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Università degli Studi di Foggia Dipartimento di Medicina Clinica Sperimentale
Corso di Laurea in Scienze delle Attività Motorie e Sportive
Tesi di laurea in “Elementi di pedagogia delle attività motorie e sportive”
“Da dove parte il talento? Una dimensione
pedagogico-educativa verso l’educazione al
talento”
Chiar.ma Prof.ssa SIMONETTI Cristiana
Laureando
RICUCCI Leonardo Matricola : 537663
___________________________________________________ A.A. 2014/2015
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INDICE
INTRODUZIONE …………………………………………………… p. 1
CAPITOLO I CAPITOLO I
IL TALENTO I.1 Che cosa è il talento? ………………………………………... p. 3
I.2 Persone di talento o talento delle persone? .............................. p. 15
I.3 Il talento: patrimonio di tutti e non risorsa di pochi …….……. p. 36
CAPITOLO II
I FATTORI CHE ALIMENTANTO IN TALENTO II.1 Fattori genetici e ambientali ………………………………….. p. 48
II.2 Famiglia e empatia …………………………………………... p. 59
II.3 Talento sportivo e Life Skills ………………………………... p. 77
CAPITOLO III
IL TALENTO SPORTIVO III.1 Il talento sportivo: un seme da coltivare ……………………... p. 104
III.2 Ricerca e sviluppo del talento sportivo ………………………. p. 115
III.3 Rapporto tra pratica e talento ………………………………... p. 129
III.4 L’educazione al talento in una dimensione pedagogica …….. p. 140
Biografia di Michele Pio Pirro campione Moto GP ……..................... p. 164
Intervista a Michele Pio Pirro campione Moto GP …………………. p. 174
BIBLIOGRAFIA …………………………………………………....... p. 177
CONCLUSIONI ……………...………………………………………. p. 190
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INTRODUZIONE
Questa tesi è ispirata a Michele Pirro, pilota MotoGP, personaggio la cui
storia fa parte della mia vita, nella quale ho visto la nascita, l’evoluzione e
l’affermazione di un vero talento, che grazie alla sua dedizione e voglia di
farcela è riuscito ad emergere nel mondo dello sport a livello professionistico,
pur mantenendo sempre la sua umiltà, i suoi ruoli e non tralasciando mai
l’aspetto morale.
Questo lavoro nasce dal desiderio di capire da dove parte il talento e dove
giunge il processo del soggetto che vive con e per il talento!
L’identificazione del talento è diventato indubbiamente un aspetto molto
importante in diversi campi come lo sport, l’arte, l’educazione, gli impieghi
professionali. Gli studiosi sono alla continua ricerca di modelli e metodi
efficienti per identificare i talenti futuri.
L’identificazione e lo sviluppo del talento sportivo risulta essere cruciale per
le organizzazioni sportive che intendono formare atleti eccellenti ed essere
leader nelle competizioni mondiali.
L’obiettivo di questo lavoro è di riflettere intorno al significato che
correntemente viene dato al termine “talento”, ai processi di
selezione/identificazione e agli interventi volti alla sua promozione.
Il punto sta nell’indagare le origini etimologiche e storico-filosofiche del
termine “PEDAGOGIA”, quale “attributo di colui che sta fra due estremi” e
ancora, “…tenersi lontano dagli estremi…”. Ma come questa interpretazione
può abbracciare la definizione di talento che, nonostante le molteplici
valenze, viene comunemente definito come “individuo dotato di attitudine
particolare verso un’attività (sportiva nel nostro caso), tale da renderlo
superiore per abilità, creatività, conoscenza e intelligenza rispetto ai
coetanei”? Apparentemente egli non può. E’ uno scontro fatale. Come si può
mai elogiare “lo stare in mezzo agli estremi” per “rendere qualcuno superiore
agli altri”? Ma è questa la sfida educativa!
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L’ipotesi qui avanzata rivolge lo sguardo verso il processo piuttosto che verso
il risultato dell’identificazione e soprattutto della valorizzazione del talento.
Credo, cioè, che dallo sviluppo ponderato e polivalente delle capacità
organico-muscolari, psichiche e cognitive all’interno di un ambiente
ecologicamente predefinito possa emergere, come risultato finale,
“l’eccedenza rispetto alla media” che caratterizza il talento.
Ma l’eccellenza è della persona, pertanto non in maniera assoluta di
perfezione, ma talento come continua ricerca di miglioramento.
Questo caratterizza l’essere persona… in talento ovvero in continuo
cammino verso…
L’intero processo di definizione, identificazione, sviluppo e valorizzazione
deve essere interpretato attraverso il paradigma dei sistemi complessi,
essendo il talento stesso e l’ambiente (fisico e sociale) in cui si sviluppa
sistemi complessi.
Analizzerò, dunque, l’approccio al processo di identificazione del talento
(TID) in quest’ottica con l’intento di evidenziare l’importanza di un
approccio ponderato, multilaterale e complesso all’argomento descrivendo le
evidenze scientifiche in termini di antitesi natura-nutrimento e tentativi di
risoluzione di questa dicotomia.
La sfida è aperta!
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CAPITOLO I
IL TALENTO
I.1 Che cosa è il talento?
Il termine talento deriva dal greco “talanton” che significa “bilancia”. Con il
passare del tempo la parola talento venne usata per indicare il peso che veniva
posto su uno dei piatti della bilancia per valutare il peso dell’oggetto
posizionato sull’altro piatto. In seguito la parola venne utilizzata per indicare
il valore delle monete, perché il loro pregio dipendeva dal materiale con cui
venivano coniate e quindi dal loro peso. Col termine “talento” fu chiamata
dunque una moneta diffusa nell’antica Grecia, che aveva valore diverso a
seconda delle varie città e in base al fatto che fosse d’oro o d’argento. Presso
molti popoli antichi il “talento” fu il nome di una moneta, un’unità di misura
del valore economico1. Solo con la progressiva diffusione del Vangelo, al
termine talento vennero dati altri significati, in seguito a una notissima
parabola contenuta nel Vangelo secondo Matteo. La parabola dei talenti,
narrata da Gesù, racconta che un uomo, dovendo partire per un lungo viaggio,
decise di affidare i suoi beni ai suoi tre servi. Al primo consegnò cinque
talenti, al secondo due e al terzo solo uno. Il primo e il secondo servo decisero
di investirli guadagnando rispettivamente altri cinque e altri due talenti; il
terzo, invece, per paura di perdere tutto, nascose la sua unica moneta sotto
terra. Quando tornò a casa, il signore chiamò i servi e chiese cosa avessero
fatto dei talenti. Ringraziò e premiò i primi due chiamandoli “buoni e fedeli”.
Rimproverò aspramente e punì invece il terzo servo, che non aveva
moltiplicato il suo talento ma l’aveva nascosto2. In seguito alla diffusione di
questa parabola alla parola talento venne poi attribuito comunemente il
significato di qualità, di dote.
1 “Una parola al giorno.it” di Massimo Frascati 2 Vangelo e Atti degli Apostoli Nuova Edizione San Paolo “Vangelo secondo Matteo 25,14-30”
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Così la frase: «far fruttare i propri talenti» diventò di largo uso, con il
significato di mettere a frutto le proprie qualità personali. Cos’è esattamente
il talento? E’ una prerogativa di pochi scelti oppure è un qualcosa a cui tutti
possono attingere? E’ innato oppure no? E’ possibile accrescerlo o è qualcosa
di immutabile?
“Quella persona aveva talento fin da piccola.” – “Si vede che quella persona
ha talento.” – “Si vede che non è portato.” – “Lascia perdere, non hai
talento.” Queste sono alcune frasi comunemente usate per sottolineare la
bravura o meno di qualcuno.
La parola “talento” indica qualcosa di prezioso che una persona possiede.
Nello scenario collettivo sembra che il talento sia un qualcosa che alcuni
fortunati hanno fin dalla nascita e altri invece no. Detto in questo modo il
talento rimane quindi prerogativa di pochi prescelti che, per qualche strano
motivo, erano già dalla nascita dei predestinati3.
Non possiamo fare a meno di pensare a tutti coloro che, nel proprio ambito,
hanno fatto la storia grazie al proprio talento, come ad esempio: Michael
Jordan, The Beatles, Albert Einstein, Oprah Winfrey, Walt Disney, Thomas
Edison, Fred Astaire, Alberto Sordi, Beethoven, Charles Darwin, Isaac
Newton, Auguste Rodin, Henry Ford, Winston Churchill, Elvis Presley, e
tanti altri…
Tutti questi personaggi famosi sono stati genericamente classificati con frasi
del tipo: “Quello sì che ha talento!”
Ricercando nella storia di questi personaggi è possibile scoprire qualcosa di
sorprendente:
3 “Il talento che cosa è?” di Marco Cammilli (10 Febbraio 2015)
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5
• Michael Jordan:
- 6 volte campione NBA
- 6 volte premiato con il titolo di NBA Finals Most Valuable Player
Award (MVP)
- 5volte premiato con il titolo di NBA MVP – 3 volte MVP All Star.
Michael “Air” Jordan è stata una vera è propria star del
Basket.Lui si che è stato uno dei personaggi più talentuosi dello
sport… sbaglio forse? Se ti dicessi che alle scuole superiori si
chiuse in camera a piangere perché la squadra di basket lo aveva
scartato?4
• The Beatles:
sono considerati un vero e proprio fenomeno di comunicazione di
massa di proporzioni mondiali. Si sono sciolti nel 1970 e
nonostante questo nel 2001 sono risultati il gruppo musicale di
maggior successo commerciale, con vendite complessive che
hanno superato il miliardo di dischi. Per la rivista Rolling Stone
i Beatles rappresentano il gruppo di artisti più grande di tutti i
tempi. Talento innato? Assolutamente no. All’inizio della loro
carriera la Decca Recordings Studios gli scartò dichiarando: “Non
ci piacciono. I gruppi con le chitarre stanno passando di moda.”5
• Albert Einstein:
devi sapere che Einstein non parlò fino all’età di quattro anni e
non imparò a leggere fino ai sette. Il suo insegnante lo
definì “mentalmente tardo, asociale e sempre perso nel suoi
stupidi sogni.” Fu espulso e gli venne negata l’ammissione al
Politecnico di Zurigo. Aveva talento?6
4 “Il talento che cosa è?” di Marco Cammilli (10 Febbraio 2015) Fonte già citata
5 “Il talento che cosa è?” di Marco Cammilli (10 Febbraio 2015) Fonte già citata 6 “Il talento che cosa è?” di Marco Cammilli (10 Febbraio 2015) Fonte già citata
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6
• Oprah Winfrey:
è stata una delle anchorwoman più famose. La forte personalità e
il suo forte carisma comunicativo le permisero di essere
considerata una delle donne più potenti in tutti gli Stati Uniti.
