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Page 1: Fulvio Frati PERIZIE E CONSULENZE IN PSICOLOGIA FORENSE: ASPETTI DEONTOLOGICIE METODOLOGICI

Fulvio Frati

PERIZIE E CONSULENZEIN PSICOLOGIA FORENSE:

ASPETTI DEONTOLOGICIE METODOLOGICI

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L’attività dello psicologo in ambito giuridico si esplica in almeno tre settori fondamentali di intervento:quello PENALE, quello CIVILE e quello MINORILE.Inoltre, essa può essere richiesta in particolari circostanze anche nell’ambito della giustizia AMMINISTRATIVA ed in quella ECCLESIASTICA:in tutti questi settori, pertanto, essa deve prestare particolare attenzione non solo agli aspetti TECNICI attraverso i quali si esprime, ma anche a quelli DEONTOLOGICI e METODOLOGICI che ne sono alla base.

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Sia nell’ambito della giustizia PENALE

che di quella CIVILE e di quella MINORILE,

sia nell’ambito della giustizia AMMINISTRATIVA

che di quella ECCLESIASTICA,

il ruolo professionale dello Psicologo

che viene chiamato ad operarvi professionalmente si configura,

essenzialmente, come quello di un

“ESPERTO”.Poiché, inoltre, i ruoli ricoperti dall’esperto Psicologo in ambito

giudiziario possono essere diversi (“Operatore dei Servizi Sociali”,

“Giudice onorario”, “Consulente”, “Perito” ecc.), nel presente

lavoro verranno presi in particolare in considerazione i

ruoli più frequentemente rivestiti nello specifico ambito

forense, vale a dire quelli del “Consulente” e del “Perito”.

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Le vigenti normative che regolano l’attività professionale

dell’esperto Psicologo in ambito giuridico si differenziano

infatti notevolmente, innanzi tutto, sulla base del fatto che

si tratti di attività esperita in sede PENALE o nell'ambito

CIVILE.

A quest’ultimo ambito vanno inoltre essenzialmente riferite, pur

con alcune differenziazioni specifiche, le normative riguardanti

l’attività dell’esperto Psicologo in sede di Giustizia

AMMINISTRATIVA e di Giustizia ECCLESIASTICA, mentre

particolarità assolutamente originali e complesse,

soprattutto dai punti di vista metodologico e

deontologico, assume l’attività professionale dell’esperto

Psicologo nell’ambito della Giustizia MINORILE.

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La DEONTOLOGIA che si applica all'esperto

che opera per la RICERCA DELLA VERITA’ E

DELLA GIUSTIZIA non varia, nei suoi principi di

fondo, sulla base del fatto che si tratti di un’indagine

esperita nell'ambito PENALE o in sede CIVILE.

Variano invece, anche sensibilmente, le norme che

regolano l'indagine stessa, dalla nomina

dell'esperto, al compimento delle attività, fino al

deposito della relazione scritta.

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La correttezza delle procedure e la coerenza metodologica e deontologica sono, peraltro, requisiti che fanno parte dell’accertamento della verità in qualunque ambito di ricerca. Inoltre, proprio per essere più garantiti nel percorso verso l’accertamento della verità, è necessario sapere bene che cosa si vuole accertare.

In altre parole, occorre sempre in primo luogo, da parte del tecnico esperto, definire con la maggiore esattezza possibile il campo della propria realtà peritale, in particolare ponendo particolare attenzione alla necessità dell’individuazione di una precisa risposta allo specifico quesito postogli dal Giudice così come quest’ultimo glie l’ha testualmente formulato.

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In Psicologia, occorre comunque tenerlo sempre ben presente, il termine “Verità” ha un significato radicalmente diversoda quello che usualmente presenta nel contesto giudiziario, in cui in genere esso è riferito unicamente,o comunque primariamente, alla Verità dei fatti oggettivi.

Il lavoro dello Psicologo in ambito forensenon può invece non tener conto, inevitabilmente, anche delle cosiddette “Verità soggettive”, e si rivolge pertanto maggiormente verso la ricerca, peraltro spesso assai complessa, di un eventuale possibile equilibrio tra le une e le altre.

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Le differenziazioni tra ambito penale

ed ambito civile

non devono quindi assolutamente interferire

con l'aspetto tecnico e scientifico dell'attività dell'esperto, ma in taluni casi ne possono sicuramente favorire oppure ostacolare il compito.

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E’ infatti importante che lo Psicologo che opera in ambito forense

possieda le “conoscenze” indispensabili per essere un buon tecnico.

Ma non meno importanti sono le “condizioni obiettive” necessarie

affinché il suo mandato possa essere espletato nel migliore dei modi:

egli deve perciò saperle riconoscere, valutare

ed eventualmente, se necessario, modificare.

E’ infatti diritto del cittadino ottenere una giusta sentenza che, per essere tale, può aver bisogno dell’apporto

di una perizia o di una consulenza che deve perciò risultare il più possibile inattaccabile sia sotto il profilo della correttezza del suo contenuto

(aspetti tecnici e formali) sia sotto quello, concretamente non meno importante,

della correttezza della sua modalità di esecuzione (aspetti metodologici e deontologici).

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Va innanzitutto ricordato al riguardo che

particolarmente vasto è l’elenco degli articoli di legge che regolano la materia della Perizia e della Consulenza Tecnica,

e che

l’esperto dovrebbe esserne a conoscenza in quanto essi costituiscono parte integrante del proprio lavoro.

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Innanzitutto bisogna quindi distinguere se l’attività dell’Esperto si svolge in ambito

penale oppure civile;

occorre poi evidenziare se ad affidare il mandato al Consulente è

un Giudice, oppure un altro Magistrato, oppure ancora un

privato cittadino.

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Nell'ambito penale, l'esperto incaricato dal Giudiceè indicato come

“perito”

e l'attività da questi svolta, racchiusa nelle pagine di una relazione, è indicata come

“perizia”.

