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A PROPOSITO DELLA TESI DOTTORALE DI ROBERTO FORNARA

A PROPOSITO DELLA TESI DOTTORALE DI ROBERTO FORNARA,OCD:

«L a v is io n e c o n t r a d d e t t a . L a d ia l e t t ic a f r a v is ib il it à eNON-VISIBILITÀ DIVINA NELLA BIBBIA EBRAICA»

V ir g il io P a s q u e t t o

Nella Collana “Analecta B iblica”, R om a 2004, voi. 155, è apparso uno studio, p resentato in antecedenza presso l'Univer­sità G regoriana com e Tesi di D ottorato in Teologia Biblica, che m erita, dato il suo non com une valore di m etodo e di con tenu ­to, un 'a ttenzione del tu tto speciale.

S celta del tem aNell’ Introduzione al p resente studio l'Autore, P. R oberto

F ornara, ocd, espone in questi term ini i motivi che lo hanno indotto a in trap rendere u na ricerca tan to im pegnativa e, nel suo insiem e, nuova:

«A nzitutto, m an ca - a tu tt'ogg i - u n a m on ografia c ritica che ra c ­colga i d a ti qu i espressi nella lo ro fenom enologia e li s tu d i p e r la lo ro rilevanza teologica. In secondo luogo, o cco rre r ieq u ilib ra re la trad iz io n a le im p ostaz ione rise rv a ta al fenom eno teo fan ico : i g ran d i s tu d i c ritic i su lle teo fan ie b ib liche, p rim o fra tu tti, il c las­sico lavoro di Jerem ías, "Theophanie. Die Geschichte einer altte- stam entlichen Gattung" (WMANT 10, N eukirchen-V luyn 1965), h an n o iso la to diversi e lem en ti p e r lo s tu d io di qu esto genere le t­te ra rio (il «venire» di Dio, gli sconvo lg im enti n a tu ra li, la p a ro la o la presenza), m a h an n o so rp ren d en tem en te tra sc u ra to di ap p ro ­fond ire lo s tu d io della m e ta fo ra visiva. I ten ta tiv i p iù pregevoli, in p roposito , sono m olto d a ta ti e parzia li. La d isse rtaz io n e (non p u b b lica ta ) di C.P. S ta to n dal tito lo "And Yahweh Appeared. . ." .A S tud y o f the M otifs o f 'Seeing G od’ a nd o f ‘G od’s Appearing' in Old Testament Narratives. A Thesis Presented in the Faculty o f Theolo­gy in the University o f Oxford (Oxford 1988), si p rop on eva - in

Teresianum 56 (2005/1) 285-303

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verità - di co lm are la lacuna, m a la su a o p e ra si rivela ap p ro ss i­m ativa, e si lim ita al tem a del "vedere” e dell' “apparire", senza cogliere la d ia le ttica fra i due poli del p rob lem a. La su a im p o sta ­z ione d iacron ica , ino ltre , è su p era ta , n o n o s tan te s ia p o ste rio re alla m essa in d iscussione dell’ipotesi d o cu m en ta ria .«La p resen te d isse rtaz ion e si p rop on e, du nq ue, di co lm are il vuoto. A nche p erch é l'am b ito della r ice rca n o n è la teo fan ia in q u an to tale, e i tes ti ana lizza ti n o n r ie n tra n o tu tti in q u esto gene­re le tte ra rio . M i sono occu pato della p ercez io ne visiva della divi­n ità quale m e ta fo ra p e r l’esperien za u m a n a di Dio. Il cam p o poi è s ta to u lte rio rm en te ris tre tto , lim itan do lo a lla ten s io n e che si viene a creare, nella B ibb ia ebraica , tra l’a ffe rm az ion e e la n eg a ­zione di ta le percezione. D’a ltra p arte , la selezione p rev ia dei testi b iblici di rife rim en to è avvenu ta id en tificand o i lessem i del cam po sem an tico del "vedere”, s tu d ian d o q u in d i di vo lta in volta in p rosp e ttiva s in cro n ica acco rg im en ti lessicali, s in ta ttic i, s im ­bolici e narra tiv i, che po tesse ro co n trad d ire o lim ita re l’a ffe rm a­zione della percez ione visiva» (pp. 10-11).

Per la verità, queste appena riporta te non sono le uniche ragioni che hanno spinto l’A. ad affrontare il tem a in questio­ne. Come risu lta da diverse annotazioni avanzate nel corso del­la stesura dell'opera, al di là delle afferm azioni esplicite em er­ge tu tta u n a serie di appunti che d im ostrano com e a guidare la ricerca biblica stia il convincim ento già espresso, senza m ezzi term ini, da W. B rueggem ann nella sua pregevolissim a e stim o­lante “Theology o f thè Old Testament. Testimony, Dispute, Advo- cacy" (by Augsburg Fortress, M im neapolis 1997; trad . it. p res­so Editrice Q ueriniana, Brescia, 2002), che il m essaggio vero, autentico dell’ Antico Testam ento non lo si può capire, se non si tiene conto del fatto che gli autori sacri parlano dell'incontro del popolo d 'Israele con Dio nel contesto di un 'esperienza di fede dove esistono, sì, asserzioni categoriche sulla n a tu ra e sul- l’agire di Dio, m a solo se si guardano dal pun to di vista divino, m entre se si guardano partendo dalle diverse situazioni in cui il popolo o singoli m em bri di questo popolo si trovano, p erdo ­no, in parte, il loro carattere di assolutezza e nascono così d ich iaraz ion i o confessioni che, senza annu llare le prim e, m ostrano com e all’uom o risulti difficile, per non dire, alm eno talvolta, im possibile, riconoscere, di fatto, ciò che Dio p rocla­m a di essere.

E tu tto questo accade, perché l’uom o non è in grado,

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appun to perché uom o, di controllare di persona la veridicità di ciò che Dio è o fa. Il suo è perciò un "vedere” e, insiem e, un “non vedere” o, se si preferisce, un vedere solo in parte e, non di rado, anche un vedere che, se non poggia sulla fede, tende a scorgere in Dio a ttrib u ti persino contrari agli a ttribu ti che egli afferm a di possedere.

Quello che il F ornara dice a proposito dei m otivi isp irato ri del suo lavoro vanno dunque oltre i lim iti p ropostisi a livello di indagine legata stre ttam ente al conseguim ento del tito lo acca­dem ico e apre u n discorso di p iù am pio respiro.