Verrebbe da pensare che un personaggio del genere avesse
sicuramente un gran talento. Devi sapere che all’inzio della sua
carriera fu rimossa dal ruolo di presentatrice e la motivazione
fu “Lei non è portata per la televisione.”7
• Walt Disney:
l’impero creato da questo personaggio non abbia bisogno di
presentazioni. I cartoni animati creati da lui e dal suo gruppo di
disegnatori continuano ancor oggi, a distanzi di anni, di decenni,
a fare compagnia a grandi e piccoli. Walt Disney però non creò
tutto con lo schiocco delle dita. Walt fu addirittura licenziato da
un direttore di giornale per mancanza di idee e prima di creare il
suo impero andò in fallimento più volte.8
• Thomas Edison:
è considerato tra le “100 persone più importanti degli ultimi 1000
anni”. La sua invenzione della lampada ad incandescenza
“illuminò il mondo”. Ci crederesti mai che gli insegnanti di
Thomas Edison gli dissero che era troppo stupido per imparare
qualcosa? Cosa pensi adesso, aveva talento?9
7 “Il talento che cosa è?” di Marco Cammilli (10 Febbraio 2015) Fonte già citata 8 “Il talento che cosa è?” di Marco Cammilli (10 Febbraio 2015) Fonte già citata 9 “Il talento che cosa è?” di Marco Cammilli (10 Febbraio 2015) Fonte già citata
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7
• Fred Astaire:
chi non lo conosce! E’ stato uno dei ballerini più famosi. Cantante,
coreografo e indiscusso maestro di tip-tap. Devi sapere che
abbiamo una nota del 1933, relativa al suo primo provino, dove il
regista della MGM incaricato delle prove riporta: “Non sa
recitare! Leggermente calvo! Sa ballare un po’!”10
• Alberto Sordi:
è considerato uno dei “giganti” della commedia italiana. Al suo
debutto teatrale devi sapere che il capocomico lo giudicò negato
per fare l’attore.11
• Beethoven:
aveva grosse difficoltà nel maneggiare il violino e il suo insegnate
di musica lo definiva senza speranza come compositore.12
• Charles Darwin:
celebre per aver formulato la teoria dell’evoluzione e per la
selezione naturale. Talento innato il suo? Direi proprio di no.Suo
padre lo ammonì più volte “Non t’interessa niente tranne la
caccia, i cani e l’acchiappare topi.” Nella sua autobiografia
Darwin scrisse: “Ero considerato da tutti i miei maestri e da mio
padre un ragazzo molto ordinario, piuttosto inferiore alla media
per intelletto.”13
10 “Il talento che cosa è?” di Marco Cammilli (10 Febbraio 2015) Fonte già citata 11 “Il talento che cosa è?” di Marco Cammilli (10 Febbraio 2015) Fonte già citata 12 “Il talento che cosa è?” di Marco Cammilli (10 Febbraio 2015) Fonte già citata 13 “Il talento che cosa è?” di Marco Cammilli (10 Febbraio 2015) Fonte già citata
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8
• Isaac Newton:
è stato un fisico, matematico, filosofo naturale, teologo,
astronomo e alchimista inglese. Isaac Newton è considerato uno
dei più grandi e influenti scienziati di tutti i tempi. Durante il suo
primo periodo scolastico i risultati non avrebbero mai fatto
pensare a niente di tutto ciò: era infatti considerato un alunno
piuttosto scarso14.
• Auguste Rodin:
è stato un famoso pittore e scultore francese. Suo padre diceva di
lui: “Ho un figlio idiota.” Suo Zio lo considerava un pessimo
allievo, impossibile da istruire. Rodin fu definito il peggiore
allievo della scuola d’arte e per ben tre volte non riuscì neppure
ad essere ammesso. Cosa ne pensi? Secondo te aveva talento?15
• Henry Ford:
conosciuto da tutti per aver fondato una delle più importanti e
longeve case automobilistiche mondiali. E’ uno dei personaggi
più utilizzati nel mondo della crescita personale per tutto ciò che
è riuscito a creare avendo a disposizione la sola istruzione
elementare. Talento innato allora? Niente affatto. Prima di
raggiungere il successo fallì numerose volte rimanendo senza un
dollaro in tasca per ben 5 volte.16
14 “Il talento che cosa è?” di Marco Cammilli (10 Febbraio 2015) Fonte già citata 15 “Il talento che cosa è?” di Marco Cammilli (10 Febbraio 2015) Fonte già citata 16 “Il talento che cosa è?” di Marco Cammilli (10 Febbraio 2015) Fonte già citata
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9
• Winston Churchill:
è conosciuto soprattutto per essere stato la guida della Gran
Bretagna durante la Seconda Guerra Mondiale. E’ stato primo
ministro del Regno Unito, un influente statista, oratore e stratega
e vinse il Premio Nobel per la Letteratura nel 1953 per i suoi scritti
storici. E’ stato quindi un personaggio di rilievo… che fu bocciato
in prima media. Chissà se in quel periodo veniva considerato un
ragazzo di talento.17
• Elvis Presley:
è stato uno dei più famosi cantanti di tutti i tempi. E’ stata fonte
d’ispirazione per tantissimi interpreti di rock and roll. La sua fama
indiscussa lo ha fregiato dell’appellativo di The King. Talento
innato? Sembra impossibile che un personaggio come Elvis nel
1954 possa essere stato licenziato per le sue scarse doti musicali.
Dopo una sola esibizione al Grand Ole Opry (il tempio della
musica country) fu licenziato dal gestore: “Stammi a sentire,
ragazzo, non andrai da nessuna parte. Torna pure a guidare i
camion!”18
Dopo aver letto questa lista di personaggi famosi possiamo iniziare a
cambiare la nostra credenza sul significato di talento. Se non fosse dunque
qualcosa di innato? Se non fosse qualcosa di scritto nei nostri geni? Questi
personaggi famosi indicano che il talento non è niente di tutto questo:
il talento è strettamente collegato all’allenamento, alla perseveranza,
alla determinazione e alla voglia di raggiungere determinati obiettivi.
Nel comune modo di pensare il talento è la somma di tutte le qualità che una
persona possiede e che dovrà sviluppare al meglio nel corso del tempo.
17 “Il talento che cosa è?” di Marco Cammilli (10 Febbraio 2015) Fonte già citata 18 “Il talento che cosa è?” di Marco Cammilli (10 Febbraio 2015) Fonte già citata
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In effetti, noi nasciamo tutti con una serie di risorse che, tuttavia, possono o
meno diventare dei talenti e questo dipenderà solo da noi, dal modo in cui
prestiamo attenzione a queste risorse, da come le coltiviamo e da quanta
passione metteremo nel farle crescere in modo da poterle poi esprimere.
Il talento è qualcosa che parte da un potenziale innato ma che, in qualche
modo ha bisogno di essere raffinato perché può presentarsi in natura in modo
grezzo e, pertanto, non completamente utilizzabile.
Il talento, quindi, è come un seme che ognuno ha dentro di sé. E’ un qualcosa
che devi però saper coltivare. Nel momento in cui decidi quale
strada percorrere, allora, attraverso la determinazione ed il costante
affinamento delle abilità, potrai emergere sugli altri, ed essere considerato
“una persona di talento “.
Il talento non è una prerogativa di pochi fortunati. Tutti hanno il seme del
talento e in quanto tale possono decidere consapevolmente se farlo
germogliare facendolo diventare un albero robusto o non decidere niente,
rimanendo così persone mediocri, “senza talento”.
Ecco l’importante differenza tra coloro che ha sviluppato talento e coloro che
invece non lo hanno fatto.
Questa nuova consapevolezza dovrebbe farci smettere di pensare: “Guarda
quello, la vita gli ha dato tutto grazie al suo talento.”
Queste frasi sono fuorvianti perché attribuiscono il successo di una persona
al talento, nella sua connotazione sbagliata di qualcosa di innato. E’ come se
dicessimo che quella persona non si merita tutto ciò dato che in fondo non ha
fatto alcun sacrificio: è tutto merito del talento innato, non suo. Dobbiamo
invece riconoscere tutti i meriti alla persona stessa che con grande
perseveranza e allenamento è riuscita ad ottenere molto dalla vita.
“Nulla al mondo può prendere il posto della perseveranza.
Non il talento, nulla è più comune di uomini di talento falliti.
Non il genio; il genio incompreso è ormai un luogo comune.
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11
Non l’istruzione; il mondo è pieno di derelitti istruiti.
Solo la perseveranza e la determinazione sono onnipotenti.”19
Tutto ruota attorno alla decisione di voler sviluppare quella specifica abilità
e portare avanti questa scelta con dedizione e passione. Non tutti sono in
grado di farlo, non tutti lo vogliono fare. La maggior parte delle persone tende
a non decidere e preferisce sopravvivere lasciandosi trasportare
dalla corrente. Faccio un esempio esplicativo: un soggetto può avere un
grandissimo potenziale musicale: possiede il così detto orecchio, il senso del
ritmo, il senso dell’armonia e quella che si chiama musicalità. Tuttavia,
queste che possiamo considerare “risorse innate” potrebbero restare latenti
senza mai diventare talenti veri e propri se non saranno coltivati e migliorati
per cui, per arrivare ad esprimere il proprio talento bisognerà acquisire
tecniche e metodi che potranno elevare all’ennesima potenza quello che la
natura ci ha donato. Ci vogliono dunque entrambe le cose: non si può
diventare talentuosi in qualcosa che non ci appassiona e che non ci piace;
così come non basta che una cosa ci piaccia per fare di questa un talento.20 Il
potenziale c’è in ognuno di noi ma va scoperto: moltissime persone hanno
grandi risorse ma non le avvertono perché nessuno li ha aiutati ad
individuarle e a credere in esse. Questo ci riporta al fatto che solo uno stretto
connubio tra natura e ambiente può dare risultati straordinari e che, in assenza
di uno di questi due, non raggiungeremo mai un risultato ottimale. Senza
dubbio però noi tutti abbiamo al nostro interno dei “semi” che sono
naturalmente destinati a germogliare, sempre che trovino spazio ed ambiente
adatti. I semi sono le nostre tendenze innate.
