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La felicità - Come convivere con il mal di schiena L’esercizio fisico come prevenzione - Controllare lo stress - Il rilassamento - L’equilibrio interiore- La giusta alimentazione - La ginnastica coi pesi - Il culturismo - Correre nel modo giusto 1

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Naturopatia

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La felicità - Come convivere con il mal di schiena L’esercizio fisico come prevenzione - Controllare lo stress - Il rilassamento - L’equilibrio interiore- La giusta alimentazione - La ginnastica coi pesi - Il culturismo - Correre nel modo giusto

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Cosa è la felicità?

Essere felici vuol dire vivere in armonia, essere contenti, allegri, soddisfatti, spensierati, beati, sereni, tranquilli; vuol dire altresì essere belli, giovani, sani, avvenenti, forti, robusti. E ancora, per essere veramente felice occorre essere in pace con se stesso e con il prossimo, avere comprensione verso coloro meno fortunati, non risparmiarsi mai se un nostro atto può essere d’aiuto a qualcuno.

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Prefazione

Tutto quello che è scritto in questo libro, è frutto di una continua ricerca svolta in tanti anni e che continua tuttora. In pratica non è altro che l'esperienza di una persona in cerca di verità e riscontri in tutto il corso della sua vita, costantemente alimentata da una gran voglia di conoscenza. E’ lo studio svolto sui grandi personaggi della scienza e della medicina, delle loro teorie e risoluzioni pratiche analizzate, rielaborate e depositate nel mio bagaglio culturale. Ciò che ho appreso è stato fonte d’arricchimento e di stimoli per mente e spirito nella vita pratica di tutti i giorni. Sappiamo che ciascuno di noi ha i suoi problemi: stress causati dalla frenetica vita che conduciamo, dolori fisici, malattie. E sappiamo anche che dobbiamo accettarli, in molti casi imparando a conviverci. Tutte le discipline del Fitness (STAR BENE) studiate e applicate da me, hanno dato delle risposte al mio corpo. Selezionate nel corso degli anni, ho semplicemente mantenuto e praticato quelle che più rispondevano alle mie esigenze. Ci sono milioni di persone nel mondo che ogni giorno cercano le risposte ai loro bisogni in una vita rivolta allo “star bene con se stessi”. Nessuno effettivamente potrà prestarci aiuto, le risposte dobbiamo trovarle da soli. Con questo libro cerco dunque di far comprendere che c’è un modo, una strada, un metodo per cominciare, una via da seguire, un metodo da imparare. Nonostante tutto ciascuno di noi può creare il proprio percorso e ottenere le proprie risposte. Negli anni ho avuto diversi problemi con il mio corpo e, anche se ho amato e praticato molti sport quali nuoto, ciclismo e corsa, ho avuti molti infortuni, causati soprattutto per non aver avuto rispetto del mio organismo: oltrepassavo i miei limiti che mi rendevo conto essere sotto la media. Solo in seguito ho finalmente capito: sono migliorato anche fisicamente, imparando ad ascoltare tutti i messaggi che il corpo mi inviava. Attraverso lo Yoga, il rilassamento muscolare, il Training Autogeno, ho scoperto che tutti noi possiamo comunicare con il nostro organismo e sentire cosa vuole e di cosa necessita, o capire se approva quello che stiamo eventualmente facendo. Avere rispetto del proprio corpo ci insegna anche ad avere rispetto per il nostro prossimo. Rispetto del corpo, vuol dire sostanzialmente soddisfare le “sue” necessità e le sue richieste. L’invito che per primo rivolgo a me stesso, e poi ad altri, è quello di dedicarsi al moto: il movimento è vita, benessere, pace con se stessi. Un corpo che non si muove è morto, la sedentarietà è il peggior malanno dell’organismo, ci toglie la forza, la volontà, l’energia di vivere. In un certo senso siamo come delle automobili: il cuore è il nostro motore, le gambe sono le ruote e la carrozzeria tutte le altre parti, muscoli, legamenti, articolazioni, e soprattutto la struttura ossea che è l’albero della vita. Se lasciamo un’auto ferma per troppo tempo, la batteria si scarica e non riparte. Se mai dovesse ripartire, è facile che si ingolfi, o che consumi maggior carburante, le ruote sono a terra, i vetri sporchi. Ma sappiamo anche che dedicando maggiore attenzione, sia alla nostra automobile che al nostro corpo, possiamo tranquillamente tenere “su strada” entrambi godendone solo dei vantaggi. La mia esperienza di vita mi ha spinto dunque a scrivere questo testo. Le circostanze di tutti i giorni a contatto con le persone, ascoltando i loro problemi, la descrizione dei lori dolori fisici, mi hanno sempre fatto pensare che in fondo le disavventure altrui non erano così dissimili dalle mie. E durante le mie ricerche sul benessere fisico (tentando ovviamente di risolvere in primis i miei disagi) ho scoperto che molte persone, (amici, parenti) chiedessero sovente consigli a me su come risolvere i loro malesseri.

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E’ stato l’accorgermi che i miei consigli erano utili anche ad altri che mi ha dato le soddisfazioni maggiori. E anche il mio grande stimolo a perseverare. Così ho trascorso anni a leggere tutto ciò che riguardava il corpo umano, anatomia, patologie, così come le varie discipline sportive praticate. Nonostante il ricorso a dottori e specialisti, l’unica fonte di informazioni che assorbivo proveniva da libri e riviste specializzate. Erano utili anche per comprendere ciò che negli anni mi è capitato (in particolare il mio perdurante mal di schiena) e come poterlo risolvere anche grazie al mio aiuto a alla mia determinazione. Ero sicuro che la risposta fosse negli esercizi fisici, adattati alle mie esigenze.

E’ stata anche una delle terapie alle quali mi sono sottoposto, la Chiropratica associata allo Yoga, che mi ha permesso di continuare a vivere senza dover sempre ricorrere al dottore. Desidero ringraziare l’amico Nico, che mi ha aiutato a terminare questa mio lavoro. Inoltro, ringrazio mia moglie che mi ha incoraggiato a portare a termine questo mio libro. “Ascoltare è il solo modo per conoscere”

Parte prima Capitolo I

Come convivere con il mal di schiena 1- La postura Ci sono regole di base valevoli per tutti noi. Il movimento, la ginnastica, lo sport, possono farci star bene, aiutandoci a scaricare le tensioni di tutti i giorni. Tutto ciò che facciamo però è condizionato dalla forza di gravità che ci spinge continuamente verso il basso. Il nostro corpo deve così costantemente controbilanciarla cercando il miglior allineamento verticale possibile. La maggior parte di noi ha grossi problemi di posizione (postura) e ciò causa problemi gravi e un maggiore dispendio d’energia. Quando c’è una malattia, bisogna ricorrere allo specialista, ma credo che l’80% dei nostri malesseri siano causati da una cattiva postura. Tutto il sistema del ricambio, della circolazione sanguigna, quello più importante dell’apparato nervoso, sono influenzati dalla postura che assumiamo: una postura sbilanciata, costringe la nostra struttura –ossa, tendini, tessuti, muscoli e fasce- a una continua tensione, causando blocchi nei vari segmenti corporei. Dobbiamo allora, in tutti i modi cercare di ottenere la migliore postura che la nostra fisicità ci permette. Cerchiamo in qualche modo di capire cosa vuol dire “postura” o posizione, che forse è piu chiaro. La posizione è in un certo senso l’atteggiamento che noi assumiamo verso il mondo e tutto ciò che ci circonda. Ed è anche postura fisica. Si sa che la posizione eretta, l’uomo la ha assunta non da molto. Eravamo come le scimmie. Alzarci in piedi, liberare le mani, e stata la grande conquista dell’umanità. Questa evoluzione non si è ancora ben completata, siamo instabili, basta un piccolo guaio e l’equilibrio diventa precario. Il tronco, il capo, e gli arti superiori gravano su una base di dimensioni piuttosto limitata, costituita dal bacino e dagli arti inferiori. L’equilibrio è più stabile quando i vari elementi corporei sono più perpendicolari possibile facendoci risparmiare in consumo energetico. La migliore postura è

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dunque, la più verticale possibile, quella che si slancia alta nel cielo, che ci fa correre, camminare leggeri, senza apparente sforzo, ci rende forti, felici, vivi. Quando siamo al lavoro, quando riposiamo o dormiamo, il corpo tende ad assumere posizioni che ci fanno stare più comodi, senza provare dolore: c’è un istintivo rifiuto alla sofferenza. Il nostro organismo ha un sistema di difesa contro il dolore che automaticamente ci fa assumere le posture più strane. Pensate a chi ha mal di pancia, sicuramente lo si immagina piegato in due, o chi ha mal di testa, anche lui avrà un atteggiamento di protezione tenendosi la testa fra le mani, o ancora chi ha una lombalgia, lo vedrete piegato da un lato, zoppicante, con una mano sul fianco, sofferente. Ecco queste sono comunque posture, o posizioni. Il punto è che dobbiamo educare il nostro corpo ad evitarle, in quanto maggiormente causa di squilibri fisici e disagi. Mentre, se corrette, ci donano salute, felicità, vitalità e forza di vivere. Ciascuno di noi ha una propria postura. Le ragioni che ci portano ad allontanarci dalla verticalità possono essere molteplici in generale, come tensioni da eventi fisici e psichici, posizioni sbagliate a scuola, traumi postumi da fratture o atteggiamenti di difesa, o ancor di più a causa di una scoliosi. La mente umana ha un ruolo importante in tutto ciò: non si può essere introversi, chiusi, pessimisti e avere una buona postura. Sicuramente in questi casi cammineremo a testa bassa, con le spalle cadenti e le ginocchia semiflesse. Vogliamo verificare la nostra postura? Basta far scendere un piombo che parta dalla sezione centrale dell’orecchio e controllare se cade al centro del malleolo (con ginocchia tese, ben inteso). Riuscire a stare piu’ in verticale possibile dipende dai muscoli, dalle fasce, e dal tessuto connettivo. Abbiamo una patologia della colonna lombare come lordosi, cifosi, scogliosi? Beh, in questi casi le cause maggiori sono da attribuire ai tiranti (muscoli). Ho detto tiranti con uno scopo ben preciso, e serve a poter meglio spiegare il rapporto che intercorre tra muscoli e postura. Sarà capitato a molti di veder sfilare una processione di paese in un classico giorno di festa o ricorrenza religiosa! Pensiamo a quel tipo immagine sacra ritratta su un gran lenzuolo lungo 7\8 mt. sostenuto da due pertiche 1/3 piu lunghe dell’immagine. Gli uomini che la trasportano di solito sono sei, due di loro reggono le pertiche sull’addome strette con cinghie, e quattro tengono, con delle corde legate alla cima delle pertiche, la stabilità dell’immagine. L’equilibrio è dato dai quattro uomini con le corde, i tiranti, appunto. Possono trasportare l’immagine in salita, discesa, girare a destra o sinistra, anche in caso di forte vento, ma fino a quando i quattro che tengono i tiranti faranno il loro lavoro, l’immagine non cadrà mai. Saranno loro, a tirare o a mollare secondo la necessità e a mantenere verticali le pertiche. Ecco il compito dei nostri muscoli (tiranti): tirano o mollano a secondo della necessità e concorrono a mantenere verticale la nostra colonna (pertiche). Sono loro i muscoli posturali della schiena e dell’addome profondi che ci donano quel portamento stabile, una tensione anomala può condurre ad un indurimento delle fasce che sono attorno ai muscoli, e ciò porta squilibri tra le varie parti dell’organismo. Le contratture muscolari possono comportare un cattivo allineamento corporeo che a sua volta può causare distorsioni o lussazioni. Appare chiaro che i muscoli sono i principali protagonisti della postura: se il nostro sistema nervoso funziona bene e non c’è nessuna grave menomazione possiamo ottenere una perfetta postura. Dipende solo da noi stessi e dalla vita che conduciamo “Una perfetta postura è veramente un dono di Dio.”

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2- I muscoli Ora appare chiaro che un muscolo corto (contrattura) o lungo (stiramento) compromettono irrimediabilmente la postura. Se non sono ben distribuite le tensioni, possono nascere i primi problemi alle articolazioni. Anche le grandi masse muscolari (ad es. i grandi dorsali) collegate direttamente alla colonna vertebrale spostano i vari blocchi, e se non sono ben proporzionate possono ostacolare la libera articolazione. Per capire cosa accade al corpo, quando le varie masse si allontanano dall’allineamento ideale, pensiamo a una costruzione in laterizi: se metteremo i vari mattoni allineati e dritti la costruzione sarà stabile, se non rispetteremo questa semplice regola, crollerà. Queste anormali tensioni muscolari quindi, possono far ruotare una vertebra, ridurre uno spazio articolare con conseguenze a volte gravi come ad es. l’ernia discale, far irrigidire un tendine o portarci a una lussazione del ginocchio (se ad es. il tendine interessato fosse uno dei quattro del quadricipite) con gravi ripercussioni ai legamenti e un maggiore spostamento scorretto del bacino. O, ancor più grave, possono schiacciare un nervo, lesionandolo, e creando una paresi alla zona interessata. Possiamo ora cominciare a parlare dei muscoli, del loro lavoro e importanza. I muscoli hanno due sistemi di contrazione, la volontaria, e l’involontaria. Il primo tipo di contrazione è comandato volontariamente dal nostro cervello (per compiere un lavoro, un’azione, un movimento). Il secondo tipo di contrazione è in realtà un vero e proprio sistema di difesa dell’organismo ed è attivato quando c’è una risposta negativa dal nostro sistema di difesa: una malattia, uno sforzo eccessivo, uno stress emotivo, un allungamento oltre i nostri limiti che provoca una contrattura nel tessuto muscolare interessato. Il sistema nervoso invia un segnale al cervello e paralizza il muscolo (contrattura). Risposta negativa ho detto? In realtà non è del tutto vero: se non ci fosse questo meccanismo, il nostro corpo non vivrebbe molto a lungo, è lui che con il dolore causato dalla contrattura che avverte, dà l’allarme, affinché tutte le difese del corpo accorrano e risolvano l’emergenza. Se il pericolo non rientra, dovremo chiedere aiuto, recandoci dal dottore e mettere a riposo l’organismo. Le malattie, lo sforzo eccessivo, lo stress emotivo che nella nostra esistenza ci colpiscono, ci lasciano senza difesa. Le malattie: chi può evitarle? Lo stress: sembra incurabile! Lo sforzo eccessivo: dovremmo avere la fortuna di essere serviti e riveriti per evitarlo. Lo stiramento eccessivo invece, possiamo imparare a controllarlo con lo stretching, cioè quel tipo di esercizi dedicati allo stiramento dei muscoli. Sarà questo (lo stretching) che ci interessa particolarmente e al quale ci rivolgeremo per aiutare il nostro corpo . Proprio attraverso lo stretching, assieme allo Yoga (disciplina che useremo come completamento dell’altro) potremo ottenere dei risultati notevoli e tutto il nostro corpo ne trarrà beneficio se sapremo eseguire correttamente le sedute di esercizi. Ciascuno di noi può trovare gli esercizi che più si addicono alle proprie esigenze. L’importante è eseguirli con costanza e determinazione In questo modo le articolazioni non saranno mai bloccate, i dolori scompariranno, il tono muscolare sarà pronto e scattante. Tutti i fluidi energetici scorreranno liberi, facendoci sentire sciolti, vivi, vibranti. Allontaneremo la vecchiaia, le malattie ci aggrediranno meno. Questo benessere aiuterà la nostra anima rendendoci giusti, aperti, altruisti e disponibili ad ascoltare i nostri simili.

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Senza voler essere presuntuoso sono portato ad affermare che questo può essere il segreto della felicità. Imparando il metodo che segue avremo rispetto del nostro corpo. Sentiremo chiari i segnali che esso ci invia riuscendo ad aprire la porta dell’anima, ed entrando in una nuova dimensione. Corpo e anima saranno in piena sintonia. Le risposte ai nostri interrogativi, troveranno soluzione. La lettura dell'essere sarà chiara. C’è in ognuno di noi qualcosa di divino che il creatore ci ha donato. Qualcosa che fa riflettere sui misteri e il senso della vita: da dove veniamo, dove andiamo, lo spazio infinito che ci circonda, cosa c’è oltre l’universo. C’è da rabbrividire a questi pensieri. Cerchiamole dunque le risposte, sono dentro di noi, il metodo può darci una mano a trovarle. Chi riuscirà a scoprirle avrà un premio che nessuno potrà togliergli, e il merito sarà tutto vostro se avrete avuto la pazienza di seguirlo. Mi resta la soddisfazione di aver dato un indirizzo, il percorso spetta a voi. “ Per non soffrire siamo disposti a rinunciare a tutto, anche a vivere se questo è il prezzo da pagare per non patire” 3. Il metodo Analizziamo questo metodo. Abbiamo affermato che dobbiamo trattare bene il corpo. Allora dedichiamogli una parte del nostro tempo, e se occorre anche rinunciando al piacere o al divertimento. Dedichiamo un’ora al giorno a quell’insegnamento di vita che è lo Yoga. Questa disciplina non è come molti credono un ramo del Fitness, è il Fitness: è la base di tutte le discipline sportive; non solo ci insegna le Asanas, gli “esercizi ginnici” ma soprattutto come affrontare la nostra esistenza. “Fitness”, definizione coniata negli Stati Uniti che indica sia la capacità di svolgere quotidianamente un’attività fisica di buon livello, sia la capacità di esaltare quelle qualità fisiche che si oppongono allo sviluppo di patologie da sedentarietà. La respirazione, l’alimentazione, la cura dell’anima, il rispetto del prossimo, sono i principali argomenti che sono trattati da questa disciplina. La parola Yoga significa “congiunzione” cioè congiunzione tra anima e corpo. La parte che più ci interessa, per capire il metodo, e l’hatha yoga. E’ il primo tipo di Yoga, basato sulla padronanza della respirazione, per giungere al controllo del corpo e della vitalità. Lo scopo di questo libro non è quello di voler insegnare Yoga ma di spiegare che attraverso lo Yoga si trova il metodo. Volete avvicinarvi a questa disciplina? Ciò che segue è la descrizione di un metodo di esercizi che unisce yoga e stretching. Lo yoga fornisce l’approccio mentale e spirituale per affrontare lo stiramento dei muscoli con tutta la correttezza necessaria. L’allungamento (stretching) del corpo, accompagnato dalla respirazione controllata ci dona un rilassamento di tutte le masse muscolari con gran beneficio del corpo. Senza risolvere, questi esercizi possono aiutarci anche in quelle cause in cui sembra che non si possa trovare una soluzione efficace come malattie da stress o sforzi eccessivi o da prolungata sedentarietà, rendendoci la giornata meno dura e procurandoci un buon riposo notturno. Mettersi a terra e provare una posizione per allungarci, ci aiuta a capire come fare. Nell'allungare un muscolo, è importante non superare i nostri limiti! Allungarci fa bene, allungarci troppo fa male, molto male. Dobbiamo scoprire fin dove possiamo allungarci per avere i benefici che cerchiamo (capire i nostri limiti!). Ecco come fare! Il solo modo, è quello di fare dei test personali ogni giorno. Provare un esercizio, arrivare alla soglia, del dolore e analizzare il giorno dopo la risposta del muscolo allungato

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Se avremo fatto correttamente non avvertiremo nessun risentimento, se al contrario avremo forzato, la zona resterà dolente per un paio di giorni. Nel momento dell’esercizio, si può avere un’indicazione precisa dello stato di salute del nostro organismo. Ecco come procedere correttamente Osserviamo la figura. Seduti a terra, con le gambe distese e leggermente aperte cerchiamo di stirare il gran dorsale piegandoci in avanti e poggiando le mani sulle gambe. (come in fig. 1) Figura 1

Questo è il momento di ascoltare cosa risponde questa zona del corpo sollecitata. Avvertiremo una grossa tensione, espirando, continuiamo ad allungarci fino alla soglia del dolore, che riconosceremo, perché sarà insopportabile proseguire. Rispettiamo questa risposta anche se l’allungamento è stato minimo. E’ il massimo che ci consente il nostro corpo in questo momento: questo è il segreto per non farsi male. Non esigere mai di raggiungere i limiti che magari si sono ottenuti il giorno prima. Ci sono giornate negative per mille motivi, se il nostro cervello dirà: “Ci sono riuscito ieri, devo arrivarci anche oggi!” sarà la peggiore cosa che faremo, avremo immediatamente una risposta negativa. La tensione, una volta ritornati nella posizione iniziale, potrebbe non andare via, potrebbe essersi verificato uno stiramento del muscolo. Invece possiamo migliorare i nostri limiti allenandoci con assiduità. La giornata è ottima, ci sentiamo in forma, vogliamo, e possiamo forzare. In che modo? Ripartiamo dall’esercizio descritto sopra. Eravamo seduti a terra, ed espirando sentivamo la tensione sul dorso: non avvertivamo nessun dolore? Allora possiamo rimetterci in posizione proseguire con la seconda figura. Torniamo a inspirare mollando un poco la presa delle mani sulle gambe adesso leggermente divaricate e tornando moderatamente indietro espiriamo di nuovo fino a sentirci completamente vuoti; allunghiamo ancor di piu il dorso in avanti, accorgendoci piacevolmente di aver guadagnato ancora spazio. Le mani saranno arrivate sicuramente fino a toccare terra. (come in fig. 2)

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Figura 2

Facciamo una terza respirazione completa e guadagneremo altro spazio. Ogni esercizio non deve mai superare tre respirazioni complete. Nell’eseguire le posizioni Yoga, dobbiamo avere una concentrazione vigile sulle sensazioni che avvertiamo. Se ci concentriamo soprattutto sulla respirazione diaframmata, o eseguiamo un esercizio senza respirare correttamente diventa tutto inutile. Concentriamoci dunque sulla respirazione, e non commettiamo mai l’errore di prendere aria nel momento di maggior allungamento. Più siamo vuoti e scarichi, più i nostri tessuti si allungano. Altro punto molto importante, è la corretta respirazione diaframmata, Ne parleremo più avanti e per ora gli argomenti relativi al metodo corretto da seguire li lasciamo in sospeso. Dobbiamo chiarire altri concetti per avere una visione chiara dell’intero percorso da seguire per ottenere i migliori benefici. Torneremo successivamente sul metodo per quel che riguarda la parte tecnica. In realtà il metodo è racchiuso tutto nel comportamento che noi assumiamo con noi stessi, con il mondo e con i nostri simili. Non ci saranno situazioni soddisfacenti, se il nostro comportamento sarà negativo, nocivo, nervoso, insoddisfatto, geloso ed egoistico, calpestando tutto e nocivamente tutti. Questi sono i mali del mondo. Condurre una vita con un animo sereno, donerà al nostro corpo un rilassamento muscolare che ci permetterà un’elasticità, una leggerezza, ed un libero movimento articolare eccezionale. IL metodo non è solo ginnastica, respirazione, stiramento. E’ stile di vita. “ Il sistema è un sano principio di vita” 4- La respirazione diaframmata Cos’è la respirazione diaframmata? Vediamo di spiegarlo semplicemente. Userò in proposito due verbi impropri, (prendere e buttare): anch’io devo riflettere quando leggo i due termini usati per descrivere i due processi respiratori (inspirare ed espirare) tanto sono simili. E’ importante non sbagliare per avere benefici dai nostri training. Non eseguire correttamente l’esercizio può essere nocivo causandoci una contrattura con conseguenze spiacevoli. Immaginate un muscolo nella massima tensione, cui si aggiunge l’espansione dei polmoni pieni d’aria. Ritorniamo alla respirazione diaframmata! Molti ritengono che il concetto di respirazione diaframmata presupponga un diverso modo corretto di respirare. Non è così! Una respirazione sana e corretta deve essere diaframmata, dobbiamo respirare correttamente e non è semplice; la

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respirazione è un processo fondamentale per la vita e non ci rendiamo conto della sua importanza. Siamo talmente abituati, che lo facciamo meccanicamente in modo involontario, senza far nulla per trarne tutti i benefici. Possiamo resistere intere settimane senza mangiare, alcuni giorni senza bere né dormire, ma solo pochi minuti senza respirare. Con la respirazione, l’organismo trae dall’ossigeno la vitalità indispensabile per la vita delle sue cellule ed elimina le scorie che esso produce. Un efficiente rifornimento d’ossigeno e una rapida eliminazione della anidride carbonica, donano energia al nostro organismo. Per vivere bene è fondamentale un continuo ricambio d’aria fresca assicurato dai movimenti respiratori d’inspirazione ed espirazione. Durante l’inspirazione, la gabbia toracica, si espande, per permettere ai polmoni di dilatarsi. La cosa importante è l’azione del diaframma; infatti, più questo muscolo si abbassa, più possono espandersi i polmoni. Durante la fase di espirazione, il diaframma si rialza per permettere ai polmoni di svuotarsi completamente quasi schiacciandoli in alto e spremendoli come quando vogliamo sgonfiare due palloncini. Si può comprendere come una buona respirazione permetta una migliore ossigenazione del sangue. Un'ottima ossigenazione si può ottenere solo con un’ampiezza adeguata del diaframma. Iniziamo dunque, ad esercitarci a questa respirazione diaframmata. Possiamo scegliere la posizione del loto, oppure sdraiamoci a terra -senza cuscino-. Figura 3

Scegliamo la seconda (come in fig. 3) che ritengo più rilassante e ci aiuta a prendere il giusto ritmo tra inspirazione ed espirazione. Quando siamo in una posizione di riposo, respiriamo in modo calmo, lungo, armonioso. Nel sonno la nostra respirazione e perfetta. Sdraiati e rilassati, espiriamo dalla bocca (buttare aria) tutta l’aria contenuta dai polmoni, chiudendo la bocca inspiriamo (prendere aria) dal naso gonfiando l’addome (pancia in fuori). In questo modo il diaframma si espande maggiormente, facendo sviluppare in maggior misura i polmoni. Continuando a prendere aria senza interruzioni, gonfiamo il torace sollevandolo, permettendo il massimo ampliamento dei polmoni. Sentendoci completamente pieni, tratteniamo l’aria per qualche secondo. Espiriamo (buttare aria) lentamente dal naso e volendo anche dalla bocca abbassando prima il torace poi l’addome, fino a sentirci completamente vuoti. A questo punto possiamo aggiungere la contrazione del diaframma, spingendo indietro l’addome (pancia in dentro) e contando fino a cinque…è importante che il tempo dell’espirazione sia maggiore di 1/3 rispetto all’inspirazione, più aria buttiamo fuori piu aria prenderemo, in questo modo avremo compiuto una respirazione profonda. E’ molto importante imparare questa tecnica, sia per applicare meglio il metodo, sia soprattutto nella vita di tutti i giorni, se alleniamo quest’importante muscolo della respirazione (il diaframma), impareremo a respirare correttamente ottenendo dei risultati eccellenti. Un muscolo, va sempre mantenuto tonico; un’insufficienza diaframmata, può portare a delle gravi patologie.

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Pensiamo a quando siamo malati stressati, depressi, terrorizzati. La respirazione sarà esclusivamente toracica. Non riusciamo ad ossigenarci, il ritmo della respirazione è frequente, si ansima, il diaframma e bloccato, non si espande più. Questi esercizi, vanno eseguiti sempre prima d’ogni lezione di yoga. Allenandoci alla respirazione diaframmata, otterremo la tonicità di quest’importante muscolo (il diaframma), che è il tessuto muscolare che separa la cavità toracica da quell’addominale. Esso ha la forma di un ombrello semi aperto in cui i tendini (cioè le stecche dell’ombrello) legati alle costole mobili (flottanti) gli permettono di funzionare come un mantice. Esso (il diaframma) ci fa defecare, aiuta la donna all’espulsione del feto nella fase terminale del parto. Muscolo involontario, che può modificare la sua attività in fase volontaria: ”Se ci concentriamo e lo alleniamo costantemente, si riesce ad attivarlo a nostro piacere.” Imparare questi esercizi è molto importante, eviteremo insufficienza diaframmata una patologia grave per gli scompensi che può causare. Un ulteriore controllo possiamo farlo, “per verificare se la nostra respirazione è corretta” sempre stesi a terra, poggiamo una mano sul ventre e l’altra sul petto, espiriamo (buttare aria) e controlliamo l’abbassarsi prima del torace e poi del ventre. Facciamo trascorrere qualche istante, fin quando il bisogno di prendere aria si fa sentire, inspiriamo con il naso lentamente; se in quel momento entrambi le mani si sollevano, vuol dire che abbiamo compiuto una respirazione profonda, se invece si solleva la sola mano posata sul petto, avremo fatto una respirazione toracica, se come terza ipotesi si solleverà, prima la mano posata sul ventre e successivamente quella posata sul petto, avremo compiuto una respirazione diaframmata. La raccomandazione e quella di osservarci ogni tanto, seduti in ufficio, quando camminiamo, o anche nell’attesa del tram. La sera prima di metterci a letto possiamo esercitarci e ciò può essere un’eccellente preparazione al sonno. Dormiremo sicuramente meglio “Le metodologie hanno efficacia solo se raccolgono fiducia” 5- Lo Yoga Dopo aver imparato bene a controllare ed eseguire la respirazione diaframmata, possiamo praticare tutti gli esercizi Yoga che vogliamo. Nonostante siano trenta anni che pratico lo Yoga, questa disciplina resta per me ancora in gran parte inesplorata. Si dice che solo coloro che riescono a superare il settimo stadio dell’hatha yoga sono coloro che riescono ad avere il controllo del pensiero, la purezza dello spirito e la serenità del cuore. Gli stadi dello Yoga sono sette, io sono ancora al primo. Devo riconoscere però che la costante pratica dello yoga in tanti anni ha migliorato la mia anima. Nelle librerie ci sono molti testi yoga basta comprarli e studiarli. Lo scopo qui non è quello di spiegare la perfezione delle posizioni; non è l’esecuzione corretta che è rilevante, non è il merito che a noi interessa, ma la ripetizione e la costanza nell’esecuzione del metodo. Eseguire una posizione perfetta è apprezzabile, ma non deve costarci uno stiramento, sarebbe la cosa peggiore che possa capitarci. Non c’è un premio, questa non deve essere una gara, una competizione. Nessuno ci dirà bravo, ma rispettiamo comunque il metodo: non può che farci bene. Eseguiamo le sedute da soli, cosi uno non dovrà emulare l’altro. Sarà l’allenamento costante, che ci darà benefici attraverso gli esercizi e con l’andare del tempo saremo sempre più lietamente sorpresi dai progressi ottenuti.

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Il primo stadio dell’hatha yoga è basato sul controllo della respirazione, per giungere alla padronanza del corpo e della vitalità. E’ questo primo livello che affronteremo con gli esercizi. IL motivo che mi a fatto avvicinare allo Yoga? Devo aprire la mia anima per rispondere a quest’interrogativo, parlare della vita, delle mie esperienze e riscontri, solo cosi si potrà capire il metodo e scoprire il segreto che molte persone credono che io nasconda. Non c’è nessun segreto o mistero da scoprire, c’è soltanto una gran pazienza costanza e voglia di conoscenza. I problemi della mia esistenza sono stati molteplici, non più degli altri però, anzi mi considero fortunato, tutto ciò che di negativo mi è capitato, mi ha donato una forza, un’esperienza, e una ricchezza d’animo, che non avrei mai acquisito. Ogni qual volta che uscivo da una malattia, o da un infortunio pensavo: “Quante cose ho imparato, quanta esperienza ho guadagnato, sono maturato ulteriormente” Questa è stata la molla che è scattata in me, facendomi riflettere sulla possibilità che le mie esperienze potessero essere d’aiuto anche ad altre persone con il mio stesso problema, cosi appena ne capitava l’occasione, cercavo di consigliare amici o parenti. Riuscire a dare un aiuto a qualcuno è un’ambizione grandissima, le persone ti sorridono con gratitudine e ciò riempie di gioia. Mi vengono ora in mente quei grandi personaggi, che con la loro abnegazione costante, studio e ricerca, trovano i rimedi per risolvere i mali dell’umanità. Quale dono Divino posseggono? Sono nato nel 1940, un triste periodo della storia: seconda guerra mondiale. I nati in quel periodo non sono certo stati fortunati. I ricordi che tornano sempre alla mente, sono quelli di aver avuto una gran fame. Mia madre mi diceva spesso: “e mai possibile avere questa perenne fame?” per forza che avevo sempre appetito, non mangiavo mai. In quel periodo non c’era mai niente in casa. Alla nascita pesavo 6 Kg, dicono bello, biondo e paffuto; a quei tempi le donne mangiavano tanto pane cotto con un filo d’olio, ed era opinione che per chi era nell’attesa di un bambino una dieta simile giovasse al nascituro. Forse è stata proprio quel tipo di dieta, che ha fatto di me un gigante quando sono nato. Presi il latte per 18 mesi, fui fortunato e per un anno e mezzo mangiai, i grandi invece, mangiavano a giorni alterni, cosi tutti riuscivano a mantenere la linea. Mia madre era solita dire quando mi toglieva le fasce che mi avvolgevano il corpo: “ questa creatura non cresce, è gracile… ha due gambetti” forse avere un paio di “gambetti” dipendeva dal fatto che a quei tempi le fasce te le toglievano dopo un anno. Per un bambino non poter sgambettare libero comprometteva la tonicità dei pur piccoli muscoli. Ma anche mangiare solo latte per un lungo periodo non poteva bastarmi. Nel momento che mi tolse il latte pesavo ancora 6 Kg. Queste erano le usanze e l’umile trascorso della mia infanzia. Non credo che tolto il latte, le cose fossero poi migliorate di molto per me; in realtà c’era un’altra bocca da sfamare in una famiglia già abbastanza numerosa: diciamo che non era un buon inizio per la mia salute. Finita la guerra, le cose migliorarono un poco, ma non durò molto. Mio padre si ammalò di una malattia professionale e cominciò per lui un lungo periodo di convalescenza, durata decine d’anni. Per molti iniziò comunque un periodo florido, la vita tornò alla normalità, le necessità erano soddisfatte. Ma non per la mia famiglia, per noi il conflitto non si era ancora risolto: restavamo in guerra e continuavamo a mantenere la linea. Al mio primo anno di scuola fui felice per la nuova vita che si apriva. In realtà la serenità durò ben poco perché un giorno mio padre mi prese da parte e mi disse: “figliolo, per evitare che tu possa frequentare brutte compagnie e diventare un poco di buono, da domani in poi tu vai da tuo zio a fare il calzolaio dopo la scuola” Ad essere sincero dietro c’era anche un’altra ragione: il danaro. Portare qualche soldo in più in casa faceva comodo a tutta la famiglia. Lo zio mi mise davanti ad un banchetto, mi passò un martello e un vecchio ferro da stiro senza manico dicendomi: “devi drizzare tutti i chiodi che tolgo dalle scarpe che sto costruendo” Va da sé che stare per delle ore curvo sul banchetto, non poteva certo aiutarmi ad assumere una corretta mia postura.

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“Mi sembri una stampella” dicevano i miei amici, prendendomi in giro. In effetti devo ammettere che le mie scapole erano cosi evidenti, che sembravo un buffo e magro ometto. Drizzare chiodi in fondo non era cosi male, la mia schiena restava comunque quasi dritta nell’operazione che svolgevo, così quando mio zio si accorse che potevo farcela a tirare lo spago, mettendomi una scarpa tra le ginocchia mi disse di cucirla. Cucire una suola di una scarpa, è veramente un lavoro faticoso. Bisogna fare buchi con una subbia distanti 5 mm uno dall’altro, infilare lo spago e tirarlo fino in fondo stringendolo. Per cucire un paio di scarpe occorre circa un’ora; pensate cosa vuol dire stare tutto quel tempo curvi sopra la scarpa, forzando con le braccia per fare buchi nella suola, quella situazione non poteva certo giovare a un ragazzino gracile,. Cominciai così ad accusare qualche dolore, stare 10 ore a cucire scarpe divenne una tortura. La cosa che mi dava maggiore sofferenza era raddrizzare la schiena, per fare magari un diverso lavoro, o alzarmi dalla sedia. Avevo cosi abituato la mia schiena a stare curva per tutto il tempo che impiegavo a cucire un paio di scarpe…insomma rialzavo il busto solo per mangiare o per andare a casa. Ricordo che al ritorno camminavo con le ginocchia semiflesse senza rialzare completamente la parte superiore del corpo: sembravo un piccolo scimpanzè, diretto al tramonto verso casa con le braccia in avanti e la schiena ricurva. (come in fig. 4) Questa è la postura di tutti i calzolai .Figura 4

Avevo sette od otto anni, quando un giorno mi portarono al mare e durante quelle ore serene abbiamo scattato alcune foto, alcune delle quali ancora conservo; a riguardarle ora si osserva un bambino gracile, smunto, pelle e ossa e con lo sguardo un po’ smarrito, le costole in bell’evidenza, spalle cadenti e petto inesistente. E’ chiaro che la postura era già gravemente compromessa. Ho già memoria di piccoli dolori di mal di schiena durante quel periodo. Me ne lamentavo con mia madre, lei apriva il cassetto e prendendo la mia vecchia fascia di cotone che aveva usato nel mio primo anno e me la avvolgeva attorno alla vita. Devo riconoscere che aveva una sua efficacia: impedendomi di piegare il busto in avanti, il dolore dopo un paio di giorni passava. “Il segreto del benessere è quello di aver una giusta postura” A questo punto ritorniamo a noi per avvertire che non vorrei dare l’impressione di raccontare un dramma. I problemi di schiena che mi hanno afflitto per praticamente tutta la vita, sono comunque quelli che rientrano nelle categorie più comuni e che affliggono la maggior parte degli esseri umani: chi con più chi con meno intensità.

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In realtà, anche se in questa sede tendo a menzionare eventi meno piacevoli per restare in tema con l’argomento trattato (il benessere), amo la mia infanzia cosi come l’ho vissuta. Non ho nessun rimpianto o lamento a riguardo. Questi episodi e quelli che racconterò in seguito vogliono solo essere un piccolo monito rivolto ai genitori per favorire il benessere dei propri figli: facciamoli crescere liberi e felici, controllandoli si, ma non carichiamoli di oneri più grandi di loro. L’infanzia, è il periodo più felice dell’essere umano; si sogna ad occhi aperti, tutto è meraviglioso, pulito, sano, il mondo ci appartiene, se poi le cose vanno un po’ diversamente dai nostri desideri, accettiamole, è la nostra vita, il nostro destino. Nel ricordo dei miei primi 10 anni resta il pensiero di momenti in cui, davanti alla vetrina del negozio di mio zio, guadavo i miei coetanei giocare nella piazzetta adiacente, ed era in quel momento, che un brivido mi correva lungo la schiena e una lacrima mi rigava il viso. Anch’io desideravo giocare, correre, scherzare con i miei coetanei, ma non era possibile, lo zio non me lo permetteva. A 14 anni smisi di fare il calzolaio, e iniziai a fare il facchino. Guadagnavo qualcosa in piu. Andai a lavorare in un gran magazzino alimentare, che riforniva tutti i negozi della zona. A quei tempi lo zucchero e la farina erano contenuti in sacchi di tela e ogni sacco pesava minimo 50 Kg. Ormai ero diventato grande e avevo messo su qualche chilo, ma 50 kg erano veramente troppi da portare sulla spalla. I sacchi da 100 kg erano riservati ai grandi: meno male! Il mio lavoro consisteva nel trasportare zucchero o farina nei negozi con un motofurgone. Arrivato sul posto mi caricavo il sacco sulle spalle e lo scaricavo all’interno del negozio. Il ricordo mi fa ancora rabbrividire quando capitava a volte di dover scaricare a dei negozi che avevano dei gradini da salire o scendere. Pensavo sentendomi piegare le gambe: “Ora ci resto sotto”. Credo che la mia crescita sia stata impedita dallo zucchero e dalla farina che per due anni ho portato sulle spalle. Tra i 14 e i 16 anni, l’età della crescita, dello sviluppo fisico, seguitavo ad accusare dolori alla schiena. Mia madre continuava a consigliarmi la fascia, ma era un rimedio con poca vera efficacia. Ero continuamente alla cassa mutua a fare punture o ricostituenti o antibiotici o antinfiammatori, il mio sedere era sempre dolente, non so quante centinaia di scatole d’iniezioni ho fatto. A 16 anni fui assunto in uno stabilimento dove fabbricavano carta. Avevo frequentato una scuola professionale industriale, imparando qualcosa di quello che sarebbe stato il mio mestiere tanto amato: meccanico manutentore. Per alcuni anni fu dura, i lavori piu gravosi e pericolosi erano riservati ai giovani. Nei grandi stabilimenti, tutti i servizi (vapore, acqua, energia elettrica ed aria) sono fatti passare sotto dei cunicoli scavati sotto terra, sono dei passaggi strettissimi e umidi, dove la temperatura raggiunge valori elevati, la manutenzione e il continuo controllo funzionale era riservato a me essendo il piu giovane e teoricamente sano. Era come fare delle saune, il sudore bagnava tutti gli abiti da lavoro, quando poi si usciva all’aperto non c’erano precauzioni in grado di salvaguardare la salute, il raffreddore era il minimo che poteva capitarci. In inverno quando la temperatura esterna scendeva sotto zero, la differenza tra il cunicolo e l’esterno era di 50 gradi. Causa i repentini sbalzi di temperatura quando si veniva fuori del cunicolo, accusavo una contrattura alla zona lombare. Proseguii cosi a mettere la fascia ben stretta sui fianchi, cercando in qualche modo di tirare avanti. Il mio equilibrio cominciò a vacillare, chiedendomi come avrei potuto tirare avanti a quel modo, la mia mente cerco una soluzione al problema, non potevo proseguire a fare la conca. Sapete che cosa è una conca? La conca è quel serbatoio che le donne usavano un tempo per rifornirsi d’acqua alla fontana del quartiere. Avete presente i manici per trasportarla?

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Io ero come una conca, sempre con le mani sui fianchi a mo’ di manici per proteggermi i lombi e sostenerli. Un giorno passando davanti ad una libreria mi colpì il titolo di un libro esposto in cui si leggeva: “Yoga - contro il mal di schiena”. Fu il primo libro di Yoga che acquistai, sicuro di aver trovato qualcosa che mi poteva aiutare. ( Il libro era Yoga per tutti di Philppe de Mèric) Leggere un testo Yoga però non mi aiutò moltissimo: la conoscenza era scarsa, la cultura idem, la voglia pure. Qualche risultato in ogni caso lo avevo conquistato perché iniziai a praticare qualche esercizio di quelli descritti. Mi giovavano ma non ne apprezzavo il valore, era solo un modo di fare ginnastica, però ebbi buoni periodi di benessere. Poco dopo dimenticai lo Yoga e il testo; partii soldato e tutto sembrava risolto. Fu il miglior periodo della mia giovinezza, il mal di schiena era scomparso. La spiegazione in fondo era molto semplice: Non stando chinato per lavori scomodi, non sudare con conseguente contrattura lombare, fare tutte le mattine ginnastica, fare una vita sana insomma, mi avevano guarito. Era tornata la fame, questo si, non che in caserma mancasse cibo, ero solo diventato più esigente; Finito il militare non cercai il libro, lo dimenticai per qualche anno. Alle origini, lo Yoga era avvolto da leggende. Si parlava del signore dei pesci, del Dio Shiva, e della Dea Parvati. Possiamo chiamare tutti gli dei dell’universo, tutte le dottrine del mondo, la cristiana, la mussulmana, l’indù, l’ortodossa, l’ebraica ma il mio ingenuo pensiero era che l’inventore dello Yoga, non poteva che essere il nostro creatore, non poteva esserci che lui in questo credo. “Lo Yoga non è un modo di vivere, è il modo di vivere.” Capitolo II

Le rivelazioni

1- Le prime scoperte Tornato alla mia attività lavorativa, dopo essere stato congedato, ripresi con passione l’apprendimento del mio mestiere, l’esperienza cominciava a dare qualche frutto, fui impiegato in varie macchine utensili, ma soprattutto al tornio orizzontale. Chi conosce questa macchina, sa bene quale postura bisogna adottare per lavorarci, si è inclinati in avanti di circa 30 gradi, le mani sempre impiegate sulle leve delle varie barre di movimento. Operare su questa macchina per otto ore, in quella posizione semi flessa, crea grossi problemi ai muscoli (tiranti) dorsali, la sera ci si sente a pezzi, con la schiena rigida e dolente. Tornarono così quelle contratture che io conoscevo bene, per questo, che qualche tempo dopo, decisi di dare una ripassatina al mio testo Yoga ma non riuscivo a trovarlo, sembrava smarrito. Nel frattempo mi ero sposato e dopo qualche mese finalmente venne fuori, era finito tra i libri di mia figlia. La schiena iniziava ad essere in emergenza, avevo dimenticato l’insegnamento, così mi affrettai ad aprire il libro. Lo studiai di nuovo con rinnovata passione, ma restò solo un modo come un altro di fare attività fisica, non riuscivo ad entrare nel merito, ancora non mi era concesso capire cosa diceva tra le righe. Mi chiedevo “Perché non comprendo il messaggio assimilando l’insegnamento? come mai non trovavo la chiave per entrare in questo mondo fantastico?” Ora so la risposta: dobbiamo conquistarlo, meritarlo, esserne degni dell’ingresso nei vari stadi dello Yoga. Successivamente ho potuto acquisirlo questo merito, dicevo di essere al primo stadio, ora sto cercando il secondo.

