elfi, fate e pooka - ultimate...
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Elfi, Fate e Pooka
folklore, mitologia, leggende e tradizioni fatate del Galles
Wirt Sikes
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Indice
I – Le storie di Fate e l’antica mitologia pag. 6 Le compensazioni della scienza – La credenza sulle Fate esistente
in Galles – La fede della cultura – La credulità dell’ignoranza –
L’antica Terra delle Fate del Galles – Il Re delle Fate – La
leggenda di San Collen e Gwynn ap Nudd – I Verdi prati del
mare – Le Fate al mercato – La terra del mistero
II – Classificazione delle Fate Gallesi pag. 15 Designazione generale - Usanze dei Tylwyth Teg - Gli Ellyllon, o
Elfi - L’uso di Shakespeare del folklore gallese - Rwli Puh e
l’Ellyll - Radici delle storie di famiglia - Gli Ellylldan - I Pooka -
Puck Valley, Breconshire - Dove Shakespeare prese il suo Puck -
Pwca ‘r Tran - La forma comune delle storie sui Pooka -
Coblynau o le Fate delle miniere - I Knockers (Picchiatori) -
Credenze dei minatori - I basilischi e gli spiriti del fuoco - Una
miniera di carbone fatata - I Nani di Cae Caled - Le controparti
dei Coblynau - Il Bwbach, o Fata della Casa - La leggenda del
Bwbach e del predicatore - Bogies ed Hobgoblin - Trasportare i
mortali per aria - Controparti ed originali
III – Le Fate dei laghi pag. 35 Le Gwragedd Annwn o Dame della Terra Elfica - San Patrizio
ed i Gallesi, una leggenda del Lago di Crumlyn - La mucca elfica
di Lyn Barfog - T Fuwch Laethwen Lefrith - La leggenda del
Meddygon Myddfai - La moglie della razza sovrannaturale - I
tre colpi, una leggenda del Carmathenshire - Il formaggio e lo
scopo didattico nel folklore gallese - Il padre della fanciulla
fatata - L’isola incantata nel Lago della Montagna - La leggenda
degli uomini di Ardudwy - L’origine delle Fate d’acqua - La loro
diffusione in molte terre
IV – Le Fate delle montagne pag. 48 Le Gwyllion - La Vecchia della Montagna - La Gwyll della
Montagna Nera - Un esorcismo per mezzo di un coltello - I poteri
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intellettuali occulti delle capre gallesi - la leggenda della capra di
Cadwaladr
V – I changelings (sostituti fatati) pag. 53 Il Plentyn-newid - Il crudele credo dell’ignoranza riguardo ai
Changelings - Maniere di liberare la casa dal bambino fatato -
La leggenda del pasto frugale - La leggenda del luogo della
contesa - Dewi Dal e le Fate - Prevenzione del rapimento di
bambini da parte delle Fate - Fate colte in flagrante dalle madri -
La devozione come esorcismo
VI – Vivere con i Tylwyth Teg pag. 61 La storia di Elidurus - Shui Rhys e le Fate - La parrocchia di
san Dogmell, Pembrokeshire - Danzare con gli Ellyllon - La
leggenda di Rhys e Llewellyn - Morte dovuta all’essersi uniti alla
ree (danza) delle Fate - La leggenda del cespuglio in paradiso -
La foresta del tasso magico - La storia di Twm e Iago - Taffy ap
Sion, una leggenda di Pencader - Le tradizioni di Pant Shon
Shenkin - Tudur di Llangollen, la leggenda di Nany yr Ellyllon -
Polly Williams e gli Elfi Trefethin - Le Fate di Frennifawr -
Storie curiose - Il Padrone dei diavoli - Iago ap Dewi -
L’originale di Rip van Winkle
VII – La musica delle Fate pag. 82 Gli uccelli incantati - La leggenda di Shon ap Shenkin - La
musica dell’arpa nelle storie di Fate gallesi - La leggenda
dell’arpa magica - Canzoni e melodie dei Tylwyth Teg - La
leggenda di Iola ap Hugh - L’origine mistica di una vecchia aria
gallese
VIII – Gli anelli fatati pag. 92 Il Profeta Jones e le sue opere - Le lingue misteriose dei Tylwyth
Teg - Il cavallo nel folklore gallese - Fate equestri - Il bestiame
fatato, pecore, maiali, ecc. - le Fate volanti di Bedwellty - L’ovile
fatato di Cae’r Cefn
IX – La devozione come protezione dalle seduzioni
dei Tylwyth Teg pag. 99 Esorcismi vari - Il canto del gallo - Il nome di Dio - Recintare le
Fate - La vecchia Betty Griffith e la sua barricata Eikhtin -
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Mezzi per sbarazzarsi dei Tylwyth Teg - La Bwbach della
fattoria di Hendrefawr - Il Pwca'r Trwyn's che volteggia in una
caraffa di fermentato
X – Il denaro fatato ed i doni delle Fate in generale
pag.105 La storia di Gitto Bach, o il Piccolo Griffith - La punizione per le
chiacchiere - Le leggende dei pastori di Cwm Llan - Il valore
della gentilezza in termini di denaro - Ianto Llewellyn ed i
Tylwyth Teg - La leggenda di Hafod Lwyddog - Le lezioni
inculcate da queste credenze
XI – L’origine delle Fate Gallesi pag.111 La teoria realistica - La leggenda del Cancello del Barone - Le
Fate Rosse - La Fata Trwyn ed il gentiluomo proscritto - La
teoria dei Druidi che si nascondono - I colori nelle vesti delle Fate
gallesi - La leggenda della donna prolifica - La teoria poetico-
religiosa - Il credo della scienza
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I
Le storie di Fate e l’antica
mitologia
At eve, the primrose path along,
The milkmaid shortens with a song
Her solitary way;
She sees the fairies with their queen
Trip hand-in-hand the circled green,
And hears them raise, at times unseen,
The ear-enchanting lay.
Rev. John Logan: Ode to Spring, 1780
Le compensazioni della scienza – La credenza sulle Fate esistente
in Galles – La fede della cultura – La credulità dell’ignoranza –
L’antica Terra delle Fate del Galles – Il Re delle Fate – La
leggenda di San Collen e Gwynn ap Nudd – I Verdi prati del
mare – Le Fate al mercato – La terra del mistero
In merito alle altre branche del folklore, i punti di vista degli studiosi
differiscono, ma nel regno delle Fate queste differenze si riconciliano
ed i filosofi vanno a braccetto tra loro armoniosamente. E così
dovrebbe essere per quanto riguarda un regno in cui vivono i
deliziosi ricordi del periodo più poetico della vita – l‟infanzia, prima
che lo scetticismo si sia insinuato con il progredire del sapere. La
conoscenza che ha introdotto lo scetticismo è infinitamente più
preziosa della fede che ha rimpiazzato ma, nonostante ciò, vi sono
pochi tra noi che non abbiano provato un velo di dispiacere per
quello che la foi scientifique ha spostato della antica fede nelle Fate.
Vi era qualcosa di così affascinante e peculiare in quella antica
credenza - “un tempo” il mondo era meno pratico della realtà di
quanto lo sia ora, vi erano meno luoghi comuni e si era meno
soggetti alle inesorabili leggi di gravitazione, ottica e simili. Quali
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prose vi si raccoglievano! Che poesie, che sogni, che delizie!
Ma da quando la conoscenza dei nostri anni più maturi distrugge
tutto questo, è con un certo grado di soddisfazione che possiamo
volgerci verso le consolazioni della mitologia fatata. Le amate storie
antiche non sono “vere” ma almeno non sono del tutto illogiche ed
hanno una ragione buona e sufficiente per essere al mondo –
possiamo continuare a rispettarle. L‟arguto che ha osservato che la
causa ultima delle leggende sulle Fate è di “fornire svago alle
persone che spietatamente ne seguono le tracce fino alla loro origine”
(Saturday Review, 20 ottobre 1877) ha espresso una seria verità in
una forma gioviale. Siccome non si può più rimanere in pace nella
propria ignoranza, è un conforto per coloro che amano le leggende
fatate scoprire che non hanno bisogno di spazzarle via come
immondizia; al contrario, esse diventano anche più incantevoli nel
crogiolo della scienza di quanto non lo fossero nella loro figura
antica.
Tra il popolo del Galles la credenza nelle Fate è meno estinta di
quanto osservatori casuali potrebbero essere indotti a credere. Anche
le persone colte che vivono in Galles ed hanno vissuto lì per tutta la
vita possono spesso essere classificati come non più che osservatori
casuali in questo campo. Vi sono alcuni di tali residenti che hanno
posto un‟attenzione particolare al soggetto e si sono formati
un‟opinione sulla ampiezza della credenza tra il popolo ma la
maggior parte della gente colta del Galles ho scoperto che non ha
un‟opinione in merito, se non una vaga sorpresa per il fatto stesso
che una simile questione venga posta.
Pertanto, ancora nell‟anno 1858 un colto scrittore dichiarò su
'Archaeologia Cambrensis che il viaggiatore potrebbe ora passare da
un capo del principato all‟altro senza rimanere scioccato o divertito,
come potrebbe essere, da alcuna delle leggende sulle Fate o storie
popolari che un tempo venivano tramandate normalmente di padre in
figlio. Ma sullo stesso periodico, diciotto anni dopo, Mr. John Walter
Lukis (presidente della Cardiff Naturalists’ Society) asserisce in
merito ai cromlech, ai tumuli ed agli antichi accampamenti nel
Glamorganshire: “Vi sono sempre storie di Fate e storie di fantasmi
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collegate ad essi; alcune, anche se vengono credute completamente
dagli abitanti di quelle località, sono spesso del tipo più assurdo;
infatti, più ridicole sono e più vengono credute.” ('Archaelogia
Cambrensis, 4° sc., vi, 174)
La mia osservazione mi porta a sostenere la testimonianza di
quest‟ultimo. Gli europei colti generalmente pensano che questo tipo
di credenza sia estinta nel proprio paese o almeno nella zona più
vicina a loro. Essi accreditano le credenze del genere che possono
essere rimaste a qualche remota parte del sud se dimorano al nord, o
del nord se dimorano al sud. Ma in particolare essi le accreditano ad
una epoca precedente: in Galles, nell‟ultimo secolo o nel medioevo o
all‟epoca di Re Artù. Il parroco di Merthyr, ormai anziano,
l‟accredita alla propria giovinezza. “Sono abbastanza vecchio per
ricordare”, mi scrisse alla data del 30 gennaio 1877, “che queste
storie venivano credute completamente dalla gente delle campagne
quaranta o cinquanta anni or sono.”
La gente più acculturata ha conservato questa sorta di fede nella
mitologia fatata in ogni epoca, mi pare, eccetto nelle più remote.
Chaucer l‟aveva circa cinque secoli or sono e scrisse (Wyf of Bathes
Tale, Canterbury Tales):
In olde dayes of the Kyng Arthour, ...
Al was this lond fulfilled of fayrie; ...
I speke of many hundrid yer ago;
But now can no man see non elves mo.
“Nei giorni antichi del Re Artù,
questa terra era tutta piena di Fate;
io parlo di molti secoli fa;
ma ora nessuno può più vedere gli Elfi.”
Anche Dryden l‟aveva, due secoli dopo, e delle Fate diceva:
I speak of ancient times, for now the swain
Returning late may pass the woods in vain,
And never hope to see the nightly train.
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“Io parlo dei tempi antichi, perchè ora il pastorello
che ritorna tardi potrebbe attraversare i boschi invano,
e non sperare mai di vedere il corteo notturno.”
In tutte le epoche successive, altri autori hanno scritto lo stesso
genere di cose; non è così ora ma lo è stato recentemente. La verità,
probabilmente, è che se ci si immerge a livello della vita comune,
specialmente nelle borgate rurali, si ritroveranno diffuse le stesse
antiche credenze quasi allo stesso grado in cui sono state diffuse nei
precedenti cinquecento anni. Per immergersi con successo in questo
livello si deve divenire una unità vivente di quella vita, come ho fatto
di volta in volta io in Galles ed in altri posti. Allora si udrà la verità
che si desidera conoscere, o almeno il sentimento che la gente prova
verso di essa. Che la pratica di ogni generazione sia pertanto quella
di relegare la credenza sulle Fate ad una data subito precedente la
propria non si applica, tuttavia, alle credenze in generale in quanto la
loro maggiore o minore diffusione in certe epoche (come per la storia
della stregoneria) è un fatto ben accertato. Attualmente, io limito
strettamente l‟argomento al dominio delle Fate. In questo dominio, la
credenza diffusa in Galles si può dire che sia più forte nei distretti
rurali e minerari, che sia infantile e poetica e che si riferisca a tutto
tranne al luogo in cui risiede colui che ne narra – come nella zona a
fianco, nel paese vicino, nelle montagne lontane o nella terra buia di
Gwerddonau Llion, i verdi prati del mare.
All‟epoca di Artù e prima ancora, la gente del Galles del sud
considerava in Galles del nord come la terre preminente delle Fate.
Nell‟immaginazione popolare, quella terra lontana era la dimora
scelta da giganti, mostri, maghi e da tutte le creature magiche. Da
essa arrivavano le Fate, che andavano a fare visita alle terra assolate
del sud. Il capo filosofo di quella terra incantata era un gigante che
sedeva sulla cima di una montagna a guardare le stelle. Aveva un re
mago chiamato Gwydion che possedeva il potere di mutare se stesso
nelle forme più strane. Il contadino che dimorava sulle rive del
Dyfed (Demetia) lo vedeva a distanza, oltre le onde blu dell‟oceano,
le cime delle montagne ombrose che perforano le nubi e che
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proteggono questa mistica regione con solenne maestà. Da lì
rotolavano su di lui le nubi tempestose dalla casa della tempesta; da
lì fluivano nel cielo invernale le insegne fiammeggianti delle luci del
Nord; da lì sorgeva attraverso l‟illimitata oscurità la strada trapunta
di stelle del re delle Fate. Questi dettagli sono attuali nel
Mabinogion, quelle brillanti storie di magia Gallese così
graziosamente tradotte in inglese da Lady Charlotte Guest (The
Mabinogion, from the Welsh of the Llyfr Coch o Hergest - tradotto
con note da Lady Charlotte Guest - New Edition, Londra, 1877) e si
crede che tutte le storie del Mabinogion in cui sono stati trovati
questi dettagli siano state scritte nel Dyfed. Si trattava della regione
dell‟ovest, ora coperta dalle contee di Pembroke, Carmarthen e
Cardigan.
Più recentemente dell‟epoca predetta, tradizioni particolari hanno
collocato la terra delle Fate nella Valle di Neath, nel
Glamorganshire; vi è in particolare un ripido ed aspro dirupo
chiamato Craig y Ddinas che ha una chiara fama di roccaforte della
tribù fatata (vi sono due colline con questo nome nel Glamorganshire
ed altre in altre zone del Galles). Le sue caverne ed i suoi crepacci
sono state il loro rifugio preferito per molti secoli e su questa roccia
si tenne la corte delle ultime Fate che siano mai apparse in Galles.
Inutile dirlo, vi sono uomini tuttora in vita che ricordano le visite
delle Fate a Craig y Ddinas, anche se affermano che il piccolo
popolo non si è più visto lì. E‟ un‟osservazione comune che i
metodisti lo abbiano cacciato; vi sono invero innumerevoli storie che
mostrano come le Fate fossero animate, quando ancora erano
numerose in Galles, da una cordiale antipatia nei confronti di tutti i
predicatori dissenzienti. In questa antipatia erano compresi anche gli
astemi.
Il sovrano delle Fate ed il loro particolare guardiano e protettore era
un certo Gwyn ap Nudd. Egli governava anche la tribù dei Folletti in
generale. Il suo nome compare spesso negli antichi poemi Gallesi.
Un vecchio bardo del XIV secolo che, portato via dalle Fate, cadde
in una torbiera su una montagna in una notte oscura, la chiamò “il
laghetto dei pesci di Gwyn ap Nudd, un palazzo per i Folletti e la
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loro tribù”. L‟associazione di questa figura leggendaria con la fama
di essere fatata della Valle di Neath apparirà quando diremo che
Nudd in Gallese si pronuncia semplicemente Neath e non altrimenti.
In quanto alla regina delle Fate, essa non sembra esistere tra i Folletti
della Cambria. Gli etimologi locali, tuttavia, pensano che Morgana
derivi da Mor Gwyn, la fanciulla bianca, ed il giusto nome Gallese
Morgan difficilmente si può non collegare, anche se non
necessariamente è significativo.
La leggenda di San Collen in cui appare Gwyn ap Nudd lo
rappresenta come il re di Annwn (l‟aldilà o la terra delle ombre), così
come re delle Fate. (Greal, 8vo, Londra, 1805, pag. 337) Collen
stava scontando un periodo di mortificazione come eremita in una
cella di pietra su una montagna. Un giorno udì due uomini che
parlavano di Gwyn ap Nudd e gli attribuivano una personalità
doppiamente regale. Collen gridò a quegli uomini di andarsene e di
trattenere la lingua, invece di parlare di diavoli. Per questo Collen
venne rimproverato, in quanto al re della terra delle Fate non piacque
quel linguaggio. Il santo venne convocato ad un in contro con il re
sulla cima della collina di sera e, dopo ripetuti rifiuti, finalmente egli
vi andò ma portò con sé una fiasca di acqua santa. “E, quando egli vi
giunse, vide il più bel castello che avesse mai visto ed intorno ad
esso le truppe meglio nominate e moltissimi menestrelli ed ogni
genere di musica di voce e corda e destrieri con dei giovani in
groppa, i più avvenenti del mondo, e fanciulle dall‟aspetto elegante,
vivace, dal passo leggero, di graziose sembianze e nel fiore della
giovinezza; ed ogni magnificenza che si confà alla corte di un
potente sovrano. Ed egli scorse un uomo cortese sulla cima del
castello che lo invitò ad entrare, dicendo che il re lo stava aspettando
per cenare con lui. E Collen entrò nel castello e vi trovò il re seduto
su una sedia d‟oro. Ed egli diede il benvenuto a Collen
onorevolmente e desiderò che mangiasse, assicurandolo che, oltre a
quanto egli aveva visto, avrebbe avuto il meglio di ogni leccornia e
delicatezza che la mente poteva desiderare e gli sarebbe stata servita
ogni bevanda ed ogni liquore che il cuore potesse desiderare; e che
sarebbe stato pronto per lui ogni lusso di cortesia e servizio, di
banchetto e di onorevole divertimento, di rango e di doni ed ogni
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rispetto e benvenuto ad un uomo della sua saggezza.
“Non mangerò le foglie degli alberi”, disse Collen.
“Avete mai visto uomini con un equipaggiamento migliore di questi
in rosso e blu?” chiese il re.
“Il loro equipaggiamento è abbastanza buono,” disse Collen “per
quello che è.”
“Di che genere di equipaggiamento si tratta?” disse il re.
Allora Collen disse: “Il rosso da una parte significa incendio ed il blu
dall‟altra significa gelo.”
E, così detto, Collen tirò fuori la sua fiasca e gettò l‟acqua santa sulle
loro teste ed essi svanirono alla sua vista, così che non vi fu né
castello né truppe, né uomini né fanciulle, né musica né canto, né
cavalcature né giovani, né banchetto né l‟apparenza di alcuna cosa di
alcun genere se non i verdi poggi.”
Una terza forma di credenza popolare nel Galles riguardante la
collocazione della terra delle Fate corrisponde all‟Avalon delle
leggende arturiane. I verdi prati del mare, chiamati nelle triadi
Gwerddonau Lion, sono le
Green fairy islands, reposing,
In sunlight and beauty on Ocean's calm breast.
Parry, Welsh Melodies
“Verdi isole fatate, che riposano
Alla luce del Sole e nella bellezza del calmo seno dell‟oceano.”
In merito a queste isole sopravvivono molte straordinarie credenze.
Si credeva che fossero la dimora delle anime di certi Druidi che, non
abbastanza santi per entrare nel paradiso dei cristiani, non erano
tuttavia abbastanza malvagi da essere condannati alle torture degli
inferi e così veniva accordato loro un posto in questa romantica sorta
di purgatorio paradisiaco. Nel V secolo il re inglese Gavran
intraprese un viaggio alla ricerca di questa isole incantate; salpò con
la sua famiglia verso acque sconosciute e non se ne seppe mai più
nulla. Questo viaggio viene commemorato nelle triadi come una
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delle Tre Perdite per Scomparsa - le altre due sono quella di Merlino
e quella di Madog. Merlino salpò in una nave di vetro, Madog salpò
in cerca dell‟America e non ritornò mai più, così scomparvero
entrambi per sempre.
Nel Pembrokeshire e nel Carmartenshire del sud si ritrovano tracce
di questa credenza. Vi sono dei marinai di quella romantica costa che
parlano ancora dei verdi prati dell‟incanto che giacciono nel canale
irlandese verso ovest del Pembrokeshire. Talvolta essi sono visibili
agli occhi dei mortali per un breve istante, quindi svaniscono
improvvisamente. Vi sono tradizioni che narrano di marinai che,
nella prima parte del secolo attuale, sarebbero realmente sbarcati
sulle isole fatate non sapendo che lo fossero, ritornarono alle loro
imbarcazioni e si riempirono di meraviglia nel vedere le isole
scomparire dalla loro vista pur non immergendosi nel mare né
galleggiando via sulle acque. Si dice che le Fate che abitano queste
isole andassero regolarmente ai mercati di Milford Haven e di
Laugharne. Facevano i loro acquisti senza parlare, lasciavano il
denaro e se ne andavano, lasciando sempre la somma esatta richiesta,
che essi sembravano conoscere senza chiedere il prezzo di nulla.
Talvolta erano invisibili ma spesso venivano viste da coloro che
avevano la vista acuta. A Milford Haven vi era un particolare
macellaio cui le Fate concedevano la frequentazione invece di
distribuire indiscriminatamente i loro favori. La gente di Milford
Haven poteva vedere le verdi isole fatate distintamente a breve
distanza dalla terra; e la credenza generale era che esse fossero
densamente abitate da Fate. Si diceva anche che queste ultime
andassero avanti e indietro tra le isole e la riva tramite una galleria
sotterranea situata sotto il mare.
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Quel promontorio isolato che forma la contea di Pembroke veniva
considerato una terra di mistero dal resto del Galles da ben prima che
vi si insediassero i Fiamminghi nel 1113. Si credeva che un velo
segreto coprisse questo promontorio cinto da mare; gli abitanti
parlavano un gergo incomprensibile che non era né Inglese né
Francese né Gallese e dalla sua oscurità nebbiosa giungevano storie
meravigliose e racconti di miracoli incredibili. Il mito ed il
cristianesimo parlavano assieme da questo strano paese e non si
poteva dire quale dei due fosse più sbalorditivo, se il pagano o il
prete.
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II
Classificazione delle Fate Gallesi
Designazione generale - Usanze dei Tylwyth Teg - Gli Ellyllon, o
Elfi - L’uso di Shakespeare del folklore gallese - Rwli Puh e
l’Ellyll - Radici delle storie di famiglia - Gli Ellylldan - I Pooka -
Puck Valley, Breconshire - Dove Shakespeare prese il suo Puck -
Pwca ‘r Tran - La forma comune delle storie sui Pooka -
Coblynau o le Fate delle miniere - I Knockers (Picchiatori) -
Credenze dei minatori - I basilischi e gli spiriti del fuoco - Una
miniera di carbone fatata - I Nani di Cae Caled - Le controparti
dei Coblynau - Il Bwbach, o Fata della Casa - La leggenda del
Bwbach e del predicatore - Bogies ed Hobgoblin - Trasportare i
mortali per aria - Controparti ed originali
Essendo le Fate creature dell‟immaginazione, non è possibile
classificarle con regole fisse ed immutabili. Nelle scienze esatte vi
sono leggi che non variano mai o, se variano, la loro stessa
eccentricità è governata da regole precise. Anche nel senso più
ampio, la mitologia comparativa deve sminuire se stessa
modestamente per essere tollerata nella severa compagnia delle
scienze. Nel presentare i suoi soggetti, pertanto, lo scrittore deve in
questo contesto trattenersi allo scopo di dare una sistemazione
ordinata. Assicurare il massimo della sistematicità, allo scopo di
aiutare lo studioso che impiega l‟opera come riferimento e paragone,
con il minimo di monotonia per il lettore generico, è forse il limite di
una ambizione ragionevole. Keightley (Fairy Mithology, Edizioni
Bolm, 78) divide in quattro classi gli elementi scandinavi della
credenza popolare per quanto riguarda le Fate:
1. gli Elfi;
2. i Nani (Dwarfs) o Troll;
3. i Nis (plurale Nisses); e
4. i Necks, i Tritoni e le Sirene.
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Quanto sia interamente arbitraria questa divisione è facile per uno
studioso di folklore scandinavo intuirlo. Tuttavia, è una divisione
soddisfacente quanto un‟altra. Le Fate del Galles si possono dividere
in cinque classi, se non si considera troppo insistente l‟analogia.
Abbiamo così:
1. gli Ellyllon, o Elfi;
2. i Coblynau, o Fate delle miniere;
3. i Bwbachod, o Fate delle case;
4. le Gwragged Annwn, o Fate dei laghi e dei corsi d‟acqua; e
5. i Gwyllion, o Fate delle montagne.
Il nome gallese moderno per le Fate è y Tylwyth Teg, il popolo fatato
o la famiglia fatata. Talvolta questo nome viene allungato in y
Tylwyth Teg yn y Coed, la famiglia fatata del bosco o Tylwyth Teg y
Mwn, il popolo fatato della miniera. Vengono visti danzare nelle
notti di Luna piena sull‟erba vellutata, vestiti con abiti aerei e
fluttuanti di colore blu, verde, bianco o scarlatto - i dettagli in merito
al colore non si ritrovano comunemente nei racconti di Fate, penso.
Si dice che esse concedano benedizioni a quei mortali che scelgono
per essere in tal modo favoriti e quindi vengono chiamate Bendith y
Mamau, o benedizione della loro madre - come a dire buoni bambini
piccoli che è un piacere conoscere. Chiamare con epiteti aspri le Fate
significa invocare nella loro collera; parlare di loro con espressioni
lusinghiere significa propiziarsi i loro buoni uffici. Lo studioso di
mitologia fatata percepisce in questo modo di parlare propiziatorio
un fatto dal profondo significato. Questa usanza si può rintracciare in
innumerevoli terre fin dall‟inizio della storia umana tra le vette
nuvolose dell‟Asia centrale. I Greci parlano delle Furie come le
Eumenidi, o “le graziose”; gli abitanti delle montagne scozzesi citati
da Sir Walter Scott per scoprirli li chiamano “le forche gentili”, i
Daiaki non chiamano con un nome il vaiolo ma lo chiamano “il
capo”, i Lapponi chiamano l‟orso “il vecchio uomo con la pelliccia”;
ad Ammam la tigre viene chiamata “nonno” e si pensa che il motto
“parla solo bene dei morti” provenga in origine dalla nozione di
propiziarsi i fantasmi dei morti (John Fiske, Myths and Myth-maser,
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22) i quali, nell‟abbandonare le loro spoglie mortali, vengono dotati
di nuovi poteri per fare del male ai loro conoscenti in vita.
Gli Ellyllon sono i piccoli Elfi che vivono nei boschi e nelle valli e
corrispondono abbastanza agli Elfi inglesi. Il nome inglese (Elf,
plurale Elves) probabilmente deriva dal Gallese el, spirito, o elf,
elemento; c‟è un intero gruppo di parole di questa classe nella lingua
gallese che esprime tutte le varietà del fluire, volare, spiritualità,
diavoleria, angelicità e “follettismo”. Ellyllon (plurale di Ellyll) è
anche indubbiamente imparentato all‟ebraico Elilim, avendo in
comune con esso origine e significato (Pughe, Welsh Dictionary,
Denbigh, 1866). Il poeta Davydd ab Gwilym, in un divertente
racconto dei suoi guai nella nebbia nell‟anno 1340, dice:
Yr ydoedd ym mhob gobant
Ellyllon mingeimion gant.
“Vi era in ogni cavità
un centinaio di Elfi dalla bocca storta.”
Le cavità sono tuttora i luoghi in cui i contadini che fanno tardi a
tornare a casa dal mercato o dalla fiera cercano gli Ellyllon senza
trovarli. Nel folklore gallese si specifica che il loro cibo consiste nel
burro fatato ed in vettovaglie fatate, ymenyn tylwyth teg e bwyd
ellyllon, essendo quest‟ultimo un fungo velenoso ed il primo una
sostanza somigliante a burro che si trova a grande profondità nei
crepacci di pietra calcarea, affondate nel minerale di piombo. I loro
guanti, menyg ellyllon, sono i fiori della digitale, le foglie della quale
sono ben note come forte sedativo. La loro regina - perché, anche se
non vi è una regina delle Fate nel senso in cui Gwynn ap Nudd è re
delle Fate ma vi è una regina degli Elfi - non è altri che la Fata di cui
parla lo shakespeariano Mercutio, che giunge
in una forma non più grande di una pietra di agata
al dito indice di un vecchio
(Romeo e Giulietta, Atto II, scena 4)
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Si dovrebbe notare l‟uso estensivo e particolarmente fedele che
Shakespeare fa del folklore gallese. Keightley, nel suo Fairy
Mithology, giudica aspramente il bardo per il suo inaccurato delle
credenze inglesi sulle Fate, ma questo rimprovero non si applica per
quanto riguarda il Galles. Dai suoi informatori gallesi Shakespeare
ha avuto Mab, che è semplicemente la parola cimrica che indica un
bambino piccolo e la radice di innumerevoli parole che significano
puerile, infantile, amore per i bambini (mabgar), gattino (mabgath),
blaterare (mabiaith) e simili, il più notevole dei quali è in questa
connessione mabinogi, il singolare di Mabinogion, le storie
romantiche di magia raccontate ai giovani nelle epoche antiche.
