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Vincitore dell’iniziativa “Scrivile” per la la sezione: poesia in italianoil titolo “Eterno travaglio” di Lucia Baldini
Eterno travaglio
Non era l’ultimo grido
il saluto devastato a nove mesi
di accarezzato mistero.
Vestito di nuovo,
l’hai partorito verso il futuro.
Il grembo del mare invece
ha mutato la culla in bara.
Il tuo utero, tomba liquida.
Aylan è arrivato su una spiaggia sterile.
Nell’ombra invano invochi il suo nome.
Madre migrante, donna lacerata
maledici il mare gravido di furore.
Ogni giorno, la luce inutile
acceca le onde in travaglio.
La notte le tue lacrime
salano le acque assassine.
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Attestato di merito 2° posto dell’iniziativa “Scrivile” per la sezione: poesia in italianoal titolo “Sono Shingali, del Sinjar” di Adriana Corbelli
Sono Shingali, del SinjarCi hanno violentato, noi li uccideremo.
Questo è il mio ritornello,la mia poesia,
il mio racconto.Questo è il mio vivere.
Un incubo inimmaginabile.L’inferno nell’inferno.
E scrivo pagine su carta bruciata.E canto canzoni d’amore,
mentre penso alle teste mozzatedei miei fratelli,
e all’orgoglio dei carnefici assetati di sangue.
Ci hanno violentato, noi li uccideremo.Le mie sorelle sono morte
impiccate in piazza.Lasciate penzolare come sacchi.
Bambole di pezza.Giocattoli rotti.
E ascolto un grido nel vento che torna vorticoso avanti e indietro
nelle nebbie sabbiose,nei miraggi di vita,
nella storia sospesa,sbattendo i mitra appoggiati alla porta
di una casa che non è più.Questo noi siamo diventate
sorrisi perduti e occhi pieni di coraggio.Sono le mie e le tue sorelleSono le mie e le tue figlie.
Sono le nostre donne.
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Attestato di merito 3° posto dell’iniziativa “Scrivile” per la sezione: poesia in italiano al titolo “Lilia” di Colomba di Pasquale
LiliaSei la linea curva
che l’improvvido surfistainsegue nel mare agitato.
Sei l’orizzonte di portoche ogni piccola imbarcazione,
cerca nel mare aperto.
Sei la persona che mi mancava
e che mi necessitava.
Ora,in quel preciso punto
di via Montanari,quando,
io a piedi tu in bici,prima della prima campanella,
ci incontravamo,per noi parole gentili
e propositi buoni,lì
in quel più o meno preciso punto,mi mancherai
ancora più forte e chiaro di ora.
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Attestato di merito 3° posto dell’iniziativa “Scrivile” per la sezione: poesia in italiano al titolo “Nonna Jasinski” di Frida Guerra
Nonna Jasinski
Tra la veglia e il sonno
sul finir di un giorno pigrola noia testimone
un fiore ormai spentomi porta a te
a quando ero bambinae parlavi coi fioridella tua terrazza
e mi facevi vestiti di cartaraccontando del grillo e la formica
che giorni cari quelli
minuta nel tuo andar leggera come un soffio di vento
il tuo sguardo fieroincorniciato di vezzose rughe
cantavi
che bella eri
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Vincitore dell’iniziativa “Scrivile” per la sezione lettere in italiano il titolo: ”Cara Mia Martini” di Carmelo Pecora
CARA MIA MARTINI
“Sono stata anch’io bambina, di mio padre innamorato”. Una canzone eterna. Inconfondibile, sin dalle prime note. Cara Mia, rivedo il tuo volto sofferente, mentre la canti con una passione unica. Erano gli anni che, sulla tua pelle, provavi cos’era la cattiveria e la malvagità degli uomini. Che crudele destino, il Tuo.Mentre musica e parole si fondono, chiudo gli occhi, baciato da un tiepido sole. “Gli uomini non cambiano prima parlano d’amore e poi ti lasciano”. A chi ti rivolgevi, già allora?A coloro che si ricordano di voi Donne solo nei giorni “canonici”?Forse a quelli che, passato l’8 marzo, ritornano ad essere gli indifferenti di sempre?O a quelli che utilizzano la violenza come mezzo per amare? “Gli uomini ti cambiano. E tu piangi mille notti di perché. Invece gli uomini ti uccidono. E con gli amici vanno a ridere di te…”Ho i brividi e non credo sia solo freddo, forse perché è vero ciò che dici? Devo ammettere che ne ho sentiti anch’io di uomini che ridevano di voi e, colpevolmente, ho lasciato che continuassero.“Piansi anch’io la prima volta, stretta a un angolo e sconfitta. Lui faceva e non capiva perché stavo ferma e zitta”. Mai essere tolleranti con i violenti, mai permettere che vi si sfiori, nemmeno per scherzo.Io l’ho visto cos’è l’Amore malato. L’ho visto sulla pelle di una ragazza di 20 anni, ho pianto per quelle ferite mortali, anche se non mi appartenevano.Aveva avuto giusto il tempo di mettere al mondo una creatura dolcissima, che non era arrivata a chiamarla mamma. Lui, accecato di gelosia, l’aveva lasciata sull’asfalto rovente. Accanto al suo corpo 10 bossoli, sparati da una pistola. “Ma perché gli uomini che nascono sono figli delle donne ma non sono come noi”. Sai Mia, devo ammettere, con dolore, che le cose non sono cambiate.La cattiveria umana è male così difficile da estirpare? Non ho risposte! “Amore gli uomini che cambiano sono quasi un ideale che non c’è sono quelli innamorati come te”Canti la speranza, in conclusione.Mi piacerebbe far parte degli “Uomini innamorati”. Non sono perfetto, ma sono rispettoso. A volte però questo non basta. La canzone finisce. Concludo anch’io.Grazie Mia, virtualmente Ti abbraccio, così come faccio con tutte le Donne.Grazie, per avermi dedicato un momento della tua “eternità”!Vado verso casa, rifletto su una frase che ho letto da qualche parte:“Là dove senti cantare fermati, i malvagi non hanno canzoni”. Sarà vero?
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Attestato di merito 2° dell’iniziativa “Scrivile” per la sezione lettere in italiano al titolo “Ti devo raccontare” di Vania Leone
Ti devo raccontare!
Ti devo raccontare l’ultima.
Mi ha regalato un anello. Non è come quello che mi hai regalato tu, è completamente diverso e...ah, ma ti
devo raccontare molto più di questo. Lui è tutto quel che ho sempre detestato. Sempre, fino a due anni fa.
E’ dolce, lo è tanto che tu lo definiresti “troppo”. Sorride. Anche di notte, quando si sveglia di soprassalto.
Oppure al mattino, appena apre gli occhi. Mi bacia sempre, mi accarezza sempre, mi guarda tanto da
sembrare scemo. “Scemo”.
Così lo chiameresti tu, sorridendogli. Che poi è come lo chiamo io, sorridendogli.
Ma dicevamo, l’anello. E’ sottile e discreto. Il più bello che abbia mai portato.
E’ come lui. Dice “sono qui, ma senza stringere”, “sempre con te, ma te rimani te”.
Se mi sono innamorata? Aspettiamo una bambina.
Non lo credevi possibile, eh?
Dopo i violenti e i traditori, ti avevo detto “mai più”.
Ma mi hai insegnato tu stessa che il “mai più” non vale poi tanto, quando sei tutta cuore.
Ti dicevo, aspettiamo una bambina. Margherita.
Non credevi possibile nemmeno questo, eh?
Spero che oltre al tuo nome, abbia anche i tuoi occhi.
Quelli che hai chiuso all’alba, mentre non c’ero.
Dicevo, è dolce e scemo. Stai tranquilla.
Sono felice e al sicuro, adesso.
Non lo credevi possibile, eh?
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Attestato di merito 3° posto dell’iniziativa “Scrivile” per la sezione lettere in italiano al titolo “Omaggio ad Agatha Cristie” di Raffaella Di Ticco
Omaggio ad Agatha Christie
Per la Lirica, che non ti ha dato speranze nel Canto;
Per il lavoro da infermiera durante la Grande Guerra, che ti ha reso specialista di veleni e medicinali;
Per la scommessa con tua sorella, che ti ha permesso di tingere il mondo di Giallo;
Per il segreto della tua vita privata, dal marito fedifrago alla tua improvvisa scomparsa: tradita dal tuo amato
Archie, sei sparita una mattina, la tua auto rinvenuta in fondo ad un dirupo. Suicidio o omicidio? Ti hanno cer-
cata e ti hanno trovata viva, nascosta sotto falso nome in una località termale. Il movente del tuo gesto mai
scoperto. Proprio come uno dei tuoi Gialli, la tua vita ha un tocco di mistero.
Per il tuo cervello matematico che mi ha sempre affascinato: acuto, razionale, ottimista ed ironico;
Per la tua impareggiabile abilità nel congetturare ottime trappole per lettori, una continua sfida lanciata al pub-
blico, a tal punto che Ricercatori Universitari hanno studiato la formula per risolvere i delitti dei tuoi romanzi;
Per le “celluline grigie”, che con Logica e Metodo sono la Trinità del tuo credo narrante;
Per il conforto che riponi nella Ragione;
Per la tua vita straordinaria, specialmente per una donna della tua epoca, che ti ha reso l’indiscussa regina
del Giallo;
Per la tua riservatezza, per la tua comunicabilità che preferiva la parola scritta alla voce, per la tua timidezza;
Per questa vicinanza che sento con te, così simile alla mia natura;
Per te, Agatha, il mio omaggio gonfio di gratitudine.
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Attestato di merito 3° posto dell’iniziativa “Scrivile” per la sezione lettere in italiano al titolo “lettera nell’etere” di Elisa Mazzotti
“Lettera nell’Etere”
Mia cara, tengo questa conversazione come se tu fossi qui, come se tra qualche anno dovessi chiedermi: “Mamma leggimi ciò che scrivevi quando mi aspettavi e mi sognavi”, ma invece Amore mio grande, non potrò mai leggerti queste parole e spiegarti alcune emozioni vissute e raccontate. Non potrò mai leggerti queste parole qui, sulla Terra, ma in Cielo sì, ed io lì le porterò quel giorno che ti riabbraccerò. Ho trasformato il mio cuore in una “scatola” bellissima, come una di quelle scatole di latta che hanno disegni sognanti sopra, i disegni della Vita e li, dentro al mio cuore, da quando tu sei entrata nella mia Esistenza, ho iniziato a riempire ogni spazio con emozioni, istanti, pensieri che ti riguardano. In quella “scatola” che mi dona la Vita, c’è tutto il mio Amore, le mie paure, le mie lacrime, i miei sorrisi, le carezze che ti ho fatto quando ti aspettavo e anche quelle che avrei voluto regalarti ogni giorno, fmo alla fme. Lì dentro ho chiuso la mia speranza per Te e per il mio Futuro. Li dentro è l’unico luogo in cui io non ho timore di farmi male. Avrei voluto regalarti tante cose, tanti piccoli frammenti che ti avrebbero fatta crescere con la stessa semplicità con cui sono cresciuta io. I fiori del giardino da cogliere, lasciando poi una scia di petali ad ogni tuo passaggio per ritrovarti nascosta chissà dove, le matite colorate con cui fare i primi scarabocchi, le formine per fare i biscotti insieme, il primo costumino per fare il bagno al mare, perché ti avrei fatto vivere immersa nella meraviglia dell’acqua, grande madre per tutti noi. Ti avrei regalato il mio Amore, perché non conosce compromessi, ti avrei donato quegli insegnamenti che sono regali della Vita, che non han-no un valore economico e che ti avrebbero portata a camminare con consapevolezza nell’esistenza. Ti avrei donato la pazienza, che al mondo non basta mai e il sorriso, il sorriso per andare alla ricerca delle sfumature più belle a cui donare Luce. La sensibilità, la spontaneità e la dolcezza, la forza di non arrenderti mai davanti alla Vita, anche quando ti avrebbe fatta un po’ disperare e sentire sola contro tutti e tutto. Ti avrei protetto dalle ingiustizie raggiungibili dal mio cuore e dalle mie braccia, ma ti avrei lasciata anche sbucciare un po’ l’anima, quel tanto che serve per non avere paura della Vita, che della Vita non c’è mai bisogno di averne timore, perché anche quando la Vita ti mette a dura prova figlia mia, lo fa solo per vedere quanto hai imparato da essa e quanto sei in grado di saper tornare a volare, senza mai perdere di vista la sua importanza. Ti avrei donato anche le lacrime, saper piangere di gioia e anche un po’ di malinconia, per sentirti libera da alcuni pesi che il destino ti porta a provare e per continuare a sentirti umana. lo sarei stata presente ad ogni evento piccolo o grande per Te, avremmo litigato come capita ad ogni madre e figlia, ma avremmo fatto pace, magari con un semplice abbraccio. Ti avrei confezionato il primo vestito per la recita di Natale e un giorno, ti avrei vista spegnere quelle tanto desiderate 18 candeline che ti avrebbero fatta sentire “finalmente grande e più libera” come ogni ragazza della tna età vive e sente in questo traguardo anagrafico. Avrei accompagnato i tuoi primi passi incerti e poi, forse, avrei desiderato fermare il tempo quando ti avrei vista crescere troppo. Ti avrei portata nei posti dove sono cresciuta e ti avrei raccontato del nonno, del mio papà, che desiderava tanto la nascita di una nuova presenza femminile in casa a cui poter dire: “Impara ad essere autonoma ma con Amore, perché farai strada”. Ti avrei parlato dei suoi occhi, della Luce di Vita che mi ha regalato sempre e che oggi vive in me. Ti avrei raccontato di come sei nata tu, di quel viaggio chiamato Amore e di quanto sia stato sorprendente scoprirti in me nonostante il timore di non essere ali’ altezza di tale dono, perché sai, a volte il cuore dei genitori è abbracciato da ombre che spazzate via solamente voi figli con la vostra semplice presenza lucente. Ti avrei osservata dormire nella notte, come ora che non dormo e ti scrivo però, e avrei forse pianto nel sentirmi un po’ sola, ma quel pensiero sarebbe stato riempito dall’immensa forza e amore che solo un figlio riesce a sprigionare. Quante cose figlia mia, quante cose che avrei voluto fare con Te! Un intero mondo di fogli bianchi non basterebbero a contenere la Tua Vita, a raccogliere quello che avrei voluto per Te, qui, in questa esistenza. Mi manchi, mi manchi come l’aria, mi manca una parte di me che quel giorno è volata in cielo insieme a Te. Quanto è difficile a volte, spiegare agli altri dove sei ora e come sei arrivata li.A volte è difficile riuscire a pronunciare: “Ti ho perso”, è come una condanna dolorosa continua, così io amo immaginarti seduta so-pra nuvole soffici di ciniglia, ad osservarmi e sorridermi, perché io non ti ho mai perduta e perché so che quelli che sono miei dub-bi, per te sono solo certezze ed io ne sono immensamente felice. Vivo per Te, vivo per portare un po’ di Luce nella tna Vita anche da qui. Vivo per sentirmi Viva, come se tu fos-si qui con me, per andare lontano in questa esistenza, perché se oggi sono la donna che sono, lo devo anche e soprattutto a Te. Sei la mia Essenza, sei Luce nel mio cammino, sei quella parte di me che ora e per sempre sarà il mio vanto.Ti amo di bene figlia mia.
