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IOA – International Ostepathic Accademy Milano 16 aprile, 2015. DOVE STA ANDANDO L’OSTEOPATIA? In questo breve documento è riportata la traduzione di un interessante articolo in cui si riflette sulla situazione dell’osteopatia negli USA, a cura di Joel D. Dowell, M.D., Ph.D. University of Michigan, pubblicato su “The New England Journal of Medicine” nel novembre 1999. Traduzione e adattamento in italiano sono opera di Fabrizio Adorno D.O. del quale è riportato commento finale insieme ad un secondo commento ad opera di Fabio Perissinotti D.O. Nota: i due commenti sono del tutto autonomi e non necessariamente esprimono posizioni condivise da entrambe gli autori). Fabrizio Adorno, Verona Degree in Osteopathy - BE Dott. in Scienze Motorie D.M.U. in Posturologia MCB- Massoterapia, idroterapia Docente presso IOA Fabio Perissinotti, Milano Degree in Osteopathy - BE Dott. in Scienze Motorie Massofisioterapista TP Mézières Direttore presso IOA IL PARADOSSO DELL'OSTEOPATIA Fabio Perissinotti, Milano Degree in Osteopathy - BE Dott. in Scienze Motorie Massofisioterapista TP Mézières Direttore presso Accademia Italiana Osteopatia JOEL D. HOWELL traduzione e considerazioni finali di Fabrizio Adorno, D.O. Nella primavera del 1864, Andrew Taylor Still, un medico rurale del Kansas, assistette impotente al fallimento delle migliori medicine all'epoca disponibili, che non riuscirono a salvare la vita dei suoi tre bambini, colpiti da meningite spinale. Amaramente disilluso dalla terapia ufficiale, Still decise di sviluppare una metodologia di cura alternativa. Al termine della sua elaborazione, sviluppò un sistema basato sul concetto che la manipolazione del rachide poteva migliorare il flusso sanguigno, e che tramite questo, potesse essere aumentato, fino alla guarigione, il potenziale di autoguarigione di un organismo. La sua filosofia terapeutica conteneva anche una sana dose di moralismo; ai suoi pazienti proibiva infatti il consumo di alcool e di qualsiasi medicinale, manifestazione chiara della sua rottura

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IOA  –  International  Ostepathic  Accademy

Milano  16  aprile,  2015.  

DOVE  STA  ANDANDO  L’OSTEOPATIA?  

In  questo  breve  documento  è  riportata  la  traduzione  di  un  interessante  articolo  in  cui  si  riflette  sulla  situazione  dell’osteopatia  negli  USA,  a  cura  di  Joel  D.  Dowell,  M.D.,  Ph.D.  University  of  Michigan,  pubblicato  su  “The  New  England  Journal  of  Medicine”  nel  novembre  1999.  Traduzione  e  adattamento  in  italiano  sono  opera  di  Fabrizio  Adorno  D.O.  del  quale  è  riportato  commento  finale  insieme  ad  un  secondo  commento  ad  opera  di  Fabio  Perissinotti  D.O.  

Nota:  i  due  commenti  sono  del  tutto  autonomi  e  non  necessariamente  esprimono  posizioni  condivise  da  entrambe  gli  autori).  

Fabrizio  Adorno,  Verona  

Degree in Osteopathy - BE Dott. in Scienze Motorie D.M.U. in Posturologia MCB- Massoterapia, idroterapia Docente  presso  IOA    

Fabio  Perissinotti,  Milano  

Degree in Osteopathy - BE Dott. in Scienze Motorie Massofisioterapista TP Mézières Direttore presso IOA

IL  PARADOSSO  DELL'OSTEOPATIA  

Fabio  Perissinotti,  Milano  

Degree in Osteopathy - BE Dott. in Scienze Motorie Massofisioterapista TP Mézières

Direttore presso Accademia Italiana Osteopatia

JOEL  D.  HOWELL  traduzione  e  considerazioni  finali  di  Fabrizio  Adorno,  D.O.  

Nella  primavera  del  1864,  Andrew  Taylor  Still,  un  medico  rurale  del  Kansas,  assistette  impotente  al  fallimento  delle  migliori  medicine  all'epoca  disponibili,  che  non  riuscirono  a  salvare  la  vita  dei  suoi  tre  bambini,  colpiti  da  meningite  spinale.  Amaramente  disilluso  dalla  terapia  ufficiale,  Still  decise  di  sviluppare  una  metodologia  di  cura  alternativa.  

