. Anche in questocaso il programma iconografico mostra curiose assenzee interruzioni che testimoniano di modificazioni e dirimaneggiamenti58.

Molti anni fa, contro l’opinione allora generalmente

accettata, chiarii la dipendenza di queste vetrate daquelle del transetto meridionale, e la presenza in esse didiverse citazioni dalle opere dei maestri transalpini59. Difronte agli esempi della quadrifora meridionale i per-sonaggi di queste vetrate sembrano tozzi e impacciati,e le scene nel loro insieme, come i singoli elementi,assumono un aspetto più greve, massiccio, petroso.

L’attività del Maestro di San Francesco si situa nel

terzo quarto del xiii secolo e le vetrate prossime ai suoimodi hanno conosciuto datazioni diverse, ma spessotroppo precoci. Luiz C. Marques, nel suo agile librosulla pittura del duecento nell’Italia centrale, le data, inbase alle osservazioni di Serena Romano, verso il126o-65, e Chiara Frugoni rinforza questa datazionecon un elemento iconografico: per spiegare la presenzadi un episodio scarsamente rappresentato nelle storie diSan Francesco – la predica di Francesco a Ezzelino da

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Romano (morto nel 1259) – converrebbe perfettamen-te una data agli inizi degli anni sessanta60. Ciò compor-

terebbe che la quadrifora del transetto meridionale dallaquale sono stati ripresi alcuni elementi dovrebbe essereanteriore a quella data.

Altri elementi esterni non sono molto utilizzabili. Lecostituzioni di Narbona del 126o stabiliscono limitiall’uso delle vetrate nelle chiese francescane:

egualmente non siano ammesse le finestre vitree istoriate odipinte tranne che nella vetrata principale dietro l’altarmaggiore del coro, dove si possono avere l’immagine delCrocifisso, della beata Vergine, di san Giovanni, san Fran-cesco e sant’Antonio solamente, e se portassero altri sog-getti siano rimosse dai padri visitatori61,

ma sembrano piú che altro legittimare le vetrate del-l’abside della chiesa superiore che a quel tempo erano giàin loco. Quanto agli ammonimenti del Capitolo genera-

le dell’Ordine emanati nel 1279 sulla stessa materia eche riprendevano le costituzioni di Narbona, possonoavere avuto qualche conseguenza immediata: infatti nontroveremo nuove vetrate ad Assisi per molti anni. LuizMarques evoca in pagine assai suggestive il clima intel-lettuale della corte di Clemente IV (1265-68), il protet-tore di Ruggero Bacone, l’amico di san Bonaventura,corte in cui erano vivissimi gli interessi per l’ottica e per

la metafisica della luce e i rapporti con la cultura pari-gina molto intensi. Sarebbe certo tentante ricondurre lapresenza in Assisi dei maestri transalpini (e non solo deipittori come pensa Marques, ma anche dei maestri vetra-ri) al suo pontificato. Tuttavia, se dobbiamo basarciesclusivamente su confronti stilistici, ci troviamo difronte a una situazione che presenta dati contradditto-ri che si possono cosí riassumere:

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1. la quadrifora sud e le due vetrate che a essa si collega-no sulla parete nord hanno costituito modelli per il grup-

po di vetrate prossime ai modi del Maestro di San Fran-cesco;2. stando a ciò che conosciamo del Maestro di San Fran-

cesco queste ultime vetrate dovrebbero essere anteriorial 1272, data del Crocifisso di Perugia, considerato un’o-pera matura del maestro;

3. è per ora impossibile trovare confronti sicuri e convin-centi a questa data per i prototipi transalpini.

Ergo, o le vetrate prossime al Maestro di San Fran-cesco sono più tarde del 1272, o la maestranza transal-pina era letteralmente alla punta dell’attualità, tanto daprodurre ad Assisi ciò che in Francia o in Renania nonsi vedeva ancora.

In altri tempi ho sostenuto l’ipotesi62 che il maestrodella quadrifora meridionale provenisse da un’area diconfine tra Francia e Germania, e lo vidi fortemente

marcato dallo stile degli atelier di Strasburgo. Gli ele-menti che mi sembravano indicare con una certa pro-babilità la zona dell’alto Reno come quella di origine del-l’atelier della quadrifora sud potevano avere un senso sele vetrate venivano datate sul finire del secolo comeallora pensavo (i confronti possibili con le vetrate dellachiesa domenicana di Wimpfen mi avevano molto col-pito), ma sono messi in forse da una datazione negli annisettanta. Infatti trovare esempi a esas horas in quest’a-rea di vetrate così fortemente marcate dai modi dell’e-spressionismo gotico non è facile né forse possibile, síche si dovrà allargare l’arco dei confronti per compren-dervi i primi grandi testi dell’espressionismo gotico invetrata, da Saint-Urbain di Troyes a Saint-Père di Char-tres a Saint-Gengoult di Toul. Non dimentichiamo peròche Lampertus, prepotente e umoroso espressionista,dovette lavorare a Esslingen già nel 128o, e ciò offre

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nuove possibilità per immaginare una provenienza del-l’atelier assisiate dall’area germanica. Mi pare impossi-

bile tuttavia risalire, per questo gruppo, agli inizi deglianni sessanta come frequentemente viene fatto, e sonocerto che la datazione debba essere piuttosto posta attor-no al 1275.

Si tratta di un grosso problema che coinvolge anchel’attività dei frescanti transalpini. La stupefacente deco-razione della parete terminale del transetto nord, in cuile pitture ampliano, completano e integrano la finestra,mostrano infatti che maestri di vetrate e maestri di pare-te lavorarono fianco a fianco o quanto meno in strettis-sima successione. Anche le due grandi quadrifore saran-no da porre allo stesso momento. I modelli vennero pro-posti dall’atelier transalpino, ma le due imprese dovet-tero svolgersi parallelamente, sí che è possibile rilevare,come ha indicato Frank Martin, qualche scambio dimaestranze analogo a quelli avvenuti a Chartres63. A uncerto momento, per cause che ignoriamo, la stagione

nordica del San Francesco si interromperà. Le mae-stranze transalpine – maestri di vetrate e pittori –abbandoneranno Assisi, lasciando il posto alle squadredi Cimabue, dopo aver creato opere che saranno per ilfuturo di grande, eccezionale importanza.

1 Cfr. il catalogo dell’esposizione Das Gladbacher Bibelfenster .Gefährdung, Restaurierung , a cura di J. Cladders, H. Rode e H. Bange,Mönchen-Gladbach 1976.

2 Cfr. h. wentzel, Meisterwerke der Glasmalerei, Berlin 19542,p. 91.

3 j. lafond, alle pagine 337-41 del suo importante saggio Le vitrail en Normandie de 1250 à 13oo, in «Bulletin Monumental», cxi (1953).Vetri chiari ornati a grisaille provenienti da questo insieme sono alMetropolitan Museum (cfr. «Bulletin of the Metropolitan Museum ofArts», dicembre 1971 - gennaio 1972, p. 118) e al Corning Museumof Glass (m. parsons lillich, Three Essays on French Thirteenth Cen-

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tury Grisaille Glass, in «Journal of Glass Studies», xv (1973), pp.73-75.

4 Sul crescente uso del vetro chiaro cfr. m. parsons lillich, The

Band Window: A Theory of Origin and Development , in «Gesta», ix(1970), pp. 26-33.

5 j. lafond, Les vitraux de la cathédrale de Sées, in «Congrès Archéo-logique de France» (Orne 1953), cxi (1954), pp. 59-83; m. parsons lil-lich, Stained Glass from Western France (125o-1325) in American Col-lections, in «Journal of Glass Studies», xxv (1983), pp. 125-26.

6 m. parsons lillich, The Choir Clerestory Windows of La Trinité at Vendôme. Dating and Patronage, in «Journal of the Society of Archi-tectural Historians» xxxiv (1975), pp. 238-50.

7 Sulle tendenze espressive nelle vetrate duecentesche dell’ovest

della Francia cfr. m. parsons lillich, The Stained Glass of Saint -Pèreof Chartres, Middletown 1978, e in particolare il capitolo v, The WesternSchool of Stained Glass, pp. 69-79; l. grodecki e c. brisac, Le vitrail  gothique au  XIII  siècle, pp. 158-71. Sulle vetrate di Toul, m. parsonslillich, Rainbow like an Emerald . Stained Glass in Lorraine in the Thir-teenth and Early Fourteenth Century, University Park 1991.

8 l. grodecki, Les vitraux de Saint -Urbain de Troyes, in «CongrèsArchéologique de France», cxiii Session, Troyes 1955, Paris 1957, pp.123 sgg; h. wentzel, Die Glasmalereien in Schwaben von 1250-1350,CVMA, Bundesrepublik Deutschland I, Berlin 1958, pp. 36 sgg.; r.

becksmann, Die architektonische Rahmung der hochgotischen Bildfen- sters, Berlin 1963, p. 15; grodecki e brisac, Le vitrail gothique cit., pp.168-71; CVMA, Recensement des vitraux anciens de la France, IV, Lesvitraux de Champagne-Ardenne, Paris 1992, pp. 276-83.

9 Sullo sviluppo dell’incorniciatura architettonica cfr. becksmann,Die architektonische Rahmung cit.; id., Le vitrail et l’architecture nel cata-logo dell’esposizione Les bâtisseurs des cathédrales gothiques, Strasbourg1989, pp. 296-3o6.

10 j. bidaut, L’église Sainte-Radegonde de Poitiers, in «CongrèsArchéologique», cix (1951), pp. 114; grodecki e brisac, Le vitrail  gothique cit., p. 166.

11 lafond, Le vitrail en Normandie de 1250 à 1300 cit., p. 332.12 m. parsons lillich, The Stained Glass of Saint -Père cit., ma se ne

veda la recensione di c. lautier, nel «Bulletin Monumental», cxli(1983), pp. 223-25; j.-m. braguy, La restauration du vitrail de Saint -Pier-re et Saint -Paul de l’église Saint -Pierre de Chartres, in «Vitrea», 7, 1991,pp. 11-26.

13 Meredith Lillich ritiene addirittura – tesi non condivisa da molti– che esse siano in gran parte precedenti, e che, eseguite per l’anticanavata, intorno al 1240 siano poi state montate nelle finestre del coro,ricostruito tra 1250 e 1270.

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14 m. parsons lillich, Les donateurs de quelques vitraux de la nef deSaint -Père de Chartres, in «Bulletin des Sociétés Archéologiques d’Eu-re et Loir», cxvi (1972), pp. 287-302.

15 j. lafond, Le Vitrail du XIV e  siècle en France,in l. lefrançois-pil-lion, L’Art du XIV e  siècle en France, Paris 1954; parsons liillich, TheStained Glass of Saint -Père cit., passim.

16 g. vitzthum, Die Pariser Miniaturmalerei von der Zeit des hl .Ludwig bis zu Philipp von Valois und ihr Verhältnis zur Malerei inNordwesteurope, Leipzig 1907; r. branner, Manuscript Painting in Parisduring the Reign of Saint Louis. A Study of Styles, Berkeley 1977.

17 Oltre alla vetrata a tre luci con storie della Vergine (1260-70 circa)la chiesa conserva nella finestra assiale composta di pezzi disparati unabella  Adorazione dei magi leggermente più tarda. f. gatouillat,  A

Saint -Sulpice de Favières des vitraux témoins de l’art parisien au temps deSaint -Louis, in «Dossiers de l’Archéologie», 26, 1978, pp. 5o-62; s.rivière, L’église de Saint -Sulpice de Favières, Paris 1991.