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Nell'ambito civile, l'esperto incaricato dal Giudice è indicato come

“C.T.U.”, acronimo di

“Consulente Tecnico d‘Ufficio”,

e l'opera da questi svolta,

che, alla fine, si concretizza con la sua relazione,

è indicata come “C.T.U.”,

acronimo questa volta di “Consulenza Tecnica d‘Ufficio”.

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Il ricorso alla consulenza tecnica è reso necessario dalla "insufficienza del Giudice". La giurisprudenza, che qualifica la consulenza tecnica come mezzo istruttorio (Cass. 4 aprile 1989 n. 1620) e come strumento di valutazione di fatti già acquisiti altrimenti (Cass. 8 agosto 1989 n. 3647) – afferma inoltre che la consulenza può assurgere a fonte oggettiva di prova come strumento di accertamento e descrizione dei fatti oltre che della loro valutazione - (così ad es. la Cass. 10 aprile 1986 n. 2497, Cass. 24 marzo 1987 n. 2849).

L'articolo 220 C. P. P. prevede espressamente che la consulenza tecnica è ammessa quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni.

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Il Giudice, in ambito penale, nomina il Perito, con un’ordinanza che viene notificata. Successivamente alla notifica il perito nominato viene convocato in tribunale alla presenza degli avvocati di parte e viene informato relativamente all’intervento che gli è richiesto, rispetto al quale dovrà presentare la perizia entro un termine prestabilito che non può essere superiore ai 90 giorni.

Le parti hanno, a loro volta, la possibilità di nominare propri consulenti. Il consulente tecnico nominato dal Pubblico Ministero, in ambito penale, è definito Consulente Tecnico del Pubblico Ministero (C.T./P.M.).

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Analogamente, in ambito civile, Il Giudice nomina il C.T.U. con un’ordinanza che viene notificata attraverso un ufficiale Giudiziario. Successivamente alla notifica il C.T.U. nominato viene convocato in tribunale alla presenza degli avvocati di parte e viene informato relativamente all’intervento che gli è richiesto, rispetto al quale dovrà presentare la perizia entro un termine prestabilito che varia dai 60 ai 90 giorni.

Gli avvocati di parte hanno anche in questo caso, a loro volta, la possibilità di nominare ciascuno un Consulente Tecnico di Parte (C.T.P.).

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Ove l'esperto sia stato incaricato dai legali direttamente nominati da una delle parti (nell'ambito civile, dal procuratore delle parti, attore o convenuto; nell'ambito penale, dal difensore dell'imputato o da altra parte), egli sarà quindi sempre indicato, sia in ambito civile che penale, come “C.T.P.”, (ossia “Consulente Tecnico di Parte”), e “Consulenza” sarà a sua volta definita l'attività che egli avrà svolto e successivamente racchiuso nella sua relazione finale.

“Perizia” è invece un vocabolo specificatamente riferito alla relazione finale prodotta dall’esperto nominato, in ambito esclusivamente penale, dal Giudice: è quindi a tale figura di esperto che, propriamente, va riservata in ambito forense la definizione di “Perito”.

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Nell'ambito civile, se una delle parti intende valersi dell’opera di un esperto, deve chiedere al Giudice di attivare tale opportunità. Può anche essere il Giudice stesso a decidere autonomamente di avvalersi dell’opera di un esperto, sulla base di varie norme sia del codice di procedura civile sia delle sua disposizioni di attuazione. Il Giudice, se valuta di avvalersi di tale ausilio, dispone l'incarico e procede alla nomina del C.T.U. (art.191 C.P.C., affine all'articolo 221 C.P.P. che riguarda la nomina di un perito nell'ambito del processo penale).

Nell'ambito penale, a quest’ultimo riguardo , si fa invece riferimento a varie norme del Codice di Procedura Penale (artt. 133, 220-233, 392 lett.f, 468, 508 e 511) e delle disposizioni di attuazione del C.P.P. (artt. 70, 76, 114, 145).

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È indubbio che il perito d'ufficio o il C.T.U., sia nell’ambito penale che in quello civile, abbiano maggiori strumenti, per l'espletamento dell'incarico, che non i Consulenti Tecnici di Parte. Ad esempio, in ambito penale, il perito può non solo visionare, ma addirittura ritirare documenti che costituiscono corpo di reato, mentre il C.T.P. non può disporre di tali documenti se non alla presenza di un organo di controllo. Ciò in quanto il C.T.U. ed il Perito sono a tutti gli effetti “pubblici ufficiali”, con tutto quanto ne consegue dal punto di vista degli obblighi e dei poteri ad essi riferiti, mentre il ruolo ricoperto dal Consulente Tecnico di Parte non si uniforma invece a tale fattispecie. Da tale fatto, tuttavia, non conseguono per l’esperto Psicologo differenze sostanziali dal punto di vista deontologico, anche se rilevanti sono invece le differenze che si determinano dal punto di vista legale.

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La consulenza tecnica e la perizia, in sintesi, rappresentano alcune delle possibili fonti di convincimento del Giudice.

Sia nell'ambito civile che in quello penale il Giudice può quindi richiedere l'intervento di un esperto che, attraverso le sue specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche, consenta al Giudice medesimo di acquisire elementi idonei al raggiungimento della verità.

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Il Giudice, proprio per il ruolo che ricopre, è per antonomasia il “peritus peritorum”. Poiché però, a volte, le sue competenze tecniche non gli consentono di portare avanti una specifica indagine sul quesito da egli stesso formulato, è tenuto a nominare, per tale compito, un esperto. A volte si può giungere ad una corretta sentenza solo grazie ad una corretta consulenza tecnica, e pertanto il ruolo di esperto ausiliario del Giudice è molto importante: in molti casi la Consulenza Tecnica è determinante ai fini di una decisione. Il Consulente quindi, al pari del Giudice, deve possedere alcune caratteristiche personali come l’imparzialità, l’indipendenza e l’integrità.