19 Citazione di Calvin Coolidge 20“ Il talento e la capacità di svilupparlo” di Lidia Fassio dall’”Angolo della Psicologia”
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La tendenza innata è quella di “essere sé stessi” e di “mettere in gioco le
nostre risorse” il che ci richiama ad essere fedeli alle nostre potenzialità e, se
queste in qualche modo vengono bloccate, ecco che molte delle possibili
realizzazioni future verranno messe in discussione.
Esistono però alcune persone che hanno una marcia in più, una sorta di
inclinazione naturale a fare meglio una certa cosa rispetto agli altri.
Ci sono bambini, ad esempio, che fin da piccoli sono particolarmente portati
nello sviluppare certe abilità rispetto alla media degli altri bambini. Tutto
quello che abbiamo detto fino ad ora sul talento allora non è corretto? Il punto
è proprio questo: la predisposizione naturale che una persona può avere è
solamente un piccolo vantaggio iniziale, niente di più. Questo vuol dire che
con il tempo sarà la determinazione e l’impegno ad avere la meglio.
L’inclinazione che una persona ha è solamente, come dice la parola stessa,
una inclinazione, una predisposizione. Senza impegno, senza
determinazione, rimarrà solamente una predisposizione. L’accesso al talento
è ben altro e gli esempi che ho riportato confermano esattamente questo21.
Ognuno di noi dovrebbe avere il buon senso di voler scoprire quale sia il
proprio talento e coltivarlo attraverso un costante allenamento. La lista di
personaggi famosi che ho scritto non deve però essere fuorviante. Sviluppare
un talento non vuol dire esclusivamente diventare degli attori, cantanti o
imprenditori di multinazionali. Il talento è anche altro: è la capacità di
comunicare in maniera efficace con i propri figli, l’abilità di saper disegnare,
la capacità di saper ascoltare attivamente gli altri, saper cucinare, correre,
gestire gruppi di persone, parlare una lingua straniera, gestire i propri stati
d’animo, ecc. Qualunque abilità nel momento in cui viene allenata con
perseveranza si trasforma in talento.
21 “Il talento che cosa è?” di Marco Cammilli (10 Febbraio 2015) Fonte già citata
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Il talento è qualcosa di diverso rispetto all'immagine che abbiamo in mente.
Spesso pensiamo che si debba essere talentuosi in qualcosa di prestigioso che
porti a guadagni consistenti e al successo personale. Ma queste sono solo
definizioni che ci limitano.
Il vero Talento, quello con la T maiuscola, è qualcosa di totalmente
differente. Esso nasce in modo spontaneo, lontano dagli stereotipi22. Può
essere il Talento per il bricolage, per la cucina, per il modellismo, la pittura,
non l'arte che porta al successo ma la piccola arte da nascondere in casa,
quella fatta per puro piacere, un'arte tutta nostra che non deve essere esposta.
Invece ci ostiniamo nelle definizioni di noi stessi e degli altri, definizioni che
si trasformano in giudizi che limitano la nostra visione del mondo. È in questo
modo che nasce la visione aberrante del talento, per cui ad esempio se nostro
figlio che ha orecchio musicale non studia immediatamente musica classica
rimarrà un fallito, negando un presunta predisposizione, quella riconosciuta
dalla società e dai genitori. Mandare i nostri figli a danza, in palestra, a judo,
a lezione di musica, sperando di incanalare forzatamente le loro menti in una
visione limitata della vita, quella nostra. Poi cosa succede quasi
inevitabilmente? Il piccolo dopo cinque anni di conservatorio molla tutto e si
mette a fare altro! Perché il vero Talento è stato negato, è stato piegato a
qualcos'altro di commercializzabile e di standardizzato. Tutto questo
processo nasce dall'ansia dei genitori di creare un futuro solido ai figli e non
accorgendosi che spesso creano, in questo modo, situazioni mostruose di
coercizione, in cui il Talento vero non riesce ad emergere.
Il Talento è sempre qualcosa di inaspettato, è una dimensione dell'anima che
emerge quasi per incanto e non per calcolo. Può essere guidato ma non
generato. Cosa può fare un genitore? Può vivere dando un esempio.
Volete che vostro figlio ami lo sport? E voi lo vivete veramente lo sport
oppure lo portate solo due volte in palestra a settimana?
22 “Il talento e l’originalità” “Allenavita Master Trainer” di Amedeo Formisan (2014)
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Fate una corsetta ogni tanto e andate in bici? Oppure siete dei “pantofolari”
che istigano allo sport ma non lo praticano?
Volete che vostro figlio ami lo studio e la lettura? E voi genitori vi fate mai
sorprendere dai vostri figli con un libro in mano? Se sostituissimo alle regole
della cosiddetta educazione uno stile di vita reale da cui essi possano
apprendere non sarebbe meglio? Se potessero respirare le vostre passioni
reali forse potrebbero abbracciarle con più facilità. Il bimbo deve studiare
musica per forza? Ma in casa si suona già qualche strumento? Si respira
realmente aria di musica nei discorsi e nella vita familiare?
Voi genitori avete qualche passione da trasmettere ai vostri figli?
Avete qualche passione da trasmettere prima a voi stessi? Che vi faccia
affrontare la vita con più gioia e intensità? Come diceva Amleto “questo è il
problema”.
Il tema del talento spesso si coniuga a quello dell'originalità.
Molti si domandano se un'artista sia originale. Ma cos'è l'originalità, se non
qualcosa che ognuno ha già dentro sé? Provate a confrontare le firme di due
persone differenti. Sono calligrafie totalmente diverse, che ricordano la
nostra unicità. Poi provate a fare la stessa firma due volte, a distanza di 5
minuti. Non saranno mai perfettamente identiche, perché non siamo
macchine ripetibili. Se poi andiamo a rispolverare le nostre firme di quando
frequentavamo la scuola scopriremo di essere diversi da noi stessi. Siamo
cambiati, ci siamo evoluti passando da “un'originalità” all'altra. Se questa
trasformazione avviene ogni secondo, ogni giorno, perché non dovremmo
migliorare trovando i nostri veri talenti? Perché non potremmo migliorare e
scoprire che l'originalità già esiste in noi?
Questi termini talento e originalità si rincorrono nel linguaggio comune,
densi di significati sbagliati, preconfezionati, che plasmano la nostra vita
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sottraendoci il piacere delle piccole passioni, quelle che esprimono i Talenti
veri23.
I.2 persone di talento o talento delle persone?
Il talento è una predisposizione personale che permette al cervello di essere
organizzato in maniera tale da poter creare particolari istinti, di tipo fisico,
motorio ed emozionale, i quali possono essere espressi in determinate
attività. Durante di tali attività, il soggetto si renderà conto di riuscire ad
eseguirle facilmente, senza difficoltà. Il fatto stesso di rendersi conto di
essere bravi in ciò che si fa, crea la passione, la voglia di migliorarsi e di
mettersi alla prova (stimolando lo spirito di competizione). Volersi
migliorare o voler diventare migliore sono due cose completamente
differenti: quest’ultima richiede sacrificio.
Raggiungere la perfezione richiede di dover allenare costantemente l’aspetto
fisico e tecnico, in modo tale che la pratica dell’attività sportiva torni a
donarci nuovamente emozioni.
Le emozioni sono i nostri stimoli, i quali danno un senso alla fatica fisica
sopportata dall’atleta, agendo sulla forza di volontà, che lo aiuterà a
perseverare verso i propri obiettivi finali.24
23 “Il talento e l’originalità” “Allenavita Master Trainer” di Amedeo Formisan (2014) Fonte già citata 24 “L’arte del pugilato è un arte strategica” di Luca Riccardi (27 Maggio 2014)
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La passione e il sacrificio sono due elementi indivisibili: l’uno non può
esistere senza l’altro. La passione è la vera espressione di un sentimento e di
un’emozione pura, di una volontà profondamente connessa col nostro io.
Quando abbiamo passione, il cervello è completamente assorto nell’attività
che sta eseguendo: nessun altro pensiero trova spazio, ogni senso è
indirizzato al fine di dare una completa partecipazione emotiva.
Nello sport la fortuna è illusione: basti pensare al poker in cui, gli stessi
professionisti, sono d’accordo nel dire che la fortuna è solo una possibile
variabile di un gioco programmato e studiato. In realtà non fa la differenza,
ti potrà far vincere una partita, ma non ti renderà un campione!26
Per raggiungere livelli di eccellenza in un qualunque campo conta di più
avere delle doti innate o costruire nel tempo con l’esercizio le proprie
capacità? Ernest Hemingway non ha avuto dubbi quando gli è stata posta
questa domanda… “Il successo è 1 per cento inspiration (ispirazione) e 99
per cento perspiration (sudore)”27.
Se pensiamo ad uno dei personaggi più creativi e geniali della storia,
l’inventore Thomas Edison, quest’ipotesi non può che essere confermata.
Edison infatti è il quarto inventore più prolifico di sempre.
25 “L’arte del pugilato è un arte strategica” di Luca Riccardi (27 Maggio 2014) Fonte già citata 26 “L’arte del pugilato è un’arte strategica” di Luca Riccardi (27 Maggio 2014) fonte già citata
27 Citazione di Ernest Hemingway
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Tra i 20 e gli 82 anni deposita 1084 brevetti, tra i quali il fonografo e la
lampadina. Il costante impegno e il “sudore” sono stati la sua chiave per il
successo, tanto che Nikola Tesla, suo contemporaneo e concorrente, lo definì
un “brute force experimenter”28.
