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40 14 maggio 2017 L’Espresso N el quartiere di Fulham, a Londra, c’è un piccolo uicio da cui il sistema di potere italiano deve apparire più fragile che mai. In uno stori- co ediicio costruito nel 1911 dalla Michelin, con tanto di deposito di pneumatici e oicine di ripa- razione per le automobili che iniziavano a circolare nella capitale inglese, oggi convertito in uici, negozi e ristoranti, si trova infatti la sede di una minuscola società di consulenza che sta mettendo in serio imbarazzo il governo di Roma su un tema delicato come le nomine nelle aziende pubbliche. La società si chiama Bluebell Partners, ha un capitale limitato al minimo indi- spensabile per le norme britanniche, appena 100 sterline, e un nucleo di tre collaboratori che aiancano i due fonda- tori, Giuseppe Bivona e Marco Taricco, entrambi ex banchieri d’afari. È da qui, da questo fabbricato in mattoni rossi di Fulham Road, che negli ultimi anni è partita una serie di azioni capaci di met- tere sotto pressione prima il vertice di una banca come il Monte dei Paschi di Siena, poi il colosso pubblico della difesa e dell’aerospazio Finmeccanica, da poco ribattezzato Leonardo. La missione di Bluebell è, formalmente, quella di lavo- rare al ianco dei fondi internazionali e degli hedge fund per ottenere cambia- menti nelle società quotate in cui hanno investito, in modo da determinare una ECONOMIA Aziende di Stato Il processo per Mps. Le mozioni contro la sua nomina in Leonardo. Chi c’è dietro gli attacchi al manager. E perché se ne discute Profumo di guai di Luca Piana illustrazione di Duluoz crescita dei titoli in Borsa e moltiplicare i proitti. Ma in un’Italia alle prese con una profonda crisi di credibilità delle istituzioni, l’azione della piccola società ha inito per valicare i conini del merca- to, arrivando a mettere in discussione le scelte di aziende al centro di rilevanti interessi pubblici, prima nelle aule giu- diziarie, poi in Parlamento. È stato infatti proprio Bivona, 63 anni, un passato in merchant bank quali Mor- gan Stanley, Lehman Brothers, Gold- man Sachs, a dare impulso a una mozio- ne di siducia individuale nei confronti Copia di f8c0d6a2c5cfa136be60c8173e771f81

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40 14 maggio 2017 L’Espresso

N el quartiere di Fulham, a Londra, c’è un piccolo uicio da cui il sistema di potere italiano deve apparire più fragile che mai. In uno stori-co ediicio costruito nel 1911 dalla Michelin, con tanto di

deposito di pneumatici e oicine di ripa-razione per le automobili che iniziavano a circolare nella capitale inglese, oggi convertito in uici, negozi e ristoranti, si trova infatti la sede di una minuscola società di consulenza che sta mettendo in serio imbarazzo il governo di Roma su un tema delicato come le nomine nelle aziende pubbliche.

La società si chiama Bluebell Partners, ha un capitale limitato al minimo indi-

spensabile per le norme britanniche, appena 100 sterline, e un nucleo di tre collaboratori che aiancano i due fonda-tori, Giuseppe Bivona e Marco Taricco, entrambi ex banchieri d’afari. È da qui, da questo fabbricato in mattoni rossi di Fulham Road, che negli ultimi anni è partita una serie di azioni capaci di met-tere sotto pressione prima il vertice di una banca come il Monte dei Paschi di Siena, poi il colosso pubblico della difesa e dell’aerospazio Finmeccanica, da poco ribattezzato Leonardo. La missione di Bluebell è, formalmente, quella di lavo-rare al ianco dei fondi internazionali e degli hedge fund per ottenere cambia-menti nelle società quotate in cui hanno investito, in modo da determinare una

ECONOMIA Aziende di Stato

Il processo per Mps. Le mozioni contro la

sua nomina in Leonardo. Chi c’è dietro gli

attacchi al manager. E perché se ne discute

Profumo di guaidi Luca Piana

illustrazione di Duluoz

crescita dei titoli in Borsa e moltiplicare i proitti. Ma in un’Italia alle prese con una profonda crisi di credibilità delle istituzioni, l’azione della piccola società ha inito per valicare i conini del merca-to, arrivando a mettere in discussione le scelte di aziende al centro di rilevanti interessi pubblici, prima nelle aule giu-diziarie, poi in Parlamento.