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Vincitore dell’iniziativa “Scrivile” per la sezione racconto breve in italiano il titolo “Natuzza” di Mirta Contessi
NATUZZA
Quando arrivò a Santerno con suo marito, che tutti conoscevano come “e gob”- il gobbo, circolò insistente la
voce che lui l’avesse scelta come sposa fra undici donne da marito, al “raduno”, in un borgo sperduto dell’A-
bruzzo. Con la sua sottana più nuova e la camicia bianca che lei stessa aveva ricamato, quella domenica
mattina dopo la Messa, era stata lasciata sola, sul selciato davanti alla chiesa, il luogo stabilito per il raduno.
Era la più bassa, la più storta, la più anziana. Si inserì fra le altre signorine da marito, che stavano già cammi-
nando in circolo, con un balzo, come una vecchia capra, a testa bassa, con le braccia dietro la schiena, le
mani annodate, come in preghiera. Pregava, anzi implorava la Madonna di essere scelta da uno di quelli che
se ne stavano ai piedi della scalinata, in un gruppetto compatto. Erano solo sei uomini per undici donne. Na-
tuzza raddrizzò la schiena, respirò forte e si fece coraggio. Li guardò e subito capì che il gobbo toccava a lei.
A chi altra poteva toccare, se non a lei? Il gobbo non capiva una sola parola delle pochissime che uscivano
da quelle labbra screpolate dal vento e dal sole, e, dato che se la portò nella casa sotto il fiume, imparò a
comunicare con lei, un po’ a gesti e un po’ a frasi mozzicate che solo loro potevano capire. Natuzza non tornò
più al suo paese, né mai seppe se le cinque scartate l’avevano invidiata, o compatita, vedendola salire sulla
vecchia auto guidata dal gobbo.
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Attestato di merito 2° posto dell’iniziativa “Scrivile” per la sezione racconto breve in italiano al titolo “l’Angelo in bicicletta” di Michele Bersani
L’ANGELO IN BICICLETTARicordo che quando la conobbi aveva forse poco più di sessant’anni ma il tempo era stato impietoso con lei perché pareva fosse stata vecchia da sempre. Era una donna ossuta, piccola e piena di vitalità ma la sua forte personalità emanava un carisma che prevaricava il suo aspetto. Uscivano dalle troppe rughe del suo viso scarno due occhietti vivaci e pungenti che accompagnavano come un paggio all’altare il suo sorriso avvol-gente e sincero verso tutti: una gioia nei ricordi di chi, a quei tempi, ebbe il privilegio di conoscerla. In gioventù si era dedicata agli studi universitari e una volta diventata medico le era stata assegnata la condotta di San Zaccaria, un piccolo paese di campagna vicino a Castiglione, il suo paese natale. Erano anni in cui alle donne molte vie erano precluse ma lei, spirito caparbio di pioniera e anche di femminista “Ante Litteram”, si spese giorno e notte per i suoi pazienti al fine di vincerne la diffidenza e guadagnarne il rispetto e la stima. Lei, che a quei tempi era una delle prime (e pochissime) donne medico d’Italia; riuscì persino, cosa inusitata per le donne d’allora, a conseguire la patente per riuscire a raggiungere con la sua vecchia auto i luoghi più lontani dove qualcuno, sofferente, la stava aspettando. Con l’avanzare degli anni si era poi trasferita a Modena (luogo di residenza dei nipoti) ma, nel periodo da marzo a ottobre, trascorreva le vacanze estive nella mia città. Spesso passava le giornate più afose all’ombra del pergolato della villa sul viale Colombo in compagnia dell’anziana vicina di casa Grazia ... Grazia Deledda, si proprio lei. Anche a Cervia però l’amore per il suo lavoro o meglio per la sua missione non l’abbandonarono ed in breve tempo, facendosi ancora una volta apprezzare e stimare per le sue doti di umanità e di altruismo incondizionatamente gratuito, divenne per tutti “la Dottoressa”, l’angelo in bicicletta che correva al capezzale di tutti coloro che necessitavano di cure, dai bambini ai meno abbienti o di chi poteva, anzi voleva, pagare le visite solo con un pollo o addirittura con tre o quattro uova. Per gli abitanti del luogo, ricchi o poveri indifferentemente, divenne una figura di riferimento, un punto fermo su cui potevano contare in caso di improvvisa infermità. Non esisteva a quei tempi la Guardia Medica, lei (e solo lei) era la Guardia Medica. A casa nostra era spesso graditissima ospite poiché mia nonna, sempre piena di acciacchi, era diventata oltre che sua paziente anche sua amica e spesso la costringeva a rimanere a pranzo specie se mia madre aveva preparato il bollito o la trippa, alla quale non diceva mai di no perché ne andava matta.Sono passati tanti anni, quasi cinquanta, da quando la Dottoressa ci ha lasciato ma ecco che come leggo il suo nome nella scuola a lei intitolata o transito lungo la strada che oggi porta il suo nome, mi pare ancora di vedere quella evanescente figura di donna d’altri tempi sfrecciare sulla sua rugginosa bicicletta col suo inconfondibile caschetto di capelli bianchi che brillano al sole e la sua lunga gonna svolazzante al vento delle pedalate... .E la saluto... “Ciao Isotta! Isotta... Gervasi... ciao”.
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Attestato di merito 3° posto dell’iniziativa “Scrivile” per la sezione racconto breve in italiano al titolo “Che ore sono?” di Carmelo Pecora
CHE ORE SONO?6.28. Anche oggi la sveglia è rimasta inattiva, niente squilli violenti che ti fanno saltare giù dal letto con il batti-cuore.Ok, Luca non si è nemmeno accorto che mi sono alzata, figurati.Il necessario per la colazione è pronto, per fortuna preparo tutto la sera prima, altrimenti non riuscirei.Faccio dormire ancora due minuti i ragazzi. Intanto la macchinetta del caffè è sul fuoco.Il bagno almeno a quest’ora non dobbiamo litigarcelo.Ho due occhiaie che sembrano due borse, ma di quelle grandi.Un po’ di fard… così, bene. Ingrandiamo un pochino queste ciglia, mica da sembrare una” bambolotta”, ma almeno risaltano. Il caffè…Lucaaa, la colazione è pronta. Svegli tu i ragazzi? No? Va bene ci penso io. Come al solito, direi.La mia mano è una piuma leggera. Dai Alessandra, la colazione è pronta su alzati. Tommaso, è tardi, sveglia.Presto, presto! Il cielo è grigio, niente neve: ottimo. Anche per oggi devo pensare solo al traffico. E portare i bambini a scuola. 7.45. Viaaa di corsa andiamo.Ciao Luca ricordati di spegnere le luci, tutte, e non dimenticare di chiudere bene la porta. Che devo fare, ho un marito distratto! Pazienza!Meno male che il mio capo mi ha concesso l’orario flessibile, pur essendo precaria. Non so come avrei fatto ad essere al Supermercato così presto.Oggi orario spezzato, ottimo, altrimenti chi avrebbe preparato il pranzo?13.25. La luce della cucina accesa. Lo sapevo!Ragazzi, su, mettete a posto le cartelle, aiutatemi ad apparecchiare la tavola, “Si mamma arriviamo”Ho capito, anche oggi devo far da sola.Lucaaa, io vado. Visto che oggi non hai il rientro in ufficio, aiuta Alessandra a fare i compiti, così non devo chiamare mia madre.15.00. Timbro il cartellino. Tre ore. Dai passano, non ci devo pensare.18.15. Alessandra, Tommaso, dai che facciamo tardi a ginnastica.Mamma che ci fai qui? Ah Luca è andato a giocare a tennis? Una cosa dell’ultimo momento? Ok grazie, mamma. Daiii ragazzi, non ve lo dico più, è tar-di, tar-di.19.30. Spioviggina, ecco, mi sa che la neve arriva. Spero di fare in tempo ad arrivare a casa. 20.30. A tavola! E’ pronto!Sei stanco? Come dici? Una partita più impegnativa del solito? Come ti capisco…Dai, a lavarsi i denti e mettersi il pigiama, io intanto sparecchio e pulisco questi due piatti. Non fatevelo ripetere due volte ragazzi.22.00. Buonanotte Tommy. Buonanotte Alessandra. Sì anche a te do un bacino, tranquilla.22.15. Luca, tutto bene? Cosa guardi in TV? Hai registrato una partita del campio-nato Spagnolo? Bene!!!Io vado a leggere qualcosa. Se non mi trovi sveglia, buonanotte!Buonanotte anche a me. Meno male!23.00. Mi si chiudono gli occhi. Dai an-cora due minuti, almeno il tempo di termi-nare questo capitolo daiiii…6.28. Anche oggi la sveglia è rimasta inattiva…
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Attestato di merito 3° posto dell’iniziativa “Scrivile” per la sezione racconto breve in italiano al titolo “La patata americana” di Stefania Zaccheroni
La patata americana
Nella vita di ogni donna che abbia superato gli “anta” c’è un momento particolare di ribellione, che può essere definito quello della patata americana.Un’affermazione così categorica necessita di spiegazioni e chiarimenti, supportati da esempi pratici, riscontra-bili nell’esperienza esistenziale individuale.I dialoghi dell’ennesima puntata della soap opera televisiva accompagnano di sottofondo il mio operoso primo pomeriggio, fatto di tavola ancora apparecchiata, qualche rimasuglio di cibo e piatti da lavare.Tutti d’incanto scompaiono velocemente “dal mio regno”, dopo aver abbondantemente farcito le pietanze servite con le insoddisfazioni, i dubbi, i commenti sulle ultime notizie del telegiornale.Dimenticano che anche la silenziosa ascoltatrice ha affrontato in ugual modo una mattinata lavorativa non certo esilarante, completata ora dalla minuziosa descrizione dei fastidi subiti da marito e figli, ospiti più che commensali, molto rapidi, soprattutto, nel saluto conclusivo del pranzo.Il capofamiglia deve leggere assolutamente su “La Repubblica” “l’ultima amaca” di Michele Serra, il figlio maschio deve analizzare, indisturbato, il quinto comma dell’articolo 4 dell’ultima polizza assicurativa, appena stipulata (servono silenzio e concentrazione !), la figlia femmina deve contattare con urgenza attraverso Skype ( è così economico!) l’amica che non riesce a trovare un alloggio a Londra, dopo aver seguito romanticamente l’ultimo amore estivo. Mi guardo intorno, mi sento una naufraga su un’isola dalla quale è appena fuggita un’orda di masnadieri.Ho ancora compiti da correggere, ho un articolo di Corrado Augias che voglio assolutamente leggere, devo ritagliarmi un’ora per far visita ai miei ottuagenari genitori, che dalle tre del pomeriggio in poi si sentono già abbandonati dall’unica e amatissima figlia.Mi guardo attorno un po’ affranta. Lo squillo del campanello interrompe i miei pensieri: è il postino, scendo, ritiro una minacciosa busta verde, foriera purtroppo della ennesima multa per sosta vietata senza disco orario, comminata ad uno dei miei distratti, ma fantasiosi figli.Salgo le scale e giunta nel pianerottolo, un po’ ansante, scorgo di fronte a me la mia patata americana: bella, serena, indifferente, con i suoi lunghi rami elastici pieni di tenere, verdi foglie lanceolate e con il gomitolo si-nuoso delle sue bianche radici che occhieggiano dal vaso di vetro in cui dimora.D’istinto le sferro un calcio, l’acqua fuoriesce, ma la patata non subisce danni.Mi guarda. Un senso di colpa e di rimorso si impossessa di me, corro in casa a prendere acqua per ricom-porla, lei mi aspetta, ma come pianta femmina, generosamente non mi giudica per questo gesto di stizza e di ribellione, un gesto ingiusto, ma liberatorio.Mi perdona e sommessamente mi sussurra “Buon 8 Marzo, Stefania”.