Il discorso cioè che coinvolge l'in tero insegnam ento vete­ro testam en tario sulla recezione di Dio da parte dell'uom o, in quanto m ostra com e questa recezione sia, in ogni caso, lim ita­ta, condizionata, annebbiata, to rm en ta ta e, com unque, sem pre "in tensione” verso qualcosa che resta, inevitabilm ente, ancora da recepire.

D ivisione e con tenu to dell'operaO sservata dal pun to di vista redazionale, l’opera del F o rn a­

ra si divide in tre grandi parti s tre ttam ente connesse fra loro e aventi p er rispettivo titolo: Fenom enologia generale della p er­cezione visiva del divino, Il fenom eno della percezione visiva nel suo dinam ism o, Analisi esegetico-teologica di testi fondan­ti.

Nella P arte dedicata alla fenomenologia generale della per­cezione visiva del divino, «si stud iano sopra ttu tto le p artico la ri­tà lessicografiche che contribuiscono ad afferm are, a negare o a lim itare la visione del divino» (p. 11).

Per o ttenere ciò, il F ornara svolge, in tre differenti capitoli, u n ’a tten ta analisi dei principali term ini riguardan ti testi dove si parla, rispettivam ente, di un “vedere Dio” in senso positivo 0ca p .l), di u n "non vedere Dio" (cap.2) e di un “vedere Dio in senso non pieno, non com pleto” (cap.3).

Per quanto concerne i term in i relativi al "vedere Dio” in senso positivo, l'A. prende anzitu tto in esam e le m olteplici d ichiarazioni bibliche che hanno d irettam ente a che fare con l’organo p roprio del vedere, cioè l’occhio, e con le diverse situazioni in cui gli occhi si vengono a trovare nell’a tto del vedere, tipo ‘alzare gli occhi’, avere 'occhi aperti', vedere con 'i

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propri occhi', u sare gli occhi in quan to ‘soggetto’ del vedere, vedere ‘occhio nell’occhio'. Passa quindi a stud iare i principali verbi im piegati dal testo sacro per segnalare il vedere Dio da parte dell’uom o e le differenti m odalità in cui esso si realizza.

Effettivam ente, lo studio portato dall'A. nei confronti di queste m odalità indica che esiste, a seconda dei casi, anche un “vedere Dio” notevolm ente diversificato, p e r cui si passa da un vederlo generico a u n vederlo originato dall’esperienza e rad i­cato nell’esperienza; da un vederlo faccia a faccia, apertam en­te e senza enigm i a un vederlo tram ite la m ed ian ità dell' "Ange­lo del S ignore”, delle nubi, delle tenebre, del fuoco, del sogno o di determ inate m anifestazioni teofaniche; dal vederlo e con­tem plarlo davanti a sé a un vederne e contem plarne la gloria, il volto, il Nome, l’im m agine, la figura; dal vederselo passare accanto o di fronte a un po ter guardarlo, fissarlo, osservarlo, prestargli attenzione, ud irne la voce, ascoltarlo; da u n vederlo proprio del sem plice credente a un vederlo riservato esclusiva- m ente a chi è scelto da lui, a ttraverso u n a vocazione del tu tto speciale, a fare il Profeta; da un vederlo con il m ero incontro di occhi a un vederlo che induce a desiderarne la presenza e, spesso, quando si usa soprattu tto la particella “ecco ...” accom ­pagnata da percezioni di carattere visivo, a un vederlo che im plica, sia da parte di Dio sia da parte dell'uom o, u n coinvol­gim ento interpersonale di grande intensità.

In ordine all’esam e dei passi concernenti il tem a del “non vedere Dio” (c.2), l’A. lo affronta seguendo u n a triplice d irezio­ne.

La p rim a di queste direzioni riguard a il “non vedere Dio" per il fatto che è Dio stesso a intervenire perché non lo si veda o, al lim ite, non lo si possa vedere, in quanto nasconde, copre o distoglie il p roprio volto, si assenta, è adirato, parla in segre­to, appartiene a uno spazio che trascende lo spazio um ano, 'pone le tenebre com e suo nascondiglio’ (Sai 18,12), proib isce di essere visto, si so ttrae allo sguardo di chi non ha il ctiore ben disposto e ord ina così che p rim a di vederlo l’uom o si purifichi, si converta.

La seconda direzione è legata al "non vedere Dio” da parte dell'uom o e ha per punto di riferim ento tu tta u na serie di p as­si vetero testam entari dove, attraverso u n 'accu ra ta analisi dei singoli lessem i studiati tan to a livello di lessico che nel loro testo e contesto, em erge con sufficiente chiarezza non solo l’ef­

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fettiva esistenza di questa “non- visibilità di Dio", m a anche la term inologia in trodo tta dall'autore sacro nel form ularla e ciò che la determ ina, la provoca o, add irittu ra , la legittim a.

C onsiderato in rapporto alla term inologia, il “non vedere Dio" può p rendere la form a di un distogliere lo sguardo da lui, oppure di un non guardarlo, di un sentirsi incapaci di indivi­duarlo nella sua p ropria identità, di un non cogliere l'aspetto del suo volto, di un ritenerlo assolutam ente irraggiungibile a livello di visibilità, in quanto appartiene a un m ondo del tu tto diverso e trascendente, secondo le parole dello stesso Dio rife­rite in Es 33,20: «L’uom o non può vederm i e vivere».

Degno di nota, ai fini di u na corretta le ttu ra di questo genere di lessico relativo alla “non-visibilità di Dio”, è anche quanto precisa l’A. a p. 111 : «Da un confronto tra afferm azione e negazione della visibilità divina, sorprende l’asso lu ta inferio­rità quan titativa e qualitativa della seconda».

Questo significa che nel dipanarsi, spesso convulso e inde­cifrabile, della storia Dio è personalm ente im pegnato a svelar­si all’uom o, a rivelarsi a lui p er quello che è e p er quello che fa, in m odo da portare a com pim ento, senza riserve e ostacoli, il suo p iano di salvezza coinvolgente l’in tera um anità.

La terza direzione seguita dall'A. ru o ta a tto rno ai m otivi soggiacenti alla "non-visibilità di Dio” e alle num erose cause, d irette o indirette, che la determ inano.

L’uom o non vede o non può vedere Dio perché è incu ran te della sua Legge o dedito al culto idolatrico; perché la rivelazio­ne divina appare incom prensibile o ciò che si dice di vedere, sopra ttu tto nel contesto dei profeti d ’Israele, è fru tto di fan ta ­sia, non garan tito da una vera esperienza del divino, o m enzo­gnero, o ingannevole, o ispirato al soddisfacim ento dei p ropri m eschini interessi.

