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ARACNE Economia e gestione dei gruppi e della fiscalità internazionale Riccardo Passeri (a cura di) Simone Gentili / Chiara Mazzi Maria Cristina Teglia / Gabriele Turelli

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ARACNE

Economia e gestionedei gruppi e della fiscalità

internazionale

Riccardo Passeri (a cura di)Simone Gentili / Chiara Mazzi

Maria Cristina Teglia / Gabriele Turelli

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Copyright © MMVIIIARACNE editrice S.r.l.

[email protected]

via Raffaele Garofalo, 133 A/B00173 Roma

(06) 93781065

ISBN 978–88–548–2175–0

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: novembre 2008

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INDICE

PARTE PRIMA

ECONOMIA E GESTIONE DEI GRUPPI ............................ 5

Capitolo I

Elementi costituenti le aggregazioni di imprese ...................... 7

I.1 – Le relazioni fra unità economiche diverse ...................................... 7

I.2 – Le forme di aggregazione di imprese alternative ai gruppi ............. 12

I.3 – Le motivazioni economiche della nascita dei gruppi ..................... 17

I.4 – Gruppi e crisi d’impresa .................................................................. 20

Capitolo II

I gruppi di imprese nell’ordinamento italiano ........................ 25

II.1 – Il concetto di gruppo e l’inquadramento nell’ordinamen-

to giuridico italiano ........................................................................ 25

II.2 – I termini di contorno del gruppo di imprese negli studi di

UnionCamere .................................................................................. 39

Capitolo III

I gruppi di imprese nel contesto economico locale e nazionale 47

III.1 – Introduzione ................................................................................... 47

III.2 – Tentativi di definizione del concetto di gruppo ............................ 50

III.3 – Come nasce un gruppo .................................................................. 56

III.3.1 – L’acquisizione di partecipazioni di controllo in

altre imprese ................................................................... 56

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Indice

2

III.3.2 – La costituzione di una nuova società per lo svi-

luppo di nuove attività .................................................... 57

III.3.3 – Il conferimento in una società di pacchetti di

controllo di una o più imprese ....................................... 58

III.3.4 – Lo scorporo di un ramo di attività di un’impre-

sa ed il suo conferimento in un’altra società ................ 60

III.4 – Finalità e vantaggi operativi di un gruppo aziendale ................. 63

III.5 – Tipologie di gruppi di imprese ...................................................... 65

III.5.1 – Tipologie che considerano la natura giuridica

della capogruppo e delle singole società che la

compongono .................................................................. 65

III.5.2 – Tipologie che considerano la natura economi-

ca della capogruppo e delle singole società

che la compongono ....................................................... 67

III.6 – Il gruppo di imprese oggi .............................................................. 72

III.6.1 – Dati regionali ................................................................... 73

III.6.2 – Dati provinciali ................................................................ 80

III.6.2.a – Le province più popolate dai gruppi ............. 80

III.6.2.b – Dove si concentra il fatturato dei

gruppi .............................................................. 81

III.6.2.c – Dove rappresentano più occupazione ............ 82

III.6.2.d – L’estensione territoriale dei gruppi ............... 83

Capitolo IV

I gruppi di imprese internazionali ........................................... 85

IV.1 – Scelte strategiche e convenienza operativa nella nascita

dei gruppi internazionali .............................................................. 85

IV.2 – Sviluppo dell’impresa e nascita dei gruppi di imprese

internazionali ................................................................................. 88

IV.3 – I gruppi di imprese nel Novecento ............................................... 94

IV.4 – La diversificazione nel periodo postbellico ................................. 97

IV.5 – Dalle multinazionali alle imprese internazionali ........................ 100

IV.6 – Le principali caratteristiche organizzative del modello

globale ........................................................................................... 104

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Indice

3

PARTE SECONDA

ECONOMIA DELLA FISCALITÀ INTERNAZIONALE .... 107

Capitolo V

Principi di fiscalità internazionale ........................................... 109

V.1 – Note introduttive ai mercati internazionali ................................. 109

V.2 – Il gruppo come strumento di pianificazione fiscale ..................... 111

V.2.1 – La pianificazione fiscale internazionale ......................... 111

V.2.2 – La direttiva madre-figlia e successive modifiche

........................................................................................... 113

V.2.3 – Il modello OCSE e le Convenzioni contro le

doppie imposizioni .......................................................... 115

V.2.3.a – Il modello OCSE ............................................. 116

V.2.3.b – Le Convenzioni contro le doppie im-

posizioni .......................................................... 117

V.2.4 – Breve analisi dei principi generali dell’ordina-

mento interno in tema di fiscalità internazionale ............. 124

V.3 – Il concetto domestico di “elusione” ............................................. 127

V.3.1 – La normativa interna ....................................................... 127

V.3.2 – La dottrina internazionale ............................................... 129

