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1 / 28 TOP NEWS 01 NATO TV 03 COSTRUIRE LA PACE 04 COMMENTI 05 AGENDA 06 ISSUES 06 DOCUMENTI 09 DI PIù 11/28 In accordo tra Presidenza del Consiglio dei Ministri, Rai e NATO, Rai World fornisce sostegno all‘informazione sulle operazioni di peacekeeping in Afghanistan e con la presenza di un riferimento al HQ NATO di Bruxelles mette a disposizione delle testate Rai servizi ed immagini dall‘ Afghanistan e una raccolta di notizie stampa. Per contatti: [email protected] 74 8 GIUGNO 2011 Periodo dal 1 GIUGNO Aggiornato al 8 GIUGNO TOP NEWS _____________________________________________________________________________ 8 GIUGNO DOMANI A ROMA MINISTRO LA RUSSA CONSEGNA CROCE D’ORO CARABINIERI A GENERALE PETRAEUS (di più ) Domani alle 18 a Roma - Viale di Tor di Quinto 119, presso la sala di rappresentanza della Caserma 'Salvo D'Acquisto', sede del Comando Unità Mobili e Specializzate - il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, consegnerà la Croce d'Oro al Merito dell'Arma dei Carabinieri al generale David Howell Petraeus, comandante Isaf e US Forces Afghanistan. 8 GIUGNO - AFGHANISTAN: CROSETTO, VERSO FINE MISSIONE MA ANCORA A RISCHIO ATTENTATI (di più ) In Afghanistan siamo oramai alla fase cruciale di transizione e si può mantenere il 2014 come orizzonte temporale per la riconsegna del paese all'autorità del legittimo governo locale". E' quanto afferma il sottosegretario alla Difesa, Guido Crosetto, intervenendo al Senato per ricostruire la dinamica dell'attentato in Afghanistan dello scorso 30 maggio. (ADNKRONOS ) 8 GIUGNO - AFGHANISTAN: W. POST, CONGRESSO USA ATTACCA PROGRAMMI DI NATION BUILDING (di più ) Il dispendiosissimo sforzo di nation building messo in atto da Washington in Afghanistan ha avuto un successo limitato e potrebbe non sopravvivere ad un ritiro americano dal paese. Questi i risultati di un'inchiesta di due anni condotta dal Congresso americano. (ADNKRONOS ) 7 GIUGNO - AFGHANISTAN: MILITARI ITALIANI SCOVANO UN DEPOSITO OCCULTO DI ESPLOSIVI (di più ) I militari italiani, durante un'operazione congiunta con l‘esercito afgano, hanno scovato un deposito occulto contenente una grossa quantità di armi ed esplosivi. (ITALFOR KABUL E RC-W ) 7 GIUGNO - AFGHANISTAN: A PONTECORVO IN 4 MILA PER L'ADDIO A CONGIU (di più ) Una giornata di forte commozione e dolore per l'ultimo saluto al tenente colonnello Cristiano Congiu. La città di Pontecorvo, a Frosinone si è fermata per l'addio al militare. (ANSA ) 7 GIUGNO - AFGHANISTAN/ NYT: PENTAGONO POTREBBE OPPORSI A RITIRO TRUPPE USA (di più ) Il Pentagono potrebbe opporsi al ritiro delle truppe americane dall'Afghanistan. Secondo quanto scrive il New York Times, il dipartimento della Difesa crede che un richiamo troppo sostanzioso di forze potrebbe essere precoce e pregiudicare i progressi compiuti nel paese centro-asiatico. (TMNEWS )

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TOP NEWS 01

NATO TV 03 COSTRUIRE LA PACE 04

COMMENTI 05 AGENDA 06

ISSUES 06

DOCUMENTI 09 DI PIù 11/28

In accordo tra Presidenza del Consiglio dei Ministri, Rai e NATO, Rai World fornisce sostegno all‘informazione sulle operazioni di peacekeeping in Afghanistan e con la presenza di un riferimento al HQ NATO di Bruxelles mette a disposizione delle testate Rai servizi ed immagini dall‘ Afghanistan e una raccolta di notizie stampa. Per contatti:

[email protected]

№ 74 8 GIUGNO 2011 Periodo dal 1 GIUGNO

Aggiornato al 8 GIUGNO

TOP NEWS _____________________________________________________________________________

8 GIUGNO – DOMANI A ROMA MINISTRO LA RUSSA CONSEGNA CROCE D’ORO CARABINIERI A GENERALE PETRAEUS (di più)

Domani alle 18 a Roma - Viale di Tor di Quinto 119, presso la sala di rappresentanza della Caserma 'Salvo D'Acquisto', sede del Comando Unità Mobili e Specializzate - il ministro della Difesa, Ignazio La Russa,

consegnerà la Croce d'Oro al Merito dell'Arma dei Carabinieri al generale David Howell Petraeus, comandante

Isaf e US Forces Afghanistan.

8 GIUGNO - AFGHANISTAN: CROSETTO, VERSO FINE MISSIONE MA ANCORA A RISCHIO ATTENTATI (di più)

―In Afghanistan siamo oramai alla fase cruciale di transizione e si può mantenere il 2014 come orizzonte temporale per la riconsegna del paese all'autorità del legittimo governo locale". E' quanto afferma il

sottosegretario alla Difesa, Guido Crosetto, intervenendo al Senato per ricostruire la dinamica dell'attentato

in Afghanistan dello scorso 30 maggio. (ADNKRONOS)

8 GIUGNO - AFGHANISTAN: W. POST, CONGRESSO USA ATTACCA PROGRAMMI DI NATION BUILDING (di più)

Il dispendiosissimo sforzo di nation building messo in atto da Washington in Afghanistan ha avuto un

successo limitato e potrebbe non sopravvivere ad un ritiro americano dal paese. Questi i risultati di un'inchiesta di due anni condotta dal Congresso americano. (ADNKRONOS)

7 GIUGNO - AFGHANISTAN: MILITARI ITALIANI SCOVANO UN DEPOSITO OCCULTO DI ESPLOSIVI (di più) I militari italiani, durante un'operazione congiunta con l‘esercito afgano, hanno scovato

un deposito occulto contenente una grossa quantità di armi ed esplosivi. (ITALFOR KABUL E RC-W)

7 GIUGNO - AFGHANISTAN: A PONTECORVO IN 4 MILA PER L'ADDIO A CONGIU (di più)

Una giornata di forte commozione e dolore per l'ultimo saluto al tenente colonnello Cristiano Congiu. La città di Pontecorvo, a Frosinone si è fermata per l'addio al militare. (ANSA) 7 GIUGNO - AFGHANISTAN/ NYT: PENTAGONO POTREBBE OPPORSI A RITIRO TRUPPE USA (di

più) Il Pentagono potrebbe opporsi al ritiro delle truppe americane dall'Afghanistan. Secondo quanto scrive il

New York Times, il dipartimento della Difesa crede che un richiamo troppo sostanzioso di forze potrebbe essere precoce e pregiudicare i progressi compiuti nel paese centro-asiatico. (TMNEWS)

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7 GIUGNO - AFGHANISTAN/ GATES: NATO VICINA A DARE COLPO DECISIVO A TALEBANI (di

più) La forza della Nato in Afghanistan, composta per due terzi da soldati statunitensi, è sul punto di portare un "colpo decisivo" agli insorti talebani. Lo ha detto il segretario alla Difesa Usa, Robert Gates, al termine di

una visita di quattro giorni in Afghanistan. (TMNEWS)

7 GIUGNO - AFGHANISTAN: TROVATO MORTO GOVERNATORE PROVINCIALE RAPITO, È STATO

LAPIDATO (di più) E' stato ritrovato oggi dalla polizia il corpo senza vita del capo del consiglio provinciale di Bamiyan, nell'Afghanistan centrale, rapito nel fine settimana da ignoti nel nord del Paese e ucciso tramite

lapidazione. (ADNKRONOS)

7 GIUGNO - AFGHANISTAN: TALEBANI, FORSE A ONU 'LISTA NERA' SEPARATA (di più)

L'Onu potrebbe rivedere i criteri adottati finora per la 'lista nera' dei terroristi e potrebbe crearne una specifica di cui farebbero parte solo i talebani afghani, e questo per contribuire ad un eventuale

consolidamento del processo di pace in Afghanistan. Lo ha dichiarato Peter Wittig presidente del Comitato delle sanzioni delle Nazioni Unite. (ANSA)

6 GIUGNO - AFGHANISTAN: OBAMA VERSO DECISIONE NUMERO TRUPPE DA RITIRARE (di più) Il presidente Barack Obama deciderà abbastanza presto quante truppe Usa ritirare dall' Afghanistan quando

a luglio scatterà il rientro delle forze Usa in quel paese, ha reso noto oggi la Casa Bianca. (ANSA).

6 GIUGNO - AFGHANISTAN: PEACEREPORTER, IN LOCO SI RACCONTA STORIA DIVERSA (di più)

E' fuori pericolo Mohtaudin, il giovane afgano di 24 anni ferito con un colpo di pistola dall'ufficiale dei carabinieri Cristiano Congiu. Lo rende noto l'agenzia Peaceporter, secondo la quale i giornali afgani riportano

una diversa versione dell‘accaduto. (ANSA).

5 GIUGNO - AFGHANISTAN: HERAT, 11 ARRESTI PER DOPPIO ATTACCO A ITALIANI (di più)

Undici persone sospettate di essere coinvolte nel duplice attentato nel quale sono rimasti feriti cinque soldati italiani, sono state arrestate secondo quanto ha annunciato il governatore della provincia di Herat. (ANSA).

5 GIUGNO - AFGHANISTAN/ USA STUDIANO CALENDARIO RITIRO RINFORZI (di più)

Le decisioni del Pentagono sull'entità del ritiro statunitense dall'Afghanistan previsto per il prossimo luglio potrebbero comprendere anche un calendario per il rimpatrio dei 30mila militari statunitensi inviati di rinforzo

alla fine del 2009: lo ha annunciato il Segretario alla Difesa, Robert Gates. (TMNEWS).

5 GIUGNO - AFGHANISTAN, CONGIU PICCHIATO A MORTE. GIALLO SU FACEBOOK: VOGLIONO

FARMI TACERE (di più) C‘è un ombra che si distende sulla morte del tenente colonnello dei carabinieri Cristiano Congiu. L‘ufficiale

dell‘Arma avrebbe affidato a Facebook, in uno dei suoi ultimi messaggi, un inquietante presagio: «Qualcuno mi vuol far tacere». (IL MESSAGGERO.IT)

4 GIUGNO - AFGHANISTAN: ULTIMA VISITA DI GATES, NOSTRO IMPEGNO NON È INFINITO (di

più) I problemi di budget che gli Usa devono affrontare non comprometteranno la missione in Afghanistan

perché "un suo fallimento sarebbe la cosa più costosa". E' quanto ha detto Robert Gates arrivato a sorpresa a Kabul per l‘ultima volta da ministro della Difesa. (ADNKRONOS)

4 GIUGNO - AFGHANISTAN: GATES, PREMATURO CAMBIARE STRATEGIA MILITARE (di più) Al momento ―è prematuro2 cambiare strategia militare in Afghanistan. Lo ha affermato a Kabul il ministro

americano della Difesa Robert Gates. (ADNKRONOS)

4 GIUGNO - AFGHANISTAN: KARZAI A GATES,CESSARE ATTACCHI AEREI VILLAGGI (di più) Il presidente Karzai ha chiesto al segretario della difesa Robert Gates di cessare i bombardamenti sui villaggi

afghani. Gates si è impegnato a riferire la richiesta al governo degli Stati Uniti e alla Nato. (ANSA).

4 GIUGNO - PAKISTAN: DRONE USA UCCIDE IMPORTANTE CAPO DI AL QAIDA (di più)

Discussi, contestati, al centro di una viva polemica fra Washington e Islamabad, gli aerei senza pilota (droni) americani hanno messo a segno un altro importante colpo eliminando Ilyas Kashmiri, leader del movimento

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terroristico Harkat-ul-Jihad al-Islami (HuJI) e personalità considerata molto vicina ai vertici di Al Qaida. (ANSA).

4 GIUGNO - AFGHANISTAN: UCCISO CC ANTIDROGA, 'PER DIFENDERE DONNA' (di più)

Ancora un morto italiano in Afghanistan. Un ufficiale dei carabinieri, il tenente colonnello Cristiano Congiu, è stato ucciso con un colpo di arma da fuoco. Si è trattato di un fatto di criminalità comune, da non mettere in

relazione alla sua attività. (ANSA).

3 GIUGNO - AFGHANISTAN: CATTURATI SETTE INSORTI NEL DISTRETTO DI BAKWA (di più)

Le Forze di Sicurezza Afgane affiancate dai paracadutisti della Task Force South East hanno catturato 7 insurgents, trovati in possesso di attrezzature e sostanze impiegate per la preparazione degli ordigni

esplosivi, che operano nel distretto di Bakwa. (ITALFOR KABUL E RC-W)

3 GIUGNO - AFGHANISTAN: USA E GB PREMONO PER REVOCA SANZIONI 18 TALIBAN (di più)

Gran Bretagna e Usa stanno facendo pressioni sulle Nazioni Unite perché revochino a 18 capi talebani i provvedimenti ristrettivi imposti a partire dal 1999. Lo riferisce oggi il Guardian. (ANSA).

3 GIUGNO - AFGHANISTAN: LA RUSSA, ANCORA IN APPRENSIONE PER MILITARE FERITO A HERAT (di più) Sul militare italiano ferito più gravemente a Herat ―la preoccupazione non è cessata:

continuiamo ad avere molta apprensione ma confidiamo che possano arrivare notizie migliori''. Lo ha dichiarato il ministro della Difesa Ignazio La Russa. (ADNKRONOS).

2 GIUGNO - BERLUSCONI-KARZAI, TRANSIZIONE E PACE AL CENTRO ACCORDI (di più)

Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha ricevuto il Presidente Karzai. Durante sono stati firmati

l'Accordo di collaborazione contro il traffico di stupefacenti e il Memorandum d'Intesa sulla cooperazione politica tra i ministeri degli Esteri. (ANSA).

2 GIUGNO - AFGHANISTAN/ KARZAI: GRAZIE ALL'ITALIA PER ISTRUTTORI MILITARI (di più)

Durante il faccia a faccia con il premier Silvio Berlusconi, il presidente afgano Hamid Karzai ha "espresso

profonda gratitudine al governo italiano sia per la partecipazione alla missione Nato-Isaf sia per l'aumento del numero degli istruttori italiani" per le forze di sicurezza afgane. (TMNEWS).

2 GIUGNO - AFGHANISTAN: KARZAI, MIO POPOLO HA OTTIMA OPINIONE DI MILITARI

ITALIANI (di più) Il popolo afghano ha "un'ottima percezione" dei soldati italiani impegnati nel paese. Lo ha sottolineato il presidente afghano Hamid Karzai al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, secondo quanto

riferiscono fonti diplomatiche, nel corso del vertice che i due leader hanno avuto a Villa Doria Pamphili a

Roma. (ADNKRONOS).

2 GIUGNO - AFGHANISTAN: ISAF, CATTURATO NEL NORD RESPONSABILE AL-QAEDA VICINO A BIN LADEN (di più) Un responsabile di al-Qaeda molto vicino a Osama bin Laden è stato catturato durante

un'operazione congiunta delle forze della coalizione e delle forze di sicurezza afghane condotta nella notte nel distretto di Nahr-e-Shahi, nella provincia di Balkh, nel nord dell'Afghanistan. (ADNKRONOS).

NATO TV_________________________________________________________________________________

Sono disponibili su richiesta delle redazioni Rai le immagini (e/o i servizi) della struttura TV organizzata dalla Nato in Afghanistan realizzate da reporter professionisti embedded presso il

contingente ISAF.

Tutte le immagini sono libere da diritti d' autore e in quality broadcast.

Per ricevere le immagini e per informazioni contattare al HQ NATO di Bruxelles: Luca Fazzuoli. Inviato permanente di Rai World e Media Relation Officer

[email protected] (+32 475 470127) Tutte le immagini girate in Afghanistan sono disponibili: - grezze, in versione internazionale, senza alcun montaggio, logo o sottotitoli

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oppure: - montate in un reportage di circa 2 - 3 minuti, con sottotitoli in inglese per le interviste in farsi o pashtu. Il

suono delle interviste è inglese, farsi o pashtu. Tutte le immagini sono correlate dalla seguente documentazione: lista delle immagini con il timecode,

trascrizione delle interviste in inglese, trascrizione e traduzione delle interviste dal farsi o pashtu in lingua

inglese, informazioni relative al contenuto delle immagini.

La distribuzione delle immagini e della documentazione avviene in modo rapido attraverso una semplice e-mail che viene inviata direttamente al vostro indirizzo elettronico.

Le immagini montate in un piccolo reportage possono essere visionate anche sul sito web:

www.natochannel.tv

QUESTA SETTIMANA VI SEGNALIAMO

1) Lotta al papavero nella provincia di Nangarhar Dopo le previsione delle Nazioni Unite sulla ripresa della produzione di papavero nel nord dell'Afghanistan,

NATO TV e‘ andata a parlare con gli agricoltori nella provincia di Nangarhar, per capire le loro idee, e per vedere come le autorita‘ combattono questo tipo di coltivazione.

YouTube Link: http://www.youtube.com/watch?v=b0WvZFI6PLY

2) Talebani rientrano a Kandahar ― Siamo pronti ad aiutarli in ogni modo, per offrire loro terre, un lavoro ed una maggiore sicurezza‖. Queste

le parole degli ufficiali delle forse Afghane che, insieme a NATO TV, testimoniano il ritorno a Kandahar di alcuni ex ribelli Talebani, che hanno scelto di appoggiare il progetto di pace dell‘alleanza.

YouTube Link: http://www.youtube.com/watch?v=GlnerKGJ47Y

3) Sicurezza a KANDAHAR CITY Si continua a combattere in Kandahar City. Il reportage di NATO TV sulla nuova serie di attacchi degli insorti

nei confronti della polizia e degli ufficiali governativi Afghani che a costo della propria vita cercano di rendere sempre più sicura una zona ad alto rischio.

YouTube Link: http://www.youtube.com/watch?v=OHGcaiWLRCU

4) Uniti nell’Afghanistan del sud La sicurezza nella parte meridionale dell‘Afghanistan è ancora un punto cruciale nel processo contro

l‘insurrezione dei ribelli. NATO TV raccoglie le testimonianze dei governatori Afghani riuniti a Kandahar per

discutere del futuro e per rafforzare i progressi fin‘ora ottenuti.

YouTube Link: http://www.youtube.com/watch?v=KODgkKumtn8

COSTRUIRE LA PACE______________________________________________________________

AFGHANISTAN, NELL'OSPEDALE DELLA BASE "ICE" (di più) Viaggio in Gulistan, nella regione Ovest del Paese, dove i medici militari italiani assegnati a un avamposto

curano la popolazione dei villaggi vicini. Di Cristina Bassi. (HUMANITAS SALUTE.IT 8 GIUGNO I)

AFGHANISTAN: TUTELARE I DIRITTI DELLE DONNE IN CARCERE (di più)

Da La Stampa.it Blog un articolo scritto su Afghan Women's Prisons Seek To Make Life Behind Bars Less Horrific, di Farangis Najibullah e Maneesha Diwa e ripreso dal blog di Radio Free Europe/Radio Liberty. Si

tratta della testimonianza della vita in carcere di alcune donne afghane. (LA STAMPA.IT BLOG 8 GIUGNO).