Nello Huntsman‟s Rest Inn a Peterstone-super.Ely, vicino a Cardiff,
sedeva una sera un gruppo di gente umile; ebbi l‟occasione di
fermarmici a riposare vicino al camino dopo una lunga camminata
attraverso stradine verdi di campagna. Gli uomini stavano bevendo i
loro boccali di birra e fumando le loro lunghe pipe di argilla e
parlavano dei loro cani e dei loro cavalli, del raccolto, di tempi
difficili e della prospettiva di miglioramento data dall‟emigrazione in
America. Su quest‟ultimo argomento ero in grado di rendermi
interessante, pertanto facemmo facilmente conoscenza e amicizia.
Portai la conversazione nel dominio del folklore e questo libro è più
ricco di illustrazioni su varie pagine in conseguenza di questo. Tra le
altre storie, mi venne raccontata questa:
In una certa fattoria del Glamorganshire viveva Rowli Pugh, che era
universalmente noto per la sua sfortuna. Nulla di quello su cui
metteva le mani prosperava; i suoi raccolti crescevano scarsi,
nonostante quelli dei vicini fossero buoni; il suo tetto faceva acqua
nonostante tutte le sue riparazioni; i suoi muri rimanevano umidi
laddove quelli di tutti gli altri erano asciutti e, soprattutto, sua moglie
era così fragile da non potere fare alcun lavoro. La sua sorte gli
sembrò infine così dura che egli decise di vedere tutto e sloggiare,
non importa a quale prezzo, e cercare di migliorare in un altro paese -
non andando in America, perché in quei giorni non vi era nessuna
19
America. Beh, e se anche ci fosse stata il povero Gallese non lo
sapeva. Così un giorno, mentre Rowli sedeva vicino alla sua villetta
sul muretto meditando sulla sua triste sorte, venne avvicinato da un
piccolo uomo che gli chiese che problema avesse. Rowli si guardò
attorno sorpreso ma, prima che potesse rispondere, l‟Ellyll gli disse
con un sogghigno:
“Qui, qui, trattieni la lingua. So di te molto di più di quanto tu abbia
mai sognato di sapere. Tu sei nei guai e stai per andartene. Ma puoi
rimanere, ora che ho parlato con te. Solo fai in modo che la tua
buona moglie lasci ardere la candela quando va a letto e non dire
altro in merito.”
Detto questo, l‟Ellyll diede un colpo di tallone e scomparve.
Naturalmente, il contadino fece quanto richiesto e da quel giorno
prosperò. Ogni notte Catti Jones, sua moglie (fino a poco tempo fa le
donne gallesi conservavano il cognome da nubile anche dopo il
matrimonio), poneva fuori la candela, spazzava il focolare ed andava
a letto; ed ogni notte le Fate venivano e facevano i mestieri al suo
posto: cucinavano, preparavano la birra, lavavano e cucivano,
talvolta fornendo persino il proprio materiale ed usando i propri
strumenti di lavoro. Il padrone di casa aveva ora sempre biancheria
pulita e vestiva bene, aveva buon pane e buona birra. Si sentiva un
uomo nuovo e lavorava come tale. Tutto prosperava come non aveva
mai fatto prima. I suoi raccolti erano buoni, i granai puliti, il
bestiame lisciato, i maiali i più grassi della zona.
Questo stato di cose andò avanti per tre anni. Una notte Catti Jones si
mise in testa di dare una sbirciata alla famiglia fatata che faceva tutto
il lavoro al suo posto; la curiosità ebbe la meglio sulla prudenza - ella
si alzò mentre Rowli Pugh stava russando e sbirciò attraverso una
fessura nella porta. Loro erano là, una allegra compagnia di Ellyllon;
stavano lavorando come matti e ridevano e danzavano altrettanto
pazzamente mentre lavoravano. Catti era così divertita che non seppe
trattenersi e scoppiò a ridere; ed al suono della sua voce gli Ellyllon
si dispersero come nebbia davanti al vento, lasciando la stanza vuota.
Non tornarono mai più ma il contadino ora era ricco e la sua
malasorte non tornò mai più a tormentarlo.
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21
La somiglianza di questa storia alle molte incontrate verrà
certamente notata dallo studioso di folklore comparato. Egli
osserverà anche che sconfina nel dominio di un‟altra classe di cui fa
parte la mia classifica - quella dei Bwbach, le Fate della casa. Questa
è la pietra su cui si inciampa sempre in questo campo di ricerca
scientifica. L‟idea di Mr. Baring-Gould che tutte le storie famigliari
siano riconducibili ad una radice primeva (allo stesso modo o in
maniera simile al potere rintracciare le radici delle parole), pur molto
ingegnosamente illustrata da lui, si ritrova costantemente in difficoltà
del tipo menzionato. Egli incontra l‟ostacolo che giace sulla strada di
tutti coloro che percorrono questa via. Le sue radici si intersecano
talvolta inestricabilmente tra loro. Ma uno sforzo in questa direzione
è indispensabile e noi dobbiamo fare del nostro meglio con il
materiale che abbiamo. Storie della classe delle Witchelmänner
(Kinder und Hausmärchen) di Grimm vengono richiamate alla
memoria dalla leggenda di Rowli Pugh qui narrata. Gli Hausmänner
tedeschi sono Elfi di tipo domestico, talvolta malevoli e talvolta utili,
ma solitamente in cerca di qualche ricompensa materiale per il loro
lavoro. Così anche il folletto inglese citato da Milton in “L‟Allegro”,
che sgobba
per guadagnarsi la sua ciotola di panna debitamente datagli
L‟Ellylldan è una specie di Elfo che corrisponde esattamente
all‟Inglese Will-o‟-the-wisp, allo Scandinavo Lyktgubhe ed al
Bretone Sand Yan y Tad. La parola gallese dan significa “fuoco” ma
anche “esca”; la parola composta suggerisce un fuoco elfico che
attrae come un‟esca. Il Bretone Sand Yan y Tad (St. John e padre -
Keightley, Fairy Mythology, 441) è un doppio fuoco fatuo (ignis
fatuus), una Fata che sulla punta delle dita ha cinque luci che girano
in cerchio come una ruota.
Come tutti i folletti di questa classe, l‟Ellylldan veniva naturalmente
visto danzare nei terreni paludosi, dentro cui conduceva i viaggiatori
che si attardavano; ma, come un illustre residente del Galles ha
argutamente detto, “il povero Elfo ora fa la fame ed il suo respiro gli
viene tolto; la sua luce viene spenta per sempre dal contadino che,
22
per migliorare, ha drenato la palude. E, invece della vegetazione
puzzolente in disfacimento in autunno, dove i tarabusi ed i
beccaccini si deliziavano a nascondersi, raccolti di grano e patate vi
crescono. (On, W. O, Stanley, M.P., in Notes and Queries).
Un racconto poetico scritto da una figura moderna, chiamata Iola il
Bardo, è così condensata:
“Una notte, quando la Luna era calata, mentre sedevo sulla cima di
una collina passò di lì l‟Ellylldan. Lo seguii nella valle.
Attraversammo sciabordii di acqua sopra cui occhieggiavano le cime
dei giunchi di palude e dove le lucertole giacciono silenziosamente
sulla superficie, guardandoci con sguardo immobile. Le rane
sedevano gracidando e dilatando i fianchi ma cessarono quando
elevarono uno sguardo malinconico sull‟Ellylldan. Gli uccelli
selvatici, che dormivano con la testa sotto le ali, emisero un basso
schiamazzo mentre ci avvicinavamo. Un tarabuso si destò ed emise
un grido nell‟aria. Io percepivo le tracce delle anguille e delle
sanguisughe spuntare in giro, mentre procedevo a stento attraverso
gli specchi d‟acqua. Su una pietra melmosa sedeva un rospo,
succhiando veleno dall‟aria notturna. L‟Ellylldan ardeva
coraggiosamente nei vapori soporiferi. Si innalzava spensieratamente
sopra i cespugli che si piegavano nel pantano. Quando esitavo o mi
fermavo, egli mi aspettava ma si rimpiccioliva gradualmente fino a
divenire una macchietta percepibile a stento. Ma, non appena
avanzavo nuovamente, lui cresceva improvvisamente e splendeva
come prima. Un pipistrello cominciò a volarci intorno, battendo le ali
pesantemente. Le civette ci guardavano in silenzio con i loro grandi
occhi. Le lumache ed i serpenti strisciavano intorno a noi. I leggeri
fili della tela di un ragno luccicavano alla luce dell‟Ellylldan.
Improvvisamente egli si allontanò da me velocemente e lontano si
unì ad un cerchio di suoi pari, che danzavano lentamente in cerchio
in una danza di folletti, cosa che mi fece dormire.” (The Vale of
Glamorgan, Londra, 1839)
Pwca, o Pooka, è semplicemente un altro nome dell‟Ellylldan, così
come il nostro Puck è un altro nome per indicare il “ll-o‟-the-wisp;
ma in entrambi i casi il termine più corto ha un sapore più poetico ed
23
un‟ampiezza maggiore. Il nome Puck veniva originariamente
applicato all‟intera razza delle Fate inglesi e pochi tra gli
appartenenti a quel reame godono tuttora di una più vasta popolarità
del Puck, nonostante i suoi attributi maligni. Parte di questa
popolarità è dovuta ai poeti, specialmente a Shakespeare. Ho fatto
cenno alla conoscenza accurata che il bardo aveva del folklore
gallese; la materia è indubbiamente di un interesse unico, se si
guarda l‟inaccuratezza di cui è stato accusato in merito alla terra
delle Fate inglesi. Vi è una tradizione gallese secondo la quale
Shakespeare ricevette la propria conoscenza delle Fate della Cambria
dal suo amico Richard Price, figlio di Sir John Price del priorato di
Brecon. Si è anche sostenuto che Cwm Pwca, o la Valle del Pwca,
parte di una romantica valletta nel Clydach, Breconshire, sia il luogo
originale del “Midsummer Night‟s Dream” - una fantasia lieve ed
aerea come lo stesso Puck.
Secondo una lettera scritta dal poeta Campbell a Mrs. Fletcher nel
1833 e pubblicata nella sua autobiografia, si pensava che
Shakespeare fosse andato a vedere di persona questa magica valle.
“Non più tardi di ieri”, scrisse Campbell, “ho scoperto la probabilità
- quasi una certezza - che Shakespeare sia andato a trovare degli
amici in quella stessa città (Brecon, in Galles) dove è nata Mrs.
Siddons e che là abbia trovato, in una vicina valletta chiamata “la
Valle della Fata Puck” il principale impianto del suo „Midsummer
Night‟s Dream‟.”
Comunque sia, Cwm Pwca - e nell‟epoca silvana prima che le opere
in ferro di Frere e Powell vi fossero innalzate sii dice sia stata - tanto
piena di folletti quanto la testa di un metodista lo è di pietà. Ed in
Galles vi sono altri luoghi che hanno nomi simili, dove i vecchi
abitanti si ricordano gli scherzi maligni dei Pwca. La gamma della
fantasia popolare in Galles viene espressa fedelmente nelle parole
che Shakespeare mette in bocca al Puck:
I'll follow you, I'll lead you about a round,
Through bog, through bush, through brake through brier,
Sometime a horse I'll be, sometime a hound,
A hog, a headless bear, sometime a fire;
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And neigh, and bark, and grunt, and roar, and burn,
Like horse, hound, hog, bear, fire, at every turn
(Midsummer Night's Dream, atto III., scena 3)
“Ti seguirò, ti porterò in giro,
attraverso la palude, attraverso il cespuglio, attraverso la boscaglia,
attraverso lo spineto,
talvolta un cavallo sarò, talvolta un cane,
un maiale, un orso senza testa, talvolta un fuoco;
e nitrirò, ed abbaierò, e grugnirò, e ruggirò, e brucerò,
come cavallo, cane, maiale, orso, fuoco ad ogni giro.”
Le varie storie in cui mi sono imbattuto recano in sé questi dettagli
pressoché invariabilmente.
Nel suo giusto carattere, tuttavia, Pwca ha un aspetto elfico
abbastanza grottesco. Si narra che un contadino gallese a cui fu
chiesto di dare un‟idea dell‟aspetto del Pwca disegnò con un pezzo di
carbone l‟immagine che segue.
25
Una serva che badava al bestiame alla fattoria di Trwyn, vicino ad
Abergwyddon, era solita portare cibo a “Padron Pwca”, come
chiamava l‟Elfo. Una ciotola di latte fresco ed un pezzo di pane
bianco erano i componenti del pasto del folletto e venivano posti in
un certo luogo dove lui li prendeva. Una notte la fanciulla, mossa da
uno spirito di malizia, bevve il latte e mangiò la maggior parte del
pane, lasciando per Padron Pwca solo acqua e croste. La mattina
seguente ella vide che l‟esigente folletto aveva lasciato il cibo
intonso. Non molto tempo dopo, mentre la ragazza stava
attraversando il luogo solitario dove finora aveva lasciato al Pwca il
suo cibo, venne presa sotto il braccio da mani di carne (che tuttavia
non poteva vedere) e soggetta ad una punizione del tipo più
mortificante. Simultaneamente, le sue orecchie udirono in un buon
Gallese un avvertimento a non ripetere la sua offesa, altrimenti
avrebbe subito un trattamento peggiore. Questa storia “si crede
completamente ancora oggi”. (ArchaeoIogia Cambrensis, 4th Se.,
vi., 175 - 1875)
Sono andato a vedere il teatro di questa storia, una fattoria vicino ad
Abergwyddon (ora chiamata Abercarne) ed ho sentito molto parlare
delle imprese di quel particolare Pwca, cui farò ancora riferimento. Il
fatto più singolare di questa storia è che, nonostante sia trascorso
almeno un secolo - ed alcuni dicono diversi secoli - dalla faccenda in
questione, non troverete un solo contadino gallese dei dintorni che
non conosca tutto su Pwca'r Trwyn.
La forma più comune delle storie sui Pwca è quella che ho incontrato
in diverse località; essa varia nei dettagli del racconto così poco che i
racconti stessi potrebbero essere intercambiabili tra loro alterando
solo i nomi dei luoghi.
Questa forma presenta un contadino che sta ritornando a casa dal
lavoro o da una fiera, quando vede una luce che viaggia davanti a lui.
Guardando più da vicino, egli intravede che viene portata da una
piccola figura tetra, che ha in mano una lanterna o una candela sulla
testa alla distanza di un braccio.
Egli segue la figura per diverse miglia quando, improvvisamente, si
ritrova sul ciglio di un terribile precipizio. Da molto più in basso
26
sente giungere al suo orecchio il suono di un torrente impetuoso.
Nello stesso momento, il piccolo folletto con la lanterna balza
dall‟altra parte della voragine, atterrando sul lato opposto; alza
nuovamente la luce sulla testa, emette una risata breve e malevola,
spegne la candela e scompare sulla collina di fronte, lasciando
l‟attonito contadino ritornare a casa come può.
Sotto il titolo generale di Coblynau io classifico le Fate che
frequentano le miniere, le cave e le zone sotterranee del Galles,
corrispondenti agli gnomi cabalistici. La parola “colon” ha il doppio
significato di “picchiatore” e “spirito” o “spirito maligno”; e non
potrebbe essere l‟originale di “goblin” (folletto)? Questo nome viene
applicato dai minatori gallesi alle piccole Fate che dimorano nelle
miniere ed indicano, grazie ad un picchiettare o ad un bussare
caratteristico, le vene ricche di minerale. Questa credenza si estende
in alcune zone tanto da includere l‟indicazione in generale di tesori
sotterranei, in caverne e luoghi segreti sulle montagne. I Coblynau
vengono descritti come alti circa 45 centimetri e molto brutti a
vedersi, ma di carattere estremamente buono e cari amici dei
minatori. I loro abiti sono una grottesca imitazione delle divise dei
minatori ed essi portano dei piccoli martelli, picconi e lampade.
Lavorano alacremente, caricando il minerale in dei secchi, passando
velocemente tra le aste, usando piccoli argani e martellando come
matti ma non realizzando praticamente nulla. Sono noti per gettare
pietre ai minatori quando si arrabbiano perché questo ultimi parlano
di loro con leggerezza; ma le pietre non fanno male. Tuttavia, tutti i
minatori intelligenti evitano di provocarli, perché la loro presenza
porta fortuna.
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28
I minatori non sono probabilmente più superstiziosi di altri uomini di
eguale intelligenza; ho udito alcuni tra loro respingere con
indignazione l‟idea che essi siano in alcun modo superstiziosi ma
questo vorrebbe semplicemente dire elevarli al di sopra della nostra
comune umanità. Vi sono abbastanza testimonianze per sostenere le
mie conclusioni nell‟accreditare una buona dose di credulità alla
categoria dei minatori. Poco tempo fa, l‟Oswestry Advertiser riportò
il fatto che a Cefn “una donna viene utilizzata come messaggero in
una delle miniere di carbone ed ogni mattina presto, quando
comincia i suoi doveri, ella incontra moltissimi minatori che vanno al
lavoro. Alcuni di essi, ci è stato assicurato con serietà, considerano di
cattivo presagio incontrare una donna come prima cosa al mattino e,
non avendo avuto successo nel rimuoverla dal suo impiego con altri
mezzi, essi hanno atteso il principale ed hanno dichiarato che
sarebbero rimasti a casa fin quando la donna non fosse stata
licenziata.” Questo accadde nel 1874. Nel giugno 1878 il South
Wales Daily News riportò una superstizione dei cavapietre di
Penrhyn, dove alcune migliaia di uomini rifiutarono di lavorare il
giorno dell‟Ascensione. “Il loro rifiuto non era dovuto ad alcun
sentimento di riverenza ma ad una antica e ben diffusa superstizione
che permaneva da anni in quella zona e cioè che se il lavoro avesse
continuato il giorno dell‟Ascensione sarebbe certamente seguito un
incidente. Alcuni anni or sono, i principali convinsero gli uomini a
sfondare questa superstizione e vi furono incidenti ogni anno - un
caso non improbabile, visto il tipo di lavoro e la natura pericolosa
dell‟occupazione di quegli uomini. Quest‟anno, tuttavia, tutti gli
uomini hanno rifiutato di lavorare.” Questi sono esempi che
riguardano un numero considerevole di lavoratori delle miniere e li
cito in quanto sono molto più significativi di quanto non sarebbero
casi individuali.
E di questi ultimi ne ho incontrati molti. Mi dispiacerebbe che
qualche lettore concludesse da tutto ciò che i minatori gallesi non
siano tra le persone più intelligenti al mondo. Sono semplicemente
oltre il comune. Pertanto le loro superstizioni, come quelle del resto
di noi, devono essere giudicate come una “cosa a se stante”, da non
confondere con l‟intelligenza o l‟educazione ma coesistente con esse.
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L‟assoluta libertà dalla superstizione può aversi solo con un grado di
cultura scientifica non ancora raggiunto da uomo mortale.
Difficilmente stupirà sapere che il minatore è superstizioso, passando
la sua vita in una zona oscura e tenebrosa, diverse braccia sotto la
verde superficie della terra, circondato da muri su cui fioche lampade
spargono una luce irregolare. Non sorprende che l‟immaginazione (e
quella gallese è particolarmente vivida) evochi i volti e le forme di
gnomi e Coblynau, di fantasmi e uomini fatati. Quando essi odono il
misterioso bussare che sanno non essere prodotto da essere umano e
quando, esaminando il luogo in cui viene udito il suono, vi trovano
indicazioni preziose di minerale, anche l‟incredulità più ostinata
viene talvolta scossa. La scienza sostiene che il rumore potrebbe
essere prodotto dall‟azione dell‟acqua sulle pietre lisce in crepe e
buche nel calcare della montagna e suggerisce veramente la presenza
di metalli.
Nei tempi andati, un tal Priestley catturò ed imbottigliò quel demone
che esiste sotto forma di gas acido carbonico; quando il minatore
venne colpito a morte da un nemico invisibile nelle viscere profonde
della terra, fu naturale che i suoi attoniti compagni ascrivessero il
misterioso colpo ad un nemico sovrannaturale. Quando l‟operaio
venne assalito da quello che oggi chiamiamo grisou, che gettò lui ed
i suoi compagni a destra ed a sinistra sulle rocce scure scottando,
bruciando ed uccidendo, coloro che sopravvissero non erano inclini a
porre in discussione l‟esistenza del demone della miniera e da qui
nacque la superstizione - ora probabilmente pressoché estinta - dei
basilischi nelle miniere, che distruggevano con il loro terribile
sguardo. Quando giunse la spiegazione, che la cosa che aveva ucciso
il minatore era ciò che aveva respirato, non quello che aveva visto, e
quando la chimica tolse il grisou dal regno delle Fate, il basilisco ed
il demone del fuoco non ebbero più una gamba su cui reggersi. La
spiegazione dei Knockers è più recente e meno tangibile e
convincente.
Ai Coblynau l‟immaginario popolare dà sempre la forma di nani;
dovunque vengano visti o uditi, si crede siano fuggiti dalle miniere o
dalle regioni segrete sui monti. Le loro case sono nascoste alla vista
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dei mortali. Quando li si è incontrati, sia nelle miniere che sui monti,
è perché si erano allontanati dalle loro speciali dimore, che sono
spettrali come loro. Vi è almeno un racconto tuttora esistente su un
loro territorio segreto rivelato ad occhi mortali. Si trova in un
volumetto (di cui potrei dire molto altro) stampato a Newport,
Monmouthshire, nel 1813 (A Relation of Apparitions of Spirits in the
County of Monmouth and the Principality of Wales del Rev. Edmund
Jones of the Tranch, Newport, 1813). In esso si riferisce che un tal
William Evans, di Hafodafel, mentre attraversava al mattino presto la
Beacon Mountain oltrepassò una miniera di carbone fatata dove le
Fate erano impegnate a lavorare. Alcune stavano tagliando il
carbone, altre lo portavano e ne riempivano i sacchi, alcune ancora
alzavano quei pesi sulle groppe di cavalli e così via, ma tutto nel
silenzio più totale. Egli pensò che si trattasse di “una cosa
straordinariamente sovrannaturale” e ne rimase molto impressionato,
perché sapeva bene che in realtà in quel luogo non vi era alcuna
miniera di carbone. Egli era una persona di indubbia veridicità ed
inoltre “un grande uomo nel mondo - al di sopra della menzogna”.
Che i Coblynau talvolta vagassero lontani da casa viene testimoniato
dallo stesso cronista ma, in queste occasioni, essi erano in vacanza.
Egbert Williams, “un pio giovane gentiluomo del Denbingshire, a
quell‟epoca a scuola” stava un giorno giocando in un campo
chiamato Cae Caled, nei dintorni di Bodfari, con tre ragazze, una
delle quali era sua sorella. Accanto alla scaletta oltre Lanelwyd
House essi videro una compagnia di quindici o sedici Coblynau
impegnati in una folle danza. Essi erano al centro del campo, a circa
70 iarde dagli spettatori, e danzavano in una maniera simile ai
danzatori di Morris ma con ferocia e rapidità nei movimenti. Erano
vestiti di rosso come i soldati inglesi ed al collo indossavano
fazzoletti rossi macchiati di giallo. E lo strano era che erano grandi
quasi come uomini comuni, tuttavia avevano un indubitabile aspetto
da nani ed uno non poteva chiamarli in altro modo che nani. Uno di
loro lasciò la compagnia e corse verso il gruppo accanto alla scaletta,
che ne fu spaventato e tutti i suoi componenti scapparono impauriti
oltre la scaletta. Barbara Jones scappò per prima, quindi sua sorella e,
mentre Egbert Williams stava aiutando sua sorella a salire, videro il
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Coblyn vicino a loro ed a stento non svennero quando la sua mano
pelosa si posò sulla scaletta. Egli vi rimase appoggiato, guardandoli
mentre fuggivano con un‟espressione feroce sul volto color del rame
ed uno sguardo fiero. I giovani corsero a Lanelwyd House e
chiamarono fuori gli adulti ma, per quanto si affrettassero
velocemente verso il campo, i nani erano già scomparsi.
Nella maggior parte dei paesi che possiedono miniere si trovano
controparti dei Coblynau. In Germania i Wichtlein (piccoli Wights -
Esserini) sono piccoli uomini anziani con una lunga barba alti tre
quarti di un braccio ed abitano le miniere delle terre del sud. I Boemi
chiamano i Wichtlein con il nome di Haus-schmiedlein, piccoli
fabbri della casa, in quanto talvolta essi fanno un rumore come se
stessero svolgendo un duro lavoro su un‟incudine. Essi non sono
così popolari come in Galles, tuttavia, in quanto predicono sfortuna o
morte. Essi annunciano il destino di un minatore bussando
distintamente tre volte e, quando un male minore sta per accadergli,
si sentono scavare, martellare ed imitare altri tipi di lavoro.
“Anche in Germania i Koboldi sono per i minatori più molesti che
altro, in quanto si divertono a frustrarli ed a rendere il loro duro
lavoro infruttuoso. Talvolta sono puramente maligni, particolarmente
se ignorati o insultati, ma talvolta sono anche indulgenti nei confronti
di individui che prendono sotto la loro protezione. Quando perciò un
minatore trova una ricca vena di minerale, se ne conclude che non è
stato perché lui possedesse maggiori abilità, laboriosità o fortuna dei
suoi compagni di lavoro ma perché gli spiriti della miniera lo hanno
diretto al tesoro.” (Scott, Demonology and Witchcraft, 121)
L‟intimo collegamento tra le Fate delle miniere e la razza dei nani si
ritrova costantemente nella mitologia fatata; ed il collegamento dei
nani con le montagne è egualmente universale. “Dio”, dice la
prefazione del Heldenbuch, “ha dato origine ai nani perché la terra e
le montagne erano completamente sprecate ed incolte e vi erano
grandi quantità di argento ed oro e pietre preziose e perle immobili
nelle montagne.” Fin dai tempi più antichi e nei paesi più antichi fino
al giorno d‟oggi ed al nuovo mondo chiamato America, le tradizioni
sono rimaste le stesse. L‟antica credenza norvegese che aveva reso i
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nani l‟impianto attuale delle saghe nordiche ha la sua eco nelle
Catskill Mountains con il rombare del tuono tra i dirupi dove i nani
di Hendrik Hudson giocano a birilli.
Il Bwbach o Boobach è il folletto dal buon carattere che aiuta
l‟ordinata fanciulla gallese che conquista il suo favore grazie ad un
certo tipo di comportamento raccomandato da una lunga tradizione.
La fanciulla, spazzata la cucina, fa un bel fuoco come ultima cosa
prima di andare a letto e, avendo posto la zangola piena di panna sul
pavimento sbiancato della cucina con una bacinella di panna fresca
per il Bwbach sulla mensola, va a letto ad attendere l‟evento. Al
mattino ella trova (se è fortunata) che il Bwbach ha svuotato la
ciotola di panna e moltiplicato il contenuto della zangola così bene
che la fanciulla non ha altro da fare che dare uno o due colpetti per
raggrumare il burro per bene. Come l‟Ellyll, a cui somiglia
fortemente, il Bwbach non approva i dissidenti ed i loro modi di fare
e particolarmente forte è la sua avversione nei confronti degli astemi
totali.
Nel Cardiganshire vi era un Bwbach che apparteneva ad una certa
magione, il quale prese a detestare fortemente un predicatore battista
che era ospite della casa e che amava molto più le preghiere che una
buona birra. Ora, il Bwbach aveva un debole nei confronti delle
persone che sedevano intorno al focolare con le loro tazze di cwrw
da e le loro pipe e prese a tormentare il predicatore. Una notte spinse
via lo sgabello da sotto i gomiti del buon uomo mentre era
inginocchiato a pregare, così che cadde sulla faccia. Un‟altra volta
interruppe le devozioni facendo stridere gli alari del fuoco sul
pavimento e faceva continuamente ululare i cani durante le preghiere
o spaventava il ragazzo di fattoria sogghignando verso di lui
attraverso la finestra o facendo venire un colpo alla lavorante. Infine,
ebbe l‟audacia di attaccare il predicatore mentre stava attraversando
il campo. Il ministro raccontò la storia in questo modo:
“Stavo leggendo con impegno il mio innario mentre camminavo
quando improvvisamente provai paura e le mie gambe cominciarono
a tremare. Un‟ombra strisciava verso di me da dietro e, quando mi
voltai, ero io stesso! La mia persona, i miei abiti ed anche il mio
33
stesso innario. Lo guardai in faccia per un istante e caddi subito
svenuto a terra.” E là, ancora svenuto, venne ritrovato. Questo
incontro si dimostrò troppo per il buon uomo, che lo considerò un
avvertimento ad andarsene dalla zona. Pertanto montò sul suo
cavallo il giorno seguente e se ne andò. Un ragazzo dei dintorni, la
cui veridicità era, come quella di tutti i ragazzi, fuor di dubbio, disse
in seguito che vide il Bwbach saltare dietro al predicatore sulla
schiena del cavallo. Ed il cavallo andò come un fulmine, con gli
occhi come palle di fuoco, ed il predicatore si guardò dietro da sopra
la spalla e vide il Bwbach che ghignava da un orecchio all‟altro.
La stessa confusione nei contorni che esiste tra il nostro Bogie e
l‟Hobgoblin dà al Bwbach un carattere duplice, come Fata casalinga
e come fantasma terrificante. Finire nelle sue grinfie in certe
circostanze non è una questione da poco, perché egli ha il potere di
gettare la gente per aria. I suoi servigi sono richiesti a questo scopo
dai fantasmi in ambasce che non riescono a riposare a causa del
tesoro nascosto che vogliono venga trovato; e, se riescono a fare in
modo che un mortale li aiuti a rimuovere il tesoro, impiegano il
Bwbach per trasportare il mortale per aria.
Questa Fata viene rappresentata in Francia come gobelin. Le madri
minacciano i bambini con questa figura: “Le gobelin vous mangera,
le gobelin vous emportera.'“ (Père l'Abbé, Etymologie, 262).