V.3.3 – Le norme antielusive nazionali: le CFC e le so-

cietà collegate, il transfer pricing .................................. 130

V.3.4 – Il transfer pricing ............................................................ 138

V.3.5 – Il transfer princing e la doppia imposizione ................. 145

V.4 – Il consolidato nazionale ................................................................ 148

V.4.1 – Il perimetro del consolidato nazionale ........................... 149

V.4.2 – Condizioni per l’efficacia dell’opzione .......................... 154

V.4.3 – Interruzione delle opzioni esercitate .............................. 161

V.5 – Il consolidato mondiale ................................................................. 165

V.6 – La trasparenza fiscale ................................................................... 184

V.7 – La cessione dei crediti infragruppo .............................................. 192

V.8 – La Direttiva n. 2003/49/CE del 3 giugno 2003: interessi

e canoni corrisposti a società consociate residenti in

Stati membri ................................................................................... 193

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Indice

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PARTE TERZA

ANALISI EMPIRICA ............................................................. 197

Capitolo VI

Ricognizione nella realtà operativa dei gruppi di im-prese attraverso l’analisi di casi aziendali ............................... 199

VI.1 – Gruppo Bassilichi S.p.A.

di C. MAZZI ................................................................................... 199

VI.2 – Gruppo Gommatex

di M.C. TEGLIA ............................................................................. 213

VI.3 – Gruppo Stefano Ricci S.p.A.

di C. MAZZI ................................................................................... 218

VI.4 – Introduzione a un’economia locale e ad alcuni gruppi

che vi operano ............................................................................... 231

VI.4.1 – Gruppo Cartoinvest

di G. TURELLI ................................................................. 242

VI.4.2 – Gruppo Vivai Fratelli Tesi

di G. TURELLI ................................................................. 250

VI.4.3 – Gruppo Balducci

di S. GENTILI .................................................................. 253

VI.4.4 – Gruppo PanaPesca

di M.C. TEGLIA .............................................................. 260

Bibliografia ................................................................................ 265

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PARTE PRIMA:

ECONOMIA E GESTIONE DEI GRUPPI

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7

CAPITOLO I

ELEMENTI COSTITUENTI LE AGGREGAZIONI DI IMPRESE

I.1 – Le relazioni fra unità economiche diverse

Le relazioni fra unità economiche diverse, di carattere durevole nel

tempo e suscettibili di influenzare il governo dell’impresa stessa, costi-tuiscono le aggregazioni di imprese1.

Dette relazioni formano il pre-requisito delle forme di collaborazio-ne economica temporanee o durature, più o meno volontarie, che na-scono al fine dell’esercizio in comune del governo delle imprese, op-pure di alcune parti dello stesso, e sono svolte non necessariamente con processi di complementarietà economico-tecnica.

Le relazioni di cui si dice emergono come un insieme di “legami”, della natura più varia, per lo più di origine contrattuale, che finiscono per avere dei riflessi sulla struttura aziendale, sulla complessità e sull’articolazione dei sistemi d’impresa.

Le aggregazioni di imprese indicano quindi delle forme di collabo-razione economica per un processo di avvicinamento di unità distinte che superano le forme di un generico scambio di mercato e volgono a situazioni di più forte coesione2.

Tale processo di collaborazione investe la pienezza delle funzioni e delle coerenze che compongono il sistema impresa e sono necessaria-mente riflessi nel sistema operativo dell’impresa stessa, cioè nelle sue componenti del processo materiale, energetico e informativo.

L’evoluzione delle forme di collaborazione fra imprese, che hanno come massima forma di coesione il gruppo, è riconducibile a due fon-damentali percorsi genetici, diversi per gli effetti organizzativi e ge

1 Così, nella sostanza, Azzini L. (1974), Autonomia e collaborazione fra aziende, Giuffrè, Mi-lano. 2 Riparbelli A. (1962), Correlazioni ed interdipendenze fra organismi aziendali, Cursi, Pisa.

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Capitolo I

8

stionali ricollegabili3. Si è osservato, infatti, che lo sviluppo delle imprese ha seguito due principali modalità:

- una prima, caratterizzata da un processo di filiazione di nuove unità, man mano che le prime nate non volgevano verso l’incremento dimensionale;

- una seconda, riguardante l’utilizzo diffuso di terze imprese per realizzare un’idea imprenditoriale ritenuta maggiormente compiuta.

In ogni caso, ci preme ricondurre l’impostazione generale del tema al sistema di conoscenze che assume come figura centrale quella dell’imprenditore4, unitariamente considerata, che subordina l’identificazione dei processi economici alla conoscenza dei connotati gestionali ed organizzativi indotti dai processi di aggregazione.

