La contenzione del paziente con delirium Daria Bacchereti Pisa La contenzione risulta essere ancora oggi una pratica di frequente utilizzo, la sua attuazione contiene risvolti di aspetto medico‐legale,etico e deontologico. Lo scopo della relazione è di fornire informazioni giuridiche, etiche e deontologiche sulla contenzione e le modalità operative da attuare per effettuare una contenzione efficace e sicura per i pazienti e per gli operatori, concludendo con la proposta di metodi alternativi alla contenzione. Definendo la contenzione, le tipologie e le ricadute che queste hanno sul paziente, si vuole rafforzare il concetto, ampiamente presente in letteratura, che essa sia evento straordinario, come definito nel Codice Deontologico degli Infermieri. La normativa vigente tace in tema di contenzione, ma molti sono i reati in cui può incorrere l'operatore che la pratica.
La consulenza infermieristica diabetologia Cristiano Beltrami Firenze
Nella mia presentazione affronterò l’argomento della consulenza Infermieristica Diabetologica come momento di continuità assistenziale fra il reparto e il Servizio di Diabetologia. Nella relazione verranno affrontati i seguenti argomenti: Il ruolo dell'infermiere esperto in diabetologia come consulente alla luce dei principali riferimenti
normativi Gli obbiettivi della Consulenza Infermieristica Diabetologica, con il relativo percorso. L'importanza dell'educazione alla corretta somministrazione della terapia insulinica e
dell'automonitoraggio glicemico, per una dimissione in sicurezza del paziente che dovrà iniziare a gestire la propria malattia; con successiva valutazione presso l'ambulatorio infermieristico diabetologico
Inquadramento clinico del paziente con delirium Alberto Fortini e Giuseppe Tavernese U.O. Medicina Interna Ospedale Serristori – Figline Valdarno (Firenze) Il delirium (stato confusionale acuto) è una sindrome psico‐organica caratterizzata da una transitoria e fluttuante alterazione dello stato di coscienza, ad esordio acuto o subacuto, con ripercussioni sullo stato cognitivo e percettivo. Tale sindrome è di comune osservazione nei pazienti anziani ricoverati in reparto medico ed è necessario che il personale medico‐infermieristico ne conosca accuratamente le caratteristiche per poter prestare l’adeguata attenzione agli aspetti preventivi, diagnostici e terapeutici. Aspetti fisiopatologici: si ritiene che il delirio sia legato ad un complesso disordine generalizzato del metabolismo cerebrale, anche se i precisi meccanismi non sono pienamente compresi. Ruolo fondamentale sembrano rivestire disfunzioni dei sistemi che regolano l’attività dei principali neuro‐trasmettitori. Tra questi soprattutto l’Acetilcolina (riduzione dell’attività colinergica) e la Dopamina (aumento dell’attività dopaminergica). Anche GABA e Serotonina sembrano essere coinvolti ed in situazioni di stress può giocare un ruolo rilevante l’ipercortisolismo. Caratteristiche Cliniche: di norma il delirium insorge in maniera acuta, ma in alcuni casi nelle ore o giorni precedenti possono essere rilevati, con un esame attento, disturbi sfumati quali irritabilità, ipersensibilità a stimoli uditivi o visivi, sonno interrotto, incubi, una certa difficoltà a concentrarsi, ansia o depressione. I sintomi clinici caratteristici del delirium acuto comprendono la compromissione della capacità di attenzione, i disturbi cognitivi con disorganizzazione del pensiero, dell’orientamento e del linguaggio (discorsi incoerenti, flusso illogico di idee) ed alterazione psicomotorie di tipo iperattivo e ipoattivo. Tutte queste manifestazioni sono tipicamente fluttuanti nel corso della giornata, con intervalli di lucidità e periodi di accentuazione della sintomatologia. Possono essere presenti disturbi della percezione: allucinazioni, errate identificazioni, idee deliranti e distorsioni delle dimensioni di oggetti (macro‐micropsia). I disturbi psicomotori sono variabili: in alcuni pazienti è presente uno stato di iperattività associato talvolta ad aggressività (delirium ipercinetico) altri