Nell‟inglese hobgoblin abbiamo una parola apparentemente
derivante dal gallese hob, “saltare”, e coblyn, un folletto, che fa
venire in mente un folletto saltellante e suggerisce il Pwca (che con il
Bwbach viene anch‟egli talvolta confuso nell‟immaginario popolare)
ma che dovrebbe in inglese semplicemente significare il folletto della
mensola (hob) o la Fata della casa. Nel suo aspetto di spauracchio il
Bwbach, come il Bogie inglese, si crede essere identico allo slavo
“Bog” ed al “Baga” delle iscrizioni cuneiformi, entrambi i quali sono
nomi dell‟Essere Supremo, secondo il professor Fiske. “La forma
ancestrale di questi epiteti” di ritrova “nell‟antico ariano Bhaga, che
riappare immutato nel sanscrito dei Veda ed ha lasciato un ricordo di
sé nel soprannome dello Zeus frigio Bagaios.” Pare che in origine
abbia denotato sia il Sole senza nubi che il cielo di mezzogiorno
34
illuminato dai raggi solari.
“…Così, lo stesso nome che dal poeta vedico ai persiani al tempo di
Serse ed ai moderni russi suggerisce la suprema maestà della
Divinità, in inglese viene associato ad un brutto e ridicolo spiritello
maligno, molto simile al grottesco Diavolo del Nord a cui l‟abitante
del sud era incapace di pensare senza ridere.” (Fiske, Myths and
Myth-maser, 105)
35
III
Le Fate dei laghi
Le Gwragedd Annwn o Dame della Terra Elfica - San Patrizio
ed i Gallesi, una leggenda del Lago di Crumlyn - La mucca elfica
di Lyn Barfog - T Fuwch Laethwen Lefrith - La leggenda del
Meddygon Myddfai - La moglie della razza sovrannaturale - I
tre colpi, una leggenda del Carmathenshire - Il formaggio e lo
scopo didattico nel folklore gallese - Il padre della fanciulla
fatata - L’isola incantata nel Lago della Montagna - La leggenda
degli uomini di Ardudwy - L’origine delle Fate d’acqua - La loro
diffusione in molte terre
Le Gwragedd Annwn (letteralmente, mogli del mondo inferiore)
sono le dame elfiche che dimorano sotto le acque. Non trovo
somiglianze tra questa Fata gallese e la nostra familiare sirena al di là
della dimora acquatica e dei modi di fare talvolta affascinanti. Le
Gwragedd Annwn non hanno aspetto di pesce né dimorano nel mare.
Esse dimorano nei laghi e nei fiumi, ma particolarmente nei selvaggi
e solitari laghi sulle alture delle montagne. Questi luoghi romantici
sono circondati da innumerevoli superstizioni, di cui parleremo oltre.
Nel regno delle Fate, esse fungono da canali di comunicazione tra
questo mondo e quello inferiore dell‟annwn, il dominio ombroso
presieduto da Gwyn ap Nudd, il re delle Fate. Questo regno
subacqueo è abitato da quei figli del mistero chiamati Plant Annwn e
tra gli abitanti delle montagne del Galles è attualmente diffusa la
credenza che le
Gwragedd Annwn facciano occasionalmente visita a questo nostro
mondo superiore. (Archaeologia Cambrensis, 2nd
Se., iv., 253)
L‟unico riferimento a sirene gallesi di cui ho letto o sentito parlare è
contenuto nel resoconto di Drayton della Battaglia di Agincourt. In
esso è menzionata, tra gli emblemi araldici delle contee del Galles:
Come Cardigan, quello tra loro che venne in seguito,
36
Giunse con una sirena seduta su una roccia.
Vi è in Cymru Fu una storia di sirene ma la figura di sirena è
apparentemente un abbellimento moderno di un fatto accaduto
realmente e qui senza valore.
Il Lago di Crumlyn, vicino al pittoresco villaggio di Briton Ferry, è
uno dei molti in Galles ad essere rifugio per le dame elfiche. Si crede
anche che una grande città giaccia in quel luogo e che le Gwragedd
Annwn abbiano mutati i muri sommersi per usarli come
sovrastruttura dei loro palazzi fatati. Alcuni affermano di avere visto
le torri di bellissimi castelli ergere le loro merlature al di sopra della
superficie delle acque scure e talvolta si odono suonare campane
elfiche da queste torri. Il perché le dame elfiche vennero in origine a
dimorare in quel luogo si spiega così:
Molto, ay, molto tempo fa davvero, san Patrizio giunse dall‟Irlanda
per fare visita a san David del Galles, giusto per dire Sut yr y'ch
chwi? (come va?). E, mentre i due stavano passeggiando vicino a
questo lago conversando di argomenti religiosi in maniera
amichevole, alcuni Gallesi che si erano accertati che lui fosse san
Patrizio, infuriati con lui per avere lasciato la Cambria per Erin,
cominciarono ad insultarlo in lingua gallese, la sua lingua nativa.
Naturalmente, un insulto del genere non poteva rimanere impunito e
san Patrizio fece sì che essi venissero mutati in pesci; tuttavia,
essendo alcuni di loro femmine, vennero invece convertite in Fate. Si
dice anche che il Sole, a causa di questa insolenza rivolta ad un tale
sant‟uomo, non spandesse mai i suoi raggi apportatori di vita sulle
acque scure di questo pittoresco lago eccetto che una settimana
all‟anno. Questa leggenda e questi dettagli magici sono egualmente
accreditati a molti altri laghi, tra cui Llyn Barfog, vicino ad
Aberdovey, la città le cui “campane” sono state celebrate in una
canzone immortale.
Llyn Barfog è teatro della famosa discesa della mucca elfica sulla
terra dalle mandrie del Gwragedd Annwn. Questa è la leggenda
sull‟origine del bestiame nero del Galles, come riferitami nel
Carmartenshire:
37
Nei tempi antichi vi era un gruppo di dame elfiche che erano solite
stazionare nei paraggi di Llyn Barfog, un lago tra le colline subito
dietro Aberdovey. Era loro abitudine fare la loro apparizione al
crepuscolo, vestite tutte di verde ed accompagnate dai loro cani
bianchi come il latte. Oltre ai loro cani, le dame verdi di Llyn Barfog
avevano la peculiarità di possedere mandrie di bellissime mucche
bianco latte, chiamate Gwartheg y Llyn, o mucche del lago. Un
giorno, un anziano contadino che viveva vicino a Dyssyrnant ebbe la
buona sorte di catturare una di queste mucche mistiche, che si era
innamorata del bue del suo branco. Da quel giorno la fortuna del
contadino fu fatta. Vitelli, latte, burro e formaggio come venivano
dalla mucca bianco latte non si erano mai visti prima in Galles, né si
vedranno mai più. La fama di Fuwch Gyfeiliorn (che era il nome che
avevano dato alla mucca) si sparse in tutta la contea. Il contadino,
che era stato povero, divenne ricco, padrone di grandi mandrie come
i patriarchi antichi. Ma un giorno si mise nella sua sciocca testa
l‟idea che la mucca elfica stesse invecchiando e che lui avrebbe fatto
meglio ad ingrassarla per il mercato. Il suo malvagio proposito andò
magnificamente bene. Mai, da che le bistecche di mucca sono state
inventate, venne vista una mucca così grassa come divenne quella.
Giunse il giorno dell‟uccisione ed i vicini arrivarono da tutti i luoghi
per vedere con i propri occhi l‟assassinio di questa bestia enorme. Il
contadino aveva già contato i guadagni che gli sarebbero derivati
dalla sua vendita ed il macellaio aveva già snudato il rosso braccio
destro. La mucca venne impastoiata, senza pietà per i suoi muggiti di
dolore ed i suoi occhi supplicanti; il macellaio alzò la sua mazza e la
colpì brutalmente in mezzo agli occhi quando, meraviglia! Un grido
risuonò nell‟aria, risvegliando gli echi delle colline, mentre l‟arma
del macellaio attraversava la testa fatata della mucca elfica ed andava
a colpire oltre nove tra gli uomini vicini, mentre il macellaio stesso
vorticava freneticamente cercando di afferrare qualcosa di solido.
L‟attonita assemblea vide quindi una dama verde in piedi sopra un
picco sopra il lago che gridava a voce alta:
Dere di felen Emion,
Cyrn Cyfeiliorn-braith y Llyn,
A'r foci Dodin,
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Codwch, dewch adre.
“Vieni, gialla Anvil, allontana le corna,
Macchiata del lago,
E del Dodlin senza corna,
Alzati, vieni a casa.”
Al che non solo la mucca elfica si alzò ed andò a casa, ma tutta le sua
progenie fino alla terza ed alla quarta generazione andò a casa con
lei, scomparendo nell‟aria sopra le cime delle colline e non tornando
mai più. Di tutte le mandrie del contadino rimase solo una mucca e
venne mutata da color bianco latte a nero corvo. A quel punto il
contadino, disperato, si annegò nel lago delle dame verdi e la mucca
nera divenne la progenitrice della razza tuttora esistente dei bovini
neri gallesi.
Questa leggenda appare in una forma leggermente diversa nel
“Manoscritto di Iola” come tradotto da Taliesin Williams, di Merthyr
(Llandovery, pubblicato per la Welsh MSS. Society, 1848):
“La mucca bianco latte dava latte a sufficienza a chiunque lo
desiderasse e, per quanto spesso o a prescindere da quante persone
venisse munta, il latte non le mancava mai. Tutte le persone che
bevevano del suo latte venivano guarite da ogni malattia; da sciocchi
divenivano saggi e da cattivi divenivano felici. Questa mucca andava
in giro per il mondo e, dovunque apparisse, riempiva di latte tutti i
contenitori che si riuscivano a trovare, lasciando dietro di sé dei
vitelli per tutti coloro che erano saggi e felici. Fu da lei che ebbero
origine tutte le mucche da latte del mondo. Dopo avere attraversato
tutta l‟isola di Britannia a beneficio e benedizione della contea e dei
suoi abitanti, ella raggiunse la Valle di Towy dove, tentati dal suo
bell‟aspetto e dalla sua condizione superiore, i nativi cercarono di
ucciderla e mangiarla. Tuttavia, mentre stavano procedendo verso il
loro scopo, ella svanì dalle loro mani e non venne mai più vista. Sul
luogo rimane ancora una casa chiamata Y Fuwch Laethwen Lefrith
(la mucca da latte bianco latte).
La leggenda delle Meddygon Myddfai introduce nuovamente il
bestiame elfico alla nostra attenzione ma lo mescola ad un‟altra
39
interessantissima forma di questa credenza, e precisamente quella
della moglie di razza sovrannaturale. Il suo nome ci fornisce una sua
ulteriore caratteristica, in quanto Meddygon significa medici, e la
leggenda sostiene di fornire l‟origine di certi dottori che erano noti
nel XIII secolo.
La leggenda riferisce che un contadino dei dintorni di Myddfai,
Carmarthenshire, avendo comprato alcuni agnelli in una fiera vicina
li portò a pascolare vicino a Llyn y Fan Fach, sulle Black Mountains.
Ogni volta che andava a vedere questi agnelli, gli apparivano tre
bellissime damigelle dal lago, sulle cui rive spesso facevano delle
passeggiate. Talvolta egli corse loro dietro e cercò di catturarle ma
fallì sempre: le incantevoli ninfe scappavano davanti a lui e,
raggiunto il lago, lo schernivano con queste parole:
Cras dy fara,
Anhawdd ein dala
che, a renderle letteralmente, significano:
“cuoci il tuo pane,
sarà difficile catturarci“
ma che, tradotte più poeticamente, potrebbero significare:
“Mortale che mangi pane cotto,
Non è per te il letto fatato!”
Un giorno, giunse a riva dal lago galleggiando un pezzo di pane
umido. Il contadino lo raccolse e lo divorò con avidità. Il giorno
seguente, con suo grande piacere, egli ebbe successo nella sua caccia
e catturò le ninfe sulla riva. Dopo avere parlato a lungo con loro, egli
raccolse il coraggio e propose ad una di loro di sposarlo. Ella
acconsentì ad accettarlo a condizione che lui fosse stato in grado di
distinguerlo dalle sue sorelle il giorno seguente. Questa era una
nuova, grossa difficoltà per il giovane contadino, in quanto le
fanciulle erano così simili tra loro per forma e caratteristiche che a
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malapena egli vedeva differenze tra loro. Tuttavia, egli aveva notato
una piccola singolarità nella reggetta dei sandali della prescelta
grazie a cui la riconobbe il giorno seguente. Tenendo fede alla
propria parola, la Gwraig immediatamente lasciò il lago ed andò con
lui nella sua fattoria. Prima di andarsene, ella convocò a sua scorta
sette mucche, due buoi ed un toro. Ella pattuì che sarebbe rimasta
con il contadino solo fin quando egli non l‟avrebbe colpita tre volte
senza motivo. Per alcuni anni dimorarono assieme ed ella gli partorì
tre figli, che furono i famosi Meddygon Myddfai. Un giorno, mentre
si stavano preparando per andare ad una fiera nei dintorni, il
contadino volle che lei andasse a prendere il suo cavallo. Ella disse
che sarebbe andata ma, mettendoci un po‟, lui le disse ironicamente:
“Dos, dos, dos”, cioè “Vai, vai, vai” ed allo stesso tempo le diede tre
leggeri buffetti col guanto nel braccio.
I colpi erano leggeri, ma erano colpi. I termini del contratto di
matrimonio erano rotti e la dama se ne andò, convocando con sé le
sue sette mucche, i due buoi ed il toro. In quel momento i buoi
stavano arando il campo ma obbedirono immediatamente alla sua
chiamata e trascinarono l‟aratro con sé al lago. Il solco dal campo
che stavano arando al margine del lago si può vedere ancora oggi in
diverse parti della contea. Dopo la sua partenza, la Gwraig Annwn
una volta incontrò i propri tre figli nella valle ora chiamata Cwm
Meddygon e diede loro una scatola magica contenente rimedi di
magnifico potere, grazie ai quali essi divennero famosi. I loro nomi
erano Cadogan, Gruffydd ed Emion ed il nome del contadino era
Rhiwallon. Rhiwallon ed i suoi figli furono i medici di Rhys Gryg,
signore di Dynevor e figlio dell‟ultimo principe nativo del Galles.
Essi vissero intorno al 1230 e, morendo, lasciarono un compendio
della loro pratica medica. “Una copia delle loro opere è nella Welsh
School Library in Gray's Inn Lane.“ (Cambro Briton, ii., 315).
In una forma più raffinata ed elaborata, questa leggenda omette
completamente le caratteristiche mediche ma le sostituisce con una
quantità di dettagli così peculiarmente gallesi che non posso
esimermi dal presentarli. Questa versione riferisce che il contadino
innamorato ha sentito parlare della fanciulla del lago, che remava in
41
giro per il lago su una imbarcazione d‟oro con un remo d‟oro. I suoi
capelli erano lunghi e gialli ed il suo volto era pallido e melanconico.
Nel suo desiderio di vedere questa meravigliosa bellezza, il
contadino andò sulla riva del lago la vigilia di capodanno ed attese in
silenzio l‟arrivo della prima ora dell‟anno nuovo. Essa venne ed
invero vi fu anche la fanciulla sulla sua barca d‟oro che remava
gentilmente avanti e indietro per il lago. Affascinato, egli rimase ore
intere a contemplarla, fin quando le stelle scomparvero in cielo, la
Luna si immerse dietro le rocce e la fredda alba grigia sorse; allora,
l‟amabile Gwraig cominciò a svanire dalla vista. Folle di passione e
con il pensiero che l‟avrebbe persa per sempre, egli gridò forte alla
visione che si ritirava: “Rimani! Rimani! Diventa mia moglie!” Ma
la Gwraig si limitò ad emettere un debole grido e scomparve. Notte
dopo notte il giovano contadino andò sulle rive del lago ma la
Gwraig non tornò più. Egli cominciò a trascurarsi; la sua corporatura
un tempo robusta smagrì ed egli divenne esangue; il suo volto era
una mappa di malinconia e disperazione. Un giorno egli andò a
consultare un indovino che dimorava sulla montagna e questo
austero personaggio gli consigliò di assediare il cuore della
damigella con doni di pane e formaggio. Questo consiglio si
attanagliava molto al suo modo gallese di pensare ed il contadino si
mise assiduamente a gettare il suo pane nelle acque, accompagnato
da formaggio. Egli cominciò alla vigilia di Midsummer (21 o 22
giugno, a seconda dell‟andamento astronomico, n.d.t.) ad andare al
lago e gettarvi dentro un grosso formaggio ed una pagnotta. Notte
dopo notte, continuò a gettare in acqua pagnotte e formaggi ma nulla
appariva in risposta ai suoi sacrifici. Le sue speranze furono tuttavia
esaudite all‟avvicinarsi della successiva vigilia di capodanno. La
grande notte era finalmente arrivata. Vestito al suo meglio ed armato
di sette pagnotte bianche e del suo formaggio più grande e più bello,
egli andò nuovamente al lago.
Là attese fino a mezzanotte, quindi fece cadere solennemente e
lentamente le sette pagnotte nell‟acqua e con un sospiro mandò il
formaggio a fare loro compagnia. La sua costanza venne infine
ricompensata. La magica skiff (imbarcazione) apparve e la bella
Gwraig la guidò fino a lui; scese a riva e lo accettò come suo marito.
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Il patto summenzionato per quanto riguarda i colpi venne fatto ed
essa portò il suo bestiame in dote. Un giorno, dopo quattro anni che
erano sposati, vennero invitati ad un battesimo. Nel bel mezzo della
cerimonia, la Gwraig scoppiò in lacrime. Suo marito la guardò
arrabbiato e le chiese perché si stesse rendendo così ridicola. Ella
rispose: “Quel povero bambino sta entrando in un mondo di peccato
e dolore; davanti a lui vi è l‟infelicità. Perché dovrei rallegrarmene?”
Egli la scostò con stizza. “Ti avverto, marito,” disse la Gwraig, “mi
hai colpita una volta.”
Dopo un po‟ di tempo, vennero invitati al funerale del bambino che
avevano visto battezzare. Ora la Gwraig rise, cantò e danzò. La
collera del marito sorse nuovamente e nuovamente egli le chiese
perché si stesse rendendo così ridicola. Ella rispose: “Quel caro
bambino è sfuggito all‟infelicità che lo attendeva e se ne è andato per
stare bene ed essere felice per sempre. Perché dovrei provare
dolore?” Nuovamente, egli la spinse via da sé e nuovamente lei lo
avvertì - l‟aveva colpita per la seconda volta.
Ben presto furono invitati ad un matrimonio; la sposa era giovane e
bella, lo sposo un vecchio decrepito spilorcio, vacillante e senza
denti. Nel bel mezzo della festa di matrimonio, la Gwraig annun
scoppiò in lacrime e, alla domanda del marito sul perché si stesse
rendendo nuovamente ridicola, rispose: “Invero si è sposata l‟età per
avidità e non per amore - l‟estate e l‟inverno non possono andare
d‟accordo - è un patto diabolico.” Il marito, furioso, la spinse via per
la terza ed ultima volta. Ella lo guardò con tenero amore e
rimprovero e disse: “I tre colpi sono stati dati - addio, marito!” Egli
non la vide mai più né vide più alcun capo del bestiame che lei aveva
portato con sé in dote.
Nel suo impiego del mito per fare una predica e nella sua
introduzione del formaggio, questa versione della leggenda è
davvero molto gallese. La diffusione del formaggio nel folklore della
Cambria è sorprendente; si incontra in ogni tipo di compagnia fatata,
si incontra persino nel Mabinogion, insieme alle forme più
romantiche di bellezza note nella storia. Ed ancora una volta
vediamo l‟accurata conoscenza di Shakespeare dei folletti della
Cambria. “Il cielo mi protegga da quella Fata gallese” dice Falstaff,
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“che non mi trasformi in un pezzo di formaggio” (Merry Wives of
Windsor, Atto V, Scena 5). Il pane si ritrova figura attiva nel folklore
di ogni paese, specialmente come sacrificio agli Dei dell‟acqua, ma il
formaggio è, per quel che ne so, così onorato solo in Cambria.
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Ancora una volta appare questa leggenda, questa volta con una
caratteristica che non ho incontrato altrove nella terra fatata - l‟arguto
padre della damigella fatata.
Il figlio di un contadino della fattoria Drws Coed stava cercando, in
una giornata nebbiosa, una delle pecore del padre quando si imbattè
in un prato paludoso, in cui vide una piccola signora sopra un rialzo.
Ella aveva capelli gialli, occhi blu e guance di rosa. Egli le si
avvicinò e le chiese il permesso di chiacchierare; al che lei sorrise
dolcemente e gli disse: “Idolo delle mie speranze, sei giunto,
finalmente!” Cominciarono da allora a tenersi compagnia e ad
incontrarsi ogni giorno qua e là lungo i campi della fattoria. Le
intenzioni del ragazzo erano onorevoli - era suo desiderio che la
fanciulla lo sposasse. Talvolta egli si assentava per alcuni giorni e
nessuno sapeva dove andava ed i suoi amici sussurravano che fosse
stato stregato. Intorno al Lago di Torba (Llyn y Dywarchen) vi era
un boschetto e sotto uno degli alberi di questo boschetto un giorno la
Fata promise di essere sua. Ora era necessario il consenso di suo
padre; si accordarono dunque per incontrarsi una notte di Luna piena
nel bosco. Padre e figlia non apparvero fin quando la Luna non
scomparve oltre la collina. Quindi arrivarono. Il padre fatato diede
immediatamente il proprio consenso alle nozze, a condizione che lui
non colpisse mai la fanciulla con del ferro. “Se mai tu toccherai la
sua carne con del ferro, ella non sarà più con te ma ritornerà dai suoi.
I due si sposarono; erano una bella coppia. Grandi somme di denaro
furono da lei portate in dote la notte prima del matrimonio a Dnvs
Coed. Il giovane pastore divenne ricco, ebbe diversi bei bambini e
furono tutti molto felici. Dopo alcuni anni, un giorno erano fuori a
cavallo quando il cavallo di lei sprofondò in un profondo pantano e,
con l‟aiuto del marito, per la fretta di rimontare ella venne colpita al
ginocchio dalla staffa della sella. Immediatamente si udirono delle
voci cantare sul ciglio della collina ed ella scomparve, lasciandosi
dietro i figli. Lei e sua madre escogitarono un piano grazie al quale
ella avrebbe potuto vedere il suo amato ma non le era permesso di
camminare sulla terra con l‟uomo ed essi galleggiavano su un grosso
blocco di torba sul lago; e su questa torba ella rimaneva per diverse
ore alla volta conversando con suo marito. Questo continuò sino alla
45
morte di lui. (Cymry Fu, 476)
Uno scopo didattico appare anche nella leggenda che segue la quale,
variando poco come fraseologia, è diffusa nei dintorni di una dozzina
di diversi laghi di montagna.
In altri tempi, prima che i Cimri si riconciliassero con i loro nemici
Sassoni, ogni mattina di capodanno veniva ritrovata aperta una porta
nella roccia presso il lago. Quelli tra i mortali che avevano la
curiosità e la risolutezza di entrare in questa porta, venivano condotti
attraverso un passaggio segreto ad una piccola isola al centro del
lago. Lì trovavano un giardino incantevole, pieno dei frutti e dei fiori
migliori ed abitato dalle Gwragedd Annwn, la cui bellezza era
eguagliata solo dalla cortesia ed affabilità che dimostravano a coloro
che piacevano loro. Esse raccoglievano i frutti ed i fiori per ogni loro
ospite, svelavano loro molti segreti del futuro e li invitavano a restare
per tutto il tempo che avessero voluto. “Ma” dicevano “l‟isola è
segreta e nulla dei suoi prodotti deve essere portato via.” Se gli ospiti
ascoltavano l‟avvertimento, tutto andava bene; ma un giorno apparve
tra i visitatori un malvagio gallese che, pensando di trarne qualche
aiuto magico, si intascò un fiore che gli era stato donato e stava per
lasciare il giardino con il suo trofeo. Ma il furto non gli portò alcun
bene: non appena ebbe toccato il suolo profano, il fiore svanì ed egli
perse i sensi. Tuttavia, le Gwragedd Annwn non si accorsero in quel
momento di questo abuso della loro ospitalità. Esse accomiatarono il
loro ospite con la solita cortesia e la porta venne chiusa come
sempre. Ma il loro risentimento era amaro perché, anche se le Fate
del lago ed il loro giardino incantato indubbiamente occupano quel
luogo ancora oggi, la porta che conduceva all‟isola non venne mai
più riaperta.
In tutte queste leggende lo studioso di folklore comparato rinviene
tracce dell‟antica mitologia, per quanto dettagli più tardi vi si siano
sovrapposti. Le fanciulle dell‟acqua di ogni terra indubbiamente in
origine erano le nuvole che fluttuano in cielo o le nebbie delle
montagne. Da queste sono nate alcune creazioni belle ed
immaginarie che abbondano nel folklore indo-europeo, la più
familiare delle quali sono le Ondine, Melusina, Nausicaa e la classica
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Musa. In Galles, come in altre terre, il mito possiede molte forme. La
dispersione delle nubi oscure dalle montagne grazie ai raggi del Sole
nascente o alle brezze mattutine si ritrova nella leggenda degli
Uomini di Ardudwy. Questi uomini fecero una razzia delle donne
della Valle di Clwyd e vennero perseguitati ed uccisi dai padri e dai
fratelli di queste ultime. Le fanciulle si gettarono a quel punto nel
lago, che da allora venne chiamato il Lago delle Fanciulle, o Llyn y
Morwynion. In un‟altra leggenda, la nebbia del fiume sopra il
Cynwal è lo spirito di una traditrice che morì molto tempo fa nel
lago. Essa aveva cospirato con i pirati nativi del mare del Nord (le
tempeste oceaniche) per derubare il suo signore cambriano dei suoi
domini. Ella venne sconfitta con l‟aiuto di un potente incantatore (il
Sole) e fuggì fino al lago, accompagnata dalle sue dame, che
annegarono là con lei. (Arch. Camb., 4th Se., vii., 251)
Pur se la credenza nelle sirene pare assente nel Galles, vi sono
tuttavia storie fatate di fanciulle che richiamano i mortali nelle loro
dimore sotto l‟acqua, come i Dracae facevano con donne e bambini e
come le Ninfe del Lurley facevano con i giovani uomini in età da
matrimonio. Ma si crede che diverse famiglie gallesi discendano
dalle Gwragedd Annwn, come nel caso dei Meddygon Myddfai. Il
familiare nome gallese di Morgan si pensa talvolta che significhi
“nato dal mare”. Certamente môr in Gallese significa “mare” e gân
una nascita. E‟ anche curioso che in Bassa Bretagna una sirena venga
chiamata “Mary Morgan”. Ma la classe di storie in cui un mortale
sposa una fanciulla d‟acqua è vasta e, mentre i dettagli locali variano
a seconda della zona, l‟idea generale è così simile in terre molto
lontane tra loro da indicare una origine comune in tempi preistorici.
In Galles, dove i laghi di montagna sono numerosi, tenebrosi, solitari
e tuttavia amabili, dove molti di essi mostrano tracce di essere stati
abitati in tempi antichi da una razza di abitatori dei laghi, i cui
villaggi sostenuti da pali sono svaniti molto tempo fa e dove il pane
ed il formaggio sono classici come la birra e le candele, questi
particolari sono siti nella leggenda. Nelle isole Faroe, dove la foca è
una creatura familiare e tuttavia sempre misteriosa, con i suoi occhi
simili a quelli umani e la sua pelle lucida, la moglie di razza
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sovrannaturale è una foca trasformata. Ella viene a riva ogni nona
notte, sveste la sua pelle, la lascia sulla riva e danza con le sue
compagne fatate. Un mortale ruba la sua pelle di foca e, quando il
giorno arriva e le sue compagne ritornano nelle loro dimore in mare,
la obbliga a rimanere e ad essere sua moglie. Un dato giorno lui la
offende, lei recupera la sua pelle e si immerge in mare. In Cina
questa credenza appare nella leggenda di Lew-chewan, citata dal Dr.
Dennys (Folk-Lore of China, 99), dove si narra di come una Fata
sotto forma di bellissima donna venga trovata a fare il bagno nella
fonte di un uomo. Egli la convince a sposarlo e lei rimane con lui per
nove anni alla fine dei quali, nonostante l‟affetto che nutre per i loro
due bambini, ella “fluisce verso l‟alto in una nuvola” e scompare.
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IV
Le Fate delle montagne
Le Gwyllion - La Vecchia della Montagna - La Gwyll della
Montagna Nera - Un esorcismo per mezzo di un coltello - I poteri
intellettuali occulti delle capre gallesi - la leggenda della capra di
Cadwaladr
Le Gwyllion sono Fate femmina dalle caratteristiche spaventose che
infestano le strade solitarie delle montagne gallesi e fanno smarrire i
viaggiatori notturni. Esse partecipano in qualche modo dell‟aspetto
della Hecate della mitologia greca, che cavalcava la tempesta ed era
una megera di aspetto orrendo. La parola gallese gwyll viene usata
variamente per significare oscurità, ombra, tristezza, megera, strega,
Fata e folletto ma viene applicata particolarmente a queste Fate
montane dalle abitudini tristi e dannose, al contrario degli Ellyllon
delle foreste e delle radure, che sono perlopiù benevole. La Gwyllion
ha una personalità più distinta sotto un altro nome - come l‟Ellyllon
sotto forma del maligno Puck - e la Vecchia della Montagna è un
prototipo di tutto il suo genere. Ella viene descritta con molta
accuratezza dal Profeta Jones nella forma in cui ha infestato la
Lanhyddel Mountain nel Monmouthshire. Aveva le sembianze di una
povera vecchia donna con un cappello oblungo con quattro angoli,
abiti color della cenere, il grembiule gettato sulla spalla, con una
pentola o un contenitore di legno in mano simile a quello che la
povera gente porta per andare a prendere il latte, sempre in
movimento davanti allo spettatore e talvolta gridando “Wow up!”