Di queste m otivazioni la p iù significativa e ricca di m es­saggi resta, com unque, l’ido latria . Ha dunque ragione il For- n ara a riservare ad essa u n breve excursus sul suo rappo rto con la "non- visibilità divina” e ad approfondirne il senso alla luce del triplice asserto: "la non-visibilità favorisce l’idolatria; la non-visibilità genera il rifiu to dell'idolatria; l’ido latria genera non-visibilità” (pp. 111-115).

Il favorire l'idolatria da parte della non-visibilità è dovuto al fatto che "il credere in un Dio invisibile o la difficoltà a p e r­cepirne la presenza può condurre a un atteggiam ento ido latri­

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co, com e traspare dall'episodio del vitello d 'oro (Es 32,1-23), in cui la scelta del popolo di adorare un idolo nasce dalla p ro lu n ­gata assenza di Mosè e dalla non-visibilità del Dio d’Israele” (p. 112).

L’afferm azione che la non-visibilità genera il rifiu to del­l'idolatria la si spiega, per contro, in base al principio che “il Dio d’Israele rim ane assolutam ente Altro, non assim ilabile né rappresentab ile m ediante alcun oggetto creato" (p. 112).

Per il senso da a ttribu ire all'ultim o asserto, quello rig u ar­dante l'idolatria com e generatrice di non-visibilità, l'A. lo ind i­vidua all’in terno e tra le logiche conseguenze del concetto, più volte ribadito nella Bibbia, che l’idolatra, appunto perché ido­la tra e, dunque, privo di fede, si m ette au tom aticam ente nella im possib ilità di vedere Dio, di scorgerne la vera n a tu ra e stab i­lire con lui un intim o rapporto di com unione (pp. 113-114).

Per ciò che si riferisce all'esam e dei testi sul "vedere Dio in senso non pieno, non com pleto” (cap. 3), l'A lo im posta e svol­ge, tra ttandosi di un argom ento di cui tra tte rà diffusam ente anche in seguito, dal m om ento che costituisce l’oggetto d iretto dell'intero lavoro, in form a m eno analitica che nei due prece­denti capitoli. Si lim ita infatti, p iù che ad analizzare, a creare delle suggestioni, a porre esempi, a tracciare piste e a m ostrare com e, effettivam ente, “ la d inam ica della rivelazione di Dio a Israele è, al tem po stesso, storia che rivela m a anche storia di velam ento” (p. 140), cioè storia in cui Dio si fa vedere e non vedere, vedere non sino in fondo o vedere con tan ti vuoti, interrogativi, m isteri ancora avvolti nell'om bra e, forse, m ai passibili di soluzione.

Fatte queste prem esse, il m ateriale da lui stud ia to com ­prende alcuni esem pi particolarm ente efficaci per d im ostrare l'esistenza di u na percezione visiva da collocarsi tra afferm a­zione e negazione, tipo lo sforzo, da parte dei p ro tagonisti, di com prendere u n a determ inata visione, la necessità di spiega­zione nei riguard i di ciò che si è visto, il vedere in stato di pale­se debolezza fisica (com e duran te il sonno o in p reda a tu rb a ­m ento), il frequente uso della particella “com e..." seguita dal term ine di paragone e ind icante che tra l’oggetto della visione e questo term ine di paragone non c’è perfetta identità, la p re­senza delle form ule “qualcosa com e...” o "come l ’aspetto di l'im piego di m etafore, le diverse im plorazioni che escono dalla bocca dell’o rante israelita perché Dio non tenga nascosto il suo

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volto o lo riveli con m aggiore chiarezza, il rim ando al fu turo della p iena visione di ciò che sta a ttualm en te d inanzi allo sguardo, l’abbinam ento della visione con l'ascolto di parole o rd inate a chiarire parzialm ente il con tenu to della visione, la possibilità sem pre in agguato che non si riesca a vedere al p re­sente o in fu turo quello che si era in grado di vedere in passa­to, la sostituzione chiaram ente lim itativa del Dio invisibile con im m agini o figure visibili, e simili.

La Sezione o P arte che si occupa del fenom eno della perce­zione visiva nel suo dinam ism o intende p resen tare le diverse tappe di questo dinam ism o, partendo dal m om ento iniziale, proseguendo gradualm ente fino alla sua conclusione e dando uno sguardo approfondito anche sulle conseguenze p iù signifi­cative che ne derivano.

Una volta tracciato questo schem a di percorso, l’A. divide il tu tto in tre capitoli titolati, rispettivam ente, Soggetto e oggetto della percezione (cap. 4), La percezione in a tto (cap. 5), S tra te ­gie narrative e sim boliche al servizio della d ialettica (cap. 6).

Nel capitolo dedicato al soggetto e oggetto della percezione (cap. 4) si passano al setaccio, con il rigore e la m etodologia p ropri di u n ’esegesi di alto livello, le varie com ponenti che, in un m odo o nell’altro, determ inano e qualificano l’argom ento in questione.

In relazione al soggetto, il F ornara analizza così i tem i riguardan ti la singolarità e p luralità di detto soggetto, il suo stato di coscienza e la d istanza che in tercorre fra lui e l'oggetto percepito.

Q uanto alla “singolarità e p lu ra lità” dei soggetti, si rileva che la percezione visiva del divino da p arte del singolo prevale di g ran lunga su quella che ha p er destinatari due o p iù indivi­dui (392 casi contro 113) o l’intero popolo (173 casi), com e pure che sono relativam ente poche le circostanze in cui il destinatario coincide con le nazioni pagane (32 casi) o con un soggetto universale (30 casi).

Dall'indagine fa tta dall’A. risu lta ancora che "i testi con soggetto al singolare sono teologicam ente p iù densi e significa­tivi, in ordine al “vedere Dio”, di quelli con soggetto al p lurale, dove invece si tende alla genericità e allo stereotipo, tipo gli accenni alla colonna di ftimo, al sim bolism o igneo e al m otivo della 'g loria”' (p. 150). A ltrettanto rim archevole è la consta ta ­zione che m entre nei casi con soggetto al singolare il "non­

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vedere”, a prescindere da due o tre eccezioni ben c ircostanzia­te, è pressoché inesistente, nei casi con p ro tagon ista la p lu ra li­tà dei soggetti è il "non vedere” a o ttenere il predom inio . Se ne deduce quindi che la visibilità del divino è inversam ente p ro ­porzionale al num ero dei soggetti: m eno sono i soggetti, p iù ch iara e d istin ta si fa la visione di Dio. Se poi il soggetto è for­m ato da u na sola persona, la chiarezza della visione raggiunge, nei lim iti del possibile e del concesso, il m assim o della sua potenzialità.