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Tornai a fare esercizi con piu assiduità studiando a fondo le risposte che avvertivo nell’eseguire le posizioni dell’esercizio, memorizzavo tutte le sfumature, i messaggi e le sensazioni che percepivo. Dopo molte prove e riscontri, scoprii che c’erano tre esercizi d’importanza capitale per la buona riuscita del metodo. Essi sono l’anima, il cuore del metodo e bisogna impararli bene per proseguire, senza questi tre esercizi non si raggiunge nessun traguardo, nessun obiettivo. Gli altri esercizi o posizioni hanno la loro importanza, ma dobbiamo prima avere il via libera da questi primi tre. Loro concedono il lasciapassare per avere accesso a tutti i liberi movimenti del corpo. Non riuscendo a compiere questi così semplici come possiamo eseguire gli altri che hanno posizioni estreme. Descriviamo ora questi tre esercizi: 1) Prendiamo un tappetino, stendiamolo a terra, svuotiamo la vescica dell’urina e con un abbigliamento comodo, mettiamoci a terra sdraiati –senza cuscino- con le gambe semiflesse, tacchi a terra, punte rivolte in alto e le braccia distese sui fianchi. (rilassiamoci completamente) Concentriamo la nostra mente su ciò che stiamo realizzando. (come in fig. 5) Figura 5

Prendiamo aria dal naso ed espirando dalla bocca, ruotiamo le gambe a sinistra e a destra lentamente, questo movimento deve essere accompagnato dalla respirazione diaframmata che abbiamo imparato, ricordandoci la principale raccomandazione: dobbiamo allungarci in espirazione, vale a dire buttare aria quando le gambe ruotano per andare verso il pavimento. Agendo bene, ci accorgeremo che a ogni rotazione le ginocchia scenderanno sempre più verso il pavimento. La testa ruoterà dalla parte opposta rispetto le gambe. (come in fig. 6)

Figura 6

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Perché bisogna tenere tacchi a terra, punte dei piedi rivolte in alto, domanderete? Semplice. In questo modo la zona lombare aderisce perfettamente al suolo, cosa che ritengo molto importante. Probabilmente troverete questa posizione nel vostro testo (se lo avrete acquistato) con la seguente dicitura: torsione lombare con estensione. Quella da me descritta, non prevede l’estensione, non che non si possa fare, potremo farla tranquillamente appena superati i tre esercizi che io considero dei test. La torsione lombare con estensione, prevede l’estensione della gamba posta in alto sinistra se ruotiamo le gambe a destra e viceversa \ arrivati a questa posizione, (se ci riuscite) dobbiamo respirare a fondo e allungarci sempre piu in espirazione. (come in fig. 7) Figura 7

Ho voluto spiegare questa posizione, per affermare le difficoltà estreme che si possono incontrare. Noi non faremo la distensione, almeno per ora non deve interessarci. Se questa semplice rotazione delle gambe, non dà nessuna risposta negativa, abbiamo superato la prova, possiamo proseguire. 2) Il secondo esercizio, consiste nel prendere con le mani, le ginocchia, ed espirando, spingerle sul petto fino in fondo cercando -se ci riusciamo- a restare vuoti senza respirare per qualche istante. Sentiremo la zona lombare aprirsi. Figura 8

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3) Il terzo esercizio è il contrario del secondo. Nella posizione iniziale inarcare la schiena nella zona lombare espirando, e restando come nell’esercizio precedente qualche istante senza respirare. Tra il pavimento, e la nostra schiena deve passare una mano se faremo bene. (come in fig. 9) Figura 9

Tre esercizi semplici, che forse molti conoscono. Direte: dove è allora il segreto? “Il segreto consiste nel fatto che se non riusciamo a fare questi semplici esercizi, non possiamo né dobbiamo fare altro” Voglio ripetermi ancora una volta: questi esercizi sono il lasciapassare, sono essi che concedono il permesso per proseguire la nostra seduta Yoga. Ecco perché sono la chiave del metodo, dunque eseguiamoli prima d’ogni seduta Yoga, dedichiamogli dieci minuti al giorno. La principale sorpresa sarà che: tutte le volte che eseguiremo questi esercizi, ci sentiremo più liberi, sciolti, leggeri capaci di volare, nonostante i blocchi che sentivamo all’inizio della seduta. Se avrete rispettato le mie raccomandazioni tutte le tensioni saranno sparite, i dolori scomparsi. Chi ha problemi di schiena conosce bene il blocco che opprime i lombi, questa semplice rotazione fa veramente miracoli. Non forziamo mai, aspettiamo che la dolcezza del movimento, accompagnato dal rilassamento diaframmato ci conceda quel benessere che cerchiamo. All’inizio d’ogni seduta vi sembrerà di avere un blocco di marmo nella schiena, ma lentamente, ruotando le gambe a sinistra e destra, (tornando indietro non appena avvertiamo il minimo dolore) vi accorgerete di guadagnare sempre più spazio nella rotazione. Ci sentiamo duri e contratti? La nostra schiena è sicuramente bloccata. Facciamo ora un esempio per capire meglio il concetto. Parliamo di una porta che non si apre, la porta di una cantina dove la grande umidità ha ossidato i cardini, impedendo l’apertura della medesima. Se vorremo aprirla senza scardinarla, dovremo mettere un goccio d’olio sui cardini e facendo con dolcezza avanti e indietro (apri-chiudi-apri-chiudi) riusciremo a spalancarla completamente senza danno. Dovremo fare anche noi apri-chiudi-apri-chiudi con la nostra schiena ogni volta che si bloccherà, certo il problema non sarà subito risolto, ma di sicuro possediamo un’arma efficace per combattere. Il giorno dopo forse saremo di nuovi bloccati, allora noi torneremo a stenderci a terra e faremo di nuovo apri-chiudi-apri-chiudi, questa e stata la prima scoperta importante che mi ha permesso di tenere sotto controllo il mal di schiena. La sera quando rientravo dal lavoro mi mettevo a terra ad eseguire i tre esercizi e se, praticandoli, non avvertivo nessun dolore proseguivo la mia seduta Yoga, scegliendo a piacere le posizioni. Al contrario, se avvertivo sensazioni spiacevoli, mi limitavo a fare la seduta solo eseguendo i tre del metodo.

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Ecco ora tutte le posizioni utili da eseguire se non avvertiamo nessun risentimento particolare. Sono delle figure estreme che il corpo può assumere solo se è in piena forma fisica e senza dolori. (Fig -10-11-12-13-14-15-16-17-18-19-20) .

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2- Le regole da seguire per prevenire maggiori malesseri Dividiamo le persone in tre gruppi e per ogni gruppo individuiamo un metodo di lavoro specifico.

1) Le persone senza forti crisi ma con solo malesseri generici (lievi tensioni muscolari ai dorsali, lombari ecc.) Questi individui devono praticare i tre esercizi e le sedute Yoga per un’ora al giorno.

2) Le persone in pericolo di crisi cioè con maggiori malesseri concentrati particolarmente sui lombi e causati da eccessiva sedentarietà o da una vita carica di stress quotidiani, emotivi. Costoro devono praticare con cautela solo i tre esercizi e non spingersi oltre i primi sintomi di dolore .

3) Le persone con una vera ed effettiva crisi dolorosa che crea grandi difficoltà nei movimenti, rigidità muscolare e con veri e propri blocchi alla schiena e che cercano rimedi in farmaci e antidolorifici. In molti casi la patologia è talmente accentuata che anche solo tossendo si prova dolore. Questo ultimo gruppo di persone deve eseguire solo ed esclusivamente il primo esercizio accompagnato dal training autogeno e non proseguire con i successivi due.

Tornerò a parlare spesso dei tre esercizi, saranno sempre loro la fonte del mio studio, del metodo, perché daranno altre risposte che andremo ad approfondire nelle pagine che seguono. Visto che cerco di essere di aiuto a chi è adesso nella stessa mia situazione dell’epoca, riprendo il racconto degli eventi personali soffermandomi su altri inconvenienti dolorosi che mi sono accorsi nel tempo. A volte mi chiedo, avendo applicato correttamente lo stile di vita che ora conosco, avrei sofferto allo stesso modo negli ultimi venti anni. Sicuramente no. Ne sono certo solo ora però. Ricordo perfettamente quando in piena crisi, insistevo nelle posizioni, facendomi male, sperando di risolvere. Per capire il corretto modo di lavorare con gli esercizi ho impiegato altri dieci anni. Chi legge e s’identifica con la mia situazione, applicando correttamente il medoto, si troverà sicuramente avvantaggiato nella comprensione dei propri problemi e delle possibili soluzioni. Non rischierà di farsi aprire la schiena com’è successo a me. “Le idee vanno considerate non per quello che rendono, ma per quello che valgono” 3- Lo schiocco Spesso insistevo nelle sedute, anche in piena crisi da mal di schiena. Certo sbagliavo come ho già affermato, ma c’era un motivo molto valido alla mia caparbietà cercavo lo schiocco. Che cosa è lo schiocco? Il dizionario riporta: “Rumore di un colpo di frusta”. Io quel rumore secco lo cercavo nella zona bassa della schiena, tra il coccige e la quinta vertebra lombare. Era il toccasana, la panacea dei miei dolori. Questo rumore si può ottenere con il primo esercizio (torsione lombare). Quando lo scoprii la prima volta, fu una cosa sensazionale, sconvolgente. Sembrava che tutti i dolori e le rigidità fossero scomparsi. Mi sentivo guarito. Non era cosi In precedenza ho usato il verbo volare, ricordate? Questo è l’effetto che si può ottenere, se riusciamo a procurarci lo schiocco. Senza che torni a spiegare l’esercizio, che ormai dovreste conoscere bene, aggiungo soltanto che questo schianto avviene soltanto se aggiungiamo alla

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torsione lombare la distensione della gamba espirando a fondo. Sentirete, se sarete fortunati e se sarete riusciti a togliere tutte le tensioni rilassandovi completamente, quel dolce rumore dello schiocco proprio al centro dei lombi. Vi sembrerà di essere in paradiso; potete anche alzarvi e smettere di fare Yoga, per alcuni giorni starete bene. Perché sbagliavo a cercarlo sempre? Anche se ho impiegato anni a capirlo, la risposta era molto semplice. A volte appartenevo al terzo gruppo di persone, quindi non dovevo forzare la posizione. Può cercarlo, anzi deve cercarlo soltanto chi appartiene ai due primi due gruppi. Chi appartiene al terzo gruppo non deve cercarlo, al contrario peggiorerà la patologia aumentando le contratture che possono portare ad una fuoriuscita del disco invertebrato. Non ci rendiamo conto che a volte ci facciamo del male da soli incosciamente, insistendo nell’errore; questa deve essere una regola, una norma da rispettare, un paletto da piantare. Ripeto: non mi rendevo conto, non avevo esperienza, così, proseguivo nell’errore. Finalmente arrivò questa consapevolezza, erano passati altri anni nel frattempo, quando un giorno un conoscente con la mia stessa patologia, mi parlò di una terapia che lui aveva sperimentato, che aveva dato delle ottime risposte, una medicina alternativa molto diffusa in America: la chiropratica associata all’osteopatia. Fu proprio a queste terapie che mi sottoposi, e che contribuirono a darmi la comprensione dei miei errori. Molti conoscenti da me consigliati, sono riusciti a risolvere a tempo i loro guai affidandosi ad un chiropratico, cosi un giorno decisi di provare anche io questa nuova terapia. Il dottore che mi visitò era un cittadino dell’America centrale laureato in chiropratica, molto bravo e competente, mi chiese le radiografie e se avevo qualche particolare patologia, e dopo aver riempito un questionario, mi visitò. Piu che una visita, fu un controllo della postura; a loro interessa solo l’atteggiamento che assumiamo in posizione verticale. Successivamente mi fece adagiare su un lettino speciale, un lettino composto di varie parti mobili e iniziò la seduta. Osservava la lastra e spostava una parte del lettino, tornava ad esaminare e spostava un altra parte, alla conclusione di questa manovra, mi ritrovai nella posizione della torsione lombare, che io conoscevo benissimo. Abbracciandomi con dolcezza, mi disse di respirare con calma e rilassatezza. Restammo in quella posizione un po’ imbarazzante per tre respirazione profonde.Alla conclusione della terza espirazione, nel momento in cui ero completamente vuoto d’aria, con uno scatto repentino, diede un colpo secco ai miei lombi aumentando la torsione già facilitata dal lettino. Sentii un forte schiocco e non so descrivere il gran benessere che provai in quell’istante. Ecco i pensieri che attraversarono la mia mente in quel momento: “sono venti anni che soffro le pene dell’inferno, e la soluzione era cosi semplice! Perché non ho trovato prima questa strada? Quasi quasi tiro fuori la bicicletta; ecco, devo proprio cercare le scarpette per correre, e poi sabato vado a ballare.” Tornò in me una voglia di fare sorprendente, fu un’esperienza fantastica, erano anni che non sentivo un benessere cosi completo. Purtroppo l’entusiasmo duro poco, dopo solo quattro o cinque giorni ero di nuovo in uno stado di prostrazione. Le contratture e il nervosismo avevano di nuovo preso il sopravvento, mi sentivo al punto di partenza. Dopo una settimana tornai per il secondo appuntamento, sperando in un nuovo miracolo, ma non tutte le sedute furono efficaci come la prima, ad ogni modo finito il ciclo, ebbi molti mesi di discreto benessere. Tornai negli anni successivi a fare altri due cicli di manipolazioni, senza però risolvere il mio mal di schiena, anche se devo riconoscere che devo a lui (il chiropratico) il benessere che successivamente ho acquistato. Mi aveva insegnato qualcosa d’importante. Riassumendo, mi sottoposi a tre cicli periodicamente in vari anni. Ormai ero rassegnato che per convivere con il mio malessere dovevo sottopormi sistematicamente a quel tipo di terapia.

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Per recarmi dal terapeuta dovevo affrontare un viaggio mediamente lungo, all’ultima seduta che mi sottoposi, tornando a casa in treno, mi balenò un’idea. Riflettendo pensai: “Queste manipolazioni che ormai ho imparato bene tanto che potrei farle anch’io, non potrei insegnarle a una persona a me vicino, tanto da farmi trattare da lui una volta che ha imparato?” In quel modo avrei risparmiato i soldi e il viaggio. Sapevo benissimo che dopo un anno al massimo avrei affrontato di nuovo il mio disagio; la spesa poi, era divenuta molto pesante per le mie scarse risorse economiche, così rimuginando tra me, arrivai alla conclusione che l’idea era buona, ma a chi chiedere una cosa cosi impegnativa? “Difficile da realizzare” conclusi. “E se studio il modo di farmele da solo queste manipolazioni?” Con i miei tre esercizi a volte riuscivo ad ottenere lo schiocco, perciò dovevo approfondire e studiare tutti i dettagli per raggiungere da solo dei risultati. In quel periodo della mia vita riuscii a stabilire una sola regola certa; quando mi recavo dal chiropratico, per la prima seduta del ciclo, lui mi chiedeva sempre: “Quando hai avuto l’ultima attacco doloroso? Ti ha accompagnato qui qualcuno? Sei in crisi attualmente?” Mi chiedevo sempre quale era il motivo per farmi sempre le stesse domante! Ci fu anche un altro episodio importante che mi fece riflettere. In una delle sedute, lui si accorse che avevo difficoltà a sdraiarmi sul lettino, cosi mi disse: “Oggi non facciamo nessun trattamento, alzati, rivestiti e vai a casa -si reco alla scrivania, e compilò una ricetta che mi consegnò dicendomi- prendi questi antinfiammatori per una settima, quando starai meglio telefonami e fissiamo un altro appuntamento.” Ecco la prima importante risposta! Lui non toccava, non manipolava mai il paziente quando c’era un’infiammazione in corso, ecco dove era l’errore che commettevo testardamente, non dovevo fare la torsione lombare quando avevo le crisi. Come riconoscere che c’è un’infiammazione in corso? Semplice! Non riusciamo neanche stare seduti, magari siamo piegati da un lato, siamo incapaci di allacciarci le scarpe e un colpo di tosse o uno starnuto ci paralizzano: questi sono i segnali che l’organismo ci manda e ai quali noi dobbiamo ubbidire e sottostare. Se apparteniamo al terzo gruppo di persone (con forti crisi dolorose) dobbiamo accontentarci di fare solo esercizi di respirazione profonda e provare, molto lentamente, se riusciamo a fare la torsione delle gambe magari da un solo lato. A volte capita che da un lato possiamo eseguire la torsione mentre è possibile che dall’altro sia impossibile perché estremamente doloroso. Ciò è dovuto all’irritazione del nervo sciatico con conseguente contrattura del muscolo psoas. Forzare l’esercizio è come se ci dessimo uno schiaffo su una ferita. Immaginate quali conseguenze può causarci tale manovra forzata. Ecco la seconda regola: facciamo solo quello che il copro permette. Nei giorni successivi torneremo a provare con tutte le cautele e appena possibile realizzeremo di nuovo gli esercizi completi Secondo diversi testi medici lo schiocco è un rumore provocato dalla fuoriuscita, dal disco vertebrale, di una bolla d’aria creatasi proprio dall’infiammazione. ( Il dolore lombo sacrale di Rene Cailliet EDI – LOMBARDO) Riuscendo a togliere l’aria riusciamo anche a sbloccare la vertebra interessata. Ecco lo scopo della manovra del chiropratico, il rumore perciò è la fuoriuscita dell’aria con lo sblocco della vertebra e il rilassamento di tutti i muscoli lombari (il paradiso) Facciamo ora un piccolo gioco capace di aiutarci a capire quando abbiamo preso una contrattura. Contrattura = Infiammazione Infiammazione = Dolore Dolore =Contrattura Contrattura = Dolore Dolore = Infiammazione Infiammazione = Contrattura

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Come si vede si crea un circuito che si ripete: un circuito, è noto, gira su se stesso, torna sempre al punto di partenza e non c’è possibilità di uscirne. Dobbiamo quindi spezzare questo vortice maledetto che si è creato o rischiamo di restarne prigionieri per sempre. Qual è la soluzione? Abbiamo visto che ci sono tre parole che c’interessano, dolore, contrattura e infiammazione. Questo metodo vuole proprio insegnare a togliere di mezzo una di queste parole –la contrattura– le altre due parole andranno via da sole. Con i nostri esercizi, basati sulla disciplina Yoga, si può riuscire. Così sono riuscito a tenere sotto controllo il mal di schiena per altri anni, convinto d’avere buone armi per difendermi, ma purtroppo sbagliavo ancora. C’erano molte altre cose da imparare; le vere esperienze dovevano ancora arrivare e con un prezzo da pagare elevato (fatto di grandi sofferenze fisiche). Difficilmente saltavo le mie sedute, in questo modo evitavo di tornare dal chiropratico. Applicavo queste mie teorie fiducioso per il futuro, sperando di non aver mai piu crisi gravi. Mai dire mai. “Coloro che conoscono i rimedi, credono di non averne mai bisogno” Capitolo III Lo scopo dell’esistenza 1- Il lavoro Da giovane la mia prima passione era la corsa, la seconda il lavoro. Successivamente dimenticai la corsa ed il lavoro restò l’unica mia passione. Amavo il mio lavoro, era diventato (dopo la famiglia) l’unico scopo della mia vita. Era esso che mi gratificava, che mi restituiva, qualche volta il “bravo!” dai miei superiori. Finito l’istituto professionale avevo imparato qualcosa della meccanica e a 16 anni fui assunto in uno stabilimento dove si fabbricava carta, come impiegato nell’officina di riparazione e manutenzione. Sembra strano ma fu amore a prima vista. Ogni cosa nuova che imparavo mi riempiva d’orgoglio. Riversai tutta la mia intelligenza e attenzione in quello che mi avrebbe realizzato come uomo. Il mestiere si può apprendere in parte bene, e se mettiamo passione in quello che facciamo diventiamo bravi, molto bravi. Ero abile nel mio lavoro, non per una grande intelligenza, ma per una grande applicazione, e con molta umiltà, accettavo tutti i consigli e le spiegazioni da chi ne sapeva più di me. Gli operai più anziani, avevano sempre un aiutante giovane con loro e io ero diventato un aiutante molto richiesto; l’ubbidienza, il rispetto, ma soprattutto l’interesse che mostravo quando loro, maestri del mestiere, mi rivelavano le loro conoscenze. Queste furono pregi che mi consentirono di divenire un buon meccanico di manutenzione. Negli stabilimenti di varie produzioni questa figura è molto apprezzata e stimata, in un certo senso è il tuttofare che interviene sia per cambiare un rubinetto di un lavabo sia per riparare un guasto su una macchina complessa. Costruisce impianti nuovi sia in carpenteria pesante sia in tubista. Un lavoro molto vario, libero, dove nessuno ti assilla con i tempi di risoluzione dei problemi e nel quale c’é sempre da imparare. “Che cosa centra il lavoro con il metodo?” penserete. Alzarmi la mattina per recarmi al lavoro non è stato mai un problema, ero sempre in anticipo, contento, appagato, pronto a risolvere tutti i quesiti che si presentavano. Essere attesi nello stabilimento perché magari durante la notte c’era stato un guasto (e aspettano te per ripararlo) ti fa sentire importante. “Bravo!” mi dicevano i miei superiori, ed era proprio in quei momenti che mi sentivo realmente felice mentre un timido brivido mi correva lungo il dorso. E

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anche se soffrivo di mal di schiena che mi assillava, i complimenti cosi gratificanti mi aiutavano ad andare avanti. Ecco cosa centra il lavoro con questo metodo. Dal metodo traevo la vera forza della mia anima capace di aiutare anche il corpo. La mente, con la costante applicazione dello Yoga aveva sviluppato una dote importante: riuscivo ad estraniarmi con il corpo ed erano proprio i problemi del mio lavoro, che usavo come palestra per tener libera la mente. Poteva capitarmi a volte di non essere riuscito a risolvere alcuni interrogativi del giorno precedente. Nella mia seduta giornaliera di meditazione tutto trovava soluzione, tutto era chiarito, il mio cervello vagava libero alla ricerca della spiegazione e il corpo si rilassava. Seduto nella posizione del loto, lasciavo che la mente girovagasse sciolta ed erano le difficoltà non risolte che si affacciavano alla mia testa. Ripercorrevo la giornata, quello che avevo fatto, quello che non avevo verificato, improvvisamente mi diventava chiara la soluzione del problema. Una gran pace scendeva sul mio essere, tutti i muscoli si rilassavano, un brivido correva dalla testa al sacro ed i miei occhi osservavano senza vedere. Ho letto in uno dei testi yoga, che i veri Yoghi, gli eletti, riescano a sollevarsi da terra quando sono in elaborazione mentale, io non mi sono mai staccato da terra, ma sentito molto leggero, questo si! Senza il mio lavoro, non sarei riuscito ad andare avanti in questi nove anni cosi tremendi, per combattere le avversità della vita, dobbiamo sentirci utili, avere una meta, uno scopo da raggiungere. Nei momenti più critici dell’esistenza, la nostra mente e debole, vacilla, i pensieri sono tutti in negativo, la depressione si affaccia minacciosa. Se ci chiediamo: “Perché vivo? Perché esisto? Dove vado?” facciamo lavorare la mente con pensieri negativi e la negatività ci uccide. Mai sentirsi inutili, senza valore, senza uno scopo, senza un traguardo. Questa nostra vita dobbiamo accettarla cosi come ci è offerta, se ci lasciamo andare, è finita, niente può salvarci. Può essere un lavoro, un mestiere, una professione o anche uno sport, qualsiasi cosa può avere uno scopo di vita. Non credo che sarei riuscito a superare tutte queste difficoltà, se non avessi avuto il mio lavoro. Cerchiamolo sempre uno scopo di vita. Ciascuno di noi attraversa nella sua esistenza terrena momenti difficili, tutti hanno la loro croce da portare. Aiutiamoci con la positività della meditazione, pensare corretto fa superare qualsiasi ostacolo. “La giustezza è dentro di noi, dobbiamo solo imparare ad interpretarla” 2- L’infortunio Ero arrivato al 35esimo anno d’età. La situazione della mia schiena era sotto controllo, grazie ai miei esercizi preziosi, anche se a volte prendevo qualche spavento a causa del mio lavoro che per quanto mi piacesse era decisamente faticoso e pesante da sostenere fisicamente. Un lavoro durante il quale ero sempre chinato in posizioni scomode e di fortuna, sdraiato magari sotto una macchina di produzione per delle ore. Devo riconoscere, che in quegli anni non ho mai preso un giorno di malattia a causa della schiena, la prevenzione adottata funzionava perfettamente, il sistema era ottimo, il metodo eccellente. Un giorno fui incaricato per un intervento su una pressa idraulica adibita per lo stampaggio di maschere antigas, dovevo cambiare la guarnizione di tenuta del cilindro del diametro di circa un metro, per compire il lavoro di sostituzione della guarnizione occorreva togliere un anello posto alla base del cilindro, che normalmente era incastrato a causa dell’ossidazione che si formava attorno a esso. Io e il mio aiutante avevamo incastrato due leve tra la base e l’anello e spingendo con le braccia su di esse cercavamo di sbloccare il maledetto dalla sua sede.

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Operazione compiuta decina di volte, senza mai farsi male. Ma quel giorno le cose non andarono nel verso giusto. Non voleva mollare fino a che, con un boato e un grande spruzzo d’acqua, usci violentemente dalla sua sede. Per me fu la paralisi. La valvola che immette acqua a pressione di 150 atmosfere, malgrado fosse stata da noi chiusa, non reggeva la pressione per via di una perdita, cosi nel momento in cui l’anello si stava sbloccando, si liberò anche il peso delle 150 atmosfere che erano sotto l’anello. Il colpo fu così violento che mi fece saltare il paletto dalle mani e tutta la forza che avevo impresso sulla leva, si scaricò sulla mia schiena per una schiena in continua sofferenza come la mia. Fu uno shock violento e inaspettato. Sentivo come se qualcuno mi avesse conficcato un pugnale poco sopra il coccige. Le gambe non reggevano, così caddi a terra dolorante e immobile. Il solo ricordo mi fa ancora accapponare la pelle e un brivido negativo mi corse lungo la schiena in fiamme (uso l’espressione brivido negativo per un motivo preciso; successivamente tornerò a parlare di brividi negativi e positivi). Il mio aiutante se la cavò bene, si fece solo una “doccia” non voluta ed ebbe per qualche giorno un dolore alle mani, ma quando mi vide a terra inerme e sofferente ebbe paura, corse subito a cercare aiuto e in seguito mi sollevarono di peso e mi sdraiarono su un carrello adibito per il trasporto merci, diretti in infermeria. Il medico della fabbrica, con una leggerezza professionale da denuncia, mi diagnosticò una lombalgia da sforzo e mi mando a casa con tre giorni di prognosi. Rimasi a letto semiparalizzato per quaranta giorni. Senza dover raccontare le sofferenze durante quelle lunghe giornate, mi soffermo solo a descrivere il disagio provato per non essere stato più capace di andare al bagno da solo. Dovevo essere aiutato anche da due persone per volta e per tutta la convalescenza non sono mai stato in grado di raddrizzare la schiena e mettere i piedi a terra. Ero imbottito da antidolorifici e antinfiammatori che, tra l’altro, mi sono stati la causa di una gastrite acuta. Ero debole, fragile, disperato, indifeso. Finalmente dopo quaranta giorni ho iniziato a stare in piedi da solo e muovere qualche passo; guardandomi allo specchio vedevo un vecchio decrepito con il busto piegato in avanti, inclinato a destra; tra il fianco sinistro ed il destro c’erano 10 cm di differenza. Ero convinto che la postura fosse definitivamente compromessa. Infatti era l’inizio di un periodo buio, un tunnel senza via d’uscita. Un tunnel lungo nove anni. A quel tempo (anni ’70) non esistevano ancora risorse diagnostiche capaci di dare una risposta precisa alla mia patologia; la T.A.C. e la R.M. dovevano ancora arrivare. C’era la radiografia, che ad ogni specialista da me consultato rivelava una discopatia alla quinta vertebra lombare. Anche se nessuno di questi specialisti è mai stato in grado di darmi delle risposte soddisfacenti e una diagnosi ben precisa circa la situazione della mia povera schiena. Insomma, che cosa dovevo fare? In poco tempo diventai praticamente amico dei numerosi terapisti della zona che mi avevano in cura e il cui hobby principale sembrava essere quello di rimandarmi da uno all’altro per altre ed eventuali cure. Devo comunque riconoscere che ho anche imparato moltissimo da loro (o dai loro errori). Eravamo arrivati al punto che più volte, scherzando, mi proponevo a loro come consulente, visto che effettivamente durante tutti i mesi di riabilitazione avevo realmente imparato un nuovo mestiere. Dopo tre mesi tornai al lavoro, accorgendomi subito che qualcosa era cambiato: tutta la mia baldanza e sicurezza non esistevano più. La tristezza divenne cronica, la paura di muovermi condizionava la mia iniziativa lavorativa, avevo timore anche solo di battere su un chiodo con un martello. Tutto ciò che avevo imparato sul corpo umano mi sembrava inutile, inservibile, non mi aiutava. Ero alla disperazione. Decisi di reagire pensando alla famiglia e ai miei figli e di ritornare a lavorare con cautela ai tre esercizi, che sono stati, e restano tutt’ora, gli unici strumenti mi hanno realmente aiutato negli anni. A ogni nuova visita medica il mio più forte desiderio era di avere una risposta precisa sulla diagnosi, a quel punto mi andava bene anche tragica, purché sapessi una volta per tutte ciò che mi stava accadendo. Da un punto di vista medico sembrava non esserci cura o rimedio efficace per me.

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La mia sola speranza era una eventuale operazione, un miraggio atteso nove anni. In tutte quelle visite nessuno diagnosticò un’ernia espulsa (così come si scopri essere successivamente grazie alla risonanza magnetica) la cui sola soluzione era unicamente chirurgica. Oggi un’ernia del disco è un’operazione quasi ambulatoriale ma allora sembrava una cosa complicata. La mattina quando mi alzavo - se mi alzavo – dovevo fare mille attenzioni. Il problema immediato, era quello di mettere le scarpe senza dolori o rischi (sarei andato scalzo se fosse stato possibile), ma purtroppo sembrava una vera impresa. Il problema della mia incapacità di muovermi mi è costato varie crisi dolorose proprio nel tentativo di fare le cose più comuni, come andare al bagno o allacciarsi le scarpe. In ogni caso pian piano riuscii ad arrivare a un compromesso ed ecco un buon modo per compiere questa operazione: innanzitutto si devono piegare le gambe senza piegare la schiena poggiando un ginocchio a terra e allacciando la prima scarpa, per poi ripetere l’operazione poggiando l’altro ginocchio. Questa operazione permetteva di avvicinare le mani ai piedi senza costringermi a piegare la schiena. Il lettore in salute, che non ha problemi, probabilmente sorriderà nel leggere queste righe ma a chi ha mal di schiena potrebbero essere utili. Dunque, abbiamo messo le scarpe, ora dobbiamo recarci al bagno per le pulizie mattutine. Per tutti coloro in buona salute, i lavandini del bagno sono ad un’altezza giusta, per quelli come me con la schiena completamente bloccata sono decisamente bassi. Anche qui ho scoperto un buon modo per lavarsi: basta piegare le ginocchia, poggiando i gomiti sul lavabo e prendendo acqua con le mani senza mai staccare gli avambracci dal bordo. Dobbiamo essere veloci però, le ginocchia si stancano presto. A quel tempo fumavo ancora, e tutte le persone che fumano, conosceranno il problema di lavarsi i denti la mattina. La notte, nella posizione distesa, e con il tepore del letto, i nostri bronchi sciolgono l’espettorato, cosi quando la mattina seguente mettiamo in bocca lo spazzolino con un po’ di dentifricio, è molto probabile che quel sapore di menta o fluoro che lo compone può causare fatalmente qualche rigurgito. Il dolorosissimo colpo di tosse era inevitabile. A volte evitavo di lavarli, altre volte, per prevenire mettevo le mani sulla schiena per proteggermi, ma non sempre mi andava bene, se il colpo di tosse era particolarmente forte la pugnalata che io ricordavo bene si ripeteva fatalmente sulla quinta vertebra lombare; appena avvertivo la stoccata, sospendevo tutte le operazioni e tornavo a letto dicendo a mia moglie: “telefona all’azienda e al dottore”, “Ci risiamo?” rispondeva lei. Dovevo trovare una soluzione anche a questo problema, ci pensai per molti giorni, senza riuscire a trovare vie d’uscita. Anche se ammetto che in fondo la soluzione la conoscevo ma non volevo usarla, cosi la sindrome del lavandino mi perseguitava e non passava stagione senza che non ne fossi colpito. Alla fine dovetti per forza decidermi alla risoluzione. Smisi di fumare. In buona parte il dilemma fu risolto, anche se a volte poteva capitare di sentire la stilettata a causa di uno starnuto. Dovevo evitare di raffreddarmi. I miei amici mi fecero i complimenti per la gran forza di volontà nell’essere riuscito a togliermi il vizio del fumo. Ero ammirato e rispettato per questo; fui orgoglioso di me stesso. Pensate quante persone vorrebbero smettere di fumare e non ci riescono, sappiamo tutti quanto sia nocivo il fumo delle sigarette, ma non troviamo la forza di evitare questo avvelenamento quotidiano cui si sottoponiamo il nostro organismo. Tumori, patologie gravi, come il diabete, enfisemi polmonari, infarti del miocardio, sembrano non mettere paura a molti per via della loro “invisibilità” nella vita quotidiana. Solo una vera sofferenza fisica ci spinge ad adottare misure estreme per evitare di soffrire ancora. Ecco da dove veniva la mia forza di volontà per smettere di fumare: era il frutto di una gran sofferenza fisica. Torno una volta ancora a ricordare che per non soffrire siamo disposti a tutto, anche a morire, se questo è il prezzo da pagare per non patire. In quegli anni i divani erano diventati i miei peggiori nemici in quanto scomodi per me e per quelli nella stessa situazione. Ottime invece le sedie in paglia, dove i piedi arrivano comodamente a terra e

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ti consentono di tenere una schiena dritta e rilassata anche se al momento in cui dobbiamo rialzarci da queste seggiole, e nel caso in cui fossimo con qualcuno a chiacchierare, c’è il rischio di sembrare deficienti, talmente siamo concentrati con tutte le nostre forze sul compiere un atto (quello di rialzarsi) cosi apparentemente banale ma in realtà decisamente faticoso e quasi impossibile! Cosi, per evitare ogni volta la figura dell’idiota immobilizzato imparai presto ad alzarmi dalla seggiola con una discreta disinvoltura. Vediamo come: tenendo la schiena ben dritta facciamo scivolare il sedere fino al bordo della sedia, e spingendo con le gambe ci alziamo sani e salvi. Dopo poche volte saremo in grado anche di sorridere mentre salutiamo con la manina il conoscente che si sta congedando. Nonostante la mia voglia di tornare al lavoro il tragitto mattutino per arrivarci era di circa 60 Km. Riuscendo in tutte le prove mattutine, nel bagno e nel allacciarmi le scarpe, mi recavo in fabbrica grazie all’auto di qualche amico, anche se ci sarei andato volentieri a piedi visto che stare un’ora in macchina era una vera tortura: se ero io a guidare mi salvavo seguendo la strada ed evitando pericolose buche e i conseguenti contraccolpi; il volante mi era d’appoggio, permettendomi un discreto rilassamento. Al contrario, essere un semplice passeggero era un tormento. Non potevo proteggere la schiena, ogni curva, sobbalzo o frenata mi provocava una fitta tremenda. Non sapevo cosa fare per difendermi, cosi le mie braccia erano perennemente contratte, appese ai braccioli e con un’espressione del viso sicuramente impaurita. I miei amici avevano sempre delle piccole e forse non proprio amichevoli rimostranze da farmi, affermando che rovinavo la loro preziosa auto, tanto era la forza che mettevo nel tirare i sostegni d’appoggio per sostenermi. Adesso sorrido divertito. Allora un po’ meno. Una volta arrivati a destinazione il mio problema primario era quello di scendere. Uscire dall’auto non era un’operazione facile, anche perché se tiriamo fuori una gamba per volta e sentiamo di non farcela possiamo tranquillamente risalire e dire all’amico autista “riportami a casa, cosi mi metto a letto”. Altrimenti, ecco qualche consiglio per uscire senza troppi dolori: dopo aperto lo sportello mettiamo fuori tutte e due le gambe ruotando il busto e facendo perno sul sedere; poggiamo i piedi a terra e forziamo sui quadricipiti mettendoci in piedi con la schiena dritta. Siamo fuori, ma non tutto è risolto. Per quanto mi riguarda già solo restare per una intera ora immobile, seduto e contratto sull’auto, mi creava una semiparalisi, quindi, una volta sceso ero solito guardarmi attorno fingendo una certa disinvoltura e, controllando che nessuno mi osservasse, provavo a muovere le gambe. L’andatura si rivelava esitante e dolorosa, piegato da un lato nella caratteristica posizione di difesa; sembra strano ma la cosa che più mi preoccupava era proprio accorgermi che qualcuno mi stava guardando, in quel caso il mio atteggiamento diveniva imbarazzato e cercavo di darmi un contegno, magari facendo finta di niente e fingendo di cercare qualcosa nelle tasche aspettando che il curioso smettesse di guardarmi. In realtà, non cerano curiosi che mi osservavano, erano persone che come me, andavano per i fatti loro, forse con problemi simili ai miei. Era la mia personalità che era malata. Vi assicuro che nove anni trascorsi con questo stato d’animo sono terribili. Qualsiasi movimento, qualunque azione, ogni lavoro, doveva da me essere studiato, controllato, esaminato per evitare rischi di ricadute. In quel periodo non ho mai saltato le sedute dei miei preziosi tre esercizi, solo essi mi erano permessi, e anche se con molta cautela scoprii cosi il vero concetto di rilassamento. Più che scoprirlo, lo sentii quando mi fu chiaro che il mio organismo rifiutava tutte le posizioni o esercizi di Asanas, così mi mettevo nella posizione del gran riposo e ascoltavo il mio cuore, il respiro, i suoni ovattati che provenivano dall’ambiente, e con lo sguardo fisso su un punto della parete aspettavo che i pensieri vagassero sciolti. Avendo l'anima libera, sgombra, diventa più facile calarsi in questa dimensione. Mentre se si è contrariati, amareggiati, indisponenti, non può funzionare. Il sorriso di un bimbo, un fiore, un tramonto, il mare, la pioggia, il sole, le stelle, o gli occhi imploranti di un povero, sono la chiave per entrare in questo mondo fantastico.

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E il risultato? Un brivido benefico che corre lungo la schiena, partendo dalla testa fino a giungere all’osso sacro. Questo è il premio che mi è stato donato in quei lunghi anni in ricompensa alla mia sofferenza e soprattutto alla perseveranza nel rispettare il metodo. Una gran pace scendeva su di me, tutti i muscoli si rilassavano, gli occhi si riempivano di lacrime, e per alcuni istanti uno stordimento mi pervadeva. Nell'alzarmi, non assicuro che i dolori erano spariti, ma avevo riacquistato serenità e forza di andare avanti. Passarono altri anni ancora, le cose non miglioravano minimamente, la dignità era la sola che mi dava la forza di vivere e gli esercizi Yoga mi fornivano la serenità di esistere. Sentivo il mio organismo al capolinea. Un giorno ebbi una nuova ricaduta per aver dato semplicemente un calcio ad un pallone: altre settimane di sofferenze di terapie e punture, di visite. Per l’ennesima volta, dopo solo un mese provai a tornare al lavoro. Quella mattina riuscii a mettere le scarpe e fare toletta senza particolari problemi, cosi uscii da casa per andare al lavoro. Per uscire dal palazzo dove abitavo, dovevo salire due gradini, il primo andò bene il secondo lo urtai con la punta del piede. Fu di nuova paralisi. La stilettata era la stessa, solo un po’ più alta, mi misi a terra poggiando la schiena al muro rimanendo in quella posizione, paralizzato, per un bel po’. Lo spavento fu enorme, mai ero arrivato a quelle condizioni di sofferenza fisica, il tormento mi attanagliava il cuore. Era mattina presto, cosi rimasi una buona mezza ora in quello stato, nessuno passava ed io, non volendo spaventare mia moglie, evitai di gridare in cerca di aiuto. Finalmente due inquilini uscendo da casa si accorsero di me, mi trasportarono di peso in casa e mi adagiarono sul letto. Ero al massimo della sopportazione, non potevo piu andare avanti, ora ricordo quel giorno come quello della mia rinascita. Nella mia mente era finito un incubo. Perché avevo preso una decisione. Mi portarono all’ospedale e finalmente mi operarono. Avevo 44 anni. “La sofferenza è il pane, il dolore è il companatico dell’anima” 3- L’operazione Fui operato con urgenza, era quello che volevo in fondo. Aprirono tre spazi vertebrali, tagliando il legamento longitudinale posteriore. A quei tempi, questa era la tecnica invalidante che usavano, tolsero tre ernie del disco nella 3- 4- 5 - vertebra lombare. Per me la riabilitazione fu lunghissima. Per tornare al lavoro ci vollero otto mesi. Devo riconoscere che però, malgrado tutte le negatività, finì un periodo tremendo della mia vita. In questo lungo spazio di tempo riabilitativo, ebbi molto periodo per riflettere e mi chiedevo spesso come era potuto accadere che con tutto il tempo che dedicavo allo yoga le ernie fossero addirittura diventate tre. In effetti l’unica risposta che sembrava essere valida era che nel fare tutti i giorni i tre esercizi, accompagnati dal rilassamento muscolare, l’organismo si era abituato a rimanere rilassato specialmente nella zona lombo sacrale, con la conseguenza però che si era spostata un po’ più in alto la cerniera per la flessione del tronco in avanti. Per piegare il busto in avanti, adoperiamo soprattutto la quinta vertebra lombare. Nel caso di problemi (cioè la quinta in difficoltà a causa dell’ernia) usiamo la quarta vertebra; se poi si sacralizza anche quest’ultima il movimento della colonna si concentra sulla terza. Rimarginata la ferita, mi consigliarono un busto che dovevo portare anche la notte. Chi ha portato il busto d’acciaio può capirmi: una tortura che non ti fa respirare, i dolori diventano intollerabili, l’unico sollievo è che ti permette di camminare. Dopo qualche giorno l’uso del busto divenne insopportabile specialmente la notte, cosi decisi di metterlo sempre meno e la seconda settimana già non l’indossavo più. Lo usavo solo quando mi recavo in visita dal mio dottore, e così almeno lui era soddisfatto. Alla lunga, si è rivelata una giusta decisione quella di non usarlo più. Ai giorni d’oggi è prescritto solo in casi gravi di scoliosi, gli addetti ai lavori hanno stabilito che metterlo, indebolisca ulteriormente tutta la muscolatura lombare con conseguenze ancora peggiori.

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Il busto dobbiamo crearcelo da soli e in un modo semplice: tonificando e rafforzando tutta la muscolatura addominale e dorsale. Un busto naturale quindi, che serri con forza tutte le vertebre e impedisca anche con uno sforzo eccessivo una eventuale sublussazione della colonna. Questa è, e deve essere, un’altra gran regola da seguire per prevenire il mal di schiena. Essere tonici riduce molti rischi. Eseguii tutte le terapie del caso fanghi, correnti antalgiche, cure del caldo, che io ritengo dei palliativi, ma soprattutto ripresi alla grande i tre esercizi cosi preziosi. Sentii subito il benessere dello Yoga, così dopo pochi giorni decisi di correre qualche rischio rinunciando di essere accompagno al bagno. Dopo due mesi andai a comprarmi il giornale sotto casa. Pian piano vedevo la fine del tunnel, e in fondo all’uscita vedevo una gran luce. Quattro mesi dopo l’operazione aggiunsi ai tre esercizi base le prime figure facili dello Yoga, sentendomi fiducioso di farcela al meglio. Dopo sei mesi le forze erano tornate, tanto da permettermi delle lunghe passeggiate, cosa che non mi accadeva più da molti anni. La voglia di vivere era tornata impetuosa. In molti casi vedersela brutta per molto tempo e poi uscirne, ci rende invincibili, capaci di superare qualsiasi avversità. Vivere una vita comoda è facile, per viverne una difficile ci vuole molto coraggio. Ero uscito dalla buia galleria e quello che mi appariva ora era un altro pianeta, tutto da conoscere, visitare, vivere intensamente. L’energia che sentivo nascere in me era incontenibile, dovevo progettare e costruire di nuovo la mia vita. Per apprezzare il paradiso, bisogna conoscere l’inferno In quei momenti di meditazione, i pensieri fluttuavano alla ricerca delle risposte che il mio corpo chiedeva: “cosa mi è mancato? Cosa ho perso? Che cosa voglio? Cosa non ho potuto più fare finora” La risposta per me era ovvia: mi è mancato lo sport in generale, ma in particolar modo la corsa, la marcia, muovere le gambe insomma; questa era ciò che avrei voluto fare. In gioventù, ai tempi della scuola, ero bravo nella corsa. Avevo anche partecipato ad alcune gare studentesche, vincendone alcune nei cento metri piani. In molti sostenevano che se seguito sarei potuto andare molto lontano nella corsa. In realtà non andai mai da nessuna parte, al massimo a comprare il giornale. Il fatto di vincere alcune gare portò l’ammirazione di qualche fanciulla, e quello era decisamente uno stimolo adeguato per qualunque giovane maschio. A me dava la carica, diventando sempre più veloce con la pratica. Come ho già accennato a proposito del lavoro, per me il solo sentirsi dire bravo era sufficiente per far nascere in me la passione. Ma con la fine della scuola, tutto terminò: il bravo, l’ammirazione, la passione; dovevo lavorare, perciò non c’era tempo per la corsa. Ecco che chiedeva il mio corpo: correre. In venti anni non avevo neanche percorso la strada che una persona in salute percorre in un anno. Per me era ora di muoversi. Otto mesi dopo tornai in fabbrica, ripresi la mia attività con la determinazione e una voglia di fare rinnovata. Una nuova esistenza era iniziata, ripresi a svolgere il mestiere tanto amato, con una ritrovata passione in testa: la corsa. Finalmente tutto era passato, dimenticato. Le sofferenze patite erano un lontano ricordo, non mi appartenevano più. O almeno così credevo. A 45 anni ero un altro uomo, forte, vigoroso, deciso; la sicurezza che avevo mi meravigliava, ero riuscito in tutti quegli anni a essere comunque un uomo normale su un organismo che era malandato con il solo aiuto della forza dell’anima. La mia anima era divenuta vigorosa su un corpo debole.