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Il legislatore ha inteso riconoscere all’istituto della periziauna rilevante funzione nell'ambito del momento formativo della prova, tant'è che a tale istituto è stato completamente dedicato il Capo IV del Titolo II (“Mezzi di prova”) del Libro Terzo (“Prove”) del Codice di Procedura Penale.

Occorre tuttavia precisare che, come indicazione generale, al perito non è richiesta la ricerca della prova, ma solo la sua valutazione. Perciò anche al perito psicologo non deve essere richiesta, né lui deve cercare, la “prova oggettiva dei fatti”, perché il fine della perizia (come quello della C.T.U.) non è la ricerca della prova. Questo è il fine del processo penale e le perizie, semplicemente, concorrono a tale fine.

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Nell'ambito forense, in sintesi, la perizia e la C.T.U.

hanno una maggior valenza rispetto alla C.T.P.,

sia che quest’ultima si esplichi in ambito civile

oppure penale:

poiché in entrambi questi ultimi casi si tratta

sempre di relazioni prodotte da esperti di parte

che sono quindi assoggettati

a limiti che non vincolano, invece,

l'operato del perito incaricato da parte del Giudice.

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La nomina e l'attività proceduraledel perito Psicologosegue le medesime regole di qualsiasi altro esperto, in altri campi, del quale si avvale l'Autorità Giudiziaria per l'amministrazione della Giustizia.

Nell’ambito penale, è l'articolo 221 c.p.p. che regola la nomina del perito d'ufficio, il quale è prescelto fra gli iscritti in appositi albi o fra persone che abbiano una particolare competenza nella disciplina per la quale è richiesta la prestazione.

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Il professionista incaricato di prestare l'ufficio di perito

ha l‘ obbligo di accettare l'incarico,

salvo il caso che ravvisi uno dei motivi di

giustificata astensione.

Tali motivi, in ambito penale, sono elencati nell’art. 36 C.P.P., richiamato dal 3° c. art. 221 C.P.P. Inoltre, l’art. 222 C.P.P. prevede i casi di incapacità e incompatibilità (che, quindi, precludono ab origine non solo l’eventuale nomina, bensì la capacità stessa di un soggetto a prestare l’ufficio di perito).In ambito civile, invero, il Codice si limita ad una previsione più generica (cfr.: artt. 63 e 192 C.C.), ma, in ogni caso, eventuali situazioni particolari dovranno essere sottoposte al vaglio del Giudice e, per tal motivo, adeguatamente documentate (cfr.: art 192 C.C.).

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La scelta dell'esperto è comunque

autonomamente compiuta dal Giudice,

sicché, di fatto, l'esperto di sua fiducia

può essere egualmente nominato

anche se non iscritto all’albo, sia pure dovendo

preferire gli appartenenti a ruoli tecnici dello

Stato o enti pubblici (ad esempio, appartenenti

alla Polizia Scientifica). Tale scelta è preferibile,

ma non vincolante per il Giudice, che può

nominare chiunque sia in grado

di riscuotere la sua fiducia.

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L’esperto prescelto dovrebbe quindi essere iscritto, come norma generale, all'albo appartenente al distretto dell’ufficio competente; tuttavia, purché la nomina venga motivata, il Magistrato può scegliere un perito iscritto in altro albo, anche estero, oppure non iscritto in alcun albo. Egli, se la delicatezza o la complessità del caso lo richiede, può anche affidare l'incarico a più esperti, che formeranno così un un “collegio di periti” (o “ collegio peritale”). Il collegio peritale ha le medesime funzioni del perito incaricato singolarmente e, salvo il caso in cui vi sia disaccordo fra i suoi membri, verrà depositato un unico elaborato contenente le risposte ai quesiti rivolti dal giudice, risposte che saranno espresse unanimemente da tutti gli esperti costituenti il collegio medesimo.

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Solo al Giudice, quindi, compete di scegliere il proprio consulente ed alla coscienza di quest’ultimo di accettare incarichi compatibili con le proprie capacità.

Se non interviene istanza di ricusazione, ex articolo 223 c.p.p., 3° comma o ex art. 192 c.p.c., il provvedimento di nomina dell’esperto non è impugnabile. A questo proposito si segnala che non possono essere incaricati esperti che abbiano già svolto il proprio ufficio in procedimenti collegati o in altre fasi del processo.

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Il perito Psicologo, come d'altra parte qualsiasi esperto in altre discipline, all'atto del conferimento dell'incarico deve rappresentare al Giudice qualsiasi particolare esigenza in ordine all'attività che si appresta a svolgere. Nel caso si renda necessario un accertamento parallelo di un altro esperto, il perito segnalerà tale esigenza al Giudice che nominerà un perito nella disciplina richiesta e che risponderà autonomamente all'incarico affidatogli. Nei casi in cui il perito non esegua in modo corretto questa procedura potrebbe essere ritenuto negligente, al pari di chi non procede regolarmente al suo ufficio, ed essere quindi sollevato dall'incarico e soggetto a sanzione.

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Oggi si assiste infatti ad una “espansione delle complessità” e, conseguentemente, delle conoscenze necessarie, che

costringono il tecnico ad ampliare il proprio apprendimento per far fronte ad una realtà più articolata e mutevole alla quale non sempre egli riesce a far fronte con le sue competenze personali di base.

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Va pertanto ribadito e sottolineato, a questo punto, anche il carattere interdisciplinare delle competenze dell’esperto Psicologo, che deve sempre saper cogliere in primo luogo l’intrinseca difficoltà di delimitare il campo in cui si esplica la sua indagine.

Ogni fase della propria ricerca, anche quella che non è direttamente connessa alle proprie conoscenze psicologiche, è infatti costitutiva del processo di accertamento della verità, e in ogni momento è possibile l’errore che può portare fuori del giusto cammino.