Nei vari filoni di studio inerenti i gruppi di imprese è possibile indi-viduarne due dominanti, che hanno preso a base due concetti cardine del pensiero economico-aziendale: la concorrenza e l’economia ge-stionale. A questo proposito:

- il primo vede la motivazione principale della creazione di con-centrazioni industriali come argine in grado di limitare le “ondate” di concorrenza in un certo settore produttivo e/o un certo ambito territo-riale5;

- il secondo sottolinea il miglioramento dell’efficienza dei pro-cessi attraverso la riduzione dei costi di produzione, ad esempio, per l’effetto delle maggiori dimensioni dei sistemi di produzione (econo-mie di scala), per la specializzazione produttiva (economie di espe-rienza), per i migliori sincronismi di coordinamento operativo fra di-verse unità (economie di integrazione)6.

Di fatto, prescindendo dalle motivazioni che spingono verso la na-scita delle aggregazioni, l’obiettivo immanente delle imprese e dei loro imprenditori è, e rimane, quello di “impostazione e soluzione dei pro-blemi dello sviluppo”7. Si tratta quindi di un tema strategico, che può 3 Lorenzoni G. (1990), L’architettura di sviluppo delle imprese minori, Il Mulino, Bologna. 4 Si ricordi l’insegnamento del Maestro Fazzi R. (1982), Il Governo d’impresa, Giuffrè, Mila-no. 5 Si veda Onida P. (1951), Le dimensioni del capitale d’impresa. Concentrazioni, trasforma-zioni, variazioni di capitale, Giuffrè, Milano. 6 Lai A. (1991), Le aggregazioni di imprese, Franco Angeli, Milano. 7 Cfr. Fazzi, op. cit.

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Elementi costituenti le aggregazioni di imprese

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sostanziarsi nella conclusione di intese che trovano una prima giustifi-cazione nella necessità di favorire fattori positivi di sviluppo, cercando di ridurre quelli negativi e di promuovere, al tempo stesso, le migliori condizioni durature di espansione e di economicità delle singole auto-nomie.

Quando Roberto Fazzi parla del governo dell’impresa, egli indivi-

dua in essa una dicotomia: l’ente impresa e l’organismo che la gover-na. Quindi si ha, con la prima accezione, la scelta della forma istitu-zionale e giuridica e, con la seconda, la scelta delle forme e dei modi organizzativi che consentano di raggiungere le finalità proprie dell’ente e gli scopi motivanti dell’assetto proprietario e imprenditoria-le8.

Dopo aver proposto questa visione dicotomica, Fazzi considera an-che la “ricomposta unità” dell’impresa, in una visione che assume co-me centrale la concezione istituzionale o istituzionalistica dell’impresa, secondo la quale essa è concepita come istituto economi-co atto a durare nel tempo, attraverso il quale si compone l’operare dell’uomo in campo economico.

La cd. “visione istituzionalistica” dell’impresa ci consente, da un la-to, di poter escludere l’impiego del concetto di aggregazione allor-quando le unità che compongono il complesso non presentino requisiti minimi, e dall’altro, di considerare in quali casi il mutare delle relazio-ni di interdipendenza fra le imprese possa portare a modifiche nella na-tura e nei caratteri delle aggregazioni stesse, arrivando quasi a configu-rare le imprese come dotate di una particolare “soggettività” o come veri e propri istituti economici.

Ed è proprio con riferimento al cd. “sistema dei fini” che le imprese si rappresentano come istituti economici autonomi, concetto, quest’ultimo, da cui discende l’autonomia del patrimonio dell’impresa ed il controllo, per quanto mediato, sulla formazione e distribuzione della ricchezza da cui deriva. E il concetto di autonomia non deve confondersi con quello di indi-pendenza dell’istituto; infatti l’attività imprenditoriale è vincolata

8 Così Vallini C. (1990), Fondamenti di governo e di direzione d’impresa, Giappichelli, To-rino.

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Capitolo I

10

all’attività degli altri ”attori” con i quali l’impresa si deve confrontare quando si attuano processi economici comuni. La dipendenza è quindi spiegata dalla partecipazione al confronto concorrenziale con altri isti-tuti o, più semplicemente, dall’appartenenza ai medesimi settori. Tut-tavia tali vincoli, se concorrono a delimitare il campo delle scelte im-prenditoriali, non possono impedirne l’orientamento di fondo e la for-ma istituzionale necessaria per il perseguimento degli scopi motivanti. Emerge l’importanza dello stato dei rapporti di forza fra soggetti e la dipendenza si presenta tanto più forte quanto maggiori e più intensi appaiono i vincoli che vengono posti da un istituto aziendale ad altre imprese ad esso prossime, atteso che, in un sistema economico fondato sulla specializzazione, sulla divisione del lavoro e sullo scambio di mercato, ogni processo gestionale necessita di collaborazione intera-ziendale.

Il concetto di collaborazione si riconnette alla partecipazione con-giunta di una pluralità di istituti economici, basata su scambi volti all’ottenimento di obiettivi comuni, restando ferma la pluralità dei fini delle singole imprese che partecipano agli scambi stessi.