È stato infatti proprio Bivona, 63 anni, un passato in merchant bank quali Mor-gan Stanley, Lehman Brothers, Gold-man Sachs, a dare impulso a una mozio-ne di siducia individuale nei confronti

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del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, irmata il 3 maggio scorso da tutti i parlamentari del Movimento 5 Stelle. Il motivo della contestazione è l’indicazione da parte di Padoan di un altro ex banchiere, Alessandro Profumo, come nuovo numero uno di Leonar-do-Finmeccanica, una nomina la cui conferma è in calendario per martedì 16 maggio da parte di un’assemblea dei

soci che si preannuncia agitata. L’accusa a Padoan: aver cambiato norme e rego-lamenti pur di portare Profumo - un pezzo da novanta del sistema creditizio - alla guida di un’azienda controllata dallo Stato come Leonardo, nonostante il rinvio a giudizio che l’ex numero uno di Unicredit e Monte Paschi ha incassa-to poche settimane fa con l’accusa di aver falsiicato i bilanci dell’istituto senese,

che era stato chiamato a risanare dopo i disastri dell’era Mussari.

Per capire i fatti, e tentare di intuire chi c’è dietro l’attacco di Bluebell a Profumo e Padoan, bisogna tornare un po’ indie-tro nel tempo, al 2013, quando la società londinese non era nemmeno nata. All’e-poca il nome di Giuseppe Bivona diceva poco al grande pubblico. Il “banker”, come lui stesso si deinisce, aveva lascia-to nel 2011 l’impiego in Goldman Sachs, dov’era giunto nel 2008 da Lehman Brothers ed era responsabile della ven-dita di titoli a banche, assicurazioni e fondi italiani. A “L’Espresso”, Bivona racconta che nel gennaio 2013, quando si occupava solo di gestire i suoi afari personali, gli capitò di leggere un’inter-vista dell’allora amministratore delegato del Monte, Fabrizio Viola, in cui veniva data una spiegazione poco chiara di co-me erano contabilizzate in bilancio due operazioni inanziarie efettuate in pas-sato con Nomura e Deutsche Bank, che avevano afossato i conti dell’azienda di credito e scatenato le note inchieste giudiziarie.

«Qualche giorno dopo, a inizio feb-braio, partecipai a una conference call con gli analisti e feci una semplice do-manda, chiedendo se nei contratti fosse presente una clausola tipica dei derivati, chiamata “cheapest delivery option”. Se il management avesse risposto di sì», racconta Bivona, «avrebbe signiicato senza dubbio che quelle operazioni era-no in derivati e che, dunque, il Monte non poteva continuare a contabilizzarle come fossero titoli di Stato. Ma i dirigen-ti non diedero alcuna spiegazione, di-cendo che non era la sede per farlo. Intuii allora che c’era un problema».

Sullo scontro scaturito quel giorno di febbraio sono state scritte pagine e pagi-ne e, come vedremo, si è occupata in modo contrastato la Procura di Mi-lano, ino alla richiesta di rinvio a

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è implacabile. Scrive decine di lettere ai manager della banca, alle autorità di controllo, al governo, alla magistratura. Per chi lavora? “L’Espresso” glielo ha chiesto esplicitamente: sul Monte ha mai collaborato con investitori clienti di Bluebell, come possono essere fondi istituzionali o hedge fund? La risposta: «Sì, può essere successo». Chi erano? «Non posso dirlo».