(questa è una forma inglese di un grido gallese di angoscia - “Wwb!”
o “Ww-bwb!”, che si pronuncia Wooboob). Coloro che hanno visto
questa apparizione, sia di notte che in una giornata nebbiosa, è certo
che sono destinati a perdere la strada, per quanto possa essere loro
familiare. Talvolta hanno udito il suo grido “Wow up!” quando non
la vedevano. Talvolta, quando uscivano di notte a prendere del
carbone, dell‟acqua, ecc., coloro che abitano vicino a quella
49
montagna udivano il grido molto vicino a loro ed immediatamente
dopo lo sentivano lontano, come se provenisse dalla montagna
opposta, nei dintorni di Aberystruth. La tradizione popolare di questo
distretto dice che la Vecchia delle Montagna era lo spirito di una tal
Juan White, una pazza che visse da quelle parti e che si credeva
essere una strega e questo perché quelle montagne non erano
infestate in tal modo fino alla morte di Juan Gite (“Juan - Shui -
White è una vecchia conoscenza della mia infanzia”, mi scrive un
amico nato 30 anni or sono in Monmouthshire. “Noi ragazzi
credevano che un cottage in rovina sulla collina Lasgarn vicino a
Pontypool fosse stato la sua casa e là ella appariva a mezzanotte, con
la testa sotto il braccio.”).
Quando la gente sbagliava strada e la vedeva davanti a sé, era solita
scattare in avanti e cercare di prenderla, credendo che fosse una
donna in carne ed ossa che poteva metterli sulla buona strada; ma
non riusciva mai nessuno a prenderla e lei, da parte sua, non si
guardava mai indietro, così che nessun uomo ha mai visto il suo
volto. Ella è stata vista anche sulla Black Mountain nel Breconshire.
Robert Williams di Langattock, Crickhowel, “un uomo concreto e di
indubbia veridicità”, narra questa storia: una notte, mentre stava
passando sopra una parte dekka Black Mountain, vide la Vecchia ed
allo stesso tempo si rese conto di avere sbagliato strada. Non sapendo
che lei era uno spettro, la chiamò per attirare la sua attenzione ma,
non ricevendo risposta, pensò che fosse sorda. Allora affrettò il
passo, pensando di arrivarle vicino, ma più veloce correva più si
trovava dietro di lei; questo lo meravigliò molto, non capendone la
ragione. In quel momento si ritrovò a cadere in una marcita, cosa che
accrebbe la sua irritazione, quindi udì la Vecchia ridere di lui con
una risata strana, sconcertante, crepitante. Questo gli fece pensare
che potesse trattarsi di una Gwyll e, quando estrasse il coltello e la
Vecchia svanì, ne fu certo - perché i fantasmi e le Fate gallesi hanno
paura dei coltelli.
Un altro racconto riferisce che John ap John, di Cwm Celyn, uscì una
mattina prima dell‟alba per andare alla fiera di Caerleon. Mentre
stava risalendo la Milfre Mountain, udì un grido dietro di lui come se
50
provenisse da Bryn Mawr, che fa parte della Black Mountain nel
Breconshire. Poco dopo udì il grido alla sua sinistra, a Bwlch y
Llwyn, più vicino a lui; questo lo spaventò molto e cominciò a
sospettare che non si trattasse di una voce umana. Si era già chiesto,
invero, cosa qualcuno potesse fare a quell‟ora del mattino, urlando
sul fianco della montagna. Continuando a salire, udì il grido proprio
davanti a sé, nei campi Gilfach, a destra, ed ora fu certo che fosse la
Vecchia della Montagna che cercava di condurlo fuori strada. In quel
momento, udì dietro di lui il suono di una carrozza e con esso il grido
particolare della Vecchia delle Montagna: “Wow up!”. Sapendo
molto bene che nessuna carrozza avrebbe potuto passare per quella
strada e continuando a sentire il suono che si avvicinava sempre più,
egli venne preso dal terrore e, scappando fuori dalla strada, si gettò a
terra e nascose il volto nell‟erica, aspettando che il fantasma
passasse. Quando non udì più nulla, si alzò e, nel sentire gli uccelli
cantare nel momento in cui irrompeva il giorno e nel vedere anche
alcune pecore di fronte a sé, la sua paura svanì. E questo, disse il
Profeta Jones, “non era un uomo profano, immorale” ma “un uomo
onesto, pacifico ed intelligente ed una persona inoltre avvenente.”
L‟esorcismo del coltello pare essere una nozione gallese, nonostante
sia una credenza antica grandemente diffusa in tutta Europa che il
donare o ricevere da un amico un coltello o un paio di forbici tagli
l‟amicizia. Ho incontrato questa credenza in America: una volta, un
amico editore di Indianapolis mi diede un coltellino tascabile molto
grazioso, da cui rifiutò di separarsi eccetto che al prezzo di un
centesimo, moneta corrente del regno, asserendo che saremmo
divenuti nemici senza questa precauzione. Anche in Cina vengono
associati incantesimi speciali ai coltelli. In Galles, secondo Jones, le
Gwyllion spesso facevano visita alle case degli abitanti di
Aberystruth, in particolare quando c‟era brutto tempo, e gli abitanti
davano loro il benvenuto - non che le sopportassero per amore ma
per paura del male che le Gwyllion potevano infliggere se offese;
fornivano loro acqua pulita e si accertavano in modo particolare che
nessun coltello o altro oggetto tagliente fosse nell‟angolo vicino al
fuoco dove le Fate si sarebbero sedute. “Perché per avere omesso
51
questa premura molti sono stati da loro danneggiati.”
Mentre era desiderabile esorcizzarle quando si era all‟aria aperta, non
veniva reputato prudente mostrare uno spirito inospitale verso alcun
membro del mondo fatato. I casi di esorcismi coronati da successo
grazie al coltello sono molti e nulla nel regno delle Fate è meglio
documentato. Vi fu un certo Evan Thomas che, viaggiando di notte
sulla Bedwellty Mountain verso la valle di Ebwy Fawr, dove era la
sua casa e dimora, si vide circondato dalle Gwyllion ad ogni lato ed
alcune di esse gli danzarono attorno in una maniera fantastica. Egli
udì anche il suono di un corno tromba fendere l‟aria e pareva che vi
fossero dei cacciatori invisibili che cavalcavano lì vicino. Egli
cominciò a spaventarsi ma ricordò di avere sentito dire che chiunque
vedesse le Gwyllion avrebbe potuto farle fuggire sguainando un
coltello. Così estrasse il suo coltello e le Fate svanirono
immediatamente. Ora, Evan Thomas era “un vecchio gentiluomo di
tale impeccabile veridicità che” in un‟occasione “confessò una verità
contraria ai suoi interessi”, da cui avrebbe “probabilmente sofferto
una perdita” e, nonostante “alcuni avessero cercato di convincerlo a
non farlo, egli insistette tuttavia a dire la verità, a spese proprie”.
Nel riportare queste nozioni alla loro origine potremmo trovare una
loro connessione con la spada di Artù Excalibur? Se così fosse, ecco
che tocchiamo ancora una volta il mondo primevo. Jones dice che la
Vecchia della Montagna è stata (almeno nel sud del Galles) fatta a
pezzi fin dal 1800 circa dalla luce del vangelo - in effetti, ella ora
infesta le miniere - o dalle parole formali del predicatore “il carbon
fossile ed i buchi nella terra.”
Tra le tradizioni sull‟origine delle Gwyllion, una le associa alle
capre. In Galles, le capre sono particolarmente stimate per i loro
supposti poteri intellettuali occulti. Si crede che esse siano in
buonissimi rapporti con le Tylwyth Teg e che possiedano una
conoscenza maggiore di quanto le loro sembianze indichino. Una
delle caratteristiche delle Tylwyth Teg è che ogni notte pettinano le
barbe delle capre per renderle carine per la domenica. La loro
associazione con le Gwyllion si riferisce alla leggenda della capra di
Cadwaladr:
52
Cadwaladr aveva una capra molto graziosa di nome Jenny, che
amava molto e che sembrava ricambiare il suo affetto. Un giorno,
tuttavia, come se il diavolo la possedesse, ella fuggì tra le colline con
Cadwaladr che le andava dietro gridando, mezzo impazzito per la
rabbia ed il terrore. Alla fine, il suo sangue gallese si riscaldò tanto,
siccome la capra continuava a sfuggirgli, che egli le gettò dietro una
pietra, che la colpì gettandola in un precipizio, dove ella cadde
belando verso il suo destino. Cadwaladr arrivò ai piedi del crepaccio:
la capra stava morendo ma non era ancora morta e leccò la sua mano.
Questo colpì tanto il pover‟uomo che egli scoppiò in lacrime e
sedette sul terreno, prendendo tra le braccia la testa della capra. La
Luna si alzò ed egli era ancora seduto là. In un attimo, egli vide che
la capra si era trasformata in una bellissima giovane donna, i cui
occhi marroni, la testa posata sulle braccia di lui, lo guardavano in
maniera conturbante. “Ah, Cadwaladr,” disse la donna “ti ho infine
trovato?” Ora, Cadwaladr aveva una moglie, a casa, ed era molto
sconcertato da questa singolare circostanza. Ma quando la capra - yn
Word la fanciulla - si alzò e mise la sua babbuccia nera alla fine di
un raggio di Luna, gli porse la mano, lui la prese ed andò con lei. La
mano, anche se pareva così bella a vedersi, al tocco pareva come uno
zoccolo. Ben presto furono sulla cima della montagna più alta del
Galles e furono circondati da una compagnia vaporosa di capre con
corna indistinte. Esse emisero un belato ultraterreno. Una di esse, che
pareva essere il re, aveva una voce che risuonava al di sopra del
chiasso delle campane del castello di Carmarthen quando tanto
tempo prima suonavano più forte di tutte le altre campane della città.
Questi si precipitò verso Cadwaladr e lo colpì allo stomaco,
mandandolo a terra oltre un crepaccio come lui aveva fatto con la sua
povera capretta. Quando rinvenne dopo la caduta, il Sole del mattino
splendeva su di lui e gli uccelli cantavano sulla sua testa. Ma lui non
vide mai più nella sua vita né la sua capra né la Fata in cui si era
mutata.
53
V
I Changelings (sostituti fatati)
Il Plentyn-newid - Il crudele credo dell’ignoranza riguardo ai
Changelings - Maniere di liberare la casa dal bambino fatato -
La leggenda del pasto frugale - La leggenda del luogo della
contesa - Dewi Dal e le Fate - Prevenzione del rapimento di
bambini da parte delle Fate - Fate colte in flagrante dalle madri -
La devozione come esorcismo
Le Tylwyth Teg hanno una nefasta ammirazione per i bei bambini.
Da qui nasce l‟abbondante folklore riguardo a bambini che sarebbero
stati rapiti dalle loro culle ed al loro posto sarebbe stato lasciato da
esse un plentyn-newid (“bambino scambio”, l‟equivalente del nostro
Changeling). Il plentyn-newid ha inizialmente l‟esatto sembiante del
bambino rapito ma il suo aspetto si altera rapidamente. Diventa
brutto nel volto, striminzito nella forma, di brutto carattere, piagnone
e generalmente tremendo. Esso morde e colpisce e diviene un terrore
per la povera madre. Talvolta è un idiota ma possiede una scaltrezza
sovrannaturale non solo impossibile per un bambino mortale ma che
non appartiene nemmeno alle teste dei vecchi, eccetto che tra le Fate.
Il verace Profeta Jones testimonia di un caso in cui lui stesso vide il
plentyn-newid - un idiota lasciato al posto di uno dei figli di Edmund
John William, della Church Valley, Monmouthshire. Dice Jones: “Lo
vidi io stesso. C‟era qualcosa di diabolico nel suo aspetto” ma
particolarmente nei suoi movimenti. Egli “emetteva suoni strillanti
molto spiacevoli” che usava per spaventare fortemente gli estranei,
altrimenti era inoffensivo. Aveva una “carnagione scura,
abbronzata”. Visse più a lungo di quanto solitamente vivevano i
bambini in Galles a quell‟epoca (un non del tutto piacevole accenno
alla dura sorte cui tali bambini erano soggetti a causa dei loro restii
genitori), che raggiungevano l‟età di dieci o dodici anni. Ma il credo
dell‟ignoranza è dappertutto crudele, per quanto riguarda i
54
Changelings, e ci ricorda le prove dei processi alle streghe. Con la
pretesa di provare se un bambino sgradevole sia un Changeling o
meno, esso viene tenuto su un badile sopra il fuoco o viene bagnato
in una soluzione di digitale, che lo uccide; un caso in cui venne
applicata questa prova si dice sia accaduto realmente nel
Carnarvonshire nel 1857. Non vi è nulla di particolarmente gallese in
questo e non vi è quindi bisogno di soffermarvici. Al di là del fatto
che l‟infanticidio, come l‟assassinio, non ha paese, simili pratiche nei
confronti dei Changelings erano diffusi nella maggior parte delle
terre europee, sia di testare la qualità sgradevole dei bambini o, è
stato ammesso, di scacciarli e così costringere le Fate a restituire il
bambino da loro rapito. In Danimarca, la madre riscalda il forno e vi
pone il Changeling sopra, fingendo di stare per metterlo dentro;
oppure lo colpisce fortemente con una verga; oppure lo getta
nell‟acqua. In Svezia si usano metodi similari. In Irlanda si usa il
badile caldo. Riguardo ad un Changeling di cui Martin Lutero parla
nel suo “Colloquia Mensalia”, il grande riformatore dichiarò al
Principe di Anhalt che se lui fosse stato il principe di quel paese
avrebbe “al riguardo rischiato l‟homicidium e lo avrebbe gettato nel
fiume Moldaw.” Egli ammoniva la gente a pregare devotamente Dio
di portare via il diavolo, cosa che “veniva fatta di conseguenza; ed il
secondo anno seguente il Changeling morì.” E‟ molto improbabile
che il bambino venisse nutrito molto bene durante i due anni in cui
questo pio procedimento veniva eseguito. Il suo appetito vorace da
affamato viene invero indicato nella descrizione di Lutero: esso
“mangiava tanto quanto due trebbiatrici, rideva ed era allegro quando
qualche male accadeva nella casa, ma piangeva ed era triste quando
tutto andava bene.”
Una storia che in Galles viene narrata sotto varie forme, conserva la
tradizione di un pasto eccessivamente frugale che venne impiegato
come mezzo per bandire un plentyn-newid. M. Villemarqué udì
questa storia mentre era nel Glamorganshire e la trovò essere identica
ad una leggenda bretone in cui il Changeling pronuncia una triade
come segue:
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Gwcljz vi ken guelet iar wenn,
Gwcljz mez ken gwelet gwezen.
Gweljz mez ha gweliz gwial,
Gweliz derven e Koat Brezal,
Biskoaz na weliz kemend all.
Nella storia di Glamorgan il Changeling venne udito sussurrare a se
stesso con una voce screpolata: “Ho visto la ghianda prima di vedere
la quercia; ho visto l‟uovo prima di vedere la gallina bianca; non ho
mai visto qualcosa come questo.” M. Villemarqué considerò degno
di nota che queste parole in Gallese formano una triade rimata
pressoché uguale a quella della ballata bretone, così:
Gweliz mez ken gwelet derven,
Gweliz vi ken gwelet iar wenn,
Erioez ne wiliz evelhenn
(Keightley, Fairy Mythology)
Da questo egli concluse che la storia e la rima sono più vecchie del
VII secolo, epoca della separazione dei Britanni del Galles e
dell‟Armorica. E questa è la storia.
Una madre a cui era stato rapito il bambino ed al cui posto era stato
lasciato un Changeling, venne consigliata dalla vergine Maria di
preparare un pasto per dieci servi della fattoria in un guscio d‟uovo,
cosa che avrebbe fatto parlare il Changeling. Ella fece quanto
consigliato ed il Changeling chiese cosa stesse facendo. Lei glielo
disse e lui esclamò: “Un pasto per dieci, cara madre, in un guscio
d‟uovo?” Quindi pronunciò l‟esclamazione scritta sopra. (“Ho visto
la ghianda, ecc.”) E la madre rispose: “Tu hai visto troppe cose,
figlio mio, avrai una bastonata.” Detto questo, lei andò per
picchiarlo, il bambino cominciò a vociare e la Fata venne a portarlo
via, lasciando il bambino rapito a dormire dolcemente nella culla. Il
bambino si svegliò e disse: “Ah, madre, ho dormito molto tempo!”
Ho incontrato questa storia molto spesso tra i Gallesi ed essa si
mantiene sempre nel complesso simile a quella di M. Villemarqué.
Quella che segue è una versione pressoché letterale come riferita nel
56
Radnorshire (una contea contigua al Montgomeryshire) e che, come
la maggior parte di queste storie, è caratterizzata dalla tendenza non
primitiva a dare nomi di località:
“Nei dintorni di Trefeglwys, vicino a Llanidloea, nella contea di
Montgomery, vi è una piccola capanna da pastori chiamata
comunemente “il Luogo della Contesa” per la contesa straordinaria
che vi si è svolta. Gli abitanti del cottage erano una donna e sua
moglie; essi ebbero due gemelli, che la donna allevava con grande
attenzione e tenerezza. Alcuni mesi dopo, affari improrogabili
chiamarono la moglie nella casa di una delle sue più vicine
confinanti; pur sapendo che non avrebbe dovuto allontanarsi di
molto, ella non aveva piacere di lasciare da soli i suoi figli nella culla
neppure per un minuto e c‟erano così tante storie di folletti, o
Tylwyth Teg, che giravano nel vicinato. Tuttavia, ella andò e ritornò
prima che potè;” ma, sulla via del ritorno, “ella rimase terrificata nel
vedere, anche se era mezzogiorno, alcuni dei vecchi Elfi dalla
sottoveste blu.” Ella si affrettò verso casa con grande apprensione ma
tutto era come lo aveva lasciato, così che la sua mente ne fu molto
sollevata. “Ma, passato qualche tempo, quella brava gente cominciò
a domandarsi il perché i gemelli non crescessero per nulla e
continuassero ad essere dei piccoli nani. L‟uomo pensò che non si
trattasse dei suoi figli; la donna disse che dovevano essere i loro figli
e su questo sorse la grande contesa tra loro che diede il nome al
luogo. Una sera, quando la donna aveva il cuore molto pesante, si
decise ad andare a consultare un mago che le era stato assicurato
sapere tutto… Ora, ben presto vi sarebbe stato il raccolto di segale e
di avena, così il saggio le disse: “Quando preparerai la cena per i
raccoglitori, svuota il guscio di un uovo di gallina e fallo bollire
ripieno di lenticchie, portalo fuori dalla porta come se volessi
servirlo per cena ai raccoglitori ed ascolta cosa diranno i gemelli; se
udrai i bambini parlare di cose superiori alla comprensione dei
bambini, ritorna in casa, prendili e gettali tra le onde del Llyn Ebyr,
che è molto vicino a te; ma se non senti nulla di notevole non fare
loro alcun male.” E, quando giunse il giorno del raccolto, la donna
fece come le era stato consigliato; quando uscì dalla porta per
ascoltare, udì uno dei bambini dire all‟altro:
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Gwelais fesen cyn gweled derwen;
Gweiais wy cyn gweled iâr
Erioed ni welais ferwi bwyd i fedel
Mewn plisgyn wy iár!
“Ghiande conobbi prima della quercia;
Un uovo prima di una gallina;
Mai un guscio di uovo di gallina bollito
(Fu) abbastanza per i raccoglitori!”
“Nel sentire questo, la madre ritornò in casa, prese i due bambini e li
gettò nel Llyn ed improvvisamente i folletti nelle loro gonne blu
vennero a salvare i loro nani e la madre riebbe nuovamente i suoi
figli; e così la contesa tra lei ed il marito terminò.” (Cambrian
Quarterly, ii., 86)
Questo tipo di storia non è sempre confinata al caso del plentyn-
newid, come ho detto. Si applica alla Fata casalinga quando
quest‟ultima, come quella dell‟esempio che segue, pare abbia portato
una quantità di amici e conoscenti estremamente rumorosi a dividere
il suo rifugio.
Dewi Dal era un contadino la cui casa era traboccante di Fate, tanto
che non poteva dormire di notte dal rumore che facevano. Dewi
consultò un saggio di Taiar, che consigliò a sua moglie di fare certe
cose, cosa che lei fece accuratamente come segue: era l‟inizio del
raccolto di avena quando Cae Mawr, o il grande campo, che veniva
mietuto da quindici uomini in un giorno, era pronto per i raccoglitori.
“Preparerò il cibo per i quindici uomini mieteranno Cae Mawr
domani”, disse Eurwallt, la moglie, ad alta voce. “Sì, fallo”, rispose
Devi, anche lui ad alta voce in maniera che le Fate potessero sentire
“e vedi che il cibo sia sostanzioso e sufficiente per il duro lavoro che
li attende.” Ed Eurwallt disse: “I quindici uomini non avranno
motivo di lamentarsi di questo. Saranno nutriti secondo i nostri
mezzi.” Quando venne il pomeriggio, Eurwallt preparò il cibo per il
giorno seguente per i mietitori. Procuratasi un passero, lo fasciò
come un pollo e lo arrostì al fuoco della cucina. Quindi mise un poco
58
di sale in un guscio d‟uovo e mise il passero ed il sale, con un
piccolo pezzo di pane, sulla tavola, pronto per sostentare i quindici
uomini nella mietitura di Cae Mawr. Quando le Fate videro le misere
provviste preparate per così tanti uomini, dissero: “Andiamocene
velocemente da questo luogo perché, ahimè, i mezzi dei nostri ospiti
sono esauriti. Chi si è mai ridotto prima d‟ora a dovere servire un
passero come pasto quotidiano per quindici uomini?” Ed essi se ne
andarono quella notte stessa e Dewi Dal e la sua famiglia vissero da
allora in pace e nel benessere. (Rev. T. R. Lloyd (Estyn) in The
Principality)
Le Fate gallesi sono state sorprese diverse volte nell‟atto di rapire un
bambino ed in questi casi, se la madre era sufficientemente energica
nelle sue obiezioni, sono state costrette ad abbandonare il loro
proposito.
Dazzy Walter, moglie di Abel Walter di Ebwy Fawr, una notte in cui
il marito era assente si svegliò nel suo letto e scoprì che il suo
bambino non era al suo fianco. Spaventatissima, si mise a cercarlo e
lo acchiappò con le mani sopra le tavole che erano sopra al letto,
dove le Fate erano riuscite a portarlo. E Jennet Francis, della stessa
valle di Ebwy Fawr, una notte era a letto e sentì che le stavano
portando via il bambino nato da poco dalle braccia; ella urlò e si
aggrappò al bambino e, come disse lei stessa, “Dio ed io fummo
troppo forti per loro”. Suo figlio crebbe e divenne un famoso
predicatore del vangelo.
Vi sono esorcismi speciali e misure preventive per interferire con le
Fate nella loro ricerca di bambini piccoli. Il più importante di essi in
Cambria è un‟abitudine generale alla devozione. Qualunque
esclamazione devota ha il valore di un esorcismo ma non servirà
come preventivo. A questo scopo dovete mettere un coltello nella
culla del bambino quando lo lasciate da solo o dovete lasciare un
paio di tenaglie (o una pinza) da una parte all‟altra della culla. (n.d.t.
altamente pericoloso, sconsiglio vivamente entrambe le pratiche, in
particolare il coltello!!!!)
59
Jennet Francis lotta con le Fate per il suo bambino
Ma la migliore prevenzione è il battesimo: solitamente sono i
bambini non battezzati ad essere rapiti. Così in Friesland, Germania,
viene considerato una protezione contro le Fate che trafficano in
Changelings il lasciare una bibbia sotto il cuscino del bambino. In
Turingia viene considerato un preventivo infallibile appendere le
brache del padre contro il muro. Difficilmente si potrebbe
immaginare qualcosa di più futile come materia per la
considerazione di studiosi seri ma è precisamente in questi banali o
apparentemente tali dettagli che lo studioso di folklore comparato
trova gli indizi più straordinari. Tale credenza da sola non
suggerirebbe nulla ma si ritrova anche in Scozia (Henderson, Notes
on the Folk-Lore of the Northern Counties) ed in altri paesi,
compresa la Cina, dove un paio di pantaloni del padre del bambino
vengono messi sulla struttura del letto in maniera tale che la vita
60
penzoli verso il basso o sia comunque più in basso delle gambe. Sui
pantaloni viene attaccato un pezzo di carta rossa con su scritte
quattro parole che intimano a tutte le influenze sfavorevoli di entrare
nei pantaloni invece di affliggere il bambino. (Vedi Doolittle, Social
Life of the Chinese)
61
VI
Vivere con i Tylwyth Teg
La storia di Elidurus - Shui Rhys e le Fate - La parrocchia di
san Dogmell, Pembrokeshire - Danzare con gli Ellyllon - La
leggenda di Rhys e Llewellyn - Morte dovuta all’essersi uniti alla
ree (danza) delle Fate - La leggenda del cespuglio in paradiso -
La foresta del tasso magico - La storia di Twm e Iago - Taffy ap
Sion, una leggenda di Pencader - Le tradizioni di Pant Shon
Shenkin - Tudur di Llangollen, la leggenda di Nany yr Ellyllon -
Polly Williams e gli Elfi Trefethin - Le Fate di Frennifawr -
Storie curiose - Il Padrone dei diavoli - Iago ap Dewi -
L’originale di Rip van Winkle
Strettamente affine al soggetto dei changelings è quello degli adulti o
dei bambini cresciuti portati via per vivere con i Tylwyth Teg. In
questo campo le tradizioni gallesi sono innumerevoli e non risalgono
solo agli ultimi uno o due secoli ma precisamente al medioevo. Tra i
folletti inglesi sono note quelle Fate che sono state rese immortali
nella storia di Elidurus. Questa storia venne scritta in latino da
Giraldus Cambrensis (come egli chiamava se stesso, in linea con la
moda pignola di quell‟epoca), un Gallese nato a Pembroke Castle e
fervente ammiratore di tutto ciò che era gallese, se stesso compreso.
Egli era senza dubbio un uomo di genio e di profonda erudizione.
Nel 1188 fece un viaggio in giro per il Galles, nell‟interesse della
crociata e poi in contemplazione, ed in seguito scrisse il suo libro -
un affascinante affresco di usi e costumi del Galles nel XII secolo.
Il luogo in cui si svolge questa storia è quella Valle id Neath cià
citata come famoso centro di vita fatata. Elidurus, quando aveva 12
anni, “per evitare la severità del suo precettore” scappò da scuola “e
si nascose sotto la riva cava di un fiume. Dopo avere digiunato in
questa situazione per due giorni, “due piccoli uomini di statura
minuscola gli apparvero” e dissero: “Se verrai con noi, ti condurremo
in un paese pieno di delizie e divertimenti.” Assentendo, Elidurus
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venne fuori e “seguì le sue guide attraverso una via dapprima
sotterranea e buia fino ad un paese bellissimo ma oscuro e non
illuminato dalla piena luce solare.” Tutti i giorni in quel paese “erano
nuvolosi e le notti estremamente buie”. Il ragazzo venne portato
davanti al re di quello strano piccolo popolo e gli venne presentato
alla presenza della sua Corte. Esaminato Elidurus a lungo, il re lo
mandò dal proprio figlio, un ragazzino. Gli uomini di quel paese,
anche se avevano una statura minuscola, erano ben proporzionati,
avevano una bella carnagione e lunghi capelli. “Avevano cavalli e
cani levrieri adatti alla loro taglia. Non mangiavano né carne né
pesce ma vivevano di una dieta basata sul latte, cucinato con lo
zafferano. Ogni volta che essi ritornavano dal nostro emisfero,
biasimavano la nostra ambizione, le nostre infedeltà e la nostra
incostanza; e, anche se non avevano alcuna forma di adorazione
pubblica, pare che amassero ed onorassero strettamente la verità. Il
ragazzo ritornò frequentemente nel nostro emisfero, talvolta per la
via da cui ne era uscito e talvolta per altre strade; dapprima in
compagnia ed in seguito da solo; e si fece riconoscere solo da sua
madre, a cui descrisse ciò che aveva visto. Avendole ella chiesto di
portarle un dono d‟oro, di cui tale paese abbondava, mentre giocava
con il figlio del re egli rubò una palla d‟oro con cui era solito
svagarsi e la portò in tutta fretta alla madre, ma non senza
conseguenze: non appena entrò nella casa di suo padre, inciampò
sulla soglia, la palla cadde “e due pigmei la afferrarono, andandosene
e mostrando al ragazzo tutti i segni di disprezzo e derisione.”
Nonostante per un anno intero ci avesse provato, il ragazzo non
riuscì mai più a ritrovare le tracce del passaggio sotterraneo. Si era
abituato al linguaggio dei suoi ospiti, che era molto simile all‟idioma
greco. Quando chiedevano dell‟acqua, essi dicevano Udor forum;
quando volevano del sale, dicevano Halgein udorum (vedi la
traduzione di Sir R. C. Hoare di Giraldus).
Molto simile a questa leggenda medioevale nello spirito, pur
differendo grandemente nel dettaglio, è la storia moderna di Shui
Rhys, narratami da un contadino del Cardiganshire.
Shui era una bellissima ragazza di 17 anni, alta e bella, con una pelle
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come l‟avorio, capelli neri e ricci ed occhi di uno scuro velluto.
Nonostante la sua bellezza, era solo la figlia di un povero contadino e
tra i suoi doveri vi era quello di condurre le mucche alla mungitura.
A lavoro finito, ella era solita bighellonare tristemente, raccogliere
fiori lungo la strada o dare la caccia alle farfalle, oppure divertirsi in
ogni maniera conveniente che la fortuna le offriva. Spesso veniva
rimproverata per questo suo bighellonare e la gente diceva che la
madre di Shui era troppo dura con la ragazza e che non era una cosa
buona che la madre avesse una lingua così amara. Dopotutto, la
ragazza non faceva nulla di male, dicevano. Ma quando una sera
Shui non ritornò a casa fino all‟ora di dormire, lasciando a se stesse
le mucche, dama Rhys le diede un incarico come non le aveva mai
dato prima.