CARABINIERI IN MISSIONE: TRECENTO A KABUL (di più)

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L‘Arma dei carabinieri compie 197 anni. E‘ l‘occasione per ricordare l‘impegno degli uomini dell‘Arma nelle missioni estere. In Afghanistan 300 carabinieri fanno gli addestratori. Finora hanno insegnato il mestiere a 10

mila poliziotti. (IL MESSAGGERO 6 GIUGNO)

ANNA TORRETTA: LA MIA TESTIMONIANZA SU MORTENSON E L’AFGHANISTAN (di più)

L‘alpinista valdostana Anna Torretta interviene sulla polemica riguardo i libri e le attività del celebre scrittore americano Greg Mortenson, accusato di truffa da un‘inchiesta della Cbs. La lettera della Torretta e il suo

racconto. Di Sara Sottocornola. (MONTAGNA.TV 2 GIUGNO)

COMMENTI_________________________________________________________________________________________

IN AFGHANISTAN CON I PARÀ: «COSÌ RISCHIAMO» (di più) Il reportage di Claudio Monici da Farah insieme ai parà italiani. ―La ‗route 515‘ corre ben dentro a quel

‗territorio Comanche‘ dove l'attività degli insorti, i taleban, da qualche tempo si sta facendo più aggressiva.

(…) Oggi è andata bene, la missione è terminata. Siamo tornati tutti a Farah‖. (AVVENIRE 8 GIUGNO DI

CLAUDIO MONICI)

WE HAVE THE MOMENTUM IN AFGHANISTAN (di più)

Diciotto mesi fa Obama annunciava l‘inizio del ritiro e il passaggio della sicurezza agli afghani nel luglio 2011. Ora il momento è arrivato ma Washington non ha ancora deciso l‘entità del ritiro. Ciò che è chiaro è che la

lotta si sta avvicinando al suo picco e i progressi restano fragili. Migliaia di persone in tutto il mondo si

svegliano ogni mattina e pensano a come uccidere gli americani. Questo è il momento di premere per la lotta. (WALL STREET JOURNAL 8 GIUGNO DI KIMBERLY KAGAN FREDERICK KAGAN)

ITALIANI TRA LA GENTE: CHE COSA RISCHIANO I MILITARI A HERAT (di più)

L'attentato al Prt nell'Ovest dell'Afghanistan era prevedibile. Colpi di mortaio avevano già preso di mira in

passato la base che sorge in mezzo alle case: una scelta di grande valore simbolico. Ma i "vicini" possono nascondere molte insidie. (SKY.IT 6 GIUGNO DI CRISTINA BASSI)

UNA ZONA SENZA TALEBANI MA DOVE VIGE LA LEGGE DELLA GIUNGLA (di più)

Ancora confusa la dinamica che ha portato alla morte del tenente colonnello dei carabinieri Cristiano Congiu nella Valle del Panjshir, in Afghanistan e ancora da chiarire perché l‘ufficiale si trovasse da quelle parti. Non

si può escludere l‘ipotesi che si trattasse di una serie di attività informative circa i traffici e le rotte dell‘oppio

in uscita dall‘Afghanistan. (LIBERO 5 GIUGNO DI GIANANDREA GAIANI).

IL TRAFFICO DI OPPIO CHE GLI ITALIANI CERCANO DI ARGINARE (di più) Malgrado dieci anni di guerra contro i talebani, l‘Afghanistan resta il primo produttore di oppio al mondo. La

strategia prevalente dell‘Occidente per eliminare il problema è di stampo economico: si cerca di convincere i

coltivatori a cambiare le colture di oppio con altre più remunerative. Gli italiani, in particolare, hanno puntato molto sullo zafferano. (IL MESSAGGERO 5 GIUGNO DI RICCARDO DE PALO)

"NOI, CHIUSI IN CASA PER PAURA DEI TALIBAN" A HERAT, LA CITTÀ NELLA MORSA DEL

TERRORE (di più) L´allarme dopo gli ultimi attacchi. Italiani sempre più sotto tiro. I volontari delle Ong: "La nostra sola arma di

difesa è mantenere un profilo basso". L´attentato contro i militari rientra nell´offensiva di primavera degli

insorti. (LA REPUBBLICA 5 GIUGNO DI PIETRO DEL RE)

WASHINGTON PRONTA A RIABILITARE I TALEBANI? (di più) Secondo il ―Guardian‖, Usa e Regno Unito fanno pressioni sull‘Onu perché cancelli alcuni nomi pesanti dalla

lista nera. Incluso l‘ex capo della polizia religiosa. Non è chiaro quale carta Islamabad stia giocando e se ha

avuto luce verde da Washington per favorire i contatti coi talebani al prezzo di poter controllare da vicino la possibile futura pace. Per assicurarsi che Kabul resti nella sfera d‘influenza del Paese dei puri. (IL

RIFORMISTA 4 GIUGNO DI EMANUELE GIORDANA)

PERCHÉ I NOSTRI SOLDATI SONO SOTTO ATTACCO (di più)

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Oggi, in Afghanistan e in ogni teatro operativo stiamo tutti pagando una sola cosa: la senescenza dell'azione strategico-politica. E' vecchia, stanca, senza idee per il futuro, senza priorità, senza credibilità. Se ne sono

accorti tutti e ce la fanno pagare. (L’ESPRESSO 3 GIUGNO DI FABIO MINI)

“SONO STATO ALL’INFERNO” (di più)

Lunedì 30 maggio a Herat l‘ennesimo attacco contro i militari italiani con kamikaze e uomini armati. Il conduttore Massimo Giletti, andato in Afghanistan per visitare di persone il contingente italiano, racconta la

sua esperienza. Il suo reportage andrà in onda il 5 e il 12 giugni su Rai 1 nel corso di Domenica in. (PANORAMA 2 GIUGNO)

AGENDA_________________________________________________________________________________

OTTOBRE – LA BRIGATA SASSARI TORNA IN AFGHANISTAN

2 NOVEMBRE – LA TURCHIA OSPITA AD ISTAMBUL UNA CONFERENZA REGIONALE SULL’AFGHANISTAN

La Turchia ospiterà il 2 novembre 2011 ad Istanbul una Conferenza sull'Afghanistan a cui parteciperanno tutti i paesi confinanti e vicini per accompagnare gli sforzi di pace e riconciliazione del governo afghano. Lo

riferiscono oggi i media a Kabul. La decisione di tenere la Conferenza è stata presa oggi. a margine della IV

Conferenza dell'Onu sui paesi meno sviluppati, durante una colazione di lavoro offerta dal ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu ad Ankara, ed a cui hanno partecipato i ministri dei paesi che parteciperanno

all'incontro, quali lo stesso Afghanistan e poi Pakistan, India, Iran, Turkmenistan, Tagikistan, Kirghizistan, Arabia saudita e Emirati arabi uniti. In un comunicato stampa in cui manifestano la loro adesione

all'iniziativa, i paesi firmatari riaffermano che l'appoggio al processo di trasferimento delle responsabilità della

sicurezza all'Afghanistan entro il 2014. ''Un Afghanistan sicuro, stabile e prospero - si legge nel documento - è vitale per la stabilità e la pace di tutti, ma una simile atmosfera può essere assicurata solo in un più ampio

contesto che rifletta l'amicizia e la cooperazione regionale''. (ANSA 10 MAGGIO).

5 DICEMBRE - CONFERENZA INTERNAZIONALE SULL’AFGHANISTAN A PETERSBERG IN GERMANIA

Dieci anni dopo la conferenza di Petersberg, la stessa cittadina tedesca alle porte di Bonn, nell'ovest della

Germania, ospiterà il prossimo 5 dicembre un altro summit internazionale sull'Afghanistan. Lo ha reso noto oggi a Berlino il rappresentante del governo tedesco per l'Afghanistan, Michael Steiner. All'appuntamento,

parteciperanno oltre 1.000 delegati, inclusi i ministri degli esteri di 90 Paesi. La conferenza del 2001 servì a definire gli accordi per un governo di transizione in Afghanistan e gettare le basi per la ricostruzione. A

dicembre, ha spiegato Steiner, si farà anche un bilancio del processo di ricostruzione. Il summit

internazionale coincide con il previsto inizio del ritiro delle truppe tedesche dall'Afghanistan, che dovrebbe concludersi nel 2014. (ANSA 8 MARZO)

23 MARZO 2012 – SCADE LA MISSIONE DI ASSISTENZA CIVILE DELL'ONU IN AFGHANISTAN (UNAMA) PROROGATA DI UN ANNO IL 22 MARZO 2011.

ISSUES___________________________________________________________________________________

BILANCIO VITTIME MILITARI DALL’INIZIO DEL CONFLITTO AL 8 GIUGNO

(dal sito icasualties.org)

Australia 27 Georgia 8 New Zeland 2 Turkey 2

Belgium 1 Germany 53 Norway 10 UK 371

Canada 156 Hungary 6 Poland 27 US 1613

Czech 4 Italy 36* Portugal 2 Nato 1

Denmark 40 Jordan 2 Romania 19 Not yet Reported 0

Estonia 8 Latvia 3 South Korea 1

Finland 2 Lithuania 1 Spain 31

France 59 Netherlands 25 Sweden 5 TOTALE 2515 * Le vittime italiane in realtà sono 37. Ma icasualties.org non menziona tra i decessi quello dell’agente dell’Aise Pietro Antonio Colazzo.

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VARIAZIONE VITTIME PER PAESE NEL PERIODO 1 GIUGNO 8 GIUGNO

POLONIA GERMANIA AUSTRALIA GB NATO USA VITTIME TOTALI VARIAZIONE DEL PERIODO SOPRAINDICATO

1 1 1 3 1 9

16

VITTIME TOTALI 2011

234

http://www.italiafghanistan.org/Dati.aspx

LE NAZIONI CHE HANNO INVIATO IL MAGGIOR NUMERO DI UOMINI:

Gli STATI UNITI schierano 90.000 uomini, il numero più alto tra tutti i Paesi dell'Alleanza presenti in Afghanistan. Seguono la GRAN BRETAGNA con 9.500 uomini, la GERMANIA con 4.812, la FRANCIA

con 3.935, L'ITALIA con 3.880, il CANADA con 2.922, la POLONIA con 2.560, la TURCHIA con 1.786 unità, la ROMANIA 1.938 soldati, l‘ AUSTRALIA 1.550 soldati e la SPAGNA con 1.552.

LE ALTRE NAZIONI (FONTE NATO):

ALBANIA 260 soldati ARMENIA 40 soldati

AUSTRIA 3 soldati AZERBAIJIAN 94 soldati BELGIO 507 soldati BOSNIA E

HERZEGOVINA 55 soldati BULGARIA 602 soldati CROAZIA 320 soldati REPUBBLICA

CECA 519 soldati COREA 426 soldati DANIMARCA 750 soldati ESTONIA 163

soldati FINLANDIA 156 soldati GEORGIA

937 soldato GRECIA 162 soldati UNGHERIA 383 soldati ISLANDA 4 soldati

IRLANDA 7 soldati LETTONIA 139 soldati

LITUANIA 237 soldati LUSSEMBURGO 11 soldati MALESIA 31 soldati MONGOLIA 74

soldati MONTENEGRO 36 soldati NUOVA ZELANDA 191 soldati NORVEGIA 406 soldati

PORTOGALLO 133 soldati OLANDA con 192 soldati SINGAPORE 21 soldati SLOVACCHIA

308 soldati SLOVENIA 80 soldati SVEZIA 500

soldati TONGA 55 soldati MACEDONIA 163 soldati UCRAINA 22 soldati EMIRATI ARABI

UNITI 35 soldati

TOTALE APPROSSIMATIVO 132.457

BIN LADEN: SONDAGGIO IN 22 PAESI, PER IL 75% GIUSTO ELIMINARLO

Un sondaggio 'globale' realizzato dall'istituto demoscopico 'Ipsos' su un campione complessivo di circa 17.000

persone, contattate in 22 Paesi diversi dopo l'uccisione di Osama bin Laden in Pakistan da parte delle forze speciali Usa, il 2 maggio scorso, ha rivelato che ben i tre quarti degli interpellati ritengono che sia stato

giustificato il blitz allestito da Washington per eliminare il fondatore di 'al-Qaeda'. Solo l'11 per cento, per contro, ritengono che, una volta scomparso lo 'sceicco del terrore', il mondo sia diventato più sicuro, mentre

per il 26 per cento lo e' diventato addirittura di meno rispetto a prima. Inoltre, appena il 15 per cento del

campione afferma di ritenere che gli attacchi di 'al-Qaeda' d'ora in poi diminuiranno, mentre per oltre il 40 per cento sono anzi destinati ad aumentare. Eppure, come evidenziato nella relazione che accompagna i dati,

in quasi ogni Paese dove il sondaggio è stato effettuato la risposta, di base, è sempre la stessa: nulla da ridire sulla 'esecuzione' di bin Laden. Gli Stati dove il tasso di approvazione è più alto sono tutti fornitori di

contributi all'Isaf, la Forza Internazionale di Assistenza per la Sicurezza in Afghanistan sotto comando Nato,

nella cui missione originaria rientrava per l'appunto anche la caccia al defunto leader della piu' temuta organizzazione terroristica planetaria. Infatti, negli Usa e' al massimo livello, il 95 per cento; seguono Francia

e Gran Bretagna con l'87, quindi Australia, Belgio e Canada con l'85 per cento. Poi la Polonia con l'83 per

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cento, mentre l'Italia si piazza all'ottavo posto con l'81 per cento, precedendo Ungheria (79 per cento), Germania (76), Svezia e Turchia (71), Spagna (70). A sorpresa, l'India 'impatta' con gli Stati Uniti al 95 per

cento, mentre il Brasile è al 77, il Sudafrica al 76 e persino la Russia si attesta a un notevole 75 per cento. I livelli più bassi sono emersi in Messico, Indonesia e Argentina, rispettivamente con il 66, il 54 e il 45 per

cento. Nessun Paese mediorientale è stato inserito nella campionatura. Il margine di errore è stato valutato

nell'ordine del 3,1 per cento circa. (AGI 7 GIUGNO)

AFGHANISTAN: SONDAGGIO, AUMENTANO AMERICANI FAVOREVOLI ALLA GUERRA Il numero di americani per i quali vale la pena combattere la guerra in Afghanistan è in aumento, per la

prima volta, da quando il presidente Barack Obama ha annunciato, alla fine del 2009, un incremento

consistente delle truppe. Lo indica un sondaggio Washington Post-Abc News. Nella rilevazione, effettuata la scorsa settimana, il 43% degli americani è favorevole alla guerra, rispetto al 31% registrato a marzo. Una

percentuale significativa di questi consensi proviene da quegli elettori indipendenti sui quali Obama fa affidamento nella sua campagna per la rielezione. Tuttavia, nonostante l'uccisione di Osama Bin Laden da

parte delle forze speciali Usa, la maggioranza degli americani ancora ritiene che non valga la pena

combattere una guerra entrata ormai nel suo decimo anno. Il sondaggio ha anche rilevato che i 16 punti di popolarità guadagnati da Obama dopo l'uccisione del leader di Al Qaeda lo scorso mese, si sono dimezzati.

Inoltre, quasi tre americani su quattro dicono che l'Amministrazione dovrebbe ritirare "un numero sostanziale" di soldati dall'Afghanistan questa estate, sebbene meno della metà degli intervistati ritengono

che il governo lo farà veramente. (ADNKRONOS 7 GIUGNO)

AFGHANISTAN: 38 MILITARI ITALIANI MORTI IN MISSIONE

Con il tenente colonnello dei carabinieri Cristiano Congiu, (il terzo morto del 2011) ucciso con un colpo d'arma da fuoco nella valle del Panjshir dove si trovava con una donna americana, salgono a 38 le vittime

italiane dall'inizio della missione Isaf in Afghanistan, nel 2004. Di questi, la maggioranza è rimasta vittima di

attentati e scontri a fuoco, altri invece sono morti in incidenti, alcuni anche per malore ed uno si è suicidato. Il 2010 e' stato fino ad oggi l'anno più sanguinoso, con 13 vittime. Ecco i nomi dei militari italiani morti dal

2004 ad oggi: Caporal maggiore GIOVANNI BRUNO - 3 ottobre 2004 Capitano di fregata BRUNO VIANINI - 3 febbraio 2005 Caporal maggiore capo MICHELE SANFILIPPO - 11 ottobre 2005 Tenente

MANUEL FIORITO e maresciallo LUCA POLSINELLI - 5 maggio 2006 Tenente colonnello CARLO LIGUORI - 2 luglio 2006 Caporal maggiore GIUSEPPE ORLANDO - 20 settembre 2006 Caporal maggiori

GIORGIO LANGELLA e VINCENZO CARDELLA - 26 settembre 2006 Agente Sismi LORENZO D'AURIA -

24 settembre 2007 Maresciallo capo DANIELE PALADINI - 24 novembre 2007 Maresciallo GIOVANNI PEZZULO - 13 febbraio 2008 Caporal maggiore ALESSANDRO CAROPPO - 21 settembre 2008 Maresciallo

ARNALDO FORCUCCI - 15 gennaio 2009 Caporal maggiore ALESSANDRO DI LISIO - 14 luglio Tenente ANTONIO FORTUNATO, Sergente Maggiore ROBERTO VALENTE, Primo caporal maggiore MATTEO

MUREDDU, Primo Caporal Maggiore GIANDOMENICO PISTONAMI, Primo Caporal Maggiore

MASSIMILIANO RANDINO, Primo Caporal Maggiore DAVIDE RICCHIUTO - 17 settembre 2009 Caporal maggiore ROSARIO PONZIANO - 15 ottobre 2009 Agente Aise PIETRO ANTONIO COLAZZO - 26

febbraio 2010 Sergente MASSIMILIANO RAMADU' e caporalmaggiore LUIGI PASCAZIO - 17 maggio 2010 Caporal maggiore scelto FRANCESCO SAVERIO POSITANO - 23 giugno 2010 Capitano MARCO

CALLEGARO - 25 luglio 2010 Primo maresciallo MAURO GIGLI e caporal maggiore capo PIERDAVIDE DE CILLIS - 28 luglio 2010 Tenente ALESSANDRO ROMANI - 17 settembre 2010 Primo caporal maggiore

GIANMARCO MANCA, Primo caporal maggiore FRANCESCO VANNOZZI, Primo caporal maggiore

SEBASTIANO VILLE, Caporal maggiore MARCO PEDONE - 9 ottobre 2010 Caporal maggiore MATTEO MIOTTO - 31 dicembre 2010 Caporal maggiore LUCA SANNA - 18 gennaio 2011 Tenente MASSIMO

RANZANI - 28 febbraio 2011 Tenente colonnello dei carabinieri CRISTIANO CONGIU - 4 giugno 2011. (ANSA 4 GIUGNO).