I sostenitori della pratica come chiave del successo fanno tutti riferimento ad
uno studio del 1993 dello psicologo statunitense Anders Ericsson: “The role
of deliberate practice in the acquisition of expert performance” il quale si
basa sull’assunto che chiunque può primeggiare in qualsiasi disciplina se vi
si applica intensamente e per un lungo periodo29. Ericsson ha esaminato un
gruppo di violinisti dell’accademia musicale di Berlino e con l’ausilio di
alcuni esperti ha diviso il gruppo in tre categorie:
• Quelli che avevano possibilità di diventare solisti di fama internazionale;
• I violinisti “semplicemente bravi”;
• Quelli che avevano scarse probabilità di suonare a livello professionistico
e intendevano insegnare musica nelle scuole pubbliche.
A tutti i violinisti fu posta la stessa domanda: per quante ore vi siete esercitati
nel corso della vostra carriera, da quando avete cominciato a suonare il
violino?
Ecco, in sintesi, i risultati:
• Tutti avevano cominciato a suonare a 5 anni;
• Fino agli 8 anni tutti avevano suonato 2-3 ore alla settimana;
• A partire dagli 8 anni quelli che avrebbero finito per primeggiare avevano
cominciato a impegnarsi in misura superiore: 6 ore alla settimana a 9 anni,
8 ore a 12 anni, 16 ore a 14 anni e poi sempre di più, fino a superare le 30
ore settimanali a 20 anni;
28 “L’eccellenza: pratica o talento naturale?” tratto da “Fondazione Patrizio Paoletti” (24 Luglio 2014) 29 “L’eccellenza: pratica o talento naturale?” tratto da “Fondazione Patrizio Paoletti” (24 Luglio 2014)Fonte già citata
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• a 20 anni gli allievi migliori avevano totalizzato 10.000 ore di pratica,
quelli “bravi” 8.000 e solo 4.000 i futuri insegnanti.
Dallo studio di Ericsson emergono altri punti interessanti:
• i ricercatori non trovarono un solo musicista che avesse raggiunto
l’eccellenza impiegando tempo inferiore a quello dei colleghi di
paragonabile livello; né trovarono chi, privo del talento necessario a
primeggiare, si fosse impegnato in misura superiore a quella dei
compagni di studio;
• se un musicista possiede sufficiente talento da essere ammesso in una
delle scuole migliori ciò che lo può portare a emergere è l’impegno;
• chi raggiunge livelli d’eccellenza non lavora più degli altri ma molto,
molto più degli altri30.
31
In conclusione, il talento rappresenta una condizione essenziale ma si può
arrivare all’eccellenza solo se siamo disposti a impegnarci duramente.
L'obiettivo di Ericsson e dei suoi colleghi era cercare di capire cosa
distingueva questi tre gruppi. Quanto tempo dedicavano alla musica? Come
e quanto si esercitavano? Quanto avevano studiato in passato? Il gruppo dei
30 “Conta più il talento o la preparazione?” di Arduino Mancini (27 Giugno 2011) tibicon.net 31 Foto tratta dalla rivista “Psicologicaneurolinguistica”
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migliori cosa aveva di diverso dagli altri? Per scoprirlo studiarono le
abitudini quotidiane presenti e passate dei giovani allievi del conservatorio.
Un primo risultato fu che tutti i violinisti trascorrevano la maggior parte del
loro tempo facendo musica: si esercitavano - da soli o in compagnia -
suonavano per divertimento, si esibivano in pubblico, prendevano e davano
lezioni, studiavano o ascoltavano musica. Nel complesso tutte queste attività
occupavano in media circa 50 ore a settimana. La loro attività principale,
quindi, era la musica. Insomma nessuno di loro sognava di diventare un
professionista del violino trascorrendo le giornate a caccia di farfalle.
La cosa interessante però è che non c'era alcuna differenza rilevante tra i
gruppi: tutti dedicavano circa 50 ore alla settimana al violino, sia i più bravi
che i meno bravi. Dove stava allora la differenza?
Nel tipo di pratica. Tra tutte le diverse attività di studio svolte dai giovani
violinisti, una in particolare era considerata da loro stessi quella più
importante per migliorare: esercitarsi da soli. Suonare in compagnia, oppure
esibirsi, o prendere lezioni, sono tutti modi per fare pratica. Ma nulla
produceva miglioramenti come la pratica intenzionale, svolta in solitudine,
con lo scopo preciso di lavorare sui propri limiti e di superarli. Ed era proprio
in questo tipo di pratica che i primi due gruppi - i violinisti eccellenti e quelli
bravi - si differenziavano dal terzo gruppo. Infatti i giovani violinisti del
primo e del secondo gruppo dedicavano allo studio del violino in solitudine
circa 24 ore alla settimana; mentre i violinisti del terzo gruppo, quelli con
prestazioni inferiori, solo 9 ore. Una bella differenza quindi. Sufficiente a
spiegare i differenti livelli di bravura raggiunti.
I più bravi erano quelli che occupavano più tempo nell'esercizio solitario.
Restava ancora da capire però cosa distingueva il primo dal secondo gruppo:
entrambi dedicavano alla pratica deliberata in solitudine circa 24 ore alla
settimana. Perché alcuni erano valutati come eccellenti e altri come molto
bravi?
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Ericsson e colleghi erano molto convinti che la pratica solitaria fosse la vera
chiave per comprendere il tutto. Quindi fu sempre in quella direzione che
andarono a cercare conferme. Chiesero infatti a tutti i violinisti di ricostruire
il numero di ore di pratica solitaria che avevano accumulato a partire dal
momento in cui avevano cominciato a suonare fino ai 18 anni di età (prima
quindi di entrare al conservatorio). I risultati confermarono le ipotesi dei
ricercatori: i violini eccellenti, a 18 anni avevano accumulato più di 7.400 ore
di pratica in solitudine. I violisti molto bravi ne avevano messe assieme 5.300
e quelli del terzo gruppo, gli insegnati, solo 3.40032.
Alla fine quindi, il numero di ore di pratica deliberata spiegava perfettamente
le differenze tra i tre gruppi. I violinisti più bravi di tutti erano quelli che nel
corso degli anni avevano trascorso più tempo da soli, a tu per tu con il loro
violino, con la precisa intenzione di esercitarsi per migliorare le loro capacità.
A ulteriore conferma, gli psicologi studiarono un quarto gruppo di violinisti:
professionisti di mezza età che già suonavano nelle più importanti orchestre
a livello internazionale. Anche a loro fu chiesto di stimare il numero di ore
di pratica in solitudine che erano arrivati a mettere assieme all'età di 18 anni,
e il risultato fu estremamente simile a quello dei giovani violinisti eccellenti:
7.300 ore circa. In sintesi - conclusero Ericsson e colleghi - l'elemento che
spiegava il successo nel suonare il violino era questo: l'esercizio in solitudine.
Il talento, secondo loro pensiero, non aveva alcuna influenza, né prima né
dopo. A riuscire erano solo quelli che studiavano di più e nel modo giusto.
Negli ultimi anni gli psicologi hanno fatto altre ricerche sull'argomento, e la
maggior parte sembrano concludere che la pratica deliberata resta uno degli
elementi chiave del successo, anche se non è sufficiente a spiegare tutto.
Infatti anche a parità di ore di pratica ci sono pianisti, scacchisti, e lottatori di
wrestling (tanto per fare degli esempi) più bravi di altri.
32 “Il talento, la pratica e la solitudine” tratto da “My Way Blog” (28 Febbraio 2015)
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È evidente che entrano in gioco altri fattori: per esempio l'età nella quale
cominciamo a impegnarci in una certa attività, ma anche la memoria,
l'intelligenza, il modo con cui elaboriamo le informazioni. E che c'è ancora
bisogno di altra ricerca per capire meglio come funziona.
La formula per il successo, insomma, non è stata ancora scoperta. Certe
semplificazioni, come la regola delle 10mila ore, hanno il loro fascino, ma
non reggono alla prova dei fatti.
Le capacità di base contano molto, e non è vero che possiamo arrivare
ovunque vogliamo solo con la determinazione e l'esercizio. Il talento quindi
in qualche modo esiste, anche se ancora non ne sappiamo dare una
definizione precisa e puntuale. Ma di una cosa possiamo essere certi: senza
la pratica, il talento non può emergere. Quindi l'esortazione a rimboccarsi le
maniche e a lavorare duro mantiene intatta la sua validità. A patto che non ci
mettiamo in testa di volere essere a tutti i costi il numero uno al mondo. La
pratica è essenziale per sviluppare in modo pieno il nostro potenziale,
qualsiasi esso sia. Forse dentro di te si nasconde un campione, un artista
sopraffino, un premio Nobel. O forse un buon artigiano, un bravo insegnante,
un piccolo imprenditore.
Non importa quanto grande sia il tuo talento. Il punto è: ti interessa portarlo
al suo massimo sviluppo? Se la risposta è sì, allora non c'è che una strada: la
pratica. Attenzione però che la pratica deliberata - quella che ti porta
veramente a migliorare - non è una pratica qualsiasi. Ricordi i violinisti di
Ericsson? Tutti studiavano musica per 50 ore a settimana, ma i più bravi
erano quelli che dedicavano il maggior numero di ore a un certo tipo di
studio. Quello che Ericsson ha definito pratica deliberata e che Anna Maria
Testa, in un articolo uscito su Internazionale ha descritto in modo molto
chiaro:
“La pratica deliberata è qualcosa di profondamente diverso dal semplice
allenamento: chiede una dose altissima di concentrazione e si focalizza non
sul mantenere, ma sull’estendere costantemente le proprie capacità. Consiste
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nel continuare a forzare i propri limiti e nel lavorare in modo accanito sui
punti deboli. Per riuscirci bisogna essere molto tenaci, molto esigenti e molto
onesti con se stessi.”33
Studiare intensamente è la chiave del successo negli scacchi, nella musica
classica, nel calcio e in molti altri campi. Nuove ricerche indicano che la
motivazione è più importante della capacità innata.