18 e. g. millar, The Parisian Miniaturist Honoré , London 1959; e. j. beer, Überlegungen zum «Honoré Stil», in Atti del xxv CongrèsInternational d’Histoire de l’Art (Wien 1983), Wien 1986, pp. 81-87.Sulla diffusione dei modi di Honoré: g. schmidt, Die Malerschule vonSankt Florian, Graz-Köln 1962. Per un’ampia bibliografia sul proble-ma Honoré e sullo stile di corte parigino, alla fine del duecento cfr. r.becksmann, Die Bettelorden an Rhein, Main und Neckar und der hofi-

 scher Stil der Pariser Kunst um 1300, in Deutsche Glasmalerei des Mitte-lalters, a cura di R. Becksmann, Berlin 1992, pp. 52-75.19 Sui rapporti tra miniaturisti e pittori di vetrate cfr. h. wentzel,

Glasmaler und Maler im Mittelalter , in «Zeitschrift für Kunstwissen-schaft», iii (1949), pp. 53-62.

20 k. morand, Jean Pucelle, Oxford 1962; ch. sterling, La peintu-re médiévale à Paris, 1300-1500, Paris 1987, vol. I, pp. 67-110.

21 Sui rapporti tra i modelli di Pucelle e le vetrate cfr.  j. lafond,Les Vitraux de l’Eglise Saint -Ouen à Rouen, Paris 1970, pp. 39 sgg.; l.freeman-sandler, A follower of Jean Pucelle in England , in «Art Bul-letin», lii (1970), pp. 363 sgg.; h. reinhardt, La Cathédrale de Stra- sbourg , Grenoble 1972, p. 183.

22 Catalogo Age of Chivalry. Art in Plantagenet England , a cura di J.Alexander e P. Binski, London 1987, pp. 532-34.

23 p. a. newton in sherwood e n. pevsner, Oxfordshire, 1984, pp.8 1-83; catalogo Age of Chivalry cit., p. 532.

21 Age of Chivalry cit., pp. 404-5.25 wentzel, Meisterwerke cit., p. 42.26 v. beyer, Les Vitraux de la Cathédrale de Strasbourg , CVMA,

France, ix, 1, Paris 1986.27 Sull’origine e i modelli della navata della cattedrale di Strasbur-

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go cfr. h. reinhardt, La nef de la cathédrale de Strasbourg , in «Bulletinde la société des amis de la Cathédrale de Strasbourg», iv (1937), pp.3-28; r. branner, Remarques sur la Cathédrale de Strasbourg , in «Bul-letin Monumental», cxxii (1964), pp. 261 sgg.; r. branner, Saint -Louis and the Court Style, London 1965; reinhardt, La Cathédrale deStrasbourg cit., pp. 57 sgg.

28 wentzel, Meisterwerke cit., p. 97.29 j. lutz e p. perdrizet, Speculum Humanae Salvationis, Mulhou-

se 1907; e. breitenbach, Speculum Humanae Salvationis. Eine typen- geschichtliche Untersuchung , Strasbourg 1936. Sulle vetrate di Mulhou-se cfr. becksmann, Die architektonische Rahmung cit., pp. 99 sgg.

30 becksmann, Die architektonische Rahmung cit., pp.136-40.31 Sulle vetrate della chiesa dei domenicani a Strasburgo, v. beyer,

La dépose des vitraux de l’église des Dominicains et la verrière de la vie deSaint -Barthélemy, in «Cahiers alsaciens d’archéologie, d’art et d’hi-stoire», i (1957), pp. 143-62; becksmann, Die architektonische Rah-mung cit., pp. 126-36; v. beyer, La verrière du Jugement Dernier à l’an-cienne église des Dominicains à Strasbourg , in «Cahiers alsaciens d’ar-chéologie, d’art et d’histoire», xi (1967), pp. 33 sgg.

32 p. frankl, Die Glasmalerei der Wilhelmskirche in Strassburg ,Baden-Baden 196o.

33 becksmann, Die architektonische Rahmung cit., pp. 46-58.34 Sulle vetrate di Westhofen che, cosa rarissima, sono firmate da

un Renboldus (cfr. wentzel, Die Glasmalereien in Schwaben cit., p. 43),becksmann, Die architektonische Rahmung cit., pp. 144-47; c. block,Les vitraux de Westhoffen, in «Bulletin trimestriel de la Société d’Hi-stoire et d’Archéologie de Saverne et environs», iv (1967), Cahier 6o,p. 1 sgg.

35 h. wentzel, Das Mutziger Kreuzigungsfenster und verwandte Gla- smalereien in der erste Hälfte des 14 Jahrhunderts aus dem Elsass, der Schweiz und Süddeutschland , in «Zeitschrift für SchweizerischeArchaeologie und Kunstgeschichte», xiv (1953), pp. 159-79.

36 a. galliner, Glasgemälde des Mittelalters aus Wimpfen, Frei-burg 1932; wentzel, Die Glasmalereien in Schwaben cit., pp. 234-43;r. becksmann, Deutsche Glasmalerei des Mittelalters, Stuttgart 1988,p. 127.

37 r. becksmann, Die ehemalige Farbverglasung der Mauritiusrotundedes Konstanzer Münsters, in «Jahrbuch der staatlichen Kunstsammlun-gen in Baden-Württemberg», v (1968), pp. 57-82.

38 h. i. heuser, Oberrbeinische Goldschmiedekunst im Hochmitte-lalter , Berlin 1974, e la recensione che ne fa i. krummer-schroth nella«Zeitschrift für Kunstgeschichte», xl (1977), pp. 75 sgg.

39 h. wentzel, Christus- Johannes-Gruppe, in Reallexikon zur deut- schen Kunstgeschichte, III, colonne 658-69, Stuttgart 1958.

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40 becksmann, Die architektonische Rahmung cit., pp. 82-84.41 wentzel, Die Glasmalerei in Schwaben cit., pp. 190-96; beck-

smann, Die architektonische Rahmung cit. pp. 82-84.42 e. i. beer, Die Glasmalereien der Schweiz aus dem 14. und 15.

 Jahrhundert , CVMA, Schweiz, III, Basel 1965.43 f. geiges, Der Mittelalterliche Fensterschmuck des Freiburger Mün-

 ster , Freiburg 1931; l krummer-schroth, Glasmalereien aus dem Frei-burger Münster , Freiburg 1967.

44 Cfr. becksmann, Deutsche Glasmalerei cit., p. 18.45 wentzel, Meisterwerke cit., pp. 32-34; id., Die Glasmalereien in

Schwaben cit.46 becksmann, Deutsche Glasmalerei cit., pp. 120-21.47 b. lymant, Die Glasmalerei des Schnütgen Museums, Bestandkata-

log , Köln 1982.48 h. rode, Die mittelalterlichen Glasmalereien des Kölner Domes,CVMA, Deutschland, IV, 1, Berlin 1974.

49 w . frodl, Gotische Glasmalerei in Österreich, Wien 195o.50 p. niemetz, Die Babenberger -Scheiben im Heiligenkloster Brun-

nenhaus, Heiligenkreuz 1976.51 e. bacher, Frühe Glasmalerei in der Steiermark, Graz 1975, p. 15;

id., Die mittelalterlichen Glasgemälde in der Steiermark, CVMA, Öster-reich, III, 1, Wien 1979.

52 bacher, Die mittelalterlichen Glasgemälde cit., pp. 5-56.53

e. frodl-kraft, Die mittelalterliche Glasgemälde in Niederöster-reich, 1, CVMA, Österreich, II, 1, Wien 1972, pp. 165-98.54 c. volpe, La formazione di Giotto nella cultura di Assisi, in Giot-

to e i Giotteschi in Assisi, Roma 1970, pp. 15 sgg.; h. belting, DieOberkirche von San Francesco in Assisi, Berlin 1977, pp. 112 sgg.; l. bel-losi, La pecora di Giotto, Torino 1985, pp. 179 sgg.; id. in Atti delConvegno Simone Martini (Siena 1985), Firenze 1988.

55 g. marchini, Le Vetrate dell’Umbria, CVMA, Italia I, Milano1973, pp. 38 sgg.

56 r. wagner-rieger, Die Italienische Baukunst zu Beginn der Gotik,Graz-Köln 1957; e. hertlein, Die Basilika San Francesco in Assisi,Firenze 1964; p. heliot, La filiation de l’église haute à Saint -Françoisd’Assise, in «Bulletin Monumental», cxxxvi (1968).

57 p. toesca, Storia dell’Arte Italiana, Il Medioevo, Torino 1927, p.1074; g. marchini, Le Vetrate Italiane, Milano 1955, pp. 17- 18.

58 a. cadei, Assisi, San Francesco. L’architettura e la prima fase delladecorazione, in Roma 13oo, Roma 1983, pp. 141-74.

59 e. castelnuovo, Vetrate Italiane, in «Paragone», ix (1958), n.103, pp. 3-24.

60 Sulla datazione proposta per le vetrate prossime al Maestro di SanFrancesco cfr. s. romano, Le storie parallele di Assisi. Il Maestro di San

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Francesco, in «Storia dell’Arte», 44, 1982, pp. 63-82; id., Pittura ad  Assisi 126o-128o. Lo stato degli studi, in «Arte Medievale», ii (1984),pp. 109-41; l. c. marques, La peinture du Duecento en Italie Centrale,Paris 1987, p. 114; c. frugoni, Francesco e l’invenzione delle Stimma-te, Torino 1993, pp. 293-96.

61 f. ehrle, Die ältesten redactionen der Generalconstitutionen desFranziskanerordens, in «Archiv für Literatur und Kirchengeschichtedes Mittelalters», vi (1892), pp. 1-138, citato da marques, La peintu-re cit., p. 245.

62 castelnuovo, Vetrate Italiane cit.; id., Vetrata, in EnciclopediaUniversale dell’Arte, Roma-Venezia 1966, vol. xiv, col. 755.

63 c. lautier, Les peintres verriers des bas-côtés de la nef de Chartresau début du XIII e  siècle, in «Bulletin Monumental», cxlviii (1990), pp.

7-45; f. martin, Die Apsisverglasung der Oberkirche von S. Francesco in Assisi, Worms 1993, p. 133.

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Capitolo undicesimo

La grande svolta

Nella seconda metà del xiii secolo la crescente uti-lizzazione dei vetri bianchi nelle finestre, e la loro muta-ta ripartizione e impaginazione, aveva avviato, schia-rendo la gamma cromatica delle pareti translucide eaumentando la luminosità negli interni delle chiese, unaprofonda trasformazione delle vetrate e del loro rap-porto con l’architettura. Due eventi di diversa naturacontribuirono fin dai primissimi anni del trecento amutarne ulteriormente l’aspetto. Il primo fu di natura

tecnica, il secondo appartenne invece a un ambito piúspecificamente stilistico. Senza volere, sia pur somma-riamente, seguire le vicende delle vetrate europee pertutto il trecento, secolo che ne è sommamente ricco, inquest’ultimo capitolo si accennerà ad alcuni casi parti-colarmente significativi e precoci di ricezione delle duegrandi innovazioni che caratterizzarono la vetrata inquesto periodo. Della prima si è già accennato: si trattò

dell’introduzione del giallo d’argento, un sale mineraleche, sottoposto a una cottura in forno, fa assumere allasuperficie del vetro su cui è stato apposto un coloredorato. Un fatto di questo genere, offrendo la possibi-lità di avvicinare due colori diversi (bianco e giallo, az-zurro e verde, rosso e arancio e via dicendo) sullo stes-so vetro, permise di diminuire il numero di piombi diseparazione e marcò il crescente abbandono della vetra-ta-mosaico e il costante avvicinarsi delle vetrate alle

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forme, all’aspetto e ai modi della pittura. Altre innova-zioni tecniche ebbero luogo nel corso del secolo. Le

lastre di vetro furono prodotte prevalentemente in for-mato piú grande e nello stesso tempo più sottile e conun numero assai minore di irregolarità e, come accennaAntonio da Pisa, si cominciò a fare uso, per tagliare ilvetro, di pietre dure, che rispetto al ferro rovente per-mettevano una maggiore precisione.