AFGHANISTAN: CONGIU, CARABINIERE E PADRE MODELLO Un carabiniere fedele ''orgoglioso della divisa'' e ''un padre amorevole e premuroso''. Cristiano Congiu, 50

anni, il tenente colonnello ucciso con un colpo d'arma da fuoco in Afghanistan dove era in servizio presso l'ambasciata italiana come esperto antidroga, è ricordato così da amici e parenti che dopo la sua notizia si

sono radunati davanti alla villetta di Pontecorvo, paese del frusinate, dove abitano l'ex moglie e la figlia di 5 anni. Congiu negli anni '90 fu comandante della compagnia del Rione Traiano a Napoli, incarico che lasciò

per una presunta love story con una soldatessa americana che frequentava anche Francesco 'Sandokan'

Schiavone, boss dei Casalesi. Poi la carriera dell'ufficiale si spostò in provincia di Frosinone: dal '96 al 98 fu comandante della locale stazione di Pontecorvo dove molti ancora lo ricordano. Anche perché appena poteva

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andava a trovare la figlia di 5 anni alla quale era legatissimo. "Quando era qui perché tornava dalle missioni si dedicava molto alla piccola, la portava al parco, a mangiare il gelato e la portava in bicicletta", dicono

amici di Congiu in lacrime davanti al villetta protetta da un cordone di colleghi che vogliono tutelare al privacy della famiglia sconvolta dal lutto. In particolare della figlia, piccola e molto legata al padre. Per

questo, una psicologa è arrivata nella tarda mattinata per sostenere la bambina. A casa della ex moglie oltre

al viavai dei parenti e degli amici anche molte autorità: il Questore di Frosinone Giuseppe De Matteis, il Comandante provinciale dei carabinieri Antonio Menga e il sindaco di Pontecorvo. Più di un collega ricorda

Congiu come "un collega integerrimo, motivato e sempre pronto a fare il suo dovere". L'ufficiale per anni aveva lavorato in collaborazione con il primo dirigente della sezione anticrimine della questura di Frosinone,

Mino De Santis. "Era un uomo di polso, credeva nella divisa che indossava e con lui abbiamo lavorato molto assiduamente per mettere a segno tra l'altro i primi arresti contro le infiltrazioni camorristiche nel Cassinate -

ricorda De Santis -. Ci interessammo anche della criminalità che girava attorno alle aziende marmifere che si

trovano a Sud della Ciociaria. La notizia della sua scomparsa ci ha lasciato senza parole". E proprio un episodio in particolare e' ricordato da molti colleghi: l'arresto di un pericolo latitante con alle spalle molti

omicidi e anche uxoricida che era fuggito dalla Sicilia con i suoi figli piccoli. Proprio questo arresto concluse la carriera di Congiu a Frosinone. ''In particolare, l'arresto era risultato difficile e opera di un'attenta operazione

investigativa - spiega un collega di Congiu - perché i latitante, Virgilio Cosentino, fuggendo dalla Sicilia, dopo

avere ammazzato la moglie dalla quale si era separato, Antonia Delfino, si era rifugiato a Frosinone in un appartamento assieme ai due figli di tre e sette anni. Le fasi dell'arresto dell'uomo, che aveva anche

problemi psichici, e quelle della liberazione dei due bambini, furono eseguite con cautela e professionalità da Congiu che ancora viene ricordato per questa 'impresa'''. E anche la dinamica dell'omicidio di Congiu, oggetto

di un'inchiesta della Procura di Roma, rivela in parte il suo spirito di carabiniere e uomo della legge

integerrimo e sempre pronto a difendere gli altri: secondo una prima ricostruzione, infatti, Congiu sarebbe stato ucciso per avere difesa una donna americana aggredita. (ANSA 4 GIUGNO).

DOCUMENTI___________________________________________________________________________

INFORMATIVA DEL GOVERNO SUI RECENTI ATTENTATI IN LIBANO E AFGHANISTAN CHE HANNO COINVOLTO MILITARI ITALIANI E CONSEGUENTE DISCUSSIONE (ORE 15,07) CROSETTO, sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, onorevoli senatori, sono qui a riferire su due attacchi che hanno coinvolto i nostri contingenti in Libano e in Afghanistan e che hanno portato al ferimento di alcuni militari italiani. Il primo si è verificato nel pomeriggio del 27 maggio, quando un mezzo italiano del contingente UNIFIL, mentre percorreva il tratto stradale tra Beirut e Shama, all'ingresso dell'abitato di Sidone, veniva investito dall'esplosione di un ordigno, che provocava il ferimento dei sei militari italiani trasportati a bordo. Il secondo attacco, invece, è avvenuto nella mattinata del 30 maggio, contro la base del PRT, cioè l'organismo di ricostruzione provinciale di Herat, con ordigni esplosivi e fuoco diretto che hanno causato il ferimento di cinque militari italiani (…) Passo ora a descrivere l'attacco alla sede del PRT di Herat in Afghanistan su base del 132° reggimento artiglieria Ariete. Sulla base delle informazioni in nostro possesso in questo momento e che dovranno essere confermate dall'inchiesta in atto, l'attacco si è verificato il 30 maggio alle ore 11,15, ovvero 8,45 italiane, ed era stato preceduto dall'esplosione di una moto, una motobomba per l'esattezza, presso l'ospedale civile di Herat, probabilmente con scopi diversivi. Dopo pochi minuti, un camioncino di colore bianco Mazda, tipo Titan, carico di sacchi di cemento e sabbia, si è presentato ad un posto di controllo che regola i movimenti sulla strada lungo il lato Sud di Camp Vianini, sede del PRT, verosimilmente accompagnato da due motociclisti che avrebbero distratto il personale di guardia dell'agenzia di sicurezza afgana Serv Cor Security posto a presidio del check point, consentendo all'automezzo di riprendere il movimento lungo la serpentina di ingresso per tentare di sfondare il portone principale del compound dove ha sede il PRT. Il veicolo, penetrato oltre il posto di controllo, ha superato l'ingresso Sud dell'insediamento militare ed è andato ad esplodere lungo il muro di recinzione a pochi metri di distanza. Chi ha avuto occasione di visitare Herat sa che le vie intorno sono chiuse e per accedere a quelle vie, che possono anche condurre ad altri punti e non solo alla sede del PRT, c'è una prima porta e una prima fase di controllo. L'azione quindi non è riuscita per il complesso di misure esistenti e il camioncino non è riuscito a centrare la porta di ingresso andando a sbattere, esplodendo, contro il muro esterno della base, disintegrandolo. Subito dopo l'esplosione sembra confermato che alcuni terroristi, scesi da un veicolo che seguiva il camion ed intenzionati a penetrare nel compound a seguito del forzamento dell'ingresso principale, visto il fallimento del piano di attacco, si sono rifugiati all'interno di una palazzina antistante la base da cui hanno iniziato un fuoco diretto sugli edifici del PRT. La deflagrazione causata dall'esplosivo portato dal camioncino ha provocato rilevanti danni ad una palazzina utilizzata dall'Unità di cooperazione civile e militare nazionale ed il crollo di un'altana.

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L'esplosione ha causato la morte, oltre che dell'attentatore, anche di un interprete afgano che si trovava all'esterno della base e, unitamente alle conseguenze del crollo delle infrastrutture, è stata causa del ferimento dei nostri militari che non sono risultati colpiti da armi da fuoco. Alle successive ore 8,59 italiane, ovvero alle 11,29 locali, immediatamente dopo l'attacco dinamitardo, ha preso avvio l'attacco a fuoco da parte degli insurgent che si erano introdotti negli edifici adiacenti il PRT e, in particolare, in una casa in costruzione, poi raggiunti dagli altri che sarebbero dovuti entrare nel portone principale. Il fuoco veniva condotto con l'impiego di armi portatili, bombe a mano e razzi anticarro RPG. Un razzo ha colpito il veicolo civile Toyota, in uso al comandante del PRT, che, incendiandosi, ha provocato l'incendio di un ufficio adiacente. Al termine dello scontro e del rastrellamento venivano ritrovati due giubbotti esplosivi che non era stato possibile utilizzare da parte dei terroristi. A seguito dell'esplosione è stato immediatamente attivato il piano di difesa ed il personale ha raggiunto le postazioni predefinite per la reazione. Personale italiano presente nel PRT ha reagito all'attacco con le armi in dotazione ingaggiando gli obiettivi avversari rappresentati dagli insurgent localizzati negli edifici vicini al PRT. A seguito dell'evento, il comando del Regional Command West ha disposto l'immediato intervento di elicotteri tipo A129 Mangusta per il supporto di fuoco, di altri elicotteri multiruolo per l'evacuazione del personale ferito, di velivoli AMX in ricognizione, nonché di personale di rinforzo motorizzato arrivato a bordo dei Lince. Nel contempo, il Regional Command West ha allertato le forze di sicurezza afgane che alle ore 9,14 ora italiana (11,44 locale) hanno rapidamente cinturato l'area ingaggiando a loro volta le sorgenti di fuoco avversarie. In sintesi, in tempi successivi, sono intervenuti i nostri militari in servizio di guardia e della Forza di reazione immediata del PRT, le Forze speciali italiane e statunitensi per le operazioni di messa in sicurezza. Inoltre, il personale italiano specializzato ha proceduto alle operazioni di bonifica e messa in sicurezza all'interno del compound. All'esterno personale nazionale e statunitense è intervenuto, unitamente alle Forze di sicurezza afghane nella palazzina da dove proveniva l'azione di fuoco e per la disattivazione di ordigni esplosivi. Infine, il personale delle Forze di polizia e di sicurezza afghane ha provveduto per la messa in sicurezza e la bonifica della zona circostante il PRT. Le attività di rastrellamento si sono concluse alle ore 17,25 locali. Durante l'evolversi degli eventi, il personale del PRT ha segnalato di aver udito complessivamente 11 esplosioni provenienti dal di fuori del sedime militare: la prima, già citata, nella zona dell'Ospedale civile, a circa 1 km dal PRT; altre tre nell'area nella quale si erano asserragliati gli insorti, sin da circa 100 metri ad Est del main gate, ossia dell'ingresso principale, del PRT. Non è stata confermata invece la notizia di un altro attacco condotto contro la sede del governatore di Herat, che era circolata in un primo momento. A seguito dell'esplosione e del crollo della palazzina CIMIC, si è registrato il ferimento di 5 militari italiani, più uno in stato di shock. I feriti sono stati inizialmente evacuati sull'ospedale spagnolo Role 2 di Herat. Un funzionario del Ministero degli affari esteri italiano ha subito uno shock traumatico, mentre 7 tra i componenti non nazionali del PRT si è realizzato il ferimento di quattro civili, di cui uno sloveno e tre afghani. Vi ho già anticipato che nessuno di loro è stato colpito da proiettili, ma tutti da schegge e macerie dovute all'esplosione. In particolare, il ferito più grave è un capitano, che ha riportato una lesione pancreatica post-traumatica, una piccola frattura vertebrale dorsale e una contusione lobo frontale. Altri quattro hanno riportato fratture e lesioni varie. Ad oggi hanno fatto tutti rientro in Italia e sono tuttora ricoverati presso il Policlinico militare di Roma del Celio. Le Forze di sicurezza afghane hanno dichiarato di aver neutralizzato i cinque insorti individuati nel rastrellamento degli edifici nei pressi del luogo dell'attentato ed è stato inoltre catturato l'attentatore che ha fatto esplodere l'ordigno nei pressi dell'ospedale, pochi minuti prima dell'attacco al compound. Al termine dell'evento sono stati contati 5 deceduti e 32 feriti tra i locali afghani e uno dei feriti è successivamente deceduto. Anche a loro, oltre che alle famiglie dei nostri militari e del popolo afghano, va la nostra vicinanza e la nostra commossa solidarietà. Signor Presidente, onorevoli senatori, svolgo alcune breve considerazioni anche sull'Afghanistan, che in questo momento è interessato da una fase cruciale, quella della transizione delle responsabilità di sicurezza dalle Forze ISAF a quelle afghane. Herat rappresenta senza dubbio il simbolo del processo della transizione nella regione Ovest ed appare evidente che l'attentato sia parte di una strategia della tensione rivolta contro tale processo. Proprio nella giornata dell'evento di cui vi sto riferendo, il 30 maggio, era in atto la Conferenza nazionale afgana di tutti i consigli provinciali. Fino a tale data Herat era rimasta assolutamente estranea alle azioni ostili di questi ultimi mesi, ma evidentemente questa Conferenza deve essere stata ritenuta dagli insurgents un'occasione importante e propizia per ostacolare il processo di transizione su cui si basa la strategia della missione internazionale. D'altra parte, nonostante fosse chiaro che questo evento avrebbe potuto sicuramente portare ad azioni ostili, non possiamo rimproverare nulla perché tutte le misure di sicurezza possibili erano state approntate nella regione Ovest. Nella regione Nord c'è un'altra zona considerata tranquilla, quella sotto il comando tedesco, che aveva subito proprio nei giorni precedenti un altro attentato in cui era rimasto coinvolto un generale tedesco. Mettendo insieme i due eventi, è chiaro che la strategia è quella che ho appena enunciato, ossia tentare di bloccare la fase di transizione che evidentemente è quella che più di ogni altra preoccupa gli insurgents afghani, talebani e quant'altro.

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Sul piano tattico la valutazione dei nostri militari è che l'attacco sia comunque fallito (dal loro punto di vista, dal punto di vista di chi lo ha organizzato e condotto), nonostante i feriti e i morti afghani che ha prodotto. Evidentemente l'obiettivo era assai diverso e va registrato che tutti coloro che hanno condotto l'attacco sono stati neutralizzati. Deve, però, essere segnalato che anche in questo caso chi ha pagato il prezzo più alto sono stati i civili inermi, coinvolti in maniera sconsiderata e irresponsabile dai terroristi in questo attacco, che hanno pagato con la vita. Occorre sottolineare un dato, che è l'unico aspetto positivo di questa ulteriore drammatica vicenda che si aggiunge ai tanti lutti e ai tanti momenti di tensione che abbiamo dovuto commentare anche in quest'Aula. Tutta la dinamica che vi ho illustrato consente di esprimere un giudizio estremamente positivo sulla accresciuta capacità reattiva della polizia e dell'esercito afghano, che sono stati addestrati dai nostri militari e hanno dimostrato anche in tale occasione di aver acquisito la capacità di stare sul terreno e di rispondere alle ostilità, capacità ormai vicina alla professionalità del contingente internazionale. Questo è un titolo di vanto per gli istruttori, ma è soprattutto un motivo di conforto per chi, come noi, aspira a rendere operativa e decisiva la fase di transizione, che, secondo le previsioni, potrebbe concludersi nel 2014, con la riconsegna di tutto il territorio afgano al legittimo Governo di quel Paese. Certamente non è possibile escludere che in futuro si verifichino altri eventi similari, anzi devo dirvi che la fase è tale per cui ogni ora siamo in contatto, perché temiamo la possibilità di ripetizioni di atti del genere. Ma, dall'altro lato, la capacità di reazione mostrata dalle nostre forze e da quelle afgane costituisce un valido presupposto perché il progetto di trasferire la responsabilità di sicurezza nelle loro mani possa essere completato positivamente. Un altro elemento che bisogna segnalare è che l'attacco non è stato disposto contro un dispositivo militare; si è trattato anzi di un attacco contro un organismo di ricostruzione, che tende ad assicurare condizioni di vita migliori al popolo afgano (ospedali, scuole, acqua, condizioni di socializzazione). Questo dimostra da un lato il lavoro che è stato fatto e, dall'altro, che gli insurgents, i terroristi, temono più di ogni cosa la nostra capacità di conquistare il cuore e le menti dei cittadini afgani. Non si spiega altrimenti la volontà di attaccare non una base militare, ma un luogo nel quale i cittadini comunque hanno solo dato amicizia, solidarietà, vicinanza, con forte aiuto. Per concludere, credo che quello dei giorni scorsi sia stato evidentemente un disperato tentativo degli insurgents di impedire questo processo, che è in atto, che noi consideriamo avanzato in Afghanistan e che ci consente di sperare bene per il futuro, di cui però non vi nascondo i pericoli. Essi non diminuiranno; anzi, con l'avvicinarsi dell'obiettivo è prevedibile che vi siano dei tentativi di "colpi di coda", quanto più dolorosi possibile, a cui i nostri militari e tutto il contingente internazionale stanno rispondendo con la solita professionalità, con il solito spirito di abnegazione e con la solita capacità di sacrificio. A loro, a questi ragazzi, alle ragazze, ai loro comandanti, che così bene stanno cercando di condurre avanti questa difficilissima missione, vanno la mia e - sono convinto - anche la vostra vicinanza e la vostra solidarietà. (RESOCONTO STENOGRAFICO SENATO.IT 8 GIUGNO)

TOP NEWS (DI PIU’)______________________________________________________________

DOMANI A ROMA MINISTRO LA RUSSA CONSEGNA CROCE D’ORO CARABINIERI A GENERALE

PETRAEUS Domani alle 18 a Roma - Viale di Tor di Quinto 119, presso la sala di rappresentanza della Caserma 'Salvo

D'Acquisto', sede del Comando Unità Mobili e Specializzate - il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, consegnerà la Croce d'Oro al Merito dell'Arma dei Carabinieri al generale David Howell Petraeus, comandante

Isaf e US Forces Afghanistan. I rappresentanti delle testate giornalistiche che desiderino presenziare alla

cerimonia possono accreditarsi, entro le 14 di domani, inoltrando su carta intestata dell'organo di informazione richiedente una e-mail all'indirizzo [email protected] o un fax al numero

06.80982820. Gli accrediti potranno essere ritirati direttamente presso l'ingresso della Caserma 'Salvo D'Acquisto' a partire dalle ore 15.30 del 9 giugno. (ANSA 8 GIUGNO).

AFGHANISTAN: CROSETTO, VERSO FINE MISSIONE MA ANCORA A RISCHIO ATTENTATI ―In Afghanistan siamo oramai alla fase cruciale di transizione e si può mantenere il 2014 come orizzonte

temporale per la riconsegna del paese all'autorità del legittimo governo locale". E' quanto afferma il sottosegretario alla Difesa, Guido Crosetto, intervenendo al Senato per ricostruire la dinamica dell'attentato

in Afghanistan dello scorso 30 maggio. "Il fatto che si avvicini la fine della fase di transizione -avverte Crosetto- non esclude purtroppo la possibilità che si verifichino altri attentati terroristici, frutto della strategia

della tensione mirata a colpire proprio il processo di pace". Il sottosegretario alla Difesa sottolinea che è

presumibile attendersi che "gli attentati non diminuiranno", anzi "si rischiano colpi di coda pericolosi da parte dei terroristi". Quanto all'attentato a Herat contro la sede del Prt, il team di ricostruzione provinciale, che ha

provocato cinque feriti fra i militari italiani, Crosetto osserva che "sul piano tattico, l'azione terroristica e' fallita dal punto di vista degli attentatori, avendo provocato vittime soltanto fra i civili. C'e' inoltre da

registrare una positiva capacità di reazione sia della polizia che dell'esercito afghano che noi addestriamo:

questo e' un motivo di conforto". (ADNKRONOS 8 GIUGNO)

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AFGHANISTAN: W. POST, CONGRESSO USA ATTACCA PROGRAMMI DI NATION BUILDING

Il dispendiosissimo sforzo di nation building messo in atto da Washington in Afghanistan ha avuto un successo limitato e potrebbe non sopravvivere ad un ritiro americano dal paese. Questi i risultati di

un'inchiesta di due anni condotta dal Congresso americano, risultati contenuti in un rapporto di cui verranno

divulgati oggi i contenuti. Ad anticiparlo il Washington Post, precisando che il documento esorta l'amministrazione a ripensare con urgenza i propri programmi di assistenza, proprio mentre il presidente

Barack Obama si appresta ad avviare il ritiro delle truppe l'estate prossima. Il rapporto, messo a punto dallo staff democratico della Commissione Esteri del Senato americano riflette le crescenti preoccupazioni sulla

strategia di Obama tra i suoi stessi sostenitori all'interno del partito. Per il presidente della Commissione, il senatore democratico John F. Kerry, il rapporto vuole aiutare l'amministrazione "a riflettere ed analizzare" e

quindi decidere come andare avanti. In particolare, nel documento si descrive l'uso di aiuti economici volti a

stabilizzare le aree da cui sono stati cacciati i Talebani -componente chiave della strategia antinsorti dell'amministrazione- come un soluzione a breve termine che da' risultati politicamente graditi. Al tempo

stesso -si ammonisce però- l'enorme quantità di contanti rischia di distorcere le culture e le economie locali, e non ci sono grandi indizi del fatto che produca risultati positivi duraturi. Tra gli esempi citati dal rapporto il

cosiddetto Performance-Based Governors Fund, tramite il quale si possono distribuire fino a 100mila dollari al

mese in fondi americani a leader provinciali individuali per essere usati per spese locali e progetti allo sviluppo. In alcune province "questa somma rappresenta una gigantesca quantità di denaro che i funzionari

locali sono incapaci di spendere in modo saggio". Il rapporto mette anche in guardia dal rischio di una depressione dell'economia afgana con l'inevitabile riduzione del numero dei militari stranieri e della spesa allo

sviluppo che attualmente costituiscono il 97 per cento del prodotto interno lordo. Il "passo più importante"

che l'amministrazione americana potrebbe compiere, si legge nel rapporto, consisterebbe nel smettere di pagare agli afgani stipendi gonfiati per lavorare alle dipendenze di governi e contractor stranieri. Tali pratiche