È un fatto che, con le sue denunce, Bivona contribuirà al procedimento giudiziario che porterà al rinvio a giudi-zio di Viola e Profumo, e di qui al tenta-tivo di far deragliare la nomina di quest’ultimo al vertice di Leonardo-Fin-meccanica e alla correlata mozione di siducia dei Cinque Stelle contro Pado-an. Ma prima di giungere a questo capi-tolo, è utile aprirne uno preliminare. Perché Bluebell da quando è nata non si è limitata a mettere nel mirino Mps. Negli Stati Uniti ha fatto da consulente all’ingresso a sorpresa nell’azionariato del marchio di gioielli Tifany & Co. di un fondo “attivista”, come vengono chia-mati quelli che non si limitano a compra-re e vendere titoli ma cercano di impor-re al management delle società quotate nuove strategie. Il fondo si chiama Jana e Bluebell l’ha aiutato a rastrellare una quota del 5 per cento di Tifany e a piaz-zare in consiglio di amministrazione tre persone, fra i quali l’italiano Francesco Trapani, in passato capo di Bulgari. In Italia, invece, il compagno d’avventura della coppia Bivona-Taricco è stato il fondo Elliott del inanziere americano Paul Singer, uno dei maggiori hedge fund del mondo. I tifosi rossoneri hanno ap-preso della sua esistenza qualche setti-mana fa, quando Singer ha prestato all’imprenditore cinese Li Yonghong gran parte dei quattrini che gli servivano per rilevare da Silvio Berlusconi la proprietà del Milan.

giudizio per Profumo e Viola. Per ora, però, è interessante notare due

aspetti. Il primo è che Bivona ha avuto una parte determinante nel successivo svolgimento dei fatti, compreso il modo in cui la Commissione europea nel 2013 ha concesso a Mps gli aiuti di Stato co-nosciuti come “Monti bond”. Il secondo è che l’ex banchiere ha trasformato quel-la che all’inizio lui descrive come una sida personale in una nuova e redditizia attività professionale: rompere le uova nel paniere ai poteri forti. Soprattutto a quelli italiani, anche se non solo.

Vediamo il primo punto. Un indizio dell’attività di lobby - o di trasparenza, come preferisce chiamarla lui - praticata a Bruxelles Bivona lo aveva fornito già il 29 dicembre 2013, quando si era presen-tato all’assemblea di Mps come delegato dell’associazione di consumatori Coda-cons e aveva rivelato di aver interloquito con il commissario europeo Joaquín Almunia sugli aiuti di Stato che l’Europa doveva approvare in favore della banca. Quel via libera era stato fornito in via preliminare un anno prima, il 17 dicem-bre 2012, ma poi la trattativa fra la Com-missione, il governo italiano e la banca era andata per le lunghe e l’ok deinitivo sembrava non arrivare mai. Il motivo lo racconta ora il banker: il 15 febbraio 2013 Bivona aveva scritto al commissario Almunia per segnalargli che nei conti della banca era celata una potenziale perdita miliardaria legata proprio ai derivati con Nomura e Deutsche Bank e che il prestito governativo – i “Monti bond” – avrebbe permesso all’istituto di tappare i buchi, consentendo però alla Fondazione Mps di mantenere il con-trollo dell’istituto. Controllo che, invece, avrebbe perso se lo Stato fosse entrato direttamente nel capitale.

Come aveva fatto Bivona ad arrivare ino a Almunia? Possibile che la Com-missione europea ascolti le argomenta-zioni un privato cittadino, facendole pesare più di quelle sostenute dal gover-no italiano e sufragate dalle decisioni di Consob e Banca d’Italia? Lui assicura di sì e sostiene che la diferenza fra le isti-tuzioni internazionali e quelle italiane è la capacità di ascoltare chi si mostra ben informato, invece di mettere le denunce in un cassetto: «Tutti pensavano che il via libera definitivo ai “Monti bond”

ECONOMIAAziende di Stato

La società che lo contesta

ha solo 12 azioni del Monte.