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Vincitore dell’iniziativa “Scrivile” per la sezione “racconto breve in dialetto romagnolo” il titolo “Una vita cun e’ vent in faza” di Olivucci Loretta
Una vita cun e’ vent in fazaCvând ch’a i ò let la puisì “Cun e’ vent in faza” ad Antonio Sbrighi, det “Tunaci”, u m’è avnù int la ment la mi suocera e la surëla de’ su marid ch’la i éra la zeja ragaza ch’la staséva in ca. Lóu al faséva al sbrazenti e cvând ch’agli avéva d’andê a ôvra al staséva so al quàtar dla matena e, in bicicleta, agli andéva inzo: a la Turaza, a la Ca ad Sas, a la Ghigia… e dal vôlt al faséva nench sànta chilömetri tra andêr e vnì. Int la tësta al s’mitéva e’ capân ch’l’éra un môd ad lighê e’ fazulet inventê in Rumâgna par nö-s scutê la pëla; int una spala agli pugéva la sapa o e’ rastël e e’ furchêl, sgond a cvel ch’agli avéva da fê.Spes agli andéva in grop e, intant ch’al pidaléva, al scuréva, al dgéva dal strampalarì parchè acsè e’ temp e’ paséva mej e la fadiga la paréva mânca. E’ pê impusebil che, nonostânt a tot, agli aves voja ad rìdar. E pu tot e’ de, alà, int e’ s-ciöp de’ sól. A mezdè, insdé int la riva de’ fös, a l’ôra d’un umbrëla, al magnéva che pô ch’al s’éra purtêdi: un pô ad salâm, una feta ad furmai, un pëz ad pân e, da bé, l’acva ch’la jéra dventa chêlda. Se inveci agli éra int la riséra, agli éra a möl tot e’ de e a m’imazin com ch’agli éra ardoti cvând che, a la séra, al turnéva indrì. In bicicleta, naturalment. Cvând ch’al s’arduséva a ca, agli avéva da pjê e’ fugh cun la carbunëla, svintulêl intânt ch’u-n ciapéva, praparê da magnê e pu lavê i piët parchè pr’un oman l’éra un disunór ajutê la moj ch’la i avéva da lavurê e da stê zeta. Stal don, spes, agli avéva nench di babin e al faséva cvel ch’al putéva par tirei so e, magara, a la séra, i n’avléva gnânch durmì. U-m ven int la ment una nina-nâna ch’la faséva acsè:“[…] Fa la nâna, fala sodi babin a n’i-n vlen pio;fa la nâna, fala sola tu mâma la n’im pö pio”.E agli avéva rason ad di ch’al n’im putéva pio.A la fen, par furtóna, e’ babin u s’indurmintéva e cal pôr dòn, ch’agli avéva lavurê tot e’ de, fórsi, al-s putéva mètar insdé.A cal dòn, a cal fadigh, a una vita cun e’ vent in faza, un pinsir ad rispët e un grazie par cvel ch’agli à fat.
Una vita controventoQuando ho letto la poesia “Cun e’ vent in faza” di Antonio Sbrighi, detto Tunaci mi sono venute in mente mia suocera e la sorella di suo marito che era la zia che abitava in casa (con loro). Esse facevano le braccianti e quando dovevano andare a lavorare a giornata, si alzavano alle quattro di mattina e, in bicicletta, andavano “nella bassa”, cioè verso il mare: alla Torraccia, alla Ca ad Sas, alla Ghigia…e a volte dovevano percorrere, tra andata e ritorno, anche sessanta chilometri.In testa portavano e’ capân che è un modo di allacciare il fazzoletto inventato in Romagna per non scottarsi la pelle; su una spalla appoggiavano la zappa o il rastrello e il forcale, a seconda di quello che erano chiamate a fare. Spesso andavano in gruppo e, intanto che pedalavano, parlavano tra di loro, dicevano delle stramberie[1] perché così il tempo passava meglio e la fatica sembrava di meno. Sembra impossibile che, nonostante tutto, avessero voglia di ridere. E poi tutto il giorno, là, in pieno sole. A mezzogiorno, sedute sulla riva del fosso, all’ombra di un ombrello, mangiavano quel po’ che aveva preso su da casa: un po’ di salame, una fetta di formaggio, un pezzo di pane e, da bere, l’acqua che era diventata calda. Se invece lavoravano nella risaia, stavano nell’acqua tutto il giorno e immagino com’erano ridotte quan-do, la sera, tornavano indietro. In bicicletta, naturalmente. Quando arrivavano a casa, dovevano accendere il fuoco con la carbonella, dargli aria finché non bruciava, preparare da mangiare e poi lavare i piatti perché per un uomo era un disonore aiutare la moglie che doveva lavorare e stare zitta. Queste donne, spesso avevano anche dei bambini e facevano quel che potevano per “tirarli su” e, magari, la sera, essi non volevano neanche dormire.Mi viene in mente una ninna nanna che fa così:“[…] Fa la nanna, falla sudei bambini non ne vogliamo più;fa la nanna, falla sula tua mamma non ne può più”.E avevano ragione di dire che non ne potevano più.Alla fine, per fortuna, il bambino s’addormentava e quelle povere donne, che avevano lavorato tutto il giorno, forse, potevano sedersi.A quelle donne, a quelle fatiche, a una vita col vento in faccia, un pensiero di rispetto e un grazie per quello che hanno fatto. [1] Il termine strampalarì, (identico sia al singolare che al plu-rale) è intraducibile con una sola parola, significa, sì, stram-beria, ma con una punta di comico e un po’scurrile, detta per il gusto di ridere e far ridere.
Loretta Olivucci
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Cla ragaztina ad zinquent’enn faZinquent’en fa, la mi mà la j aveva e muturīn e l’am aveva insignè a druvel, parchè quand u j era bsogn acsè a sera zà bona.Piò ad una vôlta a so andêda cun quel a Cisēna e sabat matēna. Lì l’am cargheva do sporti in te manu-brio, ona cun i pachet di furmej e ona cun vent/trenta ôvi inscartuzedi ona par ona cun la cherta di sech de furmintōn o d’la farēna (ch’j era du – tri dopi). Me a duveva purtè tot sta roba in t’la cusēna d’la Turècia ch’l’era un risturent in t’la piazeta drì la pscarì. Fat la cunsegna, andeva sobit a cumprè e pes. A cnuseva sol quatar tip ad pes: saraghina, sgombar, zival e suvar. Saraghina e sgombar, da fè in t’la gardela e chietar cun pandôri e pindarsul, mo soratot a duveva cumprè quel che gusteva ad menc.Dop a faseva sempar un zir in te marchè cupert, a la zò propi in chêv che u j era e marchè di pol, cunej, ôvi e pizūn, che acsè a incuntreva e mi non Nanīn. Lo l’avniva zò da Lunzēn e l’aveva propi i pizūn da vendar. Do ciacri, guardè i prizi d’j animeli (parchè aj duveva riferì a cà) e par utum a duveva cumprè la cherna da brod. L’ordin d’la mi mà l’era: - tat fe dè un pez ad garoj ad pët, c’l’epa un po’ ad che gras che l’armanza dur enca dop cot, un pzultin ad dupion e un toc ad uvar - (che uj piaseva una masa propi a lì). Me, che a sera apena una ragaztina, andeva a la mazlarì c’la faseva cantōn cun la Piaza de Popul e a dmandeva quel che a vleva. E problema l’avniva quant a duveva dmandè e pez ad uvar che an saveva mai cume dil in italiēn e al piò volti a ne cumpreva. Quand che ariveva a cà, par no ciapè una ragnêda a dgeva che in l’aveva o che l’era zà finida.Quest l’era e mi andè a e marchè e sabat a Cisēna, enca se u j era al bancheti, me an ho mai cumprè gnint etar che un fos e pes e la cherna da brod.
Quella ragazzina di cinquant’anni faCinquant’anni fa, la mia mamma aveva il ciclomotore e mi aveva insegnato ad usarlo, perché in caso di necessità ero già capace. Più di una volta con quello sono andata a Cesena il sabato mattina. Lei mi caricava sul manubrio due sporte, una con i formaggi e una con venti/trenta uova avvolte una per una con la carta dei sacchi del formentone o della farina (che erano a 2 – 3 strati). Io dovevo portare tutta questa roba nella cucina della “Turècia” che era un ristorante nella piazzetta vicino alla pescheria. Fatta la consegna, andavo subito a comperare il pesce. Conoscevo solo quattro tipi di pesce: saraghina, sgombri, cefali e sugheri. Saraghina e sgombri, da fare in graticola e gli altri con pomodori e prezzemolo, ma soprattutto dovevo acquistare quello che costava meno. Dopo facevo sempre un giro nel mercato coperto, proprio in fondo dove c’era il mercato di polli, conigli, uova e piccioni, per incontrare il mio nonno Nanin. Lui arrivava da Longiano e aveva proprio i piccioni da vendere. Due chiacchiere, guardare i prezzi degli animali (che dovevo riferire a casa) e per ultimo dovevo comperare la carne da brodo. L’ordine di mia mamma era: ti fai dare un pezzo di punta di petto, che abbia un po’ di grasso che resti sodo anche dopo cotto, un pezzetto di doppione e un tocco di mammella (che le piaceva tanto). Io che ero una ragazzina, andavo nella macelleria d’angolo della Piazza del Popolo e chiedevo quel che mi serviva. Il problema arrivava quando dovevo chiedere la mammella perché non sapevo come si diceva in italiano e la maggior parte delle volte non la acqui-stavo. Quando arrivavo a casa per non prendere una sgridata dicevo che non l’avevano o che era già finita. Questo era il mio andare al mercato il sabato a Cesena, anche se c’erano le bancarelle non ho mai acquistato nient’altro che non fosse
il pesce e la carne da brodo.
Nivalda Raffoni
Vincitore dell’iniziativa “Scrivile” per la sezione: “racconto breve in dialetto romagnolo” il titolo “Cla ragaztina ad zinquent’enn” di Nivalda Raffoni
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Vincitore dell’iniziativa “Scrivile” per la sezione poesia in dialetto romagnolo
il titolo “Speranza par è Congo” (Speranza per il Congo) di Bruno Zannoni
Bruno Zannoni
Sperãnza par e’ Cóngo
D’j’énn, cla burdela, la ‘n dimostra diś;d’piãnźar, ormài, la n’à pròpi piò alśìre adës u s’è fat gròs e’ su respìr.Së, da cla nòt j’è źà pasé nôv miś, da quãnd ch’u j’à rubê e’ piaśé di biś l’ultràģ sóra e’ su côrp, d’chi gueriglìr chi tnéva, cu’i fuśil, tót sóta tir. Mó adës sò la su bóca u j’è un surìś; alè, stuglêda, sóra un straz, par tëra, la pê cuntẽnta dla su trésta sôrt: fura da cla capãna u j’è la guëra ch’la pôrta patimẽnt, dulór e môrt,epùr li la surìd, parchè la sa che, prëst, a un fiôl la vita la darà.
Speranza per il Congo
Di anni, quella ragazzina, ne dimostra dieci;di piangere, ormai, non ha proprio più la forza
e adesso si è fatto grosso il suo respiro.Si, da quella notte sono già trascorsi nove mesi,
da quando le ha rubato il piacere dei baci
l’oltraggio sul suo corpo, di quei guerriglieriche tenevano, coi fucili, tutti sotto tiro.Ma ora sulla sua bocca c’è un sorriso;
lì, sdraiata, sopra uno straccio, per terra.sembra felice della sua triste sorte:
fuori da quella capanna c’è la guerrache porta patimenti, dolore e morte,
eppure lei sorride, perché sache, presto, a un figlio darà la vita.
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Attestato di merito 2° posto dell’iniziativa “Scrivile” per la sezione poesia in dialetto romagnolo al titolo “Dona int è mond” (Donna nel mondo) di Carmen Bendandi
Dona int e’ mónd
Da luntân l’era arivêinguplê a la su mâma
calzôn blu, camiṣa rosaa zarchê la libartê.
L’era znin e u n capevaE’ mond e la su gvëra.
I l’à truvê tot ramasêe pareva ch’e’ durmescun la faza vers e’ mêrcarizê da l’onda biancach’la i bagneva sol i pi
da parlò senza la mâmach’la i cantes la nina-nana
L’era znin e u n savevaquânt e’ gosta un tròcal ad pân.
Una dona la pianẓevaInt la strê chl’ era bura
i su oc i s’e’ sculésora un fiór che u n fiurirà.
Donna nel mondo
Era arrivato da lontano // abbracciato alla sua mamma // pantaloni blu, camicia rossa // cercava la libertà. // Era piccolo e non capiva //il mondo e la sua guerra. // L’han-no trovato tutto rannicchiato // e sembrava dormisse//con la faccia rivolta al mare //accarezzato dall’onda bianca // che gli ba-gnava soltanto i piedi // da solo senza la mamma // che gli cantasse la ninna-nanna. // Era piccolo e non sapeva // il valore di un pezzo di pane. // Una donna piangeva // nella strada che era buia // i suoi occhi asciutti dalle lacrime // per un fiore che non fiorirà.
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Attestato di merito 2° posto dell’iniziativa “Scrivile” per la sezione poesia in dialetto romagnolo al titolo “la lusenga de’ carije’” (l’incanto dell’amore) di Paolo Borghi
La lušenga de’ carijê’ (A mi moi)
Mentar t’lavór imażin i tu ocşmarìs int la lušenga de’ carijê’
a scvêdar al tu mân spàtuli grânfartèj
cumpletament ad te dilataziondla tu ment
baratês int e’ zentard’igna intérna pusânza
a vôlt e’ pê’ che te t’a j’abandóna
tot cvânti al dicision’avturiżèndlia tastêr’impastê’
cumbinêr’ e st’intéşacun la matéria la t’intriga l’ânma.