“Ysgwaetheroedd, mami”, disse Shui, “non potevo farci nulla perché
sono stati i Tylwyth Teg.” La dama rimase sbalordita nell‟udire
questo ma non potè rispondere, perché sapeva bene che i Tylwyth
Teg erano stati visti spesso nei boschi di Cardigan. Shui era in un
primo tempo restia a parlare di quelle Fate, ma infine confessò che
erano piccoli uomini in cappotti verdi che avevano danzato intorno a
lei e fatto musica con le loro piccole arpe; e le avevano parlato in un
linguaggio troppo bello per essere ripetuto; invero, ella non era stata
in grado di capire le parole, anche se sapeva bene cosa volevano dirle
le Fate. In seguito, molte volte Shui fece tardi ma ora nessuno la
rimproverava per paura di offendere le Fate. Alla fine, una notte Shui
non tornò più a casa. Allarmati, la cercarono nei boschi ma non ne
trovarono traccia ed ella non venne mai più vista a Cardigan. Sua
madre cercò nei campi di Teir-nos Ysprydion durante le tre notti
dell‟anno in cui è certo che i Folletti siano in giro ma Shui non
ritornò mai più. Un giorno si sparse la voce nel vicinato che Shui
Rhys era stata vista in una grande città in una terra straniera - forse
Parigi o Londra, chissà? Ma questa storia non intaccò minimamente
la triste credenza che le Fate l‟avessero portata via, in quei ben noti
centri di pigrizia e piacere peccaminoso così come in qualunque altro
posto.
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Un vecchio che morì nella parrocchia di san Dogmell,
Pembrokeshire, poco tempo fa (nel 1860) ed aveva circa 100 anni,
era solito dire che l‟intero vicinato era considerato “fou”. Per gli
uomini era una esperienza comune rimanere là per tutta la notte
all‟aperto e, dopo meravigliose avventure e vagabondaggi
inenarrabili, che parevano loro interminabili, scoprire poi all‟alba che
erano vicino alle proprie case. In un caso, un uomo che era stato
portato fuori strada ebbe la fortuna di avere con lui un certo numero
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di steli di luppolo e, mentre stava vagando sotto l‟influsso del
fantasma che lo stava illudendo, fu abbastanza furbo da lasciare
cadere a terra gli steli uno ad uno, così da potere il giorno seguente
rintracciare i suoi vagabondaggi. Quando venne la luce e cominciò a
cercare gli steli di luppolo, scoprì che erano sparsi per miglia di
campagna. Un‟altra volta, un pescatore di san Dogmell stava
tornando a casa da un matrimonio a Moelgrove ed era molto buio; le
Fate lo portarono fuori strada ma dopo poche ore egli ebbe la fortuna
(che Sir John Franklin avrebbe potuto invidiargli) di “scoprire il Polo
Nord” e grazie a questo punto di segnalazione fu in grado di pilotare
la sua imbarcazione vacillante al porto sicuro della sua stessa soglia.
Si dice persino, con molta serietà, che un severo e dignitoso prete,
non più negli anni verdi della vita ma molto anziano, una notte venne
costretto ad unirsi alla magica danza di san Dogmell ed a danzare
fino quasi all‟alba. Su questo racconto mancano dettagli specifici ma
non vi è dubbio che siano stati gli Ellyllon a condurre tutta questa
gente fuori strada ed a mettere nelle loro teste un cappello di oblio
che ha impedito loro di raccontare chiaramente le loro avventure.
La danza e la musica giocano un ruolo importante nelle storie di
questo tipo. Le Fate gallesi molto spesso danzano assieme quando
vengono viste. Cercano di coinvolgere i mortali a danzare con loro e,
quando qualcuno lo fa, è più che probabile che non ritornerà dai suoi
amici per lungo tempo. Edmund William Rees, di Aberystruth, venne
portato via in tal modo dalle Fate e ritornò alla fine dell‟anno con un
aspetto orribile. Ma non riuscì a fornire un racconto molto chiaro di
quello che gli era capitato, disse solo che aveva danzato. Questa è
una cosa comune in questi casi: o essi non erano in grado o non
osavano parlare delle proprie esperienze.
Due servi di fattoria di nome Rhys e Llewellyn stavano tornando a
casa dal lavoro una sera al tramonto quando Rhys urlò che aveva
udito la musica fatata. Llewellyn non sentiva niente ma Rhys disse
che era una melodia a cui aveva danzato un centinaio di volte e lo
avrebbe fatto anche ora. “Vai avanti”, disse, “ed io ti raggiungerò.”
Llewellyn obiettò ma Rhys smise di ascoltarlo, balzò via e lasciò che
Llewellyn tornasse a casa da solo, cosa che fece credendo che Rhys
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si fosse semplicemente allontanato a far baldoria e sarebbe ritornato
a casa ubriaco prima dell‟alba. Ma l‟alba arrivò e Rhys no. Invano
vennero fatte delle ricerche ma nessuna traccia fu trovata. Il tempo
passò, i giorni divennero mesi ed alla fine i sospetti caddero su
Llwewllyn e si pensò che avesse ucciso Rhys. Venne quindi messo in
prigione. Un contadino venne a conoscenza di questa storia e,
sospettando cosa fosse accaduto, propose che lui ed una compagnia
di vicini andassero con il povero Llewellyn nel punto in cui aveva
visto per l‟ultima volta Rhys. Arrivati nel luogo, “Hush”, gridò
Llewellyn, “sento della musica! Sento la dolce musica delle arpe!”
Tutti ascoltarono ma non udirono nulla. “Metti il tuo piede sul mio,
David,” disse Llewellyn ad uno della compagnia; il suo piede era sul
ciglio esterno di un anello fatato mentre parlava. David mise il suo
piede sopra e tutti, uno dopo l‟altro, fecero lo stesso; ed udirono
quindi il suono di molte arpe e videro all‟interno di un cerchio di
circa venti piedi moltissime piccole persone che danzavano in
cerchio. E là era Rhys, che danzava come un pazzo! Mentre egli si
avvicinava roteando, Llewellyn lo afferrò e lo trasse fuori dal
cerchio. “Dove sono i cavalli? Dove sono i cavalli?” urlò Rhys in
maniera eccitata. “Cavalli, proprio!” lo derise Llewellyn,
grandemente disgustato; “Wfft! Vai a casa. Cavalli!” Ma Rhys disse
che voleva danzare ancora e che era lì da soli cinque minuti.
Llewellyn disse: “Sei rimasto lì abbastanza a lungo da farmi quasi
impiccare, comunque.” Finalmente lo portarono a casa ma egli non
fu mai più lo stesso uomo e dopo poco tempo morì.
Nella grande maggioranza di queste storie, il protagonista muore
immediatamente dopo il rilascio dalla schiavitù delle Fate - in alcuni
casi con una subitaneità ed una completezza di oblio tanto terribili
quanto spaventose. La storia che segue, ben nota in Carmarthenshire,
presenta con molta forza questo dettaglio.
Vi era un certo contadino che, uscendo presto una mattina per andare
a portare i suoi cavalli al pascolo, udì suonare delle arpe.
Guardandosi attentamente in giro alla ricerca della fonte di quella
musica, vide una compagnia di Tylwyth Teg che saltellava
allegramente in un “corelw”. Decidendo di unirsi alla loro danza e di
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coltivare la loro conoscenza, il contadino entrò nel cerchio fatato.
Mai uomo portò risoluzione a compimento tanto a fondo perché, una
volta cominciata la ree, egli non fu in grado di fermarsi per diversi
anni. Ed anche allora egli non avrebbe potuto essere liberato se un
giorno non fosse passato per caso un uomo presso quel luogo
solitario, così vicino al cerchio da vedere il contadino che danzava.
“Duw catto ni!” gridò l‟uomo. “Dio ci salvi! Ma questo è un tipo
allegro. Hai, holo! Uomo, in nome del cielo, cosa fai così
vivacemente?” Questa domanda, in cui era stato pronunciato il nome
del cielo, spezzò l‟incantesimo che era sul contadino, che parlò come
in sogno: “O dyn!” gridò. “Che ne è stato dei cavalli?” Quindi uscì
dal cerchio fatato ed istantaneamente si sgretolò e la sua polvere si
mescolò alla terra.
Una storia simile si racconta in Carnarvon ma senza la danza fatata
ed una figura pia sostituita, cosa che aiuta ad indicare l‟antichità di
questo tipo di leggenda, dimostrando che si trattava di una adozione
monacale di una storia precedente.
Vicino a Clynog, nel Carnarvonshire, vi è un luogo chiamato Llwyn
y Nef (il Cespuglio del Paradiso) che ebbe il suo nome in questo
modo: a Clynog viveva un monaco dalla vita molto devota che
desiderava essere portato in paradiso. Una sera, mentre camminava
presso la riva del fiume fuori dal monastero, si sedette sotto ad un
albero verde e cadde in un profondo languore, che divenne sonno ed
egli dormì per migliaia di anni. Alla fine udì una voce che lo
chiamava: “Dormiente, svegliati ed alzati!” Egli si svegliò. Tutto gli
pareva estraneo eccetto il vecchio monastero, che guardava ancora
verso il fiume. Andò al monastero e venne accolto; chiese un letto
per riposarsi e lo ottenne. La mattina seguente, quando i fratelli lo
cercarono, non trovarono nel letto altro che una manciata di ceneri.
(Cymru Fu, 188)
E così, nella storia monacale dei cinque santi che dormono nella
caverna di Caio riappare la leggenda dei guerrieri dormienti di Artù
sotto Craig-y-Ddinas.
In Mathavarn, vicino a Llanwrin ed al Cantref di Cyfeillioc, è attuale
una tradizione riguardante un certo bosco chiamato Ffridd yr Yen (la
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Foresta del Tasso), che viene chiamato in tal modo a causa di un
tasso magico che cresce esattamente al centro della foresta. Sotto
quell‟albero vi è un cerchio fatato chiamato “Il Luogo di Danza del
Folletto”. Vi sono diversi cerchi fatati nella Foresta del Tasso ma
quello sotto al tasso al centro ha una leggenda che vi è connessa:
molti anni or sono due servi di fattoria, i cui nomi erano Twm e Iago,
uscirono un giorno per andare a lavorare nella Foresta del Tasso. Nel
primo pomeriggio il paese venne ricoperto da una nebbia talmente
densa che i giovani pensarono che il Sole stesse tramontando e si
prepararono a tornare a casa. Quando però giunsero al tasso al centro
della foresta, improvvisamente trovarono tutto luminoso intorno a
loro. Pensarono quindi che fosse troppo presto per andare a casa e
decisero di sdraiarsi sotto il tasso e fare un pisolino. Dopo un poco,
Twm si svegliò e scoprì che il suo compagno era scomparso. Ne fu
molto sorpreso ma concluse che Iago era andato al villaggio per una
commissione di cui stavano parlando prima di addormentarsi. Così
Twm andò a casa ed a tutte le domande che riguardavano Iago
rispondeva: “E‟ andato dal calzolaio al villaggio.”
Ma, il mattino seguente, Iago era ancora assente e Twm venne
interrogato severamente su quanto era accaduto al suo compagno.
Allora egli confessò che si erano addormentati sotto il tasso dove vi
era il cerchio fatato e da quel momento non aveva più visto Iago. Lo
cercarono per tutta la foresta e nell‟intera contea per molti giorni;
infine, Twm andò da un gwr cyfarwydd (un mago), cosa comune a
quei tempi, dice la leggenda. Il mago gli diede questo consiglio: “Vai
nello stesso luogo in cui tu ed il tuo amico avete dormito. Vai là
esattamente un anno dopo la scomparsa del ragazzo. Che sia lo stesso
giorno dell‟anno e lo stesso tempo ma fai attenzione a non entrare nel
cerchio fatato. Rimani al confine del cerchio verde che hai visto là ed
il ragazzo verrà fuori a danzare con molti dei Folletti. Quando lo
vedrai così vicino a te da poterlo afferrare, strappalo con forza fuori
dal cerchio più velocemente che puoi.”
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Queste istruzioni vennero seguite; Iago apparve, danzando nel
cerchio con i Tylwyth Teg, e venne prontamente trascinato fuori.
“Duw! Duw!” gridò Tom. “Come sembri pallido ed esangue! E non
hai fame?” “No,” disse il ragazzo, “e, se ne avessi, non ho forse qui
nella mia borsa degli attrezzi i resti del pasto che ho mangiato prima
di addormentarmi?” Ma, quando guardò nella borsa, il cibo non
c‟era. “Beh, dev‟essere ora di andare a casa”, disse con un sospiro,
perché egli non sapeva che era trascorso un anno. Sembrava uno
scheletro e, non appena ebbe gustato del cibo, egli marcì.
Taffy ap Sion, il figlio del ciabattino che viveva vicino a Pencader,
nel Carmerthenshire, era un ragazzo che molti anni or sono entrò nel
cerchio fatato sulla montagna vicina e, avendo danzato alcuni minuti,
o così credeva, tentò di uscirne. Rimase quindi meravigliato nello
scoprire che il paesaggio che gli era così familiare gli era ora
estraneo. Vi erano strade e case che non aveva mai visto ed al posto
dell‟umile cottage del padre vi era ora una bella fattoria di pietra.
Davanti a lui vi erano campi amorevolmente coltivati invece della
nuda montagna cui era abituato. “Ah,” pensò “questo è un qualche
trucco delle Fate per illudere i miei occhi. Non sono passati dieci
minuti da quando sono entrato in quel cerchio ed ora che ne sono
uscito hanno costruito a mio padre una nuova casa! Bene, spero solo
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che sia vera; comunque, andrò a vedere.! Così si incamminò per una
strada che conosceva d‟istinto ed all‟improvviso andò a sbattere
contro una barriera molto solida. Si sfregò gli occhi, sentì
nuovamente la barriera di siepe, prese tra le dita una spina e gridò:
“Wbwb! Non è comunque una siepe fatata né, dall‟età delle spine, è
cresciuta nel giro di pochi minuti.” Così, egli vi salì sopra e vi
camminò. “Io sono nato qui,” disse mentre entrava nell‟aia,
guardandosi follemente intorno, “e non vi è una sola cosa che io
riconosca!” La sua meraviglia fu completa quando gli corse incontro
un enorme cane, che abbaiava furiosamente. “Chi è questo cane? Vai
via, brutto cattivo! Non sai che io sono il padrone, qui? O almeno,
quando la madre è del posto, perché il padre non conta.” Ma il cane
abbaiò solo più furiosamente. “Di certo” mormorò Taffy tra sé e sé
“ho perso la strada e sto vagando in qualche luogo dei dintorni a me
sconosciuto; ma no, ecco là il Careg Hir!” e rimase a guardare la
pietra eretta che portava quel nome e che tuttora è sulla montagna a
sud di Pencader e si crede sia stata posta lì in tempi antichi per
commemorare una vittoria. Mentre Taffy era fermo a guardare la
Long Stone, udì dei passi provenire da dietro di lui e, voltatosi, vide
l‟occupante della fattoria, che era uscito per vedere come mai il suo
cane stesse abbaiando. Il povero Taffy era così logoro e pallido da
conquistare il cuore gallese del contadino, che lo prese subito in
simpatia. “Chi sei, pover‟uomo?” gli chiese. E Taffy rispose: “Io so
chi sono, ma non so chi sono ora. Ero il figlio del ciabattino che
viveva in questo posto questa mattina, perché quella roccia, anche se
è cambiata un poco, la conosco troppo bene!” “Povero ragazzo”,
disse il contadino, “hai perso la testa. Questa casa è stata costruita dal
mio bisnonno, riparata da mio nonno e quella parte là, che sembra
costruita da poco, venne fatta tre anni or sono a mie spese. Devi
essere sconvolto o avere perduto la strada; ma entra e rinfrescati con
un poco di cibo e di riposo.” Taffy si era quasi convinto di avere
dormito troppo e di avere smarrito la strada ma, guardando indietro,
vide la roccia già citata ed esclamò: “Un‟ora fa ero su quella roccia
che stavo derubando il nido di un falco.” “Dove sei stato dopo?”
Taffy narrò la sua avventura. “Ah,” disse il contadino “ora capisco
cos‟è successo - sei stato con le Fate. Per favore, chi era tuo padre?”
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“Sion Evan y Crydd di Glanrhyd”, fu la risposta. “Non ne ho mai
sentito parlare,” disse il contadino, scuotendo la testa, “né ho mai
sentito parlare di un posto come Glanrhyd; ma non importa, dopo che
avrai mangiato qualcosa andremo da Catti Shon, a Pencader, che sarà
probabilmente in grado di dirci qualcosa.” Ciò detto, fece cenno a
Taffy di seguirlo e se ne andò; udendo, però, il suono dei passi dietro
di lui farsi sempre più debole, si voltò e vide con orrore il povero
ragazzo sbriciolarsi in un istante in un ditale di cenere nera. Il
contadino, pur terrificato da questa visione, mantenne calma
sufficiente per andare a trovare la vecchia Catti di cui aveva parlato,
che viveva a Pencader, lì vicino. La trovò accoccolata sopra un fuoco
di fascine, cercando di riscaldare le sue vecchie ossa. “E come va,
oggi, Catti Shon?” chiese il contadino. “Ah,” disse la vecchia Catti,
“sto meravigliosamente bene, contadino, considerato quanto sono
vecchia.” “Sì, sì, sei molto vecchia. Ora, siccome sei così vecchia,
lascia che ti chieda: ricordi qualcosa su Sion y Crydd o Glanrhyd?
Sai se c‟è mai stato qualcuno con quel nome?” “Sion Glanrhyd? Oh!
Ricordo vagamente di avere sentito dire da mio nonno, il vecchio
Evan Penferdir, che il figlio di Sion si era perso una mattina ed in
seguito non se ne è più sentito parlare, così venne detto che era stato
preso dalle Fate. La capanna di suo padre era da qualche parte vicino
alla tua casa.” “C‟erano molte Fate a quel tempo?” chiese il
contadino. “Oh, sì; venivano viste spesso su quella collina e mi
dissero che in seguito videro Pant Shon Shenkin mangiare un budino
di gusci d‟uovo che aveva rubato da una fattoria della zona.” “Dir
anwyl fi!” gridò il contadino; “me caro! Ora ricordo - le ho viste
anch‟io!”
Pant Suon - Sion e Shon sono la stessa parola, proprio come i nostri
Smith e Smyth. Dove vi sono così pochi nomi personali come in
Galles, anche se io non cambierei una sola lettera per rendere i
protagonisti di una storia più distinti, questo accade forse per
incoraggiare eccentricità di pronuncia. Shenkin, dobbiamo
sottolineare, era un posto famoso per le Fate del Carmarthenshire. Le
tradizioni locali in merito sono numerose. Tra le più strane, vi è
quella di una donna che catturò una volta una Fata sulla montagna
vicino a Pant Shon Shenkin ed essa rimase a lungo in sua custodia,
72
mantenendo sempre la stessa altezza e dimensione, ma alla fine
riuscì a fuggire.
Un‟altra curiosa tradizione dice che tanto tempo fa, un lunedì di
Pasqua, quando i parrocchiani di Pencarreg e Caio si erano incontrati
per giocare a football, videro una numerosa compagnia di Tylwyth
Teg che danzava. Essendo così tanti, i giovani non ne furono affatto
intimiditi ma avanzarono tutti insieme verso la sparuta tribù che,
sentendoli, si trasferirono in un altro luogo. I giovani li seguirono ed
il piccolo popolo apparve improvvisamente danzando nel primo
posto. Al vedere questo, gli uomini si divisero e li circondarono, ma
essi divennero immediatamente invisibili e non vennero mai più visti
in quel luogo.
L‟ignoranza di quello che accadeva nel cerchio fatato non è una
caratteristica invariabile delle leggende come quelle che abbiamo
osservato. Nella storia di Tudur di Llangollen, conservata da diversi
antichi scrittori gallesi, le esperienze del protagonista vengono rese
con dettagli molto vivaci. Il luogo in cui si svolge questa storia è una
valletta vicino a Llangollen, sul fianco della montagna a mezza
strada dalle rovine di Dinas Bran Castle, la cui valletta viene
chiamata Nant yr Ellyllon. Essa deve il suo nome, secondo la
tradizione, a questa circostanza:
un giovane uomo di nome Tudur ap Einion Gloff era solito un tempo
pascolare le pecore del suo padrone in quella valletta. Una notte
d‟estate, quando Tudur si stava preparando a ritornare in pianura con
il suo seguito lanoso, apparve improvvisamente, arroccato su una
roccia vicino a lui, “un piccolo uomo con calzoni color muschio ed
un violino sotto il braccio. Era il più minuscolo esemplare di umano
immaginabile. Il suo cappotto era fatto di foglie di betulla e sulla
testa indossava un elmetto consistente in un fiore di ginestra, mentre
i piedi erano incassati in scarpe fatte con ali di coleottero. Lui faceva
muovere le dita sopra lo strumento e la musica fece drizzare i capelli
a Tudur.” “Nos da‟ch‟, nos da‟ch‟”, disse il piccolo uomo, che
significa “Buonanotte, buonanotte a te” in Inglese. “Ac i chwithau”,
rispose Tudur, che in Inglese significa “Lo stesso a te”. Quindi il
piccolo uomo continuò: “Tu ami molto danzare, Tudur, e se ti
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fermerai un poco vedrai alcuni tra i migliori danzatori del Galles ed
io sono il musicista.” Disse Tudur: “Allora dov‟è la tua arpa? Un
Gallese non può danzare senza un‟arpa.” “Oh”, disse il piccolo
uomo, “posso fare della musica migliore per danzare sul mio
violino.” “Chiami violino quel cucchiaio di legno con le corde che
hai in mano?” chiese Tudur, perché non aveva mai visto prima uno
strumento del genere. Ed ora Tudur guardò attraverso la bruma e
vide centinaia di piccoli spiritelli che stavano convergendo verso il
luogo in cui lui era da tutte le parti della montagna. Alcuni erano
vestiti in bianco ed altri in blu, altri in rosa ed altri portavano in
mano delle lucciole come fonte di luce. E procedevano così
lievemente che non un filo d‟erba né un fiore veniva schiacciato dal
loro peso ed ognuno di loro faceva una riverenza o un inchino a
Tudur mentre passava e Tudur si toglieva il cappello e si inchinava
verso di loro in risposta. In un attimo, il piccolo menestrello fece
scorrere l‟archetto sulle corde del suo strumento e la musica prodotta
era così incantevole che Tudur rimase pietrificato sul posto. Al suono
della dolce melodia, i Tylwyth Teg si disposero in gruppi e
cominciarono a danzare. Ora, di tutte le danze che Tudur aveva mai
visto nessuna poteva essere paragonata a quella che si svolse in quel
momento. Egli non poteva evitare di tenere il tempo di quell‟allegra
musica con le mani ed i piedi ma non osò unirsi alla danza “perché
pensò dentro di sé che danzare su una montagna di notte in una
strana compagnia al suono del violino magari del diavolo poteva non
essere la via più diretta verso il paradiso.” Ma alla fine scoprì che
non c‟era modo di resistere a questa musica stregante e si unì allo
spettacolo dei saltellanti Ellyllon.” “Evviva, dunque”, urlò Tudur
mentre lanciava il cappello in aria sotto l‟impulso della piacevole
eccitazione. “Continua a suonare, vecchio diavolo; zolfo e acqua, se
vuoi!” Non appena ebbe pronunciate queste parole, tutto subì un
cambiamento. Il cappello di ginestra svanì dalla testa del menestrello
ed al suo posto si ramificarono un paio di corna da capra. Il suo volto
divenne nero come fuliggine, una lunga coda crebbe dal cappotto
frondoso, mentre piedi fessi rimpiazzavano le scarpe di ali di
coleottero. Il cuore di Tudur era pesante ma i suoi tacchi erano
leggeri. Nel petto aveva l‟orrore ma l‟impeto del movimento era nei
74
suoi piedi. Le Fate mutarono in una varietà di forme. Alcune
divennero capre, altre divennero cani, altre assunsero la forma di
volpi ed altre quella di gatti. Era la squadra più strana che avesse mai
circondato essere umano. La danza divenne infine così furiosa che
Tudur non fu più in grado di comprendere distintamente le forme
della danza. Essi gli giravano intorno con tale velocità da sembrare
quasi una ruota di fuoco. E Tudur continuava a danzare. Non riusciva
a fermarsi, il violino del diavolo era troppo per lui, mentre la figura
con le corna di capra continuava a suonare con incessante vigore e
Tudur continuava a volteggiare e girare su se stesso nonostante non
volesse.
Il giorno seguente, il padrone di Tudur salì sulla montagna in cerca
del pastore perduto e delle sue pecore. Trovò le pecore ai piedi del
Fron, ma grande fu la sua meraviglia quando, salendo ancora, vide
Tudur girare su se stesso come un pazzo al centro della conca ora
nota come Nant yr Ellyllon. Alcune devote parole del padrone
spezzarono l‟incantesimo ed egli riportò Tudur a casa sua a
Llangollen, dove narrò le sue avventure con grande gusto per molti
anni a seguire. (Rev.T.R.Lloyd (Estyn) in The Principality)
Polly Williams, una brava donna nata nella parrocchia di Trefethin e
che viveva allo Ship Inn, Pontypool, Monmouthshire, era solita dire
che quand‟era bambina danzava con i Tylwyth Teg. La prima volta
fu quando stava tornando un giorno a casa da scuola. Vide le Fate
che danzavano in un luogo piacevole ed asciutto sotto un albero e,
pensando che fossero bambini come lei, andò da loro ed essi la
indussero a danzare con loro. Ella li portò in un fienile vuoto e
danzarono là assieme. Dopo questo, durante un periodo di tre o
quattro anni ella li incontrò spesso e danzò con loro mentre andava a
scuola o ne tornava. Non fu mai in grado di udire il suono dei loro
piedi e, avendo saputo che si trattava di Fate, si tolse anch‟ella i suoi
ffollachau (zoccoli) in modo che anche lei potesse non fare rumore,
temendo che il suono degli zoccoli non fosse loro gradito. Essi erano
tutti vestiti con vesti blu e verdi e, sebbene così piccoli, ella poteva
vedere dai loro volti maturi che non erano bambini. Una volta in cui
andò a casa a piedi nudi dopo aver danzato con le Fate, venne
sgridata per essere andata a scuola in quelle condizioni; ma lei
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rimase zitta in merito alle Fate per paura di avere dei guai e non parlò
mai di loro fin quando non fu adulta. Dopo tre o quattro anni,
tuttavia, ella smise di andare a danzare con loro e questo dispiacque
loro. Essi cercarono di persuaderla a tornare con loro e, siccome ella
non tornava, la ferirono lussandole “una delle membra con cui
camminava” (Jones, Apparitions) che, come eufemismo per indicare
le gambe, sorpassa qualunque accusa di pudicizia fatta agli
americani.
Contrasta fortemente con questo racconto di un testimone moderno
la vivace descrizione della vita delle Fate contenuta nella leggenda
delle Fate di Frennifawr.
A circa dieci miglia a sud di Cardigan vi è la montagna del
Pembrokeshire chiamata Frennifawr, che è il luogo in cui si svolge
questa storia. Il garzone di un pastore stava facendo pascolare le sue
pecore sulle piccole montagne chiamate Frennifach per guardare la
nebbia - perché se la nebbia su quelle montagne riposa sul lato del
Pembrokeshire vi sarà bel tempo, se sul lato del Cardiganshire
tempesta - quando vide i Tylwyth Teg con l‟aspetto di piccoli soldati
che danzavano in un cerchio. Si incamminò verso la scena di questa
baldoria e ben presto si avvicinò all‟anello dove, in allegra
compagnia di maschi e femmine, stavano danzando al suono
dell‟arpa. Egli non aveva mai visto persone così belle né così
incantevolmente allegre. Con volti sorridenti essi lo invitarono ad
unirsi a loro mentre si chinavano all‟indietro quasi cadendo,
volteggiando in cerchio con le mani unite tra loro. Coloro che
stavano danzando non deviavano mai dal perfetto circolo ma alcuni
si arrampicavano sul vecchio cromlech ed altri si davano la caccia
con sorprendente velocità e il più grande giubilo. Altri ancora
cavalcavano dei piccoli cavalli bianchi dalle forme bellissime; questi
cavalieri erano piccole dame ed i loro abiti erano indescrivibilmente
eleganti, sorpassavano il Sole in radianza ed erano di vari colori,
alcuni di un bianco luminoso ed altri dello scarlatto più vivace. I
maschi portavano dei cappelli a tricorno e le dame un copricapo
fantastico che ondeggiava al vento. Tutto questo avveniva in
silenzio, perché il pastore non potè udire le arpe, nonostante le
76
vedesse. Si avvicinò dunque al circolo ed infine si azzardò a mettere
piede nel magico anello. Nel medesimo istante in cui lo fece, le sue
orecchie furono incantate con la musica più melodiosa che avesse
mai udito. Mosso dal trasporto che questa seducente armonia
produceva in lui, entrò pienamente nel cerchio. Non appena vi fu
dentro, si trovò in un palazzo scintillante di oro e perle. Ogni sorta di
bellezza lo circondava ed ogni varietà di piacere gli venne offerta.
Egli ebbe la libertà di andare dove voleva ed ogni suo movimento era
seguito da giovani donne dalle amabili sembianze. E nessuna lingua
poteva narrare le gioie del festeggiamento che erano in lui. Invece
del tatws-a-llaeth (patate e burro) cui era abituato fino ad allora,
ecco che vi erano uccelli e carni di ogni specie, serviti su piatti
d‟argento. Invece del cwrw fatto in casa, l‟unica bevanda inebriante
che avesse mai assaggiato nella vita reale, qui vi erano vini rossi e
bianchi dal sapore meraviglioso, serviti in calici d‟oro riccamente
incastonati di gemme. Le cameriere erano bellissime vergini e vi era
abbondanza di tutto. Vi era una sola restrizione alla sua libertà: non
doveva vere per nessun motivo da una certa fonte nel giardino, in cui
nuotavano pesci di ogni colore, compresi pesci di colore oro.