manifestano rallentamento ideomotorio e letargia (delirium ipocinetico); la prima forma risulta di più immediata diagnosi, mentre la seconda, che viene descritta come la più frequente, può più spesso passare inosservata. Non infrequentemente il paziente può alternare le due manifestazioni (delirium misto). Possono associarsi disturbi neurovegetativi: sudorazione, tachicardia, ipertensione, tremori, midriasi, che comunque sono più spesso la spia di alterazioni organiche sottostanti, quali per esempio infezioni, ipossia o disidratazione. Il delirium si definisce prevalente quando è già presente al momento del ricovero in reparto, incidente quando si realizza durante il periodo di degenza. In molti casi il delirium si sovrappone ad una condizione di demenza preesistente, dalla quale può essere distinto tenendo conto dell’esordio di tipo acuto e delle rapide fluttuazioni dei disturbi (minuti o ore). Nella
diagnostica differenziale, è necessario tenere in considerazione psicosi preesistenti che possono manifestarsi con sintomatologia analoga la delirium (allucinazioni, idee deliranti etc.) Aspetti epidemiologici: I dati riportati in letteratura sull’incidenza e la prevalenza del delirium nei reparti ospedalieri sono ampiamente variabili e dipendono dalla popolazione studiata e dal tipo di reparto esaminato. Recenti linee guida inglesi (NICE 2010) indicano una prevalenza nei reparti medici ospedalieri di circa il 20‐30%, un’incidenza nei reparti chirugici del 10‐50% e una prevalenza in reparti di lungodegenza al di sotto del 20%. Altri studi confermano la rilevanza del problema delirium nei reparti di medicina per acuti: esso risulta presente nel 10‐30% dei soggetti anziani ed è associato ad un maggior numero di complicanze, ad un prolungamento della degenza, ad un minor recupero funzionale alla dimissione e ad aumentati costi e mortalità. Nel nostro reparto di medicina per acuti, uno studio osservazionale medico‐infermieristico durato 30 giorni ha rilevato episodi di delirium nel 12,1% dei pazienti con età > 65 anni, con prevalenza nel sesso maschile (16,4% vs 8,4%). Il gruppo dei pazienti con episodi di delirium presentava un'età media più elevata, un maggior grado di decadimento cognitivo e un maggior numero di comorbilità. Inoltre questi pazienti avevano un numero più elevato di giornate di degenza. Diagnosi: la diagnosi del delirium può essere semplice nei casi conclamati, soprattutto nella forma ipercinetica, mentre può risultare difficile nelle forme sub‐acute ed in quelle ipocinetiche. Elementi chiave per la diagnosi sono la formazione specifica sull’argomento del personale medico‐infermieristico ed un elevato livello di attenzione al problema. In particolare, risulta importante l’attuazione di rilevazioni strutturate per cogliere i primi sintomi e segni del disturbo ed in questa attività risulta fondamentale il ruolo dell’infermiere, che è a più lungo contatto con il paziente e con i familiari. Esistono diversi criteri diagnostici proposti, ma tutti hanno come elementi comuni la rapidità di esordio, il decorso fluttuante con disturbi dell’attenzione e delle funzioni cognitive. Un altro aspetto importante, non solo dal punto di vista della diagnosi ma anche del trattamento, è la componente organica medica alla base del delirium, come indicato dai criteri del DSM‐IV‐TR (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) qui di seguito riportati: • Disturbo dello stato di coscienza (ridotta consapevolezza dell’ambiente) con ridotta capacità di fissare, mantenere espostare l’attenzione. • Alterazioni della sfera cognitiva (deficit di memoria, disorientamento temporo‐spaziale, disturbi del linguaggio) non giustificabili da una demenza preesistente o in evoluzione. • Il disturbo si manifesta in un periodo di tempo breve (di solito ore o giorni) ed ha un decorso fluttuante nel corso della giornata). • Evidenza dalla storia, dall’esame obiettivo o da altri accertamenti che il disturbo è una diretta conseguenza di una patologia medica in atto. Tra le varie metodologie proposte come strumento diagnostico, il più comune è il Metodo di Valutazione della Confusione (CAM, Fig. 1)), perché è rapido, dotato di buona sensibilità e specificità e non richiede di essere condotto da personale specializzato. Figura 1