Al  termine  della  sua  elaborazione,  sviluppò  un  sistema  basato  sul  concetto  che  la  manipolazione  del  rachide  poteva  migliorare  il  flusso  sanguigno,  e  che  tramite  questo,  potesse  essere  aumentato,  fino  alla  guarigione,  il  potenziale  di  autoguarigione  di  un  organismo.  La  sua  filosofia  terapeutica  conteneva  anche  una  sana  dose  di  moralismo;  ai  suoi  pazienti  proibiva  infatti  il  consumo  di  alcool  e  di  qualsiasi  medicinale,  manifestazione  chiara  della  sua  rottura  

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con  il  sistema  allopatico.  Still  fondò  una  scuola,  per  insegnare  gli  elementi  della  Osteopatia,  nel  1892,  in  Missouri,  a  Kirksville.  

L'osteopatia  non  fu  però,  l'unico  sistema  di  manipolazione  del  rachide  inventato  alla  fine  del  19simo  secolo.  La  Chiropratica,  definita  nel  1895  da  Daniel  David  Palmer,  si  poneva  l'obiettivo  di  liberare  la  mobilità  delle  radici  nervose  e  le  ostruzioni  dei  vasi  sanguigni.  Osteopatia  e  Chiropratica,  inizialmente,  condivisero  alcune  caratteristiche.  Entrambe  nacquero  mentre  il  popolo  americano  sceglieva  un  modello  di  cura  della  salute  fra  quelli  disponibili.  Entrambe  furono  modelli  terapeutici  autoctoni,  proposti  quasi  contemporaneamente  da  carismatici  uomini  del  Midwest.  Entrambe  i  metodi  furono  preferiti,  dagli  abitanti  del  midwest,  ai  sistemi  di  cura  riduzionistici,  derivati  dai  modelli  Europei,  basati  sulle  evidenze  di  laboratorio;  modelli  imposti  fortemente  sulla  costa  est,  e  presto  divenuti  lo  standard  imperante  dell'epoca,  negli  Stati  Uniti  d'America.  

Nel  corso  del  20simo  secolo  infatti,  la  medicina  allopatica  ha  dominato  il  panorama  della  Salute  in  America  (e  non  solo).  La  chiropratica  e  l'osteopatia,  inizialmente  facenti  parte  di  

questo  sistema  terapeutico  pluralistico,  hanno  preso  indirizzi  molto  diversi.  I  chiropratici  sono  in  linea  di  massima  rimasti  focalizzati  sull'utilizzo  delle  manipolazioni  del  rachide,  con  indicazioni  molto  precise,  in  particolare  rivolte  a  quelle  condizioni  cliniche  resistenti  alla  allopatia,  come  il  mal  di  schiena.  Gli  osteopati,  dal  canto  loro,  si  sono  impegnati  nell'impiego  dell'armamentario  terapeutico  del  medico  moderno,  e  così  facendo  si  sono  avvicinati  molto  all'allopatia.  

Il  moto  verso  l'assimilazione  divenne  esplicito  negli  anni  '60,  quando  la  California  Medical  Association  e  la  California  Osteopathic  Association  si  fusero,  momento  definito  in  seguito  come  l'ora  più  oscura  della  professione  osteopatica.  Frequentando  un  seminario  breve  e  pagando  65  dollari,  un  D.O.  Poteva  ottenere  una  laurea  in  medicina;  l'86%  dgli  osteopati  dello  stato  (su  un  totale  di  2000  iscritti)  fece  questa  scelta.  Il  Collegio  dei  Medici  e  Chirurghi  Osteopatici  divenne  l'Università  del  Collegio  di  Medicina  della  California.  Molti  osteopati  temettero  che  la  fusione  californiana  fosse  "l'onda  lunga"  del  futuro  e  che  la  professione  non  sarebbe  sopravvissuta.  Non  fu  così,  ed  anzi,  probabilmente  ne  è  uscita  rafforzata.  Oggi,  i  D.O.  Sono  autorizzati  in  tutti  i  50  stati  americani  a  prescrivere  farmaci,  far  nascere  bambini,  praticare  la  chirurgia  –  in  breve,  a  fare  i  medici.  

Nonostante  il  riconoscimento  nazionale  però,  l'osteopatia  è  ancora  un  fenomeno  regionale,  più  o  meno  come  al  momento  della  propria  nascita.  Il  rapporto  fra  il  numero  di  osteopati  e  di  popolazione  varia  da  3  a  7.7%  nelle  regioni  dell'ovest,  contro  una  percentuale  del  20.4%  nel  midwest;  8.5%  nel  sud,  18.3%  nel  nordest  del  Continente  nordamericano.  I  laureati  in  medicina  mostrano  le  stesse  percentuali  di  distribuzione.  