"hanno allontanato dipendenti qualificati dal governo afgano e creato una cultura di dipendenza economica". Alla Casa Bianca e al Congresso si e' aperto il dibattito sui tempi del ritiro dei 100mila militari americani

dall'Afghanistan. Il segretario alla Difesa Robert Gates ha chiesto "una modesta riduzione" che eviti di mettere a repentaglio i recenti passi avanti compiuti sul terreno. Ma un crescente numero di legislatori

appartenenti ad entrambi i partiti hanno chiesto un più ampio riesame della strategia di Obama in

Afghanistan, sostenendo che i costi della guerra non possono essere sostenuti in tempi di difficoltà economiche. (ADNKRONOS 8 GIUGNO)

AFGHANISTAN: MILITARI ITALIANI SCOVANO UN DEPOSITO OCCULTO DI ESPLOSIVI

I militari italiani, durante un'operazione congiunta con l‘esercito afgano, hanno scovato un deposito occulto

contenente una grossa quantità di armi ed esplosivi. L‘operazione denominata ―Lair of the wolf‖, la tana del lupo, si è sviluppata 50 chilometri a nord della base avanzata italiana di Bala Balouk, all‘estremo sud dell‘area

di operazione del contingente italiano guidato dal Generale di Brigata Carmine Masiello. Le indicazioni fornite dalla popolazione, unite alle informazioni in possesso dei paracadutisti del 187° Reggimento paracadutisti

―Folgore‖ di Livorno, hanno permesso di identificare il nascondiglio nel quale gli insurgents celavano una vera e propria ―santabarbara‖ nella quale sono state rinvenute armi portatili, munizioni, bombe da mortaio,

granate, mine, razzi, detonatori, materiale elettrico e fusti di liquido altamente esplosivo. I tecnici del genio,

dopo aver documentato e catalogato il materiale rinvenuto, hanno provveduto a distruggerlo. Il materiale distrutto avrebbe rappresentato una grande minaccia per la popolazione afgana desiderosa di pace, sicurezza

e stabilità. (ITALFOR KABUL E RC-W 7 GIUGNO)

AFGHANISTAN: A PONTECORVO IN 4 MILA PER L'ADDIO A CONGIU

Una giornata di forte commozione e dolore per l'ultimo saluto al tenente colonnello Cristiano Congiu. La città di Pontecorvo, a Frosinone, dove vive la famiglia del carabiniere ucciso venerdì scorso in Afghanistan, si è

fermata oggi per l'addio al militare che per otto anni aveva guidato la Compagnia locale dell'Arma. Il sindaco ha proclamato il lutto cittadino e quasi quattromila persone hanno affollato la cattedrale di San Bartolomeo,

in pieno centro storico, dove si è svolto il rito funebre officiato dal vescovo di Sora, mons. Filippo Iannone.

Durante l'omelia l'alto prelato ha richiamato, prendendo spunto da una lettera di San Paolo, il valore del carabiniere e il suo coraggio, ricordando la figura, l'impegno e il valore umano di Cristiano Congiu. Il vescovo

ha donato, dopo averla appoggiata per pochi secondi sul feretro del tenente colonnello, una coroncina alla madre e alla moglie del militare ucciso. In prima fila, oltre alla consorte e ai genitori distrutti dal dolore, i

parenti e i colleghi di Congiu che hanno portato a spalla la bara, salutata all'arrivo a Pontecorvo da un lungo applauso da centinaia di persone che erano in attesa del rientro della salma nella cittadina in provincia di

Frosinone. Numerose le autorità presenti al funerale, come il sottosegretario Guido Crosetto. Presenti anche

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il presidente della provincia Antonello Iannarilli, il presidente del Consiglio regionale del Lazio Mario Abbruzzese, il prefetto di Frosinone Paolino Maddaloni, il comandante generale dell'Arma dei carabinieri

Leonardo Gallitelli, che è stato sempre vicinissimo ai familiari del tenente colonnello ucciso in una località della valle del Panjshir, nell'Afghanistan nord-orientale. In mattinata, nell'istituto di medicina legale

dell'università La Sapienza di Roma, diretto dal professor Paolo Arbarello, è stata invece effettuata l'autopsia

sull'ufficiale ucciso. Ferite da colpi d'arma da fuoco al petto e al viso: hanno stabilito i primi accertamenti. Il lungo giorno dell'addio all'ufficiale dei carabinieri era cominciato questa mattina all'aeroporto di Ciampino

dove a rendere omaggio alla salma del ten. Colonnello Cristiano Congiu, erano presenti il ministro della Difesa, Ignazio La Russa ed il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta. (ANSA 7 GIUGNO) AFGHANISTAN/ NYT: PENTAGONO POTREBBE OPPORSI A RITIRO TRUPPE USA

Il Pentagono potrebbe opporsi al ritiro delle truppe americane dall'Afghanistan. Secondo quanto scrive il New

York Times, il dipartimento della Difesa crede che un richiamo troppo sostanzioso di forze potrebbe essere precoce e pregiudicare i progressi compiuti nel paese centro-asiatico. In Afghanistan, dove si trova per

congedarsi dalla truppe prima di lasciare a fine mese, il segretario alla Difesa, Robert Gates, ha detto di credere che "non sia ancora giunto il momento di allentare la tensione, almeno per i prossimi mesi". Gates

continua, come ha sempre fatto in passato, a difendere la strategia di contro-insurrezione. Secondo il

segretario della Difesa, questa è fondamentale per l'efficacia complessiva della strategia antiterroristica americana. Il Pentagono è consapevole di andare contro la Casa Bianca che, per motivi politici, lamenta i

costi, in termine di vite e miliardi di dollari, del conflitto. Anche il comandante americano a capo della missione Nato di addestramento delle forze di sicurezza afgane, il tenente generale William Caldwell,

sottolinea come il ritiro delle truppe dipenda dalla capacità degli afgani di garantire la sicurezza nella zona ed

è, pertanto, troppo precoce. Il comandante Nato ha detto che l'alleanza nordatlantica ha formato già 296.000 tra poliziotti e soldati, in linea con l'obiettivo di 305.000 unità entro ottobre, ma sottolinea come solo

una recluta su 10 sappia leggere e scrivere e come le defezioni sono numerose, in particolare nelle zone di guerra. Inoltre, dice Caldwell, il paese è afflitto da una corruzione dilagante. Il ritiro riguarda solo le 30.000

truppe addizionali che il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, aveva inviato in Afghanistan lo scorso anno per rinvigorire lo sforzo militare americano. Il ritiro di tutte le forze armate americane e alleate dal

paese centro-asiatico segue un'altra tabella, con scadenza 2014. L'addestramento Nato delle forze di

sicurezza afgane invece continuerà fino al 2017. (TMNEWS 7 GIUGNO)

AFGHANISTAN/ GATES: NATO VICINA A DARE COLPO DECISIVO A TALEBANI La forza della Nato in Afghanistan, composta per due terzi da soldati statunitensi, è sul punto di portare un

"colpo decisivo" agli insorti talebani. Lo ha detto il segretario alla Difesa Usa, Robert Gates, al termine di una

visita di quattro giorni in Afghanistan. "Lascio l'Afghanistan oggi con la convinzione che se conserveremo questa spinta porteremo un colpo decisivo al nemico e supereremo lo scoglio in questo conflitto", ha

dichiarato Gates ad alcuni ufficiali della coalizione, poco prima di salire sull'aereo. Nel corso della sua visita iniziata sabato a Kabul, l'ultima prima di abbandonare l'incarico - Gates ha ribadito che il costo del conflitto

afgano non avrà alcun ruolo nel determinare l'entità del ritiro statunitense dall'Afghanistan previsto a partire dal prossimo mese di luglio. "Ritengo che una volta impegnati, il successo di una missione debba prevalere

su qualsiasi altro criterio, perché la cosa più costosa sarebbe il fallimento", ha spiegato Gates, sottolineando

come ciò "non escluda degli aggiustamenti nella missione o nella strategia. L'obiettivo ultimo deve essere il successo della missione". (TMNEWS 7 GIUGNO)

AFGHANISTAN: TROVATO MORTO GOVERNATORE PROVINCIALE RAPITO, È STATO LAPIDATO

E' stato ritrovato oggi dalla polizia il corpo senza vita del capo del consiglio provinciale di Bamiyan,

nell'Afghanistan centrale, rapito nel fine settimana da ignoti nel nord del Paese e ucciso tramite lapidazione. Secondo quanto riferisce il governatore della provincia di Parwan, Basir Salangi, sabato Jawad Zahaak si

stava recando a Parwan quando un gruppo di uomini armati lo ha rapito. "Oggi la nostra polizia ha ritrovato il corpo'', ha detto Salangi all'agenzia di stampa tedesca Dpa. "Zahaak è stato lapidato a morte'', ha

aggiunto, precisando che i rapitori hanno gettato il suo corpo mutilato in una zona del distretto di Siagard.

Bamiyan e' una delle province più sicure del Paese, ma nelle due strade principali che collegano il centro del Paese con la capitale Kabul si corre il rischio di essere attaccati dai Talebani o da bande criminali. Bamiyan e'

una delle sei prime province dove le forze afghane prenderanno il controllo della sicurezza dalla Nato a luglio. Salangi ha accusato i Talebani del rapimento e dell'omicidio di Zahaak, chiamandoli ''assassini del popolo‖. Il

gruppo militante, responsabile di numerosi omicidi di alti rappresentanti di governo, politici e altri personaggi influenti e livello locale, non hanno commentato l'uccisione di Zahaak. (ADNKRONOS 7 GIUGNO)

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AFGHANISTAN: TALEBANI, FORSE A ONU 'LISTA NERA' SEPARATA L'Onu potrebbe rivedere i criteri adottati finora per la 'lista nera' dei terroristi e potrebbe crearne una

specifica di cui farebbero parte solo i talebani afghani, e questo per contribuire ad un eventuale consolidamento del processo di pace in Afghanistan. Lo ha dichiarato oggi a Kabul Peter Wittig,

rappresentate permanente della Germania nel Palazzo di vetro e presidente del Comitato delle sanzioni delle

Nazioni Unite. Nel corso di una conferenza stampa in cui ha anche confermato che l'Onu sta esaminando una richiesta del governo afghano di rimuovere dalla 'lista nera' una serie di nomi di leader talebani, Wittig ha

aggiunto che ''fra una o due settimane'' sarà presa la decisione se creare o meno una nuova 'blacklist' in cui sarebbero inseriti i nomi di 140 talebani afghani che finora erano mescolati ad altri terroristi, fra cui la

maggior parte legati ad Al Qaida. Finora esisteva un'unica lista di 450 nomi, ha infine detto Wittig, e anche se fra i talebani afghani ed Al Qaida non mancano punti di contatto, ''non sembra più appropriato mantenerli

nello stesso contenitore''. Se il Consiglio di sicurezza dell'Onu approverà la riorganizzazione delle 'liste nere',

ritengono da parte loro gli analisti, ci sarà un rafforzamento dell'iniziativa del presidente Hamid Karzai per l'avvio di un negoziato di pace e riconciliazione con i talebani. (ANSA 7 GIUGNO)

AFGHANISTAN: OBAMA VERSO DECISIONE NUMERO TRUPPE DA RITIRARE

Il presidente Barack Obama deciderà abbastanza presto quante truppe Usa ritirare dall' Afghanistan quando

a luglio scatterà il rientro delle forze Usa in quel paese, ha reso noto oggi la Casa Bianca. Obama ha discusso oggi alla Casa Bianca per due ore con i principali collaboratori sulla sicurezza della situazione in Afghanistan e

in Pakistan. Il portavoce presidenziale Carney ha detto che la quantità delle truppe da ritirare non è stata discussa comunque nella riunione odierna in attesa di ricevere un rapporto dal generale David Petraeus,

responsabile delle truppe nella regione. Alla riunione ha partecipato in videoconferenza anche il ministro della difesa Robert Gates, che si trovava in Afghanistan per un tour finale in attesa di lasciare il suo incarico. La

Casa Bianca ha reso noto che per mercoledì è in programma una videoconferenza tra Obama e il presidente

dell' Afghanistan Hamid Karzai. (ANSA 6 GIUGNO).

AFGHANISTAN:PEACEREPORTER,IN LOCO SI RACCONTA STORIA DIVERSA

E' fuori pericolo Mohtaudin, il giovane afgano di 24 anni ferito con un colpo di pistola dall'ufficiale dei carabinieri Cristiano Congiu prima che quest'ultimo fosse ucciso. Lo rende noto l'agenzia Peaceporter,

secondo la quale i giornali afgani riportano la stessa versione raccolta da Peacereporter due giorni fa. Il giovane, in cura presso l'ospedale di Emergency del Panshir, aveva raccontato una storia diversa rispetto a

quella resa pubblica da fonti dell'Arma. ''Io e un mio amico - ha raccontato Mothaudin a Peacereporter, agenzia vicina a Emergency - stavamo salendo dal bazar alla montagna con un asino carico di cibo. Il

sentiero era stretto e dalla montagna al bazar stavano scendendo il carabiniere italiano e una donna. Quando

ci siamo incrociati l'asino ha urtato la donna. Ho tentato di spostare l'asino. Immediatamente l'italiano ha tirato fuori la pistola. Quando ho visto l' arma pensavo stesse scherzando... Invece mi ha sparato. Il mio

compagno è scappato ed è andato al bazar ad avvisare gli abitanti dell'accaduto. Dopo un po' di tempo sono tornate altre persone che prima hanno picchiato con bastoni e pietre l'italiano, poi gli hanno sparato e se ne

sono andati''. Tutta la stampa locale, sottolinea Peacereporter, racconta la medesima versione, pur non

avendo accesso diretto alle informazioni del ferito, ricoverato in ospedale e impossibilitato a comunicare con il mondo esterno. Mohtaudin è stato piantonato dalla polizia solo lo scorso venerdì, quando ancora non erano

chiare alla polizia afgana le dinamiche dell'accaduto. Poi, il ragazzo è stato lasciato solo in ospedale, senza che contro di lui sia stata formulata alcuna accusa. ''Numerosi altri testimoni - riporta sempre Peacereporter -

hanno raccontato che l'italiano e la cittadina statunitense erano andati a visitare le miniere di smeraldi della zona di Khinch, nel Panshir. Rimane senza risposta da parte del Ministero della difesa l'interrogativo della

presenza in quella zona del militare e della sua ospite statunitense in visita a una miniera di smeraldi a

cinque ore da Kabul''. (ANSA 6 GIUGNO).

AFGHANISTAN: HERAT, 11 ARRESTI PER DOPPIO ATTACCO A ITALIANI Undici persone sospettate di essere coinvolte nel duplice attentato del 30 maggio a Herat (ovest

dell'Afghanistan) nel quale sono rimasti feriti cinque soldati italiani, sono state arrestate secondo quanto ha

annunciato il governatore della provincia. Undici persone ''che hanno preparato ed eseguito gli attentati sono state arrestate'' ha detto Daud Sabbah e tra di essi c'è l'uomo che ha ''fatto esplodere la bomba deflagrata

nel centro della città', ha detto il governatore Daud Sabbah. Il 30 maggio un kamikaze si era fatto esplodere davanti alla sede del Gruppo provinciale di ricostruzione della Nato, diretto dagli italiani e subito dopo altri

cinque assalitori avevano aperto il fuoco su un edificio adiacente. Almeno cinque persone sono morte, e 52 sono rimaste ferite tra cui i cinque militari italiani. L'attentato era stato rivendicato dai talebani. (ANSA 5

GIUGNO).

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AFGHANISTAN/ USA STUDIANO CALENDARIO RITIRO RINFORZI

Le decisioni del Pentagono sull'entità del ritiro statunitense dall'Afghanistan previsto per il prossimo luglio potrebbero comprendere anche un calendario per il rimpatrio dei 30mila militari statunitensi inviati di rinforzo

alla fine del 2009: lo ha annunciato il Segretario alla Difesa, Robert Gates. Le decisioni del Pentagono sull'entità del ritiro statunitense dall'Afghanistan previsto per il prossimo luglio potrebbero comprendere

anche un calendario per il rimpatrio dei 30mila militari statunitensi inviati di rinforzo alla fine del 2009: lo ha

annunciato il Segretario alla Difesa, Robert Gates. Secondo Gates - alla sua ultima visita a Kabul prima di abbandonare l'incarico - l'Amministrazione Obama sta attualmente riflettendo su due punti: il primo è

"l'entità della riduzione del numero di militari dispiegati in Afghanistan, che sarà annunciato nel prossimo luglio; il secondo è il far rientrare i rinforzi" inviati a partire dal 2009. (TMNEWS 5 GIUGNO).

AFGHANISTAN, CONGIU PICCHIATO A MORTE. GIALLO SU FACEBOOK: VOGLIONO FARMI TACERE

C‘è un ombra che si distende sulla morte del tenente colonnello dei carabinieri Cristiano Congiu. Un‘ombra che se trovasse qualche conferma, potrebbe far cambiare radicalmente quanto è accaduto nella valle del

Panjshir, nell‘Afghanistan nord-orientale. L‘ufficiale dell‘Arma avrebbe affidato a Facebook, in uno dei suoi

ultimi messaggi, un inquietante presagio: «Qualcuno mi vuol far tacere». Congiu era un grande esperto dell‘antidroga e in Afghanistan indagava proprio sulla produzione di droga destinata all‘esportazione. La sua

morte potrebbe quindi essere legata alla sua attività di investigatore, un agguato studiato nei minimi particolari per farlo tacere. Su quel messaggio ci sono due inchieste, una della magistratura e una dell‘Arma

dei carabinieri. Emanuele Fiano, presidente del forum Sicurezza e Difesa del Partito Democratico, ha chiesto al ministro della Difesa, Ignazio La Russa, di chiarire «ogni dubbio sul contenuto di uno degli ultimi messaggi

Facebook scritto dal tenente colonnello Congiu. La notizia secondo cui il messaggio di Congiu avrebbe

contenuto un riferimento al fatto che qualcuno avrebbe voluto farlo tacere per qualcosa che aveva scoperto o appreso - ha aggiunto Fiano - è inquietante ma va ovviamente confermata dalle inchieste. Intanto sarebbe

comunque importante sapere se tale messaggio esista veramente e se l‘autore sia stato davvero Cristiano Congiu. E‘ importante che venga sciolto rapidamente ogni eventuale dubbio sulla sua morte». L‘inchiesta

sull‘omicidio di Congiu ha comunque qualcosa di strano perché è stata trattenuta in stato di fermo cautelare

la donna americana che, secondo la versione ufficiale, sarebbe stata difesa dall‘ufficiale caduto poi nell‘imboscata mortale. La donna sarebbe stata fermata perché potrebbe offrire elementi utili all‘inchiesta.