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Dopo l’operazione e con il mio corpo guarito avevo sviluppato un’anima vigorosa su un corpo sano, anche se con qualche deficit, e il risultato è stato stupefacente. Quello che sono riuscito a ottenere dal mio corpo negli anni successivi ha sorpreso non solo me, ma tutti i miei conoscenti. “Se non si è in grado di aiutarsi, come si può pensare di sostenere gli altri?” 4- La corsa Tutte le riviste specializzate che trattavano questo sport, furono consultate e letteralmente studiate, per poter di nuovo cimentarmi con me stesso. Cimentarsi con se stessi? Si. Questo deve essere il solo obiettivo per il raggiungimento del benessere, l’agonismo non può e non dovrebbe rientrare nel nostro approccio col fitness, lasciamolo ai campioni. Noi divertiamoci restando in salute. Dunque migliorarsi va bene, ma solo superando i propri primati. Non voglio pertanto consigliare tabelle, recuperi, test d’allenamento mirati, non è questo l’obiettivo. Questo libro non è per guidare atleti, ma per far correre chi non aveva mai pensato di farlo. In pratica far correre chi si sente sfiduciato dai propri malanni, dall’obesità, dalla pigrizia e sedentarietà. Per quanto mi riguarda dopo lunghe passeggiate, a distanza di un anno dall’operazione, iniziai ad accennare la corsa, certo i primi giorni furono solo alcune centinaia di metri, ma per me erano la felicità. Quello che segue può essere un piccolo programma per chi vuole iniziare a correre. Per il primo mese avevo deciso di correre a tempo: uscivo per un’ora il giorno, tre volte la settimana; non era una vera corsa, diciamo piuttosto una marcia con un po’ di corsa, dieci minuti d’andatura sostenuta e cinque d’andatura rapida. Il secondo mese feci il contrario, dieci minuti di velocità e cinque di lento. Il terzo mese venti minuti di corsa e cinque di marcia. Forse questo tipo d’allenamento può far sorridere molti campioni, ma lo consiglio vivamente a tutti coloro che come me allora stanno uscendo da una lunga crisi esistenziale. Con questo tipo d’allenamento non si rischia nulla e l’organismo si abitua gradualmente al gesto atletico della corsa che, a differenza della marcia dove il nostro corpo ha sempre un piede poggiato a terra, ha dei veri istanti in cui il nostro corpo vola. Al quarto mese, decisi di controllare la lunghezza del percorso che compievo in un’ora. Fu il mese della svolta, era arrivato il momento di verificare i miei limiti e cosi al quinto mese correvo normalmente per un’ora intera senza marciare: partendo sempre dallo stesso punto e azzerando il cronometro, controllavo dopo sessanta minuti la distanza percorsa. Cominciavo a divertirmi, perché ogni giorno che passava vedevo che la distanza percorsa aumentava sempre più, anche se di poco, e sentivo un’energia esplosiva in me. Di certo l’aver smesso di fumare cinque anni prima aveva dato i suoi frutti visto che di fiato ne avevo in quantità. Al sesto mese riuscivo a percorrere in un’ora dieci km. Segnai cosi, nel mio diario, la data, i km percorsi, e il tempo a km: ero diventato un’atleta con la mentalità da atleta. In seguito cambiai sistema: non correvo più per un’ora e basta, ma per un numero di km, e controllando il cronometro alla fine della corsa, ricavavo la media a km. I progressi erano notevoli, dopo un anno dall’inizio dell’allenamento i miei tempi erano eccezionali: sui 1000 Mt. avevo 4’20’’, nei 5000 Mt. 23’10’’ e nei 10000 Mt. 48’30’’. Pensate quale traguardo avevo raggiunto, solo due anni prima non riuscivo ad andare al bagno da solo! Un miracolo! Allungai così il percorso, fino ad arrivare in poco tempo a 30 km ad uscita. Percorrevo 70 km la settimana, cosi incominciai a sognare la maratona, anche se a volte i dubbi prendevano il sopravvento e mi chiedevo se non stessi chiedendo troppo al mio organismo. Ero sorpreso dalla vitalità riacquistata, mi sentivo di nuovo un ragazzo nello spirito ma soprattutto nel fisico, anche se

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avevo 46 anni, non proprio un ragazzino. In ogni caso il mio pensiero in quegli anni era costantemente rivolto alla maratona, un altro traguardo da raggiungere che mi ero imposto. Il raggiungimento di uno scopo riempie la vita, il tempo non basta mai, siamo presi da idee programmi da svolgere, ricerche di allenamenti efficienti da fare, siamo più sorridenti, positivi, disponibili. Io ero diventato decisamente un’altra persona. Mi sentivo come se stessi affacciandomi alla vita per la prima volta. Avevo dimenticato tutto il mio passato e anche il corpo si era trasformato, non avevo l’abitudine di specchiarmi, ma se a volte mi capitava di soffermarmi davanti ad uno specchio, rimanevo piacevolmente stupito dall’immagine che vedevo: una figura snella, tonica, capelli castani brillanti, occhi luminosi, senza un’ombra di rughe, viso rilassato, sembrava che gli ultimi venti anni non fossero trascorsi per me. Ci fu anche un banale episodio a confermare che non dimostravo l’età che avevo in quel periodo. Un giorno, passeggiando in città con mio figlio di 20 anni, incontrammo un mio conoscente di lavoro, che abitava in un’altra città. Non essendoci molta confidenza fra noi, non sapeva che fossi sposato con figli, così ci salutammo e senza darmi il tempo di presentargli il mio ragazzo, mi disse: “Chi è più grande?” Credeva che mio figlio fosse mio fratello. Può accadere che padre e figlio siano scambiati per fratelli, ma che il padre sia ritenuto il fratello più piccolo era enormemente piacevole per me. Non voleva credere che io fossi il padre del giovane. Certo l’amico aveva frainteso ma anche mio figlio l’aveva aiutato: i giovani vogliono apparire più maturi di quello che sono in realtà, barba lunga, occhi assonnati con relative borse, abbigliamento trasandato. Io invece tutto lindo, rasato, sorridente, vivace, sembravo un ragazzo, e mi sentivo un ragazzo. Il segreto è vivere una vita sana, questo è il metodo; ciò vale per tutti, non solo per chi ha problemi di schiena, ma per chi ha problemi di qualsiasi natura. Si era ringiovanito l’organismo grazie allo Yoga e alla corsa, continuavo costantemente le mie sedute, i miei tre esercizi cominciarono ad apparirmi inutili, anche se non smettevo mai di eseguirli, anche se per pochi minuti. Le posizioni che riuscivo a compiere erano ormai perfette, la schiena dava solo raramente un certo segnale negativo (magari solo dopo qualche sforzo più intenso), il tempo maggiore era dedicato alla meditazione, sempre nella posizione del loto, con le gambe incrociate e la schiena poggiata alla parete, in cerca del brivido benefico che dalla testa corre fino al sacro. Non sempre, anzi raramente si riesce ad avere questa vibrazione dell’anima, se non si è ben concentrati, se la giornata è andata storta, e soprattutto se si è contrariati. Abbiamo affermato che bisogna essere positivi, pensare a qualcosa di piacevole per raggiungere quel rilassamento, quel brivido, così, trovai appunto un ulteriore pensiero positivo che mi aiutò allo scopo. La corsa. Se dopo cinque minuti non riuscivo a chiudere la mente dai pensieri che si rincorrevano, spostavo il pensiero sulla corsa e correvo anche stando seduto in meditazione. Come?: Uh…beh, semplicemente immaginando di togliere la tuta, allacciare al meglio le scarpe da corsa, e iniziare a correre facendo partire il cronometro. Eccola la secolare pianta d’ulivo, ecco la quercia, ecco il cartello del primo km. Ripercorrevo il sentiero di allenamento preferito immaginando passo dopo passo, ormai conoscevo ogni curva o rettilineo, ogni sasso, ogni pianta, ogni avvallamento del terreno, tante erano le volte che l’avevo percorso. Correvo…correvo…correvo, con i miei pensieri fino a quando non arrivavo in Paradiso. Che ovviamente per me non poteva essere altro che l’ottavo km del cammino rappresentato da una strada in collina tutta alberata, un po’ umida e buia, ma arrivati in cima al colle, si apriva una vista spettacolare e mozzafiato. Eccolo il paradiso. La luce diveniva accecante, lo sguardo poteva vagare in tutte le direzioni, boschi, valli, prati verdeggianti vette innevate, un torrente in lontananza scorreva calmo, il cielo appariva a 360°, e un profumo pulito delicato fatto di mille aromi inebriava l’aria. Se non è questo il paradiso!

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Riuscendo ad aprire questa finestra -anche se fatta di ricordi- avveniva il miracolo, il brivido mi era concesso e per qualche attimo non avvertivo il mio corpo. Non si possono descrivere questi tipi di sensazioni, perché sono personali e soggettive, anche se hanno una valenza universale e spirituale che può essere condivisa da tutti. In ogni caso bisogna viverle per comprenderne il significato. Che cosa è questo brivido? E’ il ponte di collegamento tra anima e corpo. Antiche teorie e religioni ritengono che l’anima risiede nella zona più profonda del nostro corpo. Il midollo spinale. Se riusciamo a fare vibrare l’involucro che lo contiene –la dura madre- con le nostre sedute di meditazione, non solo avremo il brivido ma anche un gran benessere all’organismo e una pace dell’anima. Questa è la zona dove risiede il controllo della vita. Non riuscii a percorrere i 42 km della maratona in quel periodo, un micro frattura a un piede, causata forse da un super allenamento, fermò la preparazione. Sospesi perciò l’allenamento per dare il tempo al callo osseo di riparare il danno, riprendendo l’addestramento dopo tre mesi dall’infortunio. Una sosta che mi provocò di nuovo tensioni e nervosismo, la corsa mi era talmente entrata nel sangue che, con il fatto che non avevo potuto uscire per tre mesi, avevo accumulato stress e malumore, mi sentivo privato del balocco che divertiva il mio essere. Pensavo che sarebbe stato facile riprendere (ma in seguito seppi che mi sbagliavo); in fondo era la prima volta che mi capitava un tipo di infortunio che m’impediva di correre che non era legato alla schiena. Non riuscendo a scaricare le tensioni di tutti i giorni, ebbi qualche malessere anche sulla schiena, niente di grave, ma i vecchi ricordi tornarono alla mente creandomi un po’ di panico. Dedicai cosi più tempo ai miei tre esercizi. Se le varie terapie antidolore fanno aumentare la sofferenza, non ascoltare coloro che erroneamente asseriscono che senza soffrire non si ottiene nulla. Sospendere gli esercizi 4- La verifica Era trascorso un anno dal piccolo infortunio del piede e il mio stato di forma era ancora al meglio ma lo spavento dei mesi precedenti sembrava essere rientrato: i tre esercizi avevano di nuovo fatto il miracolo. Nel dedicarmi interamente alla corsa avevo trascurato lo yoga; dovevo rimediare e non abbandonare mai più questa disciplina così utile al mio benessere. Abbandonai momentaneamente il sogno di partecipare a una maratona e limitai le uscite percorrendo solo 40 km settimanali, tornando in questo modo a uno stato di rilassatezza completa. Tensioni e contratture erano sparite, ero padrone di nuovo della situazione. Un giorno in una delle solite sedute di meditazione, i pensieri si soffermarono sui tre esercizi di decontrazione, dovevo verificare la loro validità vera o presunta che fosse così decisi che li avrei sospesi per qualche settimana, verificando le reazioni sul mio corpo. Tornai ad allenarmi solo nella corsa. Il primo mese fu tutto a posto ma dopo una settima iniziavo ad avvertire una rigidità ai lombi, mi sembrava di aver perso scioltezza nelle gambe ma soprattutto avevo perso voglia di fare. Arriva il messaggio, pensai. Lasciai trascorrere altri giorni per avere ulteriori conferme, il malessere continuava, ma non ripresi in alcun modo i tre esercizi, anche perché pensavo che il malessere che sentivo potesse essere un raffreddamento causato dalle giornate diventate fredde. Non era così. Ripeto ancora una volta che non avevo malesseri di questo tipo da molti anni, tolto naturalmente il mal di schiena.

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Una notte l’inquietudine divenne sofferenza, non riuscivo a riposare e appena prendevo sonno mi svegliavo di soprassalto. Fu una nottata interminabile, la mattina mi alzai e andai in bagno per controllare se avessi qualche fastidio o dolore fisico. Niente, era tutto a posto. Mi lavai il viso e i denti con acqua fredda per scuotermi, asciugai il viso e fu in quell’istante che starnutii. Rimasi paralizzato. Avevo preso la pugnalata che conoscevo bene sulla quinta vertebra lombare. Tornai a letto rimproverandomi di aver mollato i tre esercizi. Anche se in un certo senso ne ero contento: l’incidente m’aveva rivelato ulteriormente la validità del metodo. Certo, sarebbe stato meglio scoprirlo meno dolorosamente. Comunque tornai subito a eseguire le mie sedute giornaliere. Dopo tre giorni stavo già meglio. Dopo dieci tornai a correre. Ci sono momenti della nostra esistenza misteriosi, indecifrabili vissuti in un’altra dimensione. Passato, presente e futuro non sono nel loro ordine naturale; in quella notte travagliata il cervello non riusciva a riordinare i pensieri. Che cosa era che tormentava l’anima? Perché la notte era stata così lunga? Era il ricordo del passato che m’assaliva, oppure il futuro che mi spaventava? Eccolo! Questo è il sesto senso, la percezione dell’anima, è lei che riesce a vedere il futuro e lo comunica al corpo. Essa conoscendo il passato avverte i segnali e dà l’allarme attraverso il ponte. Quella notte il corpo suonava l’allarme, il ricordo delle precedenti sofferenze lo avevano spaventato. Non era il brivido benefico che dalla testa scendeva fino al sacro, ma un brivido diffuso che partiva dalle più remote parti del corpo, tornava indietro nel profondo dell’intimo facendomi sentire il cuore schiacciato da un peso. Molti lo chiamano semplicemente presentimento. È la disperazione che ci consente di affrontare infiniti sacrifici e grandi rinunce 5- Il segreto Ribadisco non mi stancherò mai di affermare che l’importanza di queste tre semplici esercitazioni non è solo nella loro corretta esecuzione ma soprattutto nella pratica costante. A tre anni dall’operazione tutte le sofferenze e i brutti ricordi erano dimenticati. La sicurezza che avevo acquisito mi avevano reso anche sfavorevolmente spavaldo. Gli allenamenti proseguivano senza sosta, la forma fisica era eccellente e la conoscenza della corsa completata. Non c’erano segreti per me in questa disciplina sportiva. I ritmi, i recuperi, tutte le tabelle dell’allenamento specifico erano state studiate e collaudate, diventai il trainer di me stesso. Tornai ad allenarmi per la seconda volta, per raggiungere il traguardo di partecipare a una maratona. Di solito per allenarsi in vista di una maratona occorre passare quattro mesi intensi, percorrendo 80 Km settimanali, suddivisi in cinque percorsi misti, (Fartlek) 5 uscite da 30 Km circa e otto ripetute con un solo riposo settimanale. Un allenamento durissimo. Ero forte, sano e mi sentivo in grado di riuscirci. Era il mese di settembre quando iniziai. Tra il lavoro, la famiglia, gli allenamenti e lo Yoga, non avevo un attimo di sosta. Se vogliamo raggiungere quest’obiettivo, dobbiamo rispettare tutte e quattro le fasi dell’allenamento: la resistenza allo sforzo, il rafforzamento cardiovascolare, la specializzazione al tipo di gara a cui si vuole partecipare, e l’affinità della mente cercando di unirla a questa sfida a cui vogliamo sottometterci. Mai saltare un'uscita perciò. Il primo mese fu facile, il clima era dolce, il tempo buono e le giornate sufficientemente lunghe. Ottobre fu duro, arrivò precocemente la pioggia e il freddo; le giornate più corte mi costrinsero a uscire o di mattina presto o di sera tardi, percorrendo una zona illuminata. Era dura! Non

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l’allenamento in sé, quanto riuscire ad armonizzare la mia attività lavorativa con la corsa. Novembre fu peggio, perciò decisi di rinunciare e rinviare tutto all’anno successivo. Furono due mesi duri, intensi, pieni. Senza ottenere quello che mi ero prefisso ma nonostante tutto si rafforzò in me la convinzione che l’individuo può, con tenacia e perseveranza, raggiungere traguardi incredibili. Abbandonai solo la tabella specifica della maratona, non la corsa. Ero in piena forma fisica. Prima di abbandonare del tutto l’idea di correre una maratona, la prima domenica di novembre decisi di provare se riuscivo a percorrerli sul serio quei benedetti 42 Km. Erano le otto del mattino quando feci partire il cronometro, lo fermai alle ore 11,01 esausto. Avevo percorso 35 Km, con una media di 5’10’’ a Km. Sembrava che il mio impegno fosse passato inosservato mentre in quei giorni ricevevo complimenti da parenti e amici tutti ansiosi di dire la loro su quanto sforzo ci mettessi e come sembrasse facile. Mi sentii circondato da ammirazione e invidia. Certo, io non mi sentivo soddisfatto, non che avessi compiuto chissà quale impresa, tuttavia per le persone sedentarie che conoscevo, avevo compiuto un’impresa da ricordare. Tutti mi chiedevano consigli sulla corsa, sullo Yoga che praticavo, ma soprattutto sulla mia guarigione dal mal di schiena (e tutti in un modo o nell’altro ne avevano avuto a che fare). Avendo come dote una gran disponibilità, cominciai a dare consigli e spiegare esercizi. La domanda era sempre la stessa: “qual è il segreto?” Essere d’aiuto a qualcuno ci fa onore e ci gratifica, io mi sono sentito decisamente trascinato e invogliato a proseguire in questo nuovo aspetto della mia esistenza. Le persone che si sentivano migliorate nella forma fisica, desideravano anche emularmi nel resto, fino arrivare addirittura a cimentarsi con la corsa, e io assumevo il compito di loro allenatore. A volte mi veniva da pensare, perché stesse accadendo che altri si rivolgessero a me, in fondo non era il mio lavoro. Eppure sentivo di essere coinvolto anche a un livello superiore, o più spirituale se vogliamo. L’idea di poter essere di aiuto ad altri non solo mi interessava, ma avevo tutta l’intenzione di coltivarla meglio. Tutto era iniziato con la sofferenza e con la sola speranza di riuscire a convivere con le mie sventure. Poi mi ritrovo nella posizione del terapeuta, semplicemente per i risultati ottenuti su di me. Ognuno di noi ha una sua vita e una strada da seguire; io mi ritrovavo a circa 50 anni d’età, con una gran soddisfazione nel cuore e un gran senso di appagamento. Ora bisogna chiarire che le persone da me consigliate e che hanno trovato risposte corrette dai miei consigli, non avevano chiaramente niente di patologico, niente che non fosse di facile soluzione. Non possono semplici suggerimenti risolvere malattie gravi, ma possono trovare soluzione alle cattive abitudini di ognuno di noi. Di cattive abitudini l’umanità n’è piena quali cattiva postura, vita stressante, contratture croniche, sedentarietà. Con il metodo si può trovare giovamento. Voglio anche aggiungere che le cattive abitudini possono veramente portarci a quelle patologie gravi dove non c’è rimedio, dunque il metodo può essere una prevenzione per la tutela del nostro benessere. Molte volte la soluzione dei problemi è a portata di mano, basta allungarla per prenderla, ma a volte, o per pigrizia, o per scarsa conoscenza, o perché crediamo che non c’è soluzione ai nostri guai, ci lasciamo andare senza speranza al destino. Sono convinto che 80% dei malanni che affliggono l’umanità sono risolvibili con una costante, buona attività fisica. “La causa maggiore della depressione, è la totale perdita dell’energia”

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Capitolo IV La disponibilità verso gli altri 1- Una storia La carica che mi veniva dal ritrovato benessere, si riversava anche sulla qualità del mio lavoro. Stavo recuperando tutti i giorni persi per malattia e quando serviva di fare molte ore per risolvere guasti nei vari reparti di produzione non solo non mi tiravo indietro ma rimanevo fino alla risoluzione del problema; in alcuni casi potevano volerci anche fino a sedici ore per venire a capo di un guasto misterioso. Voglio raccontare ora una piccola storia vissuta proprio sul posto di lavoro. Una mattina Antonio, un mio aiutante giovane che mi seguiva spesso quando avevo bisogno di manodopera, era più triste e spento degli altri giorni. Gli chiesi cosa fosse successo ma non ottenni risposta Già quattro anni prima avevo assistito a una scena che aveva probabilmente causato la sua situazione in quel periodo. Avevo bisogno di due aiutanti per un lavoro, quel giorno di quattro anni prima, cosi chiesi Antonio, e Mario come miei assistenti. Avevamo tolto un grosso cilindro da una macchina e l’avevamo poggiato a terra; il lavoro procedeva bene, cosi dissi loro di fare una pausa. Loro invece si misero in competizione scommettendo sulla loro forza fisica. Si sfidarono a chi riusciva a mettere in piedi quel grosso cilindro di 150 kg, essendo due armadi non doveva essere difficile riuscirci. Intervenni subito, facendo pesare la mia autorità d’operaio anziano, ma soprattutto, pensavo al rischio che potevano correre per la loro stupidità. A me la schiena, faceva male al solo guardarlo quel cilindro. “Smettetela ragazzi” gli dissi “non fate i bambini, siamo qui per lavorare e non per giocare, se vi fate male la responsabilità è tutta mia”. Fui duro e molto arrabbiato ma non cambiarono idea. Mi allontanai di circa 40 metri, facendo finta di controllare un’altra macchina, ma sbirciando quello che facevano. Antonio era dietro Mario che s’accingeva a sollevare il cilindro, lui si piantò sulle gambe divaricate, ginocchia flesse, inarcò la schiena e, con molta agilità, riuscì nell’operazione. Era il turno d'Antonio e io sperai che fosse bravo come Mario, ma purtroppo non fu cosi. Antonio era anche più grosso di Mario, ma meno tonico e più lento. Non si piantò sulle gambe, non inarcò la schiena, sollevo il cilindro, ma a me non sfuggi il piccolo cedimento che ebbe sulla gamba destra e l’attimo d’esitazione successivo. Ebbi paura per lui. Nel risollevare la schiena, notai subito che il suo tronco non era più verticale, ma leggermente piegato a sinistra e la mano destra massaggiava il fianco destro. Sorridendo e scherzando si allontanarono, Antonio cercava di apparire il più naturale possibile. Ero sicuro, si era infortunato, sperai che non fosse grave, per lui il dramma era peggiore del mio, l’infortunio se lo aveva procurato da solo, stupidamente, e non poteva denunciarlo per dignità. La sera nello spogliatoio, ne cercai lo sguardo per capire come si sentiva, e se tutto fosse passato. Tutto sembrava a posto, era sorridente, strafottente come i giovani sanno essere, uscì con un passo spedito e io mi tranquillizzai. Non lo vidi per molto tempo anche perché io il mese seguente fui operato. Ho saputo poi che era stato assente dal lavoro per tre mesi tornando trasformato, triste, smagrito sofferente, con tutti i suoi amici a chiedergli cosa gli fosse capitato. Non si seppe mai la verità, le sue risposte furono sempre evasive e confuse come se volesse nascondere qualcosa. Forse lui aveva nascosto la verità, non permettendo una giusta diagnosi, quando rientrai anch’io al lavoro dopo l’operazione mi trovai davanti una larva umana, il ragazzo che conoscevo non esisteva più, lavorava tre o quattro giorni, e ne mancava altrettanti dicendo di non sentirsi bene. Passò qualche anno, io miglioravo giorno per giorno, correvo, facevo progetti, Antonio invece appassiva sempre più. Fin dal mio rientro avevo pensato di parlargli, non si era mai confidato con

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nessuno e forse io ero l’ultima persona cui avrebbe aperto il suo animo. Conoscevo la verità e lui probabilmente si vergognava, forse ricordando i miei avvertimenti il giorno del suo infortunio. In ogni caso passarono ancora altri anni, fin quando Antonio non giunse al capolinea. Lui sapeva del mio passato, la mia sofferenza, l’operazione e il faticoso recupero ottenuto, ma la diffidenza era più forte di lui, fino a che un giorno, dopo l’ennesimo tentativo di farlo sfogare, mi raccontò la sua vicenda. 2- Il racconto A volte quello che ci riserva la vita è inspiegabile, una parola, un gesto, uno sguardo, ma soprattutto un contatto umano, possono fare miracoli. Quello che non si riesce a ottenere in tanti anni, si può ottenere in un attimo con un semplice contatto. Ora posso affermare che quello fu un giorno fortunato per Antonio. La sensazione che provai in quel momento, quando per la prima volta riuscii ad incontrarne lo sguardo, fu la stessa percezione da me cercata nelle sedute di meditazione: il brivido benefico Quei tristi occhi mi portarono a compiere un gesto che mai mi sarei sognato di fare, poggiai una mano sulla testa d’Antonio e con una voce irriconoscibile gli dissi: “confidati, forse posso darti qualche consiglio” Sarà stato il timbro della mia voce, il contatto della mia mano sulla sua testa, non so! Ma qualcosa accadde. Lo sentii rilassare tutti i muscoli e lo vidi piangere come un bambino, nessuno ci osservava, riuscì cosi a sciogliersi completamente. Iniziò a raccontare. All’inizio aveva sottovalutato l’incidente che si era procurato per la sua stupidità, e nascondendo la verità aveva sperato che tutto rientrasse, ma dopo sei mesi ancora soffriva maledettamente alla schiena e alla gamba destra, decise di fare una T.A.C. (le prime T.A.C. dell’epoca). La diagnosi fu: ernia del disco alla quinta vertebra lombare. La cura: terapie, manipolazioni osteopatiche o chiropratiche e ginnastica medica. Il medico gli disse che la sua fortuna sarebbe stata che l’ernia sarebbe rientrata da sola in poco tempo. Proseguendo mi disse che l’ernia era piccola e non espulsa, perciò era molto probabile farla rientrare e liberare il nervo sciatico schiacciato. Era andato anche alcune volte a fare quel salasso che molti praticano facendo una piccola incisione sul piede sofferente. Era stato bene per alcuni giorni dopo l’incisione, poi la gamba era tornata di nuovo un pezzo di legno, insensibile, senza forza e cadente. Mi sentii un privilegiato in quel momento, un altro essere umano apriva la sua anima a me, confidandomi i suoi fatti privati, permettendomi di aiutarlo. In seguito sembrava aver trovato giovamento dalle manipolazioni alle quali si era sottoposto, il periodo di benessere durava più a lungo ogni volta ma le spese per sostenere le cure in strutture private erano troppo elevate per le sue esigue risorse. Lo capivo benissimo. La sua storia era identica alla mia, alle mie sofferenze e ai miei tentativi di trovare una via d’uscita. Si scusò con me per il comportamento e le parole dette quel giorno, che tra l’altro avevano causato un certo raffreddamento nel nostro rapporto, fino a quel momento cordiale e amichevole. Al termine delle sue confidenze gli dissi: “Ascolta, i nostri rapporti non si sono guastati per le parole che sono state dette, ma perché tu ti sei chiuso in te stesso senza parlare mai di quello che ti stava capitando. Ho cercato di guadagnare nuovamente la tua fiducia perché avevo capito benissimo il tuo problema, simile al mio, per questo avrei voluto aiutarti con qualche consiglio se mai lo avessi accettato”. Mi guardò meravigliato, e in effetti anche io rimasi stupito dalle mie parole. Pensai anche di stare esagerando, in fondo non ero né un dottore né uno specialista, come potevo dunque dare consigli? Ma poi i miei esercizi mi tornarono subito in mente per il loro prezioso aiuto e sapevo che potevano aiutare anche lui. Così, semplicemente, gli dissi: “l’unico modo per uscirne da questo tuo problema è quello d’imparare a convivere con il tuo malessere, poi il tempo curerà il tuo organismo e l’episodio diverrà solo un brutto ricordo.

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Occorrerà ancora del tempo perché questo avvenga, la sola cosa che ti deve preoccupare è quella di far trascorrere questo tempo nel miglior modo possibile, cercando di non cadere in depressione. Sei giovane, puoi riuscirci benissimo, vedrai che tutto passa, l’importante e che non ti parta la testa, in quel caso sei fregato. Se vuoi, per far trascorrere questo tempo, nell'attesa che l’ernia si disidrati e molli cosi il nervo interessato, posso insegnarti alcuni esercizi e darti alcuni consigli che possono fare miracoli, se tu gli dedicherai un po’ del tuo tempo libero”. Accettò senza esitazione. 3- I primi approcci da trainer Quella mattina eravamo sotto un lungo cunicolo dove passavano tutti i servizi della fabbrica (acqua, vapore, gas, energia elettrica), avevamo iniziato un lavoro che sarebbe durato mesi.. Lì sotto terra, eravamo soli, e mai nessuno sarebbe venuto, eravamo liberi di fare ciò che volevamo. In quei due lunghi mesi nessuno ci disturbò, perciò approfittai delle pause per insegnargli i tre esercizi. Iniziammo con l’eseguire la torsione lombare con distensione, ma lui non era in grado di compierla, gli procurava dolore, cosi gli consigliai la sola torsione delle gambe. Ad Antonio riusciva bene la rotazione delle gambe a destra, ma appena provava a sinistra aveva un sussulto, gli era proibito girare il tronco a sinistra, allora mi chiese se fossi in grado di spiegargli il perché: Risposi che probabilmente aveva una ernia mediale che comprometteva il nervo sciatico di destra; quella zona perciò era indubbiamente infiammata e conseguentemente limitata nei movimenti. Il muscolo essendo accorciato a causa della contrattura, non si distendeva completamente impedendo così la torsione. E sarebbe stata proprio l’esecuzione costante dell’esercizi che avrebbe permesso il riallungarsi dello stesso muscolo permettendo alla vertebra di tornare in una posizione più centrale e liberando in parte il nervo sciatico schiacciato. Quella semplice spiegazione fu per lui come una rivelazione. Aveva capito il suo problema perfettamente. Anche lui possedeva la mentalità del meccanico manutentore: una volta individuato il guasto diventava facile la riparazione. Anche in medicina è lo stesso, gli addetti ai lavori (medici e specialisti del settore) sanno benissimo che fatta la giusta diagnosi si trova subito la giusta terapia. A quel punto Antonio sapeva cosa doveva fare e lo faceva con una dedizione encomiabile. Quel primo giorno fu per lui la rinascita. Dopo venti minuti ci alzammo e vidi Antonio sorridere come non faceva da anni. Nei giorni seguenti, appena avevamo un momento di pausa, mi chiedeva di proseguire nell’insegnamento degli altri esercizi. Stava già molto meglio, e anche se l’ernia era sempre li aveva ritrovato fiducia perché possedeva un’arma per difendersi, e sapeva che poteva fare qualcosa per aiutarsi. 4 -Tornare in possesso del proprio corpo Dopo la fine dei lavori insieme passò qualche tempo prima che ci rivedessimo per fare gli esercizi insieme, eppure sapevo che li stava praticando con una certa costanza, tanto che quando un giorno trovammo un po’ di tempo per parlarne mi aggiornò sulla situazione. La sua vita sembrava riprendere una dimensione soddisfacente, nonostante la mattina appena sveglio si sentisse la schiena bloccata, rigida, dolente, dopo gli esercizi quotidiani il dolore e il blocco erano soliti sparire per tutto il resto del giorno. E soprattutto disse una cosa alla quale non avevo mai riflettuto in quei termini. Disse che si sentiva come se fosse tornato in possesso del proprio corpo. Era proprio vero, se si ha per tanto tempo una zona del corpo sempre dolente, è come se col tempo ne perdessimo il controllo, sentendo quella parte quasi come estranea, non più appartenente alla totalità del corpo. Antonio mi aveva insegnato qualcosa d’importante, una verità che forse non avrei mai scoperto altrimenti. Era cosciente del fatto che non tutto era risolto, ma certo era più sereno.

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Con gli esercizi otteneva quasi lo stesso risultato ottenuto con le costose sedute di chiropratica; in realtà i benefici erano minori solo per via del poco tempo che aveva avuto a disposizione per allenarsi adeguatamente. Ma la cosa che più lo entusiasmava era che poteva lavorare da solo, senza ricorrere ad altri. Ogni volta che sentiva di aver bisogno di aiuto si sdraiava a terra ed eseguiva gli esercizi. Antonio ebbe ancora qualche crisi, ma riuscì da solo ad uscirne. Dopo un paio d’anni ne parlava ancora ma con molto distacco. Era tornato quel ragazzone simpatico che conoscevo. Per quanto mi riguarda quella storia mi aveva di nuovo fatto riflettere profondamente sul mio ruolo. Ero deciso a proseguire nel compito che mi sembrava essere stato affidato “dall’alto”: aiutare chi poteva aver bisogno della mia esperienza. Sentivo che tutte le mie tribolazioni e sofferenze passate avevano dunque uno scopo preciso. Fare di me una persona più attenta alla salute, personale e altrui. Sono molti coloro che nella vita ottengono ricchezze e successo. I meritevoli sono la minoranza, tutti gli altri si vendendo la dignità privandosi così di un gran pregio. 5- Essere disponibili Antonio mi aveva trasformato, ero diventato disponibile, pronto ad ascoltare tutte le persone che incontravo, specialmente coloro che avevano bisogno di consigli per i loro malanni fisici. La sua storia mi aveva caricato e forse anche un po’ invasato, e a proposito d’esaltazione, voglio fare ora alcune riflessioni: Antonio sarebbe riuscito a risolvere il suo problema, non aveva un’ernia espulsa, e si era avverato quello che gli specialisti gli avevano augurato, l’ernia con il tempo si era disidratata e lui era guarito. Resta solo una domanda. Avrebbe avuto la forza per superare questi cinque anni senza una prospettiva? I miei consigli, gli hanno sicuramente dato la forza e la voglia di continuare a lottare aprendogli una speranza di soluzione, il tempo ha poi fatto il resto; dunque, avevo diritto a prendermi qualche merito, lui è riuscito a convivere con il suo malanno grazie agli esercizi da me appresi e alla fiducia che mi aveva concesso. Avevo mezzo secolo di vita, quando iniziai ad interessarmi con gioia a questa nuova attività da novello terapeuta. La mia era semplice attività di volontariato, erano in molti a chiedermi consigli e suggerimenti su come fare a gestire il proprio corpo. In quei sei anni trascorsi dopo l’operazione, sono state molte le cose che ho imparato per il mio star bene. Oltre la corsa che praticavo costantemente, avevo comprato anche una bici fuoristrada, non che l’usassi molto, ma era piacevole a volte fare qualche pedalata fra i boschi. Nei periodi estivi, il nuoto sostituiva la bici, nuotavo per ore nel lago dove spesso mi recavo con moglie, magari avevo già fatto un’ora di corsa, la giornata era tutta un programma d’allenamento per me. Prima veniva la corsa, poi la ginnastica, infine il nuoto. Mia moglie, giustamente, mi rimproverava di lasciarla sempre sola, e a me il tempo sembrava non bastare mai. Nell’appartamento dove abitavo avevo una stanza vuota che avevo adibito a palestra, l’avevo attrezzata con due manubri, un tappetino, una scala che usavo come spalliera, e una barra che avevo inserito in uno stipite per le trazioni. Quante cose avevo da fare! Non riuscivo a rifarmi del tempo perduto. Una vita piena, intensa, felice; ero veramente soddisfatto. Avevo riservato quella stanza a palestra perché non avevo il tempo per frequentare una sala da ginnastica. Penserete: “nuoto, bici, corsa, quante cose vuoi fare?” Queste attività, sono discipline essenzialmente aerobiche, allenano cuore polmoni e migliorano la circolazione sanguigna, non tonificano i muscoli però. Ecco la ragione del perché attrezzai quella stanza, divenni cosi anche un esperto di Body Building comprando libri che affrontavano questo settore; stavo cercando di entrare nel merito anche di questa disciplina.

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Il metodo fu semplice applicarlo alle nuove conoscenze. Sapevo perfettamente quali erano i miei limiti così studiai a fondo la chinesiologia del corpo per poterne trarre il maggior beneficio. Misi cosi un altro mattone nel mio concetto di Fitness. Avevo un fisico tonico, scolpito, piacevole da guardare, il peso era in perfetta forma, senza un’ombra di grasso. Certo lo Yoga mi aveva insegnato anche come nutrirmi, erano anni che seguivo una dieta sana, non che mi privassi di qualcosa, anzi, i pasti erano sempre abbondanti, ricchi di fibre, di frutta e verdura, pesce e carni bianche. Un bicchiere di vino non mancava mai e anche un dolce, magari fatto in casa. La pasta o minestra o riso, erano nel mio piatto sia a pranzo sia a cena. Il mio consumo energetico era molto elevato per questo mangiavo molti carboidrati. Voglio ancora una volta porre l’accento di considerarmi una persona come tante, non sono speciale ma mi riconosco una gran volontà. È questa che occorre per riuscire in tutti i quesiti che ci imporremo di risolvere. La raccomandazione che voglio fare ora è questa: usiamo la bilancia per pesarci tutti i giorni. Abbiamo un peso giusto? Dobbiamo solo mantenerlo praticando l’attività fisica con assiduità. Il segreto è nel controllo della bilancia, se per qualche giorno abbiamo saltato la nostra uscita, o allenamento, o semplice passeggiata, la bilancia sarà implacabile. Darà subito l’allarme. Dobbiamo a questo punto prendere una decisione, o aumentiamo l’attività fisica, o mangiamo meno per evitare di ingrassare. Per prendere dieci kg di peso basta un mese d’eccessi culinari, al contrario per togliere dieci kg in più, occorrono mesi di grandi sacrifici. Sempre che ci si riesca. Non credo che occorra soffermarsi su questo spiacevole aspetto del nostro Fitness, la bilancia può oscillare di uno o due kg, da un giorno all’altro, questo non deve preoccuparci, ma se si supera i tre kg. bisogna intervenire. Questo è un altro aspetto del metodo, essere in forma, belli prestanti non deve apparirci un fanatismo; l’aspetto del nostro corpo se è piacevole ci dà gioia, fiducia, sicurezza e felicità dell’anima. Certo la nostra sicurezza, non deve divenire prepotenza, la fiducia in se stessi non deve diventare disprezzo per il prossimo, la nostra gioia non deve essere egoismo. Se cosi fosse è meglio essere grassi, sfiduciati e infelici, senza rispetto non si può essere belli nell’anima. Dobbiamo avere cura del nostro corpo, dargli quello che chiede per il suo benessere evitandogli tutti i veleni che questo mondo possiede. Alcol, fumo, droga, possono per qualche attimo concederci il brivido dell’anima, ma sarà un brivido negativo che danneggerà il nostro corpo in modo irreparabile, se si è in pace con se stessi si è in pace con tutto il mondo! Torneremo sull’alimentazione in un capitolo più dettagliato Questo è il solo modo per essere disponibili, se invece siamo in continuo conflitto con il nostro corpo non potremo mai essere utili, e se non riusciamo a risolvere i nostri problemi come può esserci la voglia d’essere disponibili? Saremo sempre nervosi e irritati e se qualcuno ci chiederà qualcosa, risponderemo sicuramente a malo modo. Ecco perché dobbiamo volerci bene, curare il nostro corpo, anche con un po’ di civetteria e malizia, ascoltandolo e capirlo quando lui a disagio, perché ci invia messaggi. Diverremo degli uomini migliori nello spirito e vedremo il mondo da una posizione di privilegio. Con questa mia mentalità, mi ritrovai presto con decine di persone che volevano correre, allenarsi, fare Yoga, o imparare la tecnica del rilassamento. Ascoltavo tutti e riuscivo sempre a dare qualche consiglio, mi sentivo come un maestro di scuola, anche se insegnavo ad alunni di prima elementare. Io che avevo superato appena la scuola dell’obbligo, ero diventato maestro. Pensate la mia soddisfazione, la tenacia e la gran voglia di conoscenza mi avevano premiato. Possedevo anche molta pazienza, la domenica quando uscivo con gli amici per la corsa, eravamo un gruppo abbastanza numeroso, e io ero sempre vicino a coloro che avevano più bisogno di essere

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aiutati, incoraggiati, spronati. Attento alla loro tecnica, a un controllo dell’appoggio del piede, a una verifica del loro respiro. Ormai non c’erano più segreti per me nell’allenare queste persone, ero sempre davanti a fare l’andatura e pronto a cambiare ritmo non appena mi accorgevo che erano in debito d’ossigeno, aspettando il loro recupero, per poi alzare di nuovo la cadenza. Neanche loro si accorgevano del cambiamento, non avevano mai crisi respiratorie e alla fine della corsa erano piacevolmente meravigliati della loro bravura e del miglioramento dei tempi ottenuti. Alla fine la domanda che mi ponevano era sempre la stessa: “Come mai non riesco a fare bene quando esco da solo?” A volte gli spiegavo il motivo, il segreto, ma non capivano, perché in effetti occorreva ancora tempo ed esperienza. Chi vuol correre e allenarsi bene senza danni deve rispettare i suoi limiti. 6- Il rispetto dell’organismo Torniamo ora a parlare di nuovo del rispetto che dobbiamo avere del nostro corpo. Anche nella corsa come in tutte le altre attività che vorremo praticare, c’è quella soglia che non dovremo mai oltrepassare, se supereremo questi limiti il nostro organismo ci darà lo stop, se i tempi medi del nostro allenamento non sono rispettati scoppieremo (non saremo più in grado di ossigenarci, insomma) cosi dovremo fermarci, il nostro cuore avrà superato la sua soglia di frequenza. Soglia che potremo conoscere sottoponendoci al test Conconi. Ecco il merito che avevo nell’allenare queste persone inesperte, fuori forma, sedentarie. Il loro respiro era la mia guida. I miei ritmi erano ottimi, ero in perfetta forma, non andavo mai in debito d’ossigeno e loro mi vedevano come un campione, (anche se non lo ero, io glielo lasciavo intendere per avere un pizzico di carisma ed essere più ascoltato per quanto riguarda l’apprendimento del metodo) Il principiante invece non è in grado di gestirsi da solo all’inizio, per questo capita che molti si spaventino facilmente e poi rinunciano. Per me questo significa aver fallito, se all’esordiente capita un attacco grave, non correrà più. In pratica ci voleva una grande pazienza per aiutarli, ma con me davanti non sarebbero mai andati in crisi. Ormai avevo sviluppato una sensibilità tale da capire istantaneamente l’arrivo di un loro crollo fisico o semplicemente morale. Appena il terreno cominciava a salire, rallentavo l’andatura permettendo loro un pieno recupero e aspettando che il respiro si normalizzasse. A queste persone inesperte che non avevano mai indossato un paio di scarpette da ginnastica, occorrevano dai tre ai quattro mesi per capire come gestirsi, qualcuno non capiva mai, e allora usciva solo con me. Altri li perdevo di vista, ma sapevo che continuavano a correre anche senza di me traendo da soli i benefici che questo sport concede, non avendo più bisogno di consigli per il loro star bene. Occorre molta disponibilità se si vuole veramente aiutare qualcuno in questo difficile fitness, perdere qualcuno era per me una sconfitta. Ritengo dunque la corsa la più bella disciplina sportiva. Si certo, è anche una delle più dure, la più faticosa, ma i benefici che dà sono incomparabili. Può correre anche un ottantenne, o un infartuato o chi ha avuto un trapianto di cuore se rispetta i suoi ritmi ed i suoi limiti. La corsa lunga e lenta, che non superi mai la soglia della nostra personale frequenza cardiaca, non può che farci bene, il cuore essendo anch’esso un muscolo, si tonifica e si rafforza, le sue pareti diverranno più spesse, e perciò più resistenti. Qual è la soglia che non dobbiamo mai superare? Rispettando i dettami del test Conconi il nostro allenamento non dovrebbe mai far superare al cuore la frequenza seguente: 70% di 220 meno l’età. Che cosa significa? Un individuo cinquantenne dovrebbe fare questa operazione: 220 - 50 = 170; 220 è la frequenza cardiaca che si registra alla nascita; 50 è l’età del soggetto. Ciò che si ottiene dalla differenza è il massimale cardiaco (potenziale) dell’individuo, cioè 170. Da qui eseguiamo la seguente operazione

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70% di 170 = 119; otteniamo così il massimale reale dello soggetto, quello al quale attenersi durante tutti gli allenamenti. Di certo è possibile superare quel limite di 119, e se mai anche arrivare al massimale potenziale di 170. Riassumendo, l’uomo alla nascita ha una frequenza di 220 battiti, ogni anno che passa va sottratto da questo valore, a 10 anni perciò sarà di 210, a 20 anni sarà 200 e cosi via. Voglio aggiungere che durante i miei periodi di ottima forma fisica porto spesso la frequenza cardiaca al mio massimale potenziale, superandola a volte anche se solo per qualche secondo. Questo, il principiante non può permetterselo, ma sarà il traguardo da raggiungere per coloro che vorranno fare di questo Fitness la propria cultura fisica. Capitolo V L’importanza dell’esercizio fisico 1. L’amico ritrovato Voglio ora raccontare un’altra piccola storia per sottolineare ancora una volta l’importanza dell’esercizio fisico. Incontrai Francesco in uno di quei giorni in cui mi allenavo da solo, erano 30 anni che l’avevo perso di vista, non lo riconobbi tanto era cambiato e invecchiato. Solo dopo che lui mi chiamò e fermandomi vicino a lui, finalmente lo riconobbi . Eravamo in quel percorso collinare che io amavo tanto, io correvo e lui camminava molto lentamente, gli dissi: “Che cosa fai tutto solo quassù Francesco, cosi lontano di casa?” La sua risposta: “Il dottore mi ha consigliato lunghe passeggiate, ho 30 kg di troppo, la pressione del sangue a 110 – 180, colesterolo a 300 e non riesco più a salire le scale di casa; ho smesso di fumare, sono a dieta stretta da tre mesi e sento che le forze mi stanno abbandonando, e per finire, il diabete incomincia ad essere fuori controllo.” Aveva 70 anni compiuti, non più un ragazzo quindi, lo guardai e capii che era depresso. Quel giorno non completai l’allenamento restando assieme a Francesco passeggiando con lui. Trascorremmo due ore in compagnia a parlare dei tempi andati e tra un discorso e l’altro m’informai delle sue condizioni generali. Gli domandai della sua schiena, delle ginocchia, caviglie e femori, volli accertarmi delle condizioni delle sue articolazioni, lui, sollevato dal mio interessamento, rispose che grazie a Dio non aveva nessun problema a riguardo. Non capiva del perché di tutte quelle mie domande. Il mio proposito era chiaro, molto chiaro. 2- Tutti possono correre Volevo far correre anche Francesco. Chi vuole incominciare a correre, non deve trascurare assolutamente le articolazioni. Solo esse possono impedirci questo bellissimo gesto atletico (assicuriamoci, così, l’autorizzazione dell’ortopedico). Iniziai a parlargli della possibilità di risolvere i suoi problemi tutti in una volta, se avesse avuto la forza e la voglia di farlo. Non gli sembrò vero, sentire che c’era una via d’uscita per lui. Quel giorno aveva percorso 10 km chiacchierando con me, senza accorgersene, e nel salutarci gli promisi di chiamarlo non appena avrei avuto una giornata libera. Lui, pensionato, aveva molto tempo a disposizione, al contrario di me che non avevo un minuto di libertà. Gli telefonai dopo una settimana, quando mi rispose sentii nella sua voce una grande euforia. Capii che aveva atteso la mia telefonata con un pizzico d’ansia.