L’incanto del creare(a mia moglie scultrice)
Mentre lavori immagino il tuoi occhismarrirsi nell’incanto del creare
osservo le tue manispatolegranfie artigli
complemento di te dilatazione della tua mente
mutarsi nel centro d’ogni interna tensione
a volte appare che tu abdichi loro
ogni risoluzione autorizzandole a tastare impastare combinare st’intesa
con la materia ti intriga l’anima.
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Attestato di merito 3° posto dell’iniziativa “Scrivile” per la sezione poesia in dialetto romagnolo al titolo “Cum c’irta tè ma” di Adriano Severi
Cum c’irta tè Mà
Firum a la stazionnun e un treno a vapor
tachè a e tu stìsicur
in t’un mond c’un era e mì.I mi och jà vest
tot quel te’j fat par quest.Una crosta ad pèn
sota a e cusèndlà scarèna admèn.
Una pienta tachèda a e su pèlluntèn da e mèl.
A e zèntar d’una roda cla zirevat’aj sira tè par quì ca’t cnusèva.
E tu suris e l’alegrìsol un ombra
u ti puteva mandè vì
E tu fiol
Come eri tu mammaFermi alla stazione \ noi e un treno a vapore \ attaccato al tuo vestito mi sentivo sicuro \ in un mondo che non era il mio \ I miei occhi hanno visto tutto quello che hai fatto per questo \ Una crosta di pane \ sotto al cuscino \ della sedia domani \ Una pianta attaccata al suo palo \ lontano dal male \ Al centro di una ruota che girava \c’eri tu per quelli che ti conoscevano \ Il tuo sorriso e l’allegria \ solo un male \ ti poteva mandare via.
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SEZIONE SPECIALE SCUOLE
Attestato di Merito Speciale per il cartellone realizzato dagli alunni delle classi 4a e 5a della scuola Primaria Manzi di Tagliata di Cervia – dal titolo “Donna è arte e poesia” e
per i 10 elaborati di poesie in italiano e romagnolo
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Cuor di Mamma Splendide,
luminose
come un gioiello che indossano.
Ti capiscono nei momenti più difficili.
Sono premurose,
sono degli angeli.
Di continuo,
stanno sempre insieme a te.
Quando stai male
ti curano.
Sono come un’ombra,
ti seguono sempre,
ovunque vai.
Quando hai paura
sanno come calmarti.
Ti amano
per quello che sei.
Sono come delle stelle splendenti,
nel cielo blu illuminano la luna. A.G., A.G., F.G. classe quarta, Scuola Primaria“Alberto Manzi”
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Donne
Fiori
profumati
sono belle donne.
Sono cielo stellato
con un amore profondo,
in fondo al cuore.
Un brillante sorriso vive sulle loro labbra
e con il loro modo di fare dolce
tutto l’amore ti danno
in dono.
A.Q., G.Z., A.K. classe quarta, Scuola Primaria “Alberto Manzi”
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È UNA DONNA
È premurosa,
un girasole
che abbraccia la vita.
Nell’animo è gentile
e con cuore dona calore.
Ha negli occhi un arcobaleno
che splende nel sereno.
Appare preziosa
come un diamante.
Risplendente brilla.
Non è una qualsiasi.
È una donna,
è una donna che ci vuole bene.
E.A., S.A., V.R.classe quarta, Scuola Primaria “Alberto Manzi”
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Filastrocca della donna
Le donne quanto lavorano e per quello che fanno poco guadagnano. Di mattina preparano la colazione fanno i letti e ti danno un bacione. A scuola portano i bambini e per merenda gli han preparato tanti stuzzichini. Ogni giorno lavare, stendere e stirare pulire, sistemare e di corsa a lavorare. Poi devono anche cucinare ma prima la spesa devono fare. Mentre il papà va a scuola a prendere i bambini danno da mangiare ai cagnolini. Pensano a tutto nei particolari e alla sera si ritrovano coi suoi cari Il loro sorriso brilla ancora e nascondono le fatiche fatte fino allora. E tutti insieme grandi e piccini si augurano buoni sonnellini. Classe quarta, Scuola Primaria “Alberto Manzi”
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La dona
Al saiùta in faméia
Al pulés cà
Agliè beli
Cum dal steli.
Al pè enzal
Mandè da e zil.
Al tin una masa d’anél
Al tin una masa d’urloz
Al tin una masa ad vintei.
Brevi in ti cantir
Brevi fra i furnel in cusena,
brevi!
Ui pìs istis ben
Truchis gli oc
Dès e rusèt
E guardes in tè spèc.
E.B, P.D, D.G., M.T. classe quarta, Scuola Primaria “Alberto Manzi”
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LA TROTTOLA Gira, rigira frulla, piroetta
nei suoi movimenti
risulta perfetta,
donando sentimenti
gli sguardi attira.
Colorata si presenta,
la scia l’accompagna
e in tutte le danze
intimidita sogna
sconfinate vacanze,
e rotea contenta.
Classe quarta, Scuola Primaria “Alberto Manzi”
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La tu festa
Zala com una stéla
par te una mimosa béla.
At la dag par la tu festa
parchè ci breva e unesta.
Sta festa av la si guadagneda
par e dur lavor in ogni zurneda.
Adès mèt in sdèi in una scarana
arposad un po’ e schèldat cun una tisana.
Fasem do ciacri in cumpagnia
basta brot pinsir, stasem in alegria.
Me at voi dì cat voi ben
me e te a starem sempre insén.
G.Z, A.G, F.G classe quarta, Scuola Primaria “Alberto Manzi” TRADUZIONE Gialla come una stella per te una mimosa bella. Te la regalo per la tua festa perché sei brava e onesta. Questa festa te la sei guadagnata per il duro lavoro di ogni giornata. Adesso siediti in una sedia riposati un po’ e scaldati con una tisana. Facciamo due chiacchiere in compagnia basta brutti pensieri, stiamo in allegria. Ti voglio dire che ti voglio bene io e te staremo sempre insieme.
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LE DONNE SONO
Con gli occhi brillanti,
chiari, scuri, verdi
o azzurri come il mare
ti guardano.
Hanno capelli marroni
come una castagna
una noce di cocco.
Hanno capelli biondi
come dei fili d’oro.
Le donne delle volte sono carine, simpatiche
tipo la nostra maestra,
carina come il sole splendente
e brillante come le stelle.
Profumano come delle margherite
in un campo di fiori.
A volte sono fredde
come il ghiaccio.
Le donne sono fantastiche,
trattale con cura. A.Z., G.M., R.B. classe quarta, Scuola Primaria “Alberto Manzi”
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Le donne Nel bisogno Ti aiutano, Quando serve Ti consolano, E non ti fanno Rattristire. I loro occhi Brillano come diamanti, E si vestono Come principesse. Nei loro doveri Si impegnano Davvero molto. Le loro gonne Sembrano fiori Appena sbocciati. Il loro profumo Assomiglia ad un Campo fiorito, quando si arrabbiano però diventano pericolose. Le donne sono fantastiche!
P.D.,D.G.,M.T.. classe quarta, Scuola Primaria “Alberto Manzi”
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Magnifiche creature
Sono carine
come ballerine,
danzatrici in scena.
Brillano
nei capelli,
risplendono
negli occhi,
come le stelle.
E come dei gattini appena nati
sono vivaci,
quasi mai si lamentano.
Sanno aiutarti
sorreggerti
e amarti
all’infinito.
A,Z., E.B., G.G. ,classe quarta, Scuola Primaria “Alberto Manzi”
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Al doni
Al doni
quant amor
al ten in te còr.
Al doni
al brèla.
Arcordat ad tucheli cun i guint
cun cura
e in cambi
al t’aiutarà
in ogni difficoltà.
R.B., K.A., classe quarta, Scuola Primaria “Alberto Manzi”
Traduzione
Le donne quanto amore tengono dentro al cuore. Le donne brillano. Ricordati di toccarle con i guanti con cura e in cambio ti aiuteranno in ogni difficoltà.
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di seguito tutti gli elaboratipresentati a concorso
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Rugiada
Rugiada.
Parola rotonda che bacia il mattino.
Rugiada.
Già dalla notte si prepara il bacio.
Già dà tutto di sé.
In una goccia.
Al mattino.
Bisogna essere rosa ed attraversar la notte.
Per rivever rugiada.
Esser tenace e saperla tenere.
Sul corpo, rotonda.
Valentina Rossi
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DONNAVorrei essere l’uomo
che ti porterà per mano
in un posto lontano
dove amore e pace
sono un unico fuoco
e bruciano all’unisono
come carne suIIa brace;
vorrei essere l’uomo
che per sempre amerai
come nessuno seppe mai
perché Il tuo essere
di dolce fragranza
diventi una speranza
per chi ti è fedele
e per chi non ha amore.
Simone Saporetti
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Le Donne
Le donne sono tutte belle, simpatiche e affascinanti,
alcune brave, altre meno, ma tutte molto interessanti.
Secondo il mio parere c’è soltanto una donna in particolare,
che tutti noi grandi e piccini, non possiamo mai dimenticare.
Questa è la mamma: dolce parola che si può pronunciare,
fin da bambini, è la più bella e soave che si possa immaginare.
E la prima e l’ultima parola che si pronuncia quando si sta male,
e soltanto l’affetto e l’amore della mamma, per noi vale.
Nella vita tantissime donne si possono amare,
e soltanto la mamma, non si può mai scordare.
Basta leggere il libro “Cuore” o “Dagli Appennini alle Ande”
per sapere quanto il bimbo la mamma cerchi e quante lacrime per
lei spande.
Senza leggere il libro “Cuore”
si sa che c’è chi tutto il mondo attraversa
e per trovare la propria mamma che si è perduta,
tante lacrime versa.
Perciò, amici cari, ogni donna è importante nella vita giornaliera,
ma soltanto la mamma è la più cara,la più tenera e veritiera.
Oltre alla mamma, come donne
Ci sono le figlie, le nuore, le mogli, le cognate, le zie e soprattutto le
nonne.
Queste, non le voglio dimenticare mai,
perché tutte insieme con le mamme,
formano delle colonne.
Giordano Solaroli
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“Lettera nell’Etere”Mia cara, tengo questa conversazione come se tu fossi qui, come se tra qualche anno dovessi chiedermi: “Mamma leggimi ciò che scrivevi quando mi aspettavi e mi sognavi”, ma invece Amore mio grande, non potrò mai leggerti queste parole e spiegarti alcune emozioni vissute e raccontate. Non potrò mai leggerti queste parole qui, sulla Terra, ma in Cielo sì, ed io lì le porterò quel giorno che ti riabbraccerò. Ho trasformato il mio cuore in una “scatola” bellissima, come una di quelle scatole di latta che hanno disegni sognanti sopra, i di-segni della Vita e li, dentro al mio cuore, da quando tu sei entrata nella mia Esistenza, ho iniziato a riempire ogni spazio con emozioni, istanti, pensieri che ti riguardano. In quella “scatola” che mi dona la Vita, c’è tutto il mio Amore, le mie paure, le mie lacrime, i miei sorrisi, le carezze che ti ho fatto quando ti aspettavo e anche quelle che avrei voluto regalarti ogni giorno, fino alla fine. Lì dentro ho chiuso la mia speranza per Te e per il mio Futuro. Li dentro è l’unico luogo in cui io non ho timore di farmi male. Avrei voluto regalarti tante cose, tanti piccoli frammenti che ti avrebbero fatta crescere con la stessa semplicità con cui sono cresciuta io. I fiori del giardino da cogliere, lasciando poi una scia di petali ad ogni tuo passaggio per ritrovarti nascosta chissà dove, le matite colorate con cui fare i primi scarabocchi, le formine per fare i biscotti insieme, il primo costumino per fare il bagno al mare, perché ti avrei fatto vivere immersa nella meraviglia dell’acqua, grande madre per tutti noi. Ti avrei regalato il mio Amore, perché non conosce compromessi, ti avrei donato quegli insegnamenti che sono regali della Vita, che non hanno un valore economico e che ti avrebbero portata a camminare con consapevolezza nell’esistenza. Ti avrei donato la pazienza, che al mondo non basta mai e il sorriso, il sorriso per andare alla ricerca delle sfumature più belle a cui donare Luce. La sensibilità, la spontaneità e la dolcezza, la forza di non arrenderti mai davanti alla Vita, anche quando ti avrebbe fatta un po’ disperare e sentire sola contro tutti e tutto. Ti avrei protetto dalle ingiustizie raggiungibili dal mio cuore e dalle mie braccia, ma ti avrei lasciata anche sbucciare un po’ l’anima, quel tanto che serve per non avere paura della Vita, che della Vita non c’è mai bisogno di averne timore, perché anche quando la Vita ti mette a dura prova figlia mia, lo fa solo per vedere quanto hai imparato da essa e quanto sei in grado di saper tornare a volare, senza mai perdere di vista la sua importanza. Ti avrei donato anche le lacrime, saper piangere di gioia e anche un po’ di malinconia, per sentirti libera da alcuni pesi che il destino ti porta a provare e per continuare a sentirti umana. Io sarei stata presente ad ogni evento piccolo o grande per Te, avremmo litigato come capita ad ogni madre e figlia, ma avremmo fatto pace, magari con un semplice abbraccio. Ti avrei confezionato il primo vestito per la recita di Natale e un giorno, ti avrei vista spegnere quelle tanto desiderate 18 candeline che ti avrebbero fatta sentire “finalmente grande e più libera” come ogni ragazza della tua età vive e sente in questo traguardo anagrafico. Avrei accompagnato i tuoi primi passi incerti e poi, forse, avrei desiderato fermare il tempo quando ti avrei vista crescere troppo. Ti avrei portata nei posti dove sono cresciuta e ti avrei raccontato del nonno, del mio papà, che desiderava tanto la nascita di una nuova presenza femminile in casa a cui poter dire: “Impara ad essere autonoma ma con Amore, perché farai strada”. Ti avrei parlato dei suoi occhi, della Luce di Vita che mi ha re-galato sempre e che oggi vive in me. Ti avrei raccontato di come sei nata tu, di quel viaggio chiamato Amore e di quanto sia stato sorprendente scoprirti in me nonostante il timore di non essere all’altezza di tale dono, per-ché sai, a volte il cuore dei genitori è abbracciato da ombre che spazzate via solamente voi figli con la vostra semplice presenza lucente. Ti avrei osservata dormire nella notte, come ora che non dormo e ti scrivo però, e avrei forse pianto nel sentirmi un po’ sola, ma quel pensiero sarebbe stato riempito dall’immensa forza e amore che solo un figlio riesce a sprigionare. Quante cose figlia mia, quante cose che avrei voluto fare con Te! Un intero mondo di fogli bianchi non basterebbero a contenere la Tua Vita, a raccogliere quello che avrei voluto per Te, qui, in questa esistenza. Mi manchi, mi manchi come l’aria, mi manca una parte di me che quel giorno è volata in cielo insieme a Te. Quanto è difficile a volte, spiegare agli altri dove sei ora e come sei arrivata li.A volte è difficile riuscire a pronunciare: “Ti ho perso”, è come una condanna dolorosa continua, così io amo immaginarti seduta sopra nuvole soffici di ciniglia, ad osservarmi e sorridermi, perché io non ti ho mai perduta e perché so che quelli che sono miei dubbi, per te sono solo certezze ed io ne sono immensamente felice.Vivo per Te, vivo per portare un po’ di Luce nella tua Vita anche da qui. Vivo per sentirmi Viva, come se tu fossi qui con me, per andare lontano in questa esistenza, perché se oggi sono la donna che sono, lo devo anche e soprattutto a Te. Sei la mia Essenza, sei Luce nel mio cammino, sei quella parte di me che ora e per sempre sarà il mio vanto. Ti amo di bene figlia mia.