Intanto cinque persone, tutte afghane, sono state arrestate. Sul posto è atteso ora l‘arrivo di quattro investigatori italiani. Ancora non è stato comunicato quando la salma di Congiu sarà rimpatriata. La salma del

tenente colonnello Cristiano Congiu, è stata trasferita nella base militare americana di Bagram, a nord di Kabul. Lo riferisce l'agenzia di stampa Pajhwok. Citando Inayatullah Toofan, portavoce del governatore

provinciale, l'agenzia ha precisato che i resti di Congiu sono stati prima trasferiti nella sede del Gruppo di

ricostruzione provinciale (Prt) del Panjshir, condotto dagli Usa, e quindi da qui portati nella base di Bagram. Pestato a morte. Per quanto riguarda le cause della morte di Congiu, il governatore del Panjshir, Karamuddin

Karim, ha sostenuto che essa non è stata dovuta ad un colpo d'arma da fuoco, ma ad un pestaggio. Per quanto riguarda infine lo stato delle indagini e l'identità della donna italo-americana che accompagnava

l'ufficiale dei carabinieri, nulla è trapelato oggi a Kabul, mentre presso l'ambasciata d'Italia nella capitale

afghana, fonti diplomatiche hanno sostenuto di non avere elementi perchè la vicenda «è in mano ad altre istanze». (IL MESSAGGERO.IT 5 GIUGNO)

AFGHANISTAN: ULTIMA VISITA DI GATES, NOSTRO IMPEGNO NON È INFINITO

I problemi di budget che gli Stati Uniti devono affrontare non comprometteranno la missione in Afghanistan

perché "un suo fallimento sarebbe la cosa più costosa". E' quanto ha detto Robert Gates arrivato oggi a sorpresa a Kabul per la 12esima ed ultima visita in Afghanistan del ministro della Difesa che alla fine del

mese lascerà il Pentagono dove è arrivato nel 2006 sotto la presidenza Bush. L'impegno Usa in Afghanistan non è comunque "infinito né per quanto riguardo i tempi né per quanto riguarda le risorse", ha voluto

sottolineare Gates nella conferenza stampa dopo il suo colloquio con il presidente Hamid Karzai, sottolineando la necessità che gli afghani assumano una maggiore responsabilità nella gestione della propria

sicurezza. L'impegno ad ottenere il successo in Afghanistan "non preclude la possibilità di aggiustamenti nella

missione e nella strategia- ha detto ancora Gates - ma l'obiettivo finale è avere successo nella missione indicata dal presidente". Con il Pentagono che dovrà affrontare tagli di budget nei prossimi anni, al

Congresso c'è chi parla di una riduzione dell'impegno delle truppe - citando sia i problemi finanziari del paese sia il fatto che con la morte di Osama bin Laden è stato raggiunto l'obiettivo principale - velocizzando il ritiro

del truppe che, secondo quanto fissato da Obama, dovrebbe iniziare il prossimo luglio e continuare fino al

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2014. A questo proposito Gates è tornato a ricordare che, sempre secondo gli ordini di Obama, il ritiro del mese prossimo è condizionato alla situazione del terreno, e che ancora nessuna decisione è stata preso sui

numeri iniziali del ritiro o sui tempi di quelli successivi. (ADNKRONOS 4 GIUGNO)

AFGHANISTAN: GATES, PREMATURO CAMBIARE STRATEGIA MILITARE

Al momento "è prematuro" cambiare strategia militare in Afghanistan. Lo ha affermato oggi a Kabul il ministro americano della Difesa Robert Gates, giunto oggi a sorpresa nella capitale afghana prima di

concludere a fine mese il suo mandato. Le truppe della Nato e afghane devono poter consolidare il controllo sulle aree sottratte agli insorti talebani, "penso che ogni cambiamento prima allora sarebbe prematuro", ha

detto Gates in una conferenza stampa assieme al presidente afghano Hamid Karzai. Il capo del Pentagono giunge in Afghanistan mentre l'amministrazione americana si prepara a valutare i modi e i tempi del graduale

ritiro che dovrà iniziare a luglio. Ma sin dal suo arrivo a Kabul, Gates ha voluto sottolineare che i problemi di

bilancio non possono incidere sulla strategia, perché in Afghanistan un "fallimento sarebbe la cosa più costosa". (ADNKRONOS 4 GIUGNO)

AFGHANISTAN: KARZAI A GATES,CESSARE ATTACCHI AEREI VILLAGGI

Il presidente afghano Hamed Karzai ha chiesto al segretario della difesa degli Stati Uniti Robert Gates, oggi

in visita nel Paese, di cessare i bombardamenti sui villaggi afghani. Parlando in una conferenza stampa congiunta con Gates, Karzai ha affermato: ''Abbiamo umilmente chiesto che gli attacchi aerei sulle case degli

afgani non si ripetano, data la nostra collaborazione con la comunità internazionale nella lotta al terrorismo. Gli afgani chiedono che i bombardamenti vengano cessati definitivamente e completamente''. Gates si è

impegnato a riferire la richiesta al governo degli Stati Uniti e alla Nato. (ANSA 4 GIUGNO).

PAKISTAN: DRONE USA UCCIDE IMPORTANTE CAPO DI AL QAIDA

Discussi, contestati, al centro di una viva polemica fra Washington e Islamabad, gli aerei senza pilota (droni) americani hanno messo a segno un altro importante colpo nei territori tribali pachistani alla frontiera con

l'Afghanistan, eliminando Ilyas Kashmiri, leader del movimento terroristico Harkat-ul-Jihad al-Islami (HuJI) e personalità considerata molto vicina ai vertici di Al Qaida. Quello realizzato ieri a Ghwakhwa, nel Waziristan

meridionale, era sembrato in un primo momento soltanto uno dei tanti blitz dei Predator operati dalla Cia, i

cui missili avevano causato la morte di cinque ''presunti militanti''. Ma a poco a poco, prima attraverso un'indiscrezione ricevuta dalla Bbc, poi direttamente con un comunicato dell'HuJI, la verità è emersa in tutta

la sua clamorosa importanza. Kashmiri infatti era il creatore della famosa Brigata 313, conosciuta anche come l'Armata fantasma, considerato responsabile di numerosi attacchi terroristici in Pakistan, India e Stati

Uniti, ed il suo nome era stato fatto nel ristretto gruppo di cinque o sei possibili successori alla guida di Al

Qaida dopo lo spettacolare blitz il 2 maggio dei Navy Seals ad Abbottabad. Sulla sua testa pendeva una taglia statunitense di cinque milioni di dollari, mentre l'Onu aveva inserito nell'agosto 2010 il suo nome in una

speciale lista di pericolosissimi ''terroristi globali''. Le autorità pachistane lo consideravano fra l'altro come il possibile architetto dell'attacco condotto il mese scorso contro la base navale PNS Mehran di Karachi durante

il quale un gruppetto di sei militanti sono riusciti a tenere in scacco un centinaio di uomini delle forze di elite, dopo aver distrutto due aerei Orion statunitensi del valore ognuno di 40 milioni di dollari. Gli analisti hanno

sottolineato oggi che a poche settimane dall'inizio del ritiro delle truppe Usa dall'Afghanistan, e un mese

dopo la scomparsa di Bin Laden, questo nuovo risultato ottenuto dalla Cia genera ottimismo sulle prospettive della lotta al terrorismo nelle Aree tribali amministrate in modo federale (Fata), rifugio finora sicuro dei

talebani che attaccano le truppe straniere in territorio afghano. Il governo pachistano è rimasto prudente sulla vicenda, ma successivamente una fonte dei servizi di intelligence ha affrontato i giornalisti per

sostenere che ''abbiamo sufficienti argomenti per ritenere che Kashmiri sia morto nel raid di un drone ieri nel

Waziristan meridionale''. Ad eliminare qualsiasi dubbio è intervenuto infine un fax inviato ai media da Abu Hanzala, un portavoce della Brigata 313. ''Ammettiamo - dice il breve comunicato - che il nostro Amir (capo)

e comandante Muhammad Ilyas Kashmiri, insieme ad altri compagni, è stato martirizzato nell'attacco di un drone la notte del 3 giugno''. E quindi la minaccia: ''Voglia Iddio che presto gli Americani possano vedere la

nostra vendetta. Il nostro obiettivo - si precisa infine - è solo l'America''. (ANSA 4 GIUGNO).

AFGHANISTAN: UCCISO CC ANTIDROGA, 'PER DIFENDERE DONNA'

Ancora un morto italiano in Afghanistan, ma questa volta non a causa della guerra. Un ufficiale dei carabinieri, il cinquantenne tenente colonnello Cristiano Congiu, esperto antidroga, è stato ucciso con un

colpo di arma da fuoco. Fonti dell'arma hanno subito precisato che si è trattato di un fatto di criminalità comune, da non mettere in relazione alla sua attività. A quanto pare, il militare stava proteggendo una sua

conoscente americana aggredita. Cinque persone sono state arrestate per l' omicidio, mentre la donna -

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secondo quanto dichiarato in serata da un comandante della polizia locale all'agenzia afghana Pajhwok - sarebbe stata trattenuta in custodia cautelare in relazione ad una indagine in corso. La difficoltà alla verifica

delle notizie in Afghanistan ha fatto circolare in giornata versioni differenti dell'accaduto, secondo le quali a essere ucciso era stato un americano o un italo-americano. Fonti qualificate hanno poi chiarito che si trattava

invece della stessa persona, l'ufficiale italiano. Congiu, romano, era in servizio dal 2007 presso l'ambasciata

italiana a Kabul, ma l'uccisione e' avvenuta in una località della valle del Panjshir, nell'Afghanistan nord-orientale. Secondo una ricostruzione di fonti dell'Arma, il militare era in viaggio insieme a due suoi conoscenti

di vecchia data, entrambi civili: un afghano, che secondo fonti dell'ANSA a Kabul lavorava da anni per l'ambasciata italiana, e una donna americana. Durante il viaggio hanno incrociato un gruppo di afghani: uno

di questi, un giovane, per motivi ancora imprecisati avrebbe afferrato la donna, sbattendola violentemente contro un muro. Congiu ha interpretato questo atto come un'aggressione nei loro confronti e ha fatto fuoco

con la sua pistola, ferendo lievemente al fianco il ragazzo. Gli altri afghani sono scappati e lo stesso

carabiniere ha prestato le prime cure al giovane: stava per caricarlo in auto e trasportarlo in ospedale, quando i compagni del ragazzo ferito sono tornati, questa volta insieme ad altri uomini armati. Questi ultimi,

da lontano, hanno sparato tre colpi di kalashnikov, uno dei quali ha centrato alla testa Congiu, che è morto all' istante. La donna americana e l'afghano sono riusciti a raggiungere la loro vettura e a scappare. Al primo

posto di polizia, a circa un chilometro, hanno denunciato l'episodio; le forze di sicurezza locali sono

intervenute e hanno recuperato il corpo dell'ufficiale. Durante successive ricerche è stato individuato il ragazzo ferito, che è stato arrestato. Versione solo in parte confermata dalla testimonianza - riportata

dall'agenzia Peacereporter legata a Emergency - del ragazzo afghano ferito, Mohtaudin, ricoverato nell'ospedale di Emergency di Anabah, nella valle del Panjshir, dove gli è stato asportato un rene: secondo

Peacereporter, il ragazzo afghano non avrebbe aggredito la donna ma sarebbe stato il suo asino a urtare

l'americana mentre quest'ultima camminava, insieme a Congiu, in un sentiero di montagna che portava a un bazar. "Ho tentato di spostare l'asino - ha detto il ragazzo afghano - e immediatamente l'italiano ha tirato

fuori la pistola. Quando ho visto l'arma pensavo stesse scherzando...invece mi ha sparato". Il suo compagno è scappato ed è andato al bazar ad avvisare gli abitanti dell'accaduto, e "dopo un po' di tempo - e' sempre il

racconto del giovane - sono tornate altre persone che prima hanno picchiato con bastoni e pietre l'italiano, poi gli hanno sparato e se ne sono andati". Numerosi testimoni, secondo Peacereporter, hanno raccontato

che Congiu e la cittadina Usa erano andati a visitare le miniere di smeraldi del Panjshir. Sulla morte di Congiu

ha aperto un'inchiesta la procura di Roma, competente a indagare sui fatti in cui sono coinvolti i cittadini italiani all'estero, mentre alcuni carabinieri del Ros stanno partendo per l'Afghanistan per svolgere

accertamenti. Omicidio il reato iscritto dagli inquirenti di piazzale Clodio. Congiu lascia una bimba di cinque anni, che vive insieme alla ex moglie del militare a Pontecorvo, in provincia di Frosinone. L'ufficiale andava

spesso a trovare la figlia quando rientrava dalle missioni. L'uomo era molto conosciuto dai colleghi di

Pontecorvo e di Frosinone: dal 1996 al 1998 era stato al comando della compagnia dei Carabinieri di Pontecorvo. L'ufficiale per anni aveva lavorato in collaborazione con il primo dirigente della sezione

anticrimine della questura di Frosinone, Mino De Santis, che ora ricorda: "era un uomo di polso, credeva nella divisa che indossava e con lui abbiamo lavorato molto assiduamente per mettere a segno tra l'altro i

primi arresti contro le infiltrazioni camorristiche nel Cassinate. La notizia della sua scomparsa ci ha lasciato impietriti". Tutte le più alte cariche dello Stato hanno espresso cordoglio per la morte dell'ufficiale. Il capo

dello Stato, Giorgio Napolitano, ha appreso con commozione la notizia della morte, e il ministro degli Esteri

Franco Frattini ha detto che "questo ulteriore pesante tributo che ci troviamo a pagare non ci deve far deflettere dal nostro impegno quotidiano di stabilizzazione dell'Afghanistan e di progressivo trasferimento

all'esercito e alla polizia afghani delle responsabilità di sicurezza del proprio Paese". Il mondo dello sport ha deciso di osservare un minuto di silenzio in occasione di tutte le manifestazioni che si disputano nel fine

settimana in Italia. (ANSA 4 GIUGNO).

AFGHANISTAN: CATTURATI SETTE INSORTI NEL DISTRETTO DI BAKWA

Nella mattinata di oggi nel corso di una importante operazione congiunta, le Forze di Sicurezza Afgane hanno catturato 7 insurgents, trovati in possesso di attrezzature e sostanze impiegate per la preparazione degli

ordigni esplosivi, che operano nel distretto di Bakwa. L‘operazione, che ha visto impegnate decine di uomini

delle Forze di Sicurezza Afgane affiancate dai paracadutisti della Task Force South East, aveva lo scopo di disarticolare le attività degli insurgent, cioè quello di garantire la libertà di movimento lungo la strada 515

che collega la città di Farah a Delaram. Nel corso della manovra, fondamentale si è dimostrato l‘intervento dei nuclei di artificieri del 8° reggimento di Legnago per il rinvenimento e la rimozione di un ordigno

improvvisato (IED) posizionato lungo la strada. Gli arresti di oggi rappresentano un importante passo avanti in un area caratterizzata dalla presenza di una intensa attività insurrezionale condotta contro le Forze di

Sicurezza Afgane e contro la coalizione ISAF, frequentemente con l‘utilizzo dei subdoli IED posizionati lungo

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le vie di comunicazione e che, sempre più spesso, colpiscono la popolazione locale causando perdite di innocenti vittime civili. (ITALFOR KABUL E RC-W 3 GIUGNO)

AFGHANISTAN: USA E GB PREMONO PER REVOCA SANZIONI 18 TALIBAN

Gran Bretagna e Usa stanno facendo pressioni sulle Nazioni Unite perché revochino a 18 capi talebani i

provvedimenti ristrettivi imposti a partire dal 1999. Lo riferisce oggi il Guardian. Secondo il quotidiano britannico questa è una forte indicazione che le potenze occidentali stiano cercando una pace negoziata con i

Taliban. Il provvedimento, che richiede il benestare dell'intero Consiglio di sicurezza dell'Onu, lancerebbe il chiaro messaggio che un reintegro dei militanti nella società, dopo 10 anni di conflitto, sarebbe possibile a

patto che depongano le armi. Tra le figure citate dal Guardian vi è anche Mohammed Qalamuddin, ex capo della polizia religiosa dei talebani, considerato responsabile di feroci atrocità, soprattutto nei confronti delle

donne. Tra i 18 figurerebbe poi anche Arsala Rahmani, ex ministro dell'Istruzione e attuale intermediario tra

il governo di Kabul e i talebani asserragliati nell'area tribale sul confine tra Afghanistan e Pakistan. La revoca delle sanzioni, ha detto un ministro afghano, spianerebbe la via alla costituzione di un ufficio politico dei

talebani in un Paese terzo: Turchia, Turkmenistan e Qatar si sarebbero già offerti di ospitarlo. Il dossier originale prevedeva la richiesta di revoca per 47 individui. Ma i funzionari afghani non sono riusciti ad

assemblare il materiale necessario in tempo per la seduta prevista per il 16 giugno. (ANSA 3 GIUGNO).

AFGHANISTAN: LA RUSSA, ANCORA IN APPRENSIONE PER MILITARE FERITO A HERAT

Sul militare italiano ferito più gravemente a Herat, il capitano dell'Esercito Gennaro Masino di 30 anni, ''la preoccupazione non è cessata: continuiamo ad avere molta apprensione ma confidiamo che possano arrivare

notizie migliori''. E' quanto dichiara il ministro della Difesa Ignazio La Russa, alla città militare di Roma della

Ceccignola, a margine dell'incontro con i ragazzi che hanno svolto le tre settimane di servizio della 'mini-naja' e che ieri hanno assistito alla parata militare ai Fori Imperiali in occasione della Festa della Repubblica .

''Abbiamo un aggiornamento continuo -assicura La Russa- con il capo di Gabinetto, il generale Graziano, che mi informa quotidianamente sulla situazione in Afghanistan, come anche nel Libano''. (ADNKRONOS 3

GIUGNO).

2 GIUGNO:BERLUSCONI-KARZAI, TRANSIZIONE E PACE AL CENTRO ACCORDI

Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, coadiuvato dai ministri Franco Frattini e Paolo Romani, ha ricevuto oggi pomeriggio a Villa Doria Pamphili il Presidente della Repubblica Islamica dell'Afghanistan,

Hamid Karzai. La presenza in Italia del Presidente Karzai per le celebrazioni della Festa della Repubblica e per la ricorrenza del 150/o anniversario dell'Unità d'Italia, si legge in una nota diffusa da Palazzo Chigi, è la

conferma dello stretto rapporto politico tra Italia e Afghanistan, così come tra i rispettivi popoli. Al centro dei colloqui il processo di transizione, l'avvio della riconciliazione ed il contributo italiano alla sicurezza ed alla

ricostruzione civile dell'Afghanistan. Al termine dei colloqui sono stati firmati l'Accordo di collaborazione

contro il traffico di stupefacenti e il Memorandum d'Intesa sulla cooperazione politica tra i ministeri degli Esteri. Entrambi gli accordi mettono in evidenza la continuità del partenariato fra Roma e Kabul. (ANSA 2

GIUGNO).

AFGHANISTAN/ KARZAI: GRAZIE ALL'ITALIA PER ISTRUTTORI MILITARI Durante il faccia a faccia con il premier Silvio Berlusconi, il presidente afgano Hamid Karzai ha "espresso

profonda gratitudine al governo italiano sia per la partecipazione alla missione Nato-Isaf sia per l'aumento

del numero degli istruttori italiani" per le forze di sicurezza afgane. Lo hanno riferito fonti diplomatiche al termine del colloquio a Villa Pamphili. "Il popolo afgano - ha sostenuto Karzai - ha una buona percezione dei

soldati italiani in Afghanistan per il loro modo di trattare la popolazione". Il leader afgano ha poi auspicato una maggiore presenza delle aziende italiane nella ricostruzione del paese. Italia e Afghanistan, in questa

occasione, hanno firmato due accordi: il primo riguarda la collaborazione contro il narcotraffico e il secondo è

un memorandum d'intesa sulla cooperazione politica tra i due ministeri degli Esteri (siglato oggi dall'italiano Franco Frattini e dal collega afgano Zalmay Rassoul). (TMNEWS 2 GIUGNO).