Ma si è battuta per ottenere

il suo rinvio a giudizio

fosse scontato, invece in una serie di colloqui con il team di Almunia spiegai che le perdite della banca non erano le-gate alle minusvalenze sui titoli di Stato, penalizzati da un motivo esogeno come la crisi del debito pubblico. Erano invece determinate da un motivo endogeno alla banca, gli errori fatti con i derivati: in questo caso gli aiuti di Stato potevano arrivare lo stesso, ma dovevano essere legati a una penalizzazione degli azioni-sti che avevano gestito male la banca, imponendo loro una diluizione delle quote», racconta. Nei fatti, è proprio questa la linea che passa. Almunia lo annuncia il 7 settembre 2013: primo, il Monte dovrà fare una ricapitalizzazione più ampia di quanto previsto inizial-mente, mettendo di conseguenza la Fon-dazione Mps fuori dalla stanza dei bot-toni; secondo, se i “Monti bond” non saranno restituiti in tempi stretti, lo Stato dovrà entrare nel capitale, nazio-nalizzandone il controllo.

Da Tiffany al MilanQuanto abbiano efettivamente inluito le denunce di Bivona nel dare questa piega agli eventi è impossibile dirlo. Certo è che, da quel momento, la lettura dei fatti si complica. Il 29 gennaio 2014 a Londra viene costituita la Bluebell Partners, che vede Bivona come socio fondatore assieme a Marco Taricco, anche lui italiano con un curriculum di banchiere d’afari, che lo ha visto passa-re per Goldman Sachs, Morgan Stanley, JP Morgan. Può sembrare una questione da poco ma la diferenza è importante. Fino ad allora Bivona si era presentato alle assemblee come delegato del Coda-cons, mentre successivamente lo farà come rappresentante di Bluebell, titola-re di un investimento risibile: 12 azioni Mps. Eppure la sua attività di denuncia

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L’establishment italiano, però, aveva imparato a conoscere Elliott già nel

2015, quando l’hedge fund aveva deciso di scombinare i piani elaborati da Fin-meccanica per risolvere una serie di questioni problematiche. Il gruppo pub-blico, all’epoca guidato da Mauro Mo-retti, aveva deciso di cedere le attività nel settore trasporti, un business caratteriz-zato da un elevato numero di posti di lavoro (6.063) ma anche da diverse dii-coltà. Nel 2015, appunto, Moretti stringe un accordo per cedere alla giapponese Hitachi due attività: il 40 per cento pos-seduto in Ansaldo Sts, un’azienda gioiel-lo nei sistemi di segnalazione e automa-zione per le ferrovie, nonché l’intero capitale della Breda, che produce treni e tram, da tempo oggetto di grandi timori da parte dei sindacati e della politica per il rischio di una smobilitazione. Il prezzo pagato dai giapponesi, tutto considera-to, è di 790 milioni di euro.

Consigli a Cinque StelleBluebell, tuttavia, è convinta che l’accor-do nasconda un patto: Finmeccanica vende Ansaldo Sts a un prezzo più basso del potenziale, mentre Hitachi accetta di accollarsi e tentare di rilanciare anche Breda. Ansaldo Sts, però, è quotata e i giapponesi devono lanciare un’Opa sul-le azioni in mano al mercato. Molti azionisti di minoranza, però, si oppon-gono. Il primo è un altro fondo molto attivo in Italia, Amber Capital, ma quel-lo che si mette di mezzo in misura mas-siccia è il cliente di Bluebell, e cioè Elliott, che rastrella il 22 per cento di Ansaldo. Hitachi prova a resistere, alza un po’ il prezzo dell’Opa, che tuttavia fallisce. Elliott coalizza i fondi contrari e fa eleg-gere in consiglio di amministrazione tre rappresentanti delle minoranze. Fra lo-ro anche Bivona, che come sempre si

ECONOMIA Aziende di Stato

Il fondatore di Bluebell: «Per

chi lavoro? Non posso dirlo.