Tua Madre: Elisa Mazzotti
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Te nöna
Te nöna
paradiş inzucaré
imbunì parados
azet impast
ad pazienti afezion
ad divuzion
te spösta a la parmura
indrent te fàzila
la tèndenza a un asòlvar indulgent
risôrta a l’arnuvêda cundizion
ad mâma che l’amór
u s’i fa luş indentar e u s’ intaja
parfònd cun la viulenza dla scupérta
t’ carez la fazina in suriş
d’una tènara desputa
par banadìn in côr
la su preşenza.
Tu nonna
Tu nonna
paradiso zuccherato
mitigato riparo
accetto amalgama
di pazienti affezioni
devozioni
tu incline alla premura
in te agevole
la tendenza a un assolvere indulgente
risorta ad innovata condizione
di madre cui l’amore
le si fa luminoso e s’intaglia
profondo con l’impeto della scoperta
carezzi il viso sorridente
di una tenera despota
per benedirne in cuore
la presenza.
Paolo Borghi
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A te, Amica mia.
Lentamente si è staccato l’ultimo filo,
quel filo d’acciaio che ti teneva unita alla tua famiglia,
quel filo che tenevi stretto tra le mani,
quella radice solida che tenevi protetta.
Lentamente è svanito l’incantesimo di vita,
quello che ti faceva sognare che ci sarebbe stato un domani,
quella speranza, a cui ci si aggrappa, quando la malattia avanza.
Lentamente si è aperta quella voragine di morte e ti ha inghiottita.
Ci sei caduta dentro senza paracadute,
hai lottato e sofferto, mentre ti portava via dai tuoi affetti e dalle amicizie.
Lentamente, illuminata da una luce, sei andata via
danzando sulle punte a tempo di musica,
ci hai salutato ad uno, ad una.
Lentamente quella luce si è spenta
in una fredda giornata di febbraio, avvolta dalla neve.
Io, la rivedo nel tuo sorriso quando ti vengo a trovare,
quando ti chiedo aiuto,
certa che tu prontamente me lo darai.
Lentamente, accetto che tu non ci sia più.
Minghini Maria Cristina
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La borsa di ogni donna
La borsa di ogni donna contiene
un pizzico di follia
e granelli sparsi di verità.
Piena di lei e delle mille forme del suo amore,
è fatta di sconclusionate rincorse e
polverosi silenzi.
Anche quando non ci trova nulla,
lei sta cercando di capire il senso
di esplosioni ancestrali,
di cui gli uomini si accorgono
millenni dopo.
E lo trova sempre.
Quando poi non si intona con il mondo,
fa una smorfia e se ne va,
perché sa che è il suo,
il cuore più colorato e giusto dell’Universo.
Del resto, tutte le onde gravitazionali
finiscono in quella borsa,
tra quelle braccia capaci di abbracciare gli alberi
e le infinite meraviglie
della sua sconfinata bellezza.
Yano Giovannini
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Una dòna par sempra.
Una dòna, una ma,la regina ad tot la ca.
Me a sò ad chi fortunè ,ch’j à una mama d’ascultè.Sempra prunt i su cunsej ,
pr’una vita ancora mei.Int al nost dificoltà,
chi n’à pansè a la ma?Pruvì un po’ a cuntè ,
quanti volti avì ciamè .Par qui ch’in la j’à piò ,
lia l’ascolta da la sò.No pansì ch’l’av menda via ,la vreb sempra stev da dria.
Da piò znin stè da sintì ,da piò grand ta j’e capì ,ch’l’è difezil a fè senza
propi int j’en d’ladolescenza. T’vres dé contra a tot e mond ,
a tot qui ch’it stà da tond.T’vres andè da tot i chint ,
duc u j’è i divertimint ,Par fè prema t’vres vulè,
ma nisun it stà dastè.Ma la mama ch’l’at segues ,
in ste mond cun menca e stres,pin ad vizi e d’roba brota ,
lat vo fè truvè la rota.Sempra stèla da sintì,
parchè l’ant putrà tradì.Ringrazièma pu stà dona,s’l’è la Sò l’è la Madona.
Franco Sbrighi
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Sorgerà il sole
Oggi otto Marzo festa della donnaparagonata ad angelo da Dante
figlia, sorella, madre e pure nonnadella sua vita, impegno assai costante
nella famiglia sempre la colonnauna creatura più che affascinante
Boccaccio e Petrarca ne han parlatoeppur per loro, simile al peccato
La donna oggi sembra quasi assorta
nella scalata e poi nella conquistadi quel potere che però comporta,
giustizia e una coscienza non egoistaanche lo stare, sempre di più accorta
poveri e ricchi mai perder di vistaeppur nel mondo non va tutto beneoggi la donna festeggia in catene
Dall’Africa all’India sempre si sente
notizie dure di violenze e peneuomini e religioni non contente
metton la maschera, gente perbene!che fan di Dio l’accondiscendente.
Anche da noi le cronache son pienedi abusi, stragi e di vite bruciateumanità al bivio, gente affannate
Verrà quel giorno che la donna aspettaquando si accoglierà soltanto amore
e quando l’uomo lascerà la vettadedicherà la vita al suo splendore
e finalmente le potrà dar rettaper tutti quanti sarà uno stupore
sarà la festa in cielo e pure in Terrasempre finita allor sarà la guerra
Sorgerà il sole e scalderà di pacel’animo umano così freddo e durosarà ogni cuore simile alla brace
troppo ha sofferto lei in quel mondo oscuroora che tutto muta più non giace
e pensa un dì a quel fulgido futuroniente più urla, né violenza o noia
soltanto pace, amor, rispetto e gioia
Nicoletti Cesare
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Io e te per sempre
Prendimi la mano
ripercorriamo con la mente
il cammino della nostra vita.
Due ragazzi che si amano
da più di trent’anni.
Un bacio.
Una carezza.
Il sorriso di un bambino.
Il volo di una colomba.
Il battito dei nostri cuori
ancora ci emozionano.
Il tempo scorre veloce…impietoso.
Ma se il nostro amore saprà essere forte
invecchiare assieme sarà piacevole…
come una lunga passeggiata
in un campo pieno di fiori
allietati dall’amore dei nostri cari.
E quando il cielo ci chiamerà
partiremo assieme
per un lungo viaggio senza ritorno
ed allora saremo uniti per l’eternità.
Io e te per sempre…
Maurizio Maraldi
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Muse
Muse impermanenti dai tempi dei tempi,
ma sempre presenti.
nell’ instancabile rinnovamento di dono alla vita,
la natura imita le Muse
le Muse imitano la natura.
Messer non muove passo senza la musa
Ma non rispetta l’essenza evanescente.
Amano, odiano, gli uomini le Muse, vorrebbero tenerle prigioniere
e quando esse non cedono, non esitano a toglier loro l’essenza vivente
perché non compiacente.
Succhiano dal loro seno la linfa dell’amore,
dimenticano in fretta la dedizione a lor donata
pur essendo regalata.
Svegliatevi o Muse e riprendetevi la vita,
la vita a voi donata dalla natura tanto amata.
Scacciate il dolore del mancato amore,
amor che voi cercate con il cuore,
amor a voi negato ora e anche nel passato,
da un Messer ingrato.
Beate son le Muse amate, rispettate.
Elisa Venturi
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Vittime dell’amore e dell’odio - lei e lui
Era un tardo pomeriggio nebbioso di Febbraio.
Lei indossava ancora le scarpe dorate da ballo, quelle che la facevano volteggiare sulla pista.
Lei era nascosta dai buio della notte, avvolta dal freddo dell’inverno della pianura padana; stava lì, imprigionata
sulla sponda del fiume.
I loro sguardi, illuminati dalle torce, per un breve attimo si incontrarono.
I loro occhi si parlarono, ma le loro labbra non proferirono parola: nessuna richiesta d’aiuto venne da Lei e
nessuna rassicurazione giunse da Lui.
Non ci fu il tempo!
Lei, giovane donna con un matrimonio finito alle spalle, lo vide imprigionato tra le lamiere di quell’auto che
stava per essere inghiottita dall’acqua.
Il loro incontro avvenne sotto gli occhi di molti, degli stessi che invano cercarono di aiutare Lui, celati da un
lenzuolo bianco.
Vite differenti che si sono incrociate, che la Morte ha preso per mano e si è portata via.
Lei, giovane e bellissima donna, economicamente indipendente, con una vita sociale felice, aveva trovato nel
ballo una passione per sfogare lo stress del lavoro.
Ballava con spensierata innocenza e. tra una salsa e una bachata, aveva anche ritrovato l’amore.
Almeno così pensava!
Ora stava lì immobile nel freddo dell’acqua del fiume, proprio lì dove l’avevano gettata; stava lì incredula per
ciò che le era successo.
L’uomo che diceva di amarla l’aveva uccisa, con la complicità di chi, dell’amore, ha una concezione malata.
Soffocata dalle mani di un’insana gelosia, vittima di un triangolo perverso e di un patto familiare mostruoso.
Quante donne come Lei piangiamo ogni giorno?
Quante Lei ci sorridono dalle pagine dei social?
Di quanti femminicidi leggiamo le storie sui giornali?
Madri, mogli, compagne, fidanzate e figlie che vengono assassinate per mano dell’uomo che diceva loro
d’amarle.
Ora, Lei lo guardava dalla sua prigione di morte, non lo poteva aiutare.
Non poteva dare aiuto a Lui, giovane uomo con una famiglia a cui faceva ritorno ogni sera.
Non poteva allungare la mano a Lui, a colui che aveva trovato la sua missione di vita nel soccorrere il prossi-
mo, indossando fiero la sua divisa di poliziotto.
Lei e Lui.
Una Donna e un Uomo.
Ora sono lì, vittima dell’odio Lei, vittima dell’amore Lui.
Maria Cristina Minghini
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Ti devo raccontare!
Ti devo raccontare l’ultima.
Mi ha regalato un anello. Non è come quello che mi hai regalato tu, è completamente diverso e... ah, ma ti
devo raccontare molto più di questo. Lui è tutto quel che ho sempre detestato. Sempre, fino a due anni fa. È
dolce, lo è tanto che tu lo definiresti “troppo”. Sorride. Anche di notte, quando si sveglia di soprassalto. Op-
pure al mattino, appena apre gli occhi. Mi bacia sempre, mi accarezza sempre, mi guarda tanto da sembrare
scemo. “Scemo”.
Così lo chiameresti tu, sorridendogli. Che poi è come lo chiamo io, sorridendogli.
Ma dicevamo, l’anello. E’ sottile e discreto. Il più bello che abbia mai portato.
È come lui. Dice “sono qui, ma senza stringere”, “sempre con te, ma te rimani te”.
Se mi sono innamorata? Aspettiamo una bambina.
Non lo credevi possibile, eh?
Dopo i violenti e i traditori, ti avevo detto “mai più”.
Ma mi hai insegnato tu stessa che il “mai più” non vale poi tanto, quando sei tutta cuore.
Ti dicevo, aspettiamo una bambina. Margherita.
Non credevi possibile nemmeno questo, eh?
Spero che oltre al tuo nome, abbia anche i tuoi occhi.
Quelli che hai chiuso all’alba, mentre non c’ero.
Dicevo, è dolce e scemo. Stai tranquilla.
Sono felice e al sicuro, adesso.
Non lo credevi possibile, eh?
Vania Leone
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L’ eco di quell’ultimo addio E ricordo ancora, anche se lontano, lontano,la disperazione di quel mio sperare invano.