AFGHANISTAN: KARZAI, MIO POPOLO HA OTTIMA OPINIONE DI MILITARI ITALIANI

Il popolo afghano ha "un'ottima percezione" dei soldati italiani impegnati nel paese. Lo ha sottolineato il presidente afghano Hamid Karzai al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, secondo quanto riferiscono

fonti diplomatiche, nel corso del vertice che i due leader hanno avuto a Villa Doria Pamphili a Roma. Karzai

ha messo in evidenza l'apprezzamento degli afghani per il modo con cui i nostri militari sanno approcciarsi con la popolazione locale. Il presidente afghano, riferiscono sempre le fonti, ha espresso "profonda

gratitudine" al nostro governo sia per la partecipazione militare che per l'aumento del numero degli istruttori militari impegnati nelle formazione delle forze di sicurezza afghane. Karzai, nell'incontro con Berlusconi, ha

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anche chiesto una maggiore presenza delle aziende italiane per la ricostruzione del paese. Nel corso del vertice sono stati anche siglati due accordi. Il primo relativo alla collaborazione tra i due paesi nel contrasto

al traffico di stupefacenti; il secondo è un memorandum di intesa per una collaborazione politica tra i due ministeri degli Esteri. Nessuna novità, infine, sui tempi della transizione in Afghanistan, poiché, come

riferiscono le fonti diplomatiche, i due leader si sono limitati a ricordare la scaletta tradizionale già decisa in

precedenza. (ADNKRONOS 2 GIUGNO).

AFGHANISTAN: ISAF, CATTURATO NEL NORD RESPONSABILE AL-QAEDA VICINO A BIN LADEN Un responsabile di al-Qaeda molto vicino a Osama bin Laden, ucciso il mese scorso in un raid delle forze

speciali americane in Pakistan, è stato catturato durante un'operazione congiunta delle forze della coalizione e delle forze di sicurezza afghane condotta nella notte nel distretto di Nahr-e-Shahi, nella provincia di Balkh,

nel nord dell'Afghanistan. Lo si apprende da una nota della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza

(Isaf). Il responsabile di al-Qaeda aveva la sua base in Pakistan, pianificava attacchi ed era molto vicino ai leader dell'organizzazione terroristica, così come a bin Laden, con cui probabilmente, riferisce Isaf, si trovava

in Afghanistan nel 2001. Insieme all'uomo sono stati catturati anche due suoi collaboratori. (ADNKRONOS 2

GIUGNO).

COSTRUIRE LA PACE (DI PIU’) _____________________________________________

AFGHANISTAN, NELL'OSPEDALE DELLA BASE "ICE"

Un lettino, una scrivania, gli scaffali pieni di farmaci alla parete, i defibrillatori per le emergenze e uno staff di cinque persone tra medici e infermieri. L'ospedale della base avanzata "Ice", in Gulistan, nella regione Ovest

dell'Afghanistan, è una piccola costruzione in legno tra le tende dei 190 militari italiani in missione nella Fob (Forward operating base). La Fob "Ice" si trova a 1.500 metri di altitudine, in una delle zone più "calde" della

regione sotto la responsabilità italiana. In questo momento è affidata al 186esimo reggimento paracadutisti

Folgore di Siena. Oltre i muri di cinta e il filo spinato, solo montagne e piccoli villaggi isolati uno dall'altro. "Il nostro compito non è solamente quello di curare i militari della base - spiega il medico, Pietro Di Gangi -, ma

anche di assistere la popolazione e di formare i dottori locali. Nell'area di nostra competenza è attiva una sola clinica, con un solo medico". Nello staff sanitario c'è anche un riservista, Claudio Fogliati. È un medico civile,

anestesista all'ospedale San Luigi di Torino. Ha partecipato ad altre quattro missioni, anche in Libano, con i gradi di maggiore. Nella base afgana presterà servizio per due mesi. I medici e gli infermieri della Fob escono

spesso in convoglio con gli altri militari per le Medcap (Medical civic action program) nei villaggi. Decine di

bambini, per lo più accompagnati dalle sorelle più grandi, li circondano. Il dottore li visita e con l'aiuto dell'interprete lascia uno sciroppo per la tosse o un collirio. "Per quanto possibile invitiamo le persone ad

andare dal medico locale - continua Di Gangi -, che è preparato per somministrare le cure più semplici. Se è il caso medichiamo i pazienti qui da noi, mentre quelli più gravi vengono trasportati dove necessario". La

prova più difficile è arrivata lo scorso marzo: "La macchina di una famiglia è saltata su un ‗ied' (un ordigno

improvvisato, ndr) piazzato dagli insorti - racconta il dottore -. Sono stati gli afgani a portarci i sette feriti, segno che ormai si fidano di noi. La bambina più piccola è purtroppo morta quasi subito, gli altri sei feriti

sono stati portati in un ospedale più attrezzato da un elicottero americano. L'evacuazione medica (Medevac) è avvenuta in una quarantina di minuti, un tempo molto buono visto il contesto. Alla fine abbiamo perso

un'altra delle sei persone trasferite, ma la nostra risposta all'emergenza è stata decisamente adeguata". I pazienti dei medici e degli infermieri della Fob sono soprattutto bambini. In Afghanistan un piccolo su quattro

non arriva a cinque anni e l'aspettativa di vita per gli adulti è di circa 45 anni. "Le patologie più frequenti

sono congiuntiviti, traumi, disidratazione, malnutrizione, epatiti, gastroenteriti - conclude Di Gangi -. I bambini che sopravvivono all'età critica sono però molto forti e per fortuna su di loro gli antibiotici hanno un

effetto immediato". (HUMANITAS SALUTE.IT 8 GIUGNO DI CRISTINA BASSI)

AFGHANISTAN: TUTELARE I DIRITTI DELLE DONNE IN CARCERE

Lida sostiene di essere stata ingiustamente incarcerata per un crimine che non ha commesso. "Ho già trascorso sette anni in prigione", spiega. "Voglio la libertà. Essere rinchiusi per sei-sette anni è una punizione

sufficiente per qualsiasi reato. Tenerci qui più a lungo aumenta solo il risentimento". Nonostante queste parole, Lida, detenuta presso il carcere femminile di Bagh Badam a Kabul, ammette che potrebbe andare

assai peggio. Lida e altre 160 donne - in alcuni casi, insieme ai loro bambini piccoli - si trovano nella moderna prigione a tre piani situata nella pressi della capitale afghana. Possono indossare colorati abiti

tradizionali, possono muoversi liberamente all'interno del carcere, e sono controllate da uno staff tutto al

femminile. Ogni cella è dotata di un televisore, e sono disponibili lezioni di alfabetizzazione, informatica, sartoria, ricamo e molto altro ancora. Questo luogo è ben diverso da quello dove Lida ha scontato i primi

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anni della sua condanna di 16 anni per omicidio. Nella famigerata prigione di Pul-e-Charkhi a Kabul, la donna si trovava in condizioni terribili insieme a circa 5.000 detenuti maschi. Le donne erano in celle separate, ma

erano sorvegliate da guardie uomini. Dopo numerose segnalazioni e reclami, grazie ai quali è emerso che le detenute erano diventate oggetto di sfruttamento sessuale nelle carceri e nei centri di detenzione delle

province di Badghis, Ghor, e Logar, la sorte di queste donne è iniziata a cambiare per il meglio. Negli ultimi

tre anni, grazie alle donazioni occidentali sono state costruite i primi carceri femminili, tra cui quella di Badam Bagh a Kabul e in altre città, tra cui Herat nella zona ovest del Paese, e a Khost, più a nord. La prigione è

sempre una prigione, ma a Badam Bagh, le detenute spiegano di vivere in "condizioni sopportabili, all'interno di un edificio pulito", e, soprattutto, non vivono più nella paura. Gli attivisti per i diritti umani, tra cui

l'Afghanistan Independent Human Rights Commission (IHRC), hanno accolto con favore gli sforzi per costruire finalmente delle prigioni separate. "Tuttavia", nota il consigliere dell'IHRC Ghulam Nabi Hakak "ad

eccezione di poche grandi città e province, altrove non esistono carceri femminili separati". Il consigliere

aggiunge infatti che nelle province di Panjshir, Kapisa, Logar, Maidan-Wardak, tra le altre, "le donne vengono tenute in celle situate all'interno di carceri maschili. Neanche andare in bagno è facile e sicuro per loro".

Hakak spiega che a causa della mancanza di carceri speciali e centri di detenzione per le donne, in molte province le indagate vengono solitamente assegnate ai cosiddetti garanti o protettori per un custodia

temporanea in attesa che si concludano i processi. Questi garanti - nominati da un tribunale - sono di solito

uomini, e spesso alti funzionari. Hakak afferma che questa pratica è "del tutto inaccettabile, in quanto lascia la donna vulnerabile ad ogni tipo di abuso e sfruttamento, senza che nessuno possa difenderla." L'IHRC ha

segnalato un caso avvenuto a Logar, dove il garante ha violentato una giovane adolescente posta sotto la sua custodia. Una questione importante in sospeso, sottolinea ancora Hakak, è la violazione dei diritti legali

delle carcerate. Tra le circa 500 detenute afghane, decine sono state condannate per omicidio o furto. Ma

tante altre lo sono state per "reati di moralità" che in realtà non rientrano nel Codice Penale. Sono numerosi i casi di donne incarcerate perché fuggite da mariti o parenti violenti, oppure semplicemente perché sorprese

a chiacchierare con uomini al di fuori della cerchia famigliare. "Lasciare la propria casa non è un reato punibile dalla legge, quindi per questi casi si fa riferimento alle leggi della Shari'a, e le donne vengono

condannate per comportamento immorale", spiega Hakak. Abbandonate dai parenti, e senza nessuno a cui rivolgersi, molte imputate si trovano nell'impossibilità di pagare un avvocato che le difenda. Molte di loro non

conoscono i propri diritti o non hanno idea di come chiedere un parere legale. "Ci sono tante donne che

soccombono alle regole del tribunale perché non sanno come difendersi", afferma Hakak. "Pagano un prezzo altissimo per qualcosa che potrebbero non aver commesso." Se il carcere è il loro destino, ora si sta

compiendo qualche passo onde poterne almeno ricavare qualcosa di buono. Il vice Ministro della Giustizia, Mohammad Qasim Hashimzai, per esempio, afferma che numerose organizzazioni non governative si stanno

impegnando "nell'aiutare le donne detenute a imparare nuove abilità in modo che possano reinserirsi più

facilmente nella società una volta uscite". Molte di loro appaiono però scettiche sul fatto di potersi ricostruire una vita o di essere di nuovo accettate nella società locale profondamente conservatrice. Anche i parenti più

stretti prendono le distanze da una donna che ha "disonorato" la famiglia per essere stata condannata. L'onore è un tema delicato in Afghanistan. Maryam, una bambina di 9 anni che vive nel carcere di Badam

Bagh con la madre, lo sa fin troppo bene. "In carcere non sto tanto male, ma chi vive qui danneggia la propria reputazione", dice Maryam. "Le donne fuori potrebbe dire che forse mia madre non era una brava

donna e quindi meritava la galera". Uno stigma condiviso anche dai circa 50 bambini che vivono a Badam

Bagh accanto alle loro madri condannate. Anche Qais, 10 anni, la cui madre è in carcere per reati di moralità, afferma: "Deve aver fatto qualcosa di molto sbagliato". E aggiunge: "Qui dentro ho imparato la lezione. Non

commetterò mai nessun reato. Voglio essere libera". (LA STAMPA.IT BLOG 8 GIUGNO TRATTO DA AFGHAN

WOMEN'S PRISONS SEEK TO MAKE LIFE BEHIND BARS LESS HORRIFIC, DI FARANGIS NAJIBULLAH E MANEESHA DIWA E RIPRESO DAL BLOG DI RADIO FREE EUROPE/RADIO LIBERTY).

CARABINIERI IN MISSIONE: TRECENTO A KABUL

L‘Arma dei carabinieri compie oggi 197 anni e li festeggia a piazza di Siena col tradizionale carosello, alla presenza del capo dello Stato Giorgio Napolitano. E‘ l‘occasione per ricordare l‘impegno degli uomini

dell‘Arma nelle missioni estere. In Afghanistan 300 carabinieri fanno gli addestratori dopo aver vinto la concorrenza dei francesi, che volevano essere loro gli istruttori. Finora hanno insegnato il mestiere a 10 mila

poliziotti, fra cui varie donne, le quali, dice da Kabul il tenente colonnello Eugenio Giordano ―sono più

motivate degli uomini‖. All‘estero i carabinieri godono di una reputazione straordinaria. La prima a riconoscere i loro meriti fu, nel 2003, il ministro francese Michelle Alliot-Marie. Era in programma la

formazione di una gendarmeria europea e lei disse che bisognava crearla sul modello dei carabinieri. Più di recente il generale americano David Petraeus li ha definiti ―i migliori addestratori del mondo‖ e lo stesso

presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha speso parole di elogio, ha detto che ―come Michael Jordan è il

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top nel basket, loro sono il top delle polizie militari‖. Una delle armi vincenti dei carabinieri è il rapporto di fiducia che stabiliscono con gli allievi. ―In Iraq – spiega il colonnello Fabrizio Parrulli, capo di tutto il settore

addestrativo – abbiamo fatto capire fin dall‘inizio agli allievi poliziotti che non eravamo lì per imporre regole, ma solo per condividere insieme una preparazione fisica e militare. Abbiamo compiuto il miracolo di lavorare

fianco a fianco sciiti e sunniti come buoni amici‖. Dai corsi di nove settimane sono già usciti 10 mila agenti

iracheni. (IL MESSAGGERO 6 GIUGNO)

ANNA TORRETTA: LA MIA TESTIMONIANZA SU MORTENSON E L’AFGHANISTAN ―Ecco quello che ho visto io, in Afghanistan, nei villaggi descritti nei libri di Greg Mortenson e nelle scuole

curate dalla sua associazione‖. E‘ così che l‘alpinista valdostana Anna Torretta interviene sulla polemica riguardo i libri e le attività del celebre scrittore americano, accusato di truffa da un‘inchiesta della Cbs.

Riportiamo la lettera della Torretta, che contiene anche quelle di Giorgio Mallucci ed Elisabetta Galli,

collaboratori di Mountain wilderness, che sono stati parecchi anni in Afghanistan a seguito dei progetti di formazione per le guide locali promossi dalla nota associazione ambientalista. ―La mia ultima spedizione in

Afghanistan con Susy Madge, nel maggio 2010, passa per Bozai Gumbaz o Gumbad – scrive la Torretta, di cui riportiamo la lettera integralmente -. Il villaggio kirghiso è stato avamposto russo nell‘invasione degli anni

80. Il libro di Mortenson descrive la scuola costruita proprio in questo villaggio nelle ultime pagine di ―Stones

into Schools‖, l‘ultimo suo libro‖. ―Susy, le nostre guide ed io, raggiungiamo Bozai Gumbaz dopo 4 giorni a piedi e a cavallo attraverso valli impervie, lungo il fiume Oxus, sull‘unico sentiero che mette in comunicazione

l‘Afghanistan con il Piccolo Pamir. Quando arriviamo sull‘altipiano, vediamo i segni di una guerra finita 20 anni fa, filo spinato e bossoli esplosi, ma siamo felici di vedere il bunker descritto da Mortenson, è proprio

come nel libro! Il bunker e‘ stato trasformato in scuola, che idea! Siamo a 4.000 metri e qui non c‘è

vegetazione se non l‘erba da brucare, e costruire significa trasportare legna per quattro giorni sugli yak. Il riutilizzo della struttura metallica ci sembra un‘idea grandiosa! Questa è l‘unica scuola che hanno i bambini

Kirghisi in tutta la regione del Pamir Afghano‖. ―La scuola però nel maggio 2010 non era ancora stata inaugurata – scrive l‘alpinista valdostana -, sarebbe dovuta essere inaugurata a settimane, ma i kirghisi,

come nomadi, si sarebbero spostati in 2 settimane da questo villaggio, quindi forse non è ancora stata usata ad oggi. Segni del benefattore però non ne abbiamo trovati. Purtroppo Bozai Gumbaz è l‘unico villaggio,

durante la nostra spedizione, con cui abbiamo avuto una discussione riguardo i soldi per i cavalli. Il capo del

villaggio è stato tutt‘altro che socievole con noi ragazze e le nostre due guide ismaelite, abbiamo litigato e pagato il doppio i cavalli. Anche se avevamo chiesto di acquistare pane e formaggio. Mentre in tutti gli altri

villaggi siamo sempre stati trattati da ospiti, e invitati nella tenda o casa del capo a mangiare con loro‖. ―Così Susy ed io cominciamo, da questo momento, a nutrire qualche dubbio sulle storie di Mortenson e sulla loro

veridicità. E‘ veramente difficile pensare che uomini del villaggio di Bozai Gumbaz siano partiti per il Pakistan

a cercare Mortenson per costruire la scuola. Non riusciamo a vedere come questa gente, così legata ai pochi soldi e alla propria terra, abbia fatto un gesto del genere. Il villaggio è composto da 3 piccole case e una

yurta, quindi 4 capi famiglia con i figli e le donne. Non riusciamo a credere che degli uomini, capo famiglia, anziché portare al pascolo gli animali, unico mezzo per sopravvivere, partano per cercare Mortenson in

Pakistan…‖ ―Il capo ismaelita delle Forze Afghane di Controllo della Frontiera tra pakistan e Tajikistan, di stanza a Iskashim, ci disse che aveva lavorato lui stesso in collaborazione con il Pakistan alla creazione della

scuola Kirghisa – conclude la Torretta -. In conclusione noi non abbiamo mai sentito parlare di Mortenson

dalla gente del posto. Abbiamo visitato altre scuole in Afghanistan, costruite dalla collaborazione internazionale e Aga Khan Foundation, ma di tracce di Mortenson nelle scuole non ne abbiamo trovate,

neanche un ringraziamento, un cartello, un segno. Forse era semplicemente per non apparire, pensiamo, se scrive delle cose non vere ma per vendere libri con un buon fine, ha ragione di farlo. Adesso forse dovremo

tristemente ricrederci‖. ―Da parte nostra – scrivono Mallucci e la Galli – possiamo aggiungere che siamo stati

nel Wakhan dal 2003 al 2008 e sempre per almeno due mesi a stretto contatto sia con le popolazioni locali che con il responsabile dei progetti dell‘Aga Khan nel Wakhan. Mai nessuno ci ha mai parlato di lui

(Mortenson) in nessun modo, nè abbiamo visto scuole da lui costruite. Personalmente ho anche forti dubbi su tutte le storie di assalti lungo la strada perchè nel periodo in cui – stando al suo libro -sarebbero avvenuti,

io ero lì e non mi risulta proprio niente‖. (MONTAGNA.TV 2 GIUGNO DI SARA SOTTOCORNOLA)

COMMENTI (DI Più)_______________________________________________________________

IN AFGHANISTAN CON I PARÀ: «COSÌ RISCHIAMO» Attraversiamo piccoli centri abitati, le case di fango secco e paglia, dai tetti a cupola, che sembrano

galleggiare sulla sabbia. Non c'è un albero, né un uomo, nemmeno una donna. Ma tanti bambini vestiti di stracci, polvere e scabbia, che pascolano capre. Al nostro passaggio salutano e non sempre in modo

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augurale. Poi solo sassi e sabbia, nel deserto di Pusht-i-Rud, sulla pista che da Farah corre sul profilo di sudest, verso Kandahar. Schiacciati come un sandwich dentro un giubbotto antiproiettile, elmetto che stringe

la testa, con la schiena fissata al sedile da quattro cinture di sicurezza, vediamo l'Afghanistan occidentale che scorre dietro il finestrino blindato di un corazzato "Lince". Settemila chilogrammi di blindatura a prova di razzi