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Fondamentale è quindi il dovere dell’esperto di esprimersi solo ed esclusivamente quando sia in possesso effettivamente delle capacità necessarie per l’espletamento dell’incarico affidatogli, in

quell’indissolubile binomio di “scienza e coscienza” che deve sempre caratterizzare l’opera da egli svolta.

Egli dovrà attingere a tutto il suo patrimonio del

sapere e non dovrà trascurare di chiedere al Giudice l’apporto di altri specialisti, laddove ne dovesse ravvisare la necessità.

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L’eventuale messa in campo di una molteplicità di approcci riguarda quindi anche l’esperto, oltre che il Giudice;

al Giudice, e questo aspetto della realtà peritale è molto importante, spettano in primo luogo la chiarezza, la precisione, la delimitazione dell’oggetto di indagine.

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Il lavoro svolto dal perito o dal C.T.U. dovrà infatti presentarsi di norma come completo ed inattaccabile sotto il profilo tecnico-scientifico.

Il compito dell’esperto nominato dal Giudice, cioè quello di produrre gli elementi necessari al Giudice per formulare il giudizio, è quindi nettamente definito, e non dovrà mai essere valicato.

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L’attività peritale si presenta quindi come strumento per ricercare la verità, utilizzato non direttamente dal Giudice, ma attraverso l’opera di una terza persona, la quale deve essere fornita di particolari cognizioni tecniche e scientifiche.

In tal modo, la consulenza tecnica si pone al di fuori delle parti ed assume così una funzione di garanzia.

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Il perito d’ufficio, in ragione di quanto da egli stesso

accertato, può determinare azioni giudiziarie che

andranno a ripercuotersi nella sfera dei diritti patrimoniali

e, soprattutto, personali di determinati soggetti, sotto i

profili civile e penale.

Il perito d’ufficio, quindi, deve rispondere ai limiti che gli

provengono sia da quanto sancito dalla legge, sia da forti

esigenze etico-morali, che si manifestano principalmente

nell’adesione a un “codice” deontologico inciso nella

coscienza non solo di ciascun professionista, ma anche di

ciascun uomo.

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Inoltre, occorre considerare la realtà peritale nel contesto in cui si svolge: il processo, sia civile, che penale.

Come scrive Tullio De Rose, comunque, sia la perizia che la C.T.U. si possono definire come “un insieme di operazioni tecniche compiute da persone particolarmente esperte che intervengono nella dinamica processuale con le modalità, le sfaccettature e gli effetti probatori previsti dai codici e dalle connesse disposizioni normative”, nell’interesse superiore e generale di contribuire a “far giustizia”.

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La vastità del campo che costituisce l’oggetto della realtà peritale, dunque, è un’ulteriore difficoltà che si aggiunge al problema; nello stesso tempo, è anche una ragione in più per cercare quel rigore metodologico e quella consapevolezza epistemologica che sono il fondamento della serietà professionale del consulente Psicologo.

Si può, più precisamente, parlare di "rigore epistemologico" proprio in relazione ad alcuni requisiti, uno dei quali è la definizione e delineazione dell’oggetto sul quale verte l’indagine peritale, che avviene con la formulazione del quesito da parte del Giudice.

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In sede di incarico, le parti potranno nominare propri Consulenti che avranno il compito di assistere a tutte le attività peritali che verranno svolte dal perito d'ufficio. Il perito d'ufficio ha l'obbligo di indicare il luogo e la data di inizio delle attività peritali e, in esito a ciascuna di esse, di comunicare la successiva data e il luogo nel quale le operazioni stesse dovranno proseguire.

L'attività di stesura della relazione scritta, ovviamente, non è considerata attività peritale alla quale abbiano diritto di partecipare i consulenti di parte. Il consulente di parte ex articolo 230 c.p.p. o ex art. 201 c.p.c., oltre ad avere la facoltà di assistere al conferimento dell'incarico ed a partecipare alle attività peritali, potrà anche avanzare richieste, proporre, motivandole, specifiche indagini e formulando osservazioni e riserve.

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Il perito d'ufficio, secondo il tipo di richiesta, potrà

a sua volta rivolgere domanda al Giudice

sull'opportunità o meno di aderire all'esigenza del

consulente di parte, che comunque può sempre

chiedere copia dei documenti oggetto di indagine

tecnica. Anche ad operazioni peritali concluse, il

consulente di parte può presentare istanza di

esaminare quanto già fatto oggetto dalla perizia,

fermo restando che, come sancito dal 4° comma

dell'articolo 230 c.p.p., la nomina e l'attività del

consulente di parte non possono rallentare la

perizia e le altre attività processuali.

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Fatta eccezione per l'incarico affidato nel corso del dibattimento, nel qual caso la risposta del perito può essere fornita oralmente, l'esperto incaricato dal Giudice depositerà, in esito alle operazioni svolte, una relazione scritta. Tale relazione dovrà ritenersi vincolata alla risposta da dare al quesito posto dal Giudice. Allorché il consulente di parte esprima giudizi che siano diversi da quelli del perito d'ufficio, il Giudice potrà ovviamente anche disattenderli, purché ne dia motivazione nella sentenza.

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L’elaborato scritto - diretto non tanto a Colleghi Psicologi, ma soprattutto al Giudice - dovrà utilizzare un linguaggio facilmente comprensibile anche a coloro che non dispongono delle conoscenze tecniche di cui mediamente dispone lo Psicologo professionista; in tal modo il Giudice, al quale non sono per legge richieste particolari conoscenze psicologiche, potrà correttamente valutarlo e quindi utilizzarlo al fine dell’elaborazione della propria sentenza.

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L'indagine peritale incontra di norma due importanti limiti: il primo attinente l'oggetto della stessa, il secondo la libertà e la discrezionalità del Giudice nel decidere.