Fattori Predisponenti e precipitanti: Come risulta dai dati epidemiologici e clinici il delirium insorge in soggetti “fragili”, in quanto vulnerabili a causa di condizioni predisponenti già presenti, quali l’età, le comorbilità, la preesistente demenza e l’uso di famaci. In questi soggetti una o più cause incidenti possono poi determinare la manifestazione clinica del delium, che quindi può essere considerato il risultato dell’interazione tra cause predisponenti (fattori di rischio ) e cause scatenanti (tabella 1). Quindi in un paziente “fragile”, con numerosi fattori di rischio, il fattore precipitante può essere anche apparentemente banale: un cambiamento di posto letto o un lieve rilazo febbrile. Tabella 1
Fattori di rischio predisponenti Cause scatenanti
Età avanzata Introduzione di nuovi farmaci, aggiustamenti posologici, sospensioni di farmaci
Sesso maschile Alterazioni elettrolitiche (es: ipercalcemia)
Demenza Disidratazione
Funzionalità compromessa Infezioni, febbre
Comorbilità Ipossia
Deficit sensoriali Dolore
Politerapia Mezzi di contenzione
Malnutrizione Deprivazione di sonno
Ritenzione urinaria, stasi fecale
Procedure chirugiche
La valutazione dei fattori predisponenti dovrebbe essere eseguita sistematicamente in tutti i pazienti anziani ricoverati in reparto, in modo da prestare particolare attenzione ai soggetti più “fragili” e prevenire
la comparsa del delirium. Una volta che il delirium sia stato rilevato, prima di intervenire con i comuni trattamenti farmacologici o almeno in contemporanea, è indispensabile ricercare attentamente le possibili cause scatenanti. A tal fine, oltre all’anamnesi (particolarmente utile un colloquio con i familiari) e all’esame obiettivo, posssono essere necessari esami di laboratorio (emocromo, funzionalità renale, elettroliti etc) ed adeguati accertamenti strumentali. Consierazioni conclusive: Il delirium è una manifestazione clinica di frequente riscontro nei reparti medici per acuti e la sua insorgenza ha rilevanti ricadute negative sulla prognosi del paziente, sul carico di lavoro assistenziale e globalmente sui costi socio‐sanitari. Gli studi eseguiti indicano chiaramente che il problema del delirium non deve essere affrontato con rassegnazione, inquadrandolo come fenomeno inevitabile in un paziente anziano sottoposto a ricovero ospedaliero. Al contrario, è necessario predisporre una sistematica valutazione delle cause predisponenti e delle cause scatenanti per attuare nella maniera migliore le adeguate misure preventive, diagnostiche e terapeutiche. A tal fine, risulta necessario sviluppare la formazione del personale medico‐infermieristico ed OSS, approntare adeguate procedure organizzative all’interno dei reparti e analizzare periodicamente i risultati ottenuti con riunioni interprofessionali di reparto.
La gestione infermieristica del paziente con delirium Stefania Francioni Arezzo Il delirio, nelle tre manifestazioni (iperattivo,ipoattivo e misto), è una reversibile ed acuta disfunzione cerebrale, con insorgenza da alcune ore ad alcuni giorni dall'ospedalizzazione, fluttuante nel tempo, che porta alla riduzione dei processi cognitivi, una diminuzione dell'attenzione e della consapevolezza sull'ambiente circostante associato a perdita della memoria a breve termine. La sua presenza determina ricadute assistenziali, incremento dei costi, della necessità di istituzionalizzazione, morbilità e mortalità. La conoscenza delle cause, delle manifestazioni, dei fattori di rischio (predisponenti e precipitanti), permette di prevenire e/o individuare precocemente i segni e i sintomi di delirio. Il delirio è un evento clinico frequente nel paziente critico anziano; tuttavia dalla letteratura medica ed infermieristica emerge che il delirio è frequentemente sottovalutato o addirittura misconosciuto.