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Uscimmo assieme a passeggio, ebbi cosi modo di entrare completamente nella sua confidenza, cominciando a spiegargli che il miglior Fitness per lui era la corsa. Impiegai sei mesi (uscendo tre volte il mese assieme) per poi finalmente dirgli che il mio lavoro era terminato, non aveva più alcun bisogno di me. 3- Il peso forma ritrovato Francesco, dopo sei mesi, riusciva a correre per 10 km, anche se ogni tanto faceva qualche centinaio di metri a passo, era sceso di 12 kg, non prendeva più la pillola per la pressione, saliva le scale senza problemi, il suo passo era tornato elastico, mangiava di tutto senza dilemmi, la notte dormiva come un ghiro, ma soprattutto sorrideva felice. 4- Guarire dal russare Lo persi di vista, anche perché possedeva una seconda casa in montagna, e l’inverno lo trascorreva lassù. Dopo qualche tempo lo incontrai di nuovo, era in piena forma, non servì chiedergli niente, capii che correva ogni qual volta ne aveva voglia, il suo aspetto era tornato quello di un ragazzo. Calzoni bianchi corti, maglietta avana, scarpe da running, abbronzato e sorridente e con 20 kg in meno era veramente un’altra persona. Mi raccontò che la moglie, quando esce da casa vestito a quel modo, gli chiede se va a fare la prima comunione. Francesco non mi ringraziò mai, forse per pudore, ma trovò il modo per mostrarmi la sua gratitudine dicendomi: “Mia moglie ti ringrazia enormemente, perché dice che da quando ti ho incontrato, finalmente dopo tanti anni la notte dorme e riposa bene. Da quando ho cambiato vita, non russo più la notte e anche io la mattina mi alzo fresco e riposato.” Non ci sono al mondo esseri superiori, essendo figli tutti dello stesso Dio, l’unica verità è, che siamo tutti uguali. Un corpo, un cervello, ed un’anima, se c’è una differenza è solo l’ambiente, il luogo dove si è nati, le possibilità avute, e la buona stella che ci ha favorito. Creando l’illusione di una falsa superiorità. “Credere che il “sapere” autorizzi una voglia di superiorità verso il prossimo, occorre riprendere ad apprendere” Capitolo VI Nuovi traguardi 1- L’apprendimento Nel 1985, si stava riaffacciando in me la passione della corsa, com’era mia abitudine cercai subito le informazioni per svolgere al meglio questa disciplina sportiva. Cercai in varie librerie i volumi che offrissero l’insegnamento al riguardo, ma non trovai nulla negli scaffali che fosse appetibile, nel nostro paese non era ancora arrivata la preparazione di massa del Running, i praticanti di questa disciplina erano poche migliaia in tutta Italia. I mass media non ne traevano reale guadagno, perciò non c’erano pubblicazioni o edizioni valide. Trascorse un altro anno, io non ero soddisfatto dell’allenamento, mi sentivo impreparato e ignorante in materia. Un giorno ero in un’edicola per l’acquisto del mio quotidiano, vidi in bella mostra una rivista mensile che ritraeva un uomo in calzoncini e maglietta nel tipico gesto della corsa. Acquistai subito la rivista, fui felice di averlo fatto, avevo trovato quello che cercavo da un anno, gli appassionati capiranno sicuramente di che rivista parlo, corsi subito in casa, emozionato e

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ansioso di sfogliarla. Dalla sequenza dei numeri usciti, capii che il mensile non era nuovo, erano già quattro anni circa che era in edicola, non che fosse molto ricco di pagine e argomenti, ma era meglio di niente. Tutti i mesi ero all’edicola per averla e devo affermare che avendo una tiratura molto scarsa era difficile ottenerla; per questo il giornalaio mi aveva spesso lì davanti a lui per tutto il tempo, per non perdere l’unica copia che a volte arrivava. Cominciai così la raccolta del mensile, ed era come studiare in dispense, ogni mese apprendevo qualcosa di nuovo sul running; ci fu qualche contrasto con mia moglie che tra libri, giornali, e riviste, aveva sempre, la casa in disordine. Con il tempo, la rivista si arricchì e le copie che arrivavano in edicola aumentarono e anche le persone che incontravo nelle uscite dell’allenamento aumentavano. Con un po’ di ritardo anche il nostro paese scopriva il benessere dell’esercizio fisico e anche io mi sentivo, in piccola parte, artefice di questa riscoperta: tutti quelli che riuscivo a far correre poi richiedevano la rivista. Ogni mese potevo leggere consigli, pareri, metodi, che i più grandi atleti offrivano ai topacioni come me. (Il topacione è il corridore che ha tempi lunghi e ritmi lenti, i più suscettibili si fanno chiamare amatori). Grazie alla rivista mi ero preparato tutte le tabelle sulle distanze dei 1000, 5000, 10.000 metri sulla mezza maratona e sulla maratona, calcoli e tempi già collaudati dai migliori atleti nazionali. Lavoravo sulle varie tecniche stilistiche, sui riposi, sui tempi di recupero e le ripetute da adottare per le varie specialità. Divenne tutto chiaro, c’erano le basi per andare avanti e far bene l’allenamento perché ormai possedevo quella dote acquisita negli anni che era la capacità del controllo del corpo. 2- I limiti personali A chi ancora mi domanda come fai, dov’è il segreto? Io rispondo conoscendo i propri limiti, le risposte negative dell’organismo e la gestione oculata delle risorse fisiche Aggiungerei l’amore del correre Per riuscire in tutto ciò, nel corso della vita, occorrono tre doti: passione, conoscenza, volontà. I risultati furono subito ottimi, i miei tempi migliorarono ulteriormente. Sui 1000 metri (3’55’’) sui 5000 (20’40’’) e sui 10000 (43’10’’). La rivista si arricchiva sempre di più con consigli e pareri di esperti - medici, dietologi, allenatori, terapisti, la rubrica della posta, sempre interessante tanto era varia di richieste e di consigli per risolvere i problemi che la corsa poteva causare. Si trovavano risposte a tutti i nostri interrogativi, notiziari di gare, risultati e classifiche delle varie competizioni nazionali, calendari e appuntamenti dei più importanti agonismi dell’anno, ma quello che ritengo più importante per chi corre fu quello che la rivista offriva ai suoi lettori a fine anno. 3- Le scarpe Un supplemento che aveva come argomento centrale l’acquisto delle scarpe, con consigli, pareri, prestazioni e prezzi dei pneumatici dei nostri piedi. Chi correva in quegli anni, ricorderà le scarpe che offriva il mercato; nei miei primi allenamenti di allora avevo un paio di scarpe di tela senza tacco. La corsa è uno sport duro, faticoso, la passione fa superare qualsiasi avversità, ma correre con un paio di scarpe di tela era una vera tortura. Non ricordo più, quante volte non ho finito la corsa a causa delle calzature, i dolori ai piedi erano così intensi che mi si drizzavano i capelli, e non nascondo qualche lacrima a volte. Il sangue, le vescicole, i duroni, trasformano i piedi in due bistecche di manzo. Si dice che la corsa è lo sport più povero in assoluto perché l’unica grossa spesa d’affrontare sono i cerotti. La farmacia diventa il tuo supermercato, sempre alla ricerca dell’ultimo cerotto miracoloso, di pomate emollienti, creme ammorbidenti e polveri cicatrizzanti.

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E guai a trascurare le unghie. Ci fu un episodio, che ora ricordo con allegria, da vera tragedia. Mi innamorai di un paio di scarpe che erano in bella mostra in un negozio del centro, scarpe più adatte per il tennis che per correre. Le comprai subito, anche perché erano a saldo, ma proprio per quella ragione erano l’ultimo paio a disposizione ed erano il mio numero preciso, cosa che mi doveva far desistere dall’acquistarle, ben sapendo che le scarpe da running devono essere almeno di un numero più grande. La domenica seguente le indossai, le sentivo morbide e leggere, ma con una lieve pressione sui pollici dei piedi. “Si adatteranno”, sperai. Riuscii a percorrere solo 7 km quel giorno e con gran sofferenza, quando mi fermai e tolsi le scarpe vidi i piedi insanguinati, e le unghie delle dita tutte nere. Ebbi paura. Ci vollero due mesi per risolvere il problema, le unghie caddero e dovetti attendere la loro completa crescita prima di riprendere a correre. Non fu questa la gran sofferenza, ma quella di essere stato costretto a dormire a pancia in giù per quindici giorni. Era la sola posizione che mi consentiva di mettere i piedi fuori del letto e non avere così sui miei doloranti alluci le coperte che non potevo soffrire (la mattina mi alzavo con i piedi gelati). Buttai le scarpe maledette e feci tesoro di quella esperienza. Adesso le mie scarpe da corsa sono almeno un numero e mezzo più grande. Attenzione alle scarpe dunque! Il piede, durante il gesto atletico cresce di un numero abbondante, non usare quindi mai scarpe nuove nella corsa, perché vanno prima collaudate con uscite lente o, ancor meglio, usandole per passeggiare e attendere che si conformino, che si adattino al nostro piede; sarà il sudore che faciliterà quest’operazione. Ogni esperienza acquisita costa, come vedete. Per imparare la lezione sembra proprio che dobbiamo prima soffrire. L’episodio doloroso lasciò in me un segno indelebile, permettendomi di evitare il ripetere degli errori compiuti sino a quel momento. 4- Le Tendinite Non ho avuto più problemi ai piedi, ma non era ancora finita però, un altro episodio doloroso mi attendeva: il tendine d’Achille. Riconosco che di solito uso espressioni esagerate per descrivere il dolore e aggettivi come allucinante, insopportabile, sconvolgente. Beh, per la patologia del tendine d’Achille, occorre usarli tutti assieme. Chi soffre di questo disagio sa cosa voglio dire. Nessuna posizione è consentita per la gamba, (nel mio caso per tutte e due, presi la tendinite in entrambe). Quando dico “gambe” intendiamo in realtà la parte inferiore dell’arto, dalle ginocchia in giù. I talloni bruciano, ogni più piccolo movimento arriva al cervello, le scarpe sembrano due tenaglie, il letto, un letto di spine. Quando cammini non che ti muovi, strisci letteralmente sul terreno e guai se articoli la caviglia non esistono aggettivi per descrivere le sensazioni. Allora sei portato a pensare che se la corsa causa una così grande sofferenza forse è meglio “mollare”. E’ strano come si è pronti ad abbandonare anche la passione più grande della vita pur di non provare sofferenza . Torniamo di nuovo a quella massima già citata, che si è disposti a rinunciare a tutto pur di non soffrire. Per superare questo tipo di crisi servono in genere dalle quattro alle sei settimane di assoluto riposo. Quando tutto fu passato mi sentii bloccato, terrorizzato di non farcela a riprendere a correre. Di tutti gli ortopedici consultati, nessuno seppe darmi una risposta valida alla domanda della causa della mia tendinite. “Certo! Correre alla tua età, non può farti bene” Affermavano. “Non correre più e vedrai che il problema non si ripresenterà” La diagnosi era stata facile, ma la causa che l’aveva generata, restò sconosciuta. Dovevo cercarla e trovarla da solo la soluzione. La risposta era sicuramente conosciuta da molti specialisti, ma io non potevo certo scrivere a tutti gli ortopedici d’Italia per avere la risposta giusta. Non fu facile trovare il rimedio, seduto su una sedia guardavo i miei piedi, e riflettevo sapendo che era stata la corsa a causare la patologia. Fino a che un giorno qualcosa nella mia mente si illuminò

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“Come mai quando metto gli stivaletti con 4 cm di tacco, non sento più il fastidio sul tallone?” mi chiedevo. Abbandonai tutte le scarpe da ginnastica che usavo quotidianamente e per alcuni giorni usai esclusivamente gli stivali. Ricordate quegli stivaletti alla moda con il tacco alto? Eravamo tutti un po’ più alti in quegli anni. In ogni caso si sono rivelati utili, perché oltre ad aggiungere qualche centimetro alla mia non imponente figura, guarii completamente dalla tendinite. L’interruzione della corsa e l’uso gli stivaletti avevano risolto il dilemma. Il problema erano le scarpe, dunque, le scarpe che usavo per correre con il tacco quasi inesistente, come fossero ciabatte. Bella scoperta, dirà ora qualcuno, correre senza tacco allunga troppo il tendine d’Achille infiammandolo. Ora, tutti o quasi tutti i praticanti del running conoscono questo risposta, molti specialisti consigliano di usare scarpe con almeno 2 cm di tacco. Io ho dovuto impararlo a mie spese con due mesi di sofferenze. Ma purtroppo le scarpe di quei tempi erano così, tutte basse, con al massimo 1cm di tacco e quelle si usavano. Per riprendere a correre, decisi di modificare le mie scarpe, mi recai da un ciabattino e feci incollare sulle medesime uno spesso strado di gomma, alzando così di 1cm il tacco. Il caso fu così risolto, tornai a correre con un paio di scarpette originali, ma efficaci. 5- I sogni mai realizzati Negli anni seguenti il supplemento della rivista mensile, riportò dettagliatamente il problema ai lettori, avvertendoli scrupolosamente di non trascurare mai questo lato tecnico delle scarpe, e le calzature cominciarono ad essere veramente belle e funzionali. Non era facile trovarle quelle che la rivista, con un’eccellente competenza consigliava (mostrandole riprodotte in foto). Vederle e sognarle era tutt’uno per me, i prezzi erano proibitivi per le mie tasche, immaginarle però mi era concesso, sempre con la rivista in mano a sfogliare e fantasticare. C’è gente che sogna magari una macchina nuova, io sognavo un paio di quelle scarpe segnalate, belle, colorate, traspiranti, lavabili, morbide con quella conchiglia a protezione del tendine d’Achille, e con l’intersuola a protezione dell’impatto col suolo (i primi sistemi ammortizzanti). Non facile trovarle, essendo un prodotto d’importazione, e con ancora scarsa richiesta da parte dei consumatori. Ecco perché i prezzi erano proibitivi. Un giorno mi recai in città per vederle e provarle. Il commesso portò proprio quelle più desiderate, e ammirate sulla rivista. Ero consapevole che non potevo comprarle, il commesso al contrario, avrà probabilmente pensato di avere di fronte una persona ricca visto che sembravo spendere tutti quei soldi per un paio di scarpe. Nel ricordo di allora, appena le ebbi calzate, fu come quello di quando entrai al teatro dell’opera (non come spettatore, ma come operaio). Calpestare quel pavimento rivestito, quel silenzio di rispetto, quella luminosità creata da lampadari maestosi ed eleganti specchi, fu una sensazione che mi lasciò estasiato. Ecco, quella fu la stessa sensazione che provai nell’indossare le scarpe, così morbide con un interno color viola, una sottile linea rossa girava attorno all’intersuola, la tomaia bianca con bordi neri, una linguetta aderiva perfettamente sul dorso, ed una sensazione di freschezza avvolgeva tutto il piede, senza dimenticare la sensazione di leggerezza, che stimolava la voglia di spiccare un salto. Un sogno, un sogno che non realizzai! Mi costò molto mentire, affermando che non le sentivo comode e che avrei acquistato quelle che costavano un terzo di quelle Ferrari dei piedi. Quelle che comprai avevano in ogni modo ottimi materiali e buone prestazioni.

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Ora ho sicuramente scarpe migliori di quel paio, ma quelle mi sono rimaste nel cuore forse perché non ho potuto ottenerle, o perché convinto che con quelle scarpe avrei ottenuto risultati da campione. I ricchi erano più veloci. Per non commettere errori serve impegno, per riconoscerli ci vuole umiltà” 6. La gara Con tutta la conoscenza e preparazione che la rivista mi aveva dato, incominciai a sentirmi in grado di affrontare una gara. Fino a quel momento mi ero misurato solo con me stesso. Leggere tutti i mesi risultati, tempi, numero e nomi di tutti i partecipanti alle gare regionali e nazionali d’amatori con più anni di me, mi stimolò decisamente a pensare di partecipare a qualche competizione! Il solo pensiero accelerava i miei battiti cardiaci togliendomi il respiro. E se il solo pensiero mi faceva tremare le gambe quale sarebbe stata la sensazione che si prova davanti ad un nastro di partenza? Avevo paura, ma la tentazione era forte. Pensavo: “Ok, faccio una gara facile di pochi km, tanto sono riuscito a correre anche per 35 km e non sono morto, che ci vuole a farne 7 o 10?” Tuttavia non trovavo il coraggio, sentivo come se non avessi diritto a quella esperienza. Dovevo prima abituare la mia anima all’idea. Non appena l’emozione così forte si fosse calmata, avrei tentato una partecipazione. Mi avvicinai alla gara con molta cautela. La successiva gara organizzata nella mia cittadina mi vide tra i partecipanti, anche se non ufficialmente. Uscii in macchina e seguii i corridori aspettandoli nei vari passaggi del circuito, sostavo in un punto aspettando il loro passaggio, poi salivo di nuovo in macchina e velocemente raggiungevo una nuova postazione per poterli vedere passare ancora. Feci una decina di soste, per poi fermarmi all’arrivo e godermi la fine della gara, l’emozione fu forte, ma non fortissima, avevo partecipato anch’io, anche se da spettatore. Alla seconda gara cambiai sistema e uscii con calzoncini, maglietta e scarpette. Fermai la macchina in un punto centrale del percorso e cominciai a camminare; non appena vidi i partecipanti alla gara cominciai a correre facendomi raggiungere. Mi sorpassarono e io mi unii agli ultimi, non avevo il pettorale perciò nessuno poteva obbiettare qualcosa, ma anche gli ultimi era ben allenati alla competizione e io non riuscivo molto bene a stargli dietro. Dopo 5 km mollai il gruppo e svoltando in un’altra via, proseguii la mia gara personale. Quel giorno avevo partecipato a una competizione anch’io. La terza occasione che si presentò, fu una gara non competitiva. Decisi che quella era la mia gara, non c’erano campioni, ma solo “scamorze” come il sottoscritto o peggio. Provai così, dopo 38 anni, l’emozione di essere davanti ad un nastro di partenza. Non stavo nella pelle, sentivo freddo, sentivo caldo, tremavo confuso, non sapevo dove mettere le mani. Camminare? Stare fermo? Fare un po’ di riscaldamento? Che fare? Ero confuso tanta l’emozione, guardavo le persone senza riconoscerle. Senza che avessi fatto un solo passo, ero già in debito d’ossigeno, ero in apnea, la tensione mi aveva fatto dimenticare di respirare. 7- L’ansia Ero pentito, l’ansia mi faceva star male, una sensazione simile, l’avevo provata in minor misura solo all’esame di licenza affrontato da ragazzo. Finalmente fu data la partenza e mi ritrovai come per incanto a correre fra un frastuono gioioso, in mezzo a uomini, donne, ragazzi e anziani di tutte le età. Era una gara di 10 km, alla mia portata e senza problemi, dunque, ma non era come quando correvo da solo, o con i miei amici.

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Non riuscii a gestirmi, ero confuso, assente, dimenticai di far partire il cronometro, non ebbi così, il risultato finale della prestazione, non fui padrone di nessun punto di riferimento, sorpassavo uno dei partecipanti, poi mi ritrovavo superato dallo stesso. Vado troppo lento? Vado troppo veloce? Superare un concorrente mi spaventava, pensavo che lui per vendicarsi mi avrebbe fatto scoppiare. La gran gioia fu che le persone ai lati della strada applaudivano contenti e incoraggianti. Finii la gara 3°classificato, ebbi come ricordo una piccola coppa con questa dicitura: 3° classificato della quinta edizione della festa del rione Santa Croce. Era stata una gara rionale, una gara quasi familiare, per pochi intimi. I partecipanti erano molti, ma forse gli atleti erano soltanto tre. I primi due avevano ottenuto il 1° e il 2° posto e io il 3°, come ad affermare che ero arrivato ultimo. La coppa è ancora in bella mostra in biblioteca, e questo mi fa sentire di appartenere alla categoria degli atleti. Bellissima soddisfazione, avevo partecipato a una gara anch’io finalmente! Ero riuscito a spezzare quella catena che mi opprimeva e, non essendo morto dall’emozione, partecipai a nuove competizioni, anche più importanti. In una gara cittadina mi sfuggì per un soffio l’agognato premio-prosciutto che era in palio per il 7° arrivato. Giunsi 8°. Il mio vanto resta però quello di aver partecipato alla Roma–Ostia; sono anni che lo racconto agli amici con spavalderia. Percorsi i 21 km della mezza maratona in un tempo eccezionale (1° 32’45’’) il mio record, ero riuscito a stare nel centro classifica. Ma il mio sogno restava in ogni modo quello di partecipare a una vera maratona. Aver partecipato ad alcune prove aveva aggiunto conoscenza alla mia esperienza, avevo imparato che la gara dà una carica d’adrenalina benefica per il nostro organismo, ma non può essere utile per il nostro metodo, ci porta fuori strada dal nostro scopo che resta quello del controllo, del rilassamento, del rispetto dei limiti del nostro corpo. La competizione stressa, ci carica il fisico, poi ne pagheremo le conseguenze. In tutte le gare cui ho partecipato non sono mai riuscito a gestirmi, cosa che invece riesco a fare perfettamente fuori competizione, tanto che riesco a gestire anche i miei amici. La corsa, per chi ha problemi, è benefica solo se praticata con oculatezza, entrare in competizione con gli altri ci danneggia, non riusciamo a controllare l’emozione e questo ci fa perdere la nozione del corpo. Nel periodo della gara non percepiamo più i segnali che l’organismo ci invia, vogliamo vincere, essere primi, battere quell’uomo o quella donna, assistiamo impotenti al sorpasso di persone che credevamo di battere, e questo ci costringe a seguirle per cercare di superarle di nuovo e non riuscendovi chiederemo al nostro organismo un piccolo sforzo in più. Esso magari ci invia un segnale negativo, ma noi non saremo in grado di percepirlo, essendo tutti presi dall’emozione della competizione, siamo degli zombie che corrono con un’espressione del viso da deficienti. Ogni fine gara analizzavo le sensazioni: non erano corrette come quando mi allenavo da solo. Anche se in gara mi muovevo per solo 10 km, mi sentivo come se ne avessi percorsi 20, le contratture aumentavano e occorrevano molti giorni e tanto riposo per riuscire a toglierle, ed era proprio lo stress da gara a causarmele. Con il tempo riuscii a capirne la causa. In gara, la postura cambiava, non riuscivo a correre rilassato, le spalle sempre sollevate, le braccia non oscillavano morbide e con le mani aperte in avanti (come quelle che ha il cameriere quando porta un vassoio), la schiena rigida, i femori semibloccati e l’appoggio dei piedi sbagliato, di conseguenza a fine competizione ero a pezzi. Per quanti sforzi facessi, non riuscivo mai a concentrarmi sul corpo analizzando a fondo gli errori. Gareggiamo qualche volta, ma solo per festeggiare una non competitiva, partecipare a due o tre gare l’anno non può farci male, ma se la corsa la intendiamo solo come gara e competizione, per chi ha problemi di schiena è la cosa peggiore. Gli specialisti da me consultati dicevano che nelle mie condizioni era proibito correre. Io li ho smentiti. Spero che le spiegazioni che ho fornito siano sufficientemente chiare. Si può fare tutto, ma solo se abbiamo rispetto del nostro organismo, dei limiti che la natura ha dato a ognuno di noi. Mai superare i limiti dell’energia a nostra disposizione, andremo in deficit

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funzionale e il recupero sarà lungo e difficile, aggiungendo anche una diminuzione delle difese biologiche. Non è facile imparare ad ascoltarsi, ecco l’aiuto che può venire da questo testo, ecco il mio scopo. Voglio ora raccontare l’incontro con un personaggio che ricordo sempre con simpatia. 8- Il personaggio Una volta mi iscrissi a una gara di solidarietà, organizzata con lo scopo di aiutare un ente per ragazzi orfani. Una gara dura, con un percorso campestre di 17 km tutti collinari e, oltre tutto, organizzata in inverno, con fondo ghiacciato e fangoso, sui bordi dei viottoli c’erano letteralmente cumuli di neve. Una giornata terribile, fredda, umida, una di quelle giornate da restare a letto al caldo sotto le coperte vicino alla compagna. La passione però ci fa alzare. In questi casi nessuno è in grado di fermarci, siamo come pazzi. “Sei da ricovero” mi disse mia moglie mentre uscivo da casa felice. Fare cose che gli altri considerano eccessive ci fa sentire coraggiosi, senza timori e paure. In fondo affrontavo solo un po’ di freddo, invece sembrava che andassi in guerra. Portai i guanti quella mattina, a tutto si può resistere ma il freddo alle mani è insopportabile, (tenerle sempre calde perciò), il mio abbigliamento era l’abituale: tuta, calzoni corti, maglia a mezze maniche e guanti. Uscire mezzi nudi anche d’inverno non può far male se si prendono gli accorgimenti necessari: togliere la tuta felpata solo pochi istanti prima della gara, asciugarsi e coprirsi subito dopo l’arrivo. Avevo appena tolto la tuta, e saltellando per scaldarmi fui incuriosito dal simpatico personaggio che mi era accanto. Indossava un paio di calzoncini bianchi - non capii se erano calzoncini o mutande – e una maglia anch’essa bianca a costine. Osservai le mani, due tavole nodose grandi come racchette, le braccia abbronzate solo fino ai gomiti, più sopra bianche e rugose, magre da sembrare due rami secchi. Le gambe tozze con ginocchia semiflesse, sembravano due ceppi d’albero, spalle curve, schiena rigida. Artrosi deformante, immaginai. Aveva i capelli bianchi, quei pochi che rimanevano, e i denti argentati. Ma gli occhi erano vivi, sorridenti, vispi, come quelli di un bambino. Pensai che fosse un contadino o un pastore che aveva lasciato il gregge da qualche parte e che per passar tempo era venuto a correre. Calcolai l’età che sicuramente raggiungeva la settantina. E la cosa che mi lasciò stupefatto fu che mi guardò dicendomi: “Ci facciamo una sgambettata giovane?” Partimmo, lo seguii per vedere fin dove arrivava prima di ritirarsi, non era possibile che un vecchio così malandato potesse finire quella gara abbastanza dura. La sua postura era veramente grave, correva senza muovere il bacino e così l’appoggio diventava precario dava la sensazione che potesse cadere in avanti da un momento all’altro, i suoi piedi sfioravano il terreno e non si capiva se corresse o marciasse. Mi ero un po’ distratto nell’osservarlo, così non mi accorsi che mi aveva preso qualche metro, accelerai per non farmi distaccare, ripresi contatto. Non durò molto, lui guadagnava sempre qualche metro, e io per stargli dietro cominciai a sentirmi il fiato corto (debito d’ossigeno). Pensai: “Il vecchietto si trascina bene”. Al 5° km mi aveva preso circa 20 metri. Mi stava decisamente infastidendo. Perciò cambiai tattica, aumentai la velocità lasciandomelo alle spalle e tenendo un’andatura più sostenuta speravo di evitare la sindrome della rincorsa. La sindrome sopraggiunse: quando si ha davanti un podista che noi siamo sicuri di battere, cui tuttavia congediamo troppo vantaggio, diventiamo troppo fiduciosi e quando decidiamo d’intervenire è troppo dardi, ecco la ragione del perché poi dobbiamo rincorrere. Per sei km lo persi di vista. “Sarà scoppiato”, pensai. Il percorso davanti a me si svolgeva con una curva di 90° e nel girare lo sguardo lo vidi. A soli 50 metri da me. Fui assalito dal panico. L’emozione aumentò. Il vecchietto mi era alle calcagna. Mancavano ancora cinque km all’arrivo, non volevo vincere la gara, ma battere il vecchietto settantenne si.

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All’ultimo km me lo ritrovai di nuovo al fianco, sorridente e rilassato nonostante gli acciacchi e i dolori di cui sicuramente soffriva. “Va tutto bene?”, mi disse l’insolente. Non risposi, ero in affanno. Arrivò prima di me anche se di poco. Mi avvicinai a lui e mi complimentai dicendogli: “Bella gara nonno” Non l’ho più incontrato il simpatico vecchio. Non so chi fosse o dove vivesse. A volte mi chiedo come mai perdiamo il ricordo di persone che abbiamo frequentato per tanti anni, non richiamandone alla memoria neppure la fisionomia, e invece ricordiamo perfettamente personaggi curiosi e simpatici conosciuti il tempo di una gara. Avrei voluto incontrarlo di nuovo per conoscerlo e sapere qualcosa sul suo conto. Spero sinceramente di essere longevo come lui nel correre. Amici, lo ripeterò sempre: correre fa bene; praticate questo fitness quando potete, vi migliorerà la vita donandovi salute e benessere, seguite i miei consigli. Rispettando e rispettandovi sarete felici. Sono riuscito a convincere molti a praticare questa disciplina di vita e spero di riuscirci ancora negli anni a venire. L’emozione della gara, dunque, mi aveva di nuovo giocato un brutto scherzo, la rincorsa al “nonno”, la paura di essere battuto mi avevano tolto la capacità di controllare l’organismo. I muscoli impegnati nello sforzo necessitano di una gran quantità d’ossigeno, l’emozione e lo stress interferiscono con la concentrazione e la capacità di una respirazione adeguata togliendo energia ai muscoli delle gambe. Corriamo perciò solo per divertirci, non avremo mai infortuni di sorta e anche con gli amici usciamo in rilassatezza, parlando, godiamoci la natura, perché anche con loro può nascere competizione se non c’è rispetto, se nel gruppo di cui si fa parte c’è qualcuno più veloce, adegui il suo ritmo agli altri, ma se si è molto altruisti è meglio affiancarci al più lento. Lui ce ne sarà riconoscente, non soffrirà, e si sentirà uguale agli altri, al contrario, se forzeremo l’andatura, faremo del male all’amico costringendolo a rincorrere causandogli stress ma soprattutto lo avremo umiliato. Certo, l’agonismo è anche benefico come accennato in precedenza. Ma in competizione ognuno lavora per sé. Se non vogliamo rispettare queste semplici regole allora andiamo da soli e capiremo fin dove siamo capaci di arrivare. “Chi va di fretta, rischia di non arrivare” Capitolo VII I tormenti dell’anima 1- La compassione Per rientrare in casa, dovevo percorrere un viale per poi superare un giardino comunale, un parco abbandonato, sporco e fangoso, che era divenuto un luogo dove vari proprietari di cani, portavano i loro animali per i bisogni. Ad attraversare quel luogo si correva il rischio di portare in casa fango e sporcizia. C’era anche un altro tragitto d’affrontare per giungere a casa, ma allungavo di molto il percorso. Con tutte le cautele preferivo affrontare il giardino. Vi era una aiuola inizialmente ben fatta che l’abbandono e la non curanza avevano ridotto ad una discarica. Alberi di pino, d’acacia, di mimosa, cercavano di resistere al degrado, la mortella aveva aggredito anche alcune panchine, tanto che nessuno poteva più utilizzarle; un rampicante e un roseto, avevano circondato un piccolo pino creando un capanno naturale, l’erbaccia completava l’opera, rendono quel sito fresco e ombroso. Eravamo nel mese di giugno, un giorno passando sul luogo, notai un uomo sulla trentina, sdraiato su dei cartoni che aveva disposto come giaciglio nel capanno d’erba. Dormiva.

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Mi soffermai un istante, aveva accanto a sé un barboncino dolcissimo, che in un attimo mi ritrovai vicino scodinzolante in cerca di coccole, lo accarezzai e proseguii, provando compassione per loro. “C’e un uomo che dorme nel giardino con un cagnolino! -dissi a mia moglie- appena rientrato in casa”. Dimenticai presto l’uomo, anche perché non lo vidi più per qualche mese. 2- L’amarezza La settimana successiva, mi recai con mia moglie in città per degli acquisti. Dopo aver finito le compere, decidemmo di passeggiare in centro, per godere delle meraviglie di una Roma antica. Rilassati e a cuor leggero, godendoci una giornata tiepida e luminosa che solo giugno sa offrire, eravamo davanti ad una vetrina piena di belle cose, quando quattro donne ci circondarono. Due di loro avevano i loro figli in braccio, le altre due, giovanissime, toccandomi con insistenza, mi chiesero l’elemosina. Presi una moneta da mille lire che avevo nel taschino della camicia, e gliela diedi. Il tutto durò pochi secondi. Sparirono, noi continuammo a passeggiare, e poco dopo, mi sentii chiamare. Signore, signore! Un giovane mi veniva incontro tutto trafelato dicendomi: “signore, quelle zingarelle ti hanno rubato il portafoglio” incominciai a correre con il giovane accanto, sperando di raggiungerle. Fu tutto inutile, si erano volatizzate, non riuscii a capire dove fossero finite. Ero furibondo, non che avessi grosse somme nel portafoglio, ma avevo i documenti, sperai di ritrovarle ed ero disposto anche a lasciargli il denaro. Mi rivolsi a un poliziotto, che mi consigliò un’immediata denuncia, la giornata da luminosa si rabbuiò di colpo al pensiero del fastidio che mi attendeva per il furto dei documenti. Le odiai, era la guerra dei poveri per la sopravvivenza, io, in fondo, non me la passavo meglio di loro, con un solo stipendio, un affitto da pagare e due figli d’allevare; arrivare alla fine del mese per avere il nuovo salario era sempre difficile. Capitava a volte d’incontrare in strada gruppi di persone di questo popolo nomade e, osservandoli, si notava nel loro abbigliamento una sfacciata ricchezza d’ori e diamanti, milioni appesi al collo o infilati alle dita, e portati con noncuranza, macchine di grossa cilindrata o fuoriserie, come gli emirati arabi mi veniva da pensare. Mi restò un’amarezza nell’animo per molti mesi, quell’episodio mi aveva infastidito. Sentivo il corpo rigido e contratto, le sedute di meditazione non funzionavano bene, ero arrabbiato con tutto il mondo. 3- La serenità Dopo 15 giorni da quel giorno rividi il giovane con il bastardino di nuovo sdraiato sui cartoni. L’incontro mi giovò, il cagnolino ricordò la carezza di qualche tempo prima e venne così a prenderne un’altra. Poveraccio, questo sì che se la passa male, dorme sotto le stelle! - pensai – e proseguendo il cammino, mi accorsi che il mio organismo dopo un grosso sospiro, si rilassava, la rigidità d’alcuni giorni era scomparsa. Due avvenimenti, un opposto all’altro avevano in pochi giorni modificato la mia anima, la prima volta la avevano chiusa, la seconda la avevano aperta. Ero tornato disponibile. Arrivato a casa, dissi subito a mia moglie che lo straccione senza dimora era tornato, era in giardino sotto la pianta a dormire, allora lei preparò qualcosa da portargli. Nei giorni successivi disposi anche del vestiario in buono stato per permettergli di ripararsi dal freddo, nell’uscire per portarglielo mia moglie mi disse di passare in drogheria e comprare qualcosa per il cagnolino. Lui, ogni volta che gli portavo qualcosa, mostrava sempre una gran gratitudine, l’unica perplessità era, che non gli vedevo mai addosso, ciò che gli regalavo. “Non le indossa per conservarle per tempi peggiori”, pensai. Era sempre vestito con dei calzoni stracciati e giacca sudicia.

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4- Il furore Non lo vidi più per qualche mese. Un giorno recandomi per una commissione in un’altra città, lo incontrai in un bar. Ero entrato nel locale per un caffé quando lo vidi seduto davanti ad un videogioco ben vestito ed intento a divertirsi. Poco dopo si alzò, andò alla cassa, e si fece cambiare una banconota da centomila lire, per continuare a giocare. Non si accorse di me. Io andai via imbarazzato, volli evitare l’incontro. Ero decisamente furioso. Tornò l’amarezza e la rigidità muscolare. Erano passati otto anni dall’operazione alla schiena, periodo vissuto in piena sintonia con l’anima, il ciclo più bello della mia esistenza avendo avuto delle ricompense e delle soddisfazioni impagabili quali corsa, benessere fisico e l’apprezzamento di tutte quelle persone cui avevo dato qualche consiglio. Ma soprattutto la mia famiglia e la pace con me stesso. Non capivo cosa mi stava succedendo, la mia buona stella mi stava forse abbandonando? Possibile che due fatti, in fondo senza importanza potessero influenzare così tanto una vita positiva? Sentivo una stanchezza psicologica, ero offuscato, nervoso, arrabbiato. Non avevo mai smesso gli allenamenti, le sedute Yoga, ma non trovavo più le risposte che cercavo, e anche nel lavoro andava tutto storto. 5- La violenza Un pomeriggio, nell’uscire di casa, mia moglie mi disse che doveva uscire per delle spese e che avrei dovuto rimanere in casa fino a che nostra figlia non fosse ritornata. Poco dopo sentii suonare alla porta, andai ad aprire velocemente convinto che fosse mia figlia, e con questa certezza non guardai chi avevo di fronte, stavo girando le spalle dopo aver aperto, quando rimasi sconcertato dalla scena che avevo davanti. In ginocchio davanti alla porta, c’era un extracomunitario di colore, giovane, alto, con una capigliatura crespa e riccioluta. In mano aveva un pacco di calze di cotone sportive e offrendomele mi disse: “Ho fame, compra le calze per favore, costano poco” Ancor oggi non riesco a darmi pace per la cattiva reazione che ho avuto. Gli risposi che non volevo niente sbattendogli la porta in faccia e tornai in cucina paonazzo e tremante. Dopo un paio di minuti, un po’ pentito, tornai indietro e guardai dallo spioncino. Era andato via. Avevo la testa confusa, vuota incapace di qualsiasi pensiero, il cervello era andato fuori fase. Poco dopo suonarono di nuovo alla porta e io ebbi un sussulto, così andai ad aprire ancora perturbato. Era mia figlia. L’aggredii verbalmente: “Possibile che non portate mai le chiavi di casa con voi?” 6- La paura Lei mi guardò esterrefatta, non per la frase, ma per il modo così violento con cui urlai e per l’espressione congestionata del viso. Non mi aveva mai visto in quello stato. Aprì la bocca per replicare qualcosa ma le parole gli morirono sulle labbra, non riuscì ad emettere nessun suono. Lessi nei suoi occhi un po’ di paura. Ci volle l’intera giornata per ritornare a una parvenza di normalità, la notte non riposai, la collera era svanita ma il corpo era freddo e rigido e avevo un gran peso sull’addome. Le costole fluttuanti erano dolenti al solo contatto, il respiro ansimante e prevalentemente toracico (avevo bisogno d’ossigeno, ma non riuscivo a prenderlo, il diaframma era bloccato in alto e preso da tormenti dimenticavo di respirare, e così lunghi sospiri accompagnavano i miei pensieri)

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Mi sentivo morire, avevo capito che tutto dipendeva dalla respirazione, decisi nel bel mezzo della notte di fare una seduta di meditazione per calmarmi. Mi misi a terra accanto al letto, mia moglie dormiva tranquilla e io, al buio nella posizione del loto, cercai di ritrovarmi. I pensieri tornarono subito alla scena del giorno prima, quando l’uomo di colore chiedeva un piccolo aiuto in ginocchio, certo lui aveva trovato in quella mossa un espediente che usava a suo vantaggio, ma quegli occhi erano rimasti impressi nella mente. Occhi buoni, miti, sinceri. Erano gli stessi occhi del bastardino dello straccione, sguardi che chiedevano solo un gesto umano, in fondo lui non chiedeva l’elemosina, ma vendermi delle calze (che avrei ovviamente usato per correre) che oltre mi avrebbero fatto comodo visto che la mia scorta era esaurita. Per il mio sport preferito ne consumavo molte paia. I tormenti dell’anima mi assalirono, mi ripetevo: “Ho sbagliato, forse la colpa non è tutta mia, probabilmente i due fatti accaduti di recente sono stati la causa scatenante del mio comportamento innaturale che non ho mai avuto in tutta la vita”. Questi pensieri non mi consolarono. Continuavo a sospirare, il diaframma era sempre bloccato e non riuscivo a riappacificarmi con l’anima, così il corpo soffriva. I dolori muscolari aumentavano, tutta la cassa toracica era sofferente, mi sentivo febbricitante, sentivo freddo e il viso in fiamme. Ebbi paura, mi alzai e andai in bagno a prendere un calmante. Tornai a letto sperando di riposare e dimenticare la giornata trascorsa, fu tutto inutile, non mi addormentai, rigirandomi decine di volte nel letto non riuscii a rilassarmi, quegli occhi imploranti mi tormentavano, decisi: “Domani lo cerco e gli chiedo scusa comprandogli due pacchi di calze” La mia anima capì all’istante che quest’idea era un’espediente meschino, era stizzita e restò indignata, lasciandomi tutta l’amarezza del mondo. La mattina mi alzai distrutto, misurai la temperatura corporea - era tutto a posto- ma mi sentivo malato, ero malato. Una cosa l’intuii subito, non si era ammalato il corpo, ma l’anima, ed essendosi ammalata lei, esprimeva il suo disagio al corpo, allarmandolo. Ho avuto quel disagio per molti mesi, aspettando e cercando di riconquistare qualche merito, mi buttai sul lavoro con più determinazione, sempre puntuale, efficiente e volenteroso. Trovai qualche conforto con le mie sedute Yoga, però non tornarono a essere rilassanti ed efficaci come una volta. I tre esercizi aiutavano bene la zona lombare distendendola, così almeno per la schiena non avevo problemi, un periodo si stava chiudendo, qualcosa si era guastato e non riuscivo a rimediare. Passo altro tempo e, alla fine del 1990, ci fu una riunione di tutte le maestranze per informare i lavoratori che la congiuntura sfavorevole costringeva l’azienda a chiedere la cassa integrazione per 100 operai. Il rifugio che avevo trovato nel lavoro per la mia ansia, incominciò a mancare, non avevo particolari problemi, il mestiere che esercitavo era importante, sapevo che mai avrei fatto parte di quei 100 operai, ma la situazione di un’azienda in crisi crea panico a tutti. Così, tensioni si aggiunsero ad altre inquietudini e tutto il dinamismo, la voglia di vivere, la sicurezza, divennero un ricordo. Si avvicinava un temporale, il ricordo del periodo buio tornò dettagliatamente alla memoria. Devo aggiungere che in quegli anni appena trascorsi ero divenuto abbastanza presuntuoso. Ma in quei giorni constatai di essere di nuovo timoroso, impaurito, pronto a sacrifici e privazioni, accomodante, pronto a qualsiasi rinuncia, purché non ritornasse il tunnel. Mi ripetevo: “sarò bravo e buono, non commetterò più peccati o sbagli”. Come i bambini. Le paure per l’avvenire mi terrorizzavano, non possedevo niente, e se l’azienda avesse veramente chiuso sarebbero stati guai seri per me e la mia famiglia. Sentivo di essere l’uomo più indifeso del mondo, sempre ansioso, teso, contratto. I pensieri si rincorrevano nella testa creandomi panico, i sospiri erano divenuti abituali, a volte mi capitava di fissare il vuoto, poi mi scuotevo e sospiravo. Dimenticavo di respirare tanto ero preso dalla negatività dell’anima.