Ma sull’incarico in Leonardo

molti fondi sono contrari»

bilanci contabilizzando gli ormai famo-si derivati in maniera diversa, e che im-patto avrebbero avuto queste modiiche sui piani di ristrutturazione, sugli au-menti di capitale e sulla concessione dei “Monti bond”. Il giorno clou arriva il 15 marzo, quando il giudice per le indagini preliminari di Milano, Livio Cristofano, riunisce la camera di consiglio, nella quale la procura conferma la richiesta di archiviazione, alla quale si oppone Bivo-na, parte lesa in virtù delle dodici azioni del Monte possedute. Il 21 aprile Cristo-fano deposita la sentenza, ordinando alla procura di formulare la richiesta di rinvio a giudizio sia per Viola che per Profumo.

Di lì gli eventi precipitano: Bivona scrive a Padoan, chiedendo di revocare l’indicazione del banchiere come futuro amministratore delegato di Leonardo, argomentando fra l’altro che verrebbe nominato un manager che sarà proces-sato per un accusa che, se sarà provata, avrebbe danneggiato anche lo Stato stes-so, oggi azionista Mps. Pochi giorni dopo, la richiesta di siducia da parte del Movimento 5 Stelle, che ripropone per ilo e per segno le argomentazioni del banker basato a Londra.

L’Espresso gli ha chiesto: ha suggerito lei la mozione al partito di Beppe Grillo? La risposta di Bivona: «Quando c’è di mezzo la trasparenza, l’interesse privato e quello pubblico convergono». Ma ha incontrato qualcuno dei Cinque Stelle? «Guardi che i telefoni funzionano anche a Londra. E poi, ho scritto a tutti i grup-pi parlamentari». E ancora, lasciando stare la curiosità politica ma andando al sodo, perché questo attivismo su Leo-nardo-Finmeccanica? Bluebell ci sta la-vorando per qualche cliente? «Operia-mo per un investitore che, quando sono usciti i rumors sulla possibile nomina di Profumo, ha subito venduto la sua posizione. Ma il suo interesse è rientra-re, quando la situazione si sarà chiari-ta». Chi è? «Posso soltanto dire che è un investitore molto tradizionale, non un hedge fund. E che le sue critiche, nei giorni successivi, sono state condivise da molti altri investitori». Voilà: in un sistema così debole, una manciata di azioni e un po’ di buone relazioni pos-sono bastare per mettere in discussione le scelte di chi governa. Q

presenta con 10 azioni soltanto: l’equi-valente di una cena in trattoria con un paio di amici. Il vero costo, però, è giu-diziario: sul caso nascono inchieste della magistratura e pronunciamenti del Tar. In gennaio Hitachi riesce a cacciare Bivona dal consiglio, promuo-vendo un’azione di responsabilità, che viene votata però quasi esclusivamente dai giapponesi, mentre gli altri investi-tori votano contro. La partita, dunque, è aperta, e probabilmente si risolverà solo con una mediazione.

La lezione da trarre da casi come Mps e Finmeccanica sembra essere soltanto una: il sistema di potere italiano è così debole che per accerchiarlo bastano pochi individui pronti a inilarsi nelle sue crepe per farlo esplodere dall’interno. E qui si torna al caso Profumo. Il banchie-re, come emerge il 16 marzo quando si diffondono le prime indiscrezioni, è l’uomo scelto da Padoan per gestire un’azienda delicata come Leonardo-Fin-meccanica, che impiega oltre 47 mila persone e costruisce aerei civili e milita-ri, elicotteri, armamenti, satelliti.

Eppure, sul nome dell’ex presidente del Monte, Bivona non aveva mollato l’osso. Sull’oggetto delle sue denunce era nata un’inchiesta da parte della procura di Milano, nella quale Profumo e Viola erano indagati con l’accusa di aver difu-so false informazioni sui bilanci dal 2012 al primo semestre 2015, quando la que-stione dei derivati Nomura e Deutsche Bank era stata deinitivamente chiusa. La procura aveva deciso di chiedere l’archiviazione. Ma il procuratore gene-rale di Milano, Felice Isnardi, non pare d’accordo. Il 27 ottobre scorso convoca Bivona e, lo stesso giorno, aida a due periti quattro quesiti molto precisi, che mettono a fuoco alcune delle questioni sollevate da Bluebell nel corso del tempo. Fra queste, come sarebbero cambiati i

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