Va infatti precisato che, sotto il primo profilo, è il 2° comma dell'articolo 220 c. p. p. a stabilire che non sono ammesse perizie per stabilire l'abitualità o la professionalità nel reato, la tendenza a delinquere, il carattere e la personalità dell'imputato e in genere le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche. In poche parole, in ambito penale vige di norma il divieto della consulenza tecnica psicologica (a meno che non si tratti di soggetti minori, nel qual caso essa è invece ammessa).

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Guglielmo Gulotta, Psicologo ed Avvocato di particolare fama nell’ambito della Psicologia Forense, parla dell’attività peritale come di una comunicazione nel corso della quale bisogna far comprendere ai non esperti "in modo coerentemente razionale, logico e dimostrativo, il perché di quel giudizio".

Risulta dunque chiaro l’obiettivo sia della Perizia che della Consulenza Tecnica psicologica: ciò che in esseè affermato deve possedere una chiara valenza dimostrativa, sostenuta dal rispetto di criteri epistemologici e metodologici tali da poter essere esplicitati. Va esclusa, in altri termini, ogni improvvisazione o casualità, e l’esperto dovrà sottoporre il proprio lavoro ad un rigore metodologico che giustifichi sempre le risultanze della propria indagine.

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Nel nostro Paese, un utilissimo strumento a disposizione degliPsicologi che esercitano la loro attività nell’ambito della PsicologiaGiuridica è costituito dalle cosiddette “LINEE GUIDADEONTOLOGICHE PER LO PSICOLOGO FORENSE”, approvatedal Consiglio Direttivo dell’Associazione Italiana di PsicologiaGiuridica a Roma il 17 gennaio 1999 e dall’Assembleadell’Associazione Italiana di Psicologia Giuridica a Torino il 15ottobre 1999.

Tali disposizioni non sono sostitutive del Codice Deontologicodegli Psicologi Italiani, in quanto ogni Psicologo è tenuto adosservare le norme in questo contenute indipendentemente daquale che sia la propria specializzazione professionale. Esseconsistono invece in “linee guida” cui attenersispecificatamente nell’esercizio dell’attività psicologica inambito forense, e contengono importanti indicazioni relativeall’attività dello Psicologo in ogni ambito giuridico, sia essorelativo alla Giustizia Penale sia a quelle Civile, Amministrativa,Ecclesiastica e Minorile. Vediamole pertanto ad una ad una.

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LINEE GUIDA DEONTOLOGICHE

PER LO PSICOLOGO FORENSE

Sono indicati i riferimenti al "Codice Deontologico degli Psicologi"(C.D.) , ed alla "Carta di Noto" (C.N.)

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ARTICOLO 1Lo psicologo forense è consapevoledella responsabilità che deriva dalfatto che nell’esercizio della suaprofessione può incideresignificativamente – attraverso ipropri giudizi espressi agli operatoriforensi ed alla magistratura – sullasalute, sul patrimonio e sulla libertàdegli altri. Pertanto, prestaparticolare attenzione alle peculiaritànormative, organizzative sociali epersonali del contesto giudiziario edinibisce l’uso non appropriato delleproprie opinioni e della propriaattività.

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ARTICOLO 2Lo psicologo forense non abusadella fiducia e della dipendenza degliutenti destinatari e delle sueprestazioni che a causa delprocesso sono particolarmentevulnerabili alla propria attività. Perquesto, lo psicologo si renderesponsabile dei propri attiprofessionali e delle loro prevedibilidirette conseguenze (cfr. art. 3 C.D.).

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ARTICOLO 3

Lo psicologo forense, vista laparticolare autorità del giudicato cuicontribuisce con la propriaprestazione, mantiene un livello dipreparazione professionale adeguato,aggiornandosi continuamente negliambiti in cui opera, in particolare perquanto riguarda contenuti dellapsicologia giuridica, segnatamentequella giudiziaria, e delle normegiuridiche rilevanti. Non accetta dioffrire prestazioni su argomenti inmateria in cui non sia preparato e siadopera affinché i quesiti gli sianoformulati in modo che egli possacorrettamente rispondere.

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ARTICOLO 4

Lo psicologo forense nei rapporti con i magistrati,gli avvocati e le parti mantiene la propria autonomiascientifica e professionale. Sia pure tenendo contoche norme giuridiche regolano il mandato ricevutodalla magistratura, dalle parti o dai loro legali nonconsente di essere ostacolato nella scelta di metodi,tecniche, strumenti psicologici, nonché nella loroutilizzazione (art. 6 C.D.).Nel rispondere al quesito peritale tiene presente cheil suo scopo è quello di fornire chiarificazioni algiudice senza assumersi responsabilità decisionaliné tendere alla conferma di opinioni preconcette.Egli non può e non deve considerarsi o essereconsiderato sostituto del giudice. Nelle sue relazioniorali e scritte evita di utilizzare un linguaggioeccessivamente o inutilmente specialistico. In essemantiene distinti i fatti che ha accertato dai giudiziprofessionali che ne ha ricavato.

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ARTICOLO 5Lo psicologo forense presentaall’avente diritto i risultati del suolavoro, rendendo esplicito il quadroteorico di riferimento e le tecnicheutilizzate (art. 1 C.N.), così dapermettere un’effettiva valutazione ecritica relativamenteall’interpretazione dei risultati. Egli,se è richiesto, discute con il giudice isuggerimenti indicati e le possibilimodalità attuative.

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ARTICOLO 6Nell’espletamento delle sue funzionilo psicologo forense utilizzametodologie scientificamenteaffidabili (art. 5 C.D.; art. 1 C.N.). Neiprocessi per la custodia dei figli latecnica peritale è improntata quantopiù possibile al rilevamento dielementi provenienti sia dai soggettistessi sia dall’osservazionedell’interazione dei soggetti tra diloro.