Tra una soffocata lacrima ed un goffo sorriso,io accarezzavo fisso il suo pallido viso.
Credevo subito forse di capire,
cosa il suo sguardo volesse dire.
E fu tanto forte quel mio tormento,che io ero contento d’arder tutto dentro.
Ed ora, più di allora, sento l’eco di quell’ultimo add ….i.o.“Mi raccomando i nostri bambini, a te ora li affid…o…..o... “
Nel silenzio del suo ciliare io risposi: “Tu pensa a guarire “.Ma non s’accordava più il suo cuore con il mio dire.
Quell’esausto suo ultimo cenno mi aveva fatto muto.È passata tutta la nostra vita in quel minuto.
E così se ne’ andata in quella valle buia,e noi tutti insieme a cantar per lei alleluia, alleluia.
Ora di più non posso se non pianger la sua mancanza,ripassando con dolore quell’ Eden della comune esistenza
Kotlar Guerrino
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Donna
Tu che piaci ma non ti compiaci,
E sei sempre più bella e più forte.
Tu che ridi,
E con grazia marziale mi sfondi le porte.
Tu che fiera arruffi le piume,
E regina ti fai nei miei specchi.
Tu che sbocci sui miei rami secchi,
E fiorisci ogni giorno più azzurra,
E maturi ogni giorno al mio sguardo.
Tu imbronciata alla pioggia d’estate,
Più splendente ogni goccia che cade.
Tu legata tra i fili della sera,
E la pelle che, cerulea, si fa più sincera.
Tu sdraiata su un ricciolo di vento,
Persa più in alto di ogni corrente.
Tu le ali della mia farfalla,
Tu cielo della mia giovinezza.
Tu comare del mio paese,
Rumore del mare, valigia disfatta.
Tu petunia dai petali accesi,
Che colori i miei occhi e i miei mesi.
Tu scostante, impaziente, scontrosa,
Fonte infinita di felicità limpida.
Tu dolce, paziente affettuosa,
Stagione grassa nei campi e sui viali,
Stagione mite in carezze e nei baci.
Tu felina, leonessa e un po’ gufo,
Tu eterna principessa e compagna,
Eterna e più ancora mortale,
Caduca solo per esser speciale.
Sani Fabrizio
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Vittima di mafia
Le luci di Milano
erano spente,
accesa solo la
Grande luna;
amore, amare
risulta difficile,
oltre le scelte,
ferite profonde mi
avevano già trafitto
lungo il cammino verso l’
oceano, verso la libertà.
Uccisa, ancora una volta,
dalla famiglia, dallo Stato,
da te, amore mio.
Rimane nell’aria
il battito del mio cuore,
forte, ostinato, tenace,
sussurro di speranza
per tutti voi,
grido d’amore per mia figlia.
Ardizzoni Nerina
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Donna
Desiderabile Diamante,
Delicatamente Determinata.
Deliziosa Dama
Disponendo Dècolletè
Destabilizza Dirimpettaio.
Davanti Deposito
Drappi, Discerne,
Decisione Difficile
Determina Disperazione.
Dedicandosi Desco
Delizia Devoti.
Decine Dolcetti
Determinano Dimagrimento,
Decidendo Dieta
Digiuna Drasticamente.
Dopo Dedizione
Domestica, Dolorante,
Desidera Divano.
DONNA, Decisamente
Disegno Divino.
Carmelo Pecora
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A mia madre
A te, che tanto
a vita hai dato
e della tua più buia e si funesta
gior del tuo crear ti fu negato.
In questo tuo soffrir chissà se c’era
Chi consolava la tua immensa pena.
Cosa più triste non fu di quel patire
e lo rimossi per non dover soffrire.
Voglio pensarti che adesso sei felice
mentre ci vegli in infinita pace.
Ti chiedo forte scusa o madre mia
se a volte io ti sfuggo
e scappo via.
Loriana Bassetti
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“La mia vita… come un girasole”
Effimera ma intensa
è la vita di un girasole.
Dura solo un’estate
ma di essa ne percepisce tutta l’intensità
l’incanto
e del calore solare s’inebria
quasi
si abbandona.
Io sono come il girasole:
un fragile stelo
che ha bisogno di essere riscaldato dal tuo amore,
perché possa rinnovare ogni suo istante di vita
e non abbandonarsi alla morte......
alla fine di un’estate.
Bettina Della Maggiore
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… Ciùdemla
Néca incù l’e’ ste ‘mazé dal dòni,quist j ié fèt ch’i’s’ ripet un po trop spes.
Se va bén la j ià fat che dlit,mo e fat dla mela, u ne ora ad sminghél?
Arcurdemas raghézChe se vén ‘manché cla ràza che lé
A sém int’i pastéz
… Chiudiamola
Anche oggi sono state uccise delle donne,questi sono fatti che si ripetono troppo spesso.
Si d’accordo ha fatto “quel” delitto,ma il fatto della mela, non è tempo di dimenticarlo?
Ricordiamoci ragazzi,che se vengono a meno loro,
Siamo nei pasticci
Mario Amici
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Clandestinasu questa terra
senza il permesso di restare
ma neanche di andare
con l’anima fatta
di scaglie e di vetro
che si spezzano e piangono
sangue a fiumi
che non si aggiustano
amare lacrime sulla via del mare
con la corrente che trascina via
ed il sonno che abbraccia
il corpo indebolito riportato
come una conchiglia sulla riva
clandestina
nel suo frettoloso annaspare
sempre con l’ansia e la paura
di non avere il tempo di arrivare
ladra e fuggiasca
come un lupo
che per fame
sa diventare invisibile.
Caterina Tisselli
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Questo racconto vuole narrare l’amore che una figlia, nipote e mamma
può provare....
quando ero piccola tutto mi sembrava scontato, l’amore l’affetto e la presenza
di chi così tanto amo e ho amato....
la mamma le nonne sempre vicine
per farmi capire che c’è sempre un lieto fine....momenti stupendi...
sgridate....insegnamenti...
intere giornate a sorridere senza impedimenti.....poi son cresciuta
e piano piano qualcosa ho imparato....che la vita a volte si pone nel modo “sbagliato”.......
si diventa consapevoli che gli affetti vengono a mancare
e un grande vuoto possono lasciare.....non voglio piangere
continuare a disperare se è vero che prima o poi
ci potremo re incontrare .....però ripenso ai momenti di beata spensieratezza con la mente ritorno in fretta alla mia giovinezza....
decido quindi di non lasciarmi andare ma godo dei momenti che il tempo ora mi può regalare...
guardo i miei figli li vedo felici e spero la vita per loro non sia piena di sacrifici....le MIE donne mi insegnano
e mi hanno insegnato che tutto quello che si ha deve essere guadagnato....
ma senza lamentarsi troppo o disperare perché ti ritorna solo una grande soddisfazione personale...
sperando che un giorno loro mi guarderanno con la luce negli occhi mi ringrazieranno...
come ora anch’io voglio fare....grazie Mariangela ,
Anna e Renata per come io so AMARE!!!!
Maldini Michela
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A mia figlia
...e il cuore s’avvolge in un’anima tenera
chiudo gli occhi e riesco a vedere
perché abbracciandoti tutto è pace.
La lacrima che scende sul mio viso è l’immensa felicità di te che sei sul mio petto
respiro lieve che ha, che da una immensa forza
...minuscola mano che la mia vita sostiene.
E tu sarai sempre Amore....
Valentina Chiapponi
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L’Assistente
Bologna 1980: quanti ricordi!
L’università, le chiacchiere infinite al bar in attesa che l’assistente di Filologia romanza uscisse dalla Facoltà di
Lettere in via Zamboni e si dirigesse con la consueta aria distratta in libreria da Feltrinelli, appunto, dove anch’io
ero ormai di casa.
Ed ora, esattamente dopo trent’anni, cinquantenne borghese, ben vestita, giovanile vedo apparire tra gli scaf-
fali proprio lui: il mio assistente, con lo stesso fascino inalterato, con l’aria meno sognante e svagata di tanto
tempo fa, con i capelli grigi ancora folti, accompagnato da una splendida, longilinea e solare ventenne.
Un tuffo al cuore: riaffiorano giovanili emozioni ormai sopite e remote, ritornano alla mente gli ingenui pedina-
menti fino ad un piccolo portone di un austero palazzo in via Nosadella, i cui battenti chiudevano non solo la
vista, ma anche le utopiche speranze di poter attirare in qualche modo la sua attenzione.
Ed ora, eccolo, con la ventenne, che lui guarda con aria compiaciuta e soddisfatta!
Il mio distratto e serio assistente, chiuso sempre nel suo mondo di pensieri e di libri, così lontano, allora, dai
comportamenti dei suoi e dei miei coetanei, sempre pronti alla battuta caustica, allo sguardo malizioso su
una scollatura un po’ generosa, a commenti salaci sull’andatura cadenzata di qualche formosa studentessa,
anche LUI purtroppo, nella piena maturità, è caduto nell’inganno della vanitosa certezza maschile di essere
fortemente seduttivo anche con quarant’anni in più della compagna.
Che amarezza, che delusione!
Una semplice frase, però, mi apre di nuovo il cuore:
“Papà, vai tu alla cassa? E’ un bel libro da portare alla mamma oggi, per festeggiare l’8 marzo!”
Stefania Zaccheroni
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Doni d’una volta
Fernanda, t’ci néda tra al dó guèri,da zovna t’à ‘n ne vù ad nisòna.
Enzi, tra miseria e poc ad tot,
t’at’ci spuséda
Lavuré, cres di fiul, poc rispètcoma tot al dòni, l’andeva acsé
l’era chi timp
T’ci gvantéda nònatè carsù i tu anvudin,t’at ci fata in quatar
al piò dal volti t’an gn’infruntiva.
Adess che la candela l’à s’morta,t’an vù staché la spêna.
E incora patimint.
Mario Amici
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Chi sono io?
Nella mia vita son stata farfalla, o ape,
Talmente mi piacciono i fiori, i colori.
O forse un grillo, per la voglia di saltare fossi.
Mi sarebbe piaciuto essere ranocchia,
Sempre in acqua, sempre a mollo.
Sono stata coniglio, ripieno di paura,
A volte persino lepre, con le orecchie tese,
In corsa per non farmi catturare.
Semmai son stata ragno non ho avuto poi tanta fortuna:
La tela era fitta di buchi: quanti ne son scappati!
Come un falco, certe volte ho volato alto,
Mi è piaciuto, sì, ma è durato poco.
Di sicuro son più cicala che formica
(E mia sorella sempre lì a rimbrottare!)
Adesso che son gatta, con quel po’di pelo bianco.
Adoro stare in casa, mentre fuori ringhia il mare.
Allora, visto come va il mondo
Meglio animale
Che essere umano.
Eppure, ogni giorno, ancora sogno.
Chi soja mé?
Int’la mi vita a sò steada una parpaia, o un’eava
Par queant c’um piés i fiur e i culur
O forsi un grél par la voja d’salté i foss.
Um srebb piasù d’resar una ranocia
Sempar int’l’acqua e sté sempr a mol
A so steada un cunej, pi d’paura
E d’al vuolt neca una livra, cun agl’urecc dréti
Cl’a scapa par no’s fé ciapé.
S’a so’ steada un reagn aj ò avù puoca furtona:
La mi tela l’era pina ad bus: jè schep in tent!
D’al vuolt aj’ò vulé in ealt, coma un falchèt
E um’è piasù, mo l’è duré puoc.
Ad sicur a so’ piò zgheala che furmiga
(E mi surela l’a n’a mai smès d’bravé!)
Adès c’a so una gata, cun queic pel bieac.
Um piès s’sté in ca, inteant che fura e rugia e mer.
Insoma, dop avé vest com cu s’è ardot e mond
L’è mej pinsé d’resar un animel
Piotost che un s-cién .
Neca se a sogn incora, tot i dè.
Mirta Contessi
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Mia Madre Il ricordo di mia madre, là nel campo
ha un sapore d’aceto, un odore di fango.
I suoi piedi sformati che frantumano zolle
son spade piantate negli occhi della mente.
“Mamma, aspetta, non andare, fa caldo”.
Sguardo velato, sorriso spento.
“Mamma, riposa, almeno quand’è festa”.
Ciabatte logore, borsetta vecchia.
Mia madre regina del lamento,
che si fa in quattro per chi ha bisogno,
che non capisce mai le barzellette,
se le racconta lei, nessuno ride.
Mamma lo sai che il tuo“ no buté gnit!
Ha riempito il magazzino di schifezze?
Un cuore a pezzi, fermato e ripartito
Più di una volta, più di uno spavento.
Mamma arrabbiata, tradita, bastonata;
bella e ribelle, adesso ormai domata.
“Quando mi fai la tinta?” “Quando vieni?”
lei non accetta i suoi capelli bianchi.
Ora ti sei fermata, tutto è più lento:
la memoria, il pensiero, il movimento.
Solo il tormento ancora non è spento.
Senso di colpa che non ha mai fine.
“Portami a casa mia” e non sai dove.
“Ma questa è la tua casa, non la vedi?”
Petunia sorda e vecchia che la guarda
emette un mugolio e si addormenta.