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La respirazione, è il gesto più spontaneo che possediamo, lo stress emotivo blocca questa semplice operazione. Solo il gran bisogno d’aria ci riporta alla realtà. “La domanda che occorre costantemente porsi è: sono nel giusto?” Capitolo VIII La guerra dei poveri 1. La pensione Ero prigioniero del destino, non riuscivo a correggere una situazione creatasi contro la mia volontà; incominciai a rassegnarmi agli eventi, incapace di qualsiasi reazione. Mi cadde anche un’altra tegola in testa in quel periodo così disgraziato, lo stabilimento entrò in una crisi più profonda. In fabbrica la tensione era palpabile. Noi tutti, presi dai nostri egoismi, attendevamo l’uscita della lista che ogni fine settimana la direzione affiggeva in bacheca con l’elenco delle maestranze che sarebbero rimaste a casa la settimana successiva. Restare a casa poteva essere piacevole, tranquilli e riposati. Ma era alla fine del mese che nascevano problemi, lo stipendio era decurtato. Per alcuni mesi non ci furono dilemmi, il mestiere mi consentiva una certa sicurezza di presenza, la mia opera era necessaria per il buon funzionamento dei vari macchinari. C’era molto lavoro da portare a compimento e così avevo l’orario settimanale sempre pieno. A volte dovevo fare anche degli straordinari per delle urgenze, che recuperavo poi nella settimana successiva. Non era accettabile che ci fossero operai in straordinario e lavoratori in cassa integrazione, rispettavo così l’orario contrattuale. Il mio mensile non era più alto di quello dei cassa integrati, loro perdevano il 15% dell’intero stipendio, ma restavano in casa per l’intera settimana ed era comodo, considerando che la maggioranza aveva il secondo lavoro da svolgere a tempo pieno, con degli ottimi guadagni. 2. L’invidia Per me gli straordinari erano parte integrante dello stipendio, quel lavoro extra si svolgeva principalmente il sabato o la domenica, quando gli altri lavoratori erano a riposo. Se capitava di domenica, il giorno successivo restavo a casa in vacanza, percependo un piccolo compenso come premio, ma poi perdevo (monetariamente) la giornata di lunedì. In poche parole lavoravo di domenica saltando il lunedì, per solo un 25% in più. Se invece lavoravo il sabato, non ero obbligato al recupero, che normalmente non eseguivo, guadagnando una giornata supplementare. Tutto questo portava il mio stipendio alla pari degli altri operai di produzione, e per una ragione molto semplice nel mio salario non figuravano voci quali: “Cottimi, incentivi per lavori notturni, premi di produzione”. In tempi normali, i vari stipendi erano livellati, in una fase d’emergenza come quella che stavamo affrontando la mia paga era ridotta di un buon 30%, fu un paradosso. Chi lavorava, guadagnava meno di chi restava a casa. La situazione finanziaria da precaria si fece disperata. E non solo, dovevo subire anche la derisione dei compagni di lavoro di produzione, che beffeggiandomi dicevano: “Fatti trasferire in un reparto di produzione, così potrai anche tu svolgere un secondo lavoro e guadagnare di più”. Riflettei a lungo su ciò che potevo togliere dal paniere della spesa, ma non trovai nulla da tagliare. Ricapitolando, dovevamo mangiare, pagare l’affitto, ai ragazzi occorrevano i libri di scuola e ovviamente, c’erano le varie bollette.

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Per coloro che sono a reddito fisso, togliere un 30% dello stipendio diventa una tragedia, soprattutto quando non c’è più niente di che privarsi. A volte mi soffermavo proprio su quell’aspetto, pensando che se avessi lasciato del superfluo nelle uscite delle mie risorse, ora togliendole avrei risolto il dilemma. Pensai d’impegnarmi in un secondo lavoro, ma dovetti subito scartare l’idea, la mia settimana lavorativa era piena, avrei dovuto trovarmi un lavoro notturno, ma di solito la notte si dorme se non si vuole impazzire. Solo nelle giornate di recupero potevo impegnarmi a fare qualcosa, ma di poco conto. Tempi duri si avvicinavano. Tensioni si sommarono ad altre ansie. Poco tempo dopo, una nuova assemblea sindacale fu indetta per aggiornare le maestranze dei nuovi sviluppi della crisi. La congiuntura si era fatta pesante, gli ordini di lavoro non arrivavano e così l’azienda prevedeva nuove restrizioni. Significava altro personale senza lavoro, privato di sicurezza per l’avvenire, tanto che uno dei sindacalisti presenti, ventilò l’ipotesi di una drastica riduzione di personale. L’assemblea, che fino a quel momento era rimasta calma e pacifica, si animò fino a divenire una bolgia, tutti noi fummo presi dal panico e gli egoismi presero il sopravvento creando la battaglia dei poveri. 3. Lo stress Le prese in giro nei miei confronti terminarono, sostituiti da una sorta d’invidia, erano tutti consapevoli, compreso me, che sarei stato uno degli ultimi ad essere cacciato via. La abilità nel mio lavoro mi fu utile. Certo, se la fabbrica fosse fallita, anche io avrei dovuto cercarmi un’altra occupazione, e fu a quel punto che incominciai a pensare seriamente alla pensione. Mai mi era balenata per la testa una simile eventualità, amavo troppo il mio lavoro e l’azienda in cui operavo, ma soprattutto non volevo essere emarginato a poco più di 50 anni dalla società. Mamma mia! Pensionato a mezza età, sentirsi inutili, non servire più, sedere in panchina. Che brutta prospettiva s’intravedeva. Feci comunque il conto dei versamenti accumulati, costatando che mancavano solo alcuni mesi di accrediti per il raggiungimento dei 35 anni occorrenti per avere diritto alla pensione d’anzianità. Pensai: “Male che vada, ho le spalle coperte”. Non che mi confortasse molto l’idea, ma fu di sostegno, tanto che con molta leggerezza lo comunicai a tutti i compagni di lavoro e fu un errore. Lo ripetevo a tutti quelli che mi avevano attaccato in precedenza, per il privilegio di non essere un cassa integrato, provocando in loro un senso d’invidia. Ogni azienda in crisi, usa il peggioramento dell’impresa a proprio vantaggio, cercando di risanare le finanze a spese della comunità e di togliere di mezzo le persone assenteiste, facinorose, lavative e tutti coloro che pensano che la società o lo Stato siano un ente assistenziale non rendendosi conto che lo Stato o la società siamo tutti noi. Sono molte le persone da me conosciute che non comprendono questo semplice concetto. E ancor più grave sono quei personaggi che nel lasciare il proprio posto di lavoro -felici e contenti- usano la frase: “Anche oggi ho fregato l’azienda” intendendo che avevano rubato la retribuzione non avendo combinando niente, e trascorrendo l’intera giornata a braccia conserte, non afferrando che l’azienda era di tutti noi. Erano proprio quei personaggi i più preoccupati, erano loro che l’azienda aveva nel mirino. Fui di nuovo in crisi con la coscienza, altre amarezze e tensioni, contratture, ma soprattutto sospiri e ansie. Era oltremisura. Il tempo trascorso in quella situazione di scarsa ossigenazione del mio organismo, simili completi passaggi, racconti così dettagliati, situazioni d’esistenza che ogni individuo incontra nella vita di tutti i giorni, tendono a giungere alla spiegazione chiara e corretta del metodo. Le situazioni, che immancabilmente si presentano nel percorso della vita di ognuno, devono essere ben affrontate, se vogliamo superarle senza troppi danni. Le principali malattie, le più gravi, nascono tutte da uno stress psicologico.

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Non respirare anche per solo pochi istanti, o respirare male per periodi in parte lunghi, crea scompensi organici che poi si riconducono ad insufficienze metaboliche. I veleni -radicali liberi- invadono l’organismo causando danni irreparabili. Non avevo nessuna colpa di quella situazione. Alcuni lo chiamano destino. Dovevo accettarlo. Comunque non ci pensavo minimamente a uscire dalla vita produttiva. Continuavo a sostenere quella situazione d’invidia con rassegnazione, l’unica consolazione era che la schiena si stava comportando bene aiutata dai tre famosi esercizi. A dire la verità avevo qualche timore: la rigidità delle articolazioni aumentava per le tensioni accumulate in quelle settimane. Mese dopo mese la situazione in azienda peggiorava, le notizie sindacali sempre più allarmanti causavano panico in tutti noi, sperai in una soluzione positiva a breve termine, l’ansia mi opprimeva, sentivo attorno a me rancore e odio come se la colpa di tutto questo fosse mia. Cominciarono così delle vere e proprie battaglie per salvaguardare il posto di lavoro, tutti coloro che fino allora erano felici di restare a casa in cassa integrazione per loro convenienza, iniziarono a ribellarsi sostenendo che erano sempre le solite persone a restare a casa, e che occorreva creare una rotazione per ristabilire una parità fra tutte le maestranze. Ora, tutti eravamo figli della stessa madre. La direzione aziendale fu costretta ad inserirmi nella lista di chi restava a casa, per evitare ulteriori rimostranze, ma restò solo sulla carta perché raramente mi fece rispettare l’elenco, trovando sempre un lavoro urgente da svolgere, giustificandosi che ero il solo in grado di portare a termine. Tutto questo m’inorgogliva, ma peggiorava i rapporti con i miei compagni di lavoro, decisi di recarmi all’ente delle pensioni per verificare dettagliatamente la posizione contributiva. Mi comunicarono che ero giunto sulla soglia della pensione d’anzianità e volendo dopo un mese avrei potuto dare le dimissioni in fabbrica. La notizia mi tolse tutte l’energie, lasciandomi un senso d’apatia, mi recai al capo del personale a comunicare la mia decisione sofferta e rassegnata, pensando di non avere più nessun ostacolo da superare. Mi sbagliavo 4. L’amata fabbrica chiude Il responsabile del personale usò tutti i mezzi consentiti per farmi cambiare idea, assicurandomi piena fiducia e garanzia per l’avvenire: “Sei giovane, l’azienda conta sulla tua professionalità, sei utile, conosci perfettamente il tuo mestiere, la crisi si sta evolvendo in positivo ecc.” Ad essere sincero era quello che volevo sentirmi dire, non avevo nessun’intenzione di lasciare il mio lavoro, il colloquio mi aveva sollevato e rilassato, potei affrontare altri mesi con serenità. La situazione non era però come mi aveva assicurato il capo, anzi peggiorava: molti operai anziani erano stati messi in condizione di licenziarsi con la promessa di un cospicuo premio in denaro per chi avesse accettato, trenta di loro accettarono la proposta. Così, in poco tempo divenne inquietante gironzolare nei reparti di produzione: il personale era con una scopa tra le mani o a braccia conserte, con espressione angosciata sul volto, i macchinari erano fermi, i vetri rotti e non più sostituiti, tetti danneggiati, tanto che bastava un poco di pioggia per allagare tutti i reparti. La fabbrica stava morendo e si vedeva. Tornai alla carica per le mie dimissioni con più decisione della volta precedente, convinto di trovare il capo pronto ad accoglierle, non fu così; nonostante tutto voleva che restassi, gli accennai anche al premio che aveva elargito a coloro che avevano accettato l’uscita, questa fu la risposta: “Tu vuoi licenziarti non posso impedirtelo, ma non t’aspettare pure il premio”. Feci notare che tutti coloro nelle mie stesse condizioni contributive erano stati agevolati, “perché a me no?” gli chiesi. “Il premio lo concediamo a coloro che l’azienda ritiene di dover togliere dall’organico perché danno fastidio” mi rispose. Quindi, i cattivi sono premiati purché non creino problemi e non diano fastidio, i buoni sono ignorati perché senza difesa.

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Paradossale ma vero. Chi svolge le proprie incombenze non si aspetti un riconoscimento che non potrà mai venire, la ricompensa sarà data a coloro che non hanno il senso del dovere, sperando che la gratificazione gli faccia da stimolo. Tornai in alto mare non sapendo più che decisione prendere, certo, l’incentivo mi avrebbe aiutato nella risoluzione della scelta difficile, così passarono altri mesi nella speranza di una conclusione meno drammatica della vicenda. Nel frattempo incominciai una corte spietata nei confronti del capo del personale per ottenere la buonuscita. Trascorse un altro anno, avevo raggiunto 36 anni di versamenti, un anno in più del necessario, quando ebbi la certezza che la fabbrica stava chiudendo, stavano smantellando una macchina che era il cuore stesso dello stabilimento. Mi recai in direzione e firmai le mie dimissioni, poi andai in bagno a piangere. Non ebbi nessun incentivo, dopo sei mesi la fabbrica chiuse i cancelli. La riconoscenza ha come padre l’egoismo e come madre l’ingratitudine. Ecco perché non esiste. Capitolo IX Come passare il tempo 1. Libero Il primo giorno da pensionato fu luminoso, rilassato, felice, tutti che si complimentavano con me per la fortuna capitatami, a soli 51 anni ero libero. Il secondo giorno fu meno splendente, ero a letto e riflettevo: “Ora mi alzo metto le scarpette e vado a correre -e poi?- torno, faccio la doccia ed esco a comprare il giornale –e poi?- lo leggo attendendo l’ora di pranzo –e poi? e poi? e poi?- non finivo più di programmarmi la giornata” I dubbi e le paure per il troppo tempo libero mi spaventarono, solo tre giorni prima le giornate erano piene, complete senza un attimo di libertà, ora non sapevo come far trascorrere il tempo. Ero già stanco d’essere libero. Aver lavorato per 44 anni mi aveva viziato, l’attività mi aveva contaminato tanto da non riuscire a farne a meno, pensai così di trovarmi una nuova attività da svolgere guadagnando oltre il vitalizio. La settimana successiva ero alla ricerca di un nuovo lavoro, ma non riuscii a pensare nulla che mi potesse interessare. Passò altro tempo, la noia iniziò a manifestarsi, mi consolavo con la corsa e la bici, e quando la mattina ero impegnato con i miei fitness, devo riconoscere che godevo di tutta la libertà. Era al pomeriggio che mi rattristavo l’anima. Mia moglie abituata a non avermi tra i piedi, incomincio ad infastidirsi, dovevo trovare assolutamente un passatempo per il pomeriggio. Presi l’abitudine di uscire dopo pranzo per delle lunghe passeggiate. La cittadina dove vivo è circondata da colline, cominciai così a fare dell’escursioni tra i boschi. Camminate di tre o quattro ore a volta, sempre solo con i pensieri e la natura, un’altra passione stava nascendo in me. La solitudine, il silenzio delle selve, il contatto diretto con la natura, mi donavano una gran pace, i giorni tornarono a riempirsi, mi sentii appagato. 2. Il ricatto Durò poco. Dopo due mesi l’inquietudine tornò a farsi sentire, non potevo proseguire in quel modo, la mattina la corsa o la bici, poi la lettura del giornale, il pomeriggio l’escursione; non mi sembrava abbastanza, la coscienza mi esortava a fare qualcosa d’utile. Poco dopo si presentò una occasione di lavoro in un’officina meccanica, perfetto per le mie esigenze.

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Un amico, che lavorava in quella officina mi telefonò affermando che il suo principale aveva chiesto di me e, conoscendo le mie attitudini, voleva incontrarmi per propormi un incarico. Telefonai al proprietario chiedendogli un incontro, mi presentai all’appuntamento voglioso e desideroso d’essere ancora utile alla società. Fu una delusione. Il padrone della piccola fabbrica, verificate a fondo le mie capacità, mi propose quello che avevo sempre desiderato diventare: capo di una squadra d’operai e prendere in manutenzione un cementificio. Avrei dovuto lavorare 10 ore il giorno, per sei giorni su sette. Un bell’impegno! Era un lavoro ottimo, di grande responsabilità ma soprattutto che avrebbe tolto quel senso d’inutilità che mi opprimeva. La salute ne avrebbe beneficiato. Se lo spirito era soddisfatto il mio corpo era in salute. Così, decisamente interessato dalla sua proposta chiesi quale sarebbe stato il mio onorario. Lui propose ottocentomila lire il mese, ma all’epoca un buon capo squadra guadagnava tre milioni il mese. Gli feci notare questa grossa differenza di cifre ma lui di tutto punto rispose che più non poteva e che dato che ero pensionato avrei dovuto essere pure contento di portare a casa un po’ di soldi “in più. Rimasi allibito da tanta arroganza e rifiutai senza esitazione. Uscii furibondo e con il proposito che non sarei andato mai più da nessuno a chiedere lavoro, arrivato a casa trovai una gradita sorpresa. 3. La nostalgia Il direttore dell’azienda nella quale avevo lavorato per tanti anni mi aveva cercato, pregandomi di recarmi da loro il giorno successivo. Mi recai puntuale all’appuntamento con apprensione e curiosità; mi fu proposto un lavoro d’alcuni mesi, dovevo smantellare alcuni macchinari, che io stesso avevo a suo tempo impiantato, svendevano le varie attrezzature come rottami. Accettai volentieri. Avrei rimesso i piedi nello stabilimento in cui avevo lasciato il cuore. Furono mesi splendidi; il tempo si era fermato, avevo l’illusione che tutto era tornato come prima, si realizzava un sogno (sì, perché sognavo spesso di essere sul mio posto di lavoro ed ero felice, poi svegliandomi il sogno svaniva e mi ritrovavo di nuovo triste) La prima mattina del rientro, mi alzai prima del solito, mi preparai con cura e partii diretto alla fabbrica. Ritrovai tutte le mie cose, l’armadietto, gli utensili e attrezzature, le chiavi, ero di nuovo a casa. Il lavoro durò solo tre mesi, e con gran rammarico una mattina mi ritrovai di nuovo a pensare e riflettere. “Che faccio? E poi? E poi?”. Tornò lo sconforto, volevo il mio lavoro, quella parentesi lavorativa aveva acuito il malessere; sentirsi inutili emarginati accantonati dalla società, avvilisce. Andare a riposo stanchi e anche un po’ rincretiniti può farci piacere, ma a un’età giusta, sulla soglia della vecchiaia, non come nel mio caso, a soli 51 anni d’età, con un ottimo mestiere nelle mani e con tanta voglia di adoperarsi. Rivolevo il lavoro e la mia fabbrica ed ero consapevole che ciò era impossibile, era ormai chiusa. Tornarono tensioni e nervosismi, la corsa iniziò a stancarmi, non avevo più voglia di passeggiare o andare in bici, ero depresso e amareggiato, avevo solo i tre esercizi che donavano conforto. “Ha telefonato di nuovo il tuo direttore di fabbrica!” mi disse un pomeriggio mia moglie. Partii in quarta, ci fu un nuovo lavoro da svolgere che durò quattro mesi. Tornai di nuovo in piena forma fisica dimenticando l’amarezza, ma poi anche il secondo lavoro finì e fu di nuovo crisi, teso nervoso insoddisfatto. Era chiaro che il lavoro, oltre che conferirmi dignità, agiva in me come valvola di scarico dalle tensioni; ecco dunque di cosa avevo bisogno per tornare in pace con me stesso e con tutto il mondo, dovevo trovare una risposta alle mie esigenze. 4. Superare i propri limiti Iniziava l’autunno, nel palazzo dove abitavo ci fu una riunione condominiale e la maggioranza dei proprietari decise di non usare più la caldaia centralizzata che era adibita al riscaldamento dei vari

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appartamenti. Molti di loro si erano da qualche tempo muniti di un impianto autonomo ed avendo raggiunto la prevalenza numerica fu deliberata la chiusura dell’impianto. Essendo inquilino non mi ero mai posto il quesito e neanche il proprietario dell’appartamento, così, quando lo incontrai gli chiesi quali fossero le sue intenzioni a riguardo. Mi rispose di comprarmi una stufa. E niente gli fece cambiare idea, nonostante avessi più volte tentato di sottolineare che l’affitto dell’appartamento comprendeva per contratto il riscaldamento. Mi disse di trovarmi un altro appartamento. Era meglio parlare e farsi ascoltare da un muro. La casa in cui vivevo era anche umida, essendo sotto il livello stradale, e senza riscaldamenti. Era impossibile viverci in inverno, rischiavo di far ammalare l’intera famiglia; decisi allora di affrontare la spesa dei materiali e costruire l’impianto con le mie mani. Mi sentivo in grado d’affrontarlo e avevo tempo in abbondanza, in più mi solleticava l’idea di un impegno extra capace di donarmi di nuovo fiducia in me stesso. Iniziai subito i lavori, anche perché l’inverno era ormai alle porte, sia la parte idraulica sia quella muraria. Per risparmiare sforzi e tempo pensai, essendo al pianterreno e circondato da tutto un giardino, di far passare i vari tubi di rame che avrebbero alimentato le stufe d’ogni stanza, nell’intercapedine dei muri, non creando tracce, ma solo dei fori di passaggio per i tubi. Anche se ero convinto che fosse un lavoro alla mia portata si rivelò un’impresa titanica, non perché fosse difficile, ma perché ebbi la pretesa di compierlo tutto da solo. Fu difficilissimo far passare i tubi di rame nell’intercapedine senza aiuto, dovendo spingerli prima nei fori d’ingresso, poi tirarli da quelli d’uscita. Bastava avere altre due braccia a disposizione, per compiere quest’operazione contemporaneamente e facilitare così il passaggio. Sarebbe stato utile, anche perché avrei evitato uno stress talmente forte che a sua volta mi causò un infortunio che mi avrebbe condotto a un passo dal suicidio. La sera andavo a letto stanchissimo, indolenzito, avevo smesso del tutto gli esercizi di rilassamento, pensavo solo a far passare tubi nei muri, o rompere pareti o impiantare elementi di stufa. Era una gara, una scommessa che volevo vincere a tutti i costi. L’inverno era alle porte, il freddo incominciava a farsi sentire e non volevo lasciare la famiglia per un sol giorno al gelo. L’impegno che mettevo in quel lavoro era il doppio di quello che normalmente svolgevo in fabbrica: la mattina mi alzavo stressato, con le braccia e il dorso a pezzi. In azienda avevo molti aiuti. In quel compito ero solo e volevo finirlo da solo. Furono due mesi di tiro alla fune e finalmente ai primi di novembre, a un anno dalla pensione, riuscii a terminarlo. Accesi la caldaia e collaudai l’impianto; costatato l’ottimo risultato fui pervaso da soddisfazione e presunzione. Anche se con sofferenza e un gran dispendio d’energie avevo vinto la scommessa con me stesso. 5. Riflessioni Ora voglio fare alcune considerazioni prima di proseguire. Tutti gli avvenimenti raccontati in questi due ultimi capitoli potrebbero non interessare molto il lettore; le vicende personali esposte non hanno certo l’originalità sufficiente per essere narrate, sono semplici episodi di vita di tutti i giorni, ma la loro importanza è proprio data dalla loro semplicità. La crisi aziendale, la paura di perdere il posto, i contrasti con i compagni di lavoro, l’uscita dalla vita produttiva, l’emarginazione della società, le ingiustizie della collettività, la voglia di sentirsi ancora utile, e aggiungerei anche la mancata comprensione verso quelle persone meno fortunate di noi, sono fatti di resoconto che possono portare ad una crisi esistenziale ciascuno di noi. Può essere il contadino il cui raccolto è stato rovinato da una alluvione, il commerciante che dal suo negozio non guadagna più di che vivere, o l’artigiano che non ha più ordinazioni, o un allevatore il cui bestiame è stato colpito da una grave epidemia decimandogli la mandria. Dunque ognuno di noi può rispecchiarsi in eventi simili. Quello che sto tentando di far comprendere è che questi episodi presi individualmente non danneggiano una vita, ma se avvengono tutti insieme

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in un breve periodo di tempo è tragedia, si perde la capacità di controllo delle proprie azioni. Ecco lo scopo di un racconto così dettagliato degli avvenimenti. Se non vi sono salde certezze non può esserci coraggio. Capitolo X IL Castigo 1. Il secondo guaio La confusione dell’anima si riflesse sul corpo facendogli del male, tutte le tensioni, nervosismi e amarezze che non avevo saputo controllare, mi avevano di nuovo portato sull’orlo di un precipizio. I vari episodi, lo straccione, le zingare, l’extra comunitario, la fine del rapporto di lavoro, la temuta emarginazione, avevano stressato oltre misura lo spirito, l’organismo aveva resistito, ma l’ultima fatica fisica lo aveva stremato. Erano passati due giorni da che avevo terminato il lavoro in casa, non avevo ancora recuperato la stanchezza accumulata, quando decisi di fare una corsettina per riprendere gradualmente gli allenamenti. Quella mattina non avevo voglia di correre, c’era qualcosa di strano in me, corsi lentamente per otto km, ero stanco, in debito d’ossigeno e avevo paura. Un senso di panico mi assalì di colpo. Tornai immediatamente a casa, colto da una grande spossatezza, sembrava tutto a posto ma sentivo che qualcosa stava per accadere. Il sesto senso ricordate? L’anima era in allarme, lo percepivo chiaramente, conoscevo perfettamente quelle sensazioni - c’era pericolo in vista – eppure la schiena era a posto. Che cosa era quell’ansia che mi toglieva il respiro? Mi chiamò mi moglie dicendomi: “Solleva questo cestello di biancheria e mettilo sul tavolo, così faccio meno fatica, evito di dovermi chinare per troppe volte.” Un cestello di biancheria, anche se bagnato, può pesare dieci kg, ma quella mattina in quel cestello sembrava che ce ne fossero cento di kg, perché nel sollevarlo rimasi di sasso. Una pugnalata secca sul fianco sinistro vicino alla prima vertebra dorsale mi lasciò senza fiato. “Ci risiamo” pensai, andai subito a letto. Mia moglie non si dava pace si sentiva responsabile, affermando che se lo avesse alzato lei il cestello, tutto quello non sarebbe successo, ma io sapevo benissimo che lo sforzo compiuto non era la vera causa dell’infortunio. Era solo la goccia che aveva fatto travasare il fatidico vaso. L’infortunio era stato causato da fatti e circostanze negative che fin da troppo tempo mi affliggevano. Non avevo avuto più riguardo del corpo non rispettandone i limiti di sopportazione, e per questo mi ero fatto di nuovo del male. Insomma, non basta una vita per imparare: tutte le esperienze e le riflessioni, le sicurezze e le garanzie conquistate erano saltate; tornavo improvvisamente sulla linea di partenza, fragile indifeso debole, pronto ad accettare con rassegnazione il destino. Un destino che noi stessi costruiamo, una scelta sbagliata può cambiare una sorte, una prospettiva di vita, e se le scelte sbagliate sono prese da personaggi influenti e potenti, possono peggiorare la sorte di milioni di persone. All’inizio non diedi molto peso all’infortunio, anche se appariva diverso dai precedenti, non riconoscevo il vecchio colpo della strega, era differente soprattutto quando ero a letto. Le passate crisi creavano dolore soprattutto nel movimento: il letto il quel modo era un rimedio, dava sollievo. Ora il giaciglio era un tormento. Chi conosce il colpo della strega sa che è dolorosissimo, ma una volta sdraiati il dolore si calma, e se ci si muove non l’avvertiamo più di

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tanto. In quel momento era diverso, oltre ad essere più in alto dei precedenti, il dolore persisteva anche senza movimento. Possibile che fosse uscita un’altra ernia su una vertebra dorsale? mi chiedevo. Sapevo che era un’eventualità rarissima, ma niente poteva essere escluso. Il dolore era insopportabile, sconosciuto e mai sperimentato, il dubbio allora mi assalì: era qualcosa di nuovo, mai provato, e ciò voleva dire che non poteva essere tenuto sotto controllo. I tre esercizi, lo yoga, il rilassamento, avrebbero avuto una loro validità anche in quel caso? Ci speravo La sensazione avvertita era di strappo, di ferita, di rottura. Feci comprare un cerotto da mia moglie, che lo applicò ben stretto sulla zona dolorante. Per riuscire ad avere rispetto verso gli altri è indispensabile prima di tutto aver rispetto di se stessi. 2. La depressione Rimasi a letto una settimana, e in quei sette giorni ebbi il modo di studiare i sintomi. Il dolore dorsale era fortissimo, ma non causava nessun risentimento alle gambe e non avevo difficoltà a muovermi o ad andare al bagno. Dovevo capire che cosa era successo, ero confuso, smanioso e disarmato. Concentrai l’attenzione sul bruciore, cercando nei miei ricordi qualcosa che assomigliasse a quella fitta viva, profonda, violenta, che provavo in quei giorni. Arrivai alla conclusione che quel dolore così intenso, somigliasse molto allo spasmo acuto dell’operazione subita anni addietro. Avere un taglio lungo venti cm sulla schiena e starci supini a letto (perché è l’unica posizione consentitaci dopo un’operazione d’asportazione di tre ernie del disco) mi aveva dato le stesse sensazioni e risposte che avevo il quel preciso momento, conclusi così che anche dopo molti anni trascorsi dall’operazione, qualcosa si era riaperto, strappato, spezzato. Cambiai di nuovo il cerotto visto che era l’unica cosa che mi dava reale sollievo. La visita che fece il medico di famiglia (dopo qualche giorno dall’incidente) non avvalorò la mia tesi, al contrario diagnosticò una semplice lombalgia da sforzo. Disse che era tutto a posto,e che sarebbero bastati alcuni giorni di riposo perché tutto ritornasse alla normalità. Mi disse anche che il cerotto che stavo usando era inutile. Nonostante gli dissi che ciò che sentivo non era una solita lombalgia, ma che anzi non riconoscevo nessuno dei sintomi, continuò ad insistere sul riposo. Un po’ infastidito prese il ricettario e prescrisse la classica cura antinfiammatoria. Finito di scrivere si stava quasi per alzare e andar via quando, ripensandoci un attimo e forse anche per volere l’ultima parola sull’argomento, sentenziò: “Con la schiena che ti ritrovi, questi disturbi sono normali, anzi puoi accontentarti, c’è gente nelle tue stesse condizioni che non vive!” Devo dargli atto che, essendo i sintomi simili, conoscendo la mia storia, e avendo viste le radiografie della mia schiena, per lui non potevano esserci dubbi. Mi sentii sollevato, in fondo lo stimavo e forse aveva ragione lui, non usai più il medicamento locale e rimasi a letto per altri paio di giorni, poi sentendomi meglio cominciai ad alzarmi, il dolore non era scomparso, ma certamente meno intenso dei giorni trascorsi. Tornai lentamente alla vita di tutti i giorni, la mattina uscivo da casa e, passeggiando, raggiungevo l’edicola ad acquistare il quotidiano, correre neanche a pensarci, sapevo perfettamente che mi era proibito. Dopo 15 giorni stavo bene, era rimasto solo un fastidio costante fisso, all’altezza dell’undicesima vertebra dorsale. 3. Il prezzo dell’esperienze Per capire e completare il metodo, è importante questa nuova esperienza!

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Dopo venti giorni tornai a eseguire i tre esercizi, supino a terra provai la torsione lombare, girai le gambe a sinistra lentamente e ascoltai le risposte del corpo: tutto normale. A sinistra le ginocchia arrivavano al pavimento senza causare tensioni. Provai a girare le gambe a destra, e allo stesso modo ascoltai le risposte. Avevo appena iniziata la rotazione, che la risposta dell’organismo fu immediata, una tensione dolorosa e sconosciuta non mi consentiva di far scendere le gambe sulla destra. Non appena abbandonavo la verticalità delle gambe una fitta si piantava sul basso dorso. Riprovai varie volte, sperando che la tensione scomparisse, come normalmente avveniva, ma non ci fu verso, il dolore diveniva sempre più acuto. Fui preso dal panico e cercai di calmarmi per riflettere. Le volte precedenti, anche nei periodi più gravi, dopo dieci rotazioni delle gambe riuscivo a ottenere qualche sollievo, mentre in quel momento, sicuramente più in buona salute che in passato, non riuscivo neanche a ruotarle di pochi centimetri. Stavo letteralmente perdendo la testa non riuscendo a capire cosa mi era accaduto. Decisi di insistere ulteriormente anche se con molta cautela per cercare di togliere il blocco, ma fui costretto a sospendere la seduta immediatamente, perché il dolore oltre che aumentare nel momento della giravolta, non andava più via nell’attimo in cui le gambe tornavano nella posizione di riposo. Passò qualche ora dalla sospensione della seduta, e la sofferenza dorsale non era rientrata, sentivo la zona bruciare e il male aumentare ulteriormente, eppure non avevo fatto niente. Niente esercizi, niente posizioni Yoga, avevo solo cercato senza riuscirci di girare le gambe a destra, e il giorno successivo stavo ancora peggio, la sofferenza era evidente, mi si leggeva sul viso tanto che mia moglie si mise subito in apprensione. Non era solo la sofferenza fisica che mi sconvolgeva, ma soprattutto la consapevolezza che non avevo nessun’arma per difendermi, i miei esercizi mi facevano star peggio, (chi potrà, aiutarmi?) Fui pervaso dalla paura, sospesi tutto per una settimana, il dolore diminuì, la tensione restò, nel frattempo ebbi un’altra risposta negativa: bastava stringere le mani e usare i muscoli prensili delle braccia per avere una fitta. Provai di nuovo gli esercizi, cercai di far girare le gambe sulla destra per alcune volte, ma dovetti desistere, stavo tornando indietro di nuovo. Il dolore tornò vivo, forte e insopportabile, mi sentii smarrito, sapevo, conoscevo l’importanza dei tre esercizi per il mio benessere ma era trascorso un mese ormai senza che potessi eseguirli, così cominciai ad accusare altri disturbi che conoscevo bene (le contratture lombari che portano inevitabilmente al fatidico colpo della strega). Lo stress stava impadronendosi del cervello. “Se non faccio le mie sedute di Yoga ho problemi sulla zona lombare, se li eseguo ho seri disturbi sulla zona dorsale. Accidenti. E ora che faccio?” Dovevo fare una scelta e non fu facile, alla fine scelsi quella che ritenevo la meno peggio, e cioè di non fare gli esercizi. Preferivo avere la lombosciatalgia che la persistente sensazione di corpo estraneo sul dorso, con la mia vecchia patologia avevo imparato a conviverci, mentre a questa sconosciuta sofferenza fisica ero impreparato. C’è un proverbio che dice Il peggio non è mai giunto. Mi ero illuso d’averle passate tutte e di essere divenuto resistente a qualsiasi avversità. Il peggio sopraggiungeva ora. 4. I Cosiddetti specialisti Tornai dal medico curante, sicuro di convincerlo a trovare una risposta al mio malessere, al contrario fu irremovibile, confermò la sua diagnosi e, seccato, mi congedò ridicendomi: “Sei diventato esagerato e pauroso, stai invecchiando”. Stizzito per la risposta, cercai subito uno specialista famoso di cui avevo sentito dire un gran bene il quale mi fisso un appuntamento per la settimana successiva. La sua parcella era molto alta, e ciò in un certo senso mi rincuorò, pensando che per chiedere tutto quel danaro doveva sicuramente essere un esperto e infallibile luminare. Per la salute non si bada a spese.

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Mi recai da lui con molta fiducia e speranza, convinto che quella era la volta buona per risolvere tutti insieme i miei problemi, portando le radiografie e le analisi che avevo eseguito. Era una persona seria, che incuteva rispetto e timore, osservando le pareti del suo studio si potevano ammirare un’infinità d’attestati e riconoscimenti. Mi sottopose a una visita scrupolosa e attenta, cercai in qualche modo di esprimere un pensiero ma non mi diede l’occasione. Ero teso e tremante, un po’ per l’apprensione della diagnosi, ma soprattutto per la deferenza che il personaggio provocava. Finita la visita, mi fece attendere in salotto affermando che doveva consultare tutti i referti che avevo portato. La diagnosi: l’operazione che avevo subito nove anni prima mi aveva invalidato la zona sinistra del dorso, gli esiti dell’ampia emilaminectomia sinistra L3, L4, L5, e le conseguenti calcificazioni del legamento longitudinale, con il trascorrere del tempo, avrebbero portato a una insufficiente risposta funzionale sul lato sinistro dell’organismo. I consigli: “Fare molta attenzione ai carichi, niente lavori manuali, niente sforzi, non alzare pesi, altrimenti la degenerazione dei tessuti legamentosi e tendinei peggiorerebbe rapidamente portandoti ad un’invalidità permanente, ma se fai molta attenzione forse riesci a ritardare questo processo involutivo.” Fantastico! Tutto a un tratto mi vedevo sulla sedia a rotelle. Altro che correre. Per un attimo mi sentii mancare, non percepii suoni, voci o rumori, lo sguardo si indirizzò fisso su un punto della parete non so per quanto tempo, e non fui capace di pronunciar parola o di formulare un qualsivoglia concetto sensato. In fin dei conti quel tipo era l’autorità. E le sue parole suonavano come una sentenza definitiva. Ero spacciato. L’illusione di essere guarito svanì rapidamente, tornavo a essere un invalido, con tutti i suoi limiti, avevo chiesto troppo al corpo, e ora ne pagavo le conseguenze. Andai via convito della spiegazione ricevuta, pagai la salatissima parcella e mi avviai verso casa. Lungo il percorso, riflettevo e analizzavo il mio stato d’animo. Ero demoralizzato per l’accertamento, ma sereno della realtà, finalmente, anche con tutta l’amarezza, avevo una diagnosi precisa, conoscevo perfettamente i limiti dell’organismo (che praticamente erano poco sopra lo zero). Nelle condizioni come quelle che stavo vivendo in quel periodo, il pensiero corre subito a qualcosa di più tragico, una malattia incurabile, la morte, la fame nel mondo, qualunque cosa che ci faccia sentire meglio rispetto al nostro problema, che al confronto non è così grave come uno tsunami o le guerre. Il luminare invece mi aveva rincuorato, alla fine non avevo niente di grave (in questi casi di solito ringrazi il Padreterno) pensando che anche quella l’avevo scampata. E meno male che non avevo aperto bocca, se gli avessi raccontato della corsa, della voglia di fare una vera maratona, dei carichi di lavoro affrontati negli anni passati , mi avrebbe liquidato all’istante e schedato sul suo prezioso registro come folle incurabile. Dunque aveva ragione anche il mio medico curante, nonostante non mi avesse dato delle spiegazioni adeguate, diceva in fondo la stessa cosa dello specialista. Erano trascorsi due mesi da che avevo alzato quel cesto di biancheria, e quel poco tempo trascorso avevano già fatto di me un vecchio, tutti i risultati conquistati negli anni con l’esercizio fisico erano scomparsi. Mi dedicai unicamente a sedute di meditazione, la corsa era un ricordo, le posizioni Yoga proibite, dei tre esercizi potevo svolgere solo quello che ho descritto precedentemente, cioè quello assegnato al terzo gruppo di persone. Ero ormai rassegnato: appartenevo proprio al terzo gruppo, e non mi riusciva più di guadagnare una posizione. Tentavo spesso la torsione a destra, ma ogni volta ne pagavo le conseguenze con giorni e notti di sofferenza. Ricordate cosa ho consigliato nelle pagine precedenti?: se si ha una crisi dolorosa eseguire solo la torsione delle gambe ed evitare la distensione. Io non riuscivo a fare neppure quest’ultima, o ci riuscivo solo a metà, perché a sinistra potevo ruotare le gambe ma a destra no.

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Gli altri due esercizi non creavano grossi risentimenti, ma non erano neanche determinanti per i miei riscontri. Di una cosa ero certo, nel momento in cui sarei riuscito a torcere le gambe a destra, avrei potuto considerarmi guarito. In una delle sedute di meditazione, volli ripercorrere con il pensiero gli ultimi avvenimenti, certo l’operazione mi aveva invalidato, ma la repentina degenerazione era avvenuta nell’eseguire il lavoro in casa, nello stendere i tubi in rame, nel forzare con le braccia (come al tiro della fune) forse avevo allentato i legamenti articolari delle costole già traumatizzate dall’operazione. Mi concentrai sulla zona interessata, nella posizione del loto con la schiena poggiata alla parete, occhi socchiusi, tentai di estraniarmi da qualsiasi pensiero. Ero padrone della tecnica, così riuscii a entrare facilmente nell’organismo. Analizzai le risposte: il respiro era insufficiente, non distendevo il diaframma. Tentai di eseguire una respirazione completa e controllata, ma a ogni inspirazione la fitta sul dorso aumentava, invece nella successiva fase di espirazione diminuiva. Fu una rivelazione che mi offrì una miraggio di controllo sulla malattia, la sensazione era di presenza di un corpo estraneo, o come di una struttura che occupasse una zona non sua. Cercai di riportare la respirazione diaframmata nella norma, erano trascorsi quattro mesi da quando non avevo più controllato quest’aspetto importante, ma con amara sorpresa costatai di non esserne più capace, il persistente dolore m’impediva una sufficiente ossigenazione. Ecco perché, ero invecchiato di venti anni in poco tempo, meditai subito di eseguire la respirazione completa tutti i giorni. Quel giorno rimasi per un’ora intera a compiere quest’operazione, sperando di aver trovato una soluzione. Mi sbagliavo, il giorno successivo stavo peggio, anche solo respirare profondamente mi faceva male. Tornò lo sconforto: “Se non posso aiutarmi neanche con la respirazione, come posso sostenermi? Che cosa può difendermi?” Un brivido negativo scosse tutto il corpo, un fremito che non usciva dall’anima per spandersi nel fisico donandogli benessere, ma un sussulto che uscendo dall’organismo entrava nello spirito sconvolgendolo. Imparare a riconoscere la differenza tra le due percezioni, può fornirci un vantaggio di risposta e di difesa nei momenti negativi. Essere in grado di ascoltarsi è un privilegio che dobbiamo conquistare attraverso una disciplina di vita, imperniata soprattutto nel rispetto e nella tolleranza del diverso. 5. La disperazione La negatività uccide, toglie la voglia di vivere, la forza di lottare, e ci lasciamo andare rassegnati, Ero in pericolo. Mi sentivo in pericolo. Le sofferenze patite negli anni passati sembravano poca cosa rispetto a quella nuova situazione. Non avevo dolori sconvolgenti come quelli provati per l’ernia, ma quella spina sul dorso che per dodici volte al minuto entrava e usciva sul fianco sinistro mi faceva impazzire (dodici volte sono le inspirazione che normalmente un individuo compie in un minuto). La disperazione maggiore era che non intravedevo vie d’uscita, pensavo di dovermi tenere quel fastidio per il resto della vita. Una cosa apparentemente insignificante mi stava devastando l’anima. Dovevo capire, studiare il modo per riuscire a convivere con quel nuovo guaio, nessuno fino a quel momento era riuscito a darmi un aiuto, una risposta, un consiglio o una strada da seguire. Riflettevo: “Forse lo specialista (ortopedico) da me consultato non era adatto alla patologia, potrebbe essere un problema nervoso…perciò è meglio consultare un neochirurgo” Decisi e cercai il migliore della provincia ottenendo un appuntamento per la settimana successiva.