Le aggregazioni di imprese, innanzi alla compresenza dei caratteri di autonomia e interdipendenza delle imprese che le compongono, si qualificano per la convergenza in particolari risultati produttivi, che tuttavia non si identificano con la differenziazione dei fini perseguiti dai diversi soggetti economici.

La struttura stessa dell’aggregazione è qualificata dal carattere dei vincoli che si stabiliscono fra imprese “aggregate”, oltre che dall’oggetto delle relazioni fra imprese, riguardo, ad esempio, alla du-rata, alla spontaneità, alla formalità dei vincoli, oppure al tipo di parte-cipazione al controllo societario.

Si vengono quindi a rimettere in gioco i cosiddetti “confini dell’impresa”, cioè la risultante del confronto tra fini ultimi del sogget-to economico e obiettivi produttivi attuati attraverso l’interazione co-mune. L’estensione dell’influenza nel governo dell’impresa e dei con-dizionamenti esercitati ai vari livelli fa ritenere fondata la concezione per la quale i processi di aggregazione introducono nuove configura-zioni organizzative.

Infatti, questi processi rappresentano la naturale estensione dell’impresa e realizzano forme di divisione del lavoro e di specializ-

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Elementi costituenti le aggregazioni di imprese

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zazione a dimensioni sovra-aziendali, soggette a manifestare necessità di differenziazione, di coordinamento e di integrazione, così come ac-cade nelle unità aziendali.

Accade così che si verifichi il carattere di dipendenza fra le unità aziendali componenti l’aggregato, che perdono quindi l’autonomia e l’indipendenza manifestate nella relazione biunivoca fra gli elementi, quali il soggetto proprietario, il capitale di rischio, l’organismo, la struttura aziendale e le combinazioni economiche, che connotano l’impresa reale9.

Ne consegue che il nuovo contesto determina la necessità di ripen-sare, magari in una dimensione sovra-aziendale, ai principi di unicità del comando e di ampiezza del controllo; è qui che trovano afferma-zione le teorie aziendali relative alle cd. “reti di imprese” o network10, con le quali si realizzano forme di estensione organizzativa, non neces-sariamente di tipo equity, attraverso unità decentrate che sviluppano processi di reciproco adattamento.

I confini dell’ente impresa sono così tracciati, non tanto e non sol-tanto, dal perimetro giuridico prescelto, bensì dall’identità degli scopi, che sono l’espressione massima dell’autonomia del soggetto imprendi-tore. L’analisi di detti scopi consente di raggiungere la sistematica nel coacervo delle entità interagenti intorno alle aggregazioni. Il dubbio che può sorgere è se sia possibile attribuire unitarietà soggettiva ad una pluralità di soggetti giuridici ed economici. Evidentemente il dubbio non può essere chiarito in modo univoco; ci saranno situazioni nelle quali l’aggregazione sarà finalizzata alla realizzazione di un unitario progetto produttivo, altre in cui tale fine sarà meno individuabile.

Situazione diversa si ha quando le aggregazioni fondano il proprio motivo di esistere sulla partecipazione al capitale sociale. Infatti, tali aggregazioni possono portare alla perdita di autonomia per talune delle aziende aggregate, qualora il grado di partecipazione di un’impresa in

9 Rouach D. (2007), Innovazione, trasferimento di tecnologia e conoscenza nella stagione del-la complessità, XIX Convegno di Sinergie, 22/23 novembre 2007. 10 Quando vi sia comunanza delle caratteristiche gestionali e la divisione del lavoro, si hanno le condizioni che consentono di riconoscere una soggettività propria dell’insieme delle impre-se, spesso denominate “imprese rete”.

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Capitolo I

12

un’altra risulti sufficiente per l’esercizio del potere di pieno controllo da parte del soggetto economico della prima.

I gruppi di imprese sono quindi dei particolari complessi dotati di autonomia decisionale, contrassegnati da vincoli forti ed orientati da un unico soggetto economico.

Il termine gruppo fa riferimento ad un’autentica unità economica, in quanto le singole realtà che la compongono sono gestite coerentemente ed in modo duraturo verso il raggiungimento di finalità comuni dell’assetto proprietario, sia pur vincolate dalla ricerca degli equilibri specifici e propri di ognuna.

Le singole imprese, quindi, sono dotate di formale indipendenza delle strutture aziendali, ma possono essere considerate come unità e-conomiche relative, nel senso che lo sviluppo di ognuna è condizionato reciprocamente a quello delle altre; Roberto Fazzi chiamava le imprese di un gruppo “pseudo o quasi imprese”11.

I.2 – Le forme di aggregazione di imprese alternative ai gruppi

In letteratura si è parlato spesso di rete di imprese o di impresa-rete con riferimento a realtà imprenditoriali ed economiche diverse da quel-le tradizionali o tradizionalmente intese.