Gli studi sui processi mentali dei grandi giocatori di scacchi spiegano come
si può diventare esperti anche in altri campi. Venne osservato un uomo che
si sposta all'interno di un cerchio formato da tavoli da scacchi. Guardava
ciascun tavolo per due o tre secondi e poi muoveva un pezzo. All'esterno del
cerchio le persone sedute riflettevano sulle contromosse finché l'uomo
completò il circuito.
L'anno era il 1909, e l'uomo, un cubano, si chiama José Capablanca. Il
risultato fu un trionfo: 28 vittorie su 28 partite. L'esibizione faceva parte di
un tour in cui Capablanca vinse 168 partite di fila. Come faceva a giocare
così bene, e così in fretta? E quante mosse riusciva a calcolare in quelle
condizioni limitate? Sembra che la sua risposta sia stata: «Io vedo solo una
mossa, ma è sempre quella giusta». Queste parole racchiudono ciò che la
psicologia avrebbe poi stabilito in un secolo di ricerche: la superiorità di un
maestro di scacchi su un principiante deriva essenzialmente dai primi secondi
di riflessione. Questa percezione rapida guidata dalla conoscenza, talvolta
definita «appercezione», la osserviamo anche in persone esperte in altri
campi. Per esempio un musicista esperto spesso ricostruisce lo spartito di una
sonata ascoltata una sola volta. E come un maestro di scacchi sovente scopre
la mossa migliore in un lampo, così un medico esperto esegue una diagnosi
accurata dopo una sola occhiata al paziente34. Ma come fanno gli esperti delle
discipline più disparate ad acquisire le loro straordinarie capacità? Fino a che
punto è talento innato e quanto pesa un allenamento intensivo?
33 Articolo di Anna Maria Testa dalla rivista “Internazionale” 34 “Maestri si nasce o si diventa?” di Philip E. Ross dalla rivista “Le Scienze”(marzo 2007)
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Gli psicologi hanno cercato le risposte nei maestri di scacchi, e i risultati
raccolti in un secolo di ricerche hanno prodotto nuove teorie che spiegano
come la mente organizza e richiama le informazioni. Non solo, questi studi
potrebbero dare importanti suggerimenti agli educatori. Forse le stesse
tecniche impiegate dai giocatori di scacchi per affinare le loro doti potrebbero
trovare applicazione in classe per insegnare a leggere, scrivere e far di conto.
35
Nella nostra specie, la storia delle abilità delle persone esperte ha origine con
la caccia, un'attività vitale per la sopravvivenza dei nostri antenati. Il
cacciatore che ha esperienza non solo sa dove è stato il leone, ma sa anche
dedurre dove andrà. L'abilità nell'inseguimento, come dimostrano diversi
studi, aumenta dall'infanzia in poi «secondo una relazione lineare fino ai 35
anni, quando raggiunge il massimo»36, afferma John Bock, antropologo della
California State University a Fullerton. Ci vuole meno tempo per addestrare
un neurochirurgo.
Senza una superiorità palese e dimostrabile rispetto a un esordiente non si
può parlare di vero esperto, ma solo di gente comune con delle credenziali,
persone che purtroppo sono persino troppo comuni. Studi rigorosi svolti negli
ultimi vent'anni dimostrano che gli stock picker professionisti, cioè gli
35 Foto di Ethan Hill tratta dalla rivista “Le Scienze” (marzo 2007) 36 Citazione di John Bock, antropologo della California State University
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operatori finanziari che scelgono i titoli, investono con un successo non
superiore a quello dei dilettanti, che rinomati intenditori distinguono i vini
non poi tanto meglio di assaggiatori ruspanti e che terapeuti con fior di
pedigree non curano i pazienti meglio di colleghi meno titolati. E anche
quando l'abilità esperta esiste - come nell'insegnamento o nel senso degli
affari - spesso è difficile misurarla, e ancora meno spiegarla. La superiorità
di un maestro rispetto a un principiante nasce in gran parte nei primi secondi
di riflessione. L'abilità negli scacchi però si può misurare, scomporla nei suoi
elementi, sottoporla a esperimenti di laboratorio e osservarla nella sua
immediatezza nel suo ambiente naturale, la sala dei tornei. Ecco perché gli
scacchi sono stati il più importante banco di prova delle teorie sul pensiero,
la «drosofila delle scienze cognitive» come qualcuno li ha definiti. La misura
dell'abilità nel gioco degli scacchi è stata sviluppata più che in altri giochi,
sport o attività competitive. Formule statistiche pesano i risultati recenti di
un giocatore rispetto a quelli vecchi e sottraggono i successi in base alla forza
dell'avversario. I risultati sono punteggi che prevedono con notevole
attendibilità l'esito di una partita: se il giocatore A ha un punteggio superiore
di 200 punti al giocatore B, allora A batterà B in media il 75 per cento delle
volte. Questa previsione è valida sia che i giocatori siano tra i primi della
classe sia di livello medio. Garry Kasparov, il Grande Maestro di scacchi
russo con un punteggio di 2812, vincerà il 75 per cento delle partite contro il
maestro al centesimo posto in classifica, l'olandese Jan Timman, il cui
punteggio è 2616. Allo stesso modo, un giocatore con un punteggio di 1200
(un valore intorno alla media) vincerà il 75 per cento delle volte contro un
giocatore il cui punteggio è pari a 1000 (circa il quarantesimo percentile). Le
classifiche consentono agli psicologi di valutare il grado di perizia in base
alla prestazione, più che alla reputazione, e di seguire le variazioni dell'abilità
di un giocatore nel corso della carriera.
Un'altra ragione per cui gli scienziati cognitivi hanno scelto gli scacchi come
modello, e non il biliardo o il bridge, è la reputazione di cui gode questo
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gioco, la «pietra miliare dell'intelletto»37, come lo definì Goethe. Molto
spesso le imprese dei giocatori di scacchi sono state attribuite a poteri mentali
quasi magici. Il massimo splendore di questa magia si ha nelle cosiddette
partite alla cieca, in cui ai giocatori è vietato guardare la scacchiera. Nel 1894
lo psicologo francese Alfred Binet, co-inventore del primo test d'intelligenza,
domandò ad alcuni maestri di scacchi di descrivere come giocavano queste
partite. L'ipotesi di partenza era che essi realizzassero un'immagine quasi
fotografica della scacchiera, ma Binet giunse presto alla conclusione che la
visualizzazione era molto più astratta38. Invece di vedere la criniera del
cavallo oppure la trama nel legno di cui è fatto, il maestro richiama solo una
conoscenza generale della casella del pezzo in relazione ad altri elementi
della posizione. È la stessa conoscenza implicita che ha il pendolare rispetto
alle fermate della metropolitana. Il maestro che gioca alla cieca integra questa
conoscenza con i dettagli del gioco disponibili e con il ricordo di aspetti
salienti di vecchie partite. Poniamo che abbia dimenticato la posizione
precisa di un pedone. Può trovarla, diciamo, considerando la strategia di
apertura, una fase ben studiata della partita con un numero relativamente
limitato di opzioni. Oppure può ricordare la logica di una sua mossa
precedente, magari per ragionamento: «Non sono riuscito a catturare l'alfiere
due mosse fa, per cui ci doveva essere un pedone sulla diagonale». Il maestro
non deve ricordare ogni dettaglio di ogni momento della partita, saprà
ricostruire i particolari ogni volta che desidera riferendosi a un sistema ben
organizzato di connessioni.
Naturalmente, se una conoscenza così complessa spiega non solo il successo
nel gioco alla cieca ma anche altre capacità dei maestri di scacchi, come il
calcolo e la pianificazione, allora l'abilità nel gioco dipenderebbe non tanto
da capacità innate quanto dall'allenamento. Lo psicologo olandese Adrian de
Groot, a sua volta maestro di scacchi, confermò questa idea nel 1938, quando
37 Citazione di Goethe 38 Studi dello psicologo francese Alfred Binet
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approfittò della presenza in Olanda di un grande torneo internazionale con i
più grandi maestri del mondo per fare un confronto tra giocatori forti e
giocatori nella media. Per esempio, chiese agli scacchisti di descrivere i loro
pensieri quando esaminavano una posizione di una partita del torneo. De
Groot scopri che anche se i giocatori esperti, un gradino sotto i maestri,
analizzavano un numero assai più elevato di possibilità rispetto ai giocatori
molto deboli, si verificava un aumento modesto nell'analisi quando la forza
del gioco raggiungeva il livello di Maestro o di Grande Maestro. I giocatori
migliori non esaminavano tante possibilità, ma solo le migliori, come aveva
sostenuto Capablanca. I riscontri di de Groot riflettevano in parte la natura
delle posizioni dei pezzi scelte per il test. Una posizione dove è vitale un
calcolo esteso e accurato consentirà a un Grande Maestro di mostrare le sue
doti, per così dire, ed egli ricercherà lungo i rami dell'albero di mosse
possibili più in profondità di quanto possa sperare un dilettante39. Allo stesso
modo i fisici esperti in alcuni casi esaminano più possibilità degli studenti di
fisica. Eppure, in entrambi i casi l'esperto si affida non tanto a un maggior
potere di analisi innato, quanto a un deposito di conoscenza strutturata.
Davanti a una posizione difficile, un giocatore debole magari calcola per
mezz'ora, spesso considerando molte mosse, ma gli sfugge la giusta
prosecuzione.
Un Grande Maestro invece vede la mossa all'istante, senza analizzare nulla
in modo cosciente. De Groot ha anche fatto esaminare ai suoi soggetti una
posizione dei pezzi per un periodo limitato e poi ha chiesto loro di ricostruirla
a memoria. La prestazione in questo compito indicava la forza nel gioco, dal
principiante al Grande Maestro. I principianti ricordavano solo pochissimi
dettagli della posizione, anche dopo averla esaminata per 30 secondi, mentre
i Grandi Maestri di solito ci riuscivano perfettamente, anche dopo aver
esaminato la posizione per pochi secondi.