Anche il secondo evento, di ordine piú propriamen-te stilistico, andò nella medesima direzione, avvicinan-do cioè l’aspetto delle vetrate a quello della pittura. Sitrattò dell’apparire di nuovi schemi figurativi atti a rap-presentare la profondità. Dapprima questi vennero uti-lizzati per rappresentare elementi architettonici secon-dari, mensole, basi e simili; a poco a poco il nuovo mododi figurare si impose nel trattamento dell’intera incor-niciatura architettonica, pur non estendendosi, almenoin un primo tempo fuori d’Italia, ai personaggi e allescene. Accade cosí di vedere elementi trattati in modo

bidimensionale incorniciati tridimensionalmente, quin-di, specialmente in certe aree, intere costruzioni, bal-dacchini, logge, torri realizzate nella nuova maniera.

Le origini del fenomeno sono chiare: si tratta dellatrasposizione nel campo della vetrata di quelle formulee di quei procedimenti di rappresentazione tridimen-sionale dello spazio che si erano affermati a Roma, inToscana e quindi, in breve tempo, nell’Italia intera, gra-

zie particolarmente alla pittura di Giotto. Questo nuovoparadigma influenzerà tutta la pittura europea del tre-cento nelle sue diverse tecniche, dall’affresco alle tavo-le, dalla miniatura ai ricami e, appunto, alle vetrate, tro-vando precocemente echi e riscontri a Parigi e a Stra-sburgo, nelle Baleari, in Catalogna, in Austria e nellaGermania meridionale.

Nel caso della vetrata, però, una tale innovazioneproponeva problemi nuovi e di notevole gravità, e per

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certi aspetti sembrava contrariare alcuni caratteri pro-pri a questa tecnica, bidimensionale per eccellenza. Su

questo punto si può manifestare qualche dubbio: il carat-tere di tappeto decorato e scintillante in materia pre-ziosa che fu proprio delle vetrate di Chartres e di Bour-ges come di quelle di Canterbury e di Sens è certo oppo-sto alla rappresentazione della profondità, ma ci si puòchiedere se questo non sia stato un fenomeno determi-nato storicamente piuttosto che una costante vocazionedella tecnica. In realtà, con altri mezzi e per altre vie,la vetrata aveva cercato effetti di profondità spazialeanche nel corso del duecento, come nella vetrata dellaPassione di Orbais, dove le scene collocate all’interno sipongono su un piano diverso rispetto al bordo che neviene interrotto e alle scene esterne, o come nella straor-dinaria vetrata di san Martino a Chartres. D’altra parte,approfondimenti spaziali, sia pure assai limitati e noncoordinati in maniera coerente, si trovano nelle rappre-sentazioni degli artigiani intenti alle loro specifiche atti-

vità in alcune vetrate tra le piú tipiche del gotico fran-cese, a Chartres come a Le Mans1, ma queste scenerestano confinate in posizione periferica, secondaria,nelle parti basse, e non producono l’effetto sconvolgen-te di bucare la superficie vitrea con elementi salienti edeffetti di arretramento illusionisticamente efficaci comeinvece avverrà nel trecento.

La nuova maniera di rappresentare lo spazio nelle

vetrate si afferma dopo che oramai da una settantinad’anni il problema dell’inquadramento architettonicoaveva preso un’importanza crescente2. A imitazione diquanto avveniva nel campo della statuaria, elementiarchitettonici sempre piú complessi erano stati utilizza-ti, dalla metà circa del xiii secolo, per inquadrare i per-sonaggi delle vetrate e organizzare le scene. Di fatto lafavorevole accoglienza al nuovo modo di figurare pro-fondità e volumi venne facilitata proprio dal suo inserirsi

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in una tendenza già esistente e in piena evoluzione, equesto spiega anche come in un primo tempo la nuova

rappresentazione tridimensionale abbia, nelle vetratetransalpine, influenzato il trattamento dello spazio esclu-sivamente negli elementi architettonici. Per certi aspet-ti il fenomeno potrebbe essere considerato analogo alcontrasto tra ornamenti tridimensionali nei bordi e rap-presentazione bidimensionale di scene e personaggi esi-stente in certi affreschi romanici. In questo caso gli ele-menti spaziosi vennero generalmente ripresi dalla pittu-ra romana e furono utilizzati nei bordi senza influenza-re il modo di rappresentare le scene; è quanto avviene,per esempio, nelle pitture murali di San Pietro a Feren-tillo del xii secolo. Comunque, che il fatto si spieghi perdifficoltà pratiche (era assai piú semplice riprendere sin-goli elementi tridimensionali da modelli romani o giot-teschi che riuscire a impostare nello spazio un personag-gio o una intera scena) o per deliberato rifiuto, rimane ilfatto che nel nord dell’Europa la rottura con la prece-

dente tradizione non fu, in un primo tempo, cosí totale.Del resto l’insistenza su singoli elementi, quali mensole,basi e cosí via, senza alterare profondamente la struttu-ra della scena, è tipica anche di certi pittori influenzatida esempi giotteschi, ma restii ad abbandonare la tradi-zione precedente: ciò è evidente nel caso della decora-zione pittorica, ricca di motivi illusionistici di grandeeffetto, della chiesa di San Pietro a Grado presso Pisa

dovuta a Deodato Orlandi. Piú generalmente la menso-la aggettante è stato un elemento che ha colpito le imma-ginazioni fin dagli inizi del nuovo modo di rappresentare.Basti pensare a come questo motivo sia stato largamen-te usato in pittura nella chiesa superiore di San France-sco ad Assisi per poi diminuire d’importanza, scompari-re o svolgere un ruolo assai minore nei centri dell’inno-vazione, mentre conservò la propria importanza in areepiú periferiche, dal Ticino al Trentino, al Piemonte.

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L’Italia.

Nelle vetrate italiane i modi della rappresentazionespaziale furono impostati precocemente nella loro com-plessità e non ridotti a una scelta di elementi isolati.L’innovazione era nata qui, non vi era giunta come por-tato di influenze esterne, e l’intervento nella progetta-zione delle vetrate di pittori che del nuovo stile aveva-no diretta esperienza, che anzi avevano partecipato allasua elaborazione, fu assai vasto.

Già nel 1288 si trovano nuove sperimentazioni dispazi nella bella vetrata del duomo di Siena attribuita aDuccio di Buoninsegna3. Esse sono presenti nella strut-tura complessa del trono dell’Incoronazione della Vergi-ne, nell’avello della Sepoltura, negli scranni degli Evan- gelisti e nella splendida  Assunzione, in cui la mandorlatrasportata dagli angeli si staglia contro quella che sem-bra una grata campita contro l’azzurro. In questo caso,anzi, il fatto di trasformare in senso naturalistico e spa-

ziale il fondo a mosaico di origine francese appare par-ticolarmente significativo. Il proiettarsi del gradino deltrono dell’Incoronazione al di là dei limiti della scena perdiscendere direttamente sul bordo, interrompendolo; inimbi, le ali, o addirittura i piedi degli angeli che si so-vrappongono all’incorniciatura per provocare un effet-to spaziale, trasferiscono su vetro le ricerche della pit-tura di quegli anni. Nella vetrata senese non vi è anco-

ra traccia delle soluzioni radicali che Giotto darà al pro-blema della rappresentazione tridimensionale dello spa-zio e alla resa plastica dei volumi. Queste si avvertonoinvece piú tardi nei personaggi degli splendidi tondi delmonastero Matris Dominis di Bergamo4 e pervadonoletteralmente le vetrate della chiesa inferiore di SanFrancesco ad Assisi5.

Il principale centro di elaborazione e di diffusione diquesta tecnica in Italia fu Assisi. La culla della nuova

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pittura, il crogiuolo dove le suggestioni piú varie eranovenute a incrociarsi, a fondersi, dando luogo a espe-

rienze innovatrici eccezionali, fu anche il punto di par-tenza della vetrata italiana. Ancora una volta la cittàumbra rappresentò uno straordinario laboratorio, dovemaestri vetrari di diversa origine e pittori si trovaronoa collaborare, quando addirittura le due esperienze nonsi incontrarono e non si inverarono nella medesima per-sona. Fu questo forse il caso di Giovanni di Bonino, atti-vo ad Assisi, a Perugia e a Orvieto, la cui personalità ela cui attività pongono ancora molti problemi, che daalcuni si è voluto identificare con il Maestro di Figline6,appassionato e personalissimo pittore giottesco. A Gio-vanni di Bonino sono state ascritte, seppure con qual-che riserva, le vetrate eccezionali e precoci (prima del1317) della cappella di Sant’Antonio in San Francescoad Assisi, che contano tra i capolavori del trecento euro-peo. È possibile che egli abbia trasferito su vetro i dise-gni di Simone Martini per le vetrate, anch’esse assai pre-

coci (circa 1312-15), della cappella di San Martino, men-tre forse su disegno del cosiddetto Maestro espressioni-sta di Santa Chiara, identificato da Filippo Todini conPalmerino di Guido menzionato come compagno e sociodi Giotto in un documento del 1309, è la vetrata dellacappella di San Ludovico, sempre nella chiesa di SanFrancesco7. Al Maestro di Figline Ferdinando Bolognaha attribuito una vetrata, unica per le caratterizzazioni

personali ed espressive dei volti, in Santa Croce a Firen-ze, che era stata avvicinata da Giuseppe Marchini aGiotto8.

Un fulgente esempio di come le vetrate potesserointegrare esperienze diverse è offerto dal grande fine-strone absidale del duomo di Orvieto (1330-34), chedovette essere eseguito da Giovanni di Bonino in colla-borazione con il maestro vetrario Andrea di Mino daSiena9. Lo stretto rapporto con alcuni dei rilievi della

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facciata della cattedrale fa pensare addirittura a un inter-vento diretto dello scultore nella progettazione dell’o-

pera. Oltre ad Assisi, altro centro cruciale per la storiadella vetrata in Italia fu Siena, dove tra l’altro verran-no redatti trattati sull’arte di dipingere su vetro. Accan-to a quella duccesca si contano qui altre importantivetrate, come la duecentesca  Madonna con il Bambinodel santuario della Madonna della Grotta, o il San Miche-le Arcangelo di Ambrogio Lorenzetti in Palazzo Pubbli-co, mentre di un maestro senese è il grande occhio difacciata della cattedrale di Massa Marittima. A Firenzeimportanti vetrate del primo trecento cui diedero i dise-gni pittori giotteschi si trovano, non a caso, nella chie-sa francescana di Santa Croce, mentre altri luoghi di spe-rimentazione e di acclimatazione delle vetrate in Italiadovettero essere Pisa (anche se pochissimo si è conser-vato del suo patrimonio vitreo) e soprattutto Orvieto,dove fornaci di vetro vennero approntate, dal 1325, peri bisogni dell’Opera del Duomo. Un ruolo importante

ebbero anche i centri del settentrione: Milano (di cuiportano testimonianza i tondi bergamaschi), Bologna,dove non rimangono che pochi frammenti ma di qualitàassai alta (la Crocifissione del Museo Civico Medievale,forse proveniente da San Domenico) e Venezia, la cittàdel vetro per eccellenza, della cui produzione testimo-nia una Annunciazione proveniente da Torcello e ora alVictoria and Albert Museum a Londra.

L’incontro eccezionale tra culture figurative in rapi-dissima crescita e in pieno mutamento, come quelletoscana e umbra della fine del due e degli inizi del tre-cento, e i suggerimenti gotici10 introdotti dai maestrivetrari transalpini scesi dalla Germania e dall’Alsazia,pervenuti nelle pagine di un libro di schizzi o attra-verso modelli che potevano essere anche di grande for-mato, ha contraddistinto le vetrate italiane del primotrecento. Fino agli anni 1340 la vicenda della vetrata

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italiana, da Assisi a Orvieto, a Firenze, da Venezia aBergamo, a Bologna, è stata estremamente interessan-

te; successivamente, e pur con risultati di no-tevolissimo rilievo, l’esperienza si richiuse entro unquadro piú ristretto.

La Francia.