L'Osteopatia  fu  originariamente  creata  come  una  alternativa  radicale  a  quello  che  era  considerato  un  sistema  terapeutico  fallimentare.  Il  suo  avvicinamento  alla  tradizione  allopatica  avrà  probabilmente  una  conseguenza,  cioè  la  perdita  di  identità.  Molte  persone  oggi,  compresi  i  medici,  sanno  molto  poco  del  suo  campo  operativo  (mentre  molti  conoscono  le  specificità  della  chiropratica).  Molte  

persone,  osteopati  compresi,  si  chiedono  cosa  possa  offrire  di  diverso  (l'osteopatia)  dalla  medicina  ufficiale.  Chi  sostiene  la  specificità  del  sistema  osteopatico,  lo  fa  sulla  base  di  due  principi  fondanti.  Il  primo  è  l'approccio  olistico,  o  centrato  sul  paziente,  con  una  particolare  

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attenzione  alla  prevenzione,  che  caratterizzerebbe  l'osteopatia.  Ma  questa  pretesa  di  unicità  è  difficile  da  sostenere,  specialmente  alla  luce  del  crescente  interesse  di  interi  settori  della  medicina  allopatica  verso  la  prevenzione.  

Il  secondo  principio  di  specificità,  forse  più  sostenibile,  è  basato  sull'utilizzo  della  manualità  osteopatica  come  parte  fondante  dell'approccio  terapeutico.  Nella  manipolazione  osteopatica,  ossa,  muscoli  ed  articolazioni  vengono  manipolati  per  ottimizzare  la  circolazione  sanguigna  attraverso  i  tessuti  e  di  conseguenza  potenziare  le  proprietà  auto-­‐terapeutiche  dell'organismo.  Le  tecniche,  basate  sul  concetto  di  continuità  miofasciale,  che  implica  la  connessione  di  ogni  parte  del  corpo  con  il  tutto,  necessitano  de  "l'abilità  e  l'efficacia  nell'uso  delle  mani"  per  trattare  quella  che  veniva  definita  inizialmente  "lesione  osteopatica",  e  che  oggi  è  chiamata  disfunzione  somatica.  La  manipolazione  osteopatica  non  è  ben  conosciuta  (o  praticata)  dai  medici  allopatici,  ma  per  decenni  è  stata  considerata  il  "core"  del  metodo  terapeutico  osteopatico.  

In  questo  numero  del  Journal,  Andersson  et  al.paragonano  la  manipolazione  osteopatica  del  rachide,  che  è  una  metodologia  della  medicina  manuale  osteopatica,  a  terapie  standardizzate  per  la  cura  del  mal  di  schiena.  I  pazienti  sono  stati  assegnati  in  modo  casuale  a  due  gruppi,  il  

primo  dei  quali  prevedeva  la  somministrazione  di  terapie  standard  (72  paz),  mentre  il  secondo  includeva  trattamenti  manipolativi  (83  paz).  Venivano  valutati,  con  una  serie  di  misurazioni,  il  dolore,  l'abilità  funzionale  e  la  soddisfazione  del  paziente.  Dopo  dodici  settimane,  risultava  un  netto  miglioramento  in  entrambe  i  gruppi,  e  non  si  registravano  differenze  significative  in  nessuna  delle  misurazioni  principali.  Tuttavia,  il  gruppo  ricevente  terapie  standard  aveva  utilizzato  in  maniera  ovviamente  superiore  molti  più  farmaci  e  terapie  strumentali.  Cosa  che  dimostra  una  maggiore  parsimonia,  da  parte  dei  medici  osteopati,  nell'utilizzo  della  tecnologia  medica.  Perciò,  essi  riescono  a  fornire  ai  loro  pazienti  cure  mediche  con  un  buon  rapporto  costi-­‐benefici  ed  a  ridurre  l'uso  di  farmaci  dagli  incerti  e  pericolosi  effetti  collaterali.  Il  meccanismo  fisiologico  che  può  essere  all'origine  dei  miglioramenti  del  paziente  nel  trattamento  osteopatico  non  è  chiaro,  perciò  sarebbe  auspicabile  che  in  questo  campo  venissero  effettuate  ricerche  volte  a  chiarire  come  le  tecniche  esplichino  i  loro  effetti  nella  pratica  clinica.  