Trattamento e prevenzione del Delirium Alessandro Morettini Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi ‐ Firenze Il Delirium rappresenta una condizioni comune nel paziente anziano ma frequentemente sottostimata. La prevalenza nei soggetti ospedalizzati varia tra il 11 e il 42% e, quindi, interessa circa un terzo di tutti gli anziani ospedalizzati. Questa sindrome psico‐organica, caratterizzata da una transitoria e fluttuante alterazione dello stato di coscienza, ad esordio acuto o subacuto, con ripercussioni sulla cognitività e sulle capacità percettive, solo in alcuni casi si sovrappone ad una preesistente condizione di demenza. In molti casi, invece, essa rappresenta l’unica modalità di esordio di una patologia organica nota o non precedentemente diagnosticata. Tra i fattori scatenanti e precipitanti riconosciamo, infatti, non solo molte frequenti patologie nella popolazione generale ma anche condizioni estremamente frequenti nel paziente anziano tra cui la disidratazione, le infezioni delle vie urinarie, alterazioni elettrolitiche o traumi conseguenti a cadute. Se osserviamo le frequenze sull’impiego di antipsicotici nell’anziano ospedalizzato è possibile osservare un incremento notevole del loro impiego concentrato soprattutto nella fase del ricovero. Questo utilizzo “incontrollato” della terapia farmacologica ha conseguenze prevedibili tra cui l’allungamento dei giorni di degenza, l’aumento dei costi e, soprattutto il minor recupero funzionale con persistenza di una condizioni di alterazione psico‐organica più o meno severa anche dopo la dimissione e tale da rendere difficoltosa la gestione domiciliare di questi pazienti e aumentare le richieste di accesso a reparti di lungo degenza e istituzionalizzazione. E’ chiaro, pertanto, come in questo particolare contesto, la terapia farmacologica, da sola, non sia in grado di intervenire sui meccanismi sottostanti la patologia ma solo di trattare e ridurre i sintomi, specialmente nelle forme di delirio ipercinetico e misto. Il delirio rappresenta, infatti, un chiaro esempio di patologia il cui trattamento richiede l’intervento di competenze e discipline differenti (Medico e Infermiere) ed in cui l’approccio preventivo prevale su quello del trattamento. La correzione delle cause individuate come fattori scatenanti o precipitanti rappresenta il primo gradino nella scala degli interventi preventivi o terapeutici necessari. La correzione pronta e precoce della causa organica spesso sottostante al delirio o potenziale trigger dello stesso è propedeutica a tutte le altre misure preventive del delirium. L’individuazione di farmaci di uso comune nel paziente anziano per il trattamento di patologie organiche preesistenti, specie se con particolare azione anticolinergica, è un secondo passo nella direzione della prevenzione o del trattamento del delirium. La competenza infermieristica diviene, specie in questo contesto, essenziale e insostituibile nella prevenzione nel trattamento del paziente con delirium ospedalizzato. La gestione e la prevenzione delle infezioni, la precoce individuazione di uno stato di disidratazione, il monitoraggio del dolore specie se cronico e la segnalazione del bisogno di una correzione della terapia antalgica, il controllo e la gestione delle vie urinarie e dell’alvo, le tecniche di mobilizzazione del paziente, la nutrizione sono solo alcuni dei punti essenziali nella prevenzione e nel trattamento del delirium. Sono necessari, infine, protocolli condivisi per la gestione dell’immobilità, del sonno, del deficit cognitivo, del deficit visivi e uditivi e della disidratazione.
Tutte le evidenze suggeriscono che prevenire il delirium è più facile che trattarlo. La prevenzione del delirium inizia dall’individuazione delle fragilità del paziente anziano e, di conseguenza, dalla loro correzione. Da queste considerazioni emerge che, allo stato attuale, oltre ad una sottostima della reale prevalenza del problema nei reparti di Medicina Interna, esiste anche una notevole variabilità dei metodi e delle modalità di approccio allo stato confusionale acuto. Il monitoraggio di questo stato, la valutazione del grado di severità del delirium mediante scale validate non sempre vengono messi in atto né, tantomeno, vi è una standardizzazione della loro rilevazione. L’intervento di un’equipe di figure professionali diverse tra cui la competenza infermieristica che resta un cardine essenziale nella prevenzione e nel trattamento, e, soprattutto la condivisione di protocolli di gestione potrà ovviare o, comunque, contrastare più efficacemente il problema con risultati positivi non solo in termini clinici ma anche di riduzione della degenza e dei costi correlati alle fasi del ricovero e dopo la dimissione del paziente.