In Italia elementi del disegno gotico entrarono nellacultura figurativa anche attraverso il medium dellevetrate; nel nord furono gli elementi spaziosi e tridi-mensionali della pittura italiana che influenzarono ildisegno delle grandi finestre. Sarebbe difficile stabilireun esatto registro dei tempi e una gerarchia di priorità.Mentre la diffusione del giallo d’argento aveva avuto ini-zio dal principio del secolo11, gli anni decisivi per la rice-zione della tridimensionalità furono quelli tra 1320 e133o all’incirca e i centri ne furono principalmente Pari-

gi e Strasburgo (i cui modi si irradiarono nella Germa-nia meridionale e in Svizzera), anche se l’Austria, daVienna a Klosterneuburg, a Wiener Neustadt, a Graz,a Strassengel, svolse in questa situazione, seppur piútardivamente, un ruolo importante.

Non restano testimonianze, se non estremamenteframmentarie, di come fossero le vetrate parigine delprimo trecento, di cui pure abbiamo numerose notizie,

dato che praticamente non ne è rimasta nessuna; pure,come ha notato Jean Lafond, «l’esistenza e l’azione delcentro parigino può tuttavia essere dimostrata allo stes-so modo che il calcolo ha permesso di dimostrare quel-la dei pianeti invisibili»12. Elementi di derivazione ita-liana sono stati da lui riconosciuti in alcune vetrate dellaTrinité di Fécamp e di Saint-Père di Chartres13 a unadata estremamente precoce, verso il 1310; verranno inseguito le vetrate di Saint-Hymer en Auge (circa 1325),

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della cappella di Saint-Piat della cattedrale di Chartres,con gli straordinari coronamenti di architetture milita-

ri impostati tridimensionalmente14

, e quelle della catte-drale di Auxerre.I cicli di vetrate piú importanti di tutto il trecento in

Francia, e certo tra i piú significativi dell’Europa inte-ra, sono quelli del coro di Saint-Ouen di Rouen e dellacattedrale di Evreux, e fanno direttamente seguito allevetrate con una teoria di santi vescovi veementi edespressivi della cattedrale di Rouen. La prima pietradella chiesa di Saint-Ouen a Rouen fu posta nel 1318;il suo promotore, l’abate Jean Roussel detto Marc d’Ar-gent dichiarò in modo esplicito che voleva farne l’im-magine della Gerusalemme celeste15, un topos antico mache in questo caso trova nel monumento stesso, sovra-namente luminoso e splendente di colori, un’impressio-nante conferma. Alle trentaquattro vetrate del coro diSaint-Ouen di Rouen, create in una quindicina d’anni(1325-40 circa) da un ristretto gruppo di maestri coa-

diuvati da allievi e collaboratori, certo venuti da Parigie tanto influenzati dai modi di Pucelle da riproporreancora una volta il problema dei rapporti tra maestrivetrari e miniatori, ha dedicato un libro esemplare JeanLafond16. Il giallo d’argento è usato con profusione e inmodo magistrale, mentre abbondano gli elementi tridi-mensionali. La finestra alta assiale con la Crocifissionea pieno colore è accompagnata ai lati da vetrate incolo-

ri; seguono, nelle finestre alte, grandi figure isolate sufondo chiaro: a nord personaggi dell’Antico Testamen-to, Adamo ed Eva, patriarchi, profeti e anche le sibille;a sud i patroni dell’abbazia, gli apostoli, i vescovi diRouen, mentre nelle finestre basse le storie dei santititolari delle cappelle sono incorniciate da elementi pseu-doarchitettonici. I maestri parigini di Saint-Ouen siritroveranno all’opera nelle vetrate di Saint-Pierre di Jumièges17 e della cattedrale di Evreux18. Gli elementi di

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illusionismo tridimensionale non sono presenti qui nellevetrate donate da Louis d’Evreux, fratello del re Filip-

po il Bello, databili verso il 1310, dal vescovo Geoffroyde Plessis, morto nel 1327, né in quella celebre e bel-lissima donata dal canonico Raoul de Ferrières (mortonel 1329), rappresentato in dimensioni pari a quelledella Vergine cui si rivolge, nell’atto di offrire il model-lo della finestra, mentre è fatto un largo uso del giallod’argento con effetti estremamente sottili. Troni,inginocchiatoi e altre architetture tridimensionali cheinquadrano e veramente includono i personaggi appaio-no invece nella vetrata assiale donata dal domenicano Jean du Prat, vescovo della città tra il 1329 e il 1334, ein quelle che la circondano, donate dal suo successoreGeoffroy de Faé (1335-40), cui lavorò un maestro cheaveva già lasciato esempi importanti a Saint-Ouen diRouen.

È piú che probabile che gli elementi italianeggiantipresenti nelle vetrate di molte regioni, dalla Normandia

alla Beauce, alla Borgogna, provengano da un unico cen-tro irradiante, da Parigi cioè, e siano da mettersi in rap-porto con l’arrivo dei modi italiani in questa città grazieall’attività di pittori italiani, al commercio di prodottiartistici provenienti dalla penisola (codici miniati, maanche tavole) e alle miniature di Jean Pucelle. Ed è danotare che la data di alcune vetrate segnate dall’influenzaitaliana è estremamente precoce, anteriore al probabile

viaggio in Italia di Jean Pucelle che dovette avvenire pocoprima del 1325. Sappiamo del resto come fossero inten-si gli scambi artistici tra Francia e Italia in quel tempo,come il magister pictor Etienne d’Auxerre si fosse recatoa Roma nel 1298 su incarico del re Filippo il Bello, comeil clan familiare dei Rosuti si fosse trasferito da Roma inFrancia al servizio del re già nel 130419.

Non è però che l’introduzione della terza dimensio-ne nelle vetrate segni la fine di quello che abbiamo defi-

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nito espressionismo gotico. A questa tendenza risalgo-no alcuni aspetti tipici della vetrata del trecento, la cui

realizzazione dipende proprio dal nuovo approccio alreale e dalle nuove possibilità formali offerte dal lin-guaggio che con tanta forza si era espresso alla fine delduecento.

Tra gli elementi che conoscono una fortuna partico-lare nel corso del trecento, ma la cui origine va ricerca-ta in un periodo anteriore, è la drôlerie, prodotta da unrealismo caricaturale e parodistico che dai margini deimanoscritti miniati20, suo terreno di elezione, passa ora,in parte certo per influenza, anche in questo caso, di Jean Pucelle, nei grandi campi di vetro chiaro dipinto agrisaille che occupano nelle finestre uno spazio sempremaggiore. Entro una cornice tonda o polilobata la drô-lerie appare al centro dell’area chiara decorata a grisail-le: ora testa umana o di animale, ora rappresentazionegrottesca, mostro, combinazione di uomo e d’animale.Il vescovo-pesce o l’angelo-grifone di Saint-Ouen di

Rouen21 discendono sia da un atteggiamento piú liberoe indulgente verso il comico che si era fatto strada nelcorso del duecento, sia dagli schemi formali creati daimaestri dell’espressionismo gotico.

Strasburgo e la Germania.

Un’area dove molto presto si diffondono elementi ita-lianizzanti nelle vetrate è l’Alsazia, e il centro di diffu-sione di tali elementi è il cantiere della cattedrale diStrasburgo. Qui essi fanno la loro comparsa assai pre-cocemente, già verso il 1310, in alcune scene (Seppelli-mento di Cristo, Resurrezione) della vetrata della Passio-ne un tempo nella chiesa domenicana e ora parzialmen-te conservata nella chiesa di San Guglielmo (finestraoccidentale)22.

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Le finestre della navata laterale sud della cattedralesono grandi, scompartite in quattro luci. La lettura delle

scene si fa da sinistra a destra e dal basso verso l’alto,ma il fatto che queste si seguano orizzontalmente, enon verticalmente come di solito, permette l’unifica-zione dell’intera superficie e consente una sequenza con-tinua non interrotta dai supporti architettonici che deli-mitano le luci. Altri elementi sottolineano l’enfasi por-tata sulla orizzontalità: da un lato la disposizione dellesbarre di ferro dell’armatura, che tagliano ogni scena intre sezioni creando una sorta di piccoli trittici formatida una larga parte centrale e da due ali minori (la lar-ghezza maggiore della parte centrale sottolinea appun-to l’effetto di orizzontalità); in secondo luogo il tra-sformarsi del profilo delle incorniciature architettonicheche, culminanti in archi acuti nella terza finestra conscene della vita della Vergine, divengono archi ribassa-ti en accolade nella quarta dedicata alla vita pubblica eai miracoli di Cristo; infine la creazione, nella quinta

finestra consacrata alla Passione, di una vera e propriagalleria orizzontale che sovrasta le scene, dalla cui aper-tura si affacciano profeti a mezzo busto a sottolinearel’intima unione del Nuovo con il Vecchio Testamento.Malgrado le differenze esistenti tra finestra e finestramolti caratteri restano uniformi. Prima di tutto il tononarrativo delle scene, fortemente accentuato, mostraun’intenzione didascalica sottolineata dalle lunghe scrit-

te in tedesco; poi molti elementi decorati, come i dise-gni degli sfondi, a losanghe ornate da foglie, a circoli,passano con poche variazioni da una finestra all’altra.Anche nelle fisionomie e posizioni dei personaggi e nellacomposizione dei gruppi la presenza di elementi costan-ti fa pensare a una evoluzione volta per volta portataavanti da diversi gruppi che partecipano alle medesimetendenze piuttosto che a brusche rotture. L’elementonuovo è dato dall’introduzione di motivi tridimensionali

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di origine italiana che trovano qui un’accoglienza pre-coce. Altre vetrate, sempre provenienti dalla chiesa dei

domenicani, ma più tardive, sono state sistemate nel1856 nella cappella di San Lorenzo che si apre sullanavata laterale nord della cattedrale. Qui gli elementi diorigine italiana sono evidenti: i personaggi della Cena,della Salita al Calvario, della Crocifissione, della Deposi-zione dalla Croce prendono posto su autentiche menso-le tridimensionali il cui scopo è di mostrare e sondare laprofondità della scena. Sempre nella cattedrale di Stra-sburgo, sia la vetrata della cappella di Santa Caterina(fondata nel 1332 e consacrata nel 1349), sia partico-larmente le Opere di Misericordia della finestra meri-dionale del nartece, sono ricchissime in suggerimentispaziali. Del resto l’abbondanza di spunti tridimensio-nali che contano le vetrate alsaziane ha conosciuto unagrande eco anche al di fuori di Strasburgo e sta a mo-strare che questa regione ha avuto un ruolo pari a quel-lo di Parigi nella accettazione e nella diffusione dei

nuovi modi.In contatto con Strasburgo, ma probabilmente anchecon Parigi, si mostrano gli atelier di Esslingen. Qui mae-stri diversi aggiornati sulle ultime novità francesi, sia sti-listiche sia tecniche, lavorarono nel secondo decenniodel trecento alla grande vetrata tipologica a tre luci dellachiesa dei francescani, piú tarda rispetto a quella diSankt Dyonis di cui si è parlato nel capitolo preceden-

te, e fanno uso, a questa data precoce, di quella rivolu-zionaria novità di origine francese che fu il giallo d’ar-gento. Assente nelle vetrate di Sankt Dionys, esso vienequi largamente usato per colorire le capigliature. Altridati, fondi ornati a losanghe ed elementi tridimensio-nali, indicano ancora una volta la loro provenienza fran-cese mentre sono evidenti i rapporti con le vetrate dellachiesa di San Guglielmo a Strasburgo23.

In seguito elementi tridimensionali si trovano nelle

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vetrate (circa 1330) della Frauenkirche, la cui costru-zione fu decisa dal consiglio comunale della città attor-

no al 1321. Si trovano qui opere di eccezionale qualitàdovute ad atelier piú recenti di quello di Lampertus eanche di quello cui si devono le vetrate della chiesa deifrancescani. Nella finestra assiale, analogamente a quan-to avviene nelle altre chiese, si trova una vetrata tipo-logica con episodi del Nuovo e dell’Antico Testamento,opera di una bottega estremamente francesizzante, men-tre in un’altra delle finestre, quella della Vita di Maria,è attivo un altro atelier.