Ogni giorno gli venivano offerte nuove gioie per il suo divertimento,
nuove scene di bellezza gli venivano svelate, nuovi volti si
presentavano, se possibile ancora più amabili di quelli fino ad allora
incontrati. Tutto veniva fatto per compiacerlo ma, un giorno, tutta la
sua felicità svanì in un istante. Possedendo ogni gioia che un mortale
possa desiderare, egli desiderò l‟unica cosa proibita - come Eva nel
giardino, come Fatima nel castello; la curiosità lo rovinò. Egli
immerse la mano nella fonte e tutti i pesci scomparvero
istantaneamente. Portò l‟acqua alla bocca: un grido confuso percorse
il giardino. Bevve: il palazzo e tutto il resto svanirono dalla sua vista
ed egli rimase tremante all‟aria della notte, solo sulla montagna,
nello stesso luogo dove era per la prima volta entrato nel cerchio.
(Cambrian Superstitions, 148 - si tratta di una piccola raccolta di
storie gallesi stampata a Tipton nel 1831 ed ora rara; il suo autore fu
W. Howells, un ragazzo di diciannove anni, e la sua opera venne
pescata a poco prezzo dall‟Arcidiacono Beynon grazie ad un giornale
di Carmarthen nel 1830. Il suo Inglese richiede un rimaneggiamento
77
ma il suo materiale è prezioso.)
Probabilmente non sono necessari commenti sulla somiglianza tra
queste storie e le più note leggende di altre terre; ogni lettore che
abbia familiarità con questa materia del folklore la riconoscerà. Per
coloro che non hanno, invece, questa familiarità, basti dire che
questa somiglianza esiste ed offre una ulteriore testimonianza della
origine comune di tali storie in un passato remoto. La leggenda or
ora riportata personifica la caratteristica di curiosità che è familiare
nella storia di Barbablu ma ha le sue radici nella storia di Psiche. Ad
essa era vietato vedere il proprio sposo Eros, Dio dell‟amore; ella
disobbedì all‟ingiunzione ed il bellissimo palazzo in cui aveva
dimorato con lui svanì in un istante, lasciandola sola in un luogo
desolato.
Molto tempo dopo la storia di Psiche, tuttavia, ecco arrivare la
leggenda che impersona l‟originale mito ariano. La goccia d‟olio che
cade sulla spalla del principe dormiente e lo sveglia, rivelando la
curiosità di Psiche e distruggendo la sua felicità, ha un parallelo tra i
Gallesi con l‟unzione magica della leggenda del Padrone dei Diavoli.
Possiamo premettere che questa leggenda è nota anche in Francia e
Germania, dove differisce un poco nei dettagli rispetto a quella qui
fornita:
Una rispettabile giovane del Galles della classe lavoratrice, che
viveva con i genitori, un giorno andò ad una fiera. Là venne
“avvicinata da un gentiluomo dall‟aspetto molto nobile tutto vestito
di nero, che le chiese se ella avrebbe voluto fare la bambinaia e
prendersi cura dei figli di lui. Ella rispose che non aveva obiezioni
quando l‟uomo le promise una forte ricompensa e disse che l‟avrebbe
portata a casa con sé ma che lei avrebbe dovuto acconsentire ad
essere bendata prima dell‟inizio del viaggio. Fatto questo, la donna
montò dietro di lui su una cavalcatura nera come il carbone e
partirono a grande velocità. Dopo del tempo smontarono ed il suo
nuovo padrone la prese per mano e la condusse, sempre bendata, per
una distanza considerevole. Il fazzoletto venne quindi tolto ed ella
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vide più lusso di quanto ne avesse mai visto prima: un palazzo
bellissimo illuminato da più luci di quanto potesse contare e
numerosi bambini piccoli belli come angeli ed anche molte dame e
gentiluomini dall‟aspetto nobile. Il padrone affidò i bambini alle sue
cure e le diede una scatola contenente un unguento che ella avrebbe
dovuto porre sui loro occhi. Allo stesso tempo, le diede l‟ordine di
lavare sempre le mani immediatamente dopo avere usato l‟unguento
e di fare particolarmente attenzione a non lasciare mai che anche solo
un poco di esso toccasse i suoi occhi. Queste ingiunzioni vennero
seguite alla lettera ed ella fu per qualche tempo molto felice.
Tuttavia, talvolta pensava che fosse strano che essi vivessero sempre
alla luce delle candele e si domandava anche se le dame ed i
gentiluomini così fini che vivevano in quel palazzo, per quanto bello
fosse, non desiderassero mai lasciarlo.
Una mattina, mentre metteva l‟unguento sugli occhi dei bambini, le
79
venne prurito ad un occhio e, dimenticando gli ordini del padrone, se
ne toccò un angolo con il dito sporco di unguento. Immediatamente,
con la visione dell‟angolo di quell‟occhio ella si vide circondata da
spaventose fiamme, le dame ed i gentiluomini apparivano come
diavoli ed i bambini sembravano i più orribili demoliteti dell‟inferno.
Nonostante con le altre parti dei suoi occhi ella vedesse tutta la
bellezza ed il lusso di prima, non potè impedirsi di essere molto
spaventata; avendo però grande presenza di spirito, non fece capire a
nessuno il suo allarme. Colse tuttavia la prima occasione per
chiedere al suo padrone il permesso di andarsene a trovare i suoi
amici. Egli disse che l‟avrebbe portata ma avrebbe dovuto consentire
nuovamente ad essere bendata. Venne dunque posto un fazzoletto sui
suoi occhi ed ella montò nuovamente dietro al suo padrone e venne
riportata in breve vicino alla sua casa. Si credeva che ella sarebbe
rimasta là tranquilla e che non avrebbe assolutamente voluto
ritornare a casa sua; molti anni dopo, ad una fiera, ella vide un uomo
rubare qualcosa da una bancarella e, con l‟angolo di un occhio, vide
il suo vecchio padrone premere il proprio gomito. Senza pensarci,
disse: “Come state, padrone?” Come stanno i bambini?” Egli disse:
“Come fai a vedermi?” Ella rispose: “Con l‟angolo del mio occhio
sinistro.” Da quel momento ella divenne cieca dall‟occhio sinistro e
visse molti anni con solo il destro.” (Camb. Sup., 349) Una storia più
antica mantiene questo dettaglio mitico nella storia di Taliesin. Gli
occhi di Gwion Bach vengono aperti da una goccia che cade sul suo
dito dal calderone di Caridwen, dito che egli si mette in bocca.
Una tradizione del Carmarthenshire cita tra coloro che sono vissuti
per un periodo tra i Tylwyth Teg niente meno che il traduttore in
Gallese del libro di Buna “Pilgrim‟s Progress”. Egli veniva chiamato
Iago ap Dewi e viveva nella parrocchia di Llanllawddog. Rimase
assente dalla zona per un lungo periodo e tra i contadini si credeva
che Iago “fosse uscito dal letto una notte per guardare il cielo
stellato, come era solito fare (essendo l‟astrologia uno dei suoi studi
preferiti), e, mentre era così intento, le Fate (che erano solite
ritrovarsi in un bosco vicino), che passavano di lì, se lo portarono via
ed egli dimorò con loro per sette anni. Al suo ritorno gli venne
80
chiesto da molti dove fosse stato ma egli evitò sempre di dare loro
risposta.”
Il vasto campo di interesse aperto dalle storie di questo genere è
affascinante per gli studiosi di mitologia fatata. L‟intero mondo
appare essere teatro di queste storie ed i raccoglitori del folklore di
molte terre hanno preteso di avere scoperto “l‟originale” su cui si
basa la storia di Rip van Winkle. E‟ grazie al genio americano, cui
non posso evitare di alludere, che di tutte queste leggende nessuna
abbia raggiunto una fama tale come quella che Washington Irving ha
dato alla nostra letteratura e Joseph Jefferson al nostro periodo. E‟
più che probabile che Irving abbia tratto la sua ispirazione da Grimm
e che i Catskills siano in debito con le Hartz Mountains della
Germania per la loro fama romantica. Ma infinite sono le leggende in
cui appare questo insospettato intervallo temporale tra le creature
sovrannaturali ed il ritorno a casa per trovare tutto mutato. In Grecia
è Epimenide il poeta che, alla ricerca di una pecora smarrita, vaga in
una caverna, dove si addormenta per quarantasette anni. Le leggende
gaeliche e teutoniche sono ben note. Ma ancor più grande è la nostra
meraviglia alla vitalità di questo mito quando lo ritroviamo in Cina
ed in Giappone.
Nel racconto giapponese, un giovane uomo pescava nella sua barca
sull‟oceano quando venne invitato dalla Dea del mare nella sua
dimora sotto le onde. Dopo tre giorni, egli esprime il desiderio di
vedere la sua vecchia madre ed il suo vecchio padre. Alla partenza,
ella gli dona un cofanetto d‟oro ed una chiave ma lo avverte di non
aprirlo mai. Al villaggio dove viveva, egli scopre che tutto è mutato e
non riesce a trovare traccia dei suoi genitori fin quando una vecchia
ricorda di avere sentito i loro nomi. Egli trova le loro tombe vecchie
di cento anni. Pensando che tre giorni non potessero avere prodotto
un tale cambiamento e di essere sotto un incantesimo, egli apre il
cofanetto. Ne fuoriesce un vapore bianco e, sotto il suo influsso, il
giovane cade a terra. I suoi capelli diventano grigi, la sua figura
perde la giovinezza ed in pochi istanti egli muore di vecchiaia. La
leggenda cinese parla di come due amici, che stavano camminando
tra i burroni delle loro montagne native alla ricerca di erbe
81
medicinali, giungono ad un ponte fatato dove due fanciulle di una
bellezza ultraterrena sono di guardia. Esse li invitano alla terra fatata
che vi è dall‟altra parte del ponte e, accettato l‟invito, essi si
innamorano delle fanciulle e passano quello che pare loro un breve
ma felice periodo con il popolo fatato. Alla fine, essi desiderano
rivedere le loro case terrene e viene loro permesso di ritornarvi, ma
scoprono che sono vissute e morte sette generazioni durante la loro
apparentemente breve assenza e che loro stessi sono divenuti
centenari. (Dennys, Folk-Lore of China, 98) In Cina, come altrove,
questa leggenda prende diverse forme.
82
VII
La musica delle Fate
Gli uccelli incantati - La leggenda di Shon ap Shenkin - La
musica dell’arpa nelle storie di Fate gallesi - La leggenda
dell’arpa magica - Canzoni e melodie dei Tylwyth Teg - La
leggenda di Iola ap Hugh - L’origine mistica di una vecchia aria
gallese
In quei rari casi dove non è la danza a trattenere la vittima dei
Tylwyth Teg nel suo fascino fatale, il seduttore è la musica. Vi è una
classe di storie tuttora comuni in Galles in cui vengono preservate
meravigliose vestigia della mitologia primeva. Nel vasto terreno
mediano tra il nostro periodo e le epoche preistoriche, incontriamo
più di una volta l‟amabile leggenda degli Uccelli di Rhiannon, che
cantavano così dolcemente che i guerrieri si fermavano ad ascoltarli
incantati per otto anni. Questa leggenda appare nel Mabinogi di
“Branwen, figlia di Llyr” ed è una storia medioevale; ma gli autori
medioevali dei Mabinogion come li conosciamo lavorarono su
materiale più antico - narrando nuovamente le vecchie storie che
erano state tramandate da secoli innumerevoli di padre in figlio per
tradizione. I poeti della Cambria di un‟epoca antica fanno spesso
allusione agli uccelli di Rhiannon - essi sono citati nelle Triadi. Nel
Mabinogi, il periodo in cui i guerrieri stettero in ascolto è sette anni.
Solo sette uomini sfuggirono ad una certa battaglia con gli Irlandesi e
venne loro ordinato dal loro capo morente di tagliare la sua testa e di
portarla a Londra e seppellirla con il volto verso la Francia. Varie
furono le avventure che essi incontrarono nell‟adempimento del loro
dovere. Ad Harlech si fermarono a riposare e sedettero a mangiare e
bere. “E là giunsero tre uccelli e cominciarono a cantare loro una
certa canzone e tutte le canzoni che essi avevano mai udito erano
sgradevoli, se comparate ad essa; e gli uccelli sembravano loro
essere a grande distanza da loro, oltre il mare, tuttavia apparivano
distinti come se fossero vicini; e questo pranzo durò per sette anni.”
83
(Lady Charlotte Guest, Mabinogion, 381) Questa incantevole
fantasia riappare nella storia locale di Shon ap Shenkin, che mi venne
narrata dalla moglie di un contadino vicino al luogo in cui si svolge
la leggenda. Pant Shon Shenkin è già stato citato come un centro
famoso per le Fate del Carmarthenshire. La storia di Taffy ap Sion e
questa di Shon ap Shenkin erano probabilmente una storia sola in un
qualche periodo della loro carriera, anche se ora sono due storie
separate.
Shon ap Shenkin era un giovane che viveva vicino a Pant Shon
Shenkin. Una bella mattina d‟estate, mentre stava andando nel
campo, udì un uccellino cantare in maniera incantevole su un albero
vicino alla sua strada. Attirato dalla melodia, egli sedette sotto
all‟albero fin quando la musica cessò; allora si alzò e lo guardò.
Quale fu la sua sorpresa vedendo che l‟albero, che era verde e pieno
di vita quando lui si era seduto, era ora secco e senza corteccia!
Pieno di stupore, ritornò alla fattoria che aveva lasciato, come
credeva, pochi minuti prima ma anch‟essa era mutata, era
invecchiata e coperta di edera. Sulla porta vi era un vecchio che non
aveva mai visto prima; egli gli chiese allora cosa volesse lì. “Cosa
voglio qui?” disse il vecchio, diventando rosso di rabbia. “Bella
domanda. Chi sei tu per osare insultarmi nella mia casa? “Nella tua
casa? Com‟è possibile? Dove sono mio padre e mia madre, che ho
lasciato qui pochi minuti fa, mentre ascoltavo la musica incantevole
sotto quell‟albero che, quando mi sono alzato, era secco e senza
foglie?” “Sotto l‟albero - musica! Come ti chiami?” “Shon ap
Shenkin.” “Alas, povero Suon e sei davvero tu!” gridò il vecchio.
“Ho spesso sentito parlare di te da mio nonno, tuo padre, ed a lungo
si è lamentato della tua assenza. Sono state fatte ricerche infruttuose
ma la vecchia Catti Maddock di Brechfa ha detto che eri sotto il
potere delle fate e che non saresti stato rilasciato fino a quando
l‟ultima linfa di quel sicomoro non si sarebbe essiccata.
Abbracciami, mio caro zio, perché tu sei mio zio - abbraccia tuo
nipote!” Detto questo, l‟uomo stese le braccia ma, prima che i due
potessero abbracciarsi, il povero Shon ap Shenkin si sbriciolò in
polvere sull‟uscio di casa.
84
Le Fate gallesi suonano l‟arpa in una maniera sconosciuta in quelle
parti del mondo dove l‟arpa è meno popolare tra la gente. Quando si
ode distintamente uno strumento durante le cymmoedd delle Fate,
solitamente si tratta di un‟arpa. Talvolta è un violino ma, a vedere da
85
vicino, si scoprirà che è un mortale catturato che lo suona - i Tylwyth
Teg preferiscono l‟arpa. Essi suonano la tromba in occasioni
particolarmente importanti e sono noti un caso o due in cui è stato
udito il suono delle cornamuse; ma non c‟è dubbio che il suonatore
era qualche Fata di passaggio dalla Scozia o da altrove oltre il
confine. Sulla cima del Craig-y-Ddinas, migliaia di Fate bianche
danzano alla musica di molte arpe. Nella zona chiamata Cwm
Pergwm, nella Valle di Neath, i Tylwyth Teg suonano dietro alla
cascata e, quando si allontanano oltre le montagne, il suono delle
loro arpe viene udito allontanarsi con essi. La storia che è
l‟equivalente della Cambria della storia del Flauto Magico,
sostituisce un‟arpa al meno familiare (per i Gallesi) strumento. Per
come mi è stata narrata, la storia dice così:
Una compagnia di Fate che frequentava Cader Idris aveva l‟abitudine
di andare di cottage in cottage in quella parte del Galles alla ricerca
di informazioni sul grado di benevolenza posseduto dai proprietari di
quelle stesse case. Coloro che davano alle Fate uno sgradevole
benvenuto erano soggetti a cattiva sorte per il resto delle loro vite ma
coloro che erano buoni con il piccolo popolo divenivano i beneficiari
del loro favore. Il vecchio Morgan ap Rhys sedeva una notte in un
angolo vicino al camino godendosi la sua pipa e la sua pinta di cwnv
da. Avendo la buona birra addolcito il suo animo, egli era di umore
più allegro di quanto fosse per lui naturale quando sentì dei colpetti
alla porta, che raggiunsero a malapena le sue orecchie attraverso il
fumo della sua pipa ed il rumore della sua stessa voce - perché nella
sua allegria Morgan stava cantando una canzone da baldoria, anche
se non sapeva cantare meglio di un haw - che è la parola gallese per
indicare un asino. Ma Morgan non si prese la briga di alzarsi al
bussare; i suoi modi non erano dei più raffinati - egli pensava che
fosse abbastanza educato per un uomo ospitale abbaiare in Gallese:
“Gwaed dyn a'i gilydd! Perché non entrate, visto che siete venuti fino
alla porta?” Il benvenuto non era molto educato ma fu sufficiente. La
porta si aprì e tre viaggiatori dall‟aspetto esausto entrarono. Ora, si
trattava di Fate da Cader Idris, travestite in questo modo allo scopo
di osservare, e Morgan non sospettò mai che fossero altro che quello
che apparivano. “Buon signore,” disse uno dei viaggiatori “siamo
86
esausti ma tutto ciò che cerchiamo è un boccone di cibo da mettere
nella nostra borsa e ce ne andremo per la nostra strada.” “Waw,
ragazzi! E‟ tutto ciò che volete? Bene, là, guardate, ci sono il pane ed
il formaggio ed il coltello tra loro; potete tagliarne quanto volete e
riempire lo stomaco così come le vostre borse, perché non si dica
mai che Morgan ap Rhys ha negato pane e formaggio a qualcuno.” I
viaggiatori fecero dunque da soli, mentre Morgano continuava a bere
e fumare ed a cantare a modo suo, un modo veramente molto grezzo.
Quando furono sul punto di andarsene, i viaggiatori fatati andarono
da Morgan e gli dissero: “Siccome sei stato così generoso, ti
dimostreremo che ti siamo grati. E‟ in nostro potere il concederti un
desiderio, pertanto dicci cosa potresti volere.” “Ho, ho!” disse
Morgan “Davvero? Ah, vedo che vi state prendendo gioco di me.
Wela, wela, il desiderio del mio cuore è di avere un‟arpa che suoni
sotto le mie dita, non importa quanto male io la colpisca; un‟arpa che
suoni melodie vivaci, guardate; niente musica malinconica, per me!”
Non appena ebbe parlato, con sua meraviglia vide per terra davanti a
lui una splendida arpa e si ritrovò da solo. “Waw!” gridò Morgan,
“Se ne sono già andati.” Quindi, guardando dietro di sé vide che non
avevano preso il pane e formaggio che avevano tagliato; dopotutto,
“Forse erano le Fate”, mormorò, ma sedette serenamente a
tracannare la sua birra ed a guardare l‟arpa. Dietro di lui vi era un
suono di passi e sua moglie entrò dalla porta con alcuni amici.
Morgan si sentiva molto allegro e pensò che avrebbe portato un po‟
di risate tra loro mostrando la sua abilità su quell‟arpa. Così
cominciò a suonare - oh, che melodia pazza e saltellante, era!
“Waw!” disse Morgan. “Questa sì che è un‟arpa! Holo! Che vi
prende a tutti?” Perché per quanto veloce egli suonava, altrettanto
velocemente i suoi vicini danzavano, ogni uomo, donna e bambino
saltellava come se fosse pazzo. Alcuni di loro si aggrapparono al
tetto del cottage fin quando le loro teste sbatterono le une contro le
altre nel girare, picchiando contro l‟arredamento; e, mentre Morgan
continuava spensieratamente a suonare, cominciarono a pregarlo di
smettere prima che i sobbalzi li facessero andare in pezzi. Ma
Morgan trovava la scena troppo divertente per volersi fermare;
inoltre, era deliziato dalla sua improvvisa abilità come musicista e
87
fece vibrare le corde e rise fin quando gli fecero male le mascelle e le
lacrime scivolarono sulle sue guance, tanto ridicoli erano i suoi
amici. Stanco, infine si fermò ed i danzatori caddero esausti sul
pavimento, sulle sedie, sui tavoli, dichiarando che il diavolo stesso
era nell‟arpa. “Conosco una melodia che ne vale due di quelle”, disse
Morgan riprendendo l‟arpa in mano. A questa vista, tutta la
compagnia svanì dalla casa fuggendo, lasciando Morgan a rotolarsi
dalle risate sulla sua sedia. Dopo quella volta, ogni volta che Morgan
diventava un po‟ alticcio prendeva l‟arpa ed obbligava tutti quelli che
gli erano intorno a danzare; di conseguenza, si fece una cattiva fama
e nessuno volle più avvicinarlo. Ma tutte le loro precauzioni non
impedirono ai vicini di essere catturati ogni tanto, quando Morgan si
vendicava facendoli danzare fin quando le loro gambe non si
spezzavano o non veniva fatto loro qualche altro danno. Anche gli
zoppi e gli invalidi erano costretti a danzare ogni volta che udivano
la musica di questo diabolico telyn. In breve, Morgan abusò tanto del
suo dono fatato che una notte il buon popolo venne a riprenderselo
ed egli non lo vide mai più. La conseguenza fu che egli divenne
scontroso e bevve fino a morirne - un avvertimento a tutti coloro che
accettano dalle Fate favori che non meritano.
La musica dei Tylwyth Teg è stata descritta in varie maniere dalle
persone che l‟hanno udita ma, come regola, con molta vaghezza
come una dolce ed intangibile armonia, che ricorda l‟esperienza di
Caliban:
L‟isola è piena di rumori,
Suoni e dolci arie che donano piacere e non fanno del male.
Talvolta mille strumenti vibranti
Ronzeranno verso le mie orecchie.
(Tempest, Atto III, Sc. 2)
Un tal Morgan Gwilym, che vide le Fate alla cascata di Cylepsta ed
udì la loro musica che si allontanava, fu in grado di ricordare solo
l‟ultima strofa, che disse suonava all‟incirca così:
88
Edmund Daniel, dell‟Arail, “un uomo onesto ed una persona che
diceva costantemente la verità”, disse al Profeta Jones che spesso
vedeva le Fate dopo il tramonto incrociando il Cefn Bach dalla Valle
della Chiesa verso Hafodafel mentre saltavano e colpivano l‟aria e
facevano una via serpentina in aria, in questa forma:
Le Fate vennero udite e viste da molte persone in quei paraggi e
talvolta da diverse persone assieme. Esse apparivano più
frequentemente di notte che di giorno ed al mattino ed alla sera più
spesso che al pomeriggio. Molti udirono la loro musica e dissero di
essa che era bassa e piacevole ma che aveva questa caratteristica:
nessuno poteva impararne la melodia. In parti più favorevoli del
Principato, venivano udite distintamente le parole della canzone e,
sotto il nome di Cân y Tylwyth Teg , vengono conservate come
segue:
Dowch, dowch, gyfeillon mân,
O blith marwolion byd,
Dowch, dowch, a dowch yn Iân.
Partowch partowch eich pibau cân,
Gan ddawnsio dowch i gyd,
Mae yn hyfryd heno i hwn.
Si è riluttanti a tradurre nel puro Inglese questa canzone di Folletti
che, nel suo Gallese nativo, è quasi impressionante come “Fi Fo
Fum”. Basti dire che la canzone è un invito ai piccoli tra i morti della
terra ad andare con la musica e la danza alle delizie della baldoria
notturna.
Nella leggenda di Iola ap Hugh, la cui storia è la più nota in Galles,
89
viene mostrata l‟origine fatata di quella famosa melodia 'Ffarwel
Ned Pugh. E‟ una leggenda che suggerisce quella del Flauto
Incantato in un‟altra forma, essendo qui lo strumento un violino e la
vittima un suonatore sotto il controllo delle fate.
Nel Galles del Nord vi è una famosa caverna che si dice raggiunga
dall‟apertura sul lato della collina sotto il Morda, il Ceiriog ed un
migliaio di altri corsi d‟acqua, sotto molte leghe di montagna, paludi
e brughiera, sotto le quasi insondabili fonti che, pur se ora sono
intasate, un tempo rifornivano Sychart, la fortezza di Glyndwrdwy,
per tutta la strada fino al Chirk Castle. La tradizione dice che
chiunque a cinque passi dalla sua apertura sarebbe stato attirato in
essa e si sarebbe perduto. Che i contadini che abitavano vicino ad
essa avessero un solenne rispetto per questa tradizione era provato
dal fatto che tutto intorno a quel pericoloso buco “l‟erba cresceva
spessa e lussureggiante come nelle zone selvagge dell‟America o in
alcune piane incontaminate delle Alpi.” Sia gli uomini che gli
animali temevano il luogo: “Una volpe, con un intero branco di cani
da caccia alle sue calcagna”, una volta si voltò nell‟avvicinarsi ad
essa “con il pelo tutto ritto come gelata dal terrore” e corse nel bel
mezzo del branco “come se qualunque cosa sulla terra - persino la
morte terrena - fosse un sollievo ai suoi turbamenti sovrannaturali.”
Ed i cani a caccia di questa volpe evitarono di acchiapparla a causa
dell‟odoro di fosforo e del lucore del suo mantello.
Per di più, “Elias ap Evan, che una bella notte camminava traballante
sull‟orlo dello spazio proibito, fu così spaventato da ciò che vide ed
udì da arrivare a casa perfettamente sobrio, “l‟unico intervallo di
sobrietà che mattino, pomeriggio o sera Elias abbia mai avuto da
venti anni a quella parte.” né dopo quell‟esperienza - riguardo alla
quale egli era solito scuotere la testa solennemente, come se potesse
narrare storie meravigliose se solo avesse osato - Elias potè
ubriacarsi nuovamente, né lo fece fino alla fine dei suoi giorni. Come
disse lui stesso, “la sua ombra camminava costantemente davanti a
lui, improvvisamente girava intorno a lui come un pointer fa tra le
paludi e le pietre.”
Un nebbioso Halloween, Iola ap Hugh, il suonatore di violino, decise
di risolvere i misteri dell‟Ogof, o Caverna, munendosi di “una
90
immensa quantità di pane e formaggio e sette libbre di candele” e si
avventurò all‟interno. Non ritornò mai ma molto, molto tempo dopo,
al crepuscolo di un altro Halloween, un vecchio pastore che stava
passando presso - come la chiamò lui - “quella terra vortice di
diavoli”, udì un‟improvvisa debole melodia che danzava tra le rocce
sopra la caverna. Mentre ascoltava, la musica gradualmente “si fuse
in qualcosa di simile ad una melodia ed egli pensò che fosse una
melodia che il pastore non aveva mai udito prima”. Pareva che fosse
suonata da demoliteti che saltellavano, da tanto duro era il ritmo, così
ripetuto nei suoi lamenti discordanti. Ora apparve alla bocca
dell‟Ogof una figura ben nota al contadino, che se ne ricordava. Era a
malapena visibile ma era Iola ap Hugh, potè vedere
improvvisamente. Stava saltellando come un pazzo alla musica del
suo stesso violino, con una lanterna appesa al petto.
“Improvvisamente la Luna splendette in pieno sulla bocca gialla
della caverna ed il pastore vide il povero Iola per un solo istante - ma
lo vide distintamente ed orribilmente. Il suo volto era pallido come il
marmo ed i suoi occhi guardavano in maniera fissa e mortale. Le sue
braccia parevano tenere l‟archetto del violino in movimento senza
alcuna volontà da parte del loro padrone. Il pastore lo vide per un
istante all‟imboccatura della caverna e poi, sempre saltellando e
suonando il violino, svanì come un‟ombra dalla sua vista; ma il
vecchio venne udito dire che sembrava che fosse scivolato nella
caverna in una maniera diversa dal passo di un uomo vivente e
padrone della sua volontà; “egli veniva trascinato dentro come il
fumo su per il camino o la nebbia all‟alba.” Passarono gli anni e
“tutte le speranze ed i dolori collegati al povero Iola non solo
svanirono ma furono pressoché dimenticati; il vecchio pastore aveva
vissuto a lungo in una zona ad una considerevole distanza tra le
colline.
Una fredda domenica pomeriggio di dicembre, lui ed i vicini di
panca in chiesa stavano tremando di freddo nelle loro sedie mentre il
sacrestano stava cominciando ad accendere le luci nella chiesa
quando, improvvisamente, uno strano scoppio di musica cominciò da
sotto alla navata laterale, gettando l‟intera congregazione in
confusione, quindi passò debolmente lungo la parte più lontana della
91
chiesa e svanì gradualmente fin quando fu impossibile distinguerlo
dal vento che stava sfrecciando e gemendo in mezzo a quasi tutti i
pilastri della vecchia chiesa.” Il pastore riconobbe immediatamente
quella musica per quella che Iola aveva suonato all‟imboccatura
dell‟Ogof.
Il prete della parrocchia, un conoscitore della musica, la tirò giù dal
violino del vecchio ed ancora oggi, se andate alla caverna ad
Halloween e ponete l‟orecchio all‟apertura, potete udire la melodia
“Ffarwel Ned Pugh” tanto distintamente quanto potete udire le onde
del mare rimbombare in una conchiglia.
“E si dice che in certe notti degli anni bisestili una stella sia ferma
davanti alla parte più lontana della caverna e permetta di vedere tutto
quello che vi è dentro e di vedere Iola ed i suoi altri compagni.”