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Partii per quell’ulteriore consulto con rinnovata fiducia portando con me tutte le cartelle e analisi. La parcella fu doppia della prima e costosa visita con l’altro specialista. E anche l’angoscia fu doppia, perché confermò la diagnosi precedente. Tornai a casa sfiduciato, annichilito, non avevo vie d’uscita, non c’erano cure, niente poteva aiutarmi. I vecchi disturbi dell’ernia lasciavano sempre una speranza di guarigione, nelle visite a cui mi sottoponevo spesso prima dell’operazione i vari specialisti confermavano sempre l’esistenza di una risoluzione tramite operazione. E io avevo bisogno di quello. Ora mi dicevano che la malattia si era cronicizzata e che non si poteva intervenire in nessun modo. Avrei dovuto rassegnarmi. Immaginiamo meglio un individuo con l’equivalente di pugnale conficcato sul dorso a cui si dice “devi tenertelo per sempre”. A questo punto o ci si rassegna, oppure si cerca da soli la possibilità di una via d’uscita. Io sono sempre stato testardo. Chiesi aiuto di nuovo alle sedute di meditazione. Riflettei così su tutti in quesiti che si erano presentati fino a quel momento. Era chiaro ormai che la torsione delle gambe creava malessere per qualche giorno mentre la respirazione profonda mi faceva addirittura star peggio, provocando dolori maggiori e risentimento per una settimana; per tal motivo respiravo a metà per non star peggio. Quel giorno decisi di concentrare il pensiero sul dolore e, poggiando una mano sopra la parte, scoprii una novità. Ad ogni inspirazione percepivo un cigolio sul palmo della mano, aumentai l’attenzione e mi sembrò addirittura di sentire un fischio, un sibilo o qualcosa di simile. Mi alzai da terra (ero nella posizione del loto) e andai a chiudere porte e finestre della stanza per ottenere un totale silenzio nel tentativo di riuscire a capire bene quel suono. Tornai a sedermi e ad ascoltarmi. Ero certo, sentivo chiaramente un suono in ogni inspirazione, simile al rumore che può produrre un cardine ossidato di una porta. Ebbi un dubbio: “Forse il cigolio esiste anche a destra?”. Poggiai la mano sulla destra per verificare. Niente, da quel lato non si udivano suoni, il rumore era solo sulla sinistra. Restai per un’ora a controllare, spingendo il solo pollice della mano sul dorso, notai così che c’era un osso che andava avanti ed indietro che produceva quel suono. Ritornai di nuovo sulla destra per fare anche questa verifica, l’osso oscillava anche da quel lato ma molto meno e non produceva suoni, andai a controllare subito l’enciclopedia del corpo umano per capire cos’erano quelle ossa. Appresi così che l’osso che oscillava era l’undicesima costa, una delle due costole fluttuanti alla cui estremità è legato uno dei tendini del diaframma muscolare. Fu una scoperta che riaprì una speranza. Ecco la ragione del perché, la respirazione profonda mi causava un maggior dolore nel distendere il diaframma tutto in basso e portava l’undicesima costola fuori del suo naturale spazio causandomi un’infiammazione perenne all’articolazione della stessa costola. Appariva evidente che l’undicesima costola fluttuava troppo. Era una mia certezza ed ero sicuro di aver trovato una spiegazione. Così. Con rinnovata fiducia e un pizzico di presunzione andai nuovamente dallo specialista e gli raccontai le mie scoperte implicitamente affermando la sua inadeguatezza . Ma lui imperturbabile e sorridente mi ribadì la sua diagnosi: correvo troppo con la fantasia. Ma per tranquillizzarmi mi prescrisse un esame diagnostico nuovo per quegli anni ma che oggi è di pratica comune, la T.A.C. L’attesa fu lunga e finalmente dopo quattro mesi fui ricoverato all’ospedale per l’esame, attesi con trepidazione la diagnosi esatta, per avere così l’opportunità di trovare un rimedio. L’esame delle radiografie computerizzate si rivelò deludente. Rivelava una sclerosi nelle articolazioni delle coste fluttuanti, spiegate come normali vista la ma età. E il mio stesso specialista ci vide la stessa cosa. Ma lui me lo aveva detto. Già. Ora potevo smettere di fargli perdere tempo prezioso!

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Ma per me non era facile. Ormai era un anno che convivevo con una costante sensazione di lacerazione sul fianco. La notte non riposavo bene, non potevo adagiarmi sul lato sinistro e neanche supino riuscivo a prendere sonno. La mattina mi alzavo più stanco della sera precedente. Riuscivo a dormire solo un paio d’ore a notte, passando le ore insonni a fissare la finestra seduto sul letto nella speranza di vedere presto le luci dell’alba. E’ inutile dire che la mattina non era poi come avrei voluto. Di correre neanche a pensarci. Niente lavoro. Niente altro da fare che il nulla, appunto. Sembrava che la giornata fosse diventata non di 24 ore ma di 40. Tra la prima colazione, appena il sole spuntava, e il pranzo c’era un lasso di tempo interminabile. Contavo le ore fino al pranzo e da quello in poi fino a cena. Ero diventato un orologio! Presi l’abitudine di passeggiare un po’ andando fino alla cascata ai confini della cittadina dove vivevo. La zona era in periferia e non passava nessuno per quei luoghi, così ero solo con i miei pensieri a osservare, affascinato, la gran forza della natura; mi trattenevo a volte per delle ore a fissare quel salto di 130 m che l’acqua compiva, restando stregato e incantato dal precipizio. E piangevo. Piangevo senza ritegno, lasciando che le lacrime bagnassero la balaustra di protezione del precipizio. Nessuno poteva vedermi, così scaricavo tutte le tensioni accumulate con il pianto, rimanendo a fissare i vortici senza mai battere ciglio per uno spazio senza tempo. Consapevole di essere sul bordo di un precipizio non solo fisicamente, ma con tutto lo spirito, tutto il mio essere era attratto dalla voglia di risolvere il problema che mi tormentava da tanto tempo. In quel momento sentivo che non c’era risoluzione al dilemma, perciò, anche se in un modo drammatico, quella poteva essere un soluzione. Poi rinsavivo, e distogliendo lo sguardo da quell’attrazione fatale, sospirando, andavo via. Ricordate? Per non soffrire siamo disposti a rinunciare a tutto, anche a vivere se questo è il prezzo da pagare per non patire. 6. Il desiderio di commiserazione Piangere fa bene, anche se per alcuni maschi può sembrare poco dignitoso. Aiuta a scaricare tensioni e nervosismi, così riuscivo ad avere un pur piccolo sollievo, e il giorno successivo ero di nuovo sul precipizio a piangermi addosso. Le notti senza sonno continuavano e iniziavo ad avvertire che il dolore era presente anche più in basso di prima, verso il colon. E col tempo divennero più intensi soprattutto in basso. Tornai dal mio dottore curante. Mi presentai con vergogna, e lui fece la sua parte accogliendomi molto seccato. Per lui ero un altro, semplice, malato immaginario. Continuava a ripetermi che il problema principale era la mia mente e in effetti anche io ne ero convinto, ma non per gli stessi motivi. Mi ero ammalato di depressione causa il dolore e non il contrario. Il corpo al culmine della sopportazione fisica si stava sottraendo alla psiche togliendogli coerenza e armonia. L’equilibrio mentale era compromesso, i pensieri erano esclusivamente negativi da ormai troppo tempo e io non vivevo più. Mi prescrisse un digerente. Inutile. Passò così agli antidepressivi e ai sedativi. Incominciarono gl’incubi. I suoni, le luci, la realtà cambiarono aspetto, tutto era distorto ovattato offuscato, divenni un automa, non riuscivo più neanche a recarmi a piangere sul bordo della cascata. Lo sguardo divenne fisso e inespressivo, tornai a trascinare i piedi e niente aveva più senso, non c’era nessuna cosa capace di farmi rialzare la testa. Ciò che ora mi imbarazza maggiormente -nel ricordare- è dover ammettere che avevo perso tutta la mia dignità e decoro; ero diventato un essere perennemente in cerca d’aiuto, tutti coloro che mi

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conoscevano si erano stancati di me, delle mie lamentele, della continua ricerca di comprensione e disponibilità da parte degli altri. Le persone mi sfuggivano per non subire le mie lagne e piagnistei. Ma io sono caparbio e facevo in modo che nessuno mi sfuggisse. Dovevo sfogarmi continuamente con qualcuno. La mente era divenuta furba e fine, quando ero in compagnia di qualcuno mostravo indifferenza e pacatezza nei discorsi, su qualsiasi argomento, ma appena mi era possibile riuscivo sempre a deviare la conversazione sul mio soggetto preferito. Me. Andavo in giro sempre con gli esami medici, tutte le varie analisi che avevo eseguito, elenchi di medicinali e li mostravo sfrontatamente al mio interlocutore aspettando un parere, un consiglio. O quantomeno una camicia di forza. Avevo un solo pensiero nella vita ormai: la malattia che mi stava conducendo alla follia. Avrei volentieri accettato pareri anche dall’ultimo uomo sulla terra. Le persone a me più vicine iniziavano a mostrare insofferenza per il mio atteggiamento. Avevano anche ragione ma per come la vedevo io stavo vivendo un momento difficilissimo senza sentirmi aiutato. Allora ci pensavo da solo. Valutavo i cambiamenti anche lievi dell’intensità della fitta che avvertivo. E in effetti col tempo era mutata. Se inizialmente era un intenso e lancinante bruciore, si era trasformato in una fastidiosa sensazione di costante pressione sul fianco. Quindi da “bruciante e incontrollata lacerazione” era passata a “fastidio intollerabile e costante”. Era un buon segno. No? In ogni caso non potevo praticare gli esercizi, lo yoga, la meditazione. Almeno non ci riuscivo. Ciò che iniziai a fare, invece, fu mettere ordine nei miei appunti, sparsi in diversi taccuini, parte dei quali sono raccolti in questo libro. E l’idea di aiutare gli altri torno ad affacciarsi nella mia mente. Sia chiaro che non lo dico per cercare plausi. Il mio era un interesse prettamente egoistico. Cioè, certo che trovavo gratificazione nell’essere di aiuto alle persone a me vicine, solo che, e questo devo ammetterlo, lo facevo principalmente per aiutare me stesso. Per distrarmi e non pensare ai miei malesseri, per aiutare me stesso tentando di risalire la china. L’idea mi piaceva. Il peso nel cuore diminuì. Mi dedicai alla scrittura e nel contempo feci i primi tentativi di riacquistare le forze frequentando una palestra. Non essendo più stato capace di allenarmi in casa fu motivo di maggiore svago e distrazione e impegno. E fu proprio in palestra che trovai materiale per il mio egoismo. Tutte le persone che la frequentavano avevano bisogno di consigli e spiegazioni per il loro star bene e io gli fornivo il metodo per trovare risposte. Frequentare la palestra mi permise di conoscere svariati personaggi con i loro problemi, e ciò risvegliò in me interesse e partecipazione; improvvisamente mi resi conto che il problema che avevo era poca cosa rispetto a quello degli altri. Tornò un po’ di positività dell’anima, non ero più così angosciato, il malanno esisteva dolorosamente ancora, la notte tornavano gl’incubi, ma almeno al mattino mi alzavo con un compito da svolgere. Da qualche parte c’era sicuro qualcuno ad attendermi per avere conforto. Questo che mi dava la forza di proseguire. 7. Considerazioni Questo può essere il sistema, la maniera per risalire dal baratro in cui si è caduti. Ascoltare, interessarsi ai problemi degli altri, cercare di aiutare chi sta peggio di noi è il solo modo per dimenticare i propri guai. Nel percorso della vita ho incontrato varie abissi nei quali sono caduto fino a toccare il fondo. Ma sono sempre riuscito a risalire anche se con molta fatica. Ho perso il conto ormai di quante volte sono precipitato. La decisione di fare di me stesso una specie di “sentinella” in guardia lungo il percorso in cui ciascuno di noi potrebbe trovarsi nel corso della vita era presa. E per chi si stesse chiedendo se

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avessi intenzione di indossare anche mantello, maschera e costume, no. Tuta e scarpe da ginnastica erano più che sufficienti. . Una grande sofferenza dona una grande volontà.

Parte seconda Capitolo I Il seme che è in noi 1. La ricompensa Come ho già accennato in precedenza nei mesi trascorsi con il persistente dolore sul fianco, passavo molte notti sveglio in meditazione cercando un po’ di sollievo. Lasciavo che i pensieri si rincorressero liberi per permettere piano piano alla mente di isolarsi dal corpo. Ciò che io chiamo la separazione del corpo dall’anima è una procedura di meditazione personale: occorre orientare la mente su l’Esistenza, sul Creato, sull’Eterno. Una notte particolarmente sofferta in cui restai molte ore in estasi, meditai sul nostro creatore. Mi rialzai all’alba e, senza fare altro, mi sedetti a scriver quanto segue: 2. Mente universale Dio ha donato a ognuno di noi una piccolissima parte di se stesso illuminandoci lo spirito. Miliardi e miliardi d’individui hanno calpestato la terra nel passato, la occupano nel presente, ne saranno ospiti nel futuro. A ciascuno di questi esseri il creatore ha offerto una cellula della sua essenza come faro di guida, rendendoci luminoso il percorso della vita. Quanti scienziati, filosofi, matematici, sono vissuti nei secoli? Quante risorse, scoperte, soluzioni sono state concepite dalla mente umana? Quando sapere, conoscenza, rimedi hanno permesso all’umanità il progresso? Tutto questo grazie all’intelligenza dell’entità che è passata attraverso il tempo nel mondo. Il Padreterno si priva di un suo seme, per offrirlo a ogni vita che nasce; senza questo germe non c’è esistenza, né realtà. Non basta tutto l’universo per contenere tutte le semenze che lui possiede. Queste cellule del sapere che Lui elargisce a piene mani, sono una piccolissima parte del suo patrimonio. La distribuzione sembra inarrestabile. Quante migliaia di secoli passeranno ancora? Quanto sapere deve essere ancora elargito? Quanta cultura deve essere donata? A quando la verità? In ognuno di noi dunque, c’è una piccolissima parte dell’onnipotente, per questo esistiamo. Quanta grandezza è immensità di sapere c’è in questa mente universale? Che nonostante la continua emorragia cui l’Altissimo si sottopone, rimane appena scalfita nella sua interezza. La fine del ciclo non sembra che sia nell’aria.

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Immaginare una fase di scadenza in cui Iddio smetta la donazione per esaurimento delle scorte, e decida di chiudere la serie, riportando a se tutti i semi elargiti, per poi iniziare una nuova sequenza, pone una gran riflessione: nell’istante in cui tutto torna a Lui, quando è grande il suo intelletto? Eccola la sua vastità, questo è l’infinito. Più sei felice, meno sarai malato… Più ascolti il tuo corpo, più resterai sano. 3. La diagnosi Tornando alle mie vicende con il dolore sul fianco, trascorsero fortunatamente alcuni mesi meno pesanti quando, un giorno, capitò qualcosa che mi permise di capire e risolvere il problema che m’assillava da ormai tre anni. Normalmente nelle palestre le pareti, sia della sala attrezzi, che quella degli spogliatoi, sono tappezzate da specchi. Uscendo dalla doccia un giorno e passando davanti a uno specchio, mi cadde lo sguardo sulla mia schiena, riflessa dallo specchio che avevo dietro; potei così notare che sulla zona sinistra dolorante, c’era una specie di avvallamento, un buco che la parte destra non presentava, ed era anche molto evidente. Dopo un esame più attento, mi accorsi che la fascia interessata presentava attorno alla cavità un rigonfiamento, come se le fibre muscolari mancanti dal buco fossero finite attorno ad esso. La zona corrispondeva alla parte inferiore del gran dorsale. Fu una rivelazione, ormai ne ero sicuro. Il problema era interamente muscolare. Per l’ennesima volta, tornai dall’ortopedico, ma senza ottenere quello che volevo, cioè una diagnosi precisa (il dubbio della sua incompetenza, cominciò a nascere in me) sottolineò: “Se la T.A.C. non ha rilevato niente, non c’è niente da rivelare”. Non mi convinse, sentivo che questa volta avevo ragione, lui non era in grado di aiutarmi, di darmi un indirizzo da seguire, una diagnostica da proporre. La fortuna tornò dalla mia. Dopo qualche settimana la voglia di conoscenza, il continuo desiderio di risposte, mi condussero finalmente sulla strada da seguire. Non c’era rivista o quotidiano che non offrissero un supplemento di medicina, con consigli e suggerimenti da seguire per la buona salute. Leggevo tutto quello che mi capitava a riguardo, niente sfuggiva alla curiosità, e fu proprio uno di questi supplementi che offrì le risposte agli interrogativi non risposti. In uno degli articoli del giornale si dava gran rilievo all’ecografia come diagnostica negli infortuni sportivi. Gli strappi, le distrazioni, gli ematomi, trovavano immediata risposta in quel semplice esame. Non vedevo l’ora di recarmi all’ospedale ad effettuarlo. Il giorno successivo ebbi un’amara sorpresa: l’ospedale non aveva la sonda adatta per quel tipo di esami muscolari; mi dissero di rivolgermi a un centro sportivo. Rimasi sbalordito! Bisognava essere sportivi per usufruire di quell’esame, ecco perché nessuno me lo aveva proposto tra i vari luminari cui mi ero rivolto! Probabilmente non lo conoscevano. Dopo varie e difficili ricerche, riuscii a trovare un centro privato in grado di eseguire l’ecografia, e finalmente ottenni la diagnosi, a tre anni dall’infortunio. In pratica avevo un buco sul muscolo largo tre cm. e lungo due, proprio in corrispondenza dell’apice dell’undicesima costola, la costa fluttuante. Ecco perché la respirazione profonda mi sconvolgeva! A ogni inspirazione l’apice esterno della costola, non essendo ancorata da nessuna parte ma solo portante di uno dei tendini del diaframma, penetrava nella ferita impedendogli la ricostruzione delle

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fibre muscolari; il pugnale conficcato perennemente sul dorso. Ecco perché il cerotto mi dava sollievo! Impediva alla costa di fluttuare oltre misura. Ed ecco perché sentivo cigolare! Non essendo ben tenuta dalle fasce muscolari, in realtà mancanti, la costola si articolava più avanti del dovuto. Certo la mia schiena era un colabrodo. Ma l’avevo suggerito a tutti i professoroni: “mi sono strappato”. Se avessero avuto meno presunzione e superbia, ma soprattutto conoscenza del progresso ottenuto dalla scienza medica, non avrei sofferto così tanto. È nostro dovere essere attenti, se vogliamo salvaguardare la nostra salute; dobbiamo imparare a difendere il corpo che ci è stato affidato, da tutto e da tutti. Se non siamo soddisfatti dei vari consulti a cui ci sottoponiamo, dobbiamo cercare, cercare, e cercare ancora, fino a quando non troviamo la persona in grado di darci la risposta esatta o quantomeno la più veritiera. E se lo specialista è in gamba lo sapremo istintivamente. Lo si riconosce dal fatto che sa ascoltare, è una persona affabile, sempre aggiornato perché ama il suo lavoro, sa discernere tra le fantasie del paziente e la reale situazione che si presenta alla sua attenzione. E soprattutto lascia aperte tutte le possibilità di analisi, senza escludere nulla. Noi stessi in un certo senso sentiamo la verità ma non siamo in grado di oggettivizzarla, di darle forma e credibilità medica. E’ proprio per questo che se non troviamo un medico adatto alle nostre esigenze lo sentiamo per istinto e ci mettiamo alla ricerca di qualcun altro. Già soltanto potersi raccontare liberamente è un ottimo modo, per lo specialista, per farsi una idea approfondita delle possibili cause della malattia del paziente. Di solito una buona visita medica è preceduta da una parte di colloquio anche lunga. Ascoltare il paziente è fondamentale perché inconsapevolmente conosce la verità, ma non riesce a definirla, spetta allo specialista ricomporre il mosaico. In ogni caso fui sollevato. In fondo bastava fare in modo che le fibre muscolari che non riuscivano a ricomporsi avessero il tempo per guarire. Evitando qualsiasi sforzo con le braccia, probabilmente erano anche movimenti minimi che ripetutamente distruggevano le fibre, avrei potuto guarire in pochi mesi. 4. La guarigione Andai dal medico curante con la nuova ecografia, e fu facile questa volta farmi ascoltare. Lo vidi imbarazzato, sapeva già della mia sofferenza! Ma ora capiva. Mi prescrisse dei miorilassanti per cercare di farmi riposare la notte. Mi allarmò una sua previsione però: “Il rischio è che la zona lacerata sia ricostruita da un tessuto muscolare privo di micron circolazione e di fibre nervose, in caso di calcificazioni - concluse- la fascia rimarrebbe sensibile e perennemente atrofizzata. “Che cosa posso fare per evitarlo?” gli chiesi. Non seppe darmi una risposta, dovevo cercarla da solo. Sempre attraverso le letture scoprii, poco tempo dopo, una terapia che forse poteva aiutarmi. La placentoterapia. Feci tre sedute di questa terapia, che consisteva nell’innesto di placenta proprio nella zona dello strappo. Era un piccolo intervento chirurgico, operato da un medico di gran fama, in un centro privato. Il tutto in venti minuti a seduta, puntura anestetizzante locale, piccola incisione e trapianto di placenta, chiudeva poi con un cerotto. Finita la terapia dopo la terza seduta, lo specialista che aveva “operato” mi congedò con queste parole: “Occorrono alcuni mesi perché tutto si possa risolvere per il meglio, tra un anno ripeti l’ecografia e mi farà piacere vederla”. Nei primi mesi mi sembrò di avvertire un lieve peggioramento, poi, con il passare del tempo, sentii pian piano svanire la stretta opprimente sul dorso. La mano poggiata perennemente sul fianco allentava la presa e cominciai a sentire che la zona tornava mia.

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Dopo un anno decisi di ripetere l’ecografia sempre dallo stesso medico; non voleva crederci, il buco era sparito e non c’erano calcificazioni. Ero guarito. Devo riconoscere però che la parte è rimasta corta, non permettendomi più lo stiramento completo del gran dorsale, ma il pugnale era sparito. La domanda che spesso mi pongo è: “cosa mi ha guarito?” Non lo so. So con certezza però, che non ho lasciato niente d’intentato, tutto quello che potevo fare l’ho fatto lottando con tutto l’essere. Alla fine tutto è stato comunque utile, il cerotto, il rilassante. l’attenzione che usavo nei movimenti, ma soprattutto aver scoperto la corretta diagnosi. Per questo è stata risolutiva la placentoterapia, perché era una cura mirata e ben precisa. Con gran felicità tornai in breve tempo a eseguire i tre esercizi completi, la corsa, lo yoga, la bici, tutti i miei passatempi preferiti. Ritornavo a vivere. E con un bagaglio di conoscenze decisamente arricchito. E’ chiaro che l’importante è avere rispetto del proprio corpo e sapere ascoltarlo, capirlo. E quando non riusciamo a fare cose che prima ci erano permesse dobbiamo cercare prima le cause e poi la soluzione seguente. Si deve sfatare l’idea che senza soffrire non si ottiene nulla (cosi come in passato si era soliti dire). Certo, la sofferenza rafforza, può forgiare un carattere a migliorare la soglia del proprio dolore, ma non può guarire una patologia dell’organismo. Mai sbagliare dunque. Mai forzare l’esercizio ginnico, e in nessun caso si deve lavorare sul dolore, a volte anche dei semplici movimenti possono essere causa di trauma. E’ sbagliato imporre al proprio corpo dolorante lo stress ulteriore di un esercizio. Potrebbe peggiorare una eventuale patologia. La principale regola è una soltanto: dobbiamo compiere solo ciò che ci porta beneficio, ed è solo attraverso il rilassamento che riusciamo ad ottenere dei risultati ottimi. A ogni più piccolo trauma cui potremmo incappare, dobbiamo dare il tempo al nostro organismo di ripararsi e tutto si risolverà in breve tempo. Al contrario, se insisteremo forzando e oltrepassando i limiti impostici dalla natura, pagheremo un prezzo elevatissimo, e con il rischio di non venirne mai più fuori. Il peso delle nostro disgrazie ci sconvolge la vita, togliendoci la gioia di esistere. Occorre equilibrio per continuare a vivere una vita normale. Capitolo II La vitalità 1.Come conciliare i mali del corpo con la serenità dell’anima. Ogni individuo ha la sua cospicua dose di malesseri che l’accompagnano nel tragitto dell’esistenza, la parte difficile è quella di riuscire a essere sereni anche nelle situazioni più tragiche. La dignità dell’anima non deve mai essere intaccata, se vogliamo che lei ci aiuti a superare l’ostacolo permettendoci di proseguire il cammino. Il percorso della vita è per tutti costellato di voragini in cui inesorabilmente precipitiamo. Risalire per proseguire il cammino non deve mai con atti o nocivi pensieri, macchiare la nostra coscienza. Mai incolpare o maledire qualcosa o qualcuno come causa del nostro dramma. Il baratro in cui si è caduti c’era già, e c’è sempre stato fin da tempi non sospetti, la colpa del perché siamo sprofondati è solo nostra, del comportamento, dell’arrivismo che ci affligge, dell’egoismo e dell’intolleranza che è in noi, ma soprattutto per non aver avuto rispetto del corpo e per aver superato i limiti personali. Poi per farci perdonare l’errore commesso faremo di peggio, c’inventeremo un capo espiatorio, ma l’anima non si farà ingannare. Lei sa, conosce la verità, e amareggiata darà una risposta negativa

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peggiorando i malesseri, contraendo tutto l’organismo, le tensioni arriveranno fin sopra i capelli generando in tutto il corpo un diffuso panico. Dobbiamo reagire con positività traendo esperienza dall’episodio che ci ha colpito. Se lasceremo l’anima serena, lei sarà in grado di risolvere tutti i problemi che ci affliggono. Lo spirito è una piccolissima parte di “se stesso” che il Creatore ci ha donato; conosce tutti i più grandi segreti dell’universo, la sua potenzialità è immensa, i fortunati (ma soprattutto i più meritevoli) riescono ad intravedere (anche se in minima parte) la soglia dell’ingresso del sapere. I favoriti dalla sorte hanno donato all’umanità la conoscenza e il progresso. Lasciamo dunque che –lei- esprima liberamente le risposte dell’esistenza. La sua potenzialità deve essere liberata per poterne trarne tutto il beneficio, mentre l’egoismo, l’odio o l’intolleranza verso il nostro simile la uccide, e saremo così senz’anima. Vivrà solo la materia. La parte più importante del nostro esistere sarà volato via ancor prima della nostra fine terrena. Il Creatore si riprenderà il dono che ci ha concesso ritenendoci non degni di possedere. Eccolo dunque il segreto per ottenere fiducia dall’anima; avere rispetto dei nostri simili e del nostro organismo. Due semplici regole che racchiudono i comandamenti di tutte le religioni dell’universo. Aver rispetto significa aiutare, ascoltare, capire tutte quelle persone che cadute nell’abisso della disperazione non riescono ad uscirne senza aiuto. Ecco dove va ad attingere l’anima per avere potenza, ecco dove prende la forza immane capace di cambiare il mondo. Un insieme d’anime giuste, possono cambiare la storia di un popolo in progresso e benessere. Aver un problema, anche grave, non deve toglierci mai la serenità dello spirito. 2. Il Training autogeno Il problema è meno grave? Dobbiamo trovare il modo di conviverci, se ne saremo capaci. Le risposte sono dentro di noi. L’anima (se lo meriteremo) troverà il modo, dobbiamo solo imparare ad ascoltarla e c’è un solo modo per imparare questo linguaggio, la meditazione. Sdraiati a terra, o nella posizione del loto –seduti a terra gambe incrociate- proviamo ad esercitarci, inizialmente imparando il rilassamento completo. La respirazione dovrà essere lenta, completa, l’ossigenazione dei tessuti deve essere totale, se vorremo che le tensioni della giornata e dei vari stress accumulati nel tempo, tolgano i vari blocchi articolari, permettendo ai flussi energetici di raggiungere le parti del corpo più profonde. Con occhi socchiusi o, se preferiamo, fissando un punto qualsiasi della stanza, lasciamo che i pensieri si rincorrano liberi. Tra le varie riflessioni quotidiane dobbiamo riuscire a inserire un pensiero positivo: un tramonto, una rosa, un prato fiorito, un sorriso di un bimbo, o uno sguardo di un povero. Sarà a questo punto che una gran pace ci pervaderà l’anima, donandoci un completo rilassamento del corpo. Possiamo a questo punto analizzare le risposte dell’organismo. Inizieremo a concentrare l’attenzione sulle estremità del corpo, iniziando da uno dei piedi e risalendo man mano fino a giungere alla fronte, per poi ridiscendere con l’attenzione sull’altro piede. L’analisi dovrà essere minuziosa. Esempio: il ginocchio destro brucia, la natica sinistra è gelata, il deltoide è dolente, il quadricipite della gamba destra è contratto ecc. Saremo stati capaci di ascoltarci, saremo entrati nell’organismo completamente riuscendo ad ascoltare il battito del nostro cuore, lo scorrere del sangue nelle arterie, il sibilo dell’aria nell’inspirazione ed espirazione e persino un leggero brusio alle orecchie. Siamo entrati in un mondo sconosciuto, e ciò ci esalterà donandoci un benefico brivido profondo che, partendo dal centro dell’encefalo, correrà giù lungo tutta la spina dorsale, per poi espandersi

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fino alle punte delle dita dei piedi e delle mani. È la nostra anima che ci risponde, donandoci un infinito benessere L’energia scaricatasi sul corpo donerà nuova forza e vigore ma solo se eviteremo di essere negativi, oppressi ed egoisti. La seduta, se sarà riuscita, avrà rivelato anche alcuni problemi o piccoli malesseri di cui il corpo soffre, che potremmo memorizzare analizzandoli, per cercare una soluzione: ghiaccio sul ginocchio destro, un massaggio sulla natica sinistra, un unguento sul deltoide dolente, un decontratturante sul quatricipide destro. Semplici soluzioni che si possono trovare da soli. Se sono piccoli malesseri si risolveranno rapidamente, se al contrario permarranno nel tempo dovremo preoccuparci e recarci dal dottore. Mai trascurare comunque questa ipotesi. Con le sedute faremo prevenzione, perché sono un vero allenamento dell’anima, e avremo una completa padronanza del corpo. E’ uno stadio che non è per tutti, perché non tutti rispettano uno stile di vita adeguato, ma a tutti è concesso provarci. 3. Non ci sono privilegiati La bellezza, la giovinezza, la salute, sono doni che non tutti posseggono. Si può essere belli ma malati, oppure giovani ma brutti, o ancora giovani ma malati, viceversa giovani, ma brutti e malati, o addirittura vecchi brutti e malati, che è il massimo della sofferenza umana. Di privilegiati credo che ne esistano pochi, e quei pochi lo sono per un breve periodo della loro esistenza. Il tempo passa inesorabilmente per tutti, in breve arriva uno dei fattori negativi che ci portano a perdere la gioia e la voglia di vivere. Anche se le patologie sono gravi, incurabili, senza speranza, c’è un modo, un metodo che possiamo adottare per aiutarci. Basta crederci. Il corpo umano ha delle risorse inimagginabili, la scienza, anche se ha fatto passi da gigante per risolvere i malanni dell’umanità, sa perfettamente che c’è ancora molta strada da percorrere. La ricerca scientifica si arricchisce spesso di nuove e importanti scoperte, debellando col tempo molti di quei mali definiti incurabili in precedenza. Che cosa può insegnarci ciò? Che c’è sempre una speranza. Anche se non per forza deve poggiare sulle risorse mediche ma che può essere radicata “altrove”, nel divino. Dunque non perdiamo mai la fiducia, impariamo a convivere con i nostri malanni nel miglior modo possibile, a volte ciò che sembrava senza soluzione si rivela poi solo una nostra debolezza o incapacità di combatterla. Scoperto quello che il corpo ci chiede per mezzo del rilassamento, e avendo acquisito il suo controllo, dobbiamo ora tentare un approccio per il suo fitness. Come abbiamo allenato l’anima, ora dobbiamo imparare ad allenare il corpo. L’esercizio fisico risolve 80% delle patologie che tormentano l’umanità, la sedentarietà è la causa primaria di tutte le malattie del mondo, anche le più gravi e incurabili. Dedichiamo una parte del nostro tempo libero ad uno degli sport fitness che più ci piace, l’importante è muoversi. Il movimento è vita, un corpo che non si muove non vive. Dovremo rispettare solo i nostri limiti, ed è per questo che voglio raccomandare la massima cautela all’inizio di ogni allenamento. Ma una volta imparato il metodo, niente può ostacolarci, ogni esercizio, ogni specialità sportiva, ogni movimento cui sottoporremo l’organismo, dovrà avere solo lo scopo del raggiungimento del nostro benessere. Mai entrare in competizione con gli altri. L’agonismo lasciamolo agli atleti, agli sportivi. Se competizione deve essere, deve esistere solo con noi stessi. Se ci applicheremo con costanza e serietà, i risultati saranno straordinari. Vediamo ora quali, e quanti benefici riesce a dare l’esercizio fisico fatto con regolarità. Il più importante è quello di una migliore circolazione sanguigna, con un’immediata discesa della pressione arteriosa, con il ricambio libero da tossine, con un consumo d’acidi grassi, efficace per ridurre peso corporeo; il

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sistema nervoso (libero da tensioni e compressioni anomale) riuscirà ad inviare i messaggi alle varie strutture organiche, mantenendo così tutti i muscoli tonici. La forza fisica aumenterà rendendoci la vita meno pesante, la respirazione (che è la funzione più importante per il nostro benessere) aumenterà la propria portata, ossigenando meglio tutto l’organismo. Il cuore diverrà un diesel, capace in altre parole di sforzi lunghi e ripetuti, e aumentando lo spessore dei ventricoli diminuendo così rischi d’infarto. Questi sono solo alcuni dei benefici che si possono ottenere. E scusate se è poco. Per i giovani può essere motivo di prevenzione, eliminando vizi e cattive abitudini, per i più anziani al contrario permette di mantenerlo qualche vizio. 4. Gli sfortunati Per i più sfortunati, con gravi problemi di postura fisica, deve essere una regola di vita. Loro non devono assolutamente rinunciare a un costante e regolare esercizio fisico. Forse non risolveranno definitivamente i loro guai, ma miglioreranno senza dubbio la loro esistenza, ottenendo una serenità interiore talmente grande che gli permetterà finalmente di alzare la testa e guardarsi in giro, scoprendo così che attorno a loro esistono altri esseri con problemi ancor più gravi. Questa è la sola e unica possibilità che hanno per imparare a convivere con i loro malanni. Si sentono diversi, inferiori, fragili, invece la loro anima è già pronta perché conosce la sofferenza in tutte le molteplici sfumature, ed è in grado di affrontare qualsiasi rinuncia. Riuscire ad essere autonomi, significa per molti di loro essere “campioni del mondo” di tutti gli sport praticati. Fra coloro che nascono con gravi menomazioni, la condizione di vita diventa insopportabile, rifiutano l’esistenza, le giornate trascorrono interminabili senza la speranza di un qualsiasi cambiamento. Il buio profondo del tunnel li atterrisce sconvolgendoli. Dunque, fare fitness aiuta tutti, ma soprattutto chi è in continuo conflitto con il proprio corpo e la vita stessa. Credono, sbagliando, che a loro tutto è vietato, inaccessibile, difficile. Quel muscolo non risponde, quell’esercizio è impossibile svolgerlo, l’articolazione non si piega e adducono come scusa per la loro immobilità un fantomatico divieto dello specialista. E’ sbagliato amici! Tutto ciò che possiamo o non possiamo, solo il nostro essere può dircelo. La sinergia dei muscoli compenserà gli handicap che affliggono l’organismo. Un esempio? Tutti quelli che corrono una maratona in carrozzella, avendo subito una paresi alle gambe. Le loro braccia sono divenute due bielle simili a quelle che spostano una locomotiva, con il costante allenamento, hanno supplito la forza delle gambe con le braccia. Può esser un caso limite, ma dimostra che con la forza di volontà si riesce in tutto, anche a essere partecipi di una gara. Certo l’allenamento deve essere mirato, senza errori, questo è possibile solo con la persistente analisi delle risposte che la nostra essenza c’invia. Dobbiamo soltanto imparare a comprendere questo linguaggio muto che l’anima usa. Le persone più carenti devono allenarsi costantemente per riuscire a ottenere una forma fisica accettabile. Il termine tecnico “entrare in forma” è usato in genere per definire quel particolare periodo che attraversa l’atleta, dopo un allenamento mirato pre- gara. Ma una volta terminata la gara la sua forma fisica rientrerà nella normalità. Gli individui con gravi problemi posturali, se si allenano tenacemente riusciranno ad entrare in forma anche loro. Sarà la loro forma che eguaglierà la fuori forma di un atleta, cioè si diverrà una persona normale. Dunque per essere eventualmente come “gli altri” occorre essere in forma per tutta l’esistenza. Si può avere un grave deficit funzionale ma non dimentichiamo mai di allenare ciò che è sano vivo

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vibrante; diamogli tono muscolare e forza, i malesseri generalizzati scompariranno e quei muscoli tonificati aiuteranno quelle fasce che non possono o non vogliono svolgere il loro lavoro. Occorre solo forza di volontà, tutto diverrà più facile ed accessibile. Concludendo dobbiamo solo imparare ad ascoltarci. La verità e dentro di noi. Se non si possiede nulla si apprezza ciò che la vita ci concede. Capitolo III L’alimentazione 1. Educazione alimentare Altre esperienze avevano arricchito la mia cultura, il volontariato che eseguivo in palestra mi offriva grandi soddisfazioni. Tutti chiedevano consigli per i loro piccoli malesseri. Chi mi chiamava maestro, chi capo, chi istruttore, chi trainer, chi allenatore, chi terapista e chi dietologo, perché avevo anche affinato anche una discreta conoscenza sull’alimentazione. Non mi considero dietologo (non è il mio mestiere) ma educatore alimentare. Ora, perciò, per completare efficacemente il metodo, occorre parlare dell’alimentazione, che è il sostentamento di tutti gli organismi viventi. Stando continuamente a contatto con le persone mi resi conto che molte di queste non avevano la più pallida idea della differenza nutrizionale tra i vari alimenti che ingeriamo. Forse per ignoranza o per disinteresse tutti sono convinti che basta mangiare quando si ha fame, per soddisfare i bisogni dell’organismo. La voglia di conoscenza che mi ha accompagnato per tutta la vita, è stata soddisfatta con un best seller pubblicato anni fa, dal titolo: “Come raggiungere la zona di BARRY SEARS” EDIZIONE ITALIANA A CURA DI EDDY OTTOZ. Convinto sostenitore della dieta mediterranea, all’inizio giudicavo il testo propaganda contro la stessa: le solite multinazionali americane contro i nostri amati spaghetti, perciò lo lessi con scetticismo. Giudicavo eccessivo quel 30% di proteine espresse in calorie che la dieta consigliava, una dieta valida solo per coloro che si allenano intensamente in palestra. Anzi forse anche insufficiente visto che di solito un culturista assume anche tre grammi di proteine per un kg. del proprio peso. Comunque decisi di provare su di me questa dieta che tuttavia era simile alla nostra cara dieta mediterranea, con una sola variante: Proteine: dieta Mediterranea 20%; dieta a Zona 30%. Sostanzialmente 10% più di proteine, 10% meno di carboidrati. Dopo tre mesi circa, i risultati furono sorprendenti il mio giro vita si era ridotto di 10 cm., cosa che in tutta la mia vita non mi era mai riuscito di ottenere. Ciò mi convinse di fare mio questo metodo alimentare, ma soprattutto di consigliarlo anche a coloro che allenavo in palestra. Senza voler peccare di presunzione credo che in Italia sia stato il primo a proporlo a quei giovani che vogliono la definizione del corpo con percentuale di grasso corporeo sotto il 10%, ma soprattutto a quelle persone, non obese ma con un giro vita preoccupante, con una percentuale di

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grasso corporeo sopra il 30% del loro peso totale. Individui con un elevato rischio di malattie gravi come: pressione arteriosa elevata, diabete, colesterolemia. Avendo a disposizione molti soggetti, ma soprattutto la loro piena fiducia, potei indagare sulle loro abitudini alimentari anche se loro spergiuravano di seguire la dieta mediterranea, credendola la migliore. Magari fosse stato vero, erano solo dei grandi ghiottoni di carboidrati e arrivando ad assumere anche il 90% del totale delle calorie. Occorre allora educare la popolazione alla nostra dieta, che prescrive il 60% di carboidrati; un 20% di grassi e un’altro 20% di proteine, anche se credo che in quest’ultimo caso si può anche arrivare ad assumerne tranquillamente 30 % è già molto riuscire ad assumerne un 15 % giornaliero. Decisi di fare delle indagini, tanto di materiale umano ne avevo a sufficienza per ottenere un campione sufficientemente attendibile. Dopo alcuni mesi i risultati elaborati con l’aiuto di un Personal Computer, mi consentirono di trarre queste conclusioni: il 90 % delle persone mangiava quasi esclusivamente carboidrati e non perché fossero vegetariani, (i vegetariani conoscono perfettamente l’importanza delle proteine, e nella loro dieta non mancano mai, soltanto non ne assumono di quelle animali) ma perché gli zuccheri sono più buoni, più digeribili, forniscono energia e soprattutto ci ricompensano dalle varie privazioni dell’esistenza. Pensate al gusto di un cioccolatino o alla fragranza di un millefoglie. Sono certo quindi, che la maggioranza degli Italiani hanno una dieta così composta: colazione con cappuccino e cornetto; a pranzo, pasta asciutta, un panino con verdura o pomodoro, un bicchiere di vino, un frutto, un dolce, caffè; cena; minestra di verdure, una bistecca o pesce o prosciutto, insalata, frutto, un bicchiere di vino, qualche frutto secco, se c’è un cioccolatino, un caffé. La domanda: quanti grammi di proteine ci sono in questa dieta? Pochissime, forse 30gr. La dieta è di 2000 calorie circa, le calorie fornite dai carboidrati sono 1450, dai grassi 400, dalle proteine 150. Le percentuali sono 73% carboidrati, 7% proteine, 20% grassi. Se si pensa che un individuo sedentario, (dal peso di 70 KG) deve assumere un grammo di proteine x un kg del proprio peso, vuol dire che siamo a meno della metà. 2. I macronutrienti Ed è per questo che occorre capire perfettamente, la differenza nutrizionale tra i vari elementi che ingeriamo per la nostra sopravvivenza. I tre elementi principali sono: proteine, carboidrati, grassi. Per capire meglio quale finzione svolgono paragoniamole a una autovettura. Le proteine sono la struttura, carrozzeria, ruote, sedili, e tutte le parti meccaniche che la compongono. I carboidrati sono la benzina per farla muovere; i grassi sono il lubrificante di tutte le parti in movimento. Un concetto semplice che aiuta a capire gli incarichi delle sostanze. Come per l’auto si sostituiscono i pezzi usurati, anche con l’organismo occorre sostituire le fibre in esaurimento o morte, con gli amminoacidi indispensabili, contenuti principalmente nelle proteine. Dunque i carboidrati (zuccheri) sono l’energia per farci muovere, senza quest’importante benzina il cervello non funziona. Il problema nasce quando ne ingeriamo troppi, e ancor peggio quelli a rapido assorbimento, costringendo il pancreas a un eccessiva produzione di insulina per mantenere l’indice glicemico nella norma. Conosciamo tutta l’importanza di quest’indice. L’indice glicemico, è il valore della dose degli zuccheri nel sangue. Tutti gli zuccheri in eccesso, circolanti nel nostro organismo, sono assorbiti dall’insulina, trasportati al fegato che a sua volta li trasforma in grasso corporeo mettendoli nel “magazzino” (mesentere) per eventuali tempi di carestia. Ecco la principale ragione del perché s’ingrassa. Fare un pieno di benzina (magari portandosi anche due taniche di riserva) per poi fare pochi km. non fa altro che appesantire ulteriormente le ruote e le balestre della nostra ipotetica automobile. Occorre dunque bruciare la benzina in eccesso se desideriamo restare leggeri, agili e in buona salute.