In quest’ultima finestra i medaglioni sono semplicie allungati, diversi da quelli piú complessi e polilobatidelle vetrate di Sankt Dionys; i fondi, sia all’interno siaall’esterno dei medaglioni, sono ornati con fogliolinecampite con colori diversi sapientemente alternati: glistessi ornamenti che si trovano sulle placchette di vetrodipinto inserite sul coperchio e sui lati dei preziosi scri-gni profani del tempo. Posteriori di una cinquantina

d’anni rispetto a quelle di Sankt Dionys, le vetrate del-la Frauenkirche mostrano bene il passaggio da un lin-guaggio semplificato, diretto, caricaturalmente espres-sivo che fu quello del primo espressionismo gotico aquello elaborato, armonico, prezioso del momento suc-cessivo, caratterizzato dai moduli allungati dei panneg-gi fluenti, dai gesti controllati e cortesi. I volti, già deli-neati con rapidi tratti e in cui la grisaille segnava appe-

na i volumi, diventano più complessi e torniti; a formulelineari bidimensionali si sostituiscono schemi tridimen-sionali piú ricchi di potenzialità espressive. Altrove, aRatisbona come a Colonia, domina l’influenza francese– quella italiana arriverà piú tardi – e viene abbastanzaprecocemente usato il giallo d’argento. Nella sacrestiadella chiesa intitolata a san Gereon è conservato fram-mentariamente un gruppo di vetrate databili attorno al1315-20, una serie di figure di sante e santi sotto taber-

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nacoli che ricordano da vicino, sia nell’uso della grisail-le e in quello precoce del giallo d’argento, sia nel dise-

gno, esempi normanni24

. In effetti i rapporti sono stret-ti tra le vetrate colonesi di questo momento e le vetra-te della Francia settentrionale e dell’Inghilterra25.

Da Königsfelden a Strassengel .

Di Strasburgo probabilmente furono originari i mae-stri che tra il 1325 e il 1330 eseguirono il ciclo del corodella chiesa del convento francescano di Königsfelden,nel cantone di Aargau in Svizzera, eretta e decoratadalla vedova dell’imperatore Alberto I d’Asburgo e daisuoi figli, tra i quali la regina Agnese di Ungheria cheebbe un ruolo molto importante nella costruzione enella decorazione dell’edificio eretto nei pressi del luogodove il sovrano era stato assassinato nel 1308. La chie-sa, concepita come tempio familiare e monumento

espiatorio, è illuminata nel coro da un superbo gruppodi finestre invetriate eseguite nello spazio di circa cin-que anni e precisamente databili attraverso le figure deisingoli donatori. Esse rappresentano scene dell’infan-zia, della Passione e delle apparizioni di Cristo nell’ab-side, storie della Vergine e di santi, figure di apostolied episodi della vita di san Francesco e di santa Chia-ra sulle due pareti26, e mostrano nel modo piú signifi-

cativo, con maggiore o minore complessità e coerenza,l’ingresso della tridimensionalità nel campo della vetra-ta. Accanto a numerosi elementi italiani, o addiritturaassisiati, accanto a mensole, baldacchini, troni, sarco-fagi, zoccoli, interi edifici o persino a immagini urba-ne presentate in profondità, compaiono stilemi espres-sivi e lineari che evocano quelli, di origine in ultimaanalisi francese, che trovarono cosí favorevole acco-glienza nella bassa Svevia, sulle rive del lago di Costan-

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za. Diversamente organizzate, senza tener conto delleseparazioni tra le tre luci delle finestre, ora a medaglioni

sovrapposti contenenti una storia, ora a personaggi sin-goli, gruppi, episodi incorniciati da alti baldacchini, levetrate sono sorrette da armature ortogonali simili perogni finestra che aumentano l’impressione di unità del-l’insieme. Anche le vetrate dell’abbazia di Hauterivepresso Friburgo in Svizzera, opera di un atelier svevoparticolarmente operoso nella valle del Neckar, mostra-no esempi di tridimensionalità nelle basi, che si richia-mano a modelli alsaziani.

In Austria un culmine di elaborata ricerca in questocampo è il ciclo di vetrate (ora in parte disperse in diver-si musei, in parte conservate in loco con molte integra-zioni e riprese), straripante di architetture dipinte ainquadrare o a contenere scene e personaggi, della chie-sa di pellegrinaggio stiriana di Strassengel27, non lonta-na da Graz, consacrata nel 1355. Fu questo un cantie-re segnato, nell’architettura come nella decorazione, da

una indiscutibile impronta cortese di stampo vienneseche si manifesta anche nei rapporti che le sue vetratehanno con quelle di Santa Maria am Gestade e di SantoStefano a Vienna.

L’Inghilterra.

L’Inghilterra conosce, come si è accennato nel pre-cedente capitolo, una situazione assai simile a quellafrancese28, ma se ne diversifica, tra l’altro, per una pene-trazione di elementi italiani minore e meno precoce29, egiunta soprattutto attraverso le mediazioni delle vetra-te normanne influenzate da Jean Pucelle.

Le superstiti vetrate trecentesche inglesi testimonia-no del crescente affermarsi nel corso del secolo di un lin-guaggio autonomo con caratteri fortemente diversifica-

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ti rispetto a quelli francesi, quasi in parallelo all’affer-marsi dell’inglese come lingua letteraria. Tuttavia le

influenze francesi si manifestano ancora in modo signi-ficativo, come si avverte nel delizioso Annuncio ai pasto-ri del Victoria and Albert Museum, vicinissimo ad esem-pi normanni, o nelle vetrate della cattedrale di Glouce-ster. Qui appare chiaramente l’esempio di Jean Pucelle30:invertendo la pratica comune e facendo contrastare sufondi di colore le figure bianche, un geniale maestro arri-va a trasportare sul vetro la tecnica del camaieu cara algrande francese. Si pone quindi anche qui il consuetoproblema: quali furono i rapporti tra gli atelier degli illu-stratori e quelli dei maestri vetrari? Le vetrate di Glou-cester forniscono un’ulteriore testimonianza che questirapporti esistevano, che erano stretti, e che in piú di uncaso gli stessi maestri dovettero esprimersi nelle duetecniche. Un analogo problema si manifesta in alcuniframmenti di personaggi sotto arcature architettonicheprovenienti dalla Lady Chapel della cattedrale di Ely

(Ely, Stained Glass Museum)31.La produzione di vetrate cresce molto durante il tre-cento, e ciò va di pari passo con la maggiore importan-za che il paese assume nel panorama europeo, testimo-niata dalle sue vittorie nella secolare guerra contro laFrancia. Si mettono in cantiere grandi imprese comequella dell’invetriatura della cappella di Santo Stefanoa Westminster (di cui non restano che minuti fram-

menti), sulle cui significative vicende siamo, come si èvisto, assai ben documentati, e si conoscono i nomi diun certo numero di maestri vetrari, da Master Walter aExeter nel 1303 a Robert e a Thomas a York nel1338-39, a John di Lincoln, a John di Chester e ai tantialtri attivi a Westminster attorno al 1350.

Altro aspetto interessante della situazione inglese diquesto periodo è la parte capitale avuta dai centri delnord: le vetrate di York costituiscono il ciclo piú rile-

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vante di tutto il secolo e qui operarono grandi per-sonalità di maestri vetrari, quei Master Robert (forse

Robert Ketelbarn) e Master Thomas, autori delle tregrandi vetrate della facciata occidentale della cattedra-le (1339), il cui nome ci è trasmesso dai documenti.Nello stesso periodo l’attività letteraria è maggiore nelnord, piú lontano dalla Francia, che nel sud. Grandeinfine è l’importanza dei cicli e delle singole vetrateconservate nelle chiese parrocchiali: Deerhurst nel Glou-cestershire, Fladbury, Warndon, Bredon nel Worce-stershire, Grappenhall nel Cheshire (circa 1335), EatonBishop, Madley (splendidi frammenti di un  Albero di Jesse), Credenhill nello Herefordshire, Marsh Baldon,Waterperry e Stanton St John nell’Oxfordshire conta-no esempi di rilievo32, un fatto significativo che, attra-verso l’importanza degli investimenti artistici, mostra larelativa agiatezza di molti centri rurali.

Tra i piú importanti cicli trecenteschi inglesi sonoquelli delle cattedrali di York, di Wells, di Gloucester

e dell’abbazia di Tewkesbury.L’insieme più ricco è quello della cattedrale di York,che già contava importanti esempi della metà del seco-lo precedente, come le altissime finestre a grisaille deltransetto nord chiamate The Five Sisters (le cinquesorelle).

La navata della cattedrale fu costruita tra il 1291 e il1338 e le vetrate delle finestre alte vennero eseguite e

poste in opera prima di quelle delle navate laterali. È inquesta zona quindi che si trovano esempi del primo tre-cento come la Finestra del bottaio donata da un membrodella famiglia Fitz Urse. Poco posteriori sono le finestredella navata laterale nord, come quella donata verso il131o dal canonico Peter de Dene con storie di santaCaterina; quella detta «del fonditore di campane», tem-pestata di piccole immagini di campane, donata daRichard Tunnock, che vi è rappresentato nell’atto di

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offrire una vetrata a san Guglielmo di York (prima del1330); la contemporanea Penancers Window (vetrata dei

penitenzieri) con icastiche rappresentazioni di perso-naggi in atto di confessarsi, di fare la penitenza, di esse-re assolti; o ancora la grande finestra della facciata occi-dentale chiamata Cuore dello Yorkshire. Essa, donata nel1338 dall’arcivescovo William de Melton, è opera diMaster Robert e di Master Thomas, artisti che risento-no fortemente delle influenze di Pucelle, e presenta tral’altro l’ Annunciazione, la Natività, la Resurrezione, l’ A- scensione, l’Incoronazione della Vergine e una serie disanti sotto baldacchini. Celebrando il potere e la gloriadella chiesa di York, il prelato vi fece rappresentareotto dei suoi predecessori insieme agli apostoli33. I vesco-vi di York furono in questo periodo committenti diimportanti vetrate per la cattedrale; accanto al Cuoredello Yorkshire occorre ricordare almeno una vetratadella Lady Chapel ove sono rappresentati in preghierail donatore, l’arcivescovo Sutton e i canonici sotto la

grande immagine di Edoardo III accompagnato da sanPietro e da Samuele.Nelle vetrate di questo momento troviamo una

straordinaria ricchezza di motivi araldici: a York le alteluci delle finestre sono occupate da singole scene leg-gendarie o da personaggi sotto baldacchini, interrottinella loro successione verticale da fondi di vetro chiarocontro cui spiccano i blasoni. Le quattordici finestre alte

della navata principale sono puramente araldiche con-tando ciascuna cinque pannelli con blasoni che proba-bilmente ricordano l’adunata delle forze del re a Yorkprima di una campagna contro la Scozia. Come in Fran-cia alla stessa epoca, gli elementi architettonici cheinquadrano le scene e i personaggi assumono una gran-dissima importanza e sono resi sempre piú ricchi da unasovrapposizione di guglie, timpani, archi e nicchie.Aumenta d’altra parte la quantità di vetro bianco usato

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in ogni finestra, interrotto dalla forte policromia dellescene e dei blasoni e inquadrato da splendidi bordi viva-

cemente policromi ornati a personaggi, motivi araldicio animali fantastici.Di alta qualità sono le vetrate della cattedrale di

Wells: qui importanti testimonianze del trecento resta-no nella Lady Chapel, le cui finestre vennero invetria-te verso il 1300-305, nella sala capitolare, nelle navatellelaterali del coro e nella claire-voie del coro stesso. In que-sta zona sono alcuni degli esempi piú celebri: personag-gi di vescovi, di re, di guerrieri incorniciati da alti bal-dacchini con volti plasticamente definiti, dalla singola-re evidenza formale. La parete terminale del coro èoccupata in tutta la sua parte superiore da un’enormevetrata a sette luci con la rappresentazione dell’alberodi Jesse (circa 1330), dalla singolare gamma cromaticaricca di ori ottenuti con il giallo d’argento (di qui l’e-piteto popolare di vetrata dorata), verdi e rossi, e inve-ce una relativa assenza di blu, una gamma che non è

comune in Francia e si incontra invece in Italia34.Nel Gloucestershire si trovano alcuni tra i piú impres-sionanti esempi di vetrate inglesi degli anniquaranta-cinquanta del trecento. Stupefacente è l’insie-me delle sette alte vetrate (eseguite verso il 1340) chechiudono il coro dell’abbazia di Tewkesbury. In essesono rappresentati il Giudizio Universale, l’Incoronazio-ne della Vergine, episodi dell’Antico Testamento e, nelle

finestre piú occidentali, cavalieri eretti armati con lancee spade, membri potenti della aristocrazia locale, in par-ticolare i de Clare e i Despensers, legati in molti modialla probabile donatrice dell’insieme, Eleonore de Clare(morta nel 1337). Essi vengono messi alla pari, per leloro dimensioni e la loro collocazione, con i santi, i pro-feti e i patriarchi delle altre finestre facendo del corodella chiesa un autentico pantheon familiare.