Nei confronti dello "stato di coscienza” del soggetto della visione, l’A. osserva che, norm alm ente, il soggetto è consape­vole di ciò che si sta verificando, che tra lui e Dio si stabilisce un rapporto interpersonale intenso e sfociante, spesso, sia in scam bio di parole, in dialogo, sia in un ricordo che, oltre a rim an ere fortem ente im presso nell'an im o dell'in terlocutore um ano, porta quest’ultim o a rendersi to ta lm ente conto della strao rd inarie tà dell’evento anche quando la visione è te rm ina­ta. S’incontrano, ad ogni modo, anche casi in cui lo stato di coscienza del soggetto viene, alm eno in parte, a lterato , com e accade, ad esem pio, nei riguard i di chi vede m entre sogna, dorm e o è svenuto.

Per ciò che attiene, da ultim o, alla cosiddetta “d istanza del soggetto dall'oggetto percepito”, l'attenzione dell'A. si ferm a anzitu tto sul no tare che l’oggetto è tan to p iù visibile quanto p iù è vicino e che questa norm a la si applica anche nelle perce­zioni visive del divino offerte dalla Bibbia. Di qui si com prende bene perché il Dio che risiede in alto, in cielo, lon tano dall’u o ­m o, debba, p er farsi vedere bene, scendere dall'alto, lasciare in qualche m odo il cielo e avvicinarsi. Ciò non toglie, d’a ltra p a r­te, che i vari soggetti am m ettano, talvolta anche con la p au ra o la fuga, com e tra Dio e l'uom o esista una d istanza incolm abile, in quanto è p roprio del Dio d 'Israele essere, p er natu ra , im ­m ensam ente diverso dall’uom o e, dunque, essenzialm ente, costituzionalm ente lontano.

Le annotazioni fatte dall'A. a proposito dell’ oggetto della visione divina si m uovono, a livello di analisi, su differenti p ia ­ni, a seconda che l'oggetto sia costitu ito dalla stessa persona di Dio o dalle sue parti, quali il volto, le spalle, la m ano, il b rac ­cio, l’im m agine, o da esseri con com piti di m ediazione, tipo L’Angelo di Dio”, 1’”Angelo del S ignore”, l’uom o, i vari elem en­ti presenti in natu ra , com e il fuoco, il fulm ine, il fum o, la nube,

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la luce, o dagli a ttribu ti divini aventi p er pun to di riferim ento la gloria, la m aestà, la bellezza, o dai luoghi dove Dio si m an i­festa o dalle visioni e azioni sim boliche dei profeti o da quello che l’A. chiam a "oggetto inespresso”, cioè non nom inato , della visione.

Se si guardano invece avendo dinanzi i risu lta ti a cui esse conducono, tu tte queste annotazioni m ostrano, ind istin tam en­te, salvo qualche caso davvero insignificante, com e il “vedere Dio” non sia m ai un vedere perfetto, m a sem pre abb inato a qualcosa o a qualcuno che ne im pedisce la totale chiarezza. E questo avviene per diversi motivi, di cui alcuni sono espliciti, altri im pliciti o supposti.

Trattandosi, ad esem pio, della persona di Dio, della sua gloria, della sua m aestà e bellezza, i testi biblici tendono, inevi­tabilm ente, a esaltarne, lodarne, m agnificarne la s trao rd in a­rie tà e, di conseguenza, la non to tale visibilità' da parte dell'uo­mo. Una certa non-visibilità divina è però riscontrab ile anche nei casi in cui a generarla sono realtà non appartenenti d iretta- m ente alla sua persona o ai suoi a ttrib u ti o, p u r app artenend o ­vi, lim itano notevolm ente il suo pieno m anifestarsi. E il caso del volto, delle spalle, delle m ani, delle braccia e della figura o im m agine di Dio, tu tti elem enti che restringono e tag liano il tu tto di Dio, il tu tto della sua identità. Per quanto rig uarda poi, specificam ente, il vedere le spalle di Dio, la S crittu ra tende a rilevare che Dio fa vedere le spalle e non il volto p roprio perché non lo si può vedere p er quello che è realm ente.

Alla stessa conclusione portano gli esseri che servono da m ediatori e da segni diretti o indiretti della visione di Dio. S oprattu tto se si tiene conto di due dati che accom pagnano, quasi sem pre, l’esperienza visiva di Dio.

Il p rim o dato è costitu ito dalla situazione di forte em otivi­tà in cui si trova il veggente al m om ento del suo im patto con l’oggetto visto e, di conseguenza, dal non po ter vedere ciò che gli sta davanti con la nitidezza p ro pria di chi è in pieno posses­so delle sue facoltà. Il secondo, dal contesto di luce o di ten e­b ra in cui avviene, abitualm ente, l'incontro con l'oggetto.

Se c'è luce, essa è, per lo più, eccessivam ente splendente, abbagliante perché si possa vedere appieno e con chiarezza l’oggetto rappresen tato ; se, p e r contro, c’è tenebra, il n ascond i­m ento, alm eno parziale, dell'oggetto è la stessa n a tu ra delle cose a provocarlo.

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Il capitolo in cui l’A. studia, a ltre ttan to analiticam ente, la percezione visiva in atto, si p ropone di rip rendere e di app ro ­fondire il fenom eno di questa percezione, cogliendone il d ina­m ism o e "chiedendosi, in particolare - com ’egli stesso precisa - se sia possibile determ inare la visibilità divina all’inizio del processo percettivo, nel suo svolgersi e nella sua conclusione, senza peraltro trascurare gli effetti e le conseguenze che detta percezione può determ inare" (p. 197).

Così articolato, l’in tento che in questo capitolo l’A. si p ro ­pone di raggiungere potrebbe dare l’im pressione di un certo to rnare al già detto, al già scritto.

Che diversi concetti e riferim enti a contenuto esegetico siano ripetitivi non ci vuole m olto a riconoscerlo. Essi sono tu ttav ia arricchiti e com pletati in m odo tale da divenire un ' u lteriore preziosa conferm a del com e la visibilità di Dio sia u n ita costantem ente, anche quando la si esam ina o rien tandola sulla la d inam ica dell’intero processo, a u n a bu o n a dose di non-visibilità.