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La cattiva fama delle proteine è dovuta dal contenuto di grassi saturi in due principali cibi proteici, la carne rossa e i latticini. I dietologi invece di sconsigliare il consumo in eccesso di questi cibi, che sarebbe il corretto modo di informare il paziente, preferiscono frettolosamente vietare del tutto questi tipi di alimenti. Le proteine sono la base d’ogni forma di vita, e dopo l’acqua sono le sostanze maggiormente presenti nel nostro organismo. Tutti i liquidi, la maggior parte della massa muscolare, le ossa, la pelle, i capelli, gli occhi, le unghie, è costituito da proteine. Gli amminoacidi, i componendi delle proteine, sono il fondamento della vita. A volte non è sufficiente concedere la massima disponibilità, (anche senza chiedere nulla in cambio) quando ciò che si offre mette in discussione errate opinioni altrui. 3. La dieta è importante ma non solo Tutti coloro che frequentano una palestra non sono soddisfatti della loro figura. Chi vuole ingrassare per mettere massa muscolare, chi al contrario vuole dimagrire per togliere grasso corporeo. Secondo me i termini sono errati, direi invece che i primi vogliono inmagrire (mettere magro) e i secondi digrassare (togliere grasso) perché ingrassare vuol dire mettere grasso, dimagrire vuol dire togliere magro, ed è proprio questo che nessuno dei due vuole. Vediamo allora cosa fare per raggiungere questi ambiti risultati. Se la dieta non basta spesso il problema è il troppo mangiare e consumare poco, ma soprattutto mangiare male, non avere cioè quella educazione alimentare che invece occorre acquisire. Le ricerche sono da qualche tempo concordi nell’indicare in una sana e corretta alimentazione e nella pratica regolare e continua dell’esercizio fisico, come le più efficaci misure di prevenzione per le cosiddette “patologie del benessere”, causa maggiore di mortalità nelle popolazioni dei paesi a grande sviluppo economico. L’uso sempre più diffuso di strumenti in grado di supplire il lavoro manuale e di mezzi di trasporto, ha ridotto sempre più la necessità di muoverci. Diabete, soprappeso corporeo, obesità, epidemie, sindromi metaboliche combinate, ipertensione, cardiovasculopatie e perfino alcuni tipi di tumore, sono le più frequenti e diffuse patologie indotte dal benessere sociale e dalla sedentarietà. L’adozione di uno stile di vita attivo ha assunto negli anni un ruolo sempre più importante nell’approccio disciplinare finalizzato in particolare alla prevenzione e alla terapia dell’eccesso di peso corporeo e obesità. Numerose analisi scientifiche hanno dimostrato come l’esercizio fisico è in grado di determinare un più favorevole rapporto peso/postura, nonché di migliorare la composizione corporea riducendo la massa grassa e incrementando la massa muscolare magra. Inoltre riduce la colesterolemia totale, eleva il colesterolo "buono" e riduce i trigliceridi. La pratica regolare d’attività fisica induce inoltre migliore tolleranza al glucosio e una migliore sensibilità all’azione dell’insulina, favorisce altresì la neoformazione di tessuto osseo e ne inibisce la perdita, riducendo così il rischio osteoporosi La mancata e cronica riduzione dell’attività fisica, può tuttavia da sola rappresentare l’unica causa di sovrappeso, tanto che soggetti sedentari obesi spesso trovano molto difficile riuscire a dimagrire, pur adottando regimi dietetici controllati e talvolta drammaticamente ipocalorici. Del resto è attraverso la pratica dell’attività fisica che è possibile raggiungere non solo un elevato livello di buona salute, ma anche una valida efficienza dei vari organi e apparati, che sono gli obiettivi del fitness.

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Avanti quindi con i programmi d’attività fisica, purché questi siano il risultato di un vigile protocollo di valutazione, d’accertamenti clinici e di una responsabile prescrizione personale: se il programma ha lo scopo di rimuovere fattori di rischio e di promuovere salute, deve essere prescritto con il rigore e l’osservanza di un importante atto medico. Non smetterò mai di affermare dunque che è l’esercizio fisico che ci dona una buona salute, perché completa l’educazione alimentare, ed è anche il nostro metodo. Non possiamo tenere allenato solo il cervello; per funzionare al meglio ed evolversi ulteriormente, ha bisogno di un corpo sano e vigoroso. Capitolo IV I mali dell’umanità Analizziamo ora le patologie più gravi accennate in precedenza. 1. L’ipertensione L’iperisulemia sarà il principale e sconosciuto fattore di rischio cardiaco, ma non certamente il solo, milioni di persone soffrono di ipertensione (alta pressione sanguigna) una patologia che favorisce le malattie cardiache, sia danneggiando i vasi sanguigni, sia ingrossando il cuore. L’ipertensione si scatena principalmente quando l’organismo produce troppi ecosanoidi cattivi, (gli ecosanoidi sono dei super ormoni che controllano altri ormoni semplici come l’insulina o il glucagone, essi non solo controllano tutti i sistemi ormonali dell’organismo, ma ogni singola funzione fisiologica: il sistema vascolare, quello immunitario, il sistema nervoso centrale, l’apparato riproduttivo, eccetera. In pratica sono gli ecosanoidi a mantenerci in buona salute, senza di loro sarebbe impossibile vivere, perché fanno restringere i vasi sanguigni (vasocostrizione). Gli ecosanoidi buoni al contrario li fanno dilatare (vasodilatazione). Quando i vasi si restringono, specialmente quelli già compromessi da placche di aterosclerosi, il flusso del sangue è compromesso. Ciò provoca angina, fitte di dolore al petto. Spesso è un ecosanoide cattivo a far restringere le arterie, un efficacissimo vasocostrittore: l’ipertensione ne indica un implacabile accumulo. La pressione sanguigna è rappresentata da due valori: il più elevato indica la pressione sistolica (la massima), il più basso la pressione diastolica (la minima). La minima è la pressione del sangue nel sistema circolatorio quando il cuore non sta pompando. Il valore sistolico (massima) misura l’elasticità dei vasi sanguigni, quello diastolica (minima) la loro eventuale ostruzione. Per capire ancor di più l’importanza che riveste il valore della pressione minima, immaginiamo un impianto idraulico ostruito da incrostazioni di calcare (placche): la difficoltà dello scorrere dell’acqua e le probabilità di occlusioni sono maggiori. Il valore della minima appare ora chiaro, è il più importante da controllare, una pressione di 105 mm deve preoccuparci, una di 115 allarmarci una di 130 mm spaventarci, e diventa imperativo una terapia con farmaci antipertensivi. Alcuni studi recenti, hanno messo in evidenza un sconcertante dato di fatto, i pazienti con una pressione diastolica molto elevata sono una piccolissima percentuale, rispetto alla grande massa di ipertesi. Il consumo dei farmaci per ridurre la pressione al contrario è elevatissimo. È il raggruppamento dei moderatamente ipertesi che sostiene la vendita dei farmaci ipertensivi. La domanda: Se l’intervento farmacologico sui pazienti affetti da ipertensione diastolica grave (sui 130 e oltre) è indispensabile per salvargli la vita, quali effetti hanno gli ipertensivi sulla stragrande maggioranza, ovvero sui pazienti moderatamente ipertesi?

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Anni fa è stato fatto un monitoraggio in America su un grande gruppo di pazienti ipertesi, suddivisi in due compagini, al primo gruppo furono somministrati antipertensivi (diuretici), al secondo fu semplicemente raccomandato di riguardarsi perché correvano seri rischi. La ricerca ebbe grande successo: l’80% del gruppo trattato con i farmaci tornò nella norma (90mm), ma dopo 10 anni con molto stupore dei ricercatori la mortalità dei due gruppi risultò sfavorevole proprio a coloro che avevano assunto farmaci. Un secondo studio, compiuto in Inghilterra, su un maggior numero di pazienti confermò questo sconvolgente risultato. Oltre che essere più grande il numero dei pazienti, furono incluse anche le donne, tutti con una pressione diastolica (minima) compresa tra 90 e 105 mm, e sempre divisi in due gruppi, i primi curati, i secondi avvertiti. Dopo 5 anni i primi risultati confermarono che tra i due gruppi non c’era nessuna sostanziale differenza tra gli attacchi cardiaci e le mortalità. Anzi, tra le donne (è questo preoccupò molto i ricercatori) del gruppo al quale erano stati prescritti farmaci e diete risultò una mortalità maggiore rispetto a coloro che non avevano seguito nessuna terapia. Recentemente è stato compreso a fondo il motivo dell’insuccesso. I farmaci antipertensivi riducono la pressione sanguigna, ma alzano i livelli dell’insulina, favorendo così la formazione di trombi, o placche. Quando la cura è giusta, i risultati sono immediati. 2. Cardiopatie Nel mondo occidentale tutti gli sforzi per combattere le malattie cardiache sono basati sulla diagnosi e il controllo dei fattori di rischio. Obesità, ipertensione e colesterolo sono considerati i fattori più noti, dimenticando uno dei maggiori artefici di questa grave e mortale malattia: l’iperinsulinemia. Negli ultimi vent’anni la scienza medica ha raccolto prove sufficienti per ritenere che da sola questa malattia è la causa del 50% delle probabilità di rischio d’infarto. In America e stata condotta una ricerca che a dimostrato che 60 milioni d’americani reagisce su base genetica all’eccesso di carboidrati producendo troppa insulina. La formula: troppa insulina = troppo acido arachidonico = troppi eicosanoidi cattivi = troppe probabilità d’infarto. Come si fa a capire se si è iperinsulinemici? Basta spogliarsi e mettersi davanti ad uno specchio: se si è grassi, e a forma di mela, non c’è bisogno neanche di andare dal medico e fare ricerche, si è iperinsulinemici, anche se si può esserlo essendo magri, ma in misura minore. Alla guerra al colesterolo, all’ipertensione, all’obesità, va dunque aggiunta una quarta che è il diabete di tipo II, il peggior nemico della nostra salute, essendo a sua volta la causa principale degli altri tre fattori di rischio. In caso di sovrappeso non basta preoccuparsi dell’adipe in eccesso, ma e bene notare dove esso sì è concentrato, se esso è soprattutto sull’addome è certamente sintomo di elevati livelli d’insulina. Iperinsulinemia è dunque la definizione clinica del diabete di tipo II, una patologia che colpisce di solito dopo i 40 anni, e che rappresenta più del 90% di casi di diabete. Sfortunatamente, i diabetici di questo tipo sono i più soggetti a un alto rischio d’attacco cardiaco, proprio per l’elevato livello d’insulina che provoca la loro obesità. E per dirla tutta, stimola l’organismo a produrre acido arachidonico, il peggior nemico dei cardiopatici. Paradossalmente, nonostante i loro livelli d’insulina siano elevati, questi diabetici sono curati con farmaci che innalzano ulteriormente il livello d’insulina (e se i farmaci non bastano, s’inietta loro direttamente l’insulina, il che produce lo stesso risultato). Viene da chiedersi per quale motivo si aumenti a bella posta il loro livello d’insulina? Si agisce così poiché in questi pazienti è sopravvenuta un’insulinoresistenza, ossia in parole povere, perché le loro cellule sono diventate meno sensibili all’insulina e l’organismo ne richiede sempre di

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più per abbassare la glicemia. Ecco un caso di come si vince una battaglia (la glicemia è sotto controllo), ma si perde la guerra (i livelli d’insulina sono abnormi). Chiaramente, l’insulinoresistenza aumenta di molto il rischio di diabete tipo II. Come accorgersene in tempo? Se siamo obesi a mela, come si è detto (sintomo d’abbondante insulina). Il modo migliore di curare il diabete di tipo II è combattere il grasso in eccesso. Essendo l’adipe la causa dell’iperinsulinemia, il calo della massa grassa dovrebbe ridurre la resistenza all’insulina e i suoi livelli in circolo. Le più gravi malattie dell’umanità sono in maggior parte sconfitte, i casi di diabete al contrario aumentano costantemente (anche per l’invecchiamento della popolazione) ma soprattutto per il benessere acquisito dall’occidente. La prosperità del mondo dovrebbe essere ripartita con maggior equità, ne trarremmo beneficio noi occidentali tornando magri e vigorosi, e soprattutto ne trarrebbero aiuto quelle popolazioni che hanno le mandibole inoperose. Che cosa fare? Il solo modo per non imbattersi in questa grave malattia è nell’aver rispetto del nostro organismo con due regole precise. 1) Moderato esercizio fisico (costantemente) 2) Alimentazione mirata 3. Il colesterolo La guerra contro le cardiopatie è stata concentrata soprattuto sul colesterolo: “mantieni basso il colesterolo e avrai un cuore sano” era lo slogan degli ultimi anni. In seguito gli esperti si sono rivolti soprattutto allo studio e alle applicazioni sul colesterolo cattivo. Attualmente l’attenzione è focalizzata sul rapporto che esiste tra il colesterolo totale e colesterolo buono. La domanda che emerge è: perché se il colesterolo fa tanto male, l’organismo ne produce una così gran quantità? La verità è perché esso è l’elemento indispensabile di ogni cellula; rimovendo solo il 30% di colesterolo da una cellula d’emoglobina, la sua membrana si frantuma. Il colesterolo è anche la materia per costruire tutti gli ormoni steroidi quali cortisolo, adrenalina, estrogeni, il dhea e altri ancora. Sono tutti ormoni basati sul colesterolo, senza il quale l’intero sistema ormonale smetterebbe di funzionare. In definitiva il colesterolo è indispensabile per la vita, un livello alto o basso compromette seriamente la salute, ma spesso controlliamo solo l’indice alto, pensando che mantenerlo basso riduca sensibilmente la mortalità. Non è così Non esiste un rapporto tra il livello del colesterolo e la morte per cardiopatia in chi ha superato i 70 anni. I soggetti più a rischio sono coloro che sicuramente hanno avuto per tutta la vita il colesterolo alto. Agli inizi degli anni settanta è stata condotta una sperimentazione con farmaci anticolesterolo, alla fine della quale si è riscontrata una mortalità del 29% in più fra coloro che erano stati trattati con questi farmaci, rispetto a coloro che avevano assunto solo dei placebo. Alcuni anni dopo è stato istituito un altro motore di ricerca, sperimentando un diverso farmaco su 4000 soggetti, il medesimo ridusse del 10% il tasso del colesterolo e del 35% il numero degli attacchi cardiaci. La comunità medica internazionale utilizzò questi dati per sostenere la necessità di abbassare il colesterolo a tutti. La cosa non funzionò, il gruppo trattato ebbe più decessi di quello di controllo. La ricerca si concentrò su farmaci che aggredissero più efficacemente il colesterolo, almeno su quei malati ad alto rischio. Fu messa in commercio la lovastatina che agisce sull’enzima epatico che regola la produzione del colesterolo, ed è stato pubblicizzato in modo così aggressivo da essere il

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farmaco più venduto al mondo. Successivamente un anticolesterolo più recente (simvastatina) dimostrò che era in grado di abbassare sia il colesterolo sia il tasso di mortalità. Un certo numero di ricercatori però dimostrarono, che le statine hanno un pessimo effetto collaterale, accrescono i livelli di acido arachidonico, in più svelarono che questi esperimenti non furono condotti su pazienti con un alto livello di trigliceridi (un’indicazione importante perché essa rivela se il paziente è iperinsulemico, cioè con maggiore propensione ad attacchi cardiaci). Mentre in questi giorni leggiamo sui giornali che le statine sono state dichiarate fuorilegge, ritirate dal commercio con denuncie alla casa produttrice. I morti causati da questo farmaco sono migliaia, provocano una distruzione di tutte le fibre muscolari. E’ discutibile dunque che esistano efficaci farmaci per ridurre il colesterolo. Molti esperti affermano che per far scendere il livello del colesterolo basta semplicemente evitare alimenti che lo contengono. Sfortunatamente il colesterolo alimentare ha poco a che vedere con quello in circolo, l’80% è emesso dal fegato. L’unica certezza è la scoperta, che nel 1985 portò al premio nobel della medicina, sull’enzima epatico che controlla la produzione del colesterolo. Dimostrò che questo enzima (HMG) è modulato da un’asse ormonale “insulina–glucagone”. L’insulina stimola la produzione di HMG, il glucagone lo inibisce causando l’effetto contrario. La conclusione La nostra dieta deve evitare la creazione di troppa insulina che è la causa dell’aumento di HMG, responsabile a sua volta della produzione d’eccessivo colesterolo. Il solo modo è di rispettare i parametri di un programma dietetico compilato nel seguente modo: un 30% proteine, 40% carboidrati, 30% grassi in calorie totali (la dieta Pro Zona) avendo stabilito con sufficiente esattezza il personale fabbisogno proteico. Il fabbisogno proteico è dato da due fattori: primo, peso massa magra; secondo, indice dell’attività svolta giornalmente. Poi vanno moltiplicati fra loro. Il risultato corrisponde alla quantità in grammi da assumere. In ogni caso qui stiamo solo accennando a questo tipo di approccio dietetico; la dieta Pro Zona è molto più complessa di una semplice tabella alimentare. E sarebbe bene che ciascuno di noi approfondisse personalmente questo importante aspetto della salute. 4. La prevenzione Per aver riguardo della salute occorre aver rispetto dell’organismo, delle sue esigenze e bisogni, rispettando i limiti imposti dalla natura, ma soprattutto introducendo quelle giuste dosi di macronutrienti, equilibrate in modo tale da non provocare mai un eccessivo squilibrio ormonale. In genere quando si parla di ormoni si pensa subito al sesso causa il testosterone e gli estrogeni, ma questi sono solo due della grande maggioranza di ormoni che regolano gli organismi viventi. Il sistema ormonale è come una grande rete di comunicazione a cui tutti gli organi accedono per inviare messaggi, se per esempio manca glucosio al cervello (per non andare in tilt), lui invia un messaggio al fegato di metterne in circolo velocemente dell’altro. Se al contrario ce ne è troppo in circolo, il pancreas secerne insulina che viaggia fino al fegato e alle cellule muscolari ordinando di togliere glucosio dal sangue e immagazzinarlo nel mesentere (aumento di cellulite). Il fegato e i muscoli eseguono. È dunque il sistema ormonale a regolare tutte le più importanti funzioni dell’organismo, ed è l’alimentazione che ne provoca il buono o il cattivo funzionamento. È l’alimentazione che ci procura la benzina (carboidrati) o i mattoni (proteine) per la costruzione di tutto il corpo. Tutti le varie riflessioni elaborate finora erano dunque indirizzate a un unico scopo: sostenere che è l’alimentazione la chiave di tutti i problemi sulla salute dell’umanità. Un’alimentazione squilibrata

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conduce inevitabilmente a gravi patologie che possono condurre alla morte. Conoscere le basi per una corretta alimentazione è nostro dovere, se vogliamo portare quel giusto rispetto a noi stessi. Aver rispetto di se stessi, conduce immancabilmente ad aver rispetto del diverso, del differente nostro pari. 5. Super Salute Quando è apparso negli Stati Uniti nel 1995, il libro The Zone di B. Sears diventò subito un best seller scatenando tumultuose reazioni e polemiche tra i nutrizionisti. Ha addirittura messo in crisi la politica alimentare governativa. Dopo un anno si raccolsero i frutti di queste teorie: decine di atleti, adottandole, riscontrarono miglioramenti sorprendenti e negli ultimi cinque anni si è assistita a una diffusione capillare non solo del libro ma anche dello stile di vita che propone. Una delle teorie prevalenti è che la stessa dieta possa garantire ad atleti professionisti, impiegati, sportivi della domenica sedentari, il massimo rendimento psicofisico. Come? Semplicemente ritornando al giusto apporto tra carboidrati e proteine, quello dei nostri antenati insomma, e ottimizzando così il nostro sistema ormonale riportandolo ai valori pre-cereali e soprattutto pre- snack, patate, biscotti, pasta, dolci, liquori ecc. Il messaggio di Barry Sears è semplice. Il detto: “il cervello ha bisogno di zucchero” è vero! Ma deve avere la giusta quantità senza provocare una risposta pancreatica esagerata, per mantenere l’indice glicemico nella norma Infatti il pancreas produce due ormoni antagonisti, l’insulina e il glucagone. Il primo fa scendere il livello di zuccheri nel sangue immagazzinandoli in tessuti adiposi e muscoli, il glucagone invece fa salire questi livelli, smontando lo zucchero dai tessuti adiposi. Quindi da questo fragile equilibrio dipende il corretto livello di zuccheri, soprattutto per il cervello. In situazione di equilibrio, appunto in una certa “zona”, il nostro organismo produrrà le corrette quantità di “eicosanoidi”, ormoni poco noti ma importantissimi che, agendo a livello cellulare, regolano le funzioni più importanti per mantenerci in buona salute. Cosa sono gli ecosanoidi? Gli ecosanoidi sono considerati dalla biologia dei super ormoni, essi sono prodotti da ogni cellula del corpo umano. Sono loro che controllano non solo ogni sistema ormonale, ma ogni singola funzione fisiologica. Il sistema cardiovascolare, quello immunitario, il sistema nervoso centrale, l’apparato riproduttivo, eccetera. Sono loro a mantenerci in buona salute, senza di loro sarebbe impossibile vivere. A questa importante scoperta, nel 1982 furono insigniti del premio Nobel per la fisiologia gli scopritori: Sune Bergstrom, Bengt Samuelsson, John Vane. Dimostrarono che tutti i farmaci che sono in commercio, servono a modificare i livelli di eicosanoidi nell’organismo, e che esistono dei eicosanoidi antagonisti che possono portare fuori da l’equilibrio ormonale. Nel corpo umano equilibrio vuol dire salute, perciò possiamo dire che esistono eicosanoidi buoni ed eicosanoidi cattivi, (oppure) eicosanoidi con un segno positivo, ed eicosanoidi con segno negativo, ma con una prerogativa importante, che diventano cattivi coloro che prevalgono. Ora, se consideriamo tutti i macronutrienti la fonte della nostra esistenza, (della salute della vitalità, del benessere), possiamo affermare che l’equilibrio degli eicosanoidi è dato dalla nostra dieta.

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Una dieta salutare, deve avere quel giusto apporto di proteine carboidrati e grassi che mantengano l’equilibrio degli eicosanoidi. I ricercatori affermano che questo giusto equilibrio è dato da questa formula: 30% di proteine, 40% di carboidrati e 30% di grassi in calorie Effetti degli eicosanoidi Ecosanoidi buoni Ecosanoidi cattivi Inibiscono l’aggregazione piastrinica Favoriscono l’aggregazione piastrinica Favoriscono la vasodilatazione Favoriscono la vasocostrizione Inibiscono la proliferazione cellulare Favoriscono la proliferazione cellulare Stimolano la risposta immunitaria Deprimono la risposta immunitaria Combattono le infiammazioni Favoriscono le infiammazioni La formula Troppi carboidrati = troppa insulina = ecosanoidi cattivi e nuovo adipe. Rapporto corretto = giusto glucagone = ecosanoidi buoni e consumo dei grassi. Inoltre il glucagone, stimolando la produzione di GH (ormone della crescita*) accelera i processi riparatori dei tessuti, il consumo di grassi corporei e attiva la sintesi proteica sviluppando la massa muscolare magra. Ricordo quindi che sono i carboidrati che fanno ingrassare, non i grassi. Se nelle diete tradizionali dopo aver stabilito il fabbisogno calorico del soggetto ci si limitava a distribuirlo nei pasti diminuendo i grassi e arrivando addirittura al 55% di carboidrati con la Zona si rivoluziona tutto: L’ormone della crescita (G.H.) Il GH è il più potente brucia grassi, ed è l’esercizio anaerobico che ne favorisce il rilascio da parte della ghiandola pituitaria. L’ormone della crescita ha molteplici funzioni, oltre che favorire la combustione dei grassi aiuta la sintesi di nuovo tessuto muscolare (aumento di massa). Ecco cosa consiglia la zona Si calcolano i grammi di proteine necessari per il soggetto. Si calcolano i carboidrati in proporzione. Si aggiungono i grassi (che vanno rivalutati) E’ importante però rispettare sempre il giusto rapporto tra proteine e carboidrati nei vari pasti, ricordando che la prima colazione deve fornire il 25% delle calorie della giornata. Inoltre ricordiamo di non superare le 500 Kcal (anche 400) per volta. Si possono quindi fare svariati spuntini. Preferire i grassi vegetali insaturi e crudi. Proteine: carni bianche (bassa contaminazione ormonale). Separiamo il tuorlo delle uova, le proteine nobili sono nell’albume, e consumiamo pesce almeno tre volte la settimana. Tra i carboidrati evitiamo quelli ad alto indice glicemico (amidi, pane, pasta) e preferiamo la frutta. Attenzione: pasta, pane, dolci, cioccolato, vino, birra e alcolici sono i nemici. Possiamo consumarli ma tenendo conto di quanto pesano sul bilancio dei carboidrati, sostituendone altri e certo non aggiungendoli!! Concludendo Posso dirvi che questa strategia alimentare ha già riscosso un grande successo tra gli sportivi e va diffusa tra tutti noi perché non si tratta solo di un programma globale di calo del peso, ma di un piano di ottimizzazione del sistema ormonale e immunitario che consente la massima resa a livello fisico, mentale ed emotivo.

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Capitolo V Le tabelle

1. I carboidrati. Ecco un elenco dettagliato d’induttori d’insulina (tabella 1) Da evitare Da usare con cautela Da preferire

Forti induttori d’insulina Indice glicemico maggiore di 100%

Moderati induttori d’insulina Indice glicemico tra 80 e 100%

Lenti induttori d’insulina Indice glicemico fra 30e 50%

Riso soffiato Corn flakes Frumento soffiato Miglio Riso istantaneo Pane francese Purè istantaneo Patate precotte Pomodori istantanei Pomodori precotti Maltosio Glucosio Gelati di soia Gallette di riso soffiato Pane bianco

Indice glicemico tra 80 e100% Pane integrale con noci Pane integrale Fiocchi d’avena Farina integrale d’avena Riso bianco Riso integrale Muesli Frumento integrale Purè istantaneo Carote Pastinaca Granturco Banane Uva passa Albicocche Papaia Mango Gelato a basso tenore di grassi Triangoli di mais Croccantino di segala

Spaghetti Spaghetti integrali Pasta altri tipi Pane integrale Cereali con crusca (all-bran) Arance Succo arancia (senza zucchero) Ceci Piselli (in scatola) Fagioli (in scatola) Lattosio Saccarosio Barrette al cioccolato* Patatine * *L’alto contenuto di grassi li rende preferibili, ne ritarda l’assorbimento

Orzo Fiocchi d’avena Pane integrale di segale Mele Succo di mela Composta di mele Pere Uva Pesche Fagioli bianchi Fagioli rossi Lenticchie Piselli Fagioli di lima Crema di pomodoro Fagioli secchi Gelato* Latte intero o scremato Yogour (intero e magro) Ciliegie Prugne Pompelmo Fruttosio Fagioli di soia* Arachidi*

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2. Ripartizione delle calorie ogni 100 grammi di alimenti (tabella 2)

Da usare con cautela “cibi ipercalorici” Da preferire “cibi ipocalorici” Alimenti Calorie(Kcal) Alimenti Calorie(Kcal)

Arachidi Aringhe Anguilla Asiago

Bel paese Biscotti Brioches

Burro Caciocavallo

Caciotta Castrato grasso

Ciccioli Cioccolato fondente

Cocco Cotechino Emmental

Farina Fave secche

Patate Fichi secchi

Fiocchi d’avena Fondina

Formaggini Formaggio di capra

Funghi secchi Gallette

Gorgonzola Grissini Groviera

Lardo Latte condensato Latte in polvere Maiale grasso

Mandorle Mascarpone Mortadella Mozzarella Nocciole

Noci Oca Olio

Pancetta Pane bianco

Pasta Pecora

Pecorino Pesce in scatola

Pinoli Cacao

Prosciutto Provolone

Ricotta Riso

Robiola Salame Salcicce

Scamorza Semolino Stracchino

Strutto Torrone

Zucchero

564 234 264 375 322 376 430 767 437 357 336 534 612 359 365 400 365 332 350 288 391 329 261 336 316 406 367 384 420 907 338 412 399 570 458 431 348 551 707 377 900 635 360 380 360 371 305 605 506 504 470 320 352 356 560 506 334 368 302 902 420 410

Alici Agnello

Albicocche Ananas Anatra

Aragosta Arance

Asparagi Baccalà ammollo

Bieta Broccoletti Broccoli Calamari Carciofi Carote Carpa

Castrato magro Cavallo

Cavolfiori Cavolini Cavolo Cetrioli Cicoria Ciliegie

Cocomero Coniglio Dentice

Fagioli freschi Fagiolini Gamberi Scarola

Latte scremato Limoni

Maiale magro Mandarini

Manzo magro Marmellata di prugne

Melanzane Mele

Melone Merluzzo

More Nespole

Orata Palombo

Pere Pesce spada

Piccione Polipi Prugne

Ravanelli Razza

Sardine Selvaggina

Seppie Sogliola Spigola Spinaci Tinche Tonno Triglie Trippa Trote Uva

Vitella Yogurt

101 102 35 52 121 87 33 20 103 26 23 42 70 38 46 70 124 114 31 54 23 17 22 41 28 101 103 143 17 72 13 37 7

148 49 89 200 17 40 29 84 50 42 77 80 50 118 100 58 50 13 69 114 124 73 84 85 36 77 124 126 77 84 70 88

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3. I grassi da scegliere I grassi sono importanti per due ragioni. Primo, rendono il cibo più saporito (una dieta senza grassi è insapore); la seconda, provocano la secrezione dello stomaco, segnalando al cervello quel senso di sazietà, inoltre sono indispensabili per la produzione degli ecosanoidi buoni (che riducono l’eccesso di grasso corporeo) garantendoci una buona salute. Certo, occorre conoscere a fondo i vari tipi di grassi che incontriamo nella nostra dieta quotidiana, per avere tutti i benefici elencati. Ci sono grassi favorevoli e grassi sfavorevoli. Quali sono i grassi sfavorevoli? Incominciamo dal peggiore che è l’acido arachidonico (da cui derivano tutti gli ecosanoidi cattivi). E sconsigliato da tutti i più grandi nutrizionalisti, ridurne il consumo è d’obbligo, se non addirittura eliminarlo nella dieta. I cibi ricchi di acido arachidonico sono il tuorlo d’uovo, le frattaglie e la carne rossa grassa. Occorre limitare il consumo anche di grassi saturi che si trovano nella carne e in quei latticini preparati con latte intero, poiché tendono a far salire i livelli d’insulina favorendo la condizione chiamata isulinoresistenza. I grassi saturi sono meno nocivi dell’acido arachidonico, ma limitiamone il consumo. Via libera invece a carne bianca, pollame, pesce, alimenti poveri di grassi saturi. I favorevoli? I grassi favorevoli sono i cosiddetti monoisaturi, contenuti nell’olio d’oliva nelle noci, negli avocado, nelle olive, nel burro o olio d’arachide, nella maionese. Questi grassi non agendo sull’insulina, integrano alla perfezione la cosiddetta dieta mediterranea. Dovrebbero rappresentare la fonte principale dei lipidi della dieta perché non turbano minimamente il delicato equilibrio degli ecosanoidi . Per educare occorre prima imparare. Capitolo VI La cultura 1. Cosa fare per l’educazione alimentare Tornando agli episodi della mia vita e al periodo in cui mi ero deciso ad aiutare altre persone, devo riconoscere che in molti frequentatori della mia stessa palestra erano soliti rivolgersi a me, forse anche grazie alle mie maggiori conoscenze in fatto di salute, alimentazione, ecc. Tra i tanti ricordo con particolare simpatia un uomo di nome Alessandro. Quando si rivolse a me per trovare sollievo dalla sua sciatica, era di almeno 15 kg sopra il suo peso ideale. Apprese in poco tempo il metodo, ritrovò un discreto benessere, ma non si riusciva a togliere neanche un chilo dalla sua figura. Gli consigliai di seguire la dieta a “zona” Alessandro era un uomo di mezza età con varie piccole patologie quali pressione minima a 95 mm, colesterolo a 240, glicemia 110, e un giro vita di 100 cm. I 15 kg in eccesso erano concentrati tutti sull’addome. Era un uomo a mela insomma. Togliere 15kg a individui amanti della buon tavola, del bicchiere di vino sempre invitante (ma calorico), ma soprattutto sostenitore del fare poco, e quel poco farlo fare agli altri. Non fu facile!.

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La sofferenza che lo accompagnava da diversi anni lo convinse a provare la cosiddetta ultima spiaggia, quindi ascoltò, ed eseguì alla lettera tutti i consigli che potei dargli. Non appena i dolori si attenuarono, gli proposi di fare insieme lunghe passeggiate, proprio per bruciare l’eccesso di grasso che appesantiva la sua figura. Fu per lui la rinascita, perse subito 8 kg, sentiva le gambe leggere, elastiche, toniche, la pressione era scesa a 90 mm., il colesterolo a 230, la glicemia era rimasta invariata, cosa importante; aveva perso 8 cm. di giro vita, così decise di cambiare modo di vivere chiedendomi cosa doveva fare per incominciare a correre. Far correre le persone che si affidavano a me, era diventata la mia arma segreta, perché proprio con la corsa si riusciva ad ottenere quei benefici che la sedentarietà ci toglie. Fu un arduo compito. Alessandro mi aveva confidato che nella sua vita aveva corso solo una volta; da giovane gli piaceva andare per funghi, e una volta che cercava porcini tra i boschi fu inseguito da un cane pastore attento al suo gregge. Nel raccontarmi questo episodio notai in lui ancora grande emozione, tanto fu lo spavento avuto. Forse esagerava, ma disse che aveva percorso 200 metri in un tempo da campione del mondo. Si salvò arrampicandosi su un albero, trascorrendo 2 ore in attesa che arrivasse il pastore a richiamare il suo cane. Impiegai 6 mesi per portarlo ad un livello accettabile da maratoneta, ma alla fine riusciva a percorrere insieme a me la mezza maratona ( 21 km). Divenne la mia ombra, a ogni mia uscita lui era presente, perché per arrivare a fargli percorrere un così lungo percorso gli consigliavo di mettersi sempre diedro di me, facilitandogli in questo modo un risparmio energetico tale da consentirgli di percorrere una distanza per lui proibitiva. Perse altri 2 kg avvicinandosi ancor più al traguardo finale che era costituito da altri 6 kg da smaltire. Era felicissimo, in nessun momento aveva sognato di raggiungere certi obbiettivi, la corsa per lui divenne una droga. Lo capivo perfettamente. Per me già lo era da anni. Passarono alcuni mesi, si usciva insieme tre volte la settima, percorrendo a volte 60km totali. Tutto ciò giovò molto anche a me, visto che ritornai a una forma fisica quasi perfetta, giusto un paio di chili sotto il peso ideale, tanto che nel mio cuore si riaccese l’idea di partecipare a una vera maratona. Alessandro, al contrario, non riusciva più a scendere di un etto, così mi pregò di aumentare ancor più la distanza, per raggiungere quel traguardo che ormai si era prefissato. Sapevo che gli ultimi kg sono duri da smaltire, ma se lui avesse eseguito alla lettera allenamenti e dieta a zona tempo un anno e si sarebbe ritrovato nel suo peso forma. Purtroppo lui voleva riuscirvi in fretta, aumentando di molto la pressione degli allenamenti. La sua ostinazione iniziò a preoccuparmi., anche perché non volevo compromettere la mia salute per accontentare una richiesta ritenuta esagerata: chiedeva di portare la distanza a 80-90 km settimanali, distanza che solo chi è giovanissimo, e chi lo fa per mestiere, può permettersi di percorrere. Quando la sua insistenza divenne assillante, lo accontentai, aggiungendo una 10 di km all’allenamento, che furono pesanti per me e per lui, lasciandoci malesseri vari per alcuni giorni, tanto che fummo costretti a togliere non i 10 km aggiunti, ma 30 del tutto, avendo decisamente oltrepassato i nostri limiti. Gli dissi allora: “Ascolta Alessandro, c’è qualcosa che non sta funzionando a dovere. Non so cosa sia ma posso assicurarti che secondo le mie esperienze dovresti già essere rientrato nel tuo peso forma. Stai seguendo alla lettera la dieta che ti ho elaborato secondo lo schema della “zona?”. “Certo -mi rispose- lo sai quanto sono attento e scrupoloso. Per me è diventato uno scopo di vita quello che mi hai prospettato di raggiungere”. Gli suggerii allora di provare a eliminare del tutto il pane e di dimezzare la quantità del primo piatto. Eseguì con scrupolo anche quelle raccomandazioni, ma il successivo controllo effettuato non diede risultati soddisfacenti. la bilancia segnava sempre lo stesso peso, la misurazione dell’addome anche: la parte grassa era rimasta

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invariata. Cominciai a dubitare della validità del metodo, perché ero sicuro della sincerità e della determinazione di Alessandro. Passarono alcuni mesi, non ci furono cambiamenti di sorta, lui era diventato triste e taciturno, si era ormai rassegnato, accettando il suo stato, che non era certo lo stato di mesi precedenti, anzi era notevolmente migliorato, ma non quello che desiderava. La svolta avvenne una domenica prima del Natale di quell’anno. Ero a passeggio, lo intravidi davanti ad una rivendita ambulante che vendeva frutta secca di ogni tipo, mi avvicinai e, incuriosito, gli chiesi cosa stesse acquistando. “Compro delle arachidi, tempo fa mi hai detto che fanno bene perché contengono grassi insaturi” Pagato l’ambulante, vidi che aveva acquistato circa 5 kg di arachidi. Gli chiesi “Come mai così tante noccioline Ma quante ne mangi? Ma tutti i giorni ti nutri di noccioline?”. “Certo! Tutte le sere io e mia moglie ci mettiamo davanti alla televisione, dopo aver cenato, e ne sgranocchiamo un po’”. “Un po’ quante?”. “ Uh…non molte… forse un etto”. “Un etto? Ma lo sai che un etto di arachidi sono 600 calorie? Lo sai che per bruciare 600 calorie dobbiamo correre per un’ora e più con ritmi sostenuti? Lo sai che 600 calorie se non vengono smaltite si trasformano in 70g di grasso corporeo? Lo sai che 70g al giorno diventa un kg in 15 giorni? Lo sai che questo…. lo sai che quest’altro… lo sai che…” Il suo volto si illuminò non appena gli fu chiaro il messaggio, aveva compreso perfettamente dove fosse il suo errore, ma soprattutto come rimediare. Ecco cosa vuol dire avere una educazione alimentare, occorre conoscere almeno le calorie dei cibi che abitualmente ingeriamo, i carboidrati che mantengono una calma insulemica, le proteine con meno acidi grassi, e i grassi insaturi ( Vedi Tabelle) Possiamo ingozzarci a nostro piacimento, i cibi a volte ci aiutano a superare momenti di stress, ma almeno dobbiamo conoscere il nostro fabbisogno giornaliero, cercando di non superarlo in continuazione per far bilanciare le entrate con le uscite. Se a volte superiamo le entrate di molto, dovremmo considerare di aumentare anche le uscite. Come? Con l’esercizio fisico. 2. La palestra Ecco dunque il luogo adatto per eseguire l’esercizio fisico, per smaltire l’eccesso di “entrate”: la palestra, sala per tutti, ma soprattutto per coloro che vogliono mantenere un buon stato di salute, conservare il peso forma, ritrovare energie. Sino a questo punto dello scrittomi sono rivolto in particolar modo a quelle persone con un problema legato al mal di schiena, individui meno giovani, cui l’età ha portato vari malesseri. Vediamo ora cosa chiedono quei giovani in buona salute, ma in conflitto con il proprio corpo perché insoddisfatti dell’immagine che lo specchio gli rimanda. 3. Dimagrire con la Ginnastica Per perdere massa grassa è necessario esercitarsi in maniera costante e graduale. I componenti base dell'allenamento sono: attività aerobica, attività con sovraccarichi. Attività aerobica Noi produciamo energia utilizzando come carburante gli alimenti. A seconda del tipo di attività fisica svolta, dell'intensità e della durata dell'esercizio useremo come carburante i grassi e gli zuccheri (glicogeno) che verranno completamente o parzialmente utilizzati attraverso un altro elemento che è l'ossigeno.

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Quando l'attività ha una intensità moderata e una certa durata, l'utilizzo dei grassi viene esaltato perché l'ossigeno introdotto con la respirazione è sufficiente per il compimento del nostro esercizio. Da qui deriva il nome di attività aerobiche come correre, camminare, pedalare, nuotare, fare le scale, sci di fondo. Questi movimenti possono essere riprodotti in palestra sulle macchine chiamate cardiovascolari, (bici, step, tappeto). La frequenza e l'intensità delle sedute di allenamento determinano, nel nostro organismo, un adattamento (supercompensazione) che ci permetterà di sopportare carichi di lavoro sempre più intensi. Questi sono i principi base dell'allenamento: frequenza dalle tre alle cinque volte la settimana. Allenamenti meno frequenti non rappresenterebbero uno stimolo efficace per il nostro organismo in quanto passando troppo tempo tra due sedute il corpo tornerebbe sempre alla condizione di partenza senza avere miglioramenti. Per il consumo dei grassi è fondamentale protrarre la durata della seduta per almeno 30 minuti, per mobilizzare in maniera efficace i grassi di deposito, variando magari le macchine cardiovascolari, ad esempio: 10 di minuti tapis- roulant, 10 minuti di cross-trainer e 10 minuti di cyclette. L'intensità è un altro fattore chiave dell'allenamento: aumentandola si tende a consumare più zuccheri che grassi; l'ossigeno introdotto con la respirazione non è più sufficiente per ossidare i grassi, ed ecco che il nostro organismo produce energia attraverso un'altra via che è quella anaerobica che porta alla formazione di acido lattico. Sebbene il nostro scopo è quello di consumare i grassi, alcuni studi hanno dimostrato che un esercizio di intensità più elevata ma di durata inferiore brucia le stesse calorie di un esercizio di durata superiore, ma intensità minore, quindi nel caso in cui il tempo diventasse un fattore limitante ricordiamoci di questa regola, infondo si tratta sempre di far quadrare il bilancio calorico. La frequenza cardiaca: durante l'allenamento ci evidenzia lo stato di forma del nostro organismo. Per conoscere la nostra frequenza cardiaca allenante bisogna consultare delle apposite tabelle oppure utilizzare semplici calcoli: 220, che ricordiamo essere il massimale della frequenza cardiaca alla nascita; a questo valore sottraiamo l’età del soggetto e otteniamo la frequenza massima teorica. Per l'allenamento rivolto al consumo grassi bisogna lavorare al 65% di tale frequenza. Per l'allenamento cardiovascolare occorre lavorare all'85% della frequenza massima teorica Facciamo un esempio per comprendere meglio: prendiamo un soggetto di 40 anni del quale vogliamo conoscere la frequenza “brucia-grassi”. L’operazione in questo caso risulterebbe così: 220 – 40 = 180. Ora conosciamo la sua frequenza teorica che è, appunto, 180. Il consumo brucia-grassi è ottenuto dal 65 % di questo valore,180 Attività con sovraccarichi Questo tipo di allenamento è importantissimo al fine di perdere grasso in maniera definitiva; l'aumento e il mantenimento della massa magra (muscoli), insieme agli esercizi di tonificazione alle macchine, ci consentono di aumentare il metabolismo. Possiamo quindi dimagrire diventando tonici e modellati senza subire un vero e proprio massacro metabolico con diete sbagliate e allenamenti solo aerobici che si "mangiano" letteralmente il muscolo, rendendo sempre più difficile il reale dimagrimento a carico del grasso. Durate e frequenza: allenamento con i pesi minimo due volte alla settimana per almeno trenta minuti, per ottenere risultati più significativi 3/4 volte alla settimana per 45 minuti. Per le donne: l'allenamento con i pesi non ingrossa o toglie femminilità; le donne rispondono meno degli uomini agli stimoli muscolari quindi difficilmente svilupperanno muscoli ipertrofici Benefici: al di là del dimagrimento, bisogna sottolineare che l'attività fisica influisce positivamente sullo stato di salute psicologico dell'individuo, mantiene e migliora le caratteristiche morfologiche, e le funzioni cardiovascolari, agendo come mezzo di prevenzione per alcune malattie come arteriosclerosi, ipertensione, danni cardiovascolari, obesità, diabete.