Parte  del  successo  dell'intervento  terapeutico  osteopatico  nel  mal  di  schiena  probabilmente  deriva  dal  fatto  che  il  medico,  semplicemente,  tocca  il  paziente.  La  terapia  manuale  osteopatica  viene  ritenuta  utile  in  una  vasta  serie  di  impieghi  terapeutici,  dalla  pancreatite  alla  sindrome  parkinsoniana,  alla  sinusite,  all'asma.  I  più  noti  osteopati  sostengono  che  la  terapia  manuale  deve  far  parte  di  quasi  tutte  le  consulenze  mediche  osteopatiche.  L'ultimo  presidente  della  American  Osteopathic  Association  ha  dichiarato  di  "rivolgersi  alla  manipolazione  osteopatica  prima  di  considerare  qualunque  altro  tipo  di  intervento  terapeutico",  e  che  il  90%  dei  suoi  pazienti  ottengono  miglioramenti  con  la  sola  manipolazione.  

Alcune  affermazioni  però  sottolineano  il  serrato  dibattito  interno  al  mondo  osteopatico  ed  una  disconnessione  fra  la  teoria  e  la  pratica.  Un  sondaggio  del  1995  somministrato  a  1055  medici  osteopati  riporta  che  l'utilizzo  della  terapia  manuale  è  occasionale;  solamente  il  6.2%  dichiara  di  utilizzarla  con  più  della  metà  dei  propri  pazienti.  Il  30%  dichiara  di  utilizzarla  in  meno  del  5  per  cento  dei  casi.  

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Più  è  recente  il  conseguimento  della  laurea  in  osteopatia,  minore  è  l'utilizzo  della  terapia  manuale  nella  pratica  clinica  quotidiana,  cosa  che  depone  a  favore  della  progressiva  assimilazione  dell'osteopatia  alla  medicina  allopatica.  Il  crollo  dell'utilizzo  della  terapia  manuale  potrebbe  anche  testimoniare  il  fatto  che  chi  si  avvicina  alle  scuole  di  medicina  osteopatica  non  lo  fa  per  un  profondo  coinvolgimento  nella  filosofia  osteopatica,  ma  per  il  fallimento  del  proprio  tentativo  di  accesso  alle  scuole  di  medicina  allopatica.  Sembrano  essere  più  facili  da  reperire  medici  osteopati  impegnati  in  religioni  fondamentaliste  che  colleghi  impegnati  in  manipolazioni  osteopatiche.  Tuttavia,  con  o  senza  terapia  manuale,  la  medicina  osteopatica  sembra  conoscere  un  momento  di  

incremento  senza  precedenti.  Mentre  il  numero  di  università  di  medicina  classiche  è  rimasto  stabile  fin  dal  1980,  a  125,  quello  delle  università  di  medicina  osteopatica  è  passato  da  14  a  19.  Il  numero  di  laureati  in  medicina  allopatica  è  passato  da  15135  nel  1980  a  15923  nel  1997,  mentre  quello  di  laureati  in  medicina  osteopatica  è  raddoppiato  nello  stesso  periodo,  passando  da  1509  a  2009.  ......  (omissis).........Alla  fine  del  secolo,  l'osteopatia  continua  la  sua  difficile  danza  con  la  medicina  allopatica,  ma  solo  uno  dei  due  partner  danza  con  attenzione.  L'aumento  notevole  del  numero  di  osteopati  non  deve  ingannare  sulla  precaria  situazione  dell'osteopatia.  Alla  sua  nascita,  l'osteopatia  era  un  concetto  radicale,  che  rigettava  molti  dei  principi  vecchi  e  nuovi  dell'allopatia.  Oggi,  la  medicina  osteopatica  si  è  molto  avvicinata  alla  tradizione  allopatica,  al  punto  che  non  è  più  considerata  una  medicina  alternativa.  La  sopravvivenza  nel  lungo  periodo  dipenderà  dall'abilità  della  medicina  osteopatica  di  

definirsi  e  distinguersi  dalla  medicina  allopatica.  Questa  distinzione  dovrà  essere  giustificata  non  in  termini  teoretici,  ma  in  termini  di  trattamenti  con  risultati  dimostrabili.  Il  paradosso  è  il  seguente:  se  l'osteopatia  è  diventata  l'equivalente  funzionale  della  medicina  allopatica,  cosa  giustifica  la  sua  esistenza?  E  se  esiste  una  validità  nella  terapia  osteopatica,  cioè  basata  sulle  manipolazioni  osteopatiche  o  più  in  generale  sulla  terapia  manuale,  perchè  questa  dovrebbe  essere  riservata  agli  osteopati?  