Da parte sua, il F ornara riesce a evidenziare con efficacia questa persistente tensione fra visibilità e non-visibilità so tto ­ponendo a u n ’ a tten ta verifica i principali dati appartenen ti alle tre suddette fasi che scandiscono il p rocedim ento d inam i­co della visione.

In rapporto alla p rim a fase, quella dell’iniziarsi del p roces­so, egli passa in esam e sia il m om ento della ricerca u m an a di Dio porta ta avanti nell’am bito del culto, nella preghiera perso­nale, nella consultazione degli oracoli, nella riflessione o per p u ra curiosità, sia il m om ento nel quale l’uom o si trova in p a r­tico lari situazioni di vita, quali il lavoro, il riposo, la presenza di notevoli difficoltà, lo stato di peccato e, al lim ite, anche situazioni di dissenso nei confronti di Dio, sia, da ultim o, il m om ento che indica com e non esista visione degna di questo nom e senza il previo intervento del Signore.

Nella fase riguardante lo snodarsi effettivo del processo (la seconda), l’A. conferm a la validità della sua tesi analizzando la percezione visiva del divino in rapporto al suo cara tte re di subitaneità o di com parsa inattesa, non prevista, al suo grado di chiarezza osservato nel contesto dei vari tem pi del giorno e della notte, alla p resenza della luce com e elem ento che fa, sì, vedere, m a anche ostacola la visibilità allorché è troppo forte o accecante, alla presenza delle lacrim e che annebbiano , in par-

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te, lo sguardo, alla du ra ta e alla re iterab ilità del fenom eno, com e pure a ciò che ne consegue o com e effetto im m ediato , tipo la paura, il m anten im ento della d istanza tra chi vede e ciò che si vede, il rifiu to di guardare, la gioia, lo stupore, la curio ­sità, la voglia di com prendere, il sentirsi indotti ad assum ere un atteggiam ento di adorazione e di rispetto , o com e effetto diluito nel tem po e avente il suo principale pun to di rife rim en­to nel cam bio sia del nom e che del p recedente stato di vita. Di poco rilievo e da considerare alla stregua di sem plici accenni sono invece le annotazioni poste dall'A. in ordine aH'ultima fase del processo percettivo, vale a dire alla fase che coincide con la sua conclusione. Le uniche segnalazioni di un certo peso riguardano il riconoscere solo a visione com piu ta la s tra ­o rd inarie tà di ciò che s'è visto e lo stato di p au ra o di gioia da essa lasciato nell’anim o del veggente.

Le considerazioni del F ornara a proposito delle strategie narrative e simboliche al servizio della dialettica, argom ento del sesto capitolo, hanno lo scopo di m ostrare com e la tensione fra il vedere e il non-vedere Dio em erge anche dallo studio app ro ­fondito di ta lune pecu liarità letterarie, im m aginative e sim bo­liche presenti nella redazione dei testi.

Quelle scelte e stud iate dall’A. si dividono in tre gruppi concernenti, rispettivam ente, l'analisi d inam ica, l’analisi n a r­rativa e l’analisi sim bolica. A questo aggiunge, m a com e sem ­plice no ta com plem entare, alcuni appunti sulla d ialettica p re ­sente nel dialogo tra i personaggi coinvolti nel fenom eno visi­vo, il paradosso com e riso rsa linguistica e la cosiddetta d ialet­tica “a cerchi concentrici".

Nell’analisi d inam ica si fa risaltare l’esistenza di u n vedere im perfetto o, com unque, d isturbato svolgendo u na pun tuale verifica sui casi in cui l’uom o talvolta vede e talvolta non vede (ad esem pio, d ’essere visto da Dio), oppure vede e percepisce in m odo indiretto , com presi i silenzi, oppure vede meglio o peggio a seconda che vede e non ode, ode e non vede, vede e ode insiem e.

N ell'analisi narra tiva la tensione fra vedere e non vedere è m essa invece in risalto dal fatto che il vedere è condizionato dall’estensione o restrizione del cam po visivo, dalla diversità percettiva tra chi raccon ta e chi dipende dal racconto , dalla lum inosità od oscurità dell’oggetto descritto, dal m uoversi o non m uoversi di quest’ultim o, ecc.

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Per quanto spetta all’analisi sim bolica del processo p ercet­tivo, gli elem enti di d isturbo rilevati dall'A. provengono, nel loro insiem e, da tu tto ciò che ha da che fare con il m ondo dei sim boli e delle m etafore, in specie con i sim boli e le m etafore già segnalati in altre occasioni com e dom inanti, cioè il fuoco, la nube, gli angeli e i num erosi an tropom orfism i riscontrab ili un po’ dovunque all'interno della Bibbia.

S tando all' intenzione dell’A., La Terza Parte, riservata all' a n a lis i esegetico -teo lo g ica d i te s ti fo n d a n t i , ha u n a duplice fina­lità: "evidenziare i testi che, p iù di altri, m ettono in rilievo il tem a della tesi e, insiem e, offrire esem pi concreti della d ialetti­ca nel loro contesto, attraverso saggi m ira ti”(p. 301).

A11"A. prem e pure aggiungere alcune anno tazion i sui crite ­ri che l'hanno guidato nella scelta dei testi e sulla m e to d o lo g ia seguita nell’analisi esegetico-teologica degli stessi.

Di qui, riguardo ai prim i scrive: «L'ampiezza del tem a ha reso necessaria una selezione dei testi: m i lim iterò ai testi del­la Torà. A questa delim itazione sono g iunto attraverso una serie di c rite ri convergen ti così fo rm ulab ili: ho an z itu tto ris tre tto l’analisi a contesti d irettam ente teofanici; - in u na valutazione qualitativa del m ateriale rinvenuto, i testi del Pen­tateuco m i sono sem brati fra i p iù in teressan ti p er il tem a tra t­tato; - u n ’u lteriore osservazione ha riguardato l’evoluzione del fenom eno teofan ico in rap p o rto alla s tru ttu ra del canone ebraico (da un m assim o a un m inim o di visibilità); - La com ­parazione fra i testi della Torà e quelli profetici e sapienziali m i ha convinto che i prim i, a differenza degli altri, sono p iù ra p ­presentativi della to ta lità dei fenom eni. Nei testi che analizze­rò, infatti, sono am piam ente presenti sia le partico la rità lessi­cografiche stud iate nella p rim a parte, sia le principali tecniche narrative, sia la varietà degli elem enti sim bolici in grado di r in ­viare alla divinità; - infine, in questa scelta mi ha guidato la coscienza del carattere fondante della Torà d'Israele nel pan o ­ram a del canone ebraico» (p. 301).