In una prima accezione, con i termini suddetti, si fa spesso riferi-mento ad un decentramento di attività da un’impresa ritenuta centrale, verso le imprese subfornitrici, sia per quanto riguarda i prodotti che i servizi. Il fenomeno è rilevante perché il processo di esternalizzazione è, in alcuni settori, non convertibile, tanto che, in molte realtà interna-zionali, la percentuale di occupati nella produzione rispetto agli occu-pati totali dell’aggregazione si esprime in termini unitari12.

Un’altra situazione che si incontra parlando delle imprese rete è quella delle “costellazioni di imprese”13, ovvero sistemi di imprese 11 R. Fazzi, op. cit. 12 Negli Stati Uniti si parla di “Hollow corporations”, cioè imprese vuote, che non svolgono la loro primordiale funzione, ovvero quella di trasformazione e di produzione. Cfr. Butera F. (1991), Il castello e la rete, Franco Angeli, Milano. 13 Il termine evoca, inevitabilmente, l’opera di Lorenzoni G. (1990), L’architettura di svilup-po delle imprese minori, Il Mulino, Bologna.

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Elementi costituenti le aggregazioni di imprese

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collegate fra di loro in un ciclo di produzione, senza legami formali e strutturati, ma con potenti sistemi di cooperazione operativa14.

Vi sono infine sistemi di imprese rette, su base territoriale, da si-stemi socio-economici, detti “distretti industriali”15. In quest’ultima sezione si possono forse ricomprendere anche le aree ad alto livello di innovazione, i cd. “parchi tecnologici”, come Sylicon Valley o Lio-ne16.

In ogni caso, possiamo pensare di indicare come imprese rete quei sistemi imprenditoriali costituiti da imprese giuridicamente autonome, ma legate fra loro da forti vincoli associativi e strutture consortili di servizio o di produzione. Inoltre, esse sono costituite da “accordi” che hanno come particolarità, oltre la dimensione economica dello scam-bio, anche dimensioni riguardanti la R&S, la struttura del portafoglio di business, la logistica, etc…

Esistono anche reti di imprese nate dal processo inverso, sorte cioè da imprese grandi che si fanno piccole, da imprese con un’unica strut-tura proprietaria e organizzativa che si articolano al loro interno in mi-cro-strutture con le quali attraversano flessibilmente i confini tra gerar-chia e mercato.

L’impresa che abbiamo definito “centrale” integra le proprie strut-ture interne e le aziende fornitrici, sempre meno attraverso strumenti gerarchici e sempre più attraverso sistemi operativi, strutture integra-trici ed altre modalità di coinvolgimento “soft”17.

Si tratta di prendere atto, in sostanza, che forme così diverse di e-sercizio dell’impresa spiegano la sostanza della questione, e cioè che ci sono nuove forme di impresa, caratterizzate dalla circostanza che l’azione imprenditoriale ed operativa si effettua sempre più entro i confini che non sono quelli giuridico-organizzativi formali dell’impresa singolarmente intesa.

14 E’ il caso, ad esempio, del sistema dei mobili in Brianza e delle calzature a Solfora. 15 Anche in questo caso il termine evoca il “padre” del concetto, Giacomo Becattini che, ri-prendendo gli studi marshalliani, lo ha coniato per i propri studi svolti soprattutto sul com-prensorio del tessile di Prato. 16 Butera F. (2001), Il campanile e la rete, Il Sole 24 ore, Milano. 17 Montella M. (2007), Conoscenza e territorio, 22/23 novembre 2007.

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Capitolo I

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La letteratura aziendale, in particolare, prende atto della poliforme varietà con la quale si presentano le aggregazioni d’impresa nell’ambito economico e di come questa varietà si trovi riflessa in mol-teplici schemi che tendono a sottolineare i caratteri simili o quelli di-versi fra le differenti forme. In particolare si rilevano:

1 - le scelte di un inquadramento sistematico-descrittivo delle diver-se forme, teso ad identificare ciascuna fattispecie con una qualificazio-ne di riferimento riconducibile a categorie economiche e giuridiche al-lo stesso tempo (in seguito sono riconosciuti i caratteri gestionali ed organizzativi delle diverse forme);

2 - le scelte volte ad una riduzione della complessità ambientale a poche tipologie significative che abbiano un carattere prevalente;

3 - le scelte che privilegiano più variabili interpretative, rappresen-tate da caratteri organizzativi e gestionali da ricercare di volta in volta.

1 - Relativamente al primo tipo di scelte, è possibile raggruppare le

forme aggregative secondo l’intensità dei vincoli giuridici che si in-staurano e che possono spaziare da quelli di natura informale a quelli su base contrattuale e, infine, a quelli di tipo patrimoniale. Rientrano fra i primi i c.d. “city community of interests” propri degli USA, ma anche i “gentlements agreement”, o le forme aggregative di tipo contrattuale che non passano necessariamente per una qualche forma di convergenza organizzativa di tipo strutturale, quanto piuttosto come rapporto di scambio di carattere produttivo o finanziario18. Rientrano invece nella seconda fattispecie le aggregazioni contrattuali ove una pluralità di imprese sono vincolate, anche se spesso solo giu-ridicamente. Si distingue tra i contratti di dominio, tipici della realtà tedesca, le associazioni in partecipazione, regolate anche dal nostro Codice Civile agli articoli 2549-2554, i pool, i cartelli, i gruppi di ac-quisto e le unioni volontarie, il franchising ed i consorzi.

18 Si vedano: Cassandro P. E. (1954), I gruppi aziendali, Cacucci, Bari; Passaponti B. (1975), Politiche di aggregazione aziendale. Attinenze e diversificazioni, Cursi, Pisa.

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Elementi costituenti le aggregazioni di imprese

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Le aggregazioni fondate su legami patrimoniali sono riconducibili alle joint venture, ai trust (o konzerne, nella realtà tedesca), oltre, chiara-mente i gruppi di imprese19.

2 - Fra i contributi relativi al secondo tipo di scelte vi è la c.d. “ge-stione delle esternalità”, ovvero ciò che coglie la correlazione fra l’evoluzione del contesto ambientale ed istituzionale e le vie attraverso le quali le imprese fanno uso di risorse esterne. Si tratta di analizzare in qual modo le risorse che appartengono così strettamente ad un si-stema possano funzionare in sistemi diversi dal proprio. È chiaro che si assume che tali risorse non possano essere distolte dall’ambito origina-rio e che, pertanto, esse possano essere adeguatamente valorizzate solo attraverso un sistema di relazioni esterne. La prima via nella quale le relazioni si strutturano è l’interazione di scambio fondata su una transazione di mercato, formalizzata in un con-tratto a prestazioni contrapposte, e l’insieme delle transazioni che forma un sistema complesso; più insiemi complessi si ordinano in si-stemi e in reti che consentono le acquisizioni di c.d. “economie di e-sternalità”. I sistemi si fondano su rapporti consolidati fra imprese, i quali consen-tono la riduzione dell’incertezza e del conflitto fra imprese. Le reti d’impresa si caratterizzano per l’elevato grado di innovazione che permettono, e ciò è consentito grazie all’alto livello di dinamismo delle stesse forme organizzative. Quindi, il trinomio transazioni-sistemi-reti viene elevato a paradigma necessario a comprendere le vie attraverso le quali le relazioni fra im-prese si compongono20.

3 - Le reti possono essere viste sia come strumento analitico che come forma organizzativa21. Infatti le reti o, come vengono definite con termine anglosassone, i network, possono essere osservate secondo due principali prospettive che si sono sviluppate autonomamente: il network come “strumento analitico” di rappresentazione e studio delle relazioni tra l’organismo impresa e il suo ambiente esterno; il network

19 Harrigan K. R. (1986), Managing for joint venture success, Lexington Books. 20 Nelson R. R., Winter S. G. (1982), An evolutionary theory of economic change, Harvard University Press. 21 Si veda Soda G. (1998), Reti tra imprese, Cacucci, Roma.

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Capitolo I

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come espressione di sintesi per individuare i lati comuni di modalità organizzative delle attività economiche. Nella prima prospettiva, il network nasce come strumento concettuale per descrivere il vasto mondo delle relazioni sociali nelle comunità, nei gruppi e nelle istituzioni; ma in seguito, esso diventa una metodologia e uno strumento analitico di notevole interesse e forza propositiva per descrivere le articolazioni relazionali tra soggetti che appartengono al-le organizzazioni22. L’uso delle tecniche di analisi reticolare ha consentito di indirizzare gli interessi sugli aspetti informali e sociali propri delle organizzazioni complesse. Una comprensione più analitica delle relazioni non codifi-cate può portare all’interpretazione di fattori determinanti, quali le per-formance dei gruppi, l’innovazione, l’apprendimento, la formulazione della strategia, l’integrazione interfunzionale etc… L’intreccio tra il formale e l’informale, ovvero tra la strutturazione del-le modalità operative di gruppo e le norme tacite di comunicazione, è un tema ricorrente e si finisce, paradossalmente, per riconoscere che un po’ tutte le organizzazioni sono costruite e rette sulle reti di relazio-ni sociali, anche quelle forme più prescrittive, come ad esempio le bu-rocrazie. In sintesi, possiamo asserire che la prospettiva analitica ha contribuito in modo determinante a comprendere la struttura, la natura, il contenuto e le condizioni di contesto delle relazioni. Nella seconda prospettiva, il network è visto come modalità di orga-nizzazione delle attività economiche in grado di governare l’insieme di relazioni fra gli individui e le organizzazioni di individui. Siccome poi le imprese instaurano un’ampia gamma di relazioni verso l’esterno, contatto peraltro indispensabile per la loro crescita, e l’ambiente ester-no è formato a sua volta da altre forme organizzative, questo approc-cio, proprio della teoria dei sistemi considera le relazioni esterne come un importante oggetto di studio. Infatti, le imprese sono spesso tra loro complementari nello svolgimen-to dei processi di scambio e, più in generale, dei processi di produzio-ne e consumo; ne deriva che le imprese instaurano molteplici relazioni

22 Si tratta della cd. Social Network Analysis; sul tema si vedano, ad esempio: Powel W. W., Smith Doerr L. (1994), Networks and economics life, in Smelser N. J., Swedberg R., The handbook of economic sociology, Princeton University Press, Princeton.

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Elementi costituenti le aggregazioni di imprese

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con una vasta gamma di controparti che possono assumere sia i conno-tati dello scambio di beni, servizi e informazioni, sia quelli di relazioni fondate sulla comunanza degli obiettivi competitivi, di consenso e di legittimazione. L’insieme di tutte queste relazioni può essere governato attraverso modalità organizzative che formano il network, diverse dal mercato e dall’internalizzazione propria della gerarchia.

I.3 – Le motivazioni economiche della nascita dei gruppi

Cerchiamo adesso di capire quali siano le principali motivazioni di tipo economico che spingono alla nascita dei gruppi, sia con forze che vanno verso l’aggregazione, sia con forze che spingono allo stesso ri-sultato del gruppo, ma che tendono verso la disaggregazione dell’azienda23.

Sappiamo come l’analisi delle ragioni che spiegano la crescita o la diminuzione delle dimensioni aziendali sia alquanto critica; ma è pro-prio considerando contemporaneamente più variabili di verso opposto (tra le quali principalmente integrazione e disaggregazione) e con in-tensità mutevole nel tempo, che possiamo indagare e chiarire perché nascono e si modificano le aggregazioni aziendali e, in specie, i gruppi di imprese24.

Le motivazioni di tipo economico che spingono verso l’aggregazione fra imprese riguardano principalmente:

1 - l’aumento delle dimensioni aziendali, ottenibile attraverso l’unione di combinazioni economiche simili,

2 - l’integrazione verticale fra imprese che sono situate a monte e a valle della filiera rispetto ad una fase,

3 - l’integrazione orizzontale di attività economiche aventi per og-getto la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi.

23 Così Zattoni A. (2000), Economia e governo dei gruppi aziendali, Egea, Milano. 24 Sui processi di aggregazione della grande industria manageriale, fra tutti si veda: Chandler A. D. (1977), The visible hand: the managerial revolution in American business, Harvard University Press, Cambridge; Chandler A. D. (1990), Scale and scope: the dynamics of indu-strial capitalism, Harvard University Press, Cambridge.

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1 - Riguardo alla prima motivazione, ovvero alla crescita dimensio-nale, rileviamo che questa può avvenire sia a causa della necessità di aumento del potere contrattuale sul mercato, sia per mezzo dello sfrut-tamento delle economie di scala, che dei vantaggi di costo riconducibi-li al cd. effetto esperienza. Con riferimento alla necessità di aumento del potere contrattuale sul mercato, si nota come le imprese di grandi dimensioni tendano ad e-sercitare un elevato potere contrattuale nei confronti di clienti e forni-tori, che si traduce poi in migliori condizioni di scambio. Per quanto riguarda le economie di scala, queste si realizzano attraver-so il raggiungimento di dimensioni aziendali tali da consentire una ri-duzione dei costi totali, grazie all’ottimizzazione dell’allocazione delle risorse. Il meccanismo delle economie di scala si realizza quando al crescere della dimensione produttiva decrescono, a parità di altre con-dizioni (es.: sfruttamento della capacità produttiva), i costi unitari dei beni prodotti, grazie alla riduzione dell’incidenza dei costi fissi. L’impresa deve quindi tendere a raggiungere quella dimensione cd. D.O.M. (dimensione ottima minima), che corrisponde al più basso li-vello di produzione che permette di ottenere le economie di scala. Ri-cordiamo alcune cause che favoriscono le economie di scala: la divi-sione del lavoro, la presenza di multipli di produzione per i quali si debba scegliere l’impianto con capacità produttiva pari al minimo co-mune multiplo della capacità produttiva di ogni singolo macchinario, l’uniformità di misura fra produzione e stoccaggio (intendendo la cor-rispondenza fra i costi inerenti il magazzino, che si misurano in metri quadrati, e quelli di produzione, che si misurano in metri cubi). È da ricordare come questo tipo di economie si realizzi non solo in campo produttivo, ma anche nelle altre funzioni aziendali quali il marketing, la logistica, la ricerca, etc… Quanto poi alle economie di esperienza, queste si realizzano all’aumentare del numero dei beni prodotti e ciò a causa dell’affinamento delle competenze dei prestatori di lavoro, delle inno-vazioni di processo e della innovazioni di prodotto. Si capisce poi come i due tipi di economie, di scale e di esperienza, siano collegate tra di loro, perché le imprese di dimensioni maggiori riescano più velocemente ad aumentare i volumi di produzione cumu-

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lata rispetto alle piccole e, di conseguenza, si realizzi l’effetto combi-nato, ed anche maggiore, di riduzione dei costi.

2 - La crescita mediante integrazione verticale si realizza attraverso la crescita delle dimensioni economiche: questa viene ottenuta inizian-do a svolgere fasi del processo produttivo, sia a monte che a valle della filiera, realizzate in precedenza da altri. Tali scelte strategiche rientra-no fra quelle di “make or buy”, in quanto determinano i confini delle stesse combinazioni economiche rispetto al terzo fornitore o cliente. Con l’integrazione verticale, infatti, si realizza una sostituzione dei rapporti di mercato con un investimento diretto, teso a controllare le attività economiche ed a determinare le principali decisioni di investi-mento e di produzione ad esse relative. I motivi principali che si adducono a giustificazione dell’internalizzazione di fasi in precedenza esterne, sono le economie tecnologiche, le imperfezioni di mercato e le economie di transazio-ne25. Le economie tecnologiche si realizzano in presenza di un’elevata in-terdipendenza tecnologica fra due fasi consecutive della filiera produt-tiva, quando la loro realizzazione congiunta consente di realizzare eco-nomie di costo, in quanto le fasi sono sottoposte entrambe al medesi-mo controllo. Le imperfezioni di mercato originano processi aggregativi laddove esi-sta un anello della filiera particolarmente forte nel potere contrattuale rispetto ad un altro e quest’ultimo decida di racchiudere detta fase al proprio interno, allo scopo di svincolarsi dal condizionamento. Le economie dei costi di transazione si realizzano perché i soggetti hanno razionalità limitata ed agiscono con comportamenti opportuni-stici. Con tali premesse, la contrattazione di mercato tra due o più per-sone incontra sempre delle difficoltà, in quanto queste non possono es-sere in grado di prevedere e risolvere tutti i problemi potenziali che si affacciassero nel periodo di riferimento. La realizzazione della transa-zione implica il sostenimento di costi, di transazione appunto, che sono l’equivalente economico delle difficoltà di relazione che possono sor-gere fra due soggetti. L’economia di transazione è tanto più probabile a realizzarsi, quanto più i soggetti siano in sintonia fra di loro. 25 Così ancora Zattoni A., op. cit.

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3 - La crescita mediante integrazione orizzontale avviene attraverso l’espansione in business tra loro non correlati, magari anche in termini di redditività, con l’intento di ottenere una diversificazione del rischio aziendale. Anche le economie di scopo contribuiscono alla scelta dell’integrazione orizzontale e si realizzano tutte le volte che la com-mercializzazione e/o produzione di due beni differenti, effettuata dallo stesso soggetto, risulta più economica rispetto alla situazione in cui tali beni vengano prodotti da due diverse imprese.

Invece, le motivazioni che spingono verso la disaggregazione pos-sono riguardare:

1 - una certa avversione al rischio, proporzionale anche alla dimen-sione stessa dell’impresa,

2 - l’elevata complessità aziendale-organizzativa che può spingere l’imprenditore a preferire una semplificazione strutturale che consente una maggiore flessibilità gestionale.

3 - la riduzione del rischio generale d’impresa.

I.4 – Gruppi e crisi d’impresa

La separazione fra proprietà e controllo alla quale si è assistito da parte delle imprese e dei gruppi italiani ha rivestito assoluta rilevanza nel processo di creazione delle finanziarie di partecipazione, le cd. holding, grazie alle quali è possibile concentrare le quote azionarie di controllo di società differenti, operanti in settori diversi. Ciò ha per-messo il controllo ed il coordinamento di attività diversificate e lo sfruttamento di importanti sinergie attraverso il meccanismo della “le-va azionaria”26.

L’Italia è ampiamente coinvolta nei cambiamenti che stanno por-tando l’economia mondiale ad una svolta epocale, quali il fulmineo progresso tecnologico, l’abbattimento delle barriere doganali, l’entrata nella scena produttiva di Paesi emergenti particolarmente aggressivi.

26 La leva azionaria è quel meccanismo con il quale un soggetto proprietario tende a controlla-re la maggior ricchezza possibile, con il minimo impiego di risorse proprie. Tramite le parte-cipazioni a cascata, controllando la holding, si finisce per controllare l’ultima società operati-va, anche dopo diversi livelli, con risorse infinitesime. L’argomento verrà trattato più avanti.