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4. Definizione e dimagrimento Se puntiamo il nostro allenamento solo sui pesi e sull'aumento della massa muscolare è probabile che otterremo un fisico più grosso e più forte ma non più bello. Se siete persone magre per natura forse non avete bisogno di leggere queste pagine. Ma anche molti "magri" in realtà sono solo individui di fattezze filiformi ma con buone “scorte”di grasse corporee. Gli argomenti che tratteremo di seguito: la definizione muscolare, il metabolismo e la dieta con l’allenamento. Definizione Una parte del nostro corpo è composta di grassi. Questi grassi si accumulano sotto la pelle e rappresentano una zavorra. Sono anche una scorta che il nostro corpo usa nei periodi di emergenza, nel caso in cui dovesse mancare il cibo. Oggi questo pericolo (quantomeno nella nostra società) non esiste più. Però siamo geneticamente programmati ad accumulare grasso facilmente e a rilasciarlo con difficoltà. E oggi la dieta contemporanea è ricca di grassi come non mai nella storia dell'uomo. Il grasso impedisce ai muscoli di essere evidenti. Spesso è migliore un fisico più asciutto e magari più esile di un fisico muscoloso ma con abbondanti scorte d’adipe. "Definizione" è l'asciugare il grasso corporeo senza rinunciare ai muscoli. Magri non vuol dire piccoli o gracili. I culturisti professionisti pesano oltre 100 kg ma sono magrissimi con percentuali di grasso attorno al 2-4 %. A confronto molti maratoneti di 60 kg sono più "grassi". Il metabolismo e la predisposizione Non è solo una questione d’abitudini alimentari o di vita che regola il nostro adipe. Madre natura ci ha dato delle caratteristiche fisiche contro le quali non possiamo andare. E' il nostro metabolismo che regola la combustione dei grassi che sono una fonte d’energia del nostro corpo così come viene influenzato dal nostro carattere e dal nostro sistema nervoso. Sotto stress possiamo ingrassare perché il corpo rilascia l'ormone cortisolo che favorisce l'accumulo di grassi. Altri individui possono reagire in modo differente dimagrendo grazie alla maggiore accelerazione del battito cardiaco, della respirazione e della termoregolazione. Ciascuno di noi è una macchina diversa che reagisce in modo differente, ma tutto ciò è iscritto nel nostro codice genetico, il DNA. Possiamo cambiare le nostre caratteristiche corporee ma non il nostro codice. Il nostro corpo tende ad utilizzare zuccheri come fonte di energia nella vita quotidiana ma negli sforzi muscolari prolungati riesce a bruciare i grassi accumulati. Alcune persone possono permettersi di mangiare molto e non ingrassare, altre al contrario ingrassano anche mangiando poco. Nel primo caso parleremo di metabolismo veloce nel secondo di metabolismo lento. Possiamo accelerare il metabolismo con l'allenamento (muscoli più grossi ed efficienti "bruciano" di più). E ci sono particolari tipi di sforzi (quelli prolungati) che attivano la termolisi, in altre parole la combustione dei lipidi. Bisogna tenere conto di un fattore però. Gli accumuli di grasso nel nostro corpo sono stabiliti geneticamente. Solitamente il "deposito" principale si trova dell'addome ma ciascuno di noi può accumulare in parti diverse del corpo (gli uomini più nell'addome, le donne più nei fianchi ad esempio). Un altro mito da sfatare: gli esercizi che mirano a una precisa parte del corpo non aiutano a snellirla. Quando si perde grasso, si perde in tutto il corpo e non in particolari punti. Eseguire esercizi per gli addominali non farà asciugare il grasso dell'addome. Questa è una certezza scientificamente provata. Quindi, tutti quegli aggeggi per smaltire la pancia che offrono in TV in

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realtà allenano i muscoli addominali ma non bruciano grasso. Certo, esercitare i muscoli addominali potrà sicuramente eliminare un po' di ritenzione idrica e dare all'addome un sano aspetto "atletico". 5. La dieta in palestra Quando si perde grasso si perde in tutto il corpo e non in particolari punti, la dieta a “zona” non può esserci sufficiente se non è accompagnata dall’allenamento. Alla parola dimagrire la maggior parte delle persone associa la parola dieta. In altre parole ingerire meno calorie del solito. Questo porta in genere una perdita di peso; ma in che cosa? Grasso? Beh si perde poco grasso, ma anche molto zucchero e di conseguenza molti muscoli. Se la migliore dieta prescritta dal miglior dietologo, non accompagnata da allenamento, facesse perdere 5 kg sappiate che 4 sarebbero di muscoli (faticosamente conquistati), zuccheri e riserve muscolari. Tanto è vero che riprendendo un regime alimentare normale, il 99 % percento delle persone riprende il suo peso perché recupera riserve, zuccheri, muscoli, acqua. Più abbiamo muscoli efficienti e più questi bruceranno calorie anche durante il sonno. Inoltre il corpo impara a risparmiare. Se noi lo "affamiamo" lui rallenterà il metabolismo e avrà sempre minor bisogno di calorie. E dimagrire diventerà sempre più difficile. Nelle diete i primi kg sì perdono velocemente poi diventa sempre più difficile perdere peso. Il grasso è difficile da smuovere. Il corpo tende a usare le riserve energetiche rapide (i carboidrati) lasciando per ultimi i grassi. Naturalmente tutto questo vale per persone normali, quelle leggermente o mediamente sovrappeso. Dove l'obesità rappresenta una patologia ci si trova a risolvere problemi diversi. La dieta con l’allenamento La strategia vincente non è la dieta pura ma un regime alimentare ridotto (non molto), privo di grassi associati all'allenamento. La dieta pura può essere utile se prolungata nel tempo e bilanciata. Con l'allenamento otteniamo varie cose: metabolismo più veloce e quindi più propensione a "bruciare" energia. Allenandosi i muscoli non perdono volume e forza (o ne perdono poco). Con un allenamento aerobico facciamo funzionare il corpo nel regime in cui ha bruciato i grassi. Con la dieta (non esasperata) otteniamo di stare più attenti ai grassi che assumiamo. Di evitare di mangiare troppo e recuperare completamente le calorie perse con l'allenamento. Di costringere il corpo a utilizzare le riserve di grasso. Ma che strategia usare nell'allenamento? Gli esercizi di bodybuilding tendono a non bruciare grasso perché troppo limitati nel tempo. Dobbiamo far lavorare il nostro corpo in modalità aerobica, in altre parole in quella fase in cui l'organismo usa l'ossigeno per creare il nutrimento dei muscoli, associandolo a glucosio o ai tanto odiati grassi (o meglio acidi grassi). La fascia aerobica si ottiene fra i 130 ed i 170 battiti del cuore il minuto per individui giovani, i 110-150 per individui di mezza età ed i 110- 140 per individui più anziani. Inoltre, questa fase si attiva in modo rilevante solo dopo 10-15 minuti all'intensità citata, e più passa il tempo più la combustione dei grassi è efficace. So di ripetermi, ma è necessario. Il bodybuilding, con le sue pause di recupero, non è adattissimo alla perdita di peso, perché il battito cardiaco scende rapidamente e non si mantiene negli intervalli giusti. Se restiamo sotto la soglia aerobica non otteniamo grossi risultati. Se rimaniamo sopra, ad es. 190 battiti, il nostro organismo entra nella cosiddetta zona lattacida, ottenendo che i muscoli bruciano glicogeno e addirittura proteine invece dei grassi Quali sono i tipici esercizi aerobici? Il jogging, la bicicletta, l’aerobica, la ciclette, lo step... tutto quello che riesce a far lavorare il cuore negli intervalli aerobici con continuità. Attenzione: l'aerobica spesso non riesce a mantenere il tono muscolare creato con l'allenamento con pesi. Quindi se vogliamo perdere grasso efficacemente dedichiamoci per almeno 30 minuti ogni

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due giorni (o tutti i giorni) a esercizi aerobici e continuiamo ad allenarci con i pesi in maniera magari più blanda con serie più lunghe e pesi più leggeri. Controlliamo l'alimentazione (senza ridurci alla fame, anzi) e col tempo i risultati saranno tangibili. Consiglio: molte persone usano l'aerobica come riscaldamento al bodybuilding. Fanno cyclette in palestra oppure corsa o aerobica e quando arrivano all'allenamento con i pesi che richiedono concentrazione e impegno sono "fiacchi" e lavorano malissimo. Se siete fra queste vi conviene fare un blando riscaldamento muscolare che eviti guai fisici; eseguiamo allora con "cattiveria" e impegno il lavoro ai pesi e poi dedichiamoci all'esercizio aerobico che non richiede impegno mentale eccessivo e meno intensità muscolare. 6. Gli integratori Oltre l’alimentazione Oltre l’alimentazione vi sono gli integratori, l’ultimo limite prima del territorio degli anabolizzanti. Una terribile tentazione! La zona dei sogni per chi vuole apparire, perciò è importante conoscere le luci e le ombre. L’integrazione sportiva così come si legge in un dizionario è “l’adatto completamento attraverso opportune addizioni e compensazioni”. A volte ci saremo sentiti dire dal profano che proteine in polvere, aminoacidi, creatina, eccetera non servono a niente, basta mangiare sano con tanto di bistecche, bianchi d’uovo, riso da far impallidire i cinesi e la crescita muscolare è assicurata. Il problema è la quantità da ingerire per costruire muscoli belli e asciutti, Oggi fortunatamente ci sono in circolazione proteine in polvere che fino a quindici anni fa non esistevano, buone per gusto e per digeribilità. Grazie alla tecnologia alimentare possiamo ricorrere a proteine del siero ionizzate e altri integratori come la Creatina monoidrata. La regina degli integratori. Nella creatina non c’è nulla di vano: migliaia di culturisti la usano per costruirsi muscoli più grossi e forti, i calciatori per correre più velocemente, i pugili per dare pugni più potenti, e non solo, anche l’esercito degli Stati Uniti la sta esaminando per aiutare a costruire soldati più resistenti alla fatica. Dunque aiutiamoci integrandoci, con una sola raccomandazione; ciò che aggiungiamo alla nostra quotidiana alimentazione và sottratta al fabbisogno personale, avendolo stabilito con la dieta a “zona”. Tutto questo per chi voglia ottenere dei risultati veloci e sicuri grazie a un buon allenamento, una buona alimentazione e un buon riposo, ovvero il triangolo riassuntivo del body builder naturale. Chi vuol stare in forma, vedersi e sentirsi anche per un solo attimo. Un po’ di più di ciò che siamo. 7. Le proteine Il bodybuilding è la costruzione del corpo. Per costruire le masse muscolari dobbiamo fornire all'organismo i "mattoni" necessari. I mattoni dei tessuti muscolari sono gli aminoacidi che derivano dalla scomposizione delle proteine. Quello che mangiamo solitamente serve a mantenere le masse muscolari. E' un ciclo di turn-over in quanto le cellule malate, difettose o vecchie del nostro corpo vengono rimosse per essere sostituite da quelle nuove. Se così non fosse la nostra muscolatura crescerebbe spontaneamente, senza bisogno di essere stimolata meccanicamente. Basterebbe una dieta più ricca. E infatti in alcuni casi è così. Pensiamo a persone che causa malattia o altro hanno dei deficit di elementi nutritivi. Oltre a un normale deperimento generale si può notare perdita di muscolatura e spesso basta aumentare

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l'apporto calorico per notare un notevole recupero. E' anche vero che la stimolazione meccanica dovuta al bodybuilding o a qualsiasi movimento da sola non basta. Può capitare che all'inizio di un allenamento (nei principianti) anche il minimo stimolo può aumentare le masse muscolari senza una dieta particolare. Questo perché c'è un surplus di elementi fondamentali (proteine, carboidrati, ecc..) che il corpo ha come riserva e che vengono utilizzati all'inizio per aumentare le masse muscolari. Queste riserve tendono a esaurirsi, per cui vanno mantenute se vogliamo aumentare la quantità del tessuto muscolare nel tempo con una dieta adeguata. Ottima appunto la dieta a “zona” Il fabbisogno dell'uomo con uno stile di vita sedentario è di 1 g. per kg di peso corporeo al giorno, se pesiamo 70 kg abbiamo bisogno di 70 g. di proteine e così via. Ma allenandoci con i pesi avremo bisogno di una quantità più che doppia di proteine quindi per trovare il vostro fabbisogno proteico giornaliero occorre moltiplicare per 2 il nostro peso; un individuo di 80 kg deve assumerne 160g circa. Dove si trovano le proteine? In particolare nel latte e derivati e nelle uova anche se sarebbe meglio evitare il tuorlo perché ricco di colesterolo. Ricchissime sono la carne, il pesce, e in misura minore i formaggi. Anche i legumi hanno proteine, ma hanno una bassa biodisponibilità, questo significa che non riescono ad essere assorbite con facilità dal corpo. Ricordiamo che l'assunzione di proteine assieme a carboidrati rallenta l'assorbimento di entrambi. Attenzione a non esagerare però: troppe proteine innalzano l'azotemia nel sangue e sovraccaricano reni e fegato, e tra l'altro possono essere trasformate in grasso se non vengono utilizzate dall’organismo. Inoltre i cibi che apportano proteine spesso contengono molti grassi che sarebbe meglio evitare o comunque ridurre. I legumi contengono discrete quantità di proteine senza apportare grassi, il problema è la quantità da ingerire per ottenere un giusto apporto calorico. Quindi il mio consiglio è di arricchire la nostra alimentazione con i cibi che ho elencato (vedi tabella 2) scegliendo prodotti con basso contenuto calorico (yogurt, latte, scremato, carni bianche o pesce, e formaggi non troppo grassi) e impariamo a leggere le tabelle calorimetriche che ormai sono dietro a i tutti i prodotti confezionati. 8. I carboidrati Più i nostri muscoli riescono ad immagazzinare glicogeno, più avranno energia per compiere un lavoro, sostenere uno sforzo e soprattutto prolungarlo nel tempo. Partendo da questo presupposto si devono preferire i carboidrati complessi perché non mettono il metabolismo in allarme con il “rilascio di insulina” (vedi tabella 1) ma gli permettono di riempire le scorte energetiche in misura maggiore. I carboidrati semplici forniscono energia immediata e, se abbondanti, vengono trasformati in grasso e non vengono utilizzati dai muscoli, anche se servono per avere un rifornimento immediato. (magari durante una gara di corsa impegnativa, quando l’eccessivo calo dei zuccheri compromette il risultato). Inoltre il pasto più importante non è quello prima dello sforzo ma quello dopo. Dopo uno sforzo fisico infatti le scorte di glicogeno sono esaurite e sono più pronte e maggiormente efficienti nel ricaricarsi. Questo perché le scorte del sangue, dei muscoli e nel fegato sono esaurite; l’organismo va in emergenza ed è più disposto a ricevere glicogeno. Quindi il pasto nelle due ore che seguono un allenamento in palestra è importante addirittura per la prestazione del giorno dopo! Infatti l'efficienza delle scorte muscolari non dipende dalla veloce colazione mattutina (per quanto importante) o dalla barretta energetica (che può essere utile) ma da quello che si è mangiato il giorno prima e da come abbiamo abituato il metabolismo a reagire durante i recuperi. Parliamo ora dell'eccesso di carboidrati per completare la nostra educazione alimentare. Se decidiamo di perdere peso bisogna considerare che il corpo preferisce utilizzare gli zuccheri ai

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grassi come fonte di energia. A meno che non si provochi la combustione di grassi tramite esercizio fisico, se assumiamo troppi carboidrati impediamo al corpo di utilizzare i grassi come fonte energetica. Quindi durante i regimi di dieta pura (non eseguita da esercizio fisico aerobico e/o pesi) bisogna ridurre il quantitativo di carboidrati (e di grassi naturalmente) ma non in maniera tale da ridurre il metabolismo corporeo. Infatti se la quota di carboidrati scende sotto gli 80 g. al giorno, per un individuo di 75 kg il corpo comincia ad usare i grassi di deposito come fonte di energia ma anche le proteine ottenute scomponendo il tessuto muscolare, quindi non possiamo togliere troppi carboidrati, altrimenti si rischia di perdere massa muscolare faticosamente conquistata. Inoltre ingerire grosse quantità i carboidrati ostacola la combustione dei grassi. Questo perché il corpo preferisce bruciare glicogeno che gli acidi grassi. Facciamo tanti piccoli pasti al giorno, il nostro corpo si abituerà ad assumere gli alimenti gradatamente e se mangiamo spesso inoltre il nostro organismo non accumulerà riserve per i periodi di digiuno. Quindi facciamo molti piccoli pasti: è un' ottimo metodo per non ingrassare. Inoltre assumere cibo con continuità aiuta ad avere una tasso costante nel sangue di quelle sostanze che aiutano la crescita muscolare. Lasciamo ai pasti principali (pranzo, cena) il compito di rifornirci di proteine e carboidrati complessi. Agli spuntini il compito di darci zuccheri semplici e proteine del latte, in grado di aiutarci nel faticoso lavoro in palestra (con yogurt e derivati) Inoltre evitiamo gli sbalzi calorici (tipo grandi abbuffate seguite da lunghi digiuni) da un giorno all'altro. Il fisico reagisce compensando e abbassando il metabolismo. In realtà è possibile sfruttare questi sbalzi per un dimagrimento ma andrebbe fatto con la consulenza di un medico dietista o sportivo. Le diete zig-zag (così si chiamano) sono armi a doppio taglio. Quindi attenti. Facciamo una buona prima colazione, la pessima abitudine italiana della colazione lampo di brioche e cappuccino non è sufficiente a compensare l’organismo dai deficit di zuccheri avvenuti dal lungo digiuno notturno. Assumiamo zuccheri con marmellate e beviamo latte o mangiamo yogurt per assumere le prime proteine giornaliere. Mangiamo fette biscottate o simili per i carboidrati.. Beviamo anche molta acqua. La perdita di sali minerali e acqua nell'organismo porterà a un calo delle nostre prestazioni. L'acqua aiuta a eliminare le "scorie" dell'allenamento. Inoltre, nell'attività fisica, un aumento di 1 grado rispetto alla temperatura basale fa decrescere le prestazioni globali del 5-8 % indipendemente da altri fattori. Un aumento di 2 gradi (negli sforzi intensissimi) fa decrescere le prestazioni del 15 %; l'acqua è l'unico mezzo che abbiamo per smaltire calore. Si è parlato spesso in passato della temperatura delle bevande: se troppo fredde danno problemi, se troppo calde non dissetano e sono sgradevoli. Oggi è appurato che la temperatura ideale per atleti è di circa 4-5° sopra lo zero. Quindi l'acqua di frigorifero va bene. Beviamo con intelligenza. Non serve bere 1/2 litro in pochi secondi! Il nostro intestino assorbe al massimo 25 grammi di acqua al minuto e cioè un litro e mezzo all'ora. Beviamo quindi frequentemente a piccoli sorsi. Non sfidiamo madre natura. Se la nostra famiglia è geneticamente di taglia "abbondante" da generazioni e lo siamo anche noi, potremo fare molto per il grasso ma non arriveremo mai al 3% di grasso corporeo. Non andiamo mai contro la genetica. Causerebbe solo inutili frustrazioni. E poi mantenere percentuali di grasso corporeo troppo basse non è così tanto salutare. Impegniamoci ed otterremo grandi risultati. Non miracoli.

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Capitolo VII La cultura fisica 1. Il body building Lo scopo del body building è la costruzione del corpo, (la traduzione è: body = corpo; building = costruzione) con questa specialità del fitness si riesce a modificare le varie strutture dell’organismo, modificare la lunghezza dei tendini, accrescere i ventri muscolari, migliorare la postura fisica ma soprattutto la cura di tutto il fisico con buona pace dell’anima. Questo termine inglese, in italiano è tradotto con la parola culturismo. Occorre allora fare alcune considerazioni e raccomandazioni importanti a coloro che usano la palestra esclusivamente per praticare questa disciplina come culto della vanità, tralasciando le attività veramente rilevanti per la vera costruzione del corpo e la tutela della salute. Una di quelle più importanti è l’aerobica trascurata perché incompatibile all’accrescimento muscolare, ritengo quindi che il miglior allenamento per cogliere tutti i benefici che l’esercizio fisico dona deve essere articolato e vario. Ecco dunque alcune regole indispensabili da conoscere, per far parte della ristretta cerchia dei veri cultori della costruzione e del benessere del corpo. Usare i pesi per il rafforzamento muscolare. Fare sempre attività aerobica. Non usare integratori nocivi alla salute. Confrontarsi con se stessi cercando sempre il miglioramento. 2. I benefici Se a ogni seduta di pesi facciamo seguire 20 minuti di esercizio aerobico, avremo un controllo del peso e una adeguata protezione cardiovascolare, ottenendo così un giusto equilibrio tra forza e resistenza. Non avremo l’assillo di dover ad ogni costo far uso di integratori, colpiti dalla martellante pubblicità, che propone prodotti leciti ininfluenti sulle prestazioni, ma che fanno comodo alle grandi multinazionali. La creatina è il prodotto più reclamizzato, tutto il body building ne fa costantemente uso, ora la moda si è estesa anche agli altri sport, e può aiutare molto. La domanda è: perché è così tanto diffusa? Perché nonostante effettivi risultati è stata eccessivamente, e forse non proprio a ragione, reclamizzata e sponsorizzata in tutti gli sport: è vero che la creatina può migliorare la forza esplosiva, ma anche una massiccia assunzione non la migliora più di tanto. L’unica cosa che può veramente dare una mano è integrare la dieta con delle proteine di latte o soia, opponendosi così all’assunzione di troppe proteine della carne, nocive al fegato e ai reni. Confrontarsi con se stessi, potenziare l’io interiore, conoscere la fatica, migliorare le prestazioni per giungere presso la soglia dei propri limiti. Ecco a quello a cui dobbiamo aspirare. Non dobbiamo apparire, ma essere forti, e usare la palestra solo per la disciplina dell’ostentazione può rendere fragili, incapaci di confrontarsi, superficiali. Nel body building non esiste un allenamento alla sofferenza prolungata, che invece dovrebbe essere uno degli elementi formativi dello sport. La raccomandazione, per chi frequenta una palestra è di non puntare solo sull’aspetto fisico, ma curare soprattutto l’aspetto salutare che deriva da un corretto allenamento. Proprio perché la funzione primaria del culturismo è la cultura del proprio corpo e la sua armonizzazione. Quindi non solo muscoli, ma una globalità armonica e in salute.

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Il body builder cerca di ridurre la propria massa grassa per raggiungere la massima definizione corporea (in alcuni casi alcuni atleti arrivano al 2-3% di massa grassa). L'accrescimento muscolare è realizzato con un intenso allenamento in palestra, in alcuni casi con l'uso di sostanze che pompano i muscoli, con un'alimentazione molto ricca di proteine, arrivando anche a prenderne quattro volte i valori giornalieri raccomandati, nonostante alcuni studi abbiano dimostrato che aumentare fino a tre volte la dose proteica giornaliera non produce nessun miglioramento nelle prestazioni durante allenamenti pesanti.

3. Non è un'attività aerobica

Lo sviluppo e l'efficienza dell'apparato cardiovascolare non sono fra gli scopi del body building; l'attività di potenza può provocare un'ipertrofia cardiaca. Anche l’attività di resistenza provoca un’ipertrofia cardiaca, ma occorre rilevare le differenze: un'ipertrofia cardiaca di potenza aumenta le dimensioni delle pareti (come quando gonfiamo un palloncino le pareti si allungano, ma si assottigliano) questo è causato d’allenamento di forza (dovendo fronteggiare un aumento della pressione conseguente allo sforzo); un'ipertrofia cardiaca di resistenza al contrario aumenta le dimensioni delle cavità cardiache dovendo fornire a lungo una gittata cardiaca elevata per aumentare il consumo d'ossigeno (il palloncino è più grande e capace, ma le pareti non si assottigliano). La prima forma d’ipertrofia non aumenta significativamente la gittata sistolica e non offre nessuna protezione cardiovascolare, il cuore di un body builder non è, in altre parole, migliore di quello di un sedentario, perché solo le attività aerobiche offrono una reale protezione cardiovascolare. E il vero body builder non pratica attività aerobiche perché sono controproducenti per l'incremento di massa muscolare. 4. Non è un'attività di forza Contrariamente a quanto si crede, non è un'attività di forza perché l'incremento di massa muscolare (il primo scopo dell'attività) non è sempre linearmente collegato alla forza. Infatti, è privilegiato il volume rispetto alla qualità delle fibre. La prova si può fare confrontando il body builder con atleti di altri sport; in molti casi il culturista ha prestazioni scadenti negli sport come il lancio del peso e la forza muscolare delle gambe non arriva a essere paragonabile a quella dei fondisti bene allenati. Inoltre l'aumento non naturale delle masse muscolare provoca un'altrettanta innaturale lentezza che rende goffo il corpo, cosa che può essere provata facendogli fare qualche decina di metri di corsa. La lentezza della mobilità? diminuisce ulteriormente la forza dell'atleta. Basta pensare che quando si parla di forza in realtà si sottintende sempre un movimento (non esiste una forza senza movimento, per spostare un corpo occorre trasferire movimento da noi a esso a esso) e che l'energia trasmessa è quella cinetica che è il prodotto della massa (notevole in un culturista) per la velocità (veramente scarsa) al quadrato. È per questo motivo che un body builder opposto a un pugile dotato di discreta massa, ma di velocità notevole, non avrebbe scampo. 5. Non è un'attività dispendiosa in calorie Chi pratica body building brucia tutto ciò che mangia grazie alla lunga durata degli allenamenti. Chi non può permettersi tutto questo tempo e non vuole usare sostanze brucia-grassi (come l'ormone della crescita o la semplice efedrina) che possono essere dannose, non ha alternative: con un allenamento di un'ora e un'iperalimentazione ingrasserà irrimediabilmente. Infatti, ampie sono le pause fra i vari esercizi di potenza che, pur avendo un'intensità molto elevata, hanno un dispendio energetico molto limitato perché troppo brevi…Miriamo ad essere culturisti! Culturisti del benessere.

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6. Antistress e rilassamento Riposo, pace, serenità, distensione, concetti necessari da applicare alle tecniche per il raggiungimento della “calma” e il recupero dalla stanchezza; una necessità non solo dopo l’allenamento, ma anche nella vita di tutti i giorni. Allenarsi, integrarsi e alimentarsi bene non sono sufficienti! E’ indispensabile che il periodo in cui non ci alleniamo trascorra nel modo più calmo possibile. Lo stress da prestazioni dovute a lavori intensi, può portarci a patologie più serie, gli ormoni catabolici non permettono l’incremento della massa muscolare, anzi favoriscono l’incremento dell’adipe addominale e del giro vita! Molti affermano che per combattere lo stress è sufficiente ascoltare un po’ di musica, fare una passeggiata o fare una cena a lume di candela, non è così, quando l’umore sfocia nell’ansia, può condurci ad una sindrome nevrotica-depressiva. Ogni tipologia di individui deve avere tecniche specifiche e mirate. Un ansioso va calmato e un depresso va “rinvigorito”. Tecniche non adeguate agirebbero sul sistema nervoso in modo contrario in senso fisiologico, ad esempio una tecnica anti-depressiva applicata a un paziente con una forma ansiosa potrebbe far peggiorare una eventuale tachicardia, acutizzare anche la rigidità muscolare e così il senso di “angoscia” e di collasso non solo rimarrebbero ma si avvertirebbero maggiormente. Differenze tra Yoga e tecniche antistress. Nonostante vi siano apparenti similitudini, lo Yoga è nato per persone sane e non fa distinzioni tra tecniche per lo stato ansioso e quello depressivo. Non in tutti i gruppi Yoga, infatti, viene data una differente tecnica personalizzata a seconda dei casi. Così, potenzialmente un istruttore non terapeuta potrebbe con i suoi consigli far aggravare i sintomi pre-esistenti nel praticante alle prime armi. Il rilassamento quindi è una delle moltissime tecniche anti-stress che però non è adatto ai depressi o agli introversi gravi, che invece necessitano di tecniche “rivitalizzanti”. Quindi possiamo affermare che lo Yoga, è un’ottima tecnica di rilassamento, che può portarci al controllo dell’emozioni, dunque ridurre lo stress regolando gli ormoni catabolici, che ripetiamo distruggono i muscoli. Tra i numerosi risultati c’è anche quello che favorisce indirettamente lo sviluppo muscolare riducendo il cortisolo, la vasocostrizione, l’iperattivazione del sistema nervoso simpatico, ecc. Da questa premessa si comprende che per sviluppare in modo naturale la muscolatura, occorre praticare sedute di rilassamento per recuperare efficacemente un periodo d’intenso lavoro, per non sfociare in un superallenamento. Tra le numerosissime e potenti tecniche di recupero, se ne riporta una che, in realtà, da sola ne vale tre: “la respirazione completa diaframmata”. Senza descrivere i fenomeni fisiologici e biochimici dei processi respiratori e di come il respiro influenzi il sistema cardiovascolare e nervoso, ecco riassunta di seguito la pratica. All’inspirazione “addominale” si fa seguire la fase di inspirazione “toracica” (prima si “gonfia” l’addome e poi, continuando l’inspirazione, si gonfia il torace); il movimento inspiratorio è “fluido”. L’espirazione è il movimento opposto: si “sgonfia” prima il torace e poi l’addome. Nel movimento torace-addome è coinvolto il muscolo detto diaframma che, come un ombrello, si apre e chiude a ogni inspirazione ed espirazione. Per due-tre secondi si possono mantenere i polmoni pieni (per assorbire energia) o vuoti (per rilassare). Dopo una pesante serie di esercizi in palestra, sia aerobici che anaerobici, il recupero è fondamentale per affrontare la serie successiva. Il recupero può avere una durata da uno a cinque minuti (3-5 minuti e più se sono stati allenati muscoli con prevalenza di fibre bianche); comunque il tempo di recupero tra una serie e l’altra può essere anche prolungato in caso di necessità; l’importante è infatti recuperare, anche se talvolta occorre aspettare 10-15 minuti prima di eseguire una seconda serie. La posizione ottimale per tale recupero non è quella sdraiata per terra, ma seduti, con il busto lievemente inclinato in avanti, eseguendo respirazioni che, progressivamente vengono prolungate sino a tornare a un ritmo respiratorio quasi normale.

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E’ dannoso eseguire una serie successiva se il ritmo cardiaco e respiratorio non si sono abbastanza normalizzati. Questa è una sensazione soggettiva che varia per molti fattori. In generale, a differenza del body builder allenato, per i semplici mortali un solo minuto di riposo non può bastare. Per avere tutti i benefici dall’allenamento occorre programmare bene anche i recuperi Una lunga pausa è indispensabile se si segue il sistema di suddivisione dell’allenamento, occorre dunque trovare il modo di far trascorrere il tempo, utilizzando a piacere alternative anche futili (telefonare, andare al bagno, parlare a un amico), per poi passare al successivo gruppo muscolare, per essere così in grado di spingere a fondo. 7. Lo stretching Le mie esperienze mi hanno insegnato anche come utilizzare al meglio l’allungamento muscolare per trarne tutti i benefici, ma soprattutto per evitare infortuni di sorta per chi si allena intensamente in palestra. Lo stretching è una particolare tecnica di ginnastica che ha come obbiettivo l'incremento dell'estensibilità di alcune strutture anatomiche (muscoli e tendini). La parola stretching è un termine di lingua inglese che in Italiano significa allungamento. Gli atleti a livello nazionale sono stati i primi a comprendere l'importanza dello stretching, soprattutto in alcune discipline sportive, atletica leggera, ginnastica artistica e arti marziali, dove la mobilità articolare è fondamentale per il conseguimento di migliori risultati. Questa ginnastica riscosse grandi successi anche in campo medico correttivo e rieducativo. Tutti potrebbero e dovrebbero praticare gli esercizi di stretching, ciò che occorre però è differenziare per ciascun individuo la tecnica da seguire. Prima tecnica Allungamento muscolare tramite posizioni di massima flessione, estensione o torsione. Queste posizioni devono essere raggiunte lentamente in modo da non stimolare nei muscoli antagonisti il riflesso di stiramento. Raggiunta la posizione va mantenuta per un tempo minimo di 10/15 secondi fino ad un massimo di 30 sec. L'estensione non deve andare oltre la soglia del dolore. Seconda tecnica P.N.F. (proprioceptive neuromuscolare facilitation). Questa tecnica è divisa in due tempi: a) massimo allungamento raggiunto lentamente seguito da una contrazione isometrica di 15/20 secondi (sempre nella condizione di massimo allungamento). b) dopo un breve tempo di rilasciamento 3/5 sec. Si porranno in trazione i muscoli precedentemente contratti isometricamente, l'estensione deve essere almeno di 20/30 sec. L'intero procedimento è da ripetere due volte, concludendo con l'allungamento dei muscoli antagonisti. Esistono due grandi categorie nelle quali classificare tutti i possibili praticanti di stretching. a) sportivi agonisti; per gli sportivi agonisti è indicata la seconda tecnica (P.N.F.) perché influisce in misura maggiore sulla mobilità articolare migliorando così la prestazione. b) sportivi dilettanti; per gli sportivi dilettanti è consigliabile la prima tecnica che consente di acquisire e mantenere una buona flessibilità senza creare infortuni di sorta. Individui inattivi Lo stretching contribuisce notevolmente a evitare o ridurre la rigidità delle articolazioni. Le conseguenze di questa limitata mobilità sono spesso dolorose. Lo stretching potrebbe essere praticato tranquillamente da soggetti con patologie quali appunto rigidità nelle articolazioni, perché non richiede attrezzature o spazi particolari. Al mattino i muscoli sono più distesi in quanto non si sono ancora accumulate le tensioni della giornata ed è un momento ottimo da dedicare a 5 minuti di

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allungamento. Anche le ore serali si prestano allo stretching, in quanto contribuisce a creare un clima di relax psicologico, ripristinando lo stato di benessere e le energie spese durante la giornata. Effetti positivi Tra gli atleti che praticano lo stretching pre-allenamento o pre-gara si è riscontrata una diminuzione dei traumi muscolari e tendinei legamentosi acuti; altro effetto positivo immediato si riscontra nell'esecuzione dei movimenti grazie alla maggiore flessibilità, forza, velocità e resistenza. Nello sportivo c’è un migliore disponibilità nell'apprendimento di elementi tecnici nuovi, poiché possono essere riprodotti senza compiere errori dovuti alle limitazioni funzionali. A livello terapeutico un apparato muscolo tendineo legamentoso caratterizzato da una buona estensibilità necessita di tempi ridotti per il raggiungimento degli obiettivi della cura. Altro effetto positivo si ha nella circolazione sanguigna. Nei muscoli rigidi il sangue ha difficoltà a diffondersi sin nei più piccoli capillari. A lungo andare il muscolo non perfettamente irrorato tende a irrigidirsi ulteriormente. Si ha difficoltà anche nello smaltimento delle scorie del metabolismo cellulare. Nel muscolo regolarmente allungato il sangue scorre senza difficoltà, consentendogli di ricevere tutto il nutrimento necessario.. Lo stretching dà salute e benessere fisico a gran parte della popolazione che studia o svolge un lavoro sedentario, combattendo la rigidità della articolazioni che con il passare del tempo provoca dolori. Il mal di schiena ha la sua principale causa nella scarsa flessibilità della colonna vertebrale. Praticando stretching, per schiena, spalle, collo e tronco si ha il miglioramento della respirazione. Lo stretching per tutto il corpo dà benefici alla circolazione sanguinea e linfatica. La mobilità contribuisce ad accrescere la sensazione di benessere. Leggerezza ed energia del corpo. Decalogo dello stretching per i non agonisti 1) - trazione costante senza molleggi per 10 /30 sec. 2) - mai oltre la soglia del dolore. 3) - riscaldamento generale prima dello stretching. 4) - condizione di esercitazione favorevoli ( abbigliamento comodo- ambiente non rumoroso - suolo non freddo) 5) - concentrazione. 6) - non confrontarsi con gli altri. 7) - inizialmente esercitarsi a carico naturale 8) - alternare l'estensione dei muscoli agonisti con quelli antagonisti. 9) - programma razionale proposto da personale qualificato 10) - per impegno fisico superiore allo standard della vita quotidiana fate un controllo medico. Capitolo VIII Benessere del correre

1. Per chi corre, si prospetta una vita meno sofferta. Studi recenti hanno stabilito che chi corre abitualmente aggiunge 1/3 di vita complessiva. I risultati si iniziano a ottenere quando si superano i 15 km settimanali di corsa. Grazie a un tipo di allenamento del genere si attivano tutti i meccanismi di protezione contro l’invecchiamento delle arterie, e il colesterolo cattivo è sostituito da quello buono. Non c’è bisogno di correre velocemente, ma di correre tanto. L’uscita è considerata ottima quando si corre per almeno un’ora, i cosiddetti lunghi, nel linguaggio degli addetti ai lavori.

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Se per tre volte la settimana poi si riesce a percorrere 30 km, i grassi accumulati nelle arterie si riducono notevolmente, i rischi d’infarto calano di un 50%; se infine i km percorsi in una settimana diventano 70, s’innesca un circolo virtuoso. Le arterie subiscono un processo di ringiovanimento, i restringimenti causati dall’arteriosclerosi si ampliano facendo scorrere più liberamente il sangue nel cuore, nel cervello, e alle estremità. È non solo questo anche le ossa (quando sono attaccate dall’osteoporosi) arrestano l’orologio biologico. La continua sollecitazione agli arti inferiori del gesto atletico della corsa fa sì che sopraggiunga uno stimolo efficiente di rimineralizzazione delle ossa impoverite di calcio. Altro fattore rilevante, è che la corsa riduce di 10 mm di mercurio la pressione arteriosa, permettendo di evitare -o almeno di diminuire- la dipendenza da farmaci antipertensivi. Qualche controindicazione è d’obbligo! Questo fitness, non è un semplice esercizio fisico, ma un vero gesto atletico. Nella corsa il corpo vola. Nel ricadere al suolo, trasmette alle articolazioni degli arti inferiori, un peso tre volte superiore al peso corporeo. Correre una maratona perciò, comporta all’estremità migliaia di tonnellate di sollecitazioni. Per cui chi ha patologie cardiovascolari accertate, artrosi, artrite, obesità, problemi al menisco, tendinite, distorsioni recenti, lombalgie, deve assolutamente evitare la corsa. Ma può camminare. Anzi, in questi casi è d’obbligo. Per almeno un’ora il giorno. Gli obesi invece possono anche sperare di correre un giorno, a patto di avere la costanza di seguire il consiglio, e la pazienza di aspettare che il loro peso si riduca di un 10 %. Solo allora può essere consentito di praticare il jogging (corsa lenta-marcia veloce). C’è una patologia grave, il diabete, che al contrario per la sua risoluzione è consigliata la corsa. Il diabete più comune, l’alimentare di tipo due trova in questo sport la soluzione migliore per la completa guarigione. Ogni chilo perso con la corsa, fa scendere il valore glicemico di 13 milligrammi, se il diabetico riesce a togliere dal suo peso in eccesso dieci kg, può tranquillamente smettere di prendere farmaci ipoglicemizzanti. La corsa può trasformare un glicemico in un atleta sano. Anche chi ha un insufficienza venosa agli arti inferiori, trova nella corsa risposte positive. Ad ogni passo la contrazione dei muscoli del polpaccio spinge verso l’alto il sangue venoso, migliorandone la circolazione.

2. L’allenamento

Come prepararsi Tipo di attività fisica Durata Frequenza Periodo Ginnastica per recuperare mobilità articolare- trofismo muscolare

15 minuti per 2 volte al giorno, oppure 20-25 minuti al mattino o nel pomeriggio

Tutti i giorni 20- 30 giorni

Attività “aerobica” (marcia di buon passo o corsa lenta) per favorire una buona efficienza cardio- respiratoria.

Da 15 minuti iniziali fino a raggiungere progressivamente i 30-35 minuti di esercizio

Tutti i giorni 25-30 giorni

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Esercizio fisico per adulti sedentari

Tipo di esercizio Intensità Durata Frequenza Camminare, fare Jogging, pedalare, nuotare.

Iniziare l’allenamento a un massimo del 60-70% della frequenza cardiaca massimale. Gradualmente nel giro di alcune settimane o mesi, raggiungere l’obbiettivo (tra il 70 85%) della frequenza cardiaca massimale

Iniziare con periodi della durata di 10-15 minuti. Passare a periodi di 20 60 minuti con consumo di almeno 300 kcal.

Iniziare con sedute a giorni alterni. Continuare con un programma di 3 giorni alla settimana o progredire fino a 5. (consumo calorico settimanale totale, almeno 900 kcal)

3. Correre nel modo giusto. Chi pratica la corsa con regolarità, guadagna indubbiamente gran benessere sia nel corpo sia nella psiche, ma in media avrà un infortunio abbastanza serio ogni paio d’anni. Allenamenti intensi, percorsi accidentali, scarpe scariche, età avanzata, concorrono a rendere vulnerabile il piede, il maggior interessato a questa disciplina sportiva. E’ la parte del corpo più indifesa considerando che chi corre una maratona compie circa 11.000 battute sul terreno, e che scarica dalle 3 alle 8 volte il peso del proprio corpo sull’arco plantare. Sono tonnellate di spinta su ciascun piede. I disturbi più seri: talloniti, distorsioni, infiammazione al tendine d’Achille, o ancora, fratture da stress alla tibia o alle piccole ossa del piede, spina calcagnale. Possono inoltre presentarsi disturbi più seri come periostiti, sesamoiditi e infiammazioni ai minuscoli ramuscoli nervosi della pianta. Tutto questo dipende da come sono intensi gli allenamenti. La maggior parte di questi problemi è la conseguenza di errori nell’allenamento e si riversa tutta sulla fascia plantare: piste sintetiche, prestazioni esasperate, età avanzata hanno fatto risalire la fascite plantare tra le infiammazioni più frequenti. Fibrosa, spessa e resistente, tesa sotto la pianta del piede dal calcagno alle dita, la fascia plantare protegge vasi, tendini e nervi, e concorre a rendere il piede arcuato, ammortizzando così l’impatto sul terreno come se fosse una balestra. Doppia funzione dunque, ciò la rende più esposta a dolorose e invalidanti infiammazioni. La suola delle scarpette, la pelle e l’abbondante cuscinetto adiposo non riescono ad assorbire tutti i microtraumi della corsa che si riflettono sull’arco plantare. Di norma, (se abbiamo rispetto del nostro corpo evitando di sottoporlo a stress insostenibili) la fascia non soffre, ma con l’età avanzata il cuscinetto adiposo tende a diminuire, la fascia si atrofizza, diventa più sottile non riuscendo così a svolgere più la sua funzione di tessuto antichoc. Di qui i dolori e le infiammazioni al piede in corridori non più giovanissimi. Per coloro che hanno il piede troppo piatto, o al contrario troppo cavo, c’è un’unica soluzione: i plantari con una correzione studiata e con un rivestimento spesso e morbido. Tutto ciò per prevenzione, per non aver ricadute e se non si vuole attaccare le scarpette al chiodo. Vi sono casi più resistenti, che non rispondono agli antinfiammatori e alle comuni terapie. In questi casi si ricorre spesso alle onde d’urto: la stessa terapia che usata per frantumare i calcoli renali

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“lidrotritore”. In ogni caso le risposte più immediate sulla nostra condizione le abbiamo con la risonanza magnetica. E comunque non smetterò mai di ripetere di fare attenzione. In qualsiasi sport si pratichi, aerobico o anaerobico, l’importante è concedere al proprio organismo il giusto periodo di recupero, sia durante gli allenamenti, sia tra un allenamento e l’altro. Stiamo attenti, in particolare se non abbiamo uno specialista che segue comunque la nostra salute e al quale ricorrere in casi di infortuni. E siamo attenti anche agli specialisti. Non tutti, in verità pochi, posseggono la chiave per leggere il corpo come unità e come tale curarlo. Sta a noi fare esperienze e analizzare noi stessi. Attraverso un percorso di studio e lunghe ore di meditazione. Noi abbiamo la risposta. Basta comprenderla. Dobbiamo vivere la vita, con tutte le vicissitudini che ci riserva con grande serenità, solo così resteremo in pace con la nostra anima.

Senza i poveri, il mondo non ruoterebbe. Sono loro (più deboli e ricattabili)

che spendono la vita e l’energia per farlo girare.

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Indice Capitolo VII I tormenti dell’anima

Cosa è la felicità Prefazione Parte Prima Capitolo I: Convivere con il mal di schiena La postura I muscoli Il metodo La respirazione diaframmata Lo Yoga Capitolo II: Le rivelazioni 1. Le prime scoperte 2. Le regole 3. Lo schiocco Capitolo III Lo scopo dell’esistenza Il lavoro L’infortunio L’operazione la corsa La verifica Il segreto Capitolo IV La disponibilità verso gli altri Una storia Il racconto I primi approcci da trainer Tornare in possesso del corpo Essere disponibili Il rispetto dell’organismo Capitolo V L’importanza dell’esercizio fisico L’amico ritrovato Tutti possono correre Il peso forma ritrovato Guarire dal russare Capitolo VI Nuovi traguardi L’apprendimento I limiti personali Le scarpe Le tendinite I sogni mai realizzati La gara L’ansia Il personaggio

La compassione L’amarezza La serenità Il furore La violenza La paura Capitolo VIII La guerra dei poveri La pensione L’invidia Lo stress L’amata fabbrica chiude Capitolo IX Come passare il tempo Libero Il ricatto La nostalgia Superare i propri limiti Riflessioni Capitolo X Il castigo 1. Il secondo guaio 2. La depressione 3. Il prezzo dell’esperienze 4. I cosiddetti specialisti 5. La disperazione 6. Il desiderio di commiserazione 7. Considerazioni Parte seconda Capitolo I Il seme che è in noi La ricompensa Mente universale La diagnosi La guarigione Capitolo II La vitalità come conciliare i mali IL training autogeno Non ci sono privilegiati gli scalognati Capitolo III L’alimentazione Educazione alimentare I macronutrienti La dieta è importante ma non solo

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Indice Capitolo IV I mali dell’umanità 1. L’ipertensione 2. Cardiopatie 3. Il colesterolo 4. La prevenzione 5. La supersalute Capitolo V Le tabelle 1. I carboidrati da preferire 2. I cibi ipocalorici 3. I grassi da scegliere Capitolo VI La cultura 1. Cosa fare per l’educazione alimentare 2. La palestra 3. Dimagrire con la ginnastica 4. Definizione e dimagrimento 5. La dieta in palestra 6. Gli integratori 7. Le proteine 8. I carboidrati Capitolo VII La cultura fisica

1. Il body builder 2. I benefici 3. Non è un’attività aerobica 4. Non è un’attività di forza 5. Non è un’attività dispendiosa di calorie 6. Antistress e rilassamento 7. Lo stretching

Capitolo VIII Benessere del correre

1. Per chi corre si prospetta una vita meno sofferta 2. L’allenamento 3. correre nel modo giusto

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Con questo libro l’autore, si propone un obbiettivo ambizioso. Il testo è indirizzato a tutti coloro che soffrono di piccoli disturbi che l’esistenza riserva. Dunque per tutti. Esso potrà essere utili a chi soffre di disturbi alla colonna vertebrale. Vuol essere anche di stimolo, a quanti rifiutano l’attività fisica, per pigrizia, o perché ritenuta faticosa e inutile.

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