"Rpg" e mine anticarro, un po' meno di fronte alle potenti cariche esplosive che, sempre più spesso, gli

"insorti" nascondono sulla strada. Siamo in pattuglia di scorta e il nostro cielo afghano è un grande oblò che si spalanca sopra la testa, dove sbucano due gambe nei pantaloni mimetici dell'esercito, la metà inferiore d

Daniele il "rallista", il militare che manovra h mitragliatrice pesante "Browning". Di Antonello, che sta seduto alla nostra sinistra, scorgiamo appena il profilo del volto, semicoperto dalla "Minimi", mitragliatrice calibro

5,56. Dell'autista, Tiziano, e del capo-squadra del Primo plotone "Falchi" della "Folgore", Giovanni, non scorgiamo che spicchi di schiena, per via di tutto quello che c'è appeso in cabina. Compreso

quell'ingombrante bazooka anticarro "Panzerfaust" nero con la testa esplosiva innestata. Su un "Lince" così

bardati, non c'è spazio per muoversi pii in là di qualche centimetro. Una tortura, se s aggiunge il caldo torrido che all'esterno infierisce con i suoi 45 gradi centigradi e i cupi pensieri che si materializzano nella testa. Dopo

avere lasciato la base interforze Nato "Isaf" di Farah, viaggiamo sulla pista della "row te 515". Missione di routine: scorta a camior civili diretti a rifornire una base militare italiana più avanzata. Siamo aggregati al

nucleo de genio militare Ottavo reggimento paracadutisti di Legnago e alla Quarta compagnia "Falchi", 187

reggimento paracadutisti Folgore' di Livorno. Sedici corazzati "Lince", dieci ca. mion. Ad aprire la colonna c'è un "angelo protetto. re" a cui affidare la propria vita, per ogni pal. mo di strada che viene solcato: un gigante

d meccanica chiamato "Bufalo" che con i suo strumenti, e il suo braccio estendibile, interviene ogni volta che gli uomini del genio indi. viduano una minaccia. Come un Ied" (Im. provised explosive devices), un ordigno

improvvisato. L'arma preferita dagli insorti, sulla prima linea di questa maledetta guerra asim. metrica che

ogni giorno, in Afghanistan, si porta via vite umane di tutte le età. «Per domani non ci sono warning attivi», minacce particolari. Eravamo andati a dormire con queste parole, quasi rassicuranti, del capitano dei

paracadutisti della "Folgore", pronunciate durante il briefing di pianificazione della missione odierna, quando, lungo il tra-gitto, la radio ci riporta alla realtà: «Warning imboscata». In un punto preciso vengono segnalati

trenta insurgent. L'avviso ci fa cambiare tracciato, ma non farà passare la paura. «In caso di attacco - erano le parole del capitano ai suoi uomini- fategli abbassare la testa». Ma in caso di un «attacco più complesso»,

prima l'uso di un "Ied", seguito da un attacco con armi leggere, la risposta dovrà essere «fuoco di

saturazione»: impedire al nemico ogni mossa e costringerlo alla fuga. Sono passate ore da quando abbiamo lasciato la "Base operativa avanzata" italiana (Fob: Forward operative base), "El Alamein" di Farah,

comandata dal colonnello Badialetti del 187 •Reggimento "Folgore" di Livorno, ma i nostri occhi non smettono di scrutare l'orizzonte, pensando ai ripetuti "warning". Bucano il vetro blindato, setacciano palmo a

palmo la cima dei picchi che ci stanno attorno a una distanza di cinquecento metri, forse meno. E mentre

osserviamo ogni ombra che sembra muoversi furtiva, la mente scava nel passato. Quando i sovietici erano i signori dell'Afghanistan. E di quel giorno che con un gruppo di mujiaedin eravamo appostati in un anfratto di

montagna, mentre i guerriglieri preparavano la loro imboscata contro il convoglio di sciuravi, i russi. L'incontro con l'altra colonna italiana avviene alle porte del villaggio di Kourmalek, con i bambini che scrutano

curiosi e gli adulti che preferiscono restare invisibili. Scambiati i camion pieni con quelli vuoti, facciamo rientro a Farah. Ma tra quanto tempo ancora? L'immagine dell'imboscata è un pensiero che proprio non

riusciamo a smuovere, come la minaccia de "Ied", che ci accompagna fin dall'inizio della missione con i

militari italiani di servizio in prima linea. E intanto, come per un istinto primordiale di pura sopravvivenza, ci accorgiamo che il corpo cerca di comprimersi, in un tentativo di ridurre ogni sua vulnerabilità ai colpi d'arma

da fuoco o agli effetti di una bomba. Volgiamo lo sguardo ai militari che stanno con noi, che fanno il loro lavoro quotidiano, che rischiano la vita, ma non riusciamo a chiedere nulla: pur non volendo aspettarci

un'imboscata, il "colpo" potrebbe arrivare in qualsiasi momento, quando si è in "zona combat". Ed è verso

questa fatalità che bisogna offrire tutta la propria concentrazione. Il "territorio Comanche" si spalanca non appena si varca la linea d'ombra di ogni base Isaf", la missione Nato. Come a Farah dove sventola il Tricolore

italiano. Dove cinquecento soldati italiani, e altrettanti americani, masticano sabbia, dormono su brande sotto le tende, patiscono un caldo impossibile, accanto all'unico cemento armato di cui proprio non possono fare a

meno: i bunker per proteggersi da eventuali attacchi degli insorti con i mortai. In Afghanistan ogni minaccia

è un fantasma che ti segue e ti perseguita, dappertutto. La "route 515" corre ben dentro a quel "territorio Comanche" dove l'attività degli insorti, i taleban, da qualche tempo si sta facendo più aggressiva. Regioni che

fino a non molto tempo fa erano considerate relativamente tranquille, come quella di Herat, 180 chilometri più a nord di Farah, oggi subiscono una fase evolutiva del livello offensivo. Un segno è stato il mortale

attacco suicida di fine maggio contro il "Prt" di Herat, gestito dagli italiani. Oggi è andata bene, la missione è terminata. Siamo tornati tutti a Farah. Anche se ci sono volute dieci ore per fare 80 chilometri di pista, tra

andata e ritorno. Dimenticandoci quante volte il "Bufalo" ci ha costretti allo stop per controllare se sotto una

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pietra c'era uno 'Ied", intanto che gli occhi di ognuno scrutavano il proprio orizzonte aspettandosi un'imboscata che, per fortuna, oggi non c'è stata. (AVVENIRE 8 GIUGNO DI CLAUDIO MONICI)

WE HAVE THE MOMENTUM IN AFGHANISTAN

It‘s been 18 months since President Obama announced the Afghan troop surge, and now July 2011— the

date at which he promised that a withdrawal would begin—is nearly upon us. Washington still hasn‘t decided whether withdrawals will be ―modest,‖ as Secretary of Defense Robert Gates is encouraging, or more

substantial, as leaks to the media suggest the White House may prefer. What‘s clear from Afghanistan, though, is that nothing about conditions on the ground justifies the withdrawal of any U.S. or coalition

forces. The fight is approaching its peak, progress remains fragile and under assault, and we need every soldier we have—U.S., coalition and Afghan—to maintain momentum. The risks of a small withdrawal (say,

5,000 troops) are probably manageable. But any such withdrawal would be driven by politics rather than

strategy. Progress in the fight is undeniable. Coalition forces have driven the Taliban from their major safe havens in southern Afghanistan and are continuing to press into lesser enemy strongholds. The Taliban have

launched operations to retake the ground they have lost, but so far to no avail. Their tactics, moreover, indicate their weakness. Having long eschewed suicide bombings and direct attacks against Afghan civilians

for fear of alienating the population, the Taliban are increasingly carrying out such attacks. The attacks, in

turn, are driving a wedge between the enemy and the population, a phenomenon we have seen in Iraq and elsewhere. There is every reason to believe that coalition forces and their increasingly effective Afghan

partners can hold the gains in the south through this fighting season (that is, until November). This would allow them to create meaningful security zones around all of the major population centers in the south for

the first time since 2001, but only if they have the resources and the time to do it. Aggressive operations

have managed to preserve a great degree of security in Kabul and are slowly expanding out from there. But the enemy still has safe havens within eastern Afghanistan that must be cleared before they are turned over

to Afghan responsibility. So must the Haqqani network—which operates from eastern Afghanistan and is closely linked to al Qaeda and other terrorist organizations, such as Lashkar-e-Taiba, with international

aspirations—be defeated. It hasn‘t been possible so far to undertake such clearing operations in the east because the surge was limited to about 30,000 troops. Without the full-force package requested by Gen.

Stanley McChrystal, commanders first had to focus on southern Afghanistan, which was in imminent danger

of falling to the Taliban in 2009. Removing U.S. forces prematurely will deny the coalition and the Afghans the ability to shift their forces to eastern Afghanistan. Afghan security forces, although holding and fighting

well, are not yet able to meet the Taliban threat on their own. Above all, the Afghan population needs confidence before it really commits to resisting the Taliban and supporting the government. It can gain such

confidence only by seeing that the coalition and Afghan forces will successfully fight off the coming Taliban

counterattack. A successful fighting season this year would permit decisive operations in eastern Afghanistan in 2012. The same rules will apply to those operations, however: If the coalition can clear remaining safe

havens in the east in 2012, the enemy is likely to counterattack in 2013, and the coalition and the Afghans will have to defeat that counterattack to demonstrate to the local people that the insurgents have lost and

are not coming back. This timeline of operations is fully consistent with the 2014 deadline, announced by President Obama and the NATO allies in Lisbon last year, for transferring security control to the Afghans and

reducing the American footprint to whatever is required for sustained training and counterterrorism

operations. This timeline would also likely permit the beginning of substantial reductions in forces in 2013, assuming that progress continues in the south as we defeat enemy counterattacks in the east. Pressure for

withdrawal is driven largely by concerns about the U.S. budget, frustration with Afghanistan‘s government, anger at Pakistan, and irrational exuberance about the impact of Osama bin Laden‘s death. But bin Laden‘s

death isn‘t significant to the situation on the ground in Afghanistan today because it has no meaningful effect

on popular attitudes about the likelihood of insurgent victory or defeat. As for the other problems, premature withdrawal will make them all worse. The Afghan government will behave more counterproductively the

more it believes that the U.S. isn‘t serious about succeeding. The Pakistani military is much more likely to double down on its support for insurgent proxies in Afghanistan if Mr. Obama reinforces its decades-long

conviction that America will inevitably abandon the region. And Pakistani failures to address terrorist bases

on their own territory will be compounded by the re-emergence of such sanctuaries in Afghanistan. The economic argument for withdrawing troops faster makes even less sense. The marginal savings of pulling an

additional 5,000 or even 15,000 troops out of Afghanistan 12 or 18 months early is trivial compared to the cost of failure in this effort. If we defeat ourselves in Afghanistan now, we will have to choose later whether

to accept likely attacks on the U.S. homeland or to intervene militarily once again—at a much higher price than we could hope to save now. Withdrawal is a penny-wise but pound-foolish approach to an enduring

national security problem. If Mr. Obama announces the withdrawal of all surge forces from Afghanistan in

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2012, the war will likely be lost. Al Qaeda, Lashkar-eTaiba, and other global terrorist groups will almost certainly re-establish sanctuaries in Afghanistan. The Afghan state would likely collapse and the country

would descend into ethnic civil war. The outcome of this policy would be far worse than Nixon‘s decision to accept defeat in Vietnam, for it would directly increase the threat to the American homeland. Americans may

be tired of war, but war is not tired of us. Thousands of people around the world wake up every morning

and think about how to kill Americans and destroy the American way of life. Right now, we have the momentum against those enemies in Afghanistan. This is the time to press the fight. (WALL STREET

JOURNAL 8 GIUGNO DI KIMBERLY KAGAN FREDERICK KAGAN)

ITALIANI TRA LA GENTE: CHE COSA RISCHIANO I MILITARI A HERAT Stare vicino alla gente, correndo qualche rischio, oppure chiudersi in un fortino isolato e quasi inespugnabile?

La scelta è simbolica oltre che strategica. I militari italiani a Herat hanno due basi principali. La prima, Camp

Arena, è la sede del Regional command west e ospita la maggior parte del contingente. Si trova a circa 15 chilometri dalla città, all‘interno dell‘aeroporto. La seconda, il Provincial reconstruction team (Prt), è invece

nel cuore di Herat, in un complesso di palazzine già esistenti e prese in affitto. Era quasi fisiologico che l‘ente che si occupa della ricostruzione, e che anche se gestito da militari lavora in stretto contatto con i civili e con

le autorità locali, venisse collocato in mezzo agli afgani. In un quartiere molto popoloso, dove garantirne

l‘incolumità non è certo facile. Come ha dimostrato l‘attentato talebano del 30 maggio che ha fatto cinque feriti tra i nostri connazionali (un capitano è grave) e cinque morti tra i poliziotti afgani. Il livello di sicurezza

delle due basi è inevitabilmente diverso e determinato proprio dalla loro posizione. Camp Arena è circondato da un doppio cordone di sicurezza, afgano e italiano. Per entrare nella base, si percorre un lungo viale e si

attraversano due gate. Una macchina non autorizzata non solo non potrebbe accedere, ma verrebbe notata e fermata molto prima di arrivare a una distanza pericolosa. Questo non vuol dire che la base sia considerata

tranquilla al cento per cento. Capita infatti, soprattutto di notte, che suoni l‘allarme e che tutti debbano

correre nei bunker. Molto diverso invece il Prt, in mezzo ad altri edifici da cui la gente entra ed esce di continuo e senza controllo. I palazzi vicini sono a ridosso e anche se per entrare bisogna superare i controlli

al cancello, avvicinarsi di sorpresa all‘ingresso o al muro perimetrale è abbastanza semplice. L‘attentato del 30 maggio infatti è stato combinato. Prima è esplosa l‘autobomba al gate, poi gli insorti hanno sparato sugli

italiani dalle finestre vicine. Una vulnerabilità che da sempre preoccupa chi lavora al Prt. ―L‘attentato del 30

maggio era largamente prevedibile, il Provincial reconstruction team è posizionato malissimo‖, sottolinea un militare che vuole rimanere anonimo, ma che ha prestato servizio nella base colpita e che ha partecipato a

diverse missioni all‘estero. Otto mesi fa ha anche assistito a un altro attacco, fallito, al Prt. Il 21 settembre 2010 quattro colpi di mortaio sono stati sparati in direzione della base italiana. ―Uno dei razzi ha centrato una

casa a non più di 400 metri dal Prt – racconta il testimone diretto – nella stanza accanto una famiglia stava pranzando, per fortuna nessuno è rimasto ucciso. Ma l‘obiettivo eravamo molto probabilmente noi‖. Nelle

foto arrivate a Sky.it si vedono una casa con il tetto sfondato da un colpo e un cratere largo diversi metri.

―All‘interno del Prt controlli e precauzioni funzionano perfettamente, ma come può essere sicura una base da cui vedevo, a pochi metri, case in costruzione, passanti, auto?‖, conclude il militare. Lo Stato maggiore della

difesa preferisce non fare valutazioni ufficiali sulla sicurezza o meno della sede del Prt. Né sull‘opportunità di lasciarla dove si trova ora. Di certo dentro Herat, che a luglio sarà tra le prime città afgane a passare dalla

responsabilità Nato a quella governativa, non è semplice trovare un luogo adatto per una base militare. E

garantire l‘incolumità di civili e soldati è importante almeno quanto dimostrare in concreto che la città è pronta per la transizione. (SKY.IT 6 GIUGNO DI CRISTINA BASSI)

UNA ZONA SENZA TALEBANI MA DOVE VIGE LA LEGGE DELLA GIUNGLA

Ancora confusa la dinamica che ha portato alla morte del tenente colonnello dei carabinieri Cristiano Congiu

nella Valle del Panjshir, in Afghanistan e ancora da chiarire perché l‘ufficiale si trovasse da quelle parti. Il militare in servizio presso l‘ambasciata italiana a Kabul come consigliere per la lotta alla droga (a quanto pare

fuori servizio negli ultimi giorni) è stato ucciso molto lontano da dove sono schierati i soldati del contingente nazionale, principalmente a Herat e nell‘ovest e in piccola parte nella capitale afghana. Resta un mistero cosa

facesse Congiu, con un ufficiale afghano reduce dall‘Accademia di Modena e una donna statunitense, in quella che fu la ridotta del comandante Massud, unico lembo di territorio afghano mai conquistato dai

talebani. Certo il personale militare italiano presente in Afghanistan risponde a regole diverse a seconda del

tipo di dipendenza. I 4.200 militari assegnati alla Nato hanno regole ferree, non effettuano libere uscite nelle città afghane e trascorrono tutto il tempo libero dal servizio all‘interno di basi che offrono comfort limitati a

uno ―spaccio‖ e a un telefono satellitare per chiamare a casa negli avamposti di prima linea fino alle palestre, ai ristoranti, ai bar e agli internetpoint della grande base alleata di Camp Arena, all‘aeroporto di Herat. In

ogni caso nessuno può uscire dalle basi se non per motivi di servizio e una parte del personale non

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assegnato a compiti di combattimento di fatto trascorre sei mesi all‘interno del perimetro di Camp Arena, senza vedere altro dell‘Afghanistan. Discorso diverso per i militari che dipendono dai servizi d‘intelligence e

dall‘ambasciata, che fanno capo direttamente a Roma e si muovono sul terreno in abiti borghesi, con mezzi civili, senza dare troppo nell‘occhio. Uomini che vivono in ―guest-house‖ protette e che svolgono un lavoro

delicato fatto di rapporti molto stretti con contatti locali e dei Paesi alleati e contraddistinto da rischi che si

corrono spesso da soli, senza la possibilità di ricevere aiuti. Non si può escludere l‘ipotesi che Congiu fosse in Panjshir per lavoro, considerato che il suo incarico all‘ambasciata poteva richiedere anche una serie di attività

informative circa i traffici e le rotte dell‘oppio in uscita dall‘Afghanistan. Del resto alcuni ufficiali afghani che hanno studiato all‘accademia militare di Modena, come l‘uomo che accompagnava Congiu, sono poi confluiti

nel National Directorate of Security (NDS) il servizio d‘intelligence afghano e cooperano strettamente con gli italiani. (LIBERO 5 GIUGNO DI GIANANDREA GAIANI).