Nella cattedrale di Gloucester la colossale vetrata

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(circa 1350) che chiude il coro esibisce una sorta diarmoriale figurato, con gli stemmi dei piú importanti

nobili del tempo di Edoardo III che avevano partecipa-to alle battaglie contro i francesi e contro gli scozzesi,che è a sua volta sovrastato dalle figure sovrapposte,come in un colossale polittico, di vescovi e abati, disanti, di apostoli e culmina nella Incoronazione della Ver- gine35.

La storia della vetrata conosce nel corso del xiv seco-lo un’autentica svolta, attraverso la rappresentazionesempre crescente della profondità e dei volumi e grazieall’adozione di tecniche che permisero di diminuire ilnumero dei piombi e di adoperare vetri piú grandi.Nuovi accostamenti cromatici resi possibili dal giallod’argento e dalla grisaille oramai distesa con sempremaggiore libertà, allontanandosi dalla rigida applicazionedel principio dei tre toni caro al monaco Theophilus,segnarono un passo decisivo in direzione di una pitturasempre piú «su vetro» piuttosto che «di vetri». I seco-

li che vanno dal tre al cinquecento saranno grandissimiper le vetrate, conservate in sempre maggiore quantitàe sovente di qualità talmente alta da poter esser certi chela storia della pittura del cinquecento nell’Europa delnord, e in particolare in Francia, cambierebbe decisa-mente fisionomia se venisse pienamente integrata con lastoria delle vetrate36. Si tratterà però di una nuova sto-ria, che comincia là dove questa si chiude.

1 e. castelnuovo, Vetrate francesi, in «Paragone», x (1959), n. 113,pp. 44-66.

2 r. becksmann, Die architektonische Rahmung der hochgotischenBildfensters, Berlin 1963.

3 e. carli, Vetrata duccesca, Firenze, 1946; b. tosatti soldano, Miniature e vetrate senesi del secolo  XIII , Genova 1978; l. bellosi, La pecora di Giotto, Torino 1985, pp. 173-75.

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4 aa.vv., Dal fulgore delle pagine miniate al colore-luce delle vetrate(catalogo della mostra tenutasi alla Biblioteca Trivulziana), Milano1988; c. bertelli, Introduzione, in aa.vv., Il Millennio Ambrosiano,Milano 1989, p. 17; c. travi, in I Pittori Bergamaschi, Le Origini, a curadi M. Boskovits, Bergamo 1992, pp. 248-54.

5 p. toesca, Il Trecento, Torino 1951, pp. 869-71; g. marchini, Levetrate italiane, Milano 1956; e. castelnuovo, Vetrate Italiane, in«Paragone», ix (1958), n. 103 p. 13; id., Vetrata, in Enciclopedia Uni-versale dell’Arte, Roma-Venezia 1966, vol. xiv, col. 757; g. marchini,Le Vetrate dell’Umbria, CVMA, Italia, I, Milano 1973, pp. 106 sgg.

6 Su questo problema cfr. g. marchini, Il giottesco Giovanni di Boni-no, in Giotto e il suo tempo, Roma 1971, pp. 67-77; a. conti, Le vetra-te e il problema di Giovanni di Bonino, in aa.vv., Il Maestro di Figline,

Firenze 198o, pp. 23-27.7 Sulla vicenda critica delle vetrate della cappella di San Martinocfr. p. l. leone de castris, Simone Martini, Firenze 1989, pp. 136-37.Quanto alle vetrate della cappella di San Ludovico, p. toesca, Il Tre-cento cit., p. 870.

8 g. marchini, Le vetrate italiane cit., pp. 30 sgg.; f. bologna,Vetra-te del Maestro di Figline, in «Bollettino d’Arte», xli (1956), p. 193.

9 marchini, Le Vetrate dell’Umbria cit., pp. 170 sgg. Sulla vetratadel duomo di Orvieto e il suo restauro cfr. il n. 2-3, i (1992) della rivi-sta «De Fabrica».

10

A parte i modi e le forme dell’impaginazione e della decorazione,i profili dei compassi e dei medaglioni, di chiara derivazione transal-pina, si vedano le grottesche rappresentate in una vetrata della cappelladi San Giovanni ad Assisi. Cfr. castelnuovo, Vetrate Italiane cit., p.12.

11 j. lafond, Un vitrail de Mesnil Villemain et les origines du Jauned’argent , in «Bulletin de la Société Nationale des Antiquaires de Fran-ce», 1954, pp. 93 sgg., ma si veda quanto se ne dice nel secondo capi-tolo.

12 j. lafond, Le Vitrail en Normandie de 1250 à 1300, in «BulletinMonumental», cxi (1953), pp. 317-58.

13 Il saggio di j. lafond, Le vitrail du XIV e  siècle, in l. lefrançois

pillion, L’Art du XIV e  siècle en France, Paris 1954, dà un profilo eccel-lente ed estremamente diramato della vetrata francese nel trecento,recensendo e mettendo particolarmente in evidenza gli elementi tridi-mensionali di origine italiana, come segnalavo nella recensione al volu-me che ne feci nel n. 53 (1954) di «Paragone», pp. 57-61. Per i moti-vi italiani nelle vetrate di Fécamp si veda quanto Lafond dice a p. 191del suo testo, per Saint-Père di Chartres a p. 211, per Saint-Hymer enAuge a p. 200.

14 lafond, Le vitrail du XIV e  siècle cit., pp. 211-12.

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15 j. quicherat, Documents inédits sur la construction de Saint -Ouende Rouen, in «Bibliothèque de l’Ecole des Chartes», 1852, pp. 466-69.

16 j. lafond, Les vitraux de l’église Saint-Ouen de Rouen, I, CVMA,France IV-2, I, Paris 1970.

17 j. lafond, Les vitraux de l’ancienne abbaye de Jumièges. Chapelle parroissiale de La Mailleraye sur Seine. Eglise parroissiale de Jumièges, inl. jouen, j. lafond e g. lanfry, Jumièges à travers l’histoire, à traversles ruines, Rouen 1954.

18 Ibid ., p. 221; f. gatouillat, Evreux, Cathédrale Notre-Dame. LesVerrières, Paris 1993.

19 h. moranville, Les peintres pensionnaires de Philippe le Bel , in«Bibliothèque de l’Ecole des Chartes», xlvii (1887), pp. 630-34; g.troescher, Burgundische Malerei, Berlin 1966, pp. 27-28.

20 r. schilling, Drôlerie, in Reallexikon zur Deutschen Kunstgeschi-chte, vol. IV, colonne 567-88, Stuttgart; m. camille, Image on the Edge.The Margins of Medieval Art , London 1992.

21 lafond, Les vitraux de l’église Saint -Ouen cit.22 p. frankl, Die Glasmalereien der Wilhelmerkirche in Strassburg ,

Baden-Baden - Strasbourg 196o.23 r. becksmann, Die Bettelorden an Rhein und Neckar und der höfi-

 sche Stil der Pariser Kunst um 13oo, in Deutsche Glasmalerei des Mitte-lalters. II. Bildprogramme, Auftraggeber, Werkstätten, Berlin 1992, pp.53-75.

24

r. becksmann, Deutsche Glasmalerei des Mittelalters, Eine exem- plarische Auswahl , Stuttgart 1988, pp. 128-29.25 h. rode, Die mittelalterlichen Glasmalereien des Kölner Domes,

CVMA, Deutschland, IV, 1, Berlin 1974.26 e. maurer, Der Kloster Königsfelden,in Die Kunstdenkmäler Kan-

tons Aargau, Basel 1954, vol. III, pp. 74-234; id., Habsbürgische und  franziskanische Anteile am Königsfelder Bildprogramm, in «Zeitschrift fürSchweizerische Archaeologie und Kunstgeschichte», xix (1959), pp.220-25; id., Die Glasmalereien, in aa.vv., Königsfelden, Zürich 1970,pp. 53-165.

27 e. bacher, Die mittelalterlichen Glasgemälde in der Steiermark,CVMA, Österreich, I, Wien-Graz 1979, pp. 111-200.

28 In generale sulle vetrate inglesi di questo periodo cfr.  j. baker,Le vetrate inglesi, Milano 1961 (ed. orig. London 196o); r. marks, Stai-ned Glass in England during the Middle Ages, London 1993, pp. 141-65.

29 Per la penetrazione dei modi italiani in Inghilterra cfr. o. pächt, A giottesque episode in English medieval Art , in «Journal of the Warburgand Courtauld Institutes», VI (1943), pp. 51-70; marks, Stained Glassin England cit., pp. 158-59.

30 l. f. sandler, A Follower of Jean Pucelle in England , in «Art Bul-letin», lii (1970), pp. 363-72.

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31 Age of Chivalry. Art in Plantagenet England 1200-1400, a cura di J. Alexander e P. Binski, London 1987.

32 p. a. newton e j. kerry, The County of Oxford: A Catalogue of 

 Medieval Stained Glass, CVMA, Great Britain, I, London 1979.33 j. a. knowles, Essays in the History of the York School of Glass-

Painting , London 1936; d. o’connor e j. haselock, The Stained and Painted Glass, in A History of York Minster , a cura di G. E. Aylmer eR. Cant, Oxford 1977, pp. 313-93; th. french e d. o’connor, York Minster , A Catalogue of Medieval Stained Glass, CVMA, Great Britain,III, Oxford 1987, catalogo della mostra  Age of Chivalry cit., pp.534-36.

34 r. marks, The medieval stained glass of Wells Cathedral , in WellsCathedral, A History, a cura di L. S. Colchester, Shepton Mallett 1982,

pp. 132-47.35 j. kerr, The East Window of Gloucester Cathedral ,in Medieval Art and Architecture at Gloucester and Tewkesbury (British ArchaeologicalAssociation ConferencesI VII, 1981), London 1985, pp. 116-29.

36 Sulla grande importanza e la straordinaria qualità delle vetratefrancesi del cinquecento aveva insistito particolarmente Jean Lafondin numerosi interventi (si veda per questo la sua bibliografia curata daF. Perrot in calce alla terza edizione di Le Vitrail , Lyon 1988). Si veda-no anche gli studi e le pubblicazioni recenti di M. Herold, G. M. Le-proux, F. Perrot, e l’esposizione della Villette del 1991 su Vitraux

 français de la Renaissance.

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Nota bibliografica

Rimandi a numerosi studi, monografie, cataloghi, contributi sulle

vetrate si troveranno nelle note dei rispettivi capitoli. Qui vorremmodare delle indicazioni generali su un numero limitato di opere e testiscelti per il loro taglio, la quantità di riferimenti o per il fatto di abbor-dare problemi particolarmente significativi.