Mi méArcurdem ad mi mé, a là int’i chémpL’a e savor dl’asé, l’udor dla tera e i su pì, sfracasé, chi spaca i cudelIé coma dal spead infiledi int’i oc
“Mema, aspeta, brisa andei, l’e cheald”Li l’am guearda c’un un suris trest “Mema, puosat, immec incù c’l’e festa”Al pianel sfati. Dal burseti veci
Mi mé, la regina d’e lamentc’la sfa in quater par chi c’a bsognc’l’an capes mai al barzeletE s’la li conta lì, un rid anciò
Mema al set che e tu “un s bota gnit”U m’a impinì e garag c’un dal ciustéUn cuor int’i toc, c‘us è farmé e l’è arpartiPiò d’una vuolta, piò d’una paura
Mema instizida, tradida, bastunedaBela e arbela, ades i t’a Li i cavel biecc l’a ni supuorta propi! “Quent am fet la teinta?” “quent a vent?” dumé
Ades t’atcì farmeda, tot l’e piò lentLa memoria, e pinsir, i muvimentSol e turment un s’e incora farméUn sens ad colpa c’un arà mai fen
“Puortom a ca mi” e t’an se ind’o c’lé“Mo l’è questa la tu cà, t’an vid?” Petunia, vecia e sorda che l’at guerda La fa un mugogn e pu la s’indurmenta
Mirta Contessi
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PROFUMO
Lo colgo lì, tra i tuoi capelli,
fili di argentea età
denunziatori del tempo
come trasparenti e meticolose clessidre.
Lo riconosco da sempre,
cognita scia nel tuo dolce fluire
eco discreta
del tuo disinvolto passaggio.
Lo cerco nei giorni della solitudine,
quando l’uomo non basta all’uomo
e il cuore cerca
un amabile giacilio.
Lo rievoco da paesi lontani,
dove eccelle prezioso
tra essenze di fiori e aromi speziati,
tra venti olezzanti
e aulenti piogge.
Odore di marmellata e pane,
di acqua di rose e cannella,
di carezze e sacrifici,
di risate e fiabe,
di baci e sospiri…
Il tuo profumo,
mamma.
Valentina Olivi
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La dona ad cà
La j arves j oc a la matena e, incora int e lët
za zent pinsir is incavala. U j è sobit da inviè a pulì,
la porbia e pè ch’l’at cora drì, carghè la lavatrice,
stend i penn e coji so, pinsè a quel da fè da magnè
e dop, met’s a spignatè. Incù par quent e bsogna parparè?
E pracis us sa sol vers mezdè.Dop magnè, du punti nt un cazten, ciudar un busanìn int una majeta
e stirè una zesta ‘d penn.Al quatar, andè a tu i burdell a scôla e par al sëtt, parparè da magnè dlêt,
uffa, u jè incora da spignatè.La dona ad cà la j è semp’r in atività,
da matena a sera, sempar la i dà.Pusebil che un s’putes invintè, almenc par sparagnêla un pó, ad magnè sol una vôlta e dè?
Nivalda Raffoni
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Il magico incontro
Mamma, una notte tu partisti in silenzio per le valli dell’Eden,
senza dirmi addio.
Accettai il tuo volo verso le Sfere Sacre, soffocando il mio dolore,
sapendo che tu avresti raggiunto le favolose colline
e praterie fiorite della Luce.
Sapevo che un giorno noi ci saremmo riviste nei Gloriosi giardini Celesti.
Il mio cuore sentiva di aver perso il calore del diamante più prezioso,
comunque non piangevo perché sapevo.
Il tempo passava, e tu mi mancavi sempre di più, finché
tutto sbocciò in un grido di dolore soffocante.
Una notte mi apparisti in sogno, indossavi una veste di luce
dorata e, quando ti sussurrai che mi mancavi enormemente, tu scoppiasti
a ridere divertita, poi seria mi abbracciasti dolcemente.
Mamma, il tuo magico abbraccio, guarì il mio dolore,
il tuo cuore generoso mi offrì l’energia della gioia e della pace.
Ancora oggi quando ti penso, ti rivedo in quel maestoso incontro, nella tua
veste luminosa, con i tuoi doni d’amore, mentre mi sorridi dolcemente.
Elisabetta Errani Emaldi
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Madre Teresa
Un esempio di luce che ha fatto
riflettere i potenti della terra e
commosso l’Umanità.
Una piccola grande donna che ha
stupito il mondo con la sua sorgente
d’amore, fede e forza.
La dolce libellula della compassione
che strappava i poveri, i malati e gli
abbandonati dall’inferno della fame,
della malattia e della sofferenza.
Teresa, l’Angelo dal cuore d’oro,
che donò la sua vita ai figli del dolore,
lungo le strade polverose di Calcutta.
Il premio Nobel dell’amore
incondizionato, la stella che brillerà
per sempre nell’inconscio
dell universo umano.
Elisabetta Errani Emaldi
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Quando il destino ti conduce La prima volta che, osservai la linea blu che attraversava la bianca e magnifica nave “Danae”, la vidi deformata. Allora io ero lo shop manager di quella lussuosa nave da crociera della Costa Armatori.
Un flash back mi riportò, all’improvviso, alla luce un ricordo lontano: mi vedevo all’età di quattordici anni, con lunghe trecce e un paio d’occhiali da vista, con lenti spesse, passare davanti alla porta semiaperta della cuci-na, mentre mia madre, angosciata, diceva a papà: - Stamattina l’oculista ha affermato che Elisabetta è affetta da una grave miopia, che con il tempo degenererà sempre di più, quindi non dovrebbe stare troppo sui libri a studiare. - Dalla porta semi aperta vedevo papà preoccupato che fissava la mamma in silenzio; allora io sbalordita correvo a sfogare la mia disperazione, in giardino.
A sedici anni, papà mi comprò le prime lenti a contatto, per me fu un evento, finalmente i compagni di classe non mi avrebbero più preso in giro, chiamandomi quattr’occhi. Certo non avrei mai immaginato che, quel giorno, in un porto greco, a trentatré anni, mentre guardavo la linea blu deformata, la mia vita si stesse trasfor-mando in un calvario.
Alla visita di controllo, l’oculista mi ordinò di sbarcare immediatamente, perché a causa di una miopia degene-rativa, si era formato un buco al centro della retina dell’occhio destro, ma il peggio era che stava succedendo lo stesso nel sinistro. A casa, mi accorsi che, mentre guardavo il volto di mia madre e cercavo di metterlo a fuoco, lo vedevo deformato e mostruoso, come tutto ciò che osservavo intorno a me. Sfortunatamente non avrei mai più potuto dipingere e fare le cose che amavo. Gli specialisti affermarono che le deformazioni che vedevo intorno a me, erano create dal sangue che si espandeva dai due buchi sotto la retina; quindi finché non si fosse riassorbito, avrei visto un mondo grigio e deformato. Naturalmente tutto ciò non si sapeva quanto sarebbe durato: mesi, anni, tutto sarebbe dipeso da quanto tempo ci voleva a cicatrizzare, sempre che la degenerazione si fosse fermata.
Da allora, sono trascorsi tanti anni, ho continuato a lavorare a bordo delle navi da crociera con solo sette deci-mi di vista con le lenti a contatto, con quattro nel destro e tre nel sinistro. Sono stata costretta, purtroppo, per lavorare fino all’ultimo, a nascondere il mio handicap ai medici della Cassa Marittima. Sfortunatamente, con l’andare del tempo, sono stata colpita da quasi tutte le malattie degli occhi; quindi mi hanno tolto la patente, poi non potendo più fare un buon lavoro, ho dovuto licenziarmi, e ora mi ritrovo a scrivere al computer con una lente d’ingrandimento, ritrovandomi con solo due decimi scarsi di vista nel destro e uno nel sinistro.
Ad ogni modo in questa sofferenza ho trovato un equilibrio, e imparato ad essere felice nonostante tutto. Questa mia esperienza mi ha portato a conoscere meglio me stessa e, a scoprire, che ognuno di noi fa parte del sistema Universale, ed è un Angelo di grande potere, co-creatore con Dio, venuto in terra per portare a termine il suo compito e imparare una lezione. I tesori interiori, infatti, poiché niente succede per caso, si por-tano alla luce solo, quando il destino ti conduce all’interno di te stesso, attraverso eventi drammatici.
Elisabetta Errani Emaldi
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Amina
Oggi voglio essere te!
Sentire anch’io
il dolore di quei lividi
lenire tutto il male che vedo
alleviare quello che io non so.
Oggi voglio chiederti il permesso
di curare quelle brutte cicatrici
di essere, fin quando lo vorrai,
l’antidoto alla tua malinconia!
Per oggi, e per ogni altro domani,
consentimi di tenerti la mano.
Aiutami, ti prego
a perdermi nel tuo bel sogno
di libertà e amore.
Claudio Casadei
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Classe 1902Cara nonna, nonnina,
tu ci sei riuscita, a vivere con forza e coraggio
la tua splendida e durissima vita.Ho negli occhi, i tuoi splendidiocchi neri, i tuoi capelli sottilitinti castani, sempre a posto
con un colpo di pettine e due beccucci.Le tue parole, per insegnarmi come
cambiare e sistemare le lenzuola pulite.Tutta geometria e precisione.
Le tue mani, ad impastare passatellie fiocchetti, con impegno e dedizione.
Quando mungevi la mucca,non mi perdevi di vista neppure
per un istante, mai mettersi dietro le zampe!!Vicino al camino, con le braccia
immerse fino al gomitoa lavorare quel latte, che piano pianosi trasformava in un piccolo formaggio
che in soffitta portavi a stagionare.Ma le preghiere della sera,
che prima di dormire mi recitavi riuscivano a farmi sognare.
Mi hai insegnato a ringraziare il Signorenella buona e nella cattiva sorte.
Un giorno recitasti il Pascolicome una canzone, restai come rapita
quella “cavallina storna era li, nella stalla, e riusciva a comprendersi con la madre e riconoscere nellesue parole il nome dell’uomo che
aveva visto uccidere il marito, e al pronunciar del nome, lacavallina annui, nitrendo”.
Tu nonnina cara, ci sei riuscitaad essere giusta, vera, e importantenella vita della tua grande famiglia
hai insegnato tanto, tutto.Grazie infinite per la tua esistenza,anche quando il Signore ha volutodonarti l’immobilità della malattia
Lui sapeva che eri così forte,e la dignità della vita ti ha dato
un onore grande.Proprio come eri tu, nonna Esterina.
Un amore di donna, un amore di nonna.
Tua nipote: Patrizia Cesari.
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L’ultimo respiro
Pareva scritto nel tuo dnae così, come una rondine alle prime raffiche di vento
te ne sei volata via, in silenziosenza dire più una parola
portando con te i tuoi sogni i tuoi segreti ed anchele tante cose non dette
che forse avresti voluto direForse la vita non ti è bastata a dire veramente tutto di te, a fidarti di chi avevi vicino,
e sei andata, una prima voltapensando che non servissero
parole o spiegazioni per recidere legami diventati pesanti
e per ricominciare una vitapiù felice di quella lasciataO piuttosto non sapevi
trovare le parole, temevi di ferire di più, o non volevi
guardare dentro te stessaperchè la risposta, quella vera
ce l’avevi dentro, e solo nel silenzio,quando le parole ti sono mancate avresti voluto aprirti, ma l’hai fatto
con lo sguardo ormai spentoNelle lunghe e solitarie notti
in cui ti ho vegliato avrei voluto dirti qualcosa
per rivivere ricordi, emozioniche ti provocassero un sussulto
ma mi è mancato il coraggioperchè forse avrebbero riaperto ferite
che il tempo che ti era datonon avrebbe permesso di rimarginare
Mi sono limitato a starti vicinoa pregare per te, in silenzioad ascoltare il tuo respiro,
a volte dolce a volte affannosoa scrutare un qualche segno
in quei tuoi occhi assenti, lontani che di tanto in tanto riaprivi,
certo però che avresti regalato a me il tuo ultimo alito di vita
Beppe Grilli
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A te…
Ti ho incontrata, per caso, come fosse uno dei tanti incontri che quotidianamente scandiscono la vita di ognu-
no di noi. Ti ho guardata, con quello sguardo che avrei potuto dedicare a tante persone, senza che mi sfioras-
se il pensiero che quel breve e semplice approccio, potesse, di lì a poco, toccare e dare un senso nuovo alla
mia esistenza. Ho avvertito la tua dolcezza invadere il mio animo, la tua discreta, ma sincera presenza come
un arcobaleno che colora il cielo dopo il temporale. Come una brezza, dolce e delicata hai rinfrescato la mia
vita, dissipando le nuvole di delusione e d’incertezza che gravavano su di essa rendendola un po’ opaca, l’hai
man mano ridisegnata, indicandomi il cammino e guidandomi con la tua vicinanza. Guardando te, ascoltando
le tue parole, osservando i tuoi gesti, mi è venuto facile porre a confronto la tua limpida immagine con quel-
la stereotipata della donna dei nostri tempi. Soggetto, nel suo ruolo primario di fonte naturale della vita, ma
purtroppo anche oggetto, spesso banalizzato, di ammirazione e di desiderio. Complice a volte di amori che
spesso nascondono solo egoismo, gelosia e possessività che della donna sminuiscono la funzione familiare
e sociale, rendendola troppo spesso vittima di violenze fisiche e psicologiche, di soprusi e discriminazioni.
In te, ammiro un’altra specie di donna. Quella che ha rispetto di sé ed esige il rispetto degli altri, ma che sa
accompagnare, che sa silenziosamente manovrare gli scambi dei binari della vita di chi ha la fortuna di starle
accanto, a cui apre gli occhi di fronte alle false illusioni, aiutandolo a tenere la barra del timone della vita sulla
rotta giusta. Ed è per questo che oggi mi sento di dirti, con tutto il cuore: Benvenuta nella mia vita!
Beppe Grilli
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“La tua voce”
Fuga gioiosa di note
la tua voce
sempre fresca
limpido rivo di monte
e a volte cascata sonora
che il sole frange
nella felicità di mille colori.