39 Studio dello psicologo olandese Adrian de Groot
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27
Questa differenza individua una particolare forma di memoria, specifica del
tipo di disposizione degli scacchi registrata nella partita, una memoria che
deve essere il risultato dell'allenamento perché i grandi maestri non superano
la media nei test mnemonici generali. Risultati simili sono stati dimostrati nei
giocatori di bridge (che ricordano le carte giocate in molte partite), nei
programmatori di computer (che ricostruiscono montagne di codice
macchina) e nei musicisti (che ricordano lunghi frammenti musicali).
Una regola afferma che sono necessari dieci anni di lavoro duro per diventare
maestri in un campo. In effetti, questa memoria per una specifica materia in
un particolare campo è un test standard dell'abilità da esperti. Che gli esperti
si affidino più a una conoscenza strutturata rispetto all'analisi è una
conclusione suffragata da un raro caso da manuale di un giocatore di scacchi
inizialmente debole (lo identificheremo con le iniziali, D.H.) che in nove anni
è cresciuto sino a diventare nel 1987 uno dei maestri più bravi del Canada.
Neil Charness, professore di psicologia alla Florida State University, ha
dimostrato che con il crescere della sua forza D.H. non analizzava le
posizioni in modo più approfondito rispetto all'inizio della carriera, ma si
affidava a una conoscenza delle posizioni e delle relative strategie che aveva
perfezionato nel tempo40. Negli anni sessanta, Herbert A. Simon e William
Chase, della Carnegie Mellon University, hanno cercato di capire meglio la
memoria degli esperti studiandone i limiti. Partendo da dove de Groot si era
fermato, i due hanno chiesto a giocatori di varia forza di ricostruire posizioni
artificiali degli scacchi, vale a dire pezzi collocati in modo casuale sulla
scacchiera, e non il risultato di una partita. La correlazione tra la forza del
giocatore e l'accuratezza del suo ricordo era molto più flebile per le posizioni
casuali rispetto a quelle effettivamente verificatesi. La memoria scacchistica
si era dimostrata ancora più specifica di quanto sembrava, ed era influenzata
non solo dal gioco in sé, ma anche dalle tipiche posizioni degli scacchi.
40 Studi di Neil Charness professore di psicologia alla Florida State University
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Questi studi hanno avvalorato ricerche precedenti in cui si era stato
dimostrato in modo convincente che l'abilità in uno specifico campo non si
trasferisce a un altro41. Più di un secolo fa lo psicologo americano Edward
Thorndike rilevò per primo questa assenza di trasferimento: lo studio del
latino non migliorava la padronanza dell'inglese, e le dimostrazioni dei
teoremi geometrici non insegnavano l'uso della logica nella vita quotidiana42.
Herbert A. Simon spiegò la relativa debolezza dei maestri la posizione
artificiale degli scacchi con un modello basato su strutture significative: i
cosiddetti chunk, o blocchi. Simon era ricorso a questo concetto per spiegare
come i maestri di scacchi siano in grado di gestire un gran quantità di
informazione archiviata, un compito che sembrerebbe mettere a dura prova
la memoria di lavoro. Lo psicologo George Miller, della Princeton
University, in un celebre articolo del 1956 dal titolo “Il magico numero sette
più o meno due” stimò i limiti della memoria di lavoro, e dimostrò che la
nostra mente prende in considerazione al massimo da cinque a nove elementi
alla volta43. Accorpando gerarchie di informazioni in blocchi - pensava
Simon - i maestri di scacchi potevano aggirare questo limite, e con questo
metodo potevano accedere a un numero di blocchi compreso tra cinque e
nove, invece dello stesso numero di dettagli più piccoli.
Prendiamo la frase: «La donzelletta vien dalla campagna», l'attacco della
poesia Il “sabato del villaggio” di Giacomo Leopardi. In questo caso il
numero di blocchi di informazione dipende dalla conoscenza della poesia e
della lingua italiana. Per la maggior parte delle persone madrelingua questa
frase fa parte di un blocco molto più grande, una poesia familiare. Per chi
conosce l'italiano ma non la poesia, la frase è un singolo blocco
autosufficiente. Per chi ha memorizzato le parole ma non il significato, la
41Studi di Herbert A. Simon e William Chase professori della Carnegie Mellon University
42 Studi Edwaed Thorndike, psicologo americano 43 “Il magico numero sette più o meno due” di George Miller della Princeton University del 1956
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frase è composta da cinque blocchi; che diventano 30 per chi conosce le
lettere ma non le parole.
Negli scacchi, le stesse differenze si osservano tra principianti e Grandi
Maestri. Per il principiante, una posizione con 20 pezzi può contenere più di
20 blocchi di informazione, perché i pezzi sono collocabili in altrettante
configurazioni. Un Grande Maestro invece vede solo una parte della
configurazione come «fianchetto dell'alfiere in arrocco dal lato del re»
insieme con un «struttura pedonale riconducibile a un impianto stile indiana
dire», e dunque accorpa l'intera posizione in cinque o sei blocchi.
Misurando il tempo necessario per memorizzare un nuovo blocco e il numero
di ore di studio necessarie a un giocatore prima di raggiungere la forza di un
Grande Maestro, Simon ha stimato che in media un Grande Maestro ha
accesso a 50.000-100.000 blocchi di informazione sugli scacchi. Un Grande
Maestro sa recuperare dalla memoria qualsiasi blocco limitandosi a guardare
i una posizione degli scacchi, proprio come la maggior parte delle persone
madrelingua italiane sa riconoscere la poesia “il sabato del villaggio”
ascoltate le prime parole.
44
Ma anche la chunking theory ha avuto i suoi problemi. Non spiegava, per
esempio, alcuni aspetti della memoria, come la capacità degli esperti di
effettuare le loro grandi prestazioni anche se distratti. K. Anders Ericsson,
della Florida State University, e Charness sostenevano che deve esserci
44 Ognjen Amidzic e altri in “Nature”, Vol. 412, 9 Agosto 2001
-
30
qualche altro meccanismo che consente agli esperti di usare la memoria a
lungo termine come se fosse un block notes. Il fatto che giocatori molto
esperti possono giocare alla cieca quasi al livello della loro forza normale è
quasi impossibile da spiegare con la chunking theory, perché è necessario
conoscere la posizione del pezzo e poi esplorarla in memoria», afferma
Ericsson45. Questa manipolazione mnemonica implica il cambiamento di
blocchi archiviati, per alcuni aspetti un compito paragonabile a recitare “Il
sabato del villaggio” al contrario. Si può fare, ma non è facile, e non senza
molti errori e false partenze. Ma, sorprendentemente, in genere le partite
giocate dai Grandi Maestri alla cieca sono di elevata qualità. Ericsson cita
anche gli studi di medici che chiaramente hanno archiviato l'informazione
nella memoria a lungo termine, a cui attingono durante la diagnosi. Forse
l'esempio più banale lo ricava dalla lettura. In uno studio del 1995 svolto con
Walter Kintsch, dell'Università del Colorado, ha scoperto che interrompere
dei lettori molto abili praticamente non rallentava il loro rientro nel testo:
perdevano solo pochi secondi. I ricercatori hanno spiegato questi dati
ricorrendo a una struttura che hanno definito memoria di lavoro a lungo
termine, un neologismo che è quasi un ossimoro, poiché assegna alla
memoria a lungo termine l'unica cosa che si ritiene incompatibile: il
pensiero46. Studi di imaging cerebrale svolti nel 2001 all'Università di
Costanza, confermano la teoria dimostrando che i giocatori di scacchi esperti
attivano la memoria a lungo termine molto più dei principianti.
Fernand Gobet, della Brunel University, sostiene tuta teoria antagonista,
concepita con Simon alla fine degli anni novanta. La teoria estende l'idea dei
blocchi ricorrendo a strutture molto grandi e peculiari, consistenti forse in
una decina di pezzi, chiamate «modelli». Ogni modello avrebbe un certo
numero di fessure in cui il maestro inserirebbe delle variabili: per esempio
un pedone o un alfiere. Un modello potrebbe esistere per il concetto «nella
45 Studi di Ericsson dalla Florida state University 46 Studi di Walter Kintsh dell’università del Colorado del 1995
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31
difesa Nimzo-Indiana può accadere che il pedone di donna rimanga isolato»,
e un maestro può cambiare una fessura riclassificandola come la stessa
posizione «meno gli alfieri in campo scuro». Ricorrendo di nuovo
all'analogia con la poesia, sarebbe un po' come memorizzare una breve frase
di “il sabato del villaggio” sostituendo gli equivalenti rimici in determinate
fessure: «fanciulletta» per «donzelletta» e così via. Chiunque conosca il
modello originale dovrebbe saper risolvere in un attimo quello modificato in
memoria.
La sola cosa su cui gli studiosi dell'abilità da esperto sono concordi è lo sforzo
enorme necessario per costruire queste strutture nella mente.
Simon ha coniato una legge - la regola dei dieci anni - secondo cui ci vorrebbe
un decennio di duro lavoro per acquisire la padronanza in un qualsiasi campo.
Anche bambini prodigio, come Gauss in matematica, Mozart nella musica e
Bobby Fischer negli scacchi, devono aver fatto uno sforzo equivalente,
magari iniziando prima e lavorando più sodo di altri. In base alla teoria, la
proliferazione di fenomeni negli scacchi in anni recenti riflette la comparsa
di metodi di allenamento al computer che consentono ai bambini di studiare
molte più partite di maestri, e di giocare molto più di frequente dei loro
predecessori contro programmi di forza pari a un maestro.
Fischer destò sensazione guadagnando nel 1958 il titolo di Grande Maestro
a 15 anni. 11 detentore attuale del record, l'ucraino Sergey Kaijakin l'ha
conquistato a 12 anni e sette mesi. Ericsson sostiene che importante non è
l'esperienza in sé, ma lo studio intenso che implica affrontare di continuo
nuove sfide che vanno un po' oltre la propria abilità.
Per questa ragione è possibile che individui appassionati dedichino decine di
migliaia di ore a giocare a scacchi o a golfo a suonare uno strumento senza
mai progredire oltre il livello dilettantistico, e perché uno studente allenato a
dovere li supera abbastanza presto.
È curioso come il tempo trascorso giocando a scacchi, persino nei tornei,
sembra contribuire meno di questo tipo di studio al progresso del giocatore.