(Camb. Quarterly, i., 45)
92
VIII
Gli anelli fatati
Il Profeta Jones e le sue opere - Le lingue misteriose dei Tylwyth
Teg - Il cavallo nel folklore gallese - Fate equestri - Il bestiame
fatato, pecore, maiali, ecc. - le Fate volanti di Bedwellty - L’ovile
fatato di Cae’r Cefn
I cerchi nell‟erba nei campi verdi, che vengono chiamati
comunemente anelli fatati, sono numerosi in Galles ed anche ai
giorni nostri si ritiene che sia un bene tenersene alla larga. I contadini
non credono più che le Fate possano essere viste danzare in quei
luoghi, né che il cappello dell‟invisibilità cadrà sulla testa di uno che
entri nel cerchio, ma credono che le Fate, in tempi non troppo remoti,
abbiano fatto questi cerchi con il calpestio dei loro piedi e che
probabilmente qualche sfortuna colpirà la persona che facesse
intrusione in questo terreno proibito.
Un vecchio di Peterstone-super-Ely mi raccontò che rammentava
bene che quando era bambino sua madre lo avvertiva di tenersi alla
larga dagli anelli fatati. Questo consiglio fece un‟impressione tanto
profonda nella sua mente che in tutta la vita egli non entrò mai in uno
di questi anelli. Inoltre, in risposta ad una domanda, egli disse che
non aveva mai neanche camminato sotto ad una scala, perché portava
sfortuna camminare sotto ad una scala. Questo tipo di superstizione è
molto diffusa e si incontra in tutto il mondo e gli anelli fatati
sembrano fare parte di questa classe ancor oggi, per quanto riguarda
il Galles.
Nelle precedenti pagine abbiamo accennato al Profeta Jones e,
siccome in un‟opera che parla del folklore gallese questo
personaggio viene imperativamente citato, ne parlerò ora, prima di
citare le sue osservazione in merito ai cerchi fatati. Edmund Jones,
“del Tranch”, era un ministro dissidente famoso nel Monmouthshire
nei primi anni del presente secolo per la sua fervente devozione e la
93
sua grande credulità in merito alle Fate ed ai Folletti tutti. Per molti
anni fu pastore della congregazione dei Protestanti Dissidenti alla
Cappella di Ebenezer, vicino a Pontypool, e visse in un luogo
chiamato “The Tranch”, lì vicino. Scrisse e pubblicò due libri: uno
era “Account of the Parish of Aberystruth”, stampato a Trevecca;
l‟altro una “Relation of the Apparitions of Spirits in the Country of
Monmouth and the Principality of Wales”, stampato a Newport. A
questi libri hanno fatto riferimento la maggior parte degli scrittori di
folklore che hanno tentato di narrare le credenze gallesi durante
l‟ultimo mezzo secolo ma queste opere sono estremamente rare e gli
scrittori che ne hanno tratto delle citazioni le hanno generalmente
prese di seconda mano. Keightley (Fairy Mythology, 412), citando da
“Apparitions”, sbaglia il nome dell‟autore - “Edward Jones del
Tiarch” - ed accredita la pubblicazione alla “ultima metà del XVIII
secolo”, mentre venne pubblicato nel 1813. Le citazioni di Keightley
sono tratte da Croker, che a sua volta non aveva mai visto il libro ma
ne aveva sentito parlare da un amico gallese. Non si trova nella
biblioteca del British Museum ed io so che ve ne sono solo poche
copie in Galles - una la vidi a Swansea. L‟autore di questi curiosi
volumi venne chiamato il Profeta Jones a causa del dono della
profezia che possedeva, secondo quanto riferitomi da un Gallese del
Monmouthshire. Secondo le parole del mio informatore, egli era
famoso nel distretto perché prediceva le cose. Per esempio, se gli
veniva chiesto di tenere una predica in qualche anniversario o in una
riunione trimestrale ed egli rispondeva: “Quel giorno non posso: la
pioggia scenderà a torrenti e non vi sarà alcuna congregazione”, si
poteva essere certi che sarebbe accaduto come predetto. Egli dava ai
bisognosi anche il suo ultimo obolo e diceva a sua moglie: “Dio
invierà un messaggero con cibo e vesti alle nove di domani”. E così
era.
Egli era un credente assoluto nelle Fate gallesi ed era pieno di
disprezzo verso coloro che osavano mettere in questione la loro
realtà. Per lui questi fantasmi erano parte integrante della fede
cristiana e coloro che non credevano in essi erano denunciati come
Sadducei ed infedeli.
Riguardo agli anelli fatati, Jones sosteneva che la Bibbia vi facesse
94
allusione in Matteo xii, 43: “Le Fate danzano in circoli in luoghi
asciutti, e la scrittura dice che gli spiriti maligni camminano nei
luoghi asciutti.” La loro preferenza per le querce, ed in particolare
per le querce femmina, in parte è dovuta al fatto che questo albero ha
rami che si espandono maggiormente di altri e forniscono un‟ombra
maggiore ed in parte “all‟uso superstizioso che ai tempi dei Druidi si
faceva di esso. In passato, era pericoloso abbattere una quercia
femmina in un posto asciutto. Si diceva che nel fare questo alcuni
perdessero la vita a causa di uno strano dolore che non aveva
rimedio, come fece uno dei miei antenati; ma ora che gli uomini
possiedono maggiore conoscenza e fede, questo effetto non accade.”
William Jenkins fu per lungo tempo maestro di scuola alla chiesa di
Trefethin, nel Monmouthshire, e, tornando a casa una sera tardi,
come faceva sempre, spesso vide le Fate sotto una quercia a due o tre
campi di distanza dalla chiesa. Egli le vedeva più spesso di venerdì
sera che nelle altre sere. Una volta egli esaminò il terreno vicino a
questa quercia e vi trovò un cerchio rossastro laddove le Fate
danzavano, “come spesso si vedono sotto le querce femmina,
chiamate Brenhin-Bren.” Esse apparivano più spesso ad un numero
dispari di persone, come uno, tre, cinque, ecc. e più spesso agli
uomini che alle donne. Thomas William Edmund, di Hafodafel, “un
onesto e pio uomo che spesso le vide”, dichiarò che quando esse
apparivano vi era uno di loro più grande che li precedeva. Vennero
anche udite parlare tra loro in un modo rumoroso e rapido ma
nessuno era in grado di distinguere le parole. Pareva, tuttavia, una
razza molto polemica, a tal punto che vi era in alcune parti del Galles
un detto di questo genere: Ni chytunant hwy mwy na Bendith eu
Mammau, “non si metteranno più d‟accordo di quanto non lo
facciano le Fate”.
Questa osservazione in merito alla lingua misteriosa usata dalle Fate
ricorda ancora la storia medioevale di Elidurus. L‟esempio delle
parole fatate in essa fornita da Giraldus il dotto rettore di Llanarmon
(Rev. Peter Roberts, Cambrian Popular Antiquities, 195 - 1815)
pensa sia “un misto di Irlandese e Gallese. La lettera u, con cui
comincia ognuna delle parole, è probabilmente null‟altro che la
95
rappresentazione di un suono indistinto come la e muta del Francese
e che coloro il cui linguaggio e le cui maniere sono volgari spesso
iniziano le parole indifferentemente come prefisso. Se, dunque, esse
vengono lette dor dorum ed halgein dorum, dor ed halgein sono
quasi (o, come viene pronunciato, door) ed halen, le parole gallesi
per indicare rispettivamente acqua e sale. Dorum è perciò
equivalente a “dammi” e l‟espressione irlandese per “dammi” è
thorum, quella gallese dyro i Mi. L‟ordine delle parole, tuttavia, è
capovolto. L‟ordine dovrebbe essere thorum dor e thorum halen in
Irlandese, mentre in Gallese dyro i mi ddwr e dyro i mi halen ma
forse è stato capovolto intenzionalmente dal narratore per rendere la
sua storia maggiormente meravigliosa.” (Supra, pag. 67)
Il cavallo ha un ruolo molto attivo nelle storie di Fate del Galles. Non
solo il suo scheletro serve a Mary Lwyds (vedi l‟indice) e simili, ma
il suo spirito volteggia. Le Fate gallesi sembrano amare molto
cavalcare.
Una vecchia della Valle di Neath disse a Mrs. Williams, che lo
raccontò a Thomas Keithley, di avere visto le Fate a centinaia ed esse
montavano piccoli cavalli bianchi non più grandi di cani e e
cavalcavano fianco a fianco in file di quattro. Questo accadde verso
il crepuscolo e le Fate equestri le passarono abbastanza vicino, a
circa un quarto di miglio di distanza. Un‟altra vecchia affermò che
suo padre aveva visto spesso le Fate cavalcare nell‟aria su piccoli
cavalli bianchi ma non le aveva mai viste scendere a terra. Egli aveva
udito la loro musica nell‟aria mentre galoppavano. Tra i contadini di
Glamorgan vi è una tradizione che narra di una battaglia fatata
combattuta sulla montagna tra Merthyr ed Aberdare in cui i
minuscoli combattenti erano a cavallo. Parevano esservi due eserciti,
uno dei quali montava cavalli bianco latte e l‟altro cavalli nero
lucido. Essi cavalcavano gli uni verso gli altri con la massima furia e
si vedevano le loro spade splendere nell‟aria come tante lame di
coltelli. Quella battaglia venne vinta dall‟esercito con i cavalli
bianchi, che scacciò dal campo la forza con i cavalli neri. L‟intera
scena scomparve quindi in una lieve nebbiolina.
96
Nelle zone rurali del Galles alle Fate viene accreditata una varietà
completa di animali utili ed il folklore gallese, sia moderno che
medioevale, abbonda di storie riguardanti bovini, pecore, cavalli,
polli, capre ed altre figure caratteristiche della vita rurale. Come la
meravigliosa giumenta di Ternyon, che partoriva un puledro ogni
primo maggio ma che le veniva sempre portato via; nessuno sapeva
da dove arrivassero i Ychain Banog, i potenti buoi, che attiravano il
mostro acquatico fuori dal lago incantato e con i loro muggito
fendono in due la roccia; le pecore di san Melangell, che all‟inizio
erano lepri, e fuggivano spaventate sotto le vesti del santo; il
bestiame fatato che appartiene alle Gwraig Annwn; la pecora fatata
di Cefn Rhychdir, che emerse dalla terra e svanì nel cielo; anche il
suino fatato che i raccoglitori di fieno di Bedwellty videro volare in
aria. Ad alcune di queste tradizioni abbiamo già accennato, di altre
parleremo ancora.
Le pecore di montagna gallese corrono come cervi e saltano da un
dirupo all‟altro come capre selvatiche ed i maiali gallesi sono più
famosi nelle storie romantiche della Cambria di qualunque altro
animale ivi citato. Per questo la storia narrata dal Rev. Roger Rogers,
della parrocchia di Bedwelty, suona molto meno assurda in Galles
che altrove. In essa si parla di una visione molto importante e strana
avuta dalle due figlie di Lewis Thomas Jenkin, descritte come
virtuose e brave giovani donne, il cui padre era benestante; e quanto
videro le ragazze fu visto non solo da loro, ma anche dai due
servitori, un uomo ed una donna, e da due vicini - Elizabeth David ed
Edmund Roger. Tutte queste sei persone stavano un certo giorno
raccogliendo il fieno in un campo chiamato Y Weirglodd Fawr
Dafolog quando videro chiaramente una compagnia di Fate uscire
dalla terra sotto forma di un gregge di pecore; esse si trovavano a
circa un quarto di miglio di distanza, su una collina chiamata Cefn
Rhychdir. Ben presto, il gregge fatato fu fuori dalla vista, perché
svanì nell‟aria. Più tardi, quello stesso giorno, essi videro
nuovamente quella compagnia di Fate ma, mentre a due dei
raccoglitori esse apparivano come pecore, ad altri apparivano come
levrieri, ad altri ancora come suini e ad altri, infine, come bambini
nudi. In merito, il Rev. Roger osserva:
97
“I figli dell‟infedeltà sono molto irragionevoli a non credere alle
testimonianze di così tanti testimoni.” (Jones, Apparitions, 24)
Le pecore gallesi si dice siano gli unici animali che mangiano l‟erba
che cresce all‟interno degli anelli fatati; tutte le altre creature la
evitano, ma le pecore la mangiano avidamente e da qui la superiorità
della carne di pecora gallese su quella del resto del mondo. Il Profeta
Jones parla dell‟ovile delle Fate, da lui stesso visto - una circostanza
a cui deve essere dato il giusto peso, come potrà capire il lettore
giudizioso, perché a Mr. Jones non era dato di vedere solitamente i
Folletti. Egli crede in essi con tutto il cuore ma solitamente sono
amici o conoscenti che li vedono. Per questo questa eccezione si fa
notare acutamente. Egli ci narra così nella sua storia:
“Se qualcuno pensasse che io sia troppo credulo in queste relazioni e
parli di cose di cui non ho io stesso esperienza, devo fare notare che
questo qualcuno è in errore. Perché quando ero un bambino, mentre
stavo camminando con mia zia al mattino presto, dopo l‟alba, da
Hafodafel verso la casa di mio padre a Pen-y-Llwyn, alla fine del
campo superiore di Cae‟r Cefn… vidi l‟apparenza di un ovile con la
porta verso sud… e dentro una compagnia di molte persone. Alcune
erano sedute ed alcune entravano ed uscivano, chinando la testa nel
passare sotto il ramo sopra la porta… Ricordo bene tra loro la figura
di una bella donna con un alto cappello a corona ed una giacchetta
rossa, che aveva un aspetto migliore degli altri e che pensai essi
onorassero. Conservo tuttora un‟idea abbastanza chiara del suo volto
bianco e della sua forma ben fatta. Gli uomini indossavano cravatte
bianche… Mi meravigliai che mia zia, che camminava davanti a me,
non stesse guardando verso di loro, anche se ci stavamo avvicinando
tanto. In quanto a me, ero restio a parlare fin quando li
oltrepassammo di un poco e quindi dissi a mia zia quello che avevo
visto ed ella si meravigliò e disse che avevo sognato… Non c‟era
alcun ovile in quel posto. Ci sono invero le rovine di un qualche tipo
di piccolo edificio, molto probabilmente un ovile, ma così vecchie
che le pietre sono state inghiottite e quasi completamente incrostate
di terra ed erba.”
Questa storia è stata a lungo considerata una pietra miliare per i
98
credenti dei fantasmi della Cambria ma dobbiamo dire qualcosa di
dubitativo in merito. Ammesso che il Reverendo Edmund Jones, il
ministro dissidente, era un onesto gentiluomo che desiderava dire la
verità, è tuttavia possibile che Padron Neddy Jones, il ragazzo,
potesse tirare un arco lungo come un altro ragazzo e che abbia
probabilmente visto un gruppo di zingari (o magari nulla) con cui ha
abbellito la sua storia di eccitata meraviglia, come sono soliti fare i
ragazzi. A raccontare una storia di fantasia tante volte, si finisce per
crederci - si tratta di un ben noto fenomeno mentale.
L‟unico altro esempio fornito dal Profeta Jones come proveniente
dalla sua esperienza personale è più vago del precedente nei suoi
particolari ed accadde quando egli era presumibilmente cresciuto ed
era nell‟età della discrezione. Pare che si smarrì a causa della
Vecchia della Montagna, su Llanhiddel Bryn, vicino a Pontypool -
zona che conosceva perfettamente e che è non più di un miglio e
mezzo di lunghezza e circa mezzo miglio di larghezza. Ma, come
risultato del suo smarrimento, egli giunse ad una casa dove non era
mai stato prima e, profondamente toccato da questa sconcertante
esperienza, “mi offrii di andare a pregare, cosa che essi
accettarono… Avevo circa ventitre anni ed avevo cominciato a
predicare l‟immortale vangelo. Essi sembravano ammirare il fatto
che una persona tanto giovane fosse così cordialmente disposta,
essendo a quel tempo pochi i giovani uomini della mia età religiosi.
Molto bene venne in quella casa e vi continua tuttora… Così la
vecchia megera non ricavò nulla dall‟avermi portato fuori strada
quella volta.”
99
IX
La devozione come protezione
dalle seduzioni dei Tylwyth Teg
Esorcismi vari - Il canto del gallo - Il nome di Dio - Recintare le
Fate - La vecchia Betty Griffith e la sua barricata Eikhtin -
Mezzi per sbarazzarsi dei Tylwyth Teg - La Bwbach della
fattoria di Hendrefawr - Il Pwca'r Trwyn's che volteggia in una
caraffa di fermentato
L‟estrema devozione delle sue passeggiate e conversazioni
quotidiane potrebbe essere vista come una spiegazione sul motivo
per cui il Profeta Jones vide così pochi Folletti con i suoi occhi e, di
conseguenza, la maggior parte delle sue storie di Fate sono state a lui
riferite da altre persone, come lui stesso sostiene. Il valore di una
abitudine generale alla devozione come mezzo per sbarazzarsi delle
Fate è già stato menzionato. Gli esorcismi più mondani, come la
presentazione di un coltello dal manico nero o il voltare al contrario
il proprio cappotto sono giudicati triviali dal Profeta ma lo studioso
di folklore comparato non li considera non importanti.
Gli esorcismi maggiormente spirituali non sono, tuttavia, meno
interessanti degli altri. Primo tra essi vi è la pronuncia del nome di
Dio ma viene citato con rispetto anche il canto di un gallo, in
collegamento con la storia del nostro Salvatore. Jones fornisce molti
racconti che terminano come il seguente:
Rees John Rosser, nato ad Hendy, nella parrocchia di Llanhiddel,
“un giovane molto religioso, andò una mattina molto presto a nutrire
i buoi in un fienile chiamato Ysgubor y Lian e, nutritili, si distese sul
fieno a riposare. Mentre giaceva in quel posto, udì una musica
avvicinarsi e, all‟improvviso, una grande compagnia di Fate entrò nel
fienile. Indossavano vestiti a righe, alcuni di colori più allegri di altri
ma tutti molti allegri; e tutti danzarono alla musica. Egli rimase
sdraiato più in silenzio che potè, pensando che non lo vedessero, ma
100
venne notato da uno di essi, una donna, che gli portò un cuscino a
righe con quattro nappe, una ad ogni angolo, e lo mise sotto la testa
di lui. Dopo un po‟ il gallo cantò alla casa di Blaen y Cwm, molto
vicina, ed essi apparvero sorpresi e dispiaciuti; il cuscino venne
velocemente tolto da sotto la sua testa e le Fate svanirono.” “Gli
spiriti dell‟oscurità non amano il canto del gallo, perché esso è
foriero dell‟avvicinarsi del giorno, perch‟essi amano l‟oscurità più
della luce… Ed è stato osservato diverse volte che queste Fate non
possono sopportare di udire il nome di Dio.” Un moderno
predicatore gallese (le cui opinioni contrastano decisamente con
quelle di Jones) osserva: “Il gallo è meravigliosamente ben versato
nelle circostanze dei figli di Adamo; la sua voce squillante all‟alba è
un‟intimazione sufficiente ad ogni spirito, Folletto, fantasma, Elfo,
Bwci ed apparizione a volare nel loro paese di illusione per salvare la
vita, prima che la luce del giorno mostri che essi sono un vuoto nulla
e porti loro vergogna e discredito.” (Rev. Robert Ellis, in Manion
Hynafiaethol, Treherbert, 1873) Shakespeare presenta questa
credenza in Amleto:
Ber. Stava per parlare quando il gallo cantò.
Hor. Ed allora cominciò come una cosa colpevole su una citazione di
paura.
(Amleto, Atto I, Sc. I)
Ma l‟opinione che gli spiriti volino via al canto del gallo è
antichissima. Viene citata dal poeta cristiano Prudenzio (IV secolo)
come tradizione di credenza comune. (Brad, Popular Antiquities, ii.,
31)
Per quanto riguarda il nome di Dio come esorcismo, ancora oggi
incontriamo questa superstizione, vivente ai nostri giorni, ed in ogni
terra dove il moderno “spiritismo” trova seguaci. Il danno prodotto
alle “sedute spiritiche” dagli “spiriti negativi” è ben noto a coloro
che hanno fatto attenzione a questa matteria. Il fu Mr. FitzHugh
Ludlow una volta mi raccontò, con drammatico fervore, il risultato
dei suoi tentativi di esorcizzare uno spirito negativo che possedeva
una “medium” cercando di fare pronunciare alla donna il nome di
101
Cristo. Ella si impappinava e balbettava ogni volta che ci provava
nella maniera più imbarazzante ed infine emerse dalla trance con il
nome santo non pronunciato - lo spirito cattivo se ne era andato.
Questo accadde a New York nel 1867. Come molti altri che
affermano la propria scettici in merito allo spiritismo, Mr. Ludlow
rimase fortemente impressionato da questo fenomeno.
Gli studenti di folklore comparato classificano tutte le manifestazioni
di questo genere sotto un comune denominatore, sia che ci si riferisca
alle Fate o a medium spirituali. Essi attribuiscono alla stessa fonte
l‟origine delle nozioni della propiziazione delle Fate con nomi
eufemistici. Nell‟uso di nomi come Jehovah, l‟Onnipotente, l‟Essere
Supremo, ecc. per il terribile e vendicativo Dio della teologia
ebraica, essendo in origine un tentativo di evitare di pronunciare il
nome di Dio, è facile vedere il collegamento con il potere esorcistico
di quel nume su tutti gli spiriti maligni, come si crede generalmente
siano le Fate. Si crede anche che qui venga presentata la fonte prima
di quell‟orrore del linguaggio profano che prevale tra le genti
puritane dell‟Inghilterra e dell‟America. Similmente, anche il nome
del diavolo viene presentato con eufemismi, alcuni dei quali - come
il Vecchio Ragazzo - non sono tali da offendere le orecchie del
personaggio e, fino a tempi recenti, la parola “diavolo” veniva
considerata offensiva quanto la parola Dio, se usata in maniera
profana.
Una protezione popolare dall‟invasione delle Fate è l‟eithin, o il
ginestrone spinoso, comune in Galles. Si crede che le Fate non
possano penetrare una barriera o una siepe composta da questo
arbusto spinoso. Un racconto che illustra questa credenza, piuttosto
curioso nei suoi dettagli, venne fornito nel 1871 da un importante
residente di Anglesea (Hon. W.O. Stanley in Notes and Queries):
“Un giorno, circa 30 anni or sono, Mrs. Stanley andò in una delle
case vecchie a fare visita ad una anziana donna che andava spesso a
trovare. Era una misera casupola così insolitamente scura quando
aprì la porta che ella chiamò la vecchia Betty Griffith ma, non
ricevendo risposta, entrò nella stanza. Una piccola finestra con un
pannello di vetro nel lato più lontano dava una flebile luce. Alcune
102
braci accese nella graticola davano uno sprazzo di luce, cosa che le
permise di vedere il luogo dove solitamente stava il letto, in un
recesso. Con sua sorpresa, ella lo vide interamente circondato da una
barricata di spesso ginestrone, così strettamente impacchettato ed
ammucchiato da non lasciare vedere il letto. Nuovamente chiamò
Betty Griffith e non giunse alcuna risposta. Si guardò attorno nella
misera stanzetta ma l‟unico sintomo di vita era una pianta dell‟Ebreo
Errante (Saxifraga tricolor), chiamata in quel modo dalla povera
gente e chiaramente destinata ad ingentilire le finestre. Era piantata
in un vaso o una teiera rotta sulla finestra ed arrampicava i suoi
lunghi viticci intorno a sé, con qua e là una nuova pianta formata che
sembrava trarre sostentamento dalla sola aria. Mentre ella era in
piedi, colpita dalla miserabile povertà della dimora, da dietro al
ginestrone giunse un debole sospiro. La donna si avvicinò e disse:
“Betty, dove siete?” Betty riconobbe immediatamente la sua voce e
si azzardò ad allontanarsi dal muro. Mrs. Stanley fece quindi una
piccola apertura nella barricata di ginestrone, che punse tristemente
le sue dita; vide Betty sul suo letto e le chiese: “Non state bene? Siete
raffreddata, da essere così chiusa?” “Raffreddata! No, non è
raffreddore, Mrs. Stanley; sono i Tylwyth Teg - non mi vogliono
lasciare mai in pace, siedono là facendomi le boccacce e cercando di
avvicinarsi a me.” “Davvero! Oh, come mi piacerebbe vederli,
Betty.” “Vi piacerebbe vederli? Oh, non dite così.” “Oh, ma Betty,
devono essere così carini e buoni.” “Buoni? Non sono buoni.” La
vecchia divenne quindi nervosa e Mrs. Stanley comprese che avrebbe
dovuto sentire altro da lei riguardo alle Fate, così disse: “Bene, andrò
fuori; non verranno mai se io sono qui.” La vecchia Betty replicò con
voce acuta: “No, non andatevene. Non dovete lasciarmi. Vi
racconterò tutto di loro. Ah, loro vengono e mi tormentano
tristemente. Se sono in piedi, loro siedono sulla tavola, fanno
diventare il mio latte acido e versano il mio the; poi non li lasciano in
pace nel mio letto ma vengono tutti intorno a me e mi prendono in
giro.” “Ma, Betty, ditemi, per così tutto questo ginestrone?
Dev‟essere stato un bell‟affanno per voi fare tutto così vicino.” “Non
è forse per tenerli alla larga? Loro non possono penetrarlo, li punge
malamente ed io posso avere un po‟ di riposo.” Così ella rimise a
103
posto il ginestrone e lasciò la vecchia Betty Griffith felice nel suo
artificio per sbarazzarsi del Tylwyth Teg.”
Un mezzo molto comune per sbarazzarsi delle Fate è quello di
cambiare il luogo di residenza; il popolo fatato non dimorerà in una
casa che passa in mani nuove.
Si narra una storia su un contadino del Merionethshire che,
tormentato oltre ogni sopportazione da un Beach maligno, decise con
riluttanza di andarsene ma, consultata prima una saggia donna a
Dolgelly, venne consigliato di fare un finto trasloco, che avrebbe
avuto lo stesso effetto; doveva solo mettere in giro la voce che era in
procinto di trasferirsi oltre il confine, in Inghilterra, e quindi radunare
il suo bestiame ed i suoi beni ed andare a fare un giro di una giornate
intorno all‟Arenig. La Fata se ne sarebbe certamente andata dalla
casa quando se ne fosse andato il contadino ed in particolare se ne
sarebbe andata da una terra ed una casa il cui proprietario, nato
Cymro, aveva confessato il suo intento di andarsene nella terra
straniera dei Sais. Così, egli sarebbe potuto ritornare alla sua casa
per un‟altra strada per scoprire che l‟odioso Bwbach se ne era
andato. Il contadino fece quanto consigliatogli e si preparò al
viaggio, conducendo davanti a sé i bovini e le pecore e portando il
carro in cui era ammassato il suo arredamento, mentre sua moglie ed
i bambini arrancavano dietro. Quando raggiunsero Rhyd-y-Fen, un
guado così chiamato per questa leggenda, incontrarono un vicino che
esclamò: “Holo, Dewi, ci stai lasciando?” Prima che il contadino
potesse rispondere, si udì un grido acuto dall‟interno della zangola
sul carretto. “Sì, sì, stiamo andando via da Hendrefawr ad Eingl-dud,
dove abbiamo una nuova casa.” Era stato il Bwbach a parlare. Stava
traslocando con i beni della casa ed il piccolo piano del contadino per
sbarazzarsi di lui si rivelò un completo fallimento. Il buon uomo
sospirò mentre voltava i cavalli e ritornava a Hendrefawr per la
stessa strada da cui era venuto.
Il famoso Pwca della Trwyn Farm, nella parrocchia di
Mynyddyslwyn, giunse qui dalla sua prima dimora a Pantygasseg in
una brocca di fermentato. Una dei servi della fattoria portò la brocca
104
a Panygasseg e si stava servendo del fermentato contenutovi quando
udì il Pwca dire: “Il Pwca ora va via in questa brocca di fermentato e
non ritornerà mai più.” E non venne mai più udito a Pantygasseg.
Un‟altra storia parla di una serva che lasciò cadere una palla di filato
oltre il ciglio della collina la cui base è bagnata dalle due peschiere
tra Hafod-yr-Ynys e Pontypool ed il Pwca disse: “Andrò in questa
palla ed andrò al Tran e non ritornerò mai più.” E la palla venne vista
rotolare giù per il fianco della collina ed attraversare la valle,
scalando la collina dall‟altra parte e rotolando vivacemente sulla
cima della montagna verso la sua nuova dimora.
105
X
Il denaro fatato ed i doni delle
Fate in generale
La storia di Gitto Bach, o il Piccolo Griffith - La punizione per le
chiacchiere - Le leggende dei pastori di Cwm Llan - Il valore
della gentilezza in termini di denaro - Ianto Llewellyn ed i
Tylwyth Teg - La leggenda di Hafod Lwyddog - Le lezioni
inculcate da queste credenze
“Questo è oro delle Fate, ragazzo, e proverà esserlo”, dice il vecchio
pastore in “Winter‟s Tale”, aggiungendo saggiamente: “Tienilo,
tienitelo vicino; casa, casa, la prossima via. Siamo fortunati, ragazzo,
ed essere tali richiede null‟altro che la segretezza.” (Winter’s Tale,
Atto III, Sc. 3)
Qui abbiamo sintetizzata la credenza tradizionale dei contadini
gallesi. Il denaro delle Fate è buono quanto qualunque altro fin
quando la sua fonte viene mantenuta nel più profondo segreto; se chi
lo trova riferisce i particolari della sua buona sorte, esso svanirà.
Talvolta, specialmente nei casi in cui il denaro è stato speso, il
cattivo risultato delle chiacchiere consiste nel non essere più favoriti
dalla sorte. La stessa legge governa i doni fatati di ogni genere.
Una leggenda del Breconshire racconta della generosità dei Tylwyth
Teg nel donare ai contadini delle pagnotte, che il mattino seguente si
mutavano in funghi velenosi; era necessario mangiare il pane
nell‟oscurità ed in silenzio per evitare questa trasformazione. La
storia di Gitto Bach, famosa in Galles, ne è un pittoresco esempio.