Anche ora che sei in luce trasformata,
se chiudo gli occhi
posso sentirla....
e così scordare il tempo
chi sono dove sono
Tu dove sei??
lo so, ma la domanda rimane...
e intanto le mie braccia
s’abbracciano al tuo cuore
come a chiudervi una gioia.
Tra cielo e terra
la tua voce
una musica.
Bettina Della Maggiore
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“Incontrandoti un giorno”
Tu hai parlato per prima
e subito intimità è stata fra noi.
Come se le nostre mani
stringendosi
ritrovassero un bene perduto
come riprendessimo un discorso interrotto.
Tu hai parlato per prima
ed è stato come sentir eco ai miei pensieri.
Amiche noi fin dall’infanzia
dai cuori inquieti
ci siamo riabbracciate
e al tempo dei sogni tornate.
Ed il riso
come allora
è esploso giocondo.
Bettina Della Maggiore
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“Lasciatemi la poesia”
Non toglietemi la poesia
il ritmo del verso
la gioia di dare quel che ho dentro
come librato sulle nuvole
intatta
come la luce serena all’alba..
Questo è un duro giorno da vivere
ed io vorrei andarmene
essere aria, fuoco, luce
essere tutto
e niente.
La sofferenza segna il mio volto,
incenerito
e mentre mi spengo
una ultima,vitale domanda:
sono mai esistita veramente?
Lasciatemi la poesia
perché io veda l’azzurro
anche se il cielo è grigio
e mi scuote vento di tempesta.
Bettina Della Maggiore
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“SE UN GIORNO MI FOSSE DATO” (a mio figlio)
Se un giorno mi fosse dato da tornare nel tempo, vorrei quello in cui mi accorsi di essere “piena” di te, e con
fede ringraziare per questo dono.
Sentire il sole farsi più caldo, tutto intorno a me più vivo e brillante, e la vita donatami, oltre l’orizzonte, farsi
piena di promesse.
“SE UN GIORNO MI FOSSE DATO” (a mia madre)
Se un giorno mi fosse dato da tornare nel tempo, vorrei quello del nostro primo incontro, mamma, quando
mi posarono tra le tue braccia. Ogni preoccupazione, tua e di papà, svanire come onde sulla sabbia, per
abbracciare emozioni da tempo dimenticate.
Ed i nostri occhi incontrarsi oltre quell’orizzonte pieno di promesse... in un mare di amore!
Bettina Della Maggiore
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SEZIONE SPECIALEriservato agli ospiti delle case circondariali
di Ravenna e di Forlì
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Attestato di merito speciale 1° classificato per la sezione poesie, dell’iniziativa “Scrivile” riservato agli ospiti delle case circondariali di Ravenna e Forlì al titolo
“il sole a Quadretti” autore: D. M.
Il sole a quadretti
Cerco i raggi del solenon per scaldarmi le ossa
ma per ritrovare il calore che mi manca
inutile
vedere il sole a quadrettimi da solo la consapevolezza
del luogo in cui mi trovo.Accenno un sorriso, un po’ appannato,
penso
un giorno, non lontano,gli stessi raggi
mi torneranno a riscaldare
D.M.
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Attestato di merito speciale 1° classificato per la sezione lettere, dell’iniziativa “Scrivile” riservato agli ospiti delle case circondariali di Ravenna e Forlì al titolo
“A te Barbara” autore: B. L.
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Attestato di merito speciale 1° classificato per la sezione racconto breve, dell’iniziativa “Scrivile” riservato agli ospiti delle case circondariali di Ravenna e Forlì
al titolo “lo sento ancora con me: è vicino” autore: S. A.
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SEZIONE riservata agli ospiti delle case circondariali di Forlì - sezione femminile1° classificato dell’iniziativa “Scrivile” l’elaborato corrispondente ad D. M. dal titolo
“Il sole a quadretti”
Il sole a quadretti
Cerco i raggi del solenon per scaldarmi le ossa
ma per ritrovare il calore che mi manca
inutile
vedere il sole a quadrettimi da solo la consapevolezza
del luogo in cui mi trovo.Accenno un sorriso, un po’ appannato,
penso
un giorno, non lontano,gli stessi raggi
mi torneranno a riscaldare
D.M.
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SEZIONE riservata agli ospiti della casa circondariale di Forlì - sezione femminile2° classificato dell’iniziativa “Scrivile” l’elaborato corrispondente ad A. B.
dal titolo “Donna “
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SEZIONE riservata agli ospiti delle case circondariali di Forlì- sezione femminile3° classificato dell’iniziativa “Scrivile” l’elaborato corrispondente B. L. dal titolo
“a te, Barbara”
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SEZIONE riservato agli ospiti delle case circondariali di Forlì - sezione maschile1° classificato dell’iniziativa “Scrivile” l’elaborato corrispondente a D. I. K. dal titolo
“Se provassi a chiudere gli occhi”
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SEZIONE riservato agli ospiti delle case circondariali di Forlì - sezione maschile2° classificato dell’iniziativa “Scrivile” l’elaborato corrispondente a D. B. dal titolo
“fatto per il mio amore ”
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SEZIONE riservato agli ospiti delle case circondariali di Forlì - sezione maschile3° classificato dell’iniziativa “Scrivile” l’elaborato corrispondente a S. A. dal titolo
“lo sento ancora con me è vicino ”
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SEZIONE riservata agli ospiti delle case circondariali di Ravenna1° classificato dell’iniziativa “Scrivile” l’elaborato corrispondente a F. L. dal titolo
“a te..”
A Te
Donna... moglie, madre, figlia, sorella, nonna, zia...
Penso che nella vita esiste una canzone per ogni momento.
Una luce... in una notte qualunque in carcere...la mia anima.
Nel rumore del suo silenzio... il mio battito.
Donna, musica per te.
Aspettami là dove c’è sempre il sole.
Voglio riviverti.
Autore: F. L.
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SEZIONE riservata agli ospiti delle case circondariali di Ravenna1° classificato dell’iniziativa “Scrivile” l’elaborato corrispondente a
The quatar mura inside dal titolo “Juke box for woman ”
Juke box for woman
É un mondo difficile...
Silvia lo sai
Quello che le donne non dicono
L’ho letto in fondo agli occhi tuoi
Ho scelto te, una donna per amico
Tu che sei l’unica donna per me
Inguaribile romantica
Cenerentola innamorata
Indimenticabile
Senza una donna
Che giorno è, che vita è
Femmena
Resta con me
Se mi lasci non vale
Donna amante mia, donna poesia
Meravigliosa creatura
Sei il mio canto libero
il mio salto nel vuoto, il mio volo a metà
Oh Maria Salvador... te quiero mi amor...
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SEZIONE riservata agli ospiti delle case circondariali di Ravenna2° classificato dell’iniziativa “Scrivile” l’elaborato corrispondente a P. F.
dal titolo “Lei…”
Lei
Mai come ora,
dietro queste frustranti e castranti sbarre
ne ho sentito la mancanza.
Lei... mi ha coccolato, addormentato, cullato...
Lei... mi ha partorito, sfamato, ha aperto le porte del mondo per me.
Lei... mi ha amato, l’ho amata.
Mi è stata amica, complice, amante.
Lei... che fiorisce in disarmante bellezza per poi sfiorire in maestosa saggezza.
Semplicemente Lei... la donna!
Autore: P. F.
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SEZIONE riservata agli ospiti delle case circondariali di Ravenna3° classificato dell’iniziativa “Scrivile” l’elaborato corrispondente a K. R. dal titolo
“Stella“
Stella
Stella stellina, donna bambina, la notte si avvicina....
ti regalo un fiore, donalo al tuo cuore.
Donna desiderata, a volte trascurata,
ma la mia anima ti ha sempre amata.
Tu, dolce mio respiro, mio raggio di sole
ti ho causato troppo dolore...
Eppure tu hai dato un senso al mio cammino,
e sarai per sempre nel mio destino.....
Autore: K. R.
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SEZIONE SPECIALEriservato agli ospiti delle case circondariali
di Ravenna e di Forlìgli altri elaborati presentati
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Essere o non essere
Sto pensando al solito dilemma umano, inquest’ultimo periodo e così mi interrogo sulmistero della vita e della morte, mi chiedo
perché sia così insignificante il nostro tempo inconfronto all’eternità e se questa vita avrà unseguito in un’altra forma quando non saremo
più di questa terra... e allora vorrei che il nastrodel tempo si riavvolgesse. Vorrei poter rifare tutto eavere ancora la possibilità di fare quello che nonho mai fatto e che mi piacerebbe... vorrei avere
almeno un’altra vita e riparare agli erroricommessi... ma soprattutto vorrei avere
abbastanza fede per essere certa che ci sarà unseguito, che ritroverò i miei cari, che non finisca
tutto così. ?...
Il mondo
Penso a questo pazzo mondo, che si veste degliabiti dell’ipocrisia, dell’ ignoranza e delcinismo, … e questo mi graffia l’anima,lasciandola smarrita.... Cerco una luce
spesso in questa notte oscura ... e ciò che continua afarmi sentire viva, nonostante tutto è la certezza
che quella luce ci sia da qualche parte ....
Autore: B. L.
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Notte di luna piena
Una luna piena ci sorride dal cieloquesta notte, illuminando con i suoi
candidi raggi, il nero mantonotturno... così misteriosa e così
femminile questa luna... mi guardaammiccante, spiritosa esfuggente, mentre strane
ombre, danno vita ad espressioni inquel suo paffuto viso, tanto che
all’improvviso sembra parlarmi. ... Lesue parole sono la risposta ai miei
pensieri. … In questa notte di luna piena...
Re Barbone
Buonanotte a chi si è annoiato colfestival di Sanremo e a chi invece si è
divertito facendo altro.... Buonanotte a tuttiquelli che ancora non dormono, a chi si
perde in pensieri strani e a chisemplicemente ascolta il battere della
pioggia sul terreno.... E... Buonanotte ate... che sei lì come me ad aspettare il
domani, come se DOMANI CHISSÀ CHEDEVE SUCCEDERE... DI BELLO, DI
MIGLIORE... NATURALMENTE... MAH, ancora per un po’, finché non sarà
luce, chiunque può essereQUALCUNO... Ia notte non ci
Definisce... nella sua oscurità ci rende tuttiuguali... o quasi... Beh, forte la notte che
non fa distinzione tra un barbone e unre... fra te e fra me... e indistintamenteapre le porte dei suoi sogni più segreti.
Autore: B. L.
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Le mie donne
Donna, punto fermo di noi uomini,
tu che completi la nostra esistenza,
donandoci amore, dolcezza, tenerezza, complicità.
Una tua carezza mi fa tornare bambino.
Dio ti ha creato da una costola dell’uomo per esserne in simbiosi,
come madre dei suoi figli.
lo mi ritengo fortunato ad averne avuto sette:
Ida, la donna che mi ha partorito,
Emilia, la donna che mi ha cresciuto,
Rosalba, Gabriella e Maria, le sorelle che mi hanno coccolato,
Vittoria, la madre del mio amore che mi ha accolto come un figlio.
Ed infine Stefania, la Donna mia, mia stella, mio cuore.
A tutte le mie donne: grazie di esistere!!
Autore: C. L.
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Dedicato a te
Dedicato a te... amore mio
A te che al primo sguardo il respiro mi hai bloccato
A te che in quel momento il mio cuore hai rubato
Ed al settimo cielo mi hai mandato...
A te che con il primo bacio hai scatenato un mare in tempesta dentro me...
E ancora a te che sei diventata la mia perfetta metà...
Tu che mi hai regalato la gioia più grande che un uomo possa desiderare:
un bellissimo bambino, frutto del nostro grandissimo amore.
A te che mi hai donato un amore immenso
che non sempre ho saputo ricambiare...
soltanto ora mi rendo conto di quanto amore e bellezza avevo intorno.
A te che sei la mia metà, il mio amore grande,
la madre di mio figlio, la mia anima gemella,
a te amore della mia vita....
La donna che ho sempre sognato e desiderato
Ti amo principessa... così come sei.
Autore: l. E.
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Un pensiero per te...
Donna: Una parola piena d’amore, di gioia, d’intriganti pensieri.Per noi uomini il mondo intero non esisterebbe se non ruotasse intorno a te.
Autore: M. G.
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Cara amica,
Ti scrivo in questo giorno di festa a te dedicato pensando a quanto sia importante ed al tempo stesso diffi-
coltoso essere donna oggi, in questa società, nel bene e nel male, in continua evoluzione. Non è facile per
me trovare le parole per esprimerti la mia gratitudine per quel che sei, per quel che fai, per la forza d’animo
e per la determinazione che ti contraddistingue ogni giorno, in ogni occasione: in famiglia, al lavoro, nella
comunità in cui viviamo.
Avvicinandomi timidamente al tuo universo scopro un firmamento di sfavillante bellezza; tu semplice e com-
plessa, in tutte le tue sfaccettature, come un diamante purissimo, fragile e forte al tempo stesso.
Nei tuoi occhi il luccichio vivace di una bimba giocosa ed innocente, nel tuo sorriso sognante e passio-
nale la complicità e la dolcezza di una giovane sposa; nelle tue mani morbide e gentili le carezze amorevoli
e protettive di una madre affettuosa; nei tuoi capelli bianchi l’avvolgente saggezza di una nonna, compagna
di giochi, dispensatrice di coccole, favole e dolcetti.
A te donna, madre, sorella, figlia, amica, da qui lontano, intono una serenata d’altri tempi. Possano le sue
dolci e nostalgiche note giungere a te, come petali di fiori sospinti dal vento, per poterti cullare, accarezzare
e proteggere in ogni meravigliosa fase del tuo cammino.
Autori: The quatar mura inside
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