-
32
L'allenamento serve a evidenziare i punti deboli, poi bisogna studiarli.
All'inizio anche i principianti studiano intensamente, e dunque migliorano
rapidamente. Ma raggiunta una prestazione accettabile, per esempio essere
alla pari con i compagni di golf, la maggior parte si rilassa. La prestazione
diventa allora automatica e dunque impermeabile a miglioramenti futuri.
Viceversa, durante l'allenamento gli esperti tengono sempre aperto il
coperchio della mente: potranno così analizzare, criticare e potenziare il
contenuto, e avvicinarsi al livello dei migliori nel loro campo.
Nel frattempo i criteri che denotano l'abilità da esperti in un determinato
campo sono diventati sempre più impegnativi: i ragazzi delle superiori
corrono un chilometro sotto i quattro minuti; gli studenti del conservatorio
suonano brani in cui una volta si cimentavano solo i virtuosi. E sono ancora
una volta gli scacchi a offrire il confronto più convincente nel tempo. Tempo
fa, il matematico britannico e grande maestro di scacchi John Nunn è ricorso
al computer: voleva mettere a confronto gli errori commessi in tutte le partite
di due tornei internazionali, il primo del 1911 e il secondo del 1993, e ha
trovato che i giocatori del 1993 giocavano di gran lunga in modo più
accurato. Nunn ha allora esaminato tutte le partite di un giocatore del 1911,
il cui punteggio era a metà del gruppo, ed è arrivato alla conclusione che oggi
il suo punteggio non supererebbe 2100. Sarebbe cioè centinaia di punti
inferiore a un Grande Maestro, anche «fosse una buona giornata e tutto
girasse per il verso giusto». I maestri migliori dei vecchi tempi erano
notevolmente più forti degli altri giocatori, ma ben al di sotto dei migliori
giocatori di oggi.
Ma Capablanca e i suoi contemporanei non disponevano di un computer e
nemmeno di un archivio delle partite. Dovevano cavarsela da soli, come
Bach, Mozart e Beethoven. E se questi ultimi sono inferiori ai maestri
contemporanei in quanto a tecnica, li surclassano in quanto a forza creativa.
Un paragone che vale anche per Newton rispetto ai neolaureati in fisica. A
questo punto molti scettici si spazientiranno.
-
33
Di certo per esibirsi alla Scala di Milano ci vuole ben altro che esercitarsi,
esercitarsi, esercitarsi. Ma questa fiducia nell'importanza del talento innato,
forse più spiccata tra gli esperti e tra i loro allenatori, non è sostenuta dai dati.
Nel 2002, Gobet ha condotto uno studio su giocatori di scacchi britannici, dai
dilettanti ai Grandi Maestri, e non ha riscontrato alcuna connessione tra forza
nel gioco e abilità visivo-spaziali, misurate con i test di memoria delle forme.
Anche se nessuno può prevedere chi diventerà un grande esperto, un notevole
esperimento ha mostrato la possibilità di crearne uno ad hoc.
L'ungherese Làszló Polgàr ha insegnato gli scacchi alle tre figlie, facendole
esercitare anche sei ore al giorno. Ha così prodotto un Maestro Internazionale
e due Grandi Maestri. La più giovane delle Polgàr, la trentenne Judit, oggi è
14a nella classifica mondiale. Polgàr ha dimostrato che i Grandi Maestri si
possono allevare in casa, e che le donne possono essere grandi maestri. Non
a caso la percentuale di fenomeni si è moltiplicata dopo la pubblicazione del
suo libro sull'educazione agli scacchi. 11 numero di fenomeni in campo
musicale riscontrò un aumento simile dopo che il padre di Mozart fece
altrettanto due secoli prima.
Per sviluppare capacità da campioni la motivazione sembra dunque più
importante delle doti innate. Non a caso nella musica, negli scacchi e nello
sport tutti campi dove la capacità da esperti è definita dalla prestazione
competitiva più che dai titoli accademici, il professionismo sta emergendo a
età sempre più precoci, sotto la tutela di genitori sempre più pressanti. Non
solo, il successo si costruisce sul successo, poiché ogni impresa rinforza la
motivazione nel bambino.
Uno studio del 1999 su giocatori di calcio professionisti di diversi paesi ha
dimostrato che i calciatori avevano più probabilità rispetto alla popolazione
generale di essere arruolati nei campionati giovanili se erano nati nel primo
trimestre dell'anno perché ai loro esordi avrebbero tratto vantaggio dalla
maggiore statura e forza.
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E i bambini più robusti hanno più opportunità di entrare in possesso della
palla e di segnare gol, un successo che li motiverebbe a migliorare. Gli
insegnanti credono che il talento sia importante e di saperlo riconoscere: in
realtà sembrano confondere la capacità con la precocità. Di solito non c'è
modo di sapere da un'esibizione solitaria se la prestazione straordinaria di un
giovane violinista deriva da un'abilità innata oppure da anni di
addestramento.
Capablanca, considerato il più grande giocatore «naturale», si vantava di non
aver mai studiato gli scacchi, ma in realtà era stato bocciato alla Columbia
University perché dedicava troppo tempo al gioco. La sua rapida capacità di
capire la partita era il prodotto dell'allenamento, non un suo surrogato.
La maggior parte dei dati psicologici indica che esperti si diventa, non si
nasce. Ma c'è di più. La capacità di trasformare rapidamente un bambino in
un esperto è una sfida per la scuola. È possibile che gli insegnanti trovino il
sistema per incoraggiare gli studenti a migliore le loro capacità?
Roland G. Freyer Jr, economist di Harvard, studia la questione offrendo
premi in denaro per motivare gli studenti di scuole di New York e di Dallas
che hanno risultati inferiori alla media. In un esperimento in corso a New
York, gli insegnanti sottopongono a test gli studenti ogni tre settimane, e
premiano con piccole cifre chi ottiene buoni voti.
I primi risultati sono promettenti. Invece di domandarsi insistentemente:
«Perché non sa leggere?». Non sarebbe meglio se gli insegnanti si
chiedessero: «Perché ci dovrebbe essere qualcosa che questo bambino non
può imparare a fare?».
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47 Lucy Reading-Ikkanda; fonte: the relative age effect in soccer, di Jochen Musch e Roy Hay in “Sociology of Sport joumal Vol. 16, 1999(grafico); Mozart Museum,Salisburgo, Austria/Bridgeman Art Library (Mozart); Alan Levenson, Corbis(Woods)
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I.3 il talento: patrimonio di tutti e non risorsa di pochi
Il problema è che il termine talento ha assunto nel tempo un’accezione un po’
esclusiva; questo termine si associa solitamente a delle caratteristiche
singolari che si ritrovano in modo molto concentrato in persone in grado di
produrre azioni emozionanti od eclatanti: ai campioni dello sport, ai grandi
musicisti o attori, insomma a persone che sanno emozionare perché hanno
coltivato un proprio dono portandolo ad esprimersi a livelli molto elevati e lo
hanno messo a disposizione di tutti. Qui, a voler guardar bene, non è tanto il
dono ad essere speciale quanto la dedizione e la disciplina che queste persone
mettono al servizio del proprio talento per farlo sviluppare al massimo del
suo potenziale.
Il modo più semplice per cominciare ad individuare i propri talenti è porsi
alcune semplici domande:
• Cosa mi riesce bene?
• Nel fare cosa mi sento particolarmente a mio agio?
• Per cosa mi apprezzano gli amici? E i miei familiari?
• Per quale mia qualità le persone mi chiedono aiuto?
• Quali mie capacità esprimo nello svolgere il mio hobby preferito?
• Cosa mi permette di svolgere il lavoro che faccio?
Dare risposta a queste domande può risultare difficile perché quello che viene
in mente può sembrare banale ma questo accade perché lo diamo per
scontato. Quello che per noi è una cosa assolutamente banale ad un altro può
sembrare una qualità preziosissima. Imparare ad apprezzare i doni che
abbiamo è davvero l’inizio per vedere noi stessi e la nostra vista sotto una
luce diversa48.
48 “come scoprire i propri talenti” di Francesca Cancian ( 19 Giugno 2014) da “cacciatori di risorse”
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Prima di tutto scoprire i propri talenti aumenta la consapevolezza di avere un
valore come persone ed un’unicità. Può aiutare ad aumentare l’autostima e a
sviluppare la convinzione di avere una cassettina con degli utili attrezzi del
mestiere da poter estrarre in caso di necessità. Una volta che abbiamo
identificato i nostri talenti possiamo quindi pensare a come valorizzarli ed
esprimerli al massimo e a come utilizzarli per raggiungere i nostri obiettivi.
Possiamo pensare ai nostri talenti come a delle risorse cui possiamo attingere
e sulle quali fondare i nostri nuovi apprendimenti. Possiamo cominciare a
pensare in quali ambiti, diversi da quelli in cui attualmente li esprimiamo,
potrebbero tornarci utili. Possiamo capire cosa ci ha aiutato a realizzare dei
piccoli o grandi successi nella nostra vita e a come potrebbero supportarci
per ottenerne di altri.
Essere consapevoli dei propri talenti può aiutare anche a decidere cosa
possiamo offrire di noi agli altri, quale dono possiamo mettere a disposizione
della nostra famiglia, dei nostri colleghi, della nostra azienda e a lasciare il
nostro piccolo segno positivo nella vita delle persone che incrociamo ogni
giorno. Conoscere i nostri talenti ci permette anche di riconoscere ed
apprezzare quelli degli altri e lasciare che arricchiscano la nostra vita49.
In realtà, quindi, a scoprire i propri talenti non c’è proprio nessuna
controindicazione, abbiamo tutto da guadagnare e niente da perdere!
Ken Robinson, un leader riconosciuto a livello internazionale nello sviluppo
di creatività e crescita personale, in un’intervista esclusiva per la rivista
Forbes, il professore svela come scoprire i propri talenti e come
trasformare le passioni in lavoro, facendo in modo che ci accompagnino nella
vita quotidiana. Ecco quindi le preziose informazioni che Ken Robinson
condivide nell’intervista.
49 “come scoprire i propri talenti” di Francesca Cancian ( 19 Giugno 2014) da “cacciatori di risorse” fonte già citata
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� Come fanno le persone a identificare i loro talenti? Succede per caso?