E riguardo alla seconda (la m etodologia usata): «La ricer­ca sarà perseguita attraverso u n 'accu ra ta esegesi dei testi nel loro d inam ism o intrinseco. Mi pongo così in u n a prospettiva sincronica , partendo dallo stadio finale del testo ispirato; - la partico larità di ogni pericope po rte rà inevitabilm ente a m odi­ficare leggerm ente il mio approccio ai testi, per un 'esigenza di fedeltà al testo stesso. Ho fissato tu ttav ia alcuni princip i m eto­

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A PROPOSITO DELLA TESI DOTTORALE DI ROBERTO FORNARA 297

dologici fondam entali, che intendo rispettare nel corso del­l’analisi; - (stando a detti principi,) il p rim o m om ento sarà costitu ito dalla delim itazione della pericope da stud iare, in base a criteri lessicografici, tem atici o di s tru ttu ra ; - all’in terno di ogni u n ità testuale, rin traccerò e valuterò la p resenza e la significatività del cam po sem antico del “vedere”; - l’operazio­ne esegetica fondam entale consisterà nel far em ergere i segna­li testuali che form ano i poli della tensione (sop rattu tto sinon i­m i e antonim i), stud iandone accuratam ente le correlazioni e la funzione in ordine al m ovim ento del testo, ritenendo che que­sto sia l’approccio m igliore per una corretta teologia b iblica svincolata dall'influsso di pregiudizi di carattere dogm atico; - di ogni sezione studierò brevem ente la m etafora o le m etafore predom inanti, non in m odo esaustivo, m a quanto basta p e r far em ergere l’im portanza della com ponente sim bolica al servizio della dialettica. La m etafora infatti è u na delle testim onianze p iù chiare della constatazione che la re to rica teologica d ’Israe­le è ‘evocativa e non descrittiva’; - senza trascu rare gli s tru ­m enti c ritic i neH 'in terp retazione del testo , l 'in te r te s tu a lità garan tirà , nei passi p iù discussi, la chiarezza e la luce che deri­va dal “leggere la B ibbia con la B ibbia”; - un 'a ttenzione neces­sariam ente som m aria alla storia dell’in terp retazione a iu terà poi a cogliere dagli effetti p rodo tti dal testo (wirkungs-geschi- chte) u n ’u lteriore ricchezza di senso del testo stesso. Esem pi di in terpretazione giudaica, patristica e m istica saranno citati per i tem i e i passi p iù rilevanti e, in genere, nelle conclusioni delle varie analisi, com e ap ertu ra a un supplem ento di ricerca» (pp. 302-303).

Ciò prem esso, il F ornara procede, in quattro diversi cap i­toli (il settim o, l’ottavo, il nono e il decim o) allo studio delle pericopi concernenti, rispettivam ente, "Le ‘no tti’ di A bram o e di G iacobbe” (Gn 15,1 -21 ;28,10-22;32,22-33), “Il fuoco che non consum a” (Es 3,1-6), "Il volto invisibile” (Es 19-24; 33-34; Dt 4,1-6,3;9,7-10,11), l’"Educarsi a vedere” (Nm 22,22-35).

Tradotti in term ini m eno criptati, questi titoli posti ai q ua t­tro capitoli in questione si riferiscono a eventi m olto im p ortan ­ti della storia dell' AT e, in un quadro più am pio , della storia della salvezza presa nel suo insieme: Le prom esse fatte ad A bram o da Dio nel contesto di un 'alleanza stipu lata tram ite un sacrificio di anim ali, il sogno di G iacobbe e la sua lo tta con Jahw e (capitolo settimo), L’incontro di Mosè con Dio ap p arso ­

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gli "in u na fiam m a di fuoco in m ezzo a u n roveto” (capitolo ottavo), La teofan ia del Sinai con l'annessa consegna del Deca­logo secondo la redazione del libro dell'Esodo e del D euterono­m io (capìtolo nono), Il racconto che h a per p ro tagon ista B ala­am e la sua asina (capitolo decimo). N on sono tu ttav ia gli even­ti in sé, com ’è stato notato , che l’A. esam ina e com m enta, m a il loro rapporto , pure esso già rilevato, con la tensione tra vedere e non vedere. Cosa che attraverso analisi m olto partico lareg­giate viene segnalata di continuo e riassunta , in m an iera di com pendio, al term ine di ogni capitolo.

Se u na paro la di aggiunta, in questo contesto, vale la pena avanzare è quella che riguarda il tem a del vedere contenuto nell'episodio o fiaba (denom inazione p referita dall’A.) dell’asi­na di B alaam (capitolo decimo). Dai vari elem enti em ersi nel­l'esam e risu lta infatti che il testo non solo conferm a l'esistenza della suddetta tensione, m a indica pure un certo cam m ino da percorrere per giungere, gradualm ente, al vedere.

A p. 432 il F ornara traccia, in sintesi, il m ovim ento di que­sto percorso con le parole: «Balaam (che non vede) percuote d ap p rim a l’asina p e r r ip o r ta r la su lla s trada; l 'a s in a però , vedendo l’angelo con la spada sulla pista, devia dalla strada verso i cam pi (v. 23). Allora Balaam (che ancora non vede) la percuote di nuovo, m entre l'asina, che vede p er la seconda vol­ta l'angelo sul sentiero, stringe il piede di B alaam contro il m uro eretto al lato del sentiero (v. 25). B alaam (che con tinua a non vedere) to rna dunque a percuotere l’asina che, vedendo per la terza volta l'angelo, si sdraia sotto B alaam (v. 27). A que­sto punto, interviene Yahweh. Egli scopre gli occhi a B alaam e Balaam , dopo essere riuscito a vedere pure lui sulla s trada l'an ­gelo con la spada, si p ro stra con la faccia a te rra (v. 31), ricono­sce il suo peccato e segue gli ordin i del Signore (w 34-35)».

E saurita , con il capitolo decimo, l’indagine sull'argom ento proprio della sua Tesi dottorale, il F orn ara com pendia il tu tto in u na Conclusione nella quale, dopo u na sintesi artico la ta dei risu lta ti raggiunti, aggiunge alcune considerazioni sul testo del libro di Giobbe (42,1-6) in cui questi d ich iara d’avere final­m ente veduto Dio con i suoi stessi occhi, per m ostrare com e Giobbe, so p ra ttu tto dopo essersi pen tito dell’atteggiam ento assunto fino allora (v. 6), inizi a vedere il S ignore in s tre tta coincidenza con il rifiu to del suo precedente m odo di vedere, troppo razionale, troppo logico, troppo legato alle certezze di

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u na sapienza esclusivam ente um ana, e finisca così p er rico rd a­re a ogni credente che riesce a vedere realm ente Dio soltanto chi si lascia illum inare da Lui, dalla sua luce, non dalla p ro ­pria.

In u n a parola, chi accetta di uscire dal “non vedere” del­l'uom o chiuso in se stesso e si apre, to talm ente, senza riserve, p u r nel travaglio di u n a ineludibile ricerca personale, alla "capacità visiva” dello Spirito.

ValutazioneIl p resente studio del F ornara sulla “d ialettica tra visibilità

e non-visibilità divina nella B ibbia ebraica" è, senza dubbio, uno studio di ottim o, eccellente livello.

A prescindere dalla ricchezza e dalla qualità del contenuto , em erse con evidenza nella sintesi che vi abbiam o o r o ra tra c ­ciato, questo giudizio vale anzitu tto e in m odo speciale p er la capacità, da parte dell'A., di saper un ire a un ' analisi esegetica estrem am ente rigorosa e, nei lim iti del lavoro, pressoché p er­fetta, u n procedere del discorso m olto bene articolato , chiaro, essenziale, senza sbavature e sem pre a ttinen te all’argom ento di base da lui propostosi.

A rendere ancora più m otivato questo apprezzam ento ci sta il supporto di u n apparato bibliografico che, o ltre a lasciar­si am m irare per l'enorm e quan tità di autori citati, offre spesso e, quasi, in sottofondo, una persisten te convalida della serietà di ciò che si asserisce nel corpo del testo. Ne risu lta così una esposizione che procede, senza accorgersene, a due livelli paralleli e, insiem e, convergenti: il livello espresso dalla red a ­zione stre ttam en te detta e il livello espresso da chi, p rim a di lui, ha affrontato gli stessi tem i proponendo nei loro confronti un proprio giudizio, u na p ropria valutazione.

Un altro pregio dell’opera del F ornara è costitu ito dalla tendenza a collegare e a sintonizzare, senza eccessivi sussulti o cam bi tem atic i, il m om en to esegetico dei tes ti b ib lic i al m om ento del loro contenuto sul p iano del messaggio, p e r cui le analisi sfociano spesso in qualcosa che im prim e frem iti di vita a ciò che, guardato in se stesso, genera solo freddi dati les­sicali e testuali. A m o’ di esempio, si possono fare, al riguardo, alcune citazioni.

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A p. 163s., dopo aver analizzato fin nei m inim i dettagli alcuni testi biblici concernenti il soggetto della percezione visi­va di Dio, 1’ A. raccoglie in u n ità i risu lta ti raggiunti con le parole: «L’esperienza di vedere Dio non com porta, general­m ente, l’a lterazione dello stato di coscienza; sem bra, anzi, coinvolgere la capacità reattiva del soggetto, la riflessione e la m em oria, la sua affettività e tu tto il suo m ondo interiore. I testi che riportano u n ’alterazione dello stato di coscienza sono poco num erosi e servono, per lo più, a relativizzare l’iniziativa u m a­na a vantaggio dell’agire divino. Nei testi teofanici p iù im por­tan ti poi un elem ento narrativo ricorren te è la tensione che si viene a creare in rapporto alla distanza: en tram bi gli in terlocu ­tori sentono fortem ente il desiderio di rid u rla il p iù possibile ma, nello stesso tem po, la afferm ano e la cercano in con tinu a­zione: Dio per autoproteggersi com e Dio e l'uom o p er p au ra che il vedere troppo da vicino Dio lo induca alla m orte ».

A p. 250, nel contesto e a conclusione di un esam e app ro ­fondito del lessico riguardante la d inam ica che soggiace alla percezione di Dio in atto , si legge, fra l’altro: «La visibilità divi­na non è in alcun m odo prodo tta dalla ricerca u m ana o da m ezzi capaci di alim entarla. Essa dipende esclusivam ente dal­la libera e g ra tu ita iniziativa di Dio. Yhwh non si può vedere, se Egli non sceglie liberam ente di m ostrarsi».

A p. 445, nell’esprim ere u n giudizio conclusivo sulla d ialet­tica fra vedere e non-vedere Dio presente negli eventi teofanici del Sinai tram and ati in duplice tradizione, dell' Esodo e del D euteronom io (pp. 371-445), l’A. osserva: «Nel paragrafo p re ­cedente ho già accennato a diversi pun ti di con tatto e, sop ra t­tu tto , a m olte differenze fondam entali tra la versione esodica e quella deuteronom ica in m erito alla visibilità divina. Ciò che conta, tuttavia, è scoprire com e tradizion i diverse, in vari m odi e con sfum ature particolari, abbiano creato tecniche narrative e percorsi tem atici in grado di p resentare con sufficiente ch ia­rezza la dialettica fra visibilità e non-visibilità divina. Cam bia il linguaggio e m utano gli accenti sull’uno o sull'altro aspetto della percezione di Dio, m a è fondam entale, sia nell’Esodo, sia nel D euteronom io, rispettare rigorosam ente il percorso della tensione tra la possib ilità di contem plare Dio e il suo rim anere rigorosam ente inaccessibile. Qui abbiam o invece analizzato i testi p iù im portan ti per la ricerca, e forse m ai com e in questi testi è apparso in m aniera stridente il con trasto tra i due poli

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della tensione: com e far coesistere Es 24,10 ("Essi videro il Dio d ’Israele...”) con Es 33,20 ("Tu non potrai vedere il m io vol­to...")'? O com e giudicare il fatto che Dt 4, so tto lineando fo rte­m ente le dim ensioni di non-visibilità nell’esperienza sinaitica, sia cara tterizzato da u n 'ap ertu ra largam ente positiva sulla dim ensione visiva? E ppure la testim onianza di questi testi fon­dan ti e fondam entali suona com e la m igliore conferm a all’ipo­tesi iniziale di lavoro: è a partire da questa tensione che Israele costruisce e p resenta la p ropria fede».

A p. 482, trasferendosi, nel contesto delle u ltim e riflessioni apposte al suo lavoro di D ottorato, dalla dialettica tra visibilità e non-visibilità asserita dalla B ibbia alla stessa d ialettica espe­rita, in m odo forte, dai m istici, il F orn ara annota: «Per il m isti­co, com e p er il credente del Prim o Testam ento, Dio non si rive­la superando il p roprio nascondim ento , m a precisam ente nel proprio nascondim ento. Il m istero di p resenza e di assenza, che tesse le fila della gioia e della sofferenza del quotid iano, costru isce nell’esistere del c reden te u n a tensione feconda, destinata non a elim inare uno dei due poli, m a a farli convive­re in u n a ricerca di senso. L'assenza stessa diviene, in questo cam m ino faticoso e costante, la radice del desiderio e della speranza, facendo scoprire al credente che anche la notte, l’esi­lio, la paura, la solitudine, la stessa m orte, possono divenire la soglia da cui accedere a u na nuova luce, a u n a nuova possib ili­tà di "vedere Dio"».

Un ultim o rilievo non m eno im portan te dei p recedenti lo suggerisce l’insiem e di quelle osservazioni che, andando oltre la lettera del testo scritto o accenni appena appena abbozzati, assum ono il ruolo di vere e proprie provocazioni o, com unque, di forte critica nei riguard i di un certo m odo di affron tare il tem a del vedere e non-vedere Dio a livello di esperienza di fede p roprio di ogni cristiano.

Anche il credere dei cristiani è, infatti, un vedere e non - vedere Dio. Cioè, un vederlo, m a non totalm ente. Un vederlo, m a con la b ram a e nella speranza di vederlo meglio. Un vederlo, m a nell’oscurità, nel buio, nella notte, nella penom bra, nel non ben definito. Un vederlo, m a m ai con la chiarezza desiderata né, tan to meno, con quel “faccia a faccia” che porrebbe l'an im a del credente in uno stato di assoluta tranquillità interiore.

O ra è proprio nell’am bito e nella d inam ica di questa espe­rienza cristiana che la presente opera del F ornara offre u n con ­tribu to di grande e stim olante attualità.

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M ostrando, attraverso accurate e ripetu te analisi, com e p er la B ibbia dell’AT sia norm ale ritenere che gli incontri visivi (di fede) con Dio da parte d 'Is ra e le o di qualche suo m em bro si svolgano sem pre, per loro stessa natu ra , in chiave di vedere e non-vedere nel senso suddetto, egli induce, con efficacia, il cristiano a uscire dall’idea che il credere sia u n accettare supi­nam ente e senza problem i di vista ciò che il Signore è, ciò che il Signore dice, ciò che il Signore fa.

Tutto questo appare, certo, chiaro. Ma solo agli occhi di Dio e in quella situazione che denom iniam o, com unem ente, stato di "visione beatifica”. Per il cristiano che vive sulla terra , o ltre a non po ter essere chiaro, diventa e può diventare, con frequenza, oscuro, non visibile, non com prensibile, ad d irittu ra non condividibile se lo si g iudica con p aram etri p uram en te um ani.

Di qui può accadere che il Dio afferm atosi più volte com e buono, m isericordioso e sensibile ai bisogni dell’uom o non appaia tale agli occhi del credente in quanto l’esperienza, fa tta di tan ti guai, può indurre quest'u ltim o, alm eno p rim a di u na successiva riflessione, a scorgere in Dio un volto ben diverso e, talvolta, m olto simile a quello dipinto, con colori volu tam ente forti, da W. Brueggem ann allorché scrive: «Talora, nell'agire di Dio con l'antico Israele si no ta qualcosa di potenzialm ente sel­vaggio, sregolato, irrazionale e, secondo i criteri m eram ente um ani, estrem am ente pericoloso» (dalla "Teologia dell’Antico Testamento").

Nella stessa linea si muovono, con toni p iù dim essi, le altre annotazioni del B rueggem ann : «Il Dio dell'AT è, p er Israele, giudice, guerriero, re, vasaio, g iardiniere, pasto re e medico; m a il p iù delle volte, non si sa se il giudice condannerà o p e r­donerà, se il guerriero com batterà a favore o contro, se il re m ette rà al bando o inviterà a tavola, se il vasaio lavorerà a tten ­tam en te il vaso o lo fran tum erà, se il g iardiniere coltiverà o sradicherà, se il pastore guiderà il gregge o lo abbandonerà , se il m edico curerà o d ich iarerà il paziente m alato term inale» (ivi).

Recepito anche in questa luce, il lavoro del F ornara non è dunque un lavoro da riservare a pochi specialisti. L'alto livello scientifico che lo cara tterizza ne fa, certo, u n ’opera accessibile a u n num ero lim itato di lettori. Ma p er quello che trasm ette sul p iano del m essaggio è destinato a tu tti i credenti e diventa

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un eccellente pun to di riferim ento in p iù per chiunque deside­ri sapere in che cosa consiste, realm ente, il vedere della fede, questo vedere che è e deve essere sem pre, in contem poranea, un “vedere e non-vedere".

E, del resto, ancora u n a volta l'A. a sottolinearlo , qtiando nelle ba ttu te che chiudono definitivam ente la sua fatica, dopo aver esam inato il vedere e non-vedere di Giobbe, afferm a: « Il credente Giobbe diviene (con l’aver raggiunto la fede) il p a ra ­digm a di un voler vedere Dio che non ha nulla di scontato né di banale e che, d ’a ltra parte, conosce - alm eno parzia lm ente - u na possibilità di soddisfazione. Nella tenacia del cam m ino, nel desiderio di accedere alla visione, nella fatica della ricerca, nel rifiu to delle false im m agini di Dio fornite dagli am ici, nel­l’accettazione di tu tte le ferite, nei paradossi della p ro p ria um anità, egli (e con lui il credente di ogni tem po, in p artico la­re il lettore cristiano, che vi legge in trasparenza l’icona evan­gelica del Figlio e della sua “carne" che rivela e nasconde il vol­to del Padre) può effettivam ente "vedere Dio”. Nello iato fra assenza e presenza, fra m orte e risurrezione - com e scrive Sal- m ann - si apre al credente la feconda possibilità di essere davanti a Dio in assenza di Dio, rim anere presso di Lui nel suo abbandono. La parabo la della fede si situa, così, tra l’esperien­za (e la certezza) di aver visto Dio e l’a ttesa (un ita al desiderio) di poterlo contem plare, un giorno, faccia a faccia».


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