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ARTICOLO 7

Lo psicologo forense valuta attentamente il gradodi validità e di attendibilità di informazioni, dati efonti su cui basa le conclusioni raggiunte (art. 7C.D.; art. 1 C.N.). Rende espliciti i modelli teoricidi riferimento utilizzati (art. 1 C.N.) e,all’occorrenza, vaglia ed espone ipotesiinterpretative alternative (art. 5 C.N.) esplicitandoi limiti dei propri risultati (art. 7 C.D.). Evita altresìdi esprimere opinioni personali non suffragate davalutazioni scientifiche. Nei casi di abusointrafamiliare, qualora non possa valutarepsicologicamente tutti i membri del contestofamiliare (compreso il presunto abusante), devedenunciarne i limiti della propria indagine dandoatto dei motivi di tale incompletezza (art. 3 C.N.).

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ARTICOLO 8Lo psicologo forense esprimevalutazioni e giudizi professionalisolo se fondati sulla conoscenzaprofessionale diretta, ovvero sudocumentazione adeguata eattendibile. Nei procedimenti checoinvolgono un minore è daconsiderare deontologicamentescorretto esprimere un parere sulbambino senza averlo esaminato(art. 3/3 C.N.) (artt. 3/1, 3/2 C.N.).

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ARTICOLO 9Operando nell’ambito della giustiziapenale e civile altri professionistidelle scienze sociali e delcomportamento (quali criminologi,psichiatri, sociologi, assistenti sociali,pedagogisti e laureati ingiurisprudenza) lo psicologo siadopera per scoraggiare l’esercizioabusivo di attività strettamentepsicologiche svolte da chiunque nonrispetti i limiti delle propriecompetenze anche segnalandolo alconsiglio dell’Ordine (art. 8 C.D.).

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ARTICOLO 10Lo psicologo forense agisce sulla base del consenso informato daparte del cliente/utente. In caso di intervento individuale o digruppo, è tenuto ad informare nella fase iniziale circa le regole chegovernano tale intervento (art. 14 C.D.).

Qualora il mandato gli sia stato conferito da persona diversa dalsoggetto esaminato o trattato, per esempio da un magistrato, lopsicologo chiarisce al soggetto le caratteristiche del propriooperato. Lo psicologo forense è tenuto al segreto professionale(art. 11 C.D.) ma è altresì tenuto a comunicare al soggetto valutatoo trattato i limiti della segretezza qualora il mandante sia unmagistrato o egli adempia ad un dovere (per es. trattamentopsicoterapeutico in carcere) (art. 24 C.D.).

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ARTICOLO 11

Stante il contesto in cui opera, lopsicologo forense ha particolare curanel redigere e conservare appunti,note, scritti o registrazioni diqualsiasi genere sotto qualsiasiforma che riguardino il rapporto colsoggetto (art. 17 C.D.).Egli ricorre, ove possibile, allavideoregistrazione o, quantomeno,alla audioregistrazione delle attivitàsvolte consistenti nell’acquisizionedelle dichiarazioni o dellemanifestazioni di comportamenti.Tale materiale deve essere posto adisposizione delle parti e delmagistrato (art. 4 C.N.).

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ARTICOLO 12Lo psicologo che opera nel processo, proprio per la naturaconflittuale delle parti in esso, è particolarmente tenuto ad ispirare lapropria condotta al principio del rispetto e della lealtà (art. 33 C.D.).Nei rapporti con i colleghi, durante le operazioni peritali o comunquecollegiali, lo psicologo è tenuto a comportamento leale, mantenendola propria autonomia scientifica, culturale e professionale (art. 6/1C.D.) pur prendendo in considerazione interpretazioni diverse deidati (art. 7 C.D.; art. 5 C.N.) anche per il confronto con i consulenti diparte. Ove previsto dalla legge, concerta insieme ai colleghi tempi emetodi per il lavoro comune, manifesta con lealtà il proprio dissenso,critica, ove lo ritenga necessario, i giudizi elaborati degli altri colleghi,nel rispetto della loro dignità e fondandosi soltanto suargomentazioni di carattere scientifico e professionale evitandocritiche rivolte alla persona (art. 36 C.D.).

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ARTICOLO 13I consulenti di parte mantengono lapropria autonomia concettuale,emotiva e comportamentale rispettoal loro cliente. Il loro operatoconsiste nell’adoperarsi affinché iconsulenti di ufficio e il consulentedell’altra parte rispettino metodologiecorrette ed esprimano giudizi fondatiscientificamente.

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ARTICOLO 14

Lo psicologo forense rende espliciti alminore gli scopi del colloquio curando checiò non influenzi le risposte, tenendo contodella sua età e della sua capacità dicomprensione, evitando per quanto possibileche egli si attribuisca la responsabilità perciò che riguarda il procedimento e glieventuali sviluppi (art. 8. C.N.). Garantiscenella comunicazione col minore chel’incontro avvenga in tempi, modi e luoghi talida assicurare la serenità del minore e laspontaneità della comunicazione; evitando,in particolare, il ricorso a domandesuggestive o implicative che diano perscontata la sussistenza del fatto reatooggetto delle indagini (art. 6 C.N.).

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ARTICOLO 15I colloqui col minore tengono contoche egli è già sottoposto allo stressche ha causato la vertenzagiudiziaria. Nel caso di pluralità diesperti, è opportuno favorire laconcentrazione dei colloqui con ilminore in modo da minimizzare lostress che la ripetizione dei colloquipuò causare al bambino (art. 7C.N.).

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ARTICOLO 16

I ruoli dell’esperto nel procedimento penale e dello psicoterapeuta sonoincompatibili (art. 26 C.D.; art. 10 C.N.).L’alleanza terapeutica, che è la caratteristica relazionale che domina la realtàpsicoterapeutica, è incompatibile col distacco che il perito e il consulentetecnico devono mantenere nel processo. Per questo, chi ha o abbia avuto inpsicoterapia una delle parti del processo o un bambino di cui si tratta nelprocesso o un suo parente, o abbia altre implicazioni che potrebberocomprometterne l’obiettività (art. 26/2, art. 28/1 C.D.) si astiene dall’assumereruoli di carattere formale. Lo psicologo che esercita un ruolo peritale nonsvolge nel contempo nei confronti delle persone diagnosticate attività diversecome, per esempio, quelle di mediazione o di psicoterapia. Egli, con ilconsenso dell’avente diritto, potrà semmai, in quanto testimone, offrire il suocontributo agli accertamenti processuali (art. 12 C.D.). Durante il corso dellavalutazione processuale, lo psicologo forense non può accettare di incontrarecome cliente per una terapia nessuno di coloro che sono coinvolti nel processodi diagnosi giudiziaria (art. 10 C.N.).

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ARTICOLO 17

Nelle valutazioni riguardanti la custodia dei figli, lopsicologo forense valuta non solo il bambino, i genitori ei contributi che questi psicologicamente possono offrireai figli, ma anche il gruppo sociale e l’ambiente in cuieventualmente si troverebbe a vivere.Nel vagliare le preferenze del figlio, tenuto conto del suolivello di maturazione, particolare attenzione dovrebbeporsi circa le sincerità delle affermazioni e l’influenzaesercitata soprattutto dal genitore che lo ha in custodia.

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Una particolare attenzione, come si nota, deve sempre essere posta alle perizie ed alle consulenze che hanno come oggetto persone minorenni o comunque non in grado di decidere in modo autonomo: e questo sin dal primo momento del loro avvio, vale a dire quello dell’accettazione dell’incarico da parte dello Psicologo consulente.

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Al riguardo, va tenuto presente in modo particolare l’Articolo 31 del vigente Codice Deontologico degli Psicologi Italiani, che in proposito testualmente recita:

“Le prestazioni professionali a persone minorenni o interdette sono, generalmente, subordinate al consenso di chi esercita sulle medesime la potestà genitoriale o la tutela. Lo psicologo che, in assenza del consenso di cui al precedente comma, giudichi necessario l’intervento professionale nonché l’assoluta riservatezza dello stesso, è tenuto ad informare l’Autorità Tutoria dell’instaurarsi della relazione professionale. Sono fatti salvi i casi in cui tali prestazioni avvengano su ordine dell’autorità legalmente competente o in strutture legislativamente preposte”.

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L’ articolo 31 del Codice Deontologico, tuttavia, non appare completamente esaustivo rispetto ai quesiti riguardanti la presa a carico delle persone minorenni o comunque non in grado di decidere in modo autonomo. Ad esempio, restano aperte alcune domande come le seguenti:

1. Per effettuare una consulenza psicologica per valutare le condizioni psicologiche di un minore affidato ad un genitore (affido disgiunto esclusivo) è necessaria l'autorizzazione dell'altro genitore non affidatario?

2. Nel caso di richiesta di uno dei due genitori di un affido congiunto occorre l'autorizzazione di entrambi i genitori?

3. Nel caso in cui la consulenza venisse richiesta da uno dei due genitori prima della sentenza del Giudice per stabilire l'affido come bisogna comportarsi? Si può fare la consulenza senza l'autorizzazione dell'altro genitore?

4. Nel caso in cui un genitore affidatario non sia d'accordo rispetto alla consulenza, la si può fare comunque?

Eccetera eccetera eccetera……

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COME REGOLA GENERALE, PRIMA DI  SOTTOPORRE AD UNA CONSULENZA UN MINORE DA PARTE DI UNO PSICOLOGO/PSICOTERAPEUTA, occorre avere il consenso di TUTTI E DUE gli esercenti la potestà genitoriale,  anche nel caso di un "affido disgiunto esclusivo" e CON LA SOLA ECCEZIONE di una perizia o una C.T.U. per la quale l’Esperto Psicologo è stato nominato dal Giudice.  

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Una consulenza psicologica non è infatti da considerarsi in alcun modo come un’attività routinaria o priva di particolari implicazioni, ma è un atto professionale estremamente complesso e di particolare importanza e significatività per la vita interiore di chi ne è oggetto. Pertanto ESSA NECESSITA DI REGOLA DEL PREVENTIVO CONSENSO DI ENTRAMBI GLI ESERCENTI LA POTESTÀ GENITORIALE, anche nel caso di un  affido disgiunto esclusivo ad uno solo di essi: soltanto la decisione di un Giudice può costituire un'accettabile eccezione a tale norma.

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Tra l'altro, tale necessità di un accordo COMPLETO DI TUTTI E DUE I GENITORI non nasce solo da esigenze LEGALI o DEONTOLOGICHE, ma anche da esigenze squisitamente TECNICHE: NON APPARE INFATTI POSSIBILE FARSI UN'IDEA PRECISA DELLA REALTA' PSICHICA DI UN MINORE SE NON LO SI INQUADRA NEL SUO CONTESTO AFFETTIVO COMPLESSIVO, e se non vi è il consenso di entrambi i genitori non è poi di conseguenza possibile capire come stanno veramente le cose per quanto riguarda ambedue le singole situazioni dei due genitori. E' già di norma difficile capirlo adeguatamente quando entrambi i genitori forniscono al riguardo la massima disponibilità, se invece essa non c'è diventa praticamente impossibile capire come realmente stanno le cose.

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Nel caso di una C.T.P., infine, ognuno dei due genitori è ovviamente libero di scegliersi il proprio Consulente Psicologo, ma ognuno di questi Consulenti di Parte non può periziare direttamente il bambino:  IL MINORE LO INCONTRA SOLO IL C.T.U., e non i C.T.P., altrimenti tre esperti in una volta possono costituire PER IL BAMBINO UNA SITUAZIONE STRESSANTE, per non dire a volte anche TRAUMATICA.

Ovviamente i C.T.P. ed il C.T.U. si mettono poi d'accordo sugli aspetti specifici, caso per caso, nell'ambito di una  reciproca relazione professionale deontologicamente corretta: ma l'interesse del minore è, in questo caso, un "bene superiore" che va tutelato esponendo il bambino al numero minore di situazioni stressanti possibili.

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Analoghe considerazioni, infine, possono essere svolterelativamente al tema della “presa a carico” di un minoreda parte di uno psicologo o di uno psicoterapeuta insituazioni nelle quali non vi è accordo tra i due genitori, oquando addirittura vi è una separazione in corso o giàavvenuta. Infatti, in base al comma 2 dell'art. 316 delCodice Civile, "la potestà è esercitata di comuneaccordo da entrambi i genitori"; il comma 3 prevedepoi che " In caso di contrasto.... ciascuno deigenitori può ricorrere senza formalità al Giudice".

Tuttavia, in caso di separazione trovaapplicazione l'art. 155 comma 3 c.c., in base al quale"il coniuge cui sono affidati i figli, salva diversadisposizione del Giudice, ha l'esercizio esclusivodella potestà su di essi".

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La medesima norma prosegue inoltre prevedendo che:

1. “le decisioni di maggiore interesse per il figlio sono

adottate da entrambi i coniugi”;

e che:

2. “il coniuge cui i figli non siano affidati ha il diritto-

dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione e

può ricorrere al Giudice quando ritenga che siano state

assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse”.

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Pertanto, il genitore unico affidatario del minorenon può a mio avviso, anche nell’esercizio esclusivodella potestà genitoriale che la legge gli attribuisceespressamente (salvo diversa disposizione delGiudice), decidere autonomamente di far sottoporread una "presa a carico psicologica opsicoterapeutica" il proprio figlio minore,trattandosi appunto di una “decisione di maggiorinteresse” per il minore stesso. L’altro genitore,nell’esercizio del diritto (dovere) di vigilanza, potràquindi in tal caso rivolgersi al Giudice contestando lalegittimità della decisione stessa.

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Anche nel caso in cui il Giudice abbia stabilito l’affido congiunto - e

quindi il congiunto esercizio della potestà – occorrerà pertanto il

consenso di entrambi i genitori, salva ancora una volta la possibilità,

nel caso di disaccordo, di rivolgersi all’autorità giudiziaria.

La medesima soluzione varrà, a maggior ragione, nel caso in cui

manchi ancora una decisione del Tribunale circa l’affidamento

della prole (e quindi circa l’attribuzione della potestà): in tale

ipotesi si applicherà infatti la norma precedentemente citata, ossia l’art.

316 c.c., che appunto prevede che “la potestà è esercitata di

comune accordo da entrambi i genitori" e che "in caso di

contrasto.... ciascuno dei genitori può ricorrere senza formalità al

Giudice".

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Queste ultime considerazioni qui sopraespresse riflettono, sostanzialmente, l’aspettostrettamente legale della risposta al quesitoriguardante la possibilità di presa a caricopsicologica di un minore i cui genitori sonoseparati od in fase di separazione: ma anchein questo caso occorre tenere al riguardopresenti esigenze tecniche legate alla specificaprofessionalità degli Psicologi, per le quali nonappare realisticamente possibile gestirecorrettamente il processo di presa a caricoterapeutica di un minore se non lo siinquadra in modo compiuto nel suocontesto affettivo complessivo e,soprattutto, se ci si trova in presenza diforti ostacoli posti al riguardo dall'"ambiente" affettivo-relazionale in cui ilminore stesso è inserito.

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Per tale ragione, prima di procedere aduna presa a carico di un minore daparte di uno psicologo/psicoterapeuta,sarebbe sicuramente preferibile avereil consenso di TUTTI E DUE gliesercenti la potestà genitoriale,anche nel caso di un "affido disgiuntoesclusivo" e CON LA SOLAEVENTUALE ECCEZIONE di unaprestazione per la quale lopsicologo o lo psicoterapeuta èstato direttamente richiesto dalGiudice.

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La presa a carico psicologica di un soggetto minore è,infatti, uno degli atti professionali maggiormentecomplessi e significativi di tutta la gamma delle attivitàche può svolgere uno Psicologo: e, come tale, essanecessita - dal punto di vista del nostro CodiceDeontologico ed al di là di quanto esplicitamente previstodal Codice Civile - del preventivo consenso di entrambigli esercenti la potestà genitoriale, anche nel caso di unaffido disgiunto esclusivo ad uno solo di essi.

Pertanto, solo la decisione di un Giudice può costituire, dalpunto di vista deontologico, un'accettabile eccezione a talenorma: ma anch’essa non costituisce probabilmente, perquanto concerne gli aspetti più squisitamente metodologicie tecnici di tale questione, una risposta definitiva aimolteplici quesiti che essa pone.

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Anche in presenza della decisione di un Giudiceche affidi un minore al lavoro di tutela e disostegno di uno Psicologo, infatti, se non vi è ilconsenso di entrambi i genitori non è possibilecapire come stiano veramente le cose perquanto riguarda le singole situazioni dei duegenitori e del rapporto del minore con ciascunodi essi, né, soprattutto, gestire la situazioneadeguatamente e per un sufficiente periodo ditempo. E' già infatti difficile farlo adeguatamentequando entrambi i genitori forniscono al riguardo lamassima disponibilità: se invece essa viene amancare diventa ovviamente molto difficilesvolgere in modo adeguato il processo di presaa carico e di cura.

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Primario compito di uno Psicologo che si trovi a gestire una

situazione di questo tipo, pertanto, dovrà essere quello di

affiancare al diretto lavoro con il minore, ogni volta che ciò

sia possibile e con tutti i limiti che ogni singola situazione può

eventualmente presentare al riguardo, anche un’opera di

coinvolgimento e di sensibilizzazione di ciascuno dei due

genitori, sulla base del comune obiettivo di operare

congiuntamente al fine di garantire al minore stesso

le maggiori opportunità possibili di un

completo ed armonico sviluppo della propria

personalità individuale.

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BIBLIOGRAFIA

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