Una bibliografia dettagliata e ragionata sulle vetrate medievali èquella di m. harrison caviness, Stained Glass before 1540. An annota-ted Bibliography, Boston 1983.

L’insieme delle vetrate medievali conservate in chiese e collezionidell’Europa e degli Stati Uniti è oggetto di una pubblicazione siste-matica dal 1956, grazie all’azione di un organismo internazionale, nei

volumi del Corpus Vitrearum Medii Aevi. Sono stati previsti circa cen-toventi volumi di cui un po’ meno di una quarantina sono stati sinorapubblicati. Accanto alle monografie del Corpus propriamente detto,dove le singole vetrate sono minutamente esaminate secondo critericomuni fornendo esatte notizie sul loro stato di conservazione, sull’e-stensione dei rifacimenti e cosí via, sono stati pubblicati alcuni volu-mi di studi e di Occasional papers, dedicati a singoli problemi o a rac-colte di contributi presentati a un colloquio, e censimenti e repertoriregionali, piú rapidi in particolare per la Francia dove è in corso di pub-blicazione il Recensement des vitraux anciens de la France (quattro vo-

lumi finora pubblicati) e per le collezioni e i musei degli Stati Uniti(quattro volumi nelle Checklist Series).Le principali fonti sulla tecnica delle vetrate medievali sono il

secondo libro del trattato di theophilus, scritto agli inizi del xii seco-lo (ottima l’edizione che ne dà c. r. dodwell, Theophilus, The Various Arts - De Diversis artibus, London 1961, 2a edizione Oxford 1986; iltrattatello scritto alla fine del trecento da Antonio da Pisa (se ne vedal’edizione a cura di s. pezzella, Il trattato di Antonio da Pisa sulla fab-bricazione delle vetrate antiche, Perugia 1976, e quella a cura di p.monacchia, in Vetrate, Arte e Restauro, Milano 1992), il capitolo clxxisu Come si lavorano in vetro finestre nel Libro dell’Arte di cennino cen-

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nini (edizione a cura di f. brunello, Padova 1971; altra edizione a curadi f. tempesti, Milano 1975) e qualche passaggio (il xviii capitolo del-l’introduzione alla pittura intitolato Del dipignere le finestre di vetro…e la Vita di Guglielmo da Marcilla) ne Le Vite di g. vasari (se ne vedal’edizione a cura di p. barocchi e r. bettarini, Firenze 1966-88).

Il punto di vista di un committente medievale si manifesta constraordinaria chiarezza nei testi che l’abate Suger di Saint-Denis hadedicato alla costruzione, alla amministrazione e alla consacrazionedella sua chiesa; le parti piú salienti di essi sono pubblicate da e.panofsky in Abbot Suger on the Abbey Church of Saint-Denis and Its Art Treasures, Princeton 1946 (2a edizione 1979).

Una grande stagione per gli studi sulle vetrate medievali fu l’otto-cento. Spinti dalla volontà di conoscere il patrimonio del passato e di

proporre esempi e materie agli artisti del tempo, vennero tentate allo-ra, tra grandi difficoltà di documentazione e di accesso alle opere, leprime storie nazionali e generali, vennero scritte le prime grandi mono-grafie sui piú importanti cicli.

Si ricorderanno l’esplorazione delle vetrate inglesi di c. winston( An Inquiry into the Differences of Style Observable in Ancient Glass Pain-tings by an amateur , Oxford 1847, 2 voll.); la grande e riccamente illu-strata Histoire de la Peinture sur Verre d’après ses Monuments en Francedi f. de lasteyrie (Paris, 1853-57), ricca di osservazioni acute e rive-latrici, quindi quella condotta a scala europea di n. westlake ( A

History of Design in Painted Glass, London 1881-94).L’articolo Vitrail di e.-e. viollet-le-duc, nel suo Dictionnaire rai- sonné de l’architecture française du XI e au XVI e  siècles (Paris 1868, vol. IX,pp. 373-482), analizza con grande intelligenza i diversi aspetti, le sin-golarità e i problemi di questa tecnica.

Tra le monografie ottocentesche consacrate a cicli di vetrate siricorderanno almeno la  Monographie de la Cathédrale de Bourges deigesuiti c. cahier e a. martin (Paris 1841-44) che contiene unaapprofondita e nuova analisi iconografica delle vetrate, e quella delmaestro vetrario e. hucher sulle vetrate della cattedrale di Le Mans:Calques des vitraux peints de la Cathédrale du Mans, Le Mans 1864, pre-ziosa per le riproduzioni a scala uno a uno.

Verso la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento escono alcunivolumi dovuti per lo piú a maestri vetrari impegnati nella progettazio-ne di nuove vetrate o in grandi campagne di restauro. In Francia saran-no quelli di l. ottin (Le Vitrail, son histoire, ses manifestation à traversles âges et les peuples, Paris 1896) e di o. merson (Le Vitraux, Paris1895); in Inghilterra il bellissimo Windows. A Book about stained and  painted glass, London 1897, di l. f. day.

In Germania h. oidtmann, che dirige numerosi restauri di vetratenella regione renana, pubblica un importante manuale in due volumi,

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Die Glasmalerei (Köln 1892-98) e uno studio dettagliato e approfondi-to sulle vetrate renane (Die rheinischen Glasmalereien vom 12 bis zum16 Jahrhundert , Düsseldorf 1912-29). f. geiges, restauratore delle vetra-te della cattedrale di Friburgo, ne dà una monografia (Freiburg 1901)che poi si allargherà in un suntuoso atlante: Die mittelalterliche Fen- sterschmuck des Freiburger Münsters, Freiburg 1931. j. l. fischer pub-blica un compatto e fortunato manuale, lo Handbuch der Glasmalerei,Leipzig 1914.

Un’opera fondamentale per ricchezza di illustrazioni e attenzioneanalitica che tende a precisare le differenze di mani e a identificare perla prima volta un certo numero di anonime personalità di maestri, è lagrande monografia delle vetrate della cattedrale di Chartres che ilcanonico y. delaporte e e. houvet pubblicarono in quattro volumi (tre

sono dedicati alle illustrazioni) dopo che lo smontaggio e il rimontag-gio delle vetrate della cattedrale, effettuato durante la prima guerramondiale, aveva reso possibili approfondite esplorazioni: Les Vitrauxde la Cathédrale de Chartres, Chartres 1926.

Dopo il secondo conflitto mondiale, che determinò nuove rimo-zioni, spostamenti e rimontaggi del grande patrimonio vitreo europeo,gli studi sulle vetrate presero un nuovo avvio, e questo particolarmen-te grazie a grandi figure di studiosi come  j. lafond e l. grodecki inFrancia, h. wentzel in Germania, e. frodl-kraft in Austria.

Una eccellente introduzione ai problemi, alla fortuna e alla tecni-

ca delle vetrate è quella contenuta in j. lafond, Le Vitrail , Paris 1966,di cui sono uscite tre edizioni, l’ultima aggiornata e annotata a cura diF. Perrot, pubblicata a Lione nel 1988. Utili anche come introduzio-ne due studi di e. frodl-kraft: Le Vitrail Médieval . Technique et esthé-tique, pubblicato in «Cahiers de Civilisation médiévale», x (1967), pp.1-13, e Die Glasmalerei. Entwicklung, Technik, Eigenart , Wien 1970; ela voce Vetrata di e. castelnuovo nel XIV volume dell’EnciclopediaUniversale dell’Arte, Venezia-Roma 1966, colonne 744-65.

Eccellente per la tecnica e la terminologia riguardante le vetrate ilvolume adeguatamente illustrato di n. blondel, Le Vitrail . Vocabulai-re Typologique et Technique, Paris 1993.

Sui problemi della conservazione delle vetrate si veda la bibliogra-fia raccolta da r. newton, The Deterioration and Conservation of Pain-ted Glass. A Critical Bibliography, London 1974, e il manuale di r. new-ton e s. davison, Conservation of Glass, London 1989.

Tra i pochi studi sui maestri vetrari sono il classico saggio di h.wentzel, Glasmaler und Maler im Mittelalter , in «Zeitschrift für Kun-stwissenschaft», iii (1949), pp. 53-62; e gli articoli di c. brisac e j.-j.gruber, Le métier de Maître-verrier , in «Métiers d’Art», 2, 1972; di f.perrot, La signature des peintres verriers, in «Revue de l’Art», 26, 1974,pp. 40-45; di m. parsons lillich, Gothic Glaziers: monks, Jews, tax-

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 payers, Bretons, women, in «Journal of Glass Studies», xxvii (1985), pp.72-92; e l’agile libretto di s. brown e d. o’connor Glass Painters, Lon-don 1991, pubblicato nell’ottima serie sugli artigiani medievali dalBritish Museum.

Pure scarsi gli studi consacrati ai committenti delle vetrate, tra que-sti il volumetto di vari autori, Vitrea dedicata, Berlin 1975, che però sioccupa esclusivamente di vetrate tedesche. Toccano il problema gliinterventi di j. williams welch, w. kemp, f. perrot e b. brenk cita-ti a proposito delle vetrate della cattedrale di Chartres.

Sui problemi formali delle vetrate, su quelli del loro rapporto conla luce e con l’architettura si veda m. t. engels, Zur Problematik der mittelalterlichen Glasmalerei, Berlin 1937; l. grodecki, Le Vitrail et l’Architecture au XII e et au XIII e  siècles (1949) in Le Moyen Age retrouvé ,

Paris 1986, vol. II, pp. 121-38; id., La couleur dans le vitrail du XII e 

auXVI 

e  siècles (1958) in Le Moyen Age retrouvé cit., pp. 139-148; e.frodl-kraft, Die Farbsprache der gotischen Malerei. Ein Entwurf , in«Wiener Jahrbuch für Kunstgeschichte», xxx-xxxi (1977-78); r. beck-smann, Licht und Farbe, Überlegungen zur Glasmalerei in staufischer Zeit , nel catalogo dell’esposizione Der Zeit der Staufer , vol. V, Stuttgart1979, pp. 107-33; id., Le vitrail et l’architecture, in Les Bâtisseurs desCathédrales Gothiques, catalogo dell’esposizione a cura di R. Recht,Strasbourg 1989.

Una buona trattazione d’insieme sulle vetrate medievali europee,

necessariamente sommaria, ma intelligentemente selettiva e ottima-mente illustrata è quella di c. brisac, Le vetrate. Pittura e luce. Una sto-ria di mille anni, la cui edizione italiana è stata pubblicata a Milano nel1984; un profilo piú rapido, ma informato e con qualche buona illu-strazione, è quello di s. brown, Stained Glass, an illustrated History, Lon-don 1992.

Uno studio complessivo e un’analisi storica e stilistica che riman-gono fondamentali sulle vetrate del xii e del xiii secolo nell’insieme del-l’Europa si trova nei due volumi di l. grodecki (con la collaborazionedi c. brisac), Le Vitrail Roman, Fribourg 1977, 2a edizione 1984, e LeVitrail Gothique, Fribourg 1984. In entrambe queste opere una pre-sentazione articolata nello spazio e nel tempo delle vetrate in Europa,con una distinzione e una caratterizzazione delle diverse movenze sti-listiche e dei singoli maestri e atelier, ampiamente illustrata, si accom-pagna a una serie di schede sui singoli cicli e monumenti.

Francia.