“Scoprire i propri talenti è in parte una questione di opportunità. Se non
hai mai navigato per mare, suonato uno strumento, o provato a scrivere un
romanzo, non scoprirai mai se sei bravo o meno in queste attività. Le risorse
che ogni essere umano ha dentro di sé sono come le risorse naturali della
terra: sono spesso sepolte e si deve fare uno sforzo per scoprirle. Certo, la
fortuna può aiutare, ma ad esempio una consulenza psicologica, alcuni
servizi di orientamento e soprattutto la voglia di provare sempre nuove
attività sono sistemi che ti aiutano a trovare il tuo talento sopito.
Una cosa che molti non dicono quando si tratta di scoprire il proprio talento,
è che si è sempre in tempo per scoprirlo, anche quando si è piuttosto in là con
gli anni. Ciò che si è sempre fatto non è detto che sarà ciò che faremo in
futuro: il mondo è pieno di esempi di persone che hanno fatto spesso
cambiamenti di vita sorprendenti in modo da appagare le proprie
passioni.”
� Cosa fare se la passione non coincide con il talento?
“Per vivere bene la passione deve coincidere con le proprie capacità. Non
basta poter fare qualcosa in cui si è bravi, non si prova vera soddisfazione.
Solo la passione porta al successo, in tutti i campi. E d’istinto, ci
appassioniamo a ciò che si avvicina maggiormente ai nostri talenti. Chi ama
fare una cosa in cui però non si sente bravo, è perché sottovaluta il proprio
talento o non hanno ancora avuto modo di svilupparlo al meglio. In entrambi
i casi, una forte passione unita ad un talento moderata, generalmente ottiene
risultati più soddisfacenti di un forte talento accompagnato da scarso
entusiasmo.”
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� Pensi che sia realistico che tutti possano trasformare la loro passione
in un lavoro e ottenere successo?
“Alcune persone hanno la grande fortuna di trasformare la propria passione
in lavoro. L’importante è fare in modo di condurre una vita che ci permetta,
durante la giornata, di vivere le nostre passioni anche se queste non ci portano
un profitto.Il denaro non è garanzia di felicità. Abbiamo tutti bisogno di un
reddito che ci permetta di vivere degnamente, ma la ricerca e l’esperienza
confermano che non esiste una relazione diretta tra ricchezza e benessere. La
felicità è uno stato spirituale, non materiale.”50
L’insegnamento più importante che Ken Robinson ci dà nell’intervista, è che
i maggiori ostacoli che incontreremo sulla via per trovare noi stessi
saranno solo e soltanto dentro di noi. Spesso avremo paura di cercare il
nostro talento perché temeremo il giudizio degli altri, o avremo paura di
fallire, o ancora non vorremo “correre rischi”. Per scoprire il proprio talento
nascosto dobbiamo proprio trovare il coraggio dentro noi stessi e correre quei
rischi che tanto ci spaventano.
Il talento non è una cosa che hanno in pochi fortunati. Il talento è una cosa
che risiede in tutti. Non esiste al mondo una persona senza talento. Essere
umano e talento vanno insieme. Bisogna non pensare che il talento sia solo
qualcosa di “artistico”. Il talento si può esprimere in ogni ambito, “so parlare
con le persone, mi piace fare i conti, sono bravo a vendere scarpe, mi piace
fare lavori manuali, adoro viaggiare in macchina” eccetera…51
50 Intervista a Ken Robinson, educatore e scrittore britannico, per la rivista Forbs 51“ Il talento, cosa è? Come si trova?” di Luca D’alessandro (25 Novembre 2013)
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Una persona può avere un talento artistico, tecnico, mentale, fisico, personale
o sociale. Puoi essere un introverso talentuoso, o un estroverso talentuoso.
Questa dote non deve per forza essere redditizia, utile o convenzionale, ma ti
apparterrà sempre e comunque, sarà parte integrante della tua personalità.
Imparare a cercare adeguatamente i propri talenti, coltivarli e trasformandoli
in competenze e abilità concrete, sono azioni che richiedono molti sforzi.
Tuttavia, farlo creativamente ti permetterà di esplorare capacità naturali e
scoprire talenti innati. Ecco alcune semplici regole da seguire per scoprire
facilmente il talento che risiede in ognuno di noi.
Parte 1: scoprire i tuoi talenti
1. Smetti di aspettare che i talenti compaiano magicamente da soli.
Se non provi a giocare a calcio, come puoi essere sicuro di non esserne
capace? Lo stesso vale per didgeridoo, lavoro a maglia, badminton e
canto tuvano. Trova un'attività che reputi cool e scopri tutto quello che
c'è da sapere al riguardo. Cerca di capire cosa richiede e se hai le
caratteristiche giuste per dedicartici.
52 Fonte “google immagini”
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Ricorda che “chi non risica non rosica”. Puoi riuscire a scoprire per
cosa sei portato solo quando superi i tuoi limiti e drizzi le antenne per
cercare attivamente nuove esperienze. Affronta gli ostacoli e mettiti
alla ricerca di sfide per sapere quali sono le tue abilità e talenti innati
nascosti.
Provare qualcosa di nuovo una volta alla settimana deve essere un
obiettivo di primaria importanza. Probabilmente non scoprirai domani
stesso un'attività per la quale sei particolarmente portato. D'altro
canto, magari un giorno prendi in mano la chitarra e scopri di sentirti
perfettamente a tuo agio con questo strumento, deciso a volerne sapere
di più. Magari ti rendi conto che sei bravissimo a comunicare con gli
animali che vivono in un rifugio. Come avresti potuto saperlo senza
fare esperienza? Magari ti metti davanti al flipper del bar sotto casa e
ti accorgi di essere un asso giocando a Star Trek: The Next
Generation. È questo il punto di partenza per capire cosa fa al caso
tuo. Esci di casa e sbucciati letteralmente le ginocchia. Prova
avventure ed esperienze nel mondo reale. Fai un tentativo con diversi
sport o hobby all'aria aperta, quali pesca, escursionismo e scalate, per
capire se hai un talento che finora non hai sfruttato o un istinto
naturale53.
2. Prova qualcosa di facile. Cosa ti viene naturale? Cosa fai senza
nemmeno stare lì a pensarci? Cosa ti piace? Considera le tue
ossessioni e i tuoi interessi per risalire al tuo talento. Se trascorreresti
giornate intere a disegnare, leggere o ballare, è inutile perdere tempo
sperando di diventare un cuoco provetto. Concentrati sulle capacità
che hai e su quello che ti riesce facile. Se vai a scuola, quali sono i
compiti che svolgi senza problemi? Cosa ti preoccupa di meno?
53 Articolo preso da “lifehach.org” di Katie Simpos
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Potrebbero essere indizi per scoprire i tuoi talenti naturali. Presta
attenzione a quello che gli altri notano di te. Spesso capita che la gente
abbia intuizioni perspicaci sulle capacità degli altri, mentre magari i
diretti interessati non ne hanno la più pallida idea. Chiedi a parenti,
amici e insegnanti di aiutarti a capire cosa ti riesce facile.
3. Prova esperienze che ti mettono in difficoltà. Sei terrorizzato alla sola
idea di salire su un palcoscenico o parlare davanti a un pubblico?
Scrivere una storia e finirla? Prendi il microfono o rimani seduto
finché non avrai concluso un racconto. Fai quello che ti spaventa. Qual
è il talento che sogni di avere? Cosa ti piacerebbe fare con naturalezza,
senza sforzo? Affronta le sfide più ardue e scopri cosa ti manca per
diventare bravo. Inizia a imparare tutto quello che puoi riguardo a
diversi talenti e abilità per capire se un'attività fa al caso tuo o meno.
Non avere pregiudizi. Suonare la chitarra elettrica come Hendrix
sembra impossibile. Tuttavia, se non sai distinguere l'accordo di Sol
dalla tecnica del flatpicking, come fai a conoscere il vero motivo di
tale difficoltà? James Earl Jones, doppiatore di Darth Vader nonché
noto attore shakespeariano, ha una voce profonda e che incute rispetto.
Molti non sanno che da bambino soffriva di una grave forma di
balbuzie. Era terrificato quando doveva parlare di fronte al resto della
classe. Ha imparato a esprimersi bene solo affrontando questa paura.
Oggi, è ampiamente riconosciuto come una delle voci più belle al
mondo.
4. Segui la scia delle tue ossessioni. Generalmente, quali sono gli
argomenti di cui parli in continuazione, sfinendo gli altri? Da cosa
devono tirarti via con la forza? Usa le cose che ti ossessionano per
scoprire abilità e talenti nascosti sotto la superficie.
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Pur essendo ossessionato da un hobby che difficilmente può essere
associato a un talento, come guardare la televisione o film, non
demordere. Magari sai cogliere intuitivamente le diverse angolazioni
di una cinepresa e hai un talento naturale per la regia. Magari sei bravo
a raccontare storie o analizzare racconti. Tutti i critici cinematografici
iniziano la propria carriera nello stesso modo. Canalizzano la propria
ossessione nei confronti della storia del cinema studiandola e
facendone un lavoro.
5. Tieni traccia dei tuoi piccoli successi. Se pensi di non aver alcun
talento, magari succede perché tendi a trascurare quello che ti riesce
bene. Prova a prestare particolare attenzione ai successi, piccoli o
grandi che siano, per individuare le tue doti naturali. Pensa
creativamente: queste esperienze potrebbero relazionarsi a
competenze e abilità più significative. Magari hai semplicemente
organizzato una festa che per giorni è stata sulla bocca di tutti. Certo,
ti sembra tutto fuorché un talento, ma se sai relazionarti agli altri,
pianificare e organizzare, allora rallegrati pure di questo successo.
Forse hai competenze alla leadership e manageriali che in futuro si
dimostreranno utili.
6. Ignora la televisione. I talent show danno definizioni molto limitate
del talento. Se non sei un giovane avvenente con una storia
strappalacrime rigorosamente costruita a tavolino e una voce potente,
non sei nessuno. Ed è questo quello che vogliono far credere i
programmi del genere. Non �