IL TRAFFICO DI OPPIO CHE GLI ITALIANI CERCANO DI ARGINARE Malgrado dieci anni di guerra contro i talebani, l‘Afghanistan resta il primo produttore di oppio al mondo e i

guerriglieri ultra-integralisti sono ancora tra i più potenti signori della droga del mondo. Non solo: c‘è chi sostiene che apparati governativi del governo Karzai attingano a piene mani da questo business. Lo sostiene

tra gli altri Thomas Schweich, ex coordinatore degli sforzi alletati contro la droga. Così si arriva al paradosso

di una guerra alimentata dal narcotraffico di entrambe le parti in campi; e con in mezzo una coalizione straniera, la Nato che ha rinunciato allo sradicamento sistematico delle coltivazioni di papavero – come

avrebbero voluto i russi – per non nuocere alle centinaia di migliaia di famiglie che contano soltanto sui raccolti di oppio per provvedere al proprio sostentamento. Nel 2007 l‘Afghanistan produceva il 92%

dell‘eroina mondiale. Oggi il dato è stimato in calo, ma sempre molto consistente. Un primato che neppure il

narco-regime della Birmania o le coltivazioni illecite del Triangolo d‘oro sono mai riusciti a scalzare. Negli ultimi anni la produzione è calata ma non abbastanza da far cantare vittoria alle truppe internazionali. La

strategia prevalente è di stampo economico: si cerca di convincere i coltivatori a cambiare le colture di oppio con altre più remunerative. Pare strano, ma ce ne sono, Gli italiani, in particolare, hanno puntato molto sullo

zafferano. Emmanuele Aresu, comandate del Team di ricostruzione provinciale italiano (Prt) di Herat ha spiegato la sua strategia così: ―Un ettaro coltivato a grano rende 1.200 dollari, uno a oppio 4.500 e uno a

zafferano fino a 12.000‖. Il problema è che i contadini devono aspettare almeno tre anni per vedere i frutti

dei loro sforzi e i militari devono assistere la popolazione per non farla desistere. E soprattutto devono proteggere i coltivatori dai trafficanti che vogliono imporre la loro legge sul territorio. L‘anno scorso i militari

italiani hanno distribuito 60 tonnellate di bulbi. I primi risultato si sono visti, soprattutto nella regione di Herat. Ma il processo è lento e va sostenuto costantemente. Il problema ci riguarda direttamente perché

gran parte dell‘eroina che arriva in Europa e quindi ai nostri figli, è di provenienza aghana. La droga segue

principalmente due strade: la via dei Balcani, attraverso la Turchia, oppure la cosiddetta via della seta, lungo l‘Asia centrale e la Russia. I paesi con maggiori indici di corruzione sono le piste privilegiate dei trafficanti che

riescono a rifornire ininterrottamente un milione e mezzo di consumatori europei. (IL MESSAGGERO 5

GIUGNO DI RICCARDO DE PALO)

"NOI, CHIUSI IN CASA PER PAURA DEI TALIBAN" A HERAT, LA CITTÀ NELLA MORSA DEL

TERRORE

Serpeggia una vena di angoscia negli sguardi dei rari occidentali che incroci lungo i muri della grande moschea o tra i vicoletti dell´antico bazar. Ma in giro non vedi italiani: i nostri connazionali sono stati tutti

trasferiti nella base militare di Campo Arena o costretti a rintanarsi nelle sedi delle organizzazioni non governative per cui lavorano. L´attacco di lunedì scorso contro l´edificio del Gruppo di ricostruzione

provinciale di Herat, che ha provocato il ferimento di cinque soldati della brigata "Ariete", la morte di cinque

soldati afgani e di altrettanti Taliban, è stato un fulmine a ciel sereno nel capoluogo di una delle province più sicure dell´Afghanistan. «Peggio, è stato un terremoto che ha colpito un simbolo, quello di una città dove il

cancro degli insorti sembrava estirpato», spiega il maggiore Marco Amoriello, portavoce del nostro contingente, che nell´ovest del Paese conta quattromila militari. L´attentato di Herat è stato un sisma

seguito da numerose scosse di assestamento: una bomba contro l´ospedale, la distruzione di due ponti, l´arresto di tre giovani carichi di tritolo e la caccia, ancora infruttuosa, a una decina di "suicide bombers",

kamikaze pronti a farsi esplodere e che qui tutti dicono provenire da altre province. «Noi intanto viviamo

rinchiusi nelle nostre villette, in attesa che dall´Unità di crisi della Farnesina arrivi il via libera per rimettere il naso fuori e ricominciare a lavorare», spiega Roberto Coslovi, pediatra dell´Aispo, l´organizzazione

umanitaria dell´Ospedale San Raffaele di Milano. «La nostra sola arma di difesa è mantenere un profilo basso, per restare un obiettivo insensibile», gli fa eco Milo Todeschini, geologo di un´altra ong italiana

presente a Herat, il Cesvi di Bergamo, che sta lanciando un progetto per arginare i danni delle ricorrenti

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piene del fiume Arirut. Il mese prossimo, intanto, a Herat avverrà la cosiddetta "transizione", che è il passaggio delle consegne alle forze di sicurezza afgane: passaggio graduale, s´intende, ma che dovrà

preparare il ritiro del nostro contingente annunciato per il 2014 dal ministro della Difesa, Ignazio La Russa. Quando chiediamo al maggiore Amoriello se l´attentato contro il Gruppo di ricostruzione provinciale sotto

comando italiano e se il conseguente ordine di coprifuoco imposto ai nostri esperti di cooperazioni non rischia

di rimettere in discussione l´impegno di restituire l´Afghanistan agli afgani, il portavoce risponde che si è trattato di un evento imprevedibile e che rientra comunque in quella che si può definire l´"offensiva di

primavera". «Bisogna adesso capire perché hanno voluto colpire gli italiani a Herat, e quali equilibri si sono infranti in questi mesi per spingere gli insorti a compiere un attentato così complesso e così spettacolare»,

dice ancora il maggiore. Come molti, anche lui non usa più il termine Taliban per definire i nemici della pace afgana, bensì "insorti": che possono essere, sì, studenti del Corano, ma anche ex signori della guerra,

trafficanti di oppio, briganti o criminali comuni che hanno interesse a destabilizzare il Paese per incrementare

i loro loschi proventi. Alcuni di questi, sostengono i più ottimisti, sono pronti a consegnare le armi in cambio di valide prospettive economiche. Pochi giorni fa, nel distretto di Badghis, in 116 avrebbero barattato i loro

fucili per un programma di reinserimento professionale promosso dal governo di Kabul. Fatto sta che l´ultima "offensiva di primavera" si sta rivelando particolarmente cruenta per le forze della Nato. Ad aprile e maggio

di quest´anno il computo dei morti ha raggiunto le 110 unità, rendendoli i mesi più funesti per le truppe

internazionali dall´inizio della guerra in Afghanistan. Infatti, secondo il sito "iCasualties. org", nello stesso periodo del 2010 avevano perso la vita 85 militari dell´Alleanza. Basta poi sfogliare i quotidiani locali per farsi

un´idea di ciò che sta accadendo in Afghanistan: non c´è giorno che non vi siano pagine infarcite di notizie su attentati, sabotaggi, sequestri, ammazzamenti e altre nefandezze più o meno sanguinarie, compiute dagli

"insorti". «Per questo mi chiedo se siamo davvero in una fase di transizione o di post-conflitto, come

vogliono farci credere, o se non siamo piuttosto in piena guerra», dice Alberto Bortolan, medico anche lui, e direttore l´ufficio della nostra Cooperazione allo sviluppo di Kabul. Alle nove del mattino il sole è già così

forte che sembra sentirlo crepitare sui muri di cinta delle villette in stile moresco della Ansari road. A duecento metri dall´edificio del Gruppo di ricostruzione provinciale, sventrato da un camion carico di

esplosivo, sorge adesso una montagna di vetri, quelli delle finestre che in un raggio di centinaia di metri sono state infrante dalla deflagrazione. Un Lince con un soldato italiano alla mitraglia ci impedisce di proseguire.

Torniamo sui nostri passi e incontriamo un soldato afgano che ci mostra sul suo cellulare la scena

dell´attacco, girata una volta finita la battaglia che gli insorti hanno scatenato con kalashnikov e lanciarazzi dopo l´esplosione. Un teatro di guerra. Dice il soldato: «Ma quale offensiva di primavera! A Herat e in tutto il

Paese la situazione sta peggiorando perché il presidente Karzai è sempre più debole e sempre più ladro. Altrimenti perché perfino gli americani gli chiedono adesso di trattare con i Taliban?» Già, perché? (LA

REPUBBLICA 5 GIUGNO DI PIETRO DEL RE)

WASHINGTON PRONTA A RIABILITARE I TALEBANI?

PACE AFGHANA. Secondo il ―Guardian‖, Usa e Regno Unito fanno pressioni sull‘Onu perché cancelli alcuni nomi pesanti dalla lista nera. Incluso l‘ex capo della polizia religiosa. E accelerare così i tempi dell‘exit

strategy. Se sia l‘ennesimo ballon d‘essai a mezzo stampa per tastare il terreno o una felice intuizione filtrata da qualche gola profonda non sappiamo. Ma, secondo il Guardian, Gran Bretagna e Stati Uniti starebbero

facendo pressioni sulle Nazioni Unite perché revochino a diciotto capi talebani i provvedimenti restrittivi

imposti nel 1999. La lista nera comprende circa 140 capi talebani e solo pochi fra loro, tra cui chi ormai fa praticamente da consigliere a Karzai, ne sono stati cancellati. La cancellazione della lista nera è un vecchio

leit motiv e, più che una richiesta formale dei talebani, è sempre stata una delle iniziative a cui si è fatto riferimento come primo passo per intavolare il dialogo con i turbanti. La cosa venne fuori platealmente

nell‘estate del 2010 e fu annunciata e salutata da Karzai in occasione della cancellazione di cinque nomi dalla

lista formulata con la risoluzione 1267 del consiglio di sicurezza del 1999, quando i talebani erano ancora al potere, poi allargata dopo l‘11 settembre. Ma da allora la cancellazione non ha fatto grandi passi avanti.

Negli ultimi sei anni sono solo quindici i talebani che hanno riacquistato la loro verginità. Pochi secondo i più ferventi estimatori di un‘apertura alla guerriglia. Stando al Guardian le cose adesso sarebbero cambiate. Il

giornale britannico fa anche qualche nome. Controverso quello di Mohammed Qalamuddin, già a capo della polizia religiosa del regime che dipendeva dal ministero per la Virtù e il Vizio, il dicastero della moralità

talebana, dove occupava una delle poltrone chiave. Emanava editti contro tacchi e rossetto, Qalamuddin,

prima di ―pentirsi‖ come altri del gotha talebano quali Arsala Rahmani, già vice ministro dell‘Istruzione durante il regime di Kandahar, che in seguito ha fatto atto di sottomissione a Karzai accettando di rientrare

nei ranghi. Quel che rende credibile lo scoop del quotidiano sono i numeri. Il governo Karzai intenderebbe far presente all‘Onu prima del 16 giugno una lista di quarantasette personalità da cancellare, per diciotto delle

quali la documentazione necessaria sarebbe già pronta. E la cosa sarebbe coerente con un cambio di

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direzione dell‘Amministrazione americana (Londra è sempre stata più favorevole a negoziare anche a costo di irritare Washington, come avvenne col famoso accordo di Musa Qala sin dal 2006) che si sta preparando a

un ritiro in pieno regola a luglio dei primi soldati (circa 10mila entro fine anno dicono alcune fonti). Gli Usa peraltro non hanno mai smentito le voci sugli incontri avuti direttamente coi talebani, non si sa se in accordo

o aggirando il governo Karzai. Almeno tre gli incontri secondo il Guardian: due in Qatar e uno in Germania.

Ma anche le voci di contatti tra il governo di Kabul e gli ―insorti‖ si sono fatte più insistenti. Inoltre non è più un mistero che sia la fazione di Gulbuddin Hekmatyar (questa in maniera ufficiale), sia quella degli Haqqani

(questi ultimi in maniera segreta visto che sono i ―qaedisti‖ della galassia talebana) abbiano avuto contatti diretti coi funzionari del governo Karzai recandosi a Kabul con una sorta di salvacondotto. Infine non è

ancora stata abbandonata l‘elezione di un luogo sicuro dove i talebani potrebbero aprire un ufficio di rappresentanza politica: lo stesso Qatar, il Turkmenistan e, platealmente, la Turchia hanno offerto le proprie

capitali per una simile eventualità. Quel che resta da capire in questa imbrogliata matassa è il ruolo del

Pakistan. Non è chiaro quale carta Islamabad stia giocando e se ha avuto luce verde da Washington per favorire i contatti coi talebani al prezzo di poter controllare da vicino la possibile futura pace. Per assicurarsi

che Kabul resti nella sfera d‘influenza del Paese dei puri. (IL RIFORMISTA 4 GIUGNO DI EMANUELE

GIORDANA)

PERCHÉ I NOSTRI SOLDATI SONO SOTTO ATTACCO L‘obiettivo è a migliaia di chilometri di distanza, pericoloso, annidato in un contesto urbano o in un‘area

sensibile nella quale bisogna limitare gli effetti collaterali e quelli indesiderati sulla popolazione civile. I satelliti e i drones hanno già dato le informazioni necessarie, i nuclei di forze speciali sono sul posto per

organizzare azioni diversive. La forza d‘intercento è articolata in cellule della consistenza di una compagnia o anche meno. È collegata con tutti ed è sostenuta da aerei, elicotteri e missili di una base avanzata sia in

mare che a terra. Gli uomini s‘imbarcano sugli aerei, raggiungono l‘obiettivo, le emissioni elettroniche

nemiche vengono neutralizzate, disturbate con il jamming. Per un attimo. Poi lo sbarco e l‘azione violenta e distruttiva sull‘obiettivo. Il nemico è annichilito. Qualcuno si prenderà la briga di contare i morti. Tutto questo

si chiama Small Unit Precision Combat (Supc): combattimento di precisione con piccole unità. Non è la tecnica dell‘incursore, ma una delle nuove tattiche occidentali per le ―piccole guerre‖ ed è stata concepita per

conseguire a obiettivi politici importanti con poche forze e in brevissimo tempo. L‘azione dev‘essere rapida, lo

scopo strategico è l‘eliminazione della minaccia, quello politico è la rassicurazione: bisogna dimostrare di saper intervenire chirurgicamente dove e quando si vuole, con la potenza, il controllo del territorio e

l‘iniziativa. Noi, in Occidente, non siamo riuscita mai a metterlo in pratica. Tatticamente non siamo andati oltre la schematizzazione in una diapositiva, tanto suggestiva quanto inutile. Politicamente abbiamo perso

anche la minima cognizione dello scopo da conseguire: in Iraq, in Libano e in Afghanistan centinaia di migliaia di uomini in armi non rassicurano nessuno. Anzi spaventano. Sono impastati in un tessuto sociale

che non conoscono e non capiscono. Sono frustrati dall‘impotenza, non controllano il territorio e subiscono

l‘iniziativa altrui. La politica ha smesso di dichiarare gli scopi, si limita a farli coincidere con ciò che è realizzabile sul campo, tanto per essere sicuri di cantare vittoria. È successo con l‘eliminazione di Osama bin

Laden e di Mubarak diventati obiettivi politici soltanto quando si era sicuri di farli fuori. Succede ogni giorno in Libia dove l‘azione politica non dirige ma segue quelle di una banda di sciagurati e delle milizie di

Gheddafi. E succede in Siria, in Sudan, nello Yemen e in tutti i posti dove si assiste imperterriti ai massacri

solo per l‘incapacità di assumere una qualsiasi responsabilità politica. Dal 2008 la diapositiva del Supc è invece applicata giornalmente dai cosiddetti terroristi e talebani: a Mumbai, Lahore, Kandhar, Mazara er

Sharif, Helmand, Pakistan e in questi giorni contro i nostri soldati a Sidone e ad Herat. La tattica è identica anche se i mezzi sono diversi, artigianale, arcaici: il satellite è sostituito dal telefonino e dal tam tam, gli aerei

dal pick up, l‘artiglieria da dal suicida imbottito di tritolo, il jamming elettronico dal vocio concitato o

dall'omertà della gente. Lo scopo politico è identico e sempre raggiunto: pochi uomini "rassicurano" la ribellione, la tengono viva dimostrando potenza, controllo del territorio e iniziativa. La risposta è sempre un

fallimento militare proprio perché è una reazione non un'iniziativa autonoma e poi perché è titubante, incerta, al buio. è anche un fallimento politico quando è costretta a ricorrere alla retorica buonista o eroica.

Se vengono colpiti i Prt come di Herat si dice che paghiamo per voler stare in mezzo alla gente e aiutarla a ricostruire. Non ci chiediamo cosa rappresentano i Prt per quella gente. Magarai gli afghani si sono resi conto

che quelle strutture furono aperte come sostegno all'intelligence e alla guerra psicologica. Forse hanno visto

che gli aiuti finiscono sempre nelle stesse tasche e che anche la ricostruzione può diventare uno strumento di guerrra. Se viene colpito un caposaldo o un convoglio la retorica diventa eroica e si dice che ci attaccano

perché diamo fastidio ai terroristi e abbiamo successo. Non ci si chiede se i successi sono duraturi o se più che la forza dimostrano la nostra vulnerabilità. Oggi, in Afghanistan e in ogni teatro operativo stiamo tutti

pagando una sola cosa: la senescenza dell'azione strategico-politica. E' vecchia, stanca, senza idee per il

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futuro, senza priorità, senza credibilità. Si accontenta di qualche affaruccio per soddisfare la propria miopia. Campa alla giornata contando su quello che succede per amplificarlo o ignorarlo a seconda della convenienza

ondivaga del momento. Se ne sono accorti tutti e ce la fanno pagare. (L’ESPRESSO 3 GIUGNO DI FABIO

MINI)

“SONO STATO ALL’INFERNO”

Ore 7.45: atterro a a Farah mentre la luce dell‘alba dipinge di rosa le montagne che circondano la base

militare. Con me nel C127 dell‘Aeronautica ci sono 13 uomini della Task Force 45. Sguardi intensi. Nessun sorriso. Molti hanno la barba lunga come i talebani. Mitragliatore M4 e caricatore al collo. Per loro solo

operazioni segrete ad alto rischio. Nessuno dei familiari sa esattamente cosa fanno né dove si trovano. Quando si apre il portellone, uno di loro mi guarda e mi dice: ―Benvenuto all‘inferno‖. Non faccio in tempo a

rispondere che una folata di calore intenso mi avvolge. Qui nelle ore di punta si raggiungono sempre i 50

gradi. Eppure, per capire cos‘è l‘Afghanistan devi venire qui. Tra la sabbia del deserto e le montagne di polvere di talco in cui si sprofonda fino alle caviglie. ―Devo essere all‘altezza dei m iei uomini e le assicuro che

non è un compito semplice‖: così mi saluta il generale Carmine Masiello, comandante della Folgore. Poi subito via con i parà del 187° reggimento. Usciamo con una colonna blindata di Lince per raggiungere un

villaggio a 45 km dalla base. ―Gargiulo armare‖ è l‘ordine secco del colonnello Gianmarco Badialetti al

mitragliere che proprio oggi compie trent‘anni. Se chiedete a questi uomini cos‘è la paura, vi rispondono che è l‘elemento essenziale per essere sempre concentrati. Qui un attimo di distrazione si paga con la vita. Per

percorre 45 km impieghiamo 3 ore e 30. Non ci sono strade ma solo pietre e buche. Nei rari punti in cui c‘è una specie di pista entriamo e usciamo in continuazione per non dare punti di riferimento. Dalle montagne i

talebani ti guardano. Tu non li senti ma loro ti vedono. In quattro minuti sono in grado di innescare le temute bombe Ied. Dopo avere guardato un torrente, ecco il villaggio di case di fango. Tutto intorno campi

di grano nascondono le coltivazioni di oppio. Il capitano Fabrizio De Vitalia scende e parla con il capo

villaggio. Dopo avere ottenuto il suo consenso possiamo scendere. Servono cure per Fasil, un bambino di tre anni che soffre di ernia inquinale. Così conosco il tenente medico Elisa Farina, giovane e belle, con due occhi

blu intenso. Potrebbe essere la protagonista di Addio alle armi di Ernest Hemingway. Nel frattempo attorno ai Lince si radunano decine di bambini. Sorridono e scherzano. Per loro è un vero e proprio evento. Sono

curiosi e non hanno paura delle armi perché ci sono cresciuti in mezzo. Passano altre ore. Si è fatto tardi, si

deve rientrare. Sono le 19. alla base mi aspetta un elicottero della Marina, destinazione Bakwah, l‘avamposto più avanzato in pieno deserto. Entro trovo il mio zaino con una scritta: ―Grazie Massimo‖. In quel momento

una lacrima mi scende sul volto. È un‘emozione difficile da raccontare, sono istanti che resteranno sempre con me. Grazie a voi, ragazzi. È stato un onore avervi conosciuto. (PANORAMA 2 GIUGNO)

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