Nuovi farmaci per la terapia del diabete: impatto sulla condotta terapeutica ospedaliera Giuseppe Seghieri UO Medicina 2, Spedali Riuniti, Az USL 3 Pistoia. I numerosi trial di intervento che si sono succeduti negli ultimi anni hanno da una parte confermato la necessità di uno stretto controllo metabolico al fine di ridurre il rischio delle complicanze micro e macrovascolari della malattia diabetica. Allo stesso tempo hanno però mostrato la necessità di evitare ipoglicemie a soprattutto di adattare le terapie al singolo paziente. Per tali motivi negli ultimi anni si è sentita la necessità di introdurre nuovi farmaci antidiabetici che avessero un migliore profilo efficacia‐effetti collaterali. Quindi da un periodo in cui vi erano solo insulina metformina e sulfaniluree, siamo arrivati ad un periodo in cui l’industria farmaceutica ha introdotto nuove molecole ed in particolare si appresta ad introdurne altre. Le molecole nuove introdotte sono gli analoghi del GLP‐1, e gli inibitori del metabolismo del GLP‐1 e GIP endogeni (inibitori dell’enzima DPP‐IV). Questi farmaci presentano aspetti di indubbio interesse ed attualità nel panorama della terapia farmacologia del diabete, in associazione alla metformina. Un aspetto interessante che riguarda questi farmaci è rappresentato dalla presenza di effetti pleiotropici a livello dell’apparato cardiovascolare che li rendono estremamente interssani e per certi aspetti innovativi soprattutto nel paziente diabetico. I nuovi farmaci, non ancora in commercio, che saranno presentati nel prossimo futuro, attualmente i fase 3, sono gli inbitori del cotrasporto del glucosio‐Na a livello dei tubuli renali: i glicosurici, che con la perdita di glucosio nelle urine sono responsabili di un effetto ipoglicemizzante. In pratica la glicosuria, che un tempo costituiva un effetto metabolico da evitare nei pazienti diabetici , diventerà un aspetto positivo e ricercato ai fini terapeutici. Mancano tuttavia ampie conoscenze sui reali benefici di questi nuovi farmaci e soprattutto degli ultimi. Comunque il concetto fondamentale è che essi devono essere usati all’inizio della malattia quando è necessario ottenere un compenso metabolico ottimale. Quanto questi farmaci, anche se presenti negli algoritmi di intervento proposti dalle differenti Società scientifiche possano essere di utilità per il medico internista ospedaliero è da valutare : certo è che il medico internista li deve conoscere e deve essere pronto ad usarli nell’ottica prima ricordata della personalizzazione della terapia antidiabetica.
Problematiche clinico‐assistenziali nel paziente con iperglicemia o diabete ricoverato in Medicina anche alla luce dei risultati dello studio Trialogue Federica Tesi Pistoia All’interno dei reparti di Medicina Interna degli ospedali italiani vi sono varie problematiche clinico‐assistenziali che sono dovute in prima istanza alla riduzione numerica del personale infermieristico e medico dovuto alla mancanza di risorse economiche. Tali professionisti sono quindi obbligati ad ottemperare un carico di compiti sempre maggiori a discapito della qualità clinico‐assistenziale offerta ai pazienti: è necessario sopperire a tali carenze con l’organizzazione efficiente e protocolli condivisi. In seconda istanza la crescente mole di dati e di informazioni “specialistiche”necessarie al bagaglio medico dell’internista rende indispensabile una formazione ed aggiornamento continui non sempre facili da perseguire. Il paziente diabetico è presente nei reparti di medicina interna con una prevalenza di circa il 20‐23% (diabete noto o iperglicemia di nuovo riscontro) ed è pertanto rilevante che vi sia una gestione corretta anche in ambito ospedaliero. Per ottenere una panoramica della gestione di tali pazienti è stato proposto a medici internisti operanti negli ospedali di tutto il territorio nazionale un questionario (Trialogue) sulla gestione del paziente con iperglicemia in reparti di medicina interna. Dall’analisi delle risposte ottenute emerge da parte dei medici italiani una certa “inerzia terapeutica” sia nel gestire l’iperglicemia nel paziente acuto che nel paziente critico. Dalle linee guida emerge la necessità di trattare l’iperglicemia (paziente diabetico noto o non) per migliorare la prognosi del paziente e che la terapia generalmente più adeguata in regime di ricovero ospedaliero è costituita dall’insulina secondo basal‐bolus nel paziente acuto o nel paziente critico dall’infusione ev con target glicemici compresi tra 140 e e 180 mg/dl. E’ necessario formare ed istruire il personale infermieristico per la gestione di un protocollo di infusione endovenosa di insulina convalidato e condiviso all’interno del proprio contesto assistenziale. Dal questionario emerge inoltre la tendenza, anche se in una percentuale non molto elevata ad eseguire glicemie capillari solo su ordine medico o solo prima dei pasti: le linee guida consigliano di effettuare almeno le glicemie preprandiali e prima di coricarsi, ma un profilo completo anche se non effettuato tutti i giorni permette di gestire meglio la terapia insulinica. Inoltre dal questionario viene evidenziare che la gestione dell’ipoglicemia in paziente vigile od incosciente non è gestita nella maggior parte dei casi intervistati , come invece dovrebbe, con protocolli condivisi (regola del 15 o infusione di glucosata al 33%) dall’infermiere di reparto che contemporaneamente avverte il medico di guardia. Infine vi è la necessità di organizzare tra reparto di medicina interna e diabetologi presenti in ospedale (qualora vi sia tale figura) percorsi di gestione del paziente diabetico finalizzati alla consegna ed educazione all’uso del materiale ed educazione alla pratica della terapia insulinica nonché alla presa in carico del paziente in dimissione.