Joel  D.Dowell,  M.D.,  Ph.D.  University  of  Michigan  Nov.  1999  –  The  New  England  Journal  of  Medicine  

COMMENTO  

(Fabrizio  Adorno  D.O.)  

Questo  fondamentale  articolo  di  J.D.  Dowell,  scritto  all'inizio  del  millennio,  ha  impietosamente  fatto  luce,  non  senza  una  certa  dose  di  sarcasmo,  sulla  situazione  in  cui  si  trova  l'Osteopatia  nel  Nuovo  Continente.  Tra  le  righe,  il  dott.  Dowell  riconosce  implicitamente  alla  medicina  osteopatica  la  validità  del  suo  impianto  metodologico,  basato  sulle  conoscenze  anatomo-­‐  fisiologiche  e  sull'approccio  olistico,  presenti  almeno  nell'Osteopatia  delle  origini,  cioè  in  quella  diffusa  da  Still  e  dai  suoi  allievi  diretti.  In  effetti,  l'auspicio  finale  contenuto  nelle  sue  riflessioni  è  quello  che  l'Osteopatia  riesca  nel  suo  intento  iniziale,  quello  cioè  di  porsi  come  modello  alternativo  di  terapia,  rispetto  alla  medicina  allopatica.  

Il  metodo  proposto,  però,  è  quello  della  validazione  scientifica  dei  risultati.  Cioè  quello  della  efficacia  e  della  ripetibilità;  in  una  parola,  lo  stesso  metodo  di  misura  utilizzato  dalla  medicina  allopatica,  che  si  rivolge  alla  cura  del  Sintomo.  Ora,  pur  riconoscendo  la  indubbia  utilità  di  questo  Sistema  terapeutico,  che  nel  corso  degli  ultimi  quattro  secoli  ha  permesso  di  salvare  innumerevoli  vite  umane,  o  almeno  di  prolungarne  l'esistenza  in  maniera  percentualmente  

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rilevante,  il  problema  fondamentale  che  si  pone,  nell'analisi  dell'efficacia  dell'Osteopatia,  riguarda  proprio  il  fatto  che  il  metodo  della  validazione  scientifica  NON  è  applicabile  alle  terapie  osteopatiche.  

E'  una  pretesa  impossibile  da  soddisfare,  quella  che  chiede  di  dimostrare  una  efficacia  statisticamente  rilevante  ad  una  specifica  tecnica  HVLA,  per  esempio,  su  un  dato  sintomo,  proprio  perchè  quella  tecnica,  scelta  dall'osteopata  in  quel  momento,  per  quel  sintomo,  ma  soprattutto  per  quel  paziente,  potrebbe  non  essere  ripetibile  in  un  momento  diverso,  di  fronte  allo  stesso  sintomo  ed  allo  stesso  paziente;  così  come  potrebbe  essere  impossibile  o  inutile  proporla  ad  un  paziente  diverso.  

L'osteopata  infatti  decide  il  suo  intervento  incrociando  i  dati  anamnestici  con  l'esame  obiettivo  e  con  la  diagnosi  differenziale;  ma  soprattutto,  la  scelta  della  tecnica  manuale  da  applicare  è  guidata  dall'obiettivo  principale,  che  non  è  quello  di  risolvere  una  sintomatologia  specifica,  ma  di  sostenere  e  rinforzare  le  capacità  di  autoguarigione  di  quel  paziente,  in  quel  momento,  con  quel  sintomo.  Prova  evidente  di  quanto  affermato,  è  il  fatto  che  il  processo  di  guarigione,  spesso,  inizia  nello  studio  osteopatico,  ma  si  completa  autonomamente  nei  giorni  successivi  all'intervento  terapeutico,  con  uno  spettro  di  variabilità  individuale  estremamente  ampio.  

