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 -STORIA DEL PENSIERO FILOSOFICO- domande di Fornari 1) Perchè è un corso di filosofia e non di antr opologia e 2) L'aspetto antropologico del suo pensiero La filosofia si presenta come una forma culturale e conoscitiva che ha nel pensiero il suo strumento fondamentale. Il pensiero è ciò che ci caratterizza in quanto esseri umani. La filosofia infatti è la disciplina del pensiero. L'antropologia invece è la disciplina che studia le culture. Per cui il corso è di filosofia in quanto studia l'evoluzione del pensiero (non tanto in senso “cronachistico”), ma lo fa attraverso lo studio delle culture, quindi attraverso l'antropologia. E questo perchè il pensiero è un fenomeno culturale, esso infat ti si sviluppa solo se in rap porto con al tri esseri umani. Quindi, non è un dono di natura, ma un frutto della cultura. Il problema antropologico (Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?) come chiave di lettura della nascita e dello sv iluppo del pensiero filosofico. 3) Il metodo fenomenologico (o osservativo) di Fornari  Asp etto fenomenologico(osservativo). Il metodo fenomenologico è il punto di partenza della conoscenza stessa. “Fenomeno” è ciò che appare, che si manifesta. Il metodo osservativo consiste nell'aprire al massimo le capacità percettive e osservative prestando la massima attenzione al fenomeno in esame. Occorre mantenere un atteggiamento di massima disponibilità e apertura. Osservare, non economizzare, aprire uno spazio di ricerca dove osservare cose che magari non mi servono, ma se non lo facessi, non potrei trovare ciò che mi sarà utile. Il metodo oservativo implica dunque lo staccarsi dagli interessi immediati. Ma un distacco anche da se stessi, come se si fosse osservatori esterni, per capire meglio che “sono io a leggere questo testo, che vivo nella mia epoca, che ho la mia storia, la mia cultura e queste non sono cose da estromettere”. Devo capire cosa dipende da me, e cosa dal testo.  Aspetto ermeneutico(interpretativo). Attraverso questo lavoro, quanto più capisco il testo, tanto più capisco me stesso. Si crea così un circolo ermeneutico (interpretativo)  As petto esplicativo (fase dell'azzardo di ipotesi storico-causali). Secondo la scuola fenomenolgica, le interpretazioni le de vo fare all'interno di una situazione data che non posso oltrepassare se non voglio farequalcosa di non legittimo. Questo è un grave limite: se non stabiliso la storia, delle mieosservazioni me ne faccio ben poco perchè non vado ad incidere in profondità. Devo per forza fare degli azzardi, arrischiare ipotesi; devo espormi al rischio dellosb aglio: se non lo faccio, non ottengo il premio della conoscenza. Il terzo momento (causale, esplicativo, genetico, storico) è la logica prosecuzione dei primi due. Senza il terzo momento i primi due rimangono monchi, non danno uno scopo e un obiettivo preciso alla mia osservazione e alla mia interpretazione. Se oso azzardare, è perchè ritengo che ci siano fenomeni più importanti di

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-STORIA DEL PENSIERO FILOSOFICO-domande di Fornari

1) Perchè è un corso di filosofia e non di antropologia e 2) L'aspettoantropologico del suo pensiero

La filosofia si presenta come una forma culturale e conoscitiva che ha nelpensiero il suo strumento fondamentale. Il pensiero è ