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CARLO STRENGER
Economia
della celebrità
Il terrore dell’invisibilità
nell’era di Facebook
Titolo originale: The Fear of Insignificance. Searching for Meaning in the
Twenty-first Century
Editore originale: Palgrave
Traduzione dall’inglese di Nicola Gaiarin e Giovanna Tinunin
Fotocomposizione: Officinalibri – Lodi
ISBN 978-88-17-05307-5
Copyright © 2011 Carlo Strenger
All Rights Reserved
Copyright © 2011 RCS Libri S.p.A.
Prima edizione italiana Rizzoli Etas: settembre 2011
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Per Julia
Introduzione
L’attuale momento storico IX
PARTE PRIMA
LA SCONFITTA DELLA RAGIONE 1
1 Gli anni del vitello d’oro 3
2 “Just do it”: la cultura della celebrità e la costruzione del sé 23
3 La sconfitta della ragione: relativismo e spiritualità pop 55
PARTE SECONDA
DALL’IO-MERCE AL DRAMMA DELL’INDIVIDUALITÀ 85
4 Il dramma dell’individualità 87
5 Dal “Just do it” all’autoaccettazione attiva 113
6 Riportare la vita ai suoi elementi essenziali: una proposta epicurea 133
Sommario
PARTE TERZA
RIAPPROPRIARSI DELLA RAGIONE 155
7 Fuggire dalla caverna platonica 157
8 Religione e scienza: sdegno civile e riso epicureo 197
9 Verso una cittadinanza globale e un’alleanza tra visioni del mondo aperte 227
Note 257
Indice analitico 271
VIII ) Economia della celebrità
Ci stiamo risvegliando da un periodo che Immanuel Kant avrebbe
definito di profondo “sonno dogmatico”1. Ma a differenza dei son-
ni dogmatici dei secoli passati, dominati da credenze metafisiche e
religiose demolite da Kant nella sua Critica della ragion pura (1781),
gli ultimi decenni passeranno probabilmente alla storia come
un’epoca di irrazionali fantasie di onnipotenza e di sconsiderata fe-
de dogmatica nel libero mercato.
Dopo la caduta del Muro di Berlino, nel 1989, i sostenitori del li-
bero mercato, che avevano conquistato i regni dell’economia negli
anni di Ronald Reagan e Margaret Thatcher, assunsero un atteggia-
mento trionfalistico: il crollo del comunismo, la dissoluzione del-
l’Unione Sovietica e della sua sfera d’influenza venivano portati a
dimostrazione di come ormai il vangelo del libero mercato fosse
l’unica religione ad avere validità universale2.
Il valore di ogni cosa – dalle aziende alle religioni, dai dischi alle
idee – cominciò a essere definito in termini di graduatorie e classi-
fiche: mercati azionari, agenzie di rating, liste di bestseller, nume-
ro di click sul Web. Era logico che questo sistema fosse esteso an-
che agli esseri umani3, e questo processo di riduzione a merce di
ogni cosa fu accelerato dal nuovo sistema globale del cosiddetto
Introduzione
L’attuale momento storico
infotainment, che unisce informazione e intrattenimento. Una del-le attività principali di questo sistema è classificare le persone in vi-sta dei propri scopi: ha bisogno di creare celebrità globali per finipubblicitari e di marketing. Il risultato è la promozione di due mo-delli di vita validi in tutto il globo: la celebrità (ovvero la quantifica-zione di quanto si è conosciuti) e il successo economico.
I nuovi sistemi di classificazione hanno determinato il valoredell’individuo, calcolandolo in base a una serie di fattori che vannodal numero di amici su Facebook a quello dei risultati delle ricer-che su Google, fino alla posizione occupata nelle sempre più nu-merose liste delle persone più influenti, popolari, sexy, potenti oricche di una città, di una nazione e, infine, del globo.
È nata così una nuova specie: l’homo globalis, un’ampia classe dipersone la cui identità viene definita perlopiù dal grado di inseri-mento nel sistema dell’infotainment globale. Ora che l’homo globa-
lis è stato “commoditizzato”, non è più soltanto il possessore di uninsieme di merci, ma è egli stesso una merce, scambiata in giroper il mondo all’interno del sistema dell’infotainment.
La riduzione a merce del sé ha determinato un’instabilità co-stante nell’autostima e nella sensazione di vivere un’esistenza pie-na di significato. Il risultato è un disagio esistenziale continuo, og-getto di cure inutili a base di farmaci psicotropi e facili consigli spi-rituali da parte di guru dell’auto-aiuto, che diffondono la convin-zione che celebrità e ricchezza sarebbero solo una questione di for-za di volontà e di coraggio.
L’attuale crollo dei mercati finanziari ci ha risvegliati dal credoneoliberista che il capitalismo potesse cogliere l’essenza di ciò chesignifica vivere un’esistenza piena. Il fallimento di questo dogma èarrivato a compimento con la bancarotta di Lehman Brothers, cheha dimostrato anche ai più riluttanti che un periodo storico eragiunto al termine4.
Vittima dell’“Era del vitello d’oro” – ovvero dei decenni dominatidalla riduzione a merce di ogni cosa – non è stata solo l’economia,anche se la rovina che si è abbattuta sulla vita e sui mezzi di sussi-stenza di milioni di persone è stata tremenda. La vera vittima è l’i-dea di un mondo libero e di una società libera, che è stata distorta
X ) Economia della celebrità
nel dogma assurdo secondo cui ciò che conta veramente deve esse-
re misurabile in termini economici. Questo ha causato gravi danni
all’idea di fondo di una società aperta che si sviluppa a partire da un
pensiero critico e incisivo, vera eredità dell’Illuminismo europeo5.
Come si può curare il malessere dell’homo globalis? La tesi di
questo libro è che le idee necessarie a ricostruire i valori fondanti
di ciò che John Stuart Mill difendeva nel suo saggio Saggio sulla li-
bertà6 vadano ricercate nella storia culturale e intellettuale dell’Oc-
cidente7.
L’idea di partenza è che al centro della vita si ponga il dramma
dello sviluppo umano e non la merce che ne è il frutto. Il sistema
dell’infotainment ci ha fatto dimenticare che il vero dramma che vive
l’uomo è il processo attraverso cui diventiamo individui, con un ca-
rattere, una voce e una visione del mondo. Tutto sta nel vivere un’e-
sistenza che sia una nostra creazione e non una forma di adatta-
mento alle richieste del mercato globale.
L’esistenzialismo ha sviluppato questo concetto mostrando che la
nostra vita è una tensione continua tra il nostro retaggio culturale e
la capacità che abbiamo di criticarlo, tra i nostri desideri e le nostre
possibilità, e il bisogno che abbiamo di trasformare le condizioni di
base della nostra vita (che non abbiamo scelto) in un’esistenza che
sentiamo davvero nostra. In questo senso, siamo un po’ come brico-
leurs, artisti che creano le proprie opere con ciò che trovano nel giar-
dino dietro casa anziché comprare i materiali in negozi che potreb-
bero soddisfare tutti i loro capricci. La nostra individualità è il risulta-
to della lotta che combattiamo per far convivere queste tensioni e per
viverle in modo fecondo, piuttosto che cercare di risolverle in un’ar-
monia illusoria.
La seconda idea è stata formulata per la prima volta nella Grecia
classica. La convinzione secondo cui possiamo liberare la nostra
mente e raggiungere una verità superiore ha rappresentato il fon-
damento, la pietra d’angolo, di tutta la tradizione filosofica. Il gran-
dioso mito della caverna platonica, la sua rappresentazione degli
esseri umani come creature guidate da circostanze casuali legate
alla nascita, che scambiano l’illusione per realtà, è una potente alle-
goria del percorso che le filosofie di ogni cultura ci hanno invitato a
Introduzione ) XI
seguire, e che consiste nel sottoporre a una verifica senza sosta i
principi di fondo che regolano la nostra visione del mondo8.
Si tratta di un’idea che ha avuto la sua formulazione definitiva
nel corso dell’Illuminismo, definito da Kant come “l’uscita dell’uo-
mo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso”. Per
essere veramente liberi, gli uomini devono rispondere alle doman-
de fondamentali dell’esistenza attraverso un difficile processo di
sforzo intellettuale. Queste domande vanno dalla natura di una vi-
ta degna e di una società giusta a come possiamo passare da una
convinzione erronea alla vera conoscenza. Senza visioni del mon-
do coerenti, le nostre vite mancano di una struttura di senso, e sen-
za criteri di valore non abbiamo modo di fondare queste visioni su
qualcosa che vada oltre il valore economico delle idee sul mercato,
che, come si sa, è un indicatore di qualità piuttosto variabile. An-
che se non mi illudo sul fatto che riguardo alle domande più
profonde sull’esistenza si possa raggiungere una qualche forma di
consenso, spero almeno di dimostrare che è possibile discutere di
tali questioni in modo articolato.
Questo libro propone una riconsiderazione di ciò che vuol dire
vivere un’esistenza significativa. Si tenta un riavvicinamento tra la
sensibilità europea, caratterizzata da un amore per la profondità
culturale e intellettuale, e la straordinaria energia intellettuale de-
gli americani, che sono stati relegati ai margini della cultura preva-
lente durante gli ultimi decenni.
Speriamo che ciò possa contribuire allo sviluppo di una cittadi-
nanza globale9, nel senso più profondo del termine. Evitando facili
forme di cosmopolitismo10, non si tratta di esaltare in modo super-
ficiale il fatto di essere cittadini del mondo, quanto di rendersi con-
to che la globalizzazione è giunta a un punto tale che non si può
più evitare una collaborazione che vada al di là dei confini religiosi
e ideologici: un compito possibile solo se sapremo e vorremo con-
siderare le nostre visioni del mondo come creazioni umane.
Recuperare le idee centrali della nostra cultura richiede uno
sforzo considerevole e questo libro illustra gli aspetti di quella di-
sciplina mentale11 necessaria per vivere in un mondo libero come
cittadini del mondo. Allarga la prospettiva anche a modelli di vita
XII ) Economia della celebrità
infinitamente più ricchi di quelli imposti nel corso dell’Era del vi-
tello d’oro.
Il libro cerca di fornire una diagnosi del malessere che ha colpi-
to l’homo globalis, indicando due modi, distinti ma collegati tra lo-
ro, per guarirlo. Ecco una breve sintesi della struttura del testo e
del suo contenuto.
La Parte prima si concentra sulla disamina della condizione ne-
gativa in cui versa l’homo globalis.
Il Capitolo 1 traccia un profilo dei cambiamenti culturali ed esi-
stenziali provocati dal sistema globale dell’infotainment e descrive
la posizione teorica del libro. Si mostrerà quanto sia profondo il
nostro bisogno di sentire che abbiamo un senso e quanto ciò sia ra-
dicato nella nostra natura biologica, facendo riferimento in parti-
colare a come questa tematica è stata trattata dalla filosofia esisten-
zialista, dalla psicologia e dal suo frutto più recente: la psicologia
sperimentale esistenziale.
Il Capitolo 2 si occupa delle due caratteristiche della cultura glo-
bale prodotta dal sistema dell’infotainment. Si analizza la campa-
gna “Just do it” (Fallo e basta) di incredibile successo di Nike, che
ha festeggiato nel 2008 il suo ventesimo anniversario, per mostra-
re come essa colga un aspetto essenziale dello spirito dell’epoca,
ossia che tutto è possibile e che due sono le cose che bisogna desi-
derare: la fama e la ricchezza, entrambe misurabili e costantemen-
te monitorate da classifiche e graduatorie in tutto il mondo. La tesi
del capitolo è che l’apparente oggettività di queste classifiche porta
gli appartenenti alla categoria dell’homo globalis a ritenere che il po-
sto occupato in questi sistemi di classificazione determini anche il
proprio valore, a scapito del 99,9% di noi, che in simili elenchi
non figuriamo nemmeno. Quelli che invece ne fanno parte vivono
nel terrore costante di perdere la propria visibilità all’interno della
lista delle celebrità più ricche, sexy e desiderate del pianeta e que-
sto genera la paura continua di essere poco importanti.
Il Capitolo 3 analizza alcuni strumenti con cui gli esponenti del-
l’homo globalis cercano di tacitare la loro continua paura di non con-
tare nulla: la cultura dell’auto-aiuto, sempre più diffusa, e la spiri-
tualità pop. L’idea centrale di questo capitolo è che molti dei prodotti
Introduzione ) XIII
di questi due fenomeni poggiano su basi teoriche fragili (a voler es-
sere gentili) e sostiene che è abbastanza improbabile che visioni del
mondo del tutto incoerenti possano offrire un senso capace di man-
tenere intatto il proprio valore nel tempo. Viene poi descritta l’atmo-
sfera relativista che ha reso la nostra cultura oltremodo tollerante
nei confronti di costrutti intellettuali privi di coerenza.
Da questo punto in poi, il libro prende due direzioni: la Parte se-
conda offre un’alternativa esistenzialista alla concezione del sé pro-
mossa dalla cultura del “Just do it” precedentemente descritta,
mentre la Parte terza invita a recuperare una cultura del confronto
ragionato come antidoto al relativismo irrazionale e all’anti-intel-
lettualismo. Questa parte può essere letta indipendentemente dal-
la seconda ed è consigliata ai lettori interessati soprattutto a come
potrebbe essere una cultura fondata sulla ragione.
La Parte seconda sviluppa un quadro esistenzialista dell’individua-
lità molto diverso da quello della cultura del “Just do it”: sostiene che
il compito centrale dell’individuo è plasmare le proprie condizioni di
base in una creazione coerente che è la vita stessa. Nel fare ciò, si
contesta l’idea che l’essenza della persona sia predeterminata dall’ap-
partenenza etnica, religiosa, razziale o di genere, come viene invece
sostenuto dalla politica dell’identità ora tanto in voga. Di contro, vie-
ne sostenuto un individualismo riflessivo; ciascuno di noi deve deci-
dere quali sono le tematiche centrali della sua vita e non accettare
che questa sia determinata dal fatto di essere ebreo, musulmano,
gay, donna o di colore.
Il Capitolo 4 mostra come tutti noi siamo nati in una famiglia, in
una cultura, in una comunità linguistica che non abbiamo scelto.
Questo fatto implica il compito di scegliere che cosa accettare o ri-
fiutare del nostro contesto di provenienza e della nostra educazio-
ne, facendo della vita una creazione soltanto nostra. Si tratta di un
processo spesso difficile e segnato dal conflitto. La tesi centrale è
che una vita ben spesa non è quella in cui queste tensioni sono eli-
minate, ma quella in cui sono vissute fino in fondo e in modo pro-
duttivo, come mostrano le vite di Barack Obama, dell’attivista e
scrittrice di origini somale Ayaan Ali Hirsi e del romanziere ebreo
Philip Roth.
XIV ) Economia della celebrità
Il Capitolo 5 sostiene che la cultura del “Just do it” ha reso impos-
sibile strutturare la vita secondo la sua specifica logica interna, pro-
prio perché ha dichiarato che tutto è possibile e che possiamo riu-
scire in qualunque cosa ci piaccia. Questo è palesemente falso e
una delle cose che tutti noi dovremmo fare è affrontare la realtà e
capire quali sono i nostri punti forti e le nostre debolezze. Contra-
riamente a quanto sostiene lo slogan di Adidas, “Impossible is
nothing” (L’impossibile non esiste), tutti noi abbiamo dei limiti.
Rendersi conto dell’esistenza di questi limiti non equivale a rasse-
gnarsi. Quella che viene proposta è invece l’idea di un’autoaccetta-
zione attiva delle proprie peculiarità soggettive, con i rispettivi po-
tenziali e limiti.
Il Capitolo 6 affronta la seguente questione: “Se non tutto è pos-
sibile, come faccio a stabilire qual è il tema attorno al quale ruota la
mia vita? Come posso capire che cosa conta davvero per me?”.
Questo processo è stato reso quasi del tutto impossibile da una cul-
tura che ha messo al primo posto la giovinezza come valore supre-
mo. Si dà per scontato che dobbiamo avere successo molto presto,
per cui il processo di acquisizione dell’autoconsapevolezza viene
eliminato quasi del tutto dal nostro orizzonte di vita. Per controbi-
lanciare questo mito secondo cui la giovinezza sarebbe il periodo
della vita in cui prendiamo le decisioni più importanti, il capitolo
mostra attraverso alcuni esempi come gli uomini giungano all’au-
toconsapevolezza piuttosto tardi e quante siano le persone che rag-
giungono una maggiore realizzazione solo quando, attraverso la
riflessione, arrivano a comprendere a cosa vogliono dedicarsi.
La Parte terza lancia un attacco frontale al relativismo e all’anti-
intellettualismo delle diverse visioni del mondo in voga negli ulti-
mi decenni. Auspica un ritorno ad argomentazioni di alto livello e
invita coloro che fanno parte della categoria dell’homo globalis a in-
vestire tempo ed energia nella costruzione razionale della propria
visione del mondo. L’obiettivo è quello di sviluppare una psicologia
della cittadinanza mondiale, delle capacità mentali ed emotive ne-
cessarie a vivere in modo responsabile in un mondo interconnes-
so. Se noi, in quanto appartenenti alla specie dell’homo globalis,
non cerchiamo di influenzare il nostro destino, l’umanità non po-
Introduzione ) XV
trà che autodistruggersi. Gettarci negli aspetti concreti del mondo
e investire tempo ed energie nella loro comprensione è una base
senza dubbio migliore per vivere un’esistenza piena di significato
di quanto lo sia la tendenza ad accettare e abbracciare le varie for-
me di spiritualità pop.
Il Capitolo 7 espone l’aspetto negativo del politically correct, ovve-
ro l’idea per cui tutte le convinzioni vanno rispettate solo perché
qualcuno le sostiene, non importa quanto irrazionali, odiose o in-
coerenti siano. Questa tolleranza ha fatto sì che nelle tre religioni
monoteistiche si siano sviluppate derive fondamentaliste che han-
no influito in modo catastrofico sugli eventi del modo. L’idea di
Platone secondo cui non siamo condannati a credere in tutto ciò
che ci è stato inculcato durante l’infanzia, ma possiamo invece ele-
varci al di sopra di queste convinzioni e usare la ragione per co-
struire la nostra visione delle cose, rimane valida ancora oggi. Il ca-
pitolo vuole essere un appello all’ideale dell’educazione liberale,
quella parte dei nostri studi che oggi viene ritenuta solo una via per
arricchirsi, affinché ci renda cittadini del mondo più preparati.
Il Capitolo 8 affronta una delle motivazioni più profonde per cui
l’homo globalis tende a fuggire la discussione sui problemi che ri-
guardano le diverse visioni del mondo: litigare sulle questioni reli-
giose non porta da nessuna parte, allora perché perdere tempo? Il
risultato di questo atteggiamento è stato proprio l’idea del politica-
mente corretto: dobbiamo rispettare reciprocamente le nostre cre-
denze. Ma questo, sostengo io, è impossibile da un punto di vista
psicologico: come possiamo rispettare qualcosa che riteniamo va-
cuo, irrazionale o immorale? Al massimo, potremmo riuscire a tol-
lerarlo. Ecco perché suggerisco un’alternativa all’ideologia del poli-
ticamente corretto, quello che io chiamo “sdegno civile”, intenden-
do con ciò una posizione che rispetti l’umanità di tutti, ma che con-
senta anche l’espressione del rifiuto che proviamo verso convinzio-
ni che riteniamo inaccettabili.
Il Capitolo 9, infine, si chiede in che direzione stiamo andando.
La psicologia esistenziale ha dimostrato che gli esseri umani diffi-
cilmente rinunceranno alle loro credenze, non importa quanto di-
struttive o irrazionali esse siano. Siamo quindi condannati a di-
XVI ) Economia della celebrità
struggere il pianeta facendolo precipitare nelle guerre, nel terrorenucleare o in disastri ecologici? Il capitolo presenta il principio del-la “somma diversa da zero”, che si ritrova nell’evoluzione biologicae culturale: le situazioni a somma diversa da zero presentano mag-giori possibilità di adattamento di quelle a somma zero. È questoche ha dato vita a organismi e culture sempre più complessi.
Alla fine, che cosa avrà la meglio, questa idea o la nostra irrazio-nalità? Non possiamo saperlo, e tuttavia il capitolo invita l’homo
globalis a scommettere sul principio della somma diversa da zero, aunirsi a tutti coloro che vogliono essere cittadini del mondo assu-mendosi la responsabilità dell’intero pianeta e del genere umano.
Introduzione ) XVII
PARTE PR IMA
La sconfitta della ragione
L’11 settembre del 2001 finirà probabilmente per essere considera-
to come il vero inizio del XXI secolo. Questo creerà non pochi pro-
blemi agli storici del futuro perché a lungo si è sostenuto che il se-
colo fosse finito con la caduta del Muro di Berlino nel 1989. Come
saranno allora classificati gli anni che vanno dal 1989 al 2001?
Suggerisco che passino alla storia come un breve intervallo in cui
l’Occidente ha ritenuto che i suoi valori e la sua cultura avessero
trionfato. La tesi di Francis Fukuyama, secondo cui la storia stava
per giungere alla propria conclusione, va intesa quindi nel senso
che il controllo sul mondo da parte dell’Occidente si avviava a di-
ventare completo1.
Più di qualunque altra cosa, l’11 settembre rappresenta un indi-
catore della profondità del bisogno umano di senso e di identità.
Osservando da un punto di vista psicologico al Qaeda e gli autori
dell’attentato, si capisce quanto sbagliata fosse l’idea che riteneva
capitalismo e democrazia sufficienti a sostenere l’essere umano su
un piano esistenziale. Mohammed Atta e i suoi compagni non era-
no né poveri né analfabeti, si erano anzi conosciuti durante il pe-
riodo di studi trascorso nelle università occidentali. Ciò che li ha
spinti a uccidere se stessi, insieme ad altre migliaia di vittime in-
Capitolo 1
Gli anni del vitello d’oro
nocenti, è stata una rabbia sorda per quella che vivevano come
un’umiliazione inflitta all’Islam per mano della prepotente politica
americana.
L’Occidente li ha accolti nelle sue istituzioni scolastiche perché
acquisissero conoscenze e sapere tecnologico, ma questo incontro
ha prodotto risultati opposti rispetto a quelli che molti si sarebbero
aspettati. Le uniche cose che provavano erano disprezzo e odio nei
confronti della libertà e, per come la vedevano loro, del materiali-
smo vuoto, senz’anima, e dell’edonismo tipici del mondo occiden-
tale. Quando sentirono l’appello di Osama bin Laden a purificare
l’Islam dalla putrida influenza dell’Occidente, trovarono finalmen-
te un significato e uno scopo: avrebbero dimostrato al mondo che
il predominio e la supremazia occidentali non erano altro che una
mistificazione e che alla fine sarebbe stato l’Islam a trionfare.
Sarebbe facile liquidare il terrorismo suicida come fenomeno
marginale e indice di una forma estrema di psicopatologia, ma le
ricerche2 mostrano qualcos’altro: interviste approfondite con at-
tentatori suicidi che sono stati fermati in tempo non hanno portato
alla luce alcuna psicopatologia in grado di predire un comporta-
mento suicida. Se non altro, l’atto stesso di farsi esplodere è una
manifestazione (benché estrema) del profondo bisogno di senso
dell’essere umano. Più di ogni altra cosa, abbiamo bisogno di sen-
tire che la nostra vita è importante.
Le radici di questo desiderio vanno ricercate nella storia della
nostra evoluzione. A un certo punto, la specie umana ha operato
una transizione di grande importanza, compiendo probabilmente
quello che è stato il passo decisivo che ci ha portato ad essere da
animali un po’ più intelligenti degli altri a veri e propri esseri uma-
ni: la nostra specie ha acquisito l’idea della morte e la consapevo-
lezza della mortalità3.
Gli argomenti a sostegno del fatto che sarebbe stato questo pas-
saggio a rendere la nostra specie pienamente umana sono molto
forti. Filosofi di ogni epoca e cultura hanno sostenuto che la capa-
cità di riuscire a convivere bene con l’idea della morte è essenziale
per vivere un’esistenza soddisfacente. Inoltre, a differenza di mol-
te altre tesi filosofiche che sopravvivono unicamente a livello teori-
4 ) Economia della celebrità
co, nell’ambito della storia della cultura e del pensiero, l’idea che la
consapevolezza della morte sia una delle caratteristiche distintive
della nostra esistenza ha avuto importanti verifiche empiriche.
La filosofia esistenzialista, soprattutto in opere come Essere e tem-
po di Martin Heidegger (1927) e L’essere e il nulla di Jean-Paul Sartre
(1943)4, ha affermato per tutto il corso del XX secolo che fare i conti
con la propria finitezza è il centro dell’esistenza umana. Heidegger
e Sartre hanno analizzato le strutture fondamentali della vita uma-
na. Heidegger lo ha fatto nel suo stile inconfondibile affermando
che il Dasein (letteralmente l’“esserci”, termine da lui coniato per
designare l’esistenza umana) si staglia contro il nulla. In base a ciò,
Heidegger identificava due aspetti correlati del Dasein. In primo
luogo, gli esseri umani (consciamente o no) operano continuamen-
te delle scelte e ognuna fa sì che non si realizzino altre linee di azio-
ne o possibilità di vita; secondariamente, l’esistenza umana è carat-
terizzata dalla consapevolezza della propria finitezza: sappiamo che
il tempo a nostra disposizione è limitato e che prima o poi morire-
mo. Questo accentua moltissimo il valore delle nostre scelte. Non
solo non abbiamo reso possibili determinate opzioni scegliendo di
agire come abbiamo fatto, ma la quantità finita di tempo che abbia-
mo a disposizione implica che non esiste la possibilità di tornare in-
dietro nelle nostre vite e, per così dire, tentare altre strade.
Una delle intuizioni decisive di Heidegger è stata che la consape-
volezza della finitezza e della libertà genera inevitabilmente un’an-
sia esistenziale, talmente difficile da sopportare che la maggior par-
te di noi preferisce fare di tutto per nasconderla. Secondo Heideg-
ger, viviamo per gran parte del tempo in uno stato di inautenticità.
Invece di essere consapevoli della libertà e della finitezza, viviamo
come se non avessimo scelta, come se la tradizione, le norme socia-
li, le aspettative nostre e degli altri, la nostra visione del mondo de-
terminassero completamente il modo in cui viviamo. Questa forma
di inautenticità è un meccanismo di difesa che ci consente di con-
durre le nostre vite senza essere sopraffatti dall’ansia5.
L’esistenzialismo ha smesso di essere di moda negli ultimi de-
cenni. L’accento che poneva sulla dimensione tragica dell’esisten-
za non si confaceva al vuoto ottimismo di una cultura basata sull’i-
1. Gli anni del vitello d’oro ) 5
dea che l’ansia fosse prerogativa di una mente debole e che fosse
necessario curarla per via farmacologica. Per questo motivo, come
altri grandi paradigmi del pensiero psicodinamico, l’esistenziali-
smo è stato relegato negli archivi della storia del pensiero, studiato
da un numero sempre minore di studenti, per la maggior parte oc-
cupati più che altro a ottenere lauree che li aiutassero a conquistare
carriere redditizie il più velocemente possibile.
Mentre la cultura generale era impegnata in una sorta di fuga
nella dimensione economica della realtà, la filosofia esistenzialista
è ritornata a poco a poco in vita, partendo dai margini dell’ambien-
te accademico. Irvin Yalom6 ha dimostrato che l’esistenzialismo
offre un modello prezioso per la pratica clinica. Le idee dell’antro-
pologo Ernest Becker, in particolare quelle contenute nei suoi ulti-
mi due libri – The Denial of Death (1973) e il postumo Escape from
Evil (1975) – hanno riformulato alcuni concetti centrali dell’esi-
stenzialismo in un modo più vicino alla biologia evoluzionistica.
Becker sostiene che l’evoluzione abbia creato una situazione inso-
stenibile per la specie umana. Come tutti gli altri animali, siamo
terrorizzati da qualunque cosa possa portare alla nostra morte, ma
a differenza delle altre specie siamo consapevoli della nostra morte.
Tuttavia, non siamo in grado di sopportare il peso di questa co-
noscenza. Becker avanza un’ipotesi molto importante: la negazione
della morte è uno dei fattori che motiva di più la nostra specie. Come
facciamo però a negare qualcosa di cui siamo consapevoli? La ri-
sposta principale è che per non sentirsi in balìa del nudo terrore
della morte, gli esseri umani sposano visioni del mondo che han-
no due funzioni: la prima è quella di fornire un senso all’esistenza,
spiegando perché siamo qui e come organizzare la nostra vita; la
seconda è quella di proteggerci offrendo la possibilità di far parte
di un insieme più ampio. L’appartenenza a un gruppo distintivo e
speciale (religioso, nazionale o etnico), definito secondo i criteri di
una visione del mondo, rende noi stessi speciali e aumenta così il
nostro livello di autostima.
Alla fine degli anni Ottanta, sono emersi un nuovo paradigma
di ricerca della psicologia sociale e la teoria della motivazione e del-
la personalità basate sulle idee di Becker: la psicologia sperimenta-
6 ) Economia della celebrità