L'Osteopatia  insomma,  di  fronte  ad  una  manifestazione  disfunzionale  che  può  essere  molto  simile  in  

soggetti  diversi,  esplica  la  sua  efficacia  in  modi  e  tempi  che  possono  essere,  invece,  completamente  diversi,  perchè  assolutamente  individualizzati.  Ed  è  proprio  in  questa  diversità  che  manifesta  le  sue  caratteristiche  di  terapia  olistica,  quindi  non  standardizzabile.  Oggi,  anche  nel  nostro  Paese,  stiamo  assistendo  al  tentativo  di  mettere  mano  alle  normative  che  regolano  le  Professioni  sanitarie,  includendo,  non  è  ancora  chiaro  a  quali  condizioni,  anche  l'Osteopatia  fra  le  discipline  che  si  occupano  di  Salute,  umana  ed  animale.  Esigenza  giustificabile,  se  si  considera  che  oggi,  la  percentuale  di  persone  che  si  rivolgono  ad  un  osteopata  per  la  cura  della  propria  salute  è  aumentata,  rispetto  a  qualche  anno  fa,  in  maniera  esponenziale,  evidentemente  in  base  proprio  a  quella  "efficacia"  che  Dowell  chiede  di  dimostrare  a  posteriori.  

Il  rischio  che  corre  la  Medicina  manuale  osteopatica  in  Italia,  oggi,  è  lo  stesso  corso  negli  anni  '60  del  secolo  scorso  in  U.S.A.,  e  molto  probabilmente  l'esito  sarà  lo  stesso.  Quello,  cioè,  di  diventare  una  "riserva  di  caccia"  per  le  figure  professionali  sanitarie  attualmente  in  essere,  le  quali  però  non  saranno  in  grado  di  apprezzarne  le  potenzialità,  a  causa  della  loro  forma  mentis,  per  la  quale  ciò  che  non  è  dimostrabile  non  esiste;  od,  in  alternativa,  quello  di  essere  tacciata  di  mancanza  di  "scientificità"  e  perdere,  con  questa  etichetta,  la  dignità  di  Arte  terapeutica.  Dove  Arte  è  intesa  come  attività,  tipicamente  umana,  di  produzione  di  un  risultato,  intellettuale  o  fisico  (o  entrambe),  che  poggia  su  accorgimenti  tecnici,  abilità  innate  o  acquisite  e  norme  comportamentali  derivanti  dallo  studio  e  dall'esperienza.  

Perchè,  non  dimentichiamolo,  anche  la  Medicina  allopatica,  per  quanti  sforzi  produca  nel  tentativo  di  rendere  oggettivabile  la  propria  materia,  è  un'Arte.  

 

 

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COMMENTO  

(Fabio  Perissinotti  D.O.)  

In  questi  mesi  c’è  un  gran  movimento  intorno  alla  figura  dell’osteopata  e  della  sua  regolamentazione.  La  discussione  è  incentrata  sull’aspetto  normativo  della  professione:  figura  sanitaria,  ausiliario  della  sanità,  non  sanitario,  ecc.,  mentre  riguardo  alle  competenze  si  fa  riferimento  ai  Benchmarks  dell’OMS.  In  base  all’articolo  sopra  esposto  non  sarebbe  necessario  anche  nel  nostro  paese  una  riflessione  sui  contenuti  della  professione  di  osteopata?  Mi  chiedo  se  abbia  senso  riempire  molte  ore  di  lezione  insegnando  principi  di  biomeccanica  elaborati  a  tavolino,  magari  ad  inizio  del  1900,  mai  dimostrati,  anzi  smentiti,  e  senza  nessun  sostegno  clinico,  come  le  leggi  di  Fryette  sul  movimento  vertebrale  e  i  principi  di  Mitchell  sulle  dinamiche  ilio-­‐sacrali.  Mi  chiedo  come  possa  avere  una  dignità  una  disciplina  in  cui  si  passano  ore  ad  insegnare  i  complessi  movimenti  del  cranio  e  del  sacro  animati  dallo  “spirito  vitale”  intorno  ad  assi  stabiliti  a  tavolino  da  un’osteopata  “spirituale”,  e  a  partire  da  qui  tutte  le  relative  derive  mistiche.  Mi  capita  ancora  di  osservare  studenti  al  4-­‐5  anno  della  scuola  di  osteopatia  che  conoscono  l’embriologia  a  memoria,  sono  in  grado  di  ipotizzare  “percorsi”  disfunzionali  che  partono  dall’occipite  per  arrivare  fino  al  cuboide,  e  nel  contempo  hanno  una  scarsissima  manualità,  la  più  totale  incapacità  clinica  e  l’impossibilità  di  relazionarsi  alle  esigenze  di  un  paziente  sofferente.  Il  risultato  è  che  un  massaggiatore  abile  e  preparato  è  clinicamente  più  efficace.  Che  futuro  professionale  hanno  costoro,  indipendentemente  dal  riconoscimento  o  meno  dell’osteopatia?