Un concreto rilancio agli studi sulle vetrate medievali francesi èvenuto dall’esposizione Les Vitraux de France du XI e au XVI e  siècle, tenu-

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tasi nel 1953 al Musée des Arts Décoratifs di Parigi, il cui catalogo erastato curato da l. grodecki, e dall’eccellente volume di diversi autoriLe Vitrail Français, uscito a Parigi nel 1958. Del Corpus Vitrearum fran-cese sono stati pubblicati sinora quattro volumi: il primo di l. gro-decki, j. lafond e altri dedicato alle vetrate di Notre-Dame e dellaSainte-Chapelle di Parigi (Paris 1959); il secondo di j. lafond dedica-to alle vetrate del coro di Saint-Ouen a Rouen; il terzo, a cura di v.beyer e altri, alle vetrate della cattedrale di Strasburgo (Paris 1986);e il quarto, di m. herold, alle vetrate tardogotiche di Saint-Nico-las-du-Port (Paris 1993). Accanto a questi sono usciti i quattro volumidi censimento delle vetrate in Francia che abbiamo ricordato, dedica-ti alle vetrate di Parigi, dell’Ile de France e del Nord (Paris 1978), delcentro e della regione della Loira (Paris 1981), della Borgogna, Fran-

ca Contea e area alpina (Paris 1986), della Champagne e delle Arden-ne (Paris 1992), nonché un volume di l. grodecki di studi sulle vetra-te di Saint-Denis che avremo modo di citare in seguito.

I fondamentali, originalissimi contributi di l. grodecki sulle vetra-te medievali francesi (che spaziano dalla grande impresa di Saint-Denisagli aspetti dello stile 12oo nelle vetrate, dalle vetrate di Soissons aquelle di Troyes, da quelle di Chartres a quelle di Bourges, da Parigialla Champagne e all’Alsazia e che hanno ricostruito insiemi dispersi ecaratterizzato maestri e tendenze), pubblicati in diverse riviste e perio-dici, sono stati per la massima parte raccolti nei due volumi dei suoi

scritti sotto il titolo Le Moyen Age retrouvé (Paris 1986-91) dove si trovaanche una sua bibliografia.Accanto a quelli di Grodecki sono stati di importanza capitale per

lo studio delle vetrate medievali francesi, in particolare di quelle nor-manne del due e del trecento, ma non solo di quelle, le ricerche di j.lafond, piú anziano di Grodecki, libero studioso la cui ampia biblio-grafia si trova riunita nella seconda e nella terza edizione del suo volu-me Le Vitrail . Accanto a questi sono da ricordare i nomi di f. perrote di c. brisac, scomparsa innanzi tempo (la bibliografia dei suoi scrit-ti si trova in aa.vv., Les Vitraux de Narbonne, Narbonne 1992), cheaffrontò i problemi estremamente interessanti delle vetrate romanichenel centro della Francia (una cultura assai diversa da quelle prevalentinell’ovest o nel nord) attraverso precisi contributi sulle vetrate di Lionee sulla splendida vetrata di Champ-presFroges nel Delfinato.

Un gruppo di studiosi americani, spesso indirizzati all’inizio da L.Grodecki, ha affrontato alcuni grandi problemi delle vetrate medieva-li in Francia. Tra questi m. harrison caviness, cui si deve un’impor-tante indagine sulle vetrate della fine del xii secolo a Reims e la rico-struzione dell’attività di atelier itineranti che si sarebbero spostatidalla Francia in Inghilterra e viceversa (Sumptuous Arts at the Royal  Abbeys in Reims and Braine, Princeton 1990); m. parsons lillich, che

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ha studiato particolarmente le tendenze espressive della seconda metàdel xiii e dell’inizio del xiv secolo analizzando le vetrate di Saint-Pèredi Chartres (The Stained Glass of St -Père de Chartres, Middletown 1978),quelle dell’est e della Lorena, in particolare di Toul (Rainbow like anEmerald . Stained Glass in Lorraine in the Thirteenth and Early Four-teenth Century, University Park 1991) e quelle dell’occidente dellaFrancia (The Armour of Light . Stained Glass in Western France 1250-1325, California 1994); e v. chieffo raguin, che ha studiato le vetra-te di Auxerre (Stained Glass in Burgundy during the Thirteenth Century,Princeton 1982).

Tra i problemi piú discussi riguardanti le vetrate francesi sonoquelli delle vetrate di Saint-Denis, della loro ricostruzione, del lorosignificato, della loro importanza e del ruolo dell’abate Suger nella loro

creazione. Oltre al celebre saggio di e. panofsky che accompagna i testidi Suger di Saint-Denis, citato a proposito delle fonti antiche sullevetrate, e al volume di l. grodecki, Les Vitraux de Saint-Denis. Etude sur le vitrail au  XII 

e  siècle, Histoire et restitution, Paris 1976, si vedano j. gage, Gothic Glass. Two Aspects of a Dionysian Aesthetic, in «ArtHistory», v (1982), pp. 36-58; i contributi (tra cui quelli di l. grodeme m. harrison caviness) pubblicati in Abbot Suger and Saint -Denis. ASymposium, a cura di P. L. Gerson, New York 1986; lo studio di m.w. cothren, The Infancy of Christ Windows from the Abbey at Saint -Denis. A Reconsideration of Its Design and Iconography, in «Art Bulle-

tin», lxviii (1986), pp. 398-419.Un certo numero di studi importanti, dopo la fondamentale mono-grafia di y. delaporte e e. houvet che abbiamo già citato, sono statidedicati alle vetrate della cattedrale di Chartres, sia in relazione airestauri che hanno subito nel passato e nel presente (c. launer, Lesvitraux de la cathédrale de Chartres à la lumière des restaurations ancien-nes, in Künstlerische Austausch, Atti del xxviii Congrès Internationald’Histoire de l’Art, Berlin 1993, pp. 413-24), sia in rapporto alla loroiconografia (c. manhes-deremble, Les vitraux narratifs de la Cathédra-le de Chartres, Paris 1993) e alla loro lettura, sia in rapporto alla lorocommittenza e in particolare ai problemi e al significato politico dellacommittenza nobiliare e alle realtà della committenza delle corporazionidi mestiere (w. kemp, Les Cris de Chartres, in aa.vv., Kunstgeschichte -aber wie?, Berlin 1989; f. perrot, Le Vitrail, la Croisade et la Cham- pagne: réflections sur les fenêtres hautes du chœur de la cathédrale de Char-tres,in y. bellenger e d. quéruel, Les Champenois et la Croisade, Paris1989; b. brenk, Bildprogrammatik und Geschichtsverständnis der Kape-tinger im Querhaus der Kathedrale von Chartres, in «Arte Medievale»,IIa serie, v (1991), pp. 71-95;  j. williams welch, Bread, Wine and  Money. The Windows of the Trades at Chartres Cathedral , Chicago 1993),sia in relazione al modo di lavorare delle differenti maestranze presenti

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nel medesimo momento nel cantiere della cattedrale. Particolarmenteimportante su quest’ultimo punto l’articolo di c. lautier, Les peintres-verriers des bas-côtés de la nef de Chartres, au début du XIII e  siècle, in «Bul-letin Monumental», cxlviii (1990), pp. 7-45, che chiarisce la collabo-razione e l’interscambio tra i vari maestri attivi alla cattedrale.

Germania.

Dei volumi fin qui usciti del Corpus Vitrearum riguardanti le vetra-te medievali tedesche, due sono stati dedicati alle vetrate della Svevia:il primo, che riguarda il periodo 1200-135o, e a cura di h. wentzel(Berlin 1958); il secondo, a cura di r. becksmann, copre il periodo

1350-1530 senza le vetrate di Ulma (Berlin 1986). Un volume a curadi r. becksmann è stato consacrato alle vetrate del Baden senza Fri-burgo (Berlin 1979); uno a cura di h. rode alle vetrate del duomo diColonia (Berlin 1974), uno a cura di g. fritzsche a quelle della catte-drale di Ratisbona (Berlin 1987), uno a quelle tardogotiche di Hei-denklöster e di Lüneburg (u. d. korn e r. becksmann, Berlin 1992).Per la Germania orientale (ex DDR) sono usciti quelli sulle vetrate dellechiese di Erfurt, a cura di e. drachenberg, k. j. maercker e c. sch-midt (Berlin 1976), su quelle della cattedrale di Erfurt (e. drachen-berg, Berlin 198o) e su quelle della cattedrale di Stendal (k. j. maerc-

ker, Berlin 1989).Il primo moderno studio sulle vetrate tedesche, dopo quelli del-l’Oidtmann e del Geiges citati a proposito della letteratura sulle vetra-te tra otto e novecento, è il magistrale volume  Meisterwerke der Gla- smalerei di h. wentzel, Berlin 19542. Su h. wentzel, il maggiore stu-dioso delle vetrate medievali tedesche, si veda la bibliografia nella Fest- schrift a lui dedicata (Beiträge zur Kunst des Mittelalters, Berlin 1975).Bene illustrato a colori è il volume di e. schürer von witzleben,Farbwunder deutscher Glasmalerei aus dem Mittelalter , Augsburg 1965,che offre un utile accompagnamento al Wentzel. Un aggiornato sguar-do d’insieme è fornito da r. becksmann, Deutsche Glasmalerei des Mit-telalters. Eine exemplarische Auswahl , Stuttgart 1988, e una serie di pro-blemi riguardanti programmi iconografici, committenti e officine dellevetrate medievali tedesche sono affrontati in un volume curato dallostesso becksmann, Deutsche Glasmalerei des Mittelalters. Bildprogramme, Auftraggeber, Werkstätten, Berlin 1992. Da segnalare ancora il volumedi r. becksmann sul problema dell’inquadramento architettonico nellevetrate tra due e trecento: Die architektonische Rahmung der hochgoti- schen Bildfenster , Berlin 1967. Due piccole e utili pubblicazioni riguar-danti le vetrate medievali nella Germania orientale sono: Neue For- schungen zur mittelalterlichen Glasmalerei in der DDR, Berlin 1989; e Mit-

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telalterliche Glasmalerei in DDR, catalogo di una esposizione al museodi Erfurt, Berlin 1989.

Vetrate medievali tedesche sono state esposte con utili schedeinformative in alcune mostre (elencate nel citato volume di Becksmanndel 1989) e in particolare in quella dedicata a Die Zeit der Staufer , Stutt-gart 1977.

 Austria.

Importante l’attività di studiosi come f. kieslinger (Die Glasma-lerei in Österreich, Wien 1921) e, dopo la guerra, di w. frodl (Gla- smalerei in Kärnten 1150-15oo, Klagenfurt 1950), e. frodl-kraft e e.

bacher.Sono stati pubblicati tre degli otto volumi previsti del CorpusVitrearum: uno dedicato alle vetrate di Vienna (e. frodl-kraft, Wien1962); uno alle vetrate della bassa Austria (Niederösterreich), semprea cura di e. frodl-kraft (Wien 1972); uno alle vetrate della Stiria acura di e. bacher (Wien 1979)

Inghilterra.

Lo studio delle vetrate è stato particolarmente vivo in Inghilterranell’ottocento, accompagnando la vasta produzione di vetrate che haavuto luogo in questo secolo nell’atmosfera del Gothic Revival . Quisono state scritte le due importanti opere di Winston e di Westlake chesi sono citate. Tra le opere d’insieme sulle vetrate inglesi apparse negliultimi decenni si vedano: c. woodforde, English Stained and Painted Glass, Oxford 1954; j. baker, English Stained Glass of the Medieval Pe-riod , London 196o [trad. it. Le vetrate inglesi, Milano 1961]; e l’ottimovolume di r. marks, Stained Glass in England during the Middle Ages,London 1993 (con ampia bibliografia). Molte vetrate assai significati-ve sono state esposte nella mostra  Age of Chivalry. Art in Plantagenet England 1200-1400, e commentate nel catalogo a cura di J. Alexandere P. Binski, London 1987. Uno studio approfondito sulle vetrate diCanterbury è quello di m. harrison caviness, The Early Stained Glassof Canterbury Cathedral , Princeton 1977, poi ripreso per certi aspettinel già citato suo volume Sumptuous Arts.

Della sezione inglese del Corpus Vitrearum sono stati per ora pub-blicati tre volumi: sulle vetrate della contea di Oxford (p. newton, Lon-don 1979), della cattedrale di Canterbury (m. harrison caviness,London 1981) e sulla vetrata occidentale della cattedrale di York (t.french e d. o’connor, London 1988), nonché un volume supplemen-

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