Gitto Bach (il piccolo Griffith), figlio di un piccolo contadino del
Glamorganshire, era solito fare delle passeggiate sulla cima della
montagna per badare alle pecore del padre. Al suo ritorno, egli
mostrava ai suoi fratelli e sorelle dei pezzi di carta insolitamente
bianca, come sommità, con stampate sopra delle lettere, che egli
diceva essergli stati dati dai bambini piccoli con cui giocava sulla
106
montagna. Un giorno non fece ritorno. Per due anni non se ne seppe
più nulla. Nel frattempo, talvolta altri bambini trovavano pezzetti di
carta simili sulle montagne. Una mattina, quando la madre di Gitto
aprì la porta, ecco che lo vide lì seduto pigramente, vestito
esattamente come quando lo aveva visto per l‟ultima volta due anni
prima. Aveva sotto il braccio un piccolo fagotto. “Dove diavolo sei
stato per tutto questo tempo?” chiese la madre. “Perché? Sono andato
via solo ieri!” rispose Gitto. “Guarda che bei vestiti mi hanno dato i
bambini sulla montagna per avere danzato con loro alla musica delle
loro arpe.” Ed aprì l‟involto e mostrò un bellissimo abito; e, guarda,
era solo carta, come il denaro fatato.
Solitamente, però, in Galles si tratta solo di una perdita del favore
fatato che segue al chiacchierare. Una leggenda si collega ad un
ponte nell‟Anglesea e parla di un ragazzo che vedeva spesso le Fate
in quel luogo ed aveva tratto profitto dalla loro generosità. Ogni
mattina, mentre andava a portare al pascolo le mucche di suo padre,
egli le vedeva e dopo che se ne erano andate trovava sempre una
moneta su una certa pietra di Cymmunod Bridge. Avendo così il
ragazzo sempre del denaro, il padre si insospettì ed un giorno di
Sabbath chiese al ragazzo in quale maniera lo ottenesse. Oh, i padri
ficcanaso! Naturalmente, il povero ragazzo confessò che era grazie
alle Fate e, naturalmente, nonostante egli spesso andasse in seguito
nel campo, non trovò mai più alcun denaro sul ponte, né vide più gli
offesi Tylwyth Teg. Divulgando il suo segreto, il loro favore fu
perduto.
Jones narra una storia simile riguardo ad una giovane donna di nome
Anne William Francis, della parrocchia di Bassalleg, che, passando
di notte in un boschetto vicino a casa sua, udì della musica piacevole
e vide una compagnia di Fate che danzava sull‟erba. Ella vi mise un
secchio d‟acqua, pensando di fare loro piacere. La volta dopo in cui
andò là, le diedero uno scellino “e così fu per diverse notti, fin
quando ella ebbe ventuno scellini.” Ma accadde che sua madre trovò
il denaro e le chiese dove l‟avesse preso, temendo che lo avesse
rubato. Dapprima la ragazza non glielo disse ma, quando la madre
“divenne molto severa con lei” e la minacciò di picchiarla, ella
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confessò di avere ricevuto il denaro dalle Fate. Dopo di che, esse non
gliene diedero mai più. Il Profeta aggiunge: “Ho sentito parlare di
altri posti dove la gente ha avuto del denaro dalle Fate, talvolta
monete d‟argento da sei pence ma più comunemente monete di rame.
Siccome essi non posso fare il denaro, deve certamente trattarsi di
denaro perduto o nascosto da persone.”
Nella leggenda dei due pastori di Cwm Llan e della loro esperienza
con le Fate, il primo ha a che vedere con la caratteristica della
segretezza, mentre il secondo riproduce la nota lezione riguardante il
valore monetario della gentilezza. La prima leggenda narra così:
Una mattina un pastore, che era alla ricerca delle sue pecore sul
fianco del Nant y Bettws, dopo avere attraversato il Cwm Llan, vide
molte piccole persone che cantavano e danzavano ed alcune delle
damigelle più graziose su cui mai egli avesse posato gli occhi che
stavano preparando una festa. Egli andò da loro e prese parte al pasto
e pensò che non aveva mai assaggiato qualcosa uguale a quei piatti.
Quando venne il crepuscolo, essi montarono le loro tende ed il
pastore non aveva mai visto prima cose belle come quelle che
avevano in quel luogo. Gli venne fornito un morbido letto di piume e
lenzuola del lino più fine ed egli si ritirò, sentendosi come un
principe. Ma, al mattino, meraviglia! Il suo letto non era altro che un
cespuglio di giunchi di palude ed il cuscino una zolla di muschio.
Egli trovò tuttavia nelle sue scarpe alcuni pezzi d‟argento e, in
seguito, per molto tempo continuò a trovare una volta alla settimana
un pezzo d‟argento posto tra due pietre vicino al luogo dove aveva
giaciuto. Un giorno, egli divulgò il suo segreto ad un altro e la
moneta settimanale non venne mai più posta in quel luogo.
C‟era un altro pastore vicino a Cwm Llan che, avendo sentito degli
strani rumori in un crepaccio, andato a vedere di che si trattasse vi
scoprì una singolare creatura che piangeva amaramente. Egli la tirò
fuori e vide trattarsi di un bambino Fata ma, mentre lo stava
guardando con compassione, due uomini di mezza età si
avvicinarono e lo ringraziarono cortesemente per la sua gentilezza e,
lasciandolo, gli donarono una verga come ricordo della circostanza.
L‟anno seguente, ogni pecora che possedeva diede alla luce due
108
agnellini. Esse continuarono a partorire così durante gli anni a
venire; una notte molto oscura e tempestosa, essendo rimasto nel
villaggio fino a molto tardi, nell‟attraversare il fiume che viene giù
da Cwm Llan vi fu una grande esondazione, che spazzò tutto quello
che trovava sul suo flusso ed egli perse la sua verga nel fiume e non
la vide più. La mattina, scoprì che quasi tutte le sue pecore ed i suoi
agnelli, come la sua verga, erano stati spazzati via dall‟esondazione.
La sua ricchezza si era allontanata da lui allo stesso modo in cui era
giunta - con la verga che aveva ricevuto dai guardiani del bambino
fatato.
Un Gallese del Pembrokeshire mi raccontò la storia che segue come
tradizione ben nota in quella parte del Galles. Ianto Llewellyn era un
uomo che viveva nei dintorni di Llanfihangel non più di cinquanta o
ottanta anni or sono ed aveva una preziosa ragione per credere nelle
Fate. Egli era solito tenere il fuoco di carbone acceso tutta la notte
per pura gentilezza di cuore, in caso i Tylwyth Teg dovessero avere
freddo. Che essi entrassero nella sua cucina ogni notte, lo sapeva
bene; spesso li udiva. Una notte in cui erano lì come al solito, Ianto
giaceva sveglio e li sentì dire: “Vorrei avere un poco di buon pane e
formaggio in questa notte fredda ma il pover‟uomo ne ha ancora solo
un boccone e, anche se è vero che per noi sarebbe un buon pasto, per
lui non è che un boccone e se lo prendessimo lui patirebbe la fame.”
Nell‟udire questo, Ianto gridò con tutto il fiato: “Prendete tutto
quello che ho nella madia e benvenuto a voi!” Quindi si voltò e si
mise a dormire. La mattina seguente, quando scese in cucina, guardò
nella madia per vedere se per caso vi fosse rimasta una crosta. Aveva
appena aperto l‟anta della madia quando gridò: “'O'r anwyl! Cos‟è
questo?” Perché ivi era il miglior formaggio che avesse mai visto in
vita sua, con due pagnotte di pane sopra. “Lwc dda i ti!” gridò Ianto,
facendo cenni con la mano verso il bosco dove sapeva che vivevano
le Fate; “Buona fortuna a voi! Che possiate non avere mai fame o
essere senza soldi!” E, non appena queste parole furono uscite dalla
sua bocca, vide - cosa pensate? - uno scellino sulla mensola! Ma
quello era lo scellino fortunato. Ogni mattina, da quel giorno, quando
Ianto si alzava vi era sulla mensola uno scellino; un altro, sapete,
109
perché egli aveva speso il primo in birra e tabacco da accompagnare
al suo pane e formaggio. Bene, dopo questo, nessun uomo dei
dintorni era meglio fornito di denaro di Ianto Llewellyn, anche se
non aveva mai lavorato. Egli ne aveva abbastanza per mantenere
anche sua moglie nel benessere e nell‟agiatezza e gli venne dato il
nome di Ianto il Fortunato. E fortunato avrebbe potuto essere fino al
giorno della sua morte se non fosse stato per la curiosità della donna.
Betsi, sua moglie, era determinata a sapere da dove arrivasse tutto
quel denaro e non dava pace al pover‟uomo. “Wel, naw wfft!”
gridava. “Nove vergogne su di te, perché tieni un cattivo segreto nei
confronti della tua stessa cara moglie!” “Ma lo sai, Betsi, che se te lo
dicessi non avrei mai più denaro.” “Ah,” diss‟ella, “allora sono le
Fate!” “Drato!” disse lui - e significa “piantala di infastidirmi” - “sì,
sono le Fate!” E ficcò le mani nelle tasche dei suoi pantaloni alla
zuava e lasciò la casa. Aveva sette scellini in tasca fino a quel
momento e cercò di sentirli con le dita ma scoprì che erano
scomparsi. Al loro posto, vi erano alcuni pezzi di carta buoni solo per
accendere la pipa. E da quel giorno le Fate non gli portarono più
denaro.
La lezione della generosità viene insegnata con forza e semplicità
nella leggenda di Hafod Lwyddog e la necessità della segretezza
viene pressoché abbandonata. Di nuovo un pastore, che abitava a
Cwm Doli e che ogni estate andava a vivere in una capanna vicino al
Green Lake (Llyn Glas) insieme al suo gregge. Una mattina, al
risveglio vide una graziosa damigella vestire un bambino vicino a
lui. Ella aveva ben poco in cui avvolgere il bambino, così lui le gettò
una delle sue vecchie camicie e le disse di avvolgervi il bambino.
Ella lo ringraziò e se ne andò. Da quella volta, ogni notte il pastore
trovò un pezzo di argento in un vecchio zoccolo nella sua capanna.
Per molti anni questa fortuna continuò e Meirig il pastore divenne
immensamente ricco. Sposò un‟amabile ragazza ed andò a vivere ad
Hafod Lwyddog. Tutto quello che intraprendeva prosperava - e da
qui il nome Hafod Lwyddog, perché Lwydd significa prosperità. Le
Fate fecero visita ogni notte all‟Hafod. Nessuna strega o spirito
maligno poteva fare del male alla sua gente, perché Bendith y
110
Mammau venne versata sulla famiglia e su tutti i loro discendenti.
(Cymru Fu, 472)
Naturalmente si è portati a pensare che alimentando la credenza in
storie come queste e come quelle che narreremo oltre, i delinquenti
potrebbero sfruttare questa credenza per tacere sui loro misfatti. Ma,
d‟altra parte, le virtù di ospitalità e generosità erano senza dubbio
altrettanto alimentate. Se qualcuno veniva favorito dalle Fate in tal
modo, la spiegazione immediata era che egli aveva fatto qualcosa di
buono per loro, generalmente senza sospettare di chi si trattasse. La
virtù della pulizia veniva in tal modo incoraggiata nelle giovani
fanciulle e nei servi; la credenza che una Fata avrebbe lasciato del
denaro solo su una mensola tenuta pulita potrebbe tendere a
null‟altro. Altra condizione per compiacere i Tylwyth Teg era che il
focolare fosse accuratamente spazzato ed i secchi lasciati pieni
d‟acqua. Allora le Fate sarebbero arrivate a mezzanotte, avrebbero
continuato la loro baldoria fino all‟alba, cantando il noto motivo di
“Toriad y Dydd” o “L‟Alba”, lasciato un pezzo di denaro sulla
mensola e sarebbero scomparse. Ed ecco una precauzione contro il
fuoco nel focolare spazzato e la provvista di secchi pieni d‟acqua.
Che la ricompensa promessa non arrivasse sempre non era prova che
non sarebbe mai arrivata e così veniva incoraggiata anche la virtù
della perseveranza. Le credenze di questo genere sono largamente
prevalenti tra le genti del nord. Nel folklore danese, il denaro fatato
dato a maleducati si muta talvolta in ciottoli e talvolta diventa
bollente e brucia le loro dita, così che essi lo lasciano cadere ed il
denaro affonda nel terreno.
111
XI
L’origine delle Fate gallesi
La teoria realistica - La leggenda del Cancello del Barone - Le
Fate Rosse - La Fata Trwyn ed il gentiluomo proscritto - La
teoria dei Druidi che si nascondono - I colori nelle vesti delle Fate
gallesi - La leggenda della donna prolifica - La teoria poetico-
religiosa - Il credo della scienza
Riguardo all‟origine dei Tylwyth Teg, vi sono due spiegazioni
popolari - una di carattere poetico-religioso e l‟altra pratica e
realistica. Entrambe sono egualmente lontane dalla verità, essendo
stata scoperta l‟origine delle Fate nella mitologia primeva; ma,
essendo il mio scopo quello di evitare l‟allargarsi in direzioni
generalmente note allo studioso, devo solo presentare l‟aspetto locale
di questa, così come delle altre caratteristiche del mio soggetto.
La teoria realistica sull‟origine dei Tylwyth Teg deve essere citata
con rispetto, perché tra i suoi sostenitori vi sono stati uomini di
cultura e buon senso. Questa teoria presume che le prime Fate
fossero uomini e donne mortali fatti di carne e sangue e che le
credenze successive siano una mera eco di storie che un tempo
parlavano di creature reali. A quasi sostegno di questa teoria, vi è una
tradizione ben autenticata che parla di una razza di esseri che, a metà
del XVI secolo, abitavano il bosco del Great Dark Wood (Coed y
Dugoed Mawr), nel Merionethshire, e venivano chiamate le Fate
Rosse. Vivevano in rifugi nel terreno, avevano fieri capelli rossi e
lunghe braccia forti e rubavano di notte pecore e bovini. Vi sono dei
cottage nella parrocchia di Cemmaes, vicino al bosco del Great Dark
Wood, con falci nei camini, che venivano messe lì per tenere alla
larga queste terribili creature.
Una vigilia di Natale, un coraggioso cavaliere di nome Barone
Owen, a capo di una compagnia di guerrieri, assalì le Fate Rosse e le
trovò di carne e sangue. Il Barone ne appese un centinaio ma
risparmiò le donne, una delle quali lo scongiurò con forza di
112
risparmiare la vita di suo figlio. Il Barone rifiutò ed ella si aprì il
petto e urlò: “Questo petto ha nutrito altri figli oltre a lui, che
laveranno ora le loro mani nel tuo sangue, Barone Owen!” Non
molto tempo dopo, il Barone cadde in un agguato in un certo luogo
ad opera dei figli della “donna fatata, che lavarono le loro mani nel
suo caldo sangue fumante, a compimento della minaccia della
madre.” Ed a tutt‟oggi quel luogo porta il nome di Llidiart y Barwn
(Cancello del Barone); qualunque contadino della zona potrà
raccontarvi la storia, come uno ha fatto con me. Naturalmente, non vi
sono basi migliori per le figure delle Fate in essa citate delle fantasie
della mente ignorante ma la leggenda in sé è - nella sua forma -
molto vicino alla storia. Gli esseri in questione erano una banda di
fuorilegge, che avevano naturalmente interesse ad alimentare la
credenza nei loro poteri sovrannaturali.
Il cosiddetto Pwca'r Trwyn che infestava la fattoria nei dintorni di
Mynyddyslwyn viene talvolta citato come un altro caso in cui una
Fata era probabilmente di carne e sangue e, se questo fosse vero, non
proverebbe comunque nulla se non l‟adozione di un‟antica credenza
da parte di un nobiluomo gallese proscritto. Dice la tradizione che
questa Fata avesse un nome e che questo nome era “yr Arglwydd
Hywel”, che in Inglese significa “Lord Howell”. E si pensa che
questo Lord, in una battaglia contro le forze del re inglese, ebbe la
peggio e fosse stato costretto a nascondersi; che i suoi inquilini a
Pantygasseg ed alla Trwyn Farm, amando il loro signore, lo abbiano
aiutato a nascondersi ed a spargere la voce che egli era una Fata della
casa, un Bwbach. Si dice che generalmente egli parlasse dalla sua
stanza in questa fattoria con voce gentile che giungeva tra le tavole
nella stanza comune sotto. Un giorno, i servi stavano paragonando
tra loro le loro mani in quanto a grandezza e bianchezza quando
udirono la Fata dire: “La mano del Pwca è la più bella e la più
piccola.” I servi chiesero se la Fata voleva mostrare la sua mano ed
immediatamente venne spostata una tavola dal soffitto ed apparve
una mano, piccola, graziosa e dalla bella forma, con un grande anello
d‟oro al piccolo dito.
113
Curiosamente interessante è l‟ipotesi circa l‟origine realistica dei
Tylwyth Teg che venne proposta alla fine del secolo scorso da
diversi scrittori, tra cui il Rev. Peter Roberts, autore del Collectanea
Cambrica. Questa ipotesi afferma che in antico le Fate erano Druidi
che si nascondevano dai propri nemici o, se non loro, altre persone
che avevano un simile motivo per vivere nascoste in luoghi
sotterranei ed avventurarsi all‟esterno solo di notte. “Alcuni nativi
sconfitti”, pensava il Dr. Guthrie, mentre Mr. Roberts immaginava
“siccome gli Irlandesi erano frequentemente sbarcati con intenzioni
ostili in Galles,” era “ben possibile che alcuni piccoli corpi di quella
nazione lasciati indietro o incapaci di ritornare e timorosi di essere
scoperti si fossero nascosti nelle caverne durante il giorno ed
avessero inviato fuori i loro bambini di notte, vestiti in maniera
fantastica, per prendere cibo e fare esercizio e così si siano salvati.”
Ma vi furono delle obiezioni a queste teorie e la teoria dei Druidi fu
la preferita. Dice Mr. Roberts: “Le usanze delle Fate apparivano
evidentemente troppo sistematiche e troppo generali per essere quelle
di un reparto accidentale afflitto. Sono quelle di una consistente e
regolare politica istituita per evitare di essere scoperti ed ispirare
paura del loro potere ed un‟alta opinione della loro benevolenza. Di
conseguenza, la tradizione nota che il tentare di scoprirli significava
incorrere in distruzione certa. “Essi sono Fate”, dice Falstaff: “colui
che le guarda morirà.” Esse non dovevano essere ostacolate nel loro
andare e venire; una ciotola di latte doveva essere lasciata sul
focolare per loro di notte e, in cambio, essi lasciavano un piccolo
dono in denaro quando se ne andavano, se la casa veniva tenuta
pulita; altrimenti, esse infliggevano qualche punizione al negligente,
il quale, siccome guardarli significava la morte, era obbligato a
soffrire e senza dubbio gli venivano giocati vari scherzi in quelle
occasioni. Il loro vestiario generale era verde, in modo da potersi
nascondere meglio; e, siccome i loro bambini avrebbero potuto
tradire il luogo in cui essi sono, pare abbiano sopportato il dovere
uscire solo di notte e di divertirsi con le danze nelle notti di Luna.
Queste danze, come quelle intorno al Palo di Maggio, si dice fossero
eseguite intorno ad un albero e su un luogo elevato, principalmente
un tumulo, accanto al quale vi era probabilmente la loro dimora o la
114
sua entrata. Le persone anziane, probabilmente, si sono mescolate
per quanto potevano con il mondo e, se accadeva talvolta che
venissero riconosciute, la certezza della vendetta era la loro salvezza.
Se, per caso, la loro società veniva assottigliata, pare che rapissero
bambini e cambiassero bambini fragili con bambini forti. Ai bambini
rapiti, se erano oltre l‟infanzia, che venivano portati nelle loro
dimore sotterranee pare venissero dati dei soporiferi e che venissero
trasportati in una zona distante del paese; qui veniva permesso loro
di uscire solo di notte ed essi scambiavano la notte per il giorno e
probabilmente non venivano disingannati fino a quando non lo si
poteva fare in sicurezza. La regolarità e la generalità di questo
sistema mostra che vi era un corpo di persone esistente nel regno
diverso dai suoi abitanti conosciuti e erano o confederati o obbligati
a vivere o a incontrarsi misteriosamente; ed i loro riri, in particolare
quello del danzare intorno ad un albero, probabilmente una quercia
come quella di Herne, ecc., così come il loro amore per la verità e la
probità, li riporta ad un‟origine druidica. Se questo fosse vero,
sarebbe facile concepire - come invero la storia dimostra - che,
siccome i Druidi vennero perseguitati dai Romani e dai cristiani, essi
possano avere usato questi mezzi per conservare se stessi e le loro
famiglie e, siccome il paese era poco popolato e densamente
boscoso, lo possano avere fatto con successo e, magari, fino ad un
periodo più tardo di quanto si immagina - fin quando l‟incremento
della popolazione non lo ha reso impossibile. Essendo quella
druidica una delle religioni più antiche, dev‟essere stata una delle
prime ad essere perseguitate e costretta a formare un piano regolare
di sicurezza che il loro dimorare in caverne può avere suggerito e la
necessità migliorato.
Si osserverà che uno dei punti di questa curiosa speculazione si basa
sugli abiti verdi delle Fate. Non richiamo l‟attenzione su di essi con
uno scopo quixotico di controversia sulle conclusioni che se ne
possono trarre; è molto più interessante in quanto caratteristica del
soggetto generale del vestiario delle Fate. Le Fate gallesi vengono
descritte dettagliatamente in abiti i cui colori non si incontrano
comunemente nelle storie di Fate, un fatto a cui ho già fatto cenno in
115
precedenza. Nella leggenda del Luogo della Contesa, i Tylwyth Teg
incontrati dalle donne vengono chiamati “i vecchi Elfi dalla
sottoveste blu”. E‟ stato qui suggerito un collegamento con il blu del
cielo; è stato anche evidenziato che la veste sacra dei Druidi era blu.
La fantasia della sottoveste blu pare essere locale del Nord del
Galles. Nel Cardiganshire, la tradizione che riguarda un
accampamento chiamato Moyddin, frequentato dalle Fate, è che esse
vestano sempre in verde e non sono mai state viste là se non nel mese
primaverile di maggio. C‟è un Folletto del Glamorganshire chiamato
la Dama Verde di Caerphilly il colore dei cui abiti viene indicato dal
suo nome. Ella infesta le rovine del castello di Caerphilly di notte
indossando una veste verde ed ha il potere di mutarsi in edera e
mescolarsi all‟edera che cresce sul muro. Un modo più ingenuo di
sbarazzarsi di un Folletto non è forse mai stato inventato. Le Fate di
Frennifawr, nel Pembrokeshire, erano al contrario in uno sfarzoso
scarlatto, con cappelli rossi e piume che ondeggiavano al vento
mentre danzavano. Ma altre erano in bianco e questa pare essere la
tinta preferita dei moderni abiti delle Fate gallesi quando sono in
tenuta da festa. Questi vari dettagli sui colori sono dovuti al fervore
della fantasia gallese, naturalmente, e forse la loro varietà deve
essere in parte ascritta ad un senso più intenso della forma delle cose
tra i moderni di quanto lo fosse in tempi precedenti. Il bianco, per i
Gallesi, sarebbe naturalmente il colore preferito per una bella
creatura che danza alla luce lunare su una vellutata zolla erbosa. Il
nomignolo più popolare per una fanciulla gallese è oggi esattamente
quello che è stato per secoli e cioè Gwenny, diminutivo di Gwenllian
(anglicizzato in Gwendoline) - un nome che significa semplicemente
“lino bianco” e l‟abito preferito delle Fate è indubbiamente un abito
di lino bianco. Questa fibra, comune com‟è ai nostri giorni, nei tempi
antichi era di inestimabile valore. Nei Mabinogion, il lino viene
ripetutamente citato nelle magnifiche descrizioni dello splendore da
favola dei castelli principeschi - lino, seta, satin, velluto, pizzo dorato
e gioielli sono le caratteristiche costanti di una dimora sontuosa. Nel
suo resoconto sulle tribù reali del Galles, in Wales Yorke cita che il
lino era così raro sotto il regno di Charles VII di Francia (cioè nel
XV secolo) “che sua maestà la regina poteva vantarsi di avere solo
116
due pezze di quel lusso”.
Il primo motivo per la bianchezza delle vesti delle Fate si può qui
comprendere facilmente ed in Galles l‟antico amore per il bianco
permane tuttora. I contadini gallesi, che si vestono con colori scuri ed
in maniera grossolana, fanno del bianco un colore puro della festa e
progettano ogni altra tinta per le Fate più comuni, come il Beach e
simili:
La Fata grezza di campagna,
Che infesta il focolare e la cascina.
(Jonson, Masque of Oberon)
Così, il Beach è solitamente marrone e spesso irsuto ed i Coblynau
sono neri o color del rame in volto, così come nei loro abiti.
Una leggenda locale sull‟origine delle Fate in Anglesea mescola il
pratico allo spirituale in tal modo:
“Al tempo del nostro Salvatore viveva una donna la cui fortuna era di
avere molti figli… e quando ella vide il nostro benedetto Signore
avvicinarsi alla sua dimora, vergognandosi di essere così prolifica e
temendo che Lui potesse non vedere tutti, ella ne nascose metà e,
dopo la sua partenza, quando andò a cercarli, con sua grande
sorpresa scoprì che se ne erano tutti andati. Non vennero mai più
trovati e si suppose che quella fosse una punizione celeste per avere
nascosto quanto Dio le aveva donato; ella ne venne privata e si dice
che la sua prole abbia generato la razza chiamata Fate.” (Camb. Sup.,
118)
La teoria popolare in Galles, comunque, è quella poetico-religiosa. In
poche parole, è la credenza che i Tylwyth Teg siano le anime dei
morti non abbastanza cattivi per l‟inferno né abbastanza buoni per il
paradiso. Essi sono condannati a vivere sulla terra, a dimorare in
luoghi segreti fino al giorno della resurrezione, quando saranno
ammessi in paradiso. Nel frattempo, essi devono lavorare
incessantemente o giocare incessantemente ma il loro lavoro è senza
frutto ed il loro piacere insoddisfacente. Una variazione di questa
credenza generale vede queste anime come quelle degli antichi
117
Druidi, una fantasia particolarmente impressionante, in quando
indica la durata della loro pena e ci ricorda dell‟Ebreo Errante del
mito. Viene confinata principalmente ai Coblynau, o abitatori delle
miniere e delle caverne. Un‟altra variante considera le Fate spiriti
maligni di origine ancora più remota - gli stessi che furono gettati giù
dal cielo insieme a Satana durante la battaglia ma non caddero
nell‟inferno, atterrando invece sulla terra, dove viene loro permesso
di rimanere sino al giorno del giudizio, come sopra. Un dettaglio di
questa teoria spiega la rara apparizione delle Fate al giorno d‟oggi -
esse si astengono dal fare del male in vista dell‟avvicinarsi del
giudizio, con la speranza di conciliarsi in tal modo il paradiso.
Il Profeta Jones, nello spiegare il perché le Fate sono state così attive
in Galles, espone la teoria poetico-religiosa in forma egregia. Dopo
avere affermato che alcuni nel Monmouthshire erano così ignoranti
da pensare che le Fate fossero spiriti felici perché avevano la musica
e la danza, egli procede affermando nei termini più enfatici che i
Tylwyth Teg non sono altro, “dopo tutto il parlare che se ne è fatto”,
che spiriti disincarnati di uomini che vissero e morirono senza potere
godere dei mezzi di grazia e salvezza come Pagani ed altro e la cui
punizione è perciò molto meno severa di quella di coloro che hanno
goduto dei mezzi di salvezza. Ma alcune persone potrebbero
desiderare di sapere perché queste Fate sono apparse di più in Galles
che in alcuni altri paesi. Ed io rispondo che non posso dare altra
ragione che questa - che, avendo perduto la luce della vera religione
nell‟VIII e X secolo del cristianesimo ed avendo invece ricevuto il
Papato, su di loro cadde la notte oscura; ed allora questi spiriti delle
tenebre divennero più coraggiosi e intrusivi e la gente, come ho detto
prima, nella loro grande ignoranza li vedeva come una compagnia di
bambini in luoghi asciutti che danzava e faceva musica e pensava
che fossero delle creature felici… e dava loro il benvenuto nelle
proprie case… I Gallesi entrarono in familiarità con le Fate al tempo
di Henry IV ed il male allora aumentò; le severe leggi di quel
principe imponevano, tra le altre cose, che essi non dovessero istruire
i loro figli, ecc., per cui una totale tenebra venne su di loro; quelle
leggi crudeli vennero promulgate a causa della ribellione di Owen
Glandwr e dei Gallesi che si unirono a lui, pensando scioccamente di
118
liberarsi dal giogo sassone prima di essersi pentiti dai propri
peccati.”
Quali che siano le cause localmente accettate, è fuor di dubbio che
nel folklore fatato del Galles, come in quello di altre terre, si
ritrovano i debris di un‟antica mitologia - scintillanti frammenti di
quelle costellazioni magiche che splendono nell‟oscurità del tempo
primevo, grandi e maestose come il vasto Ignoto da cui esse si sono
evolute grazie alla fantasia. Con l‟aiuto della moderna ricerca
scientifica, “quelle epoche che i miti dei secoli hanno popolato di
ombre eroiche” (Marchese di Bute nel parlare al Royal
Archaeological Institute, incontro di Cardiff) ci vengono portate più
vicino e l‟umile Tylwyth Teg gallese può ritornare e dare la mano
agli Dei olimpici.
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© Elfi Edizioni
Titolo originale: British Goblins - Welsh Folk-lore, Fairy
Mythology, Legends and Traditions
Autore: Wirt Sikes
Traduzione, impostazione grafica interna ed
impaginazione: L.Milani
Impostazione grafica di copertina: G.Venturi
Immagini interne e di copertina tratte da Microsft Office,
Corel Draw, T.H. Thomas (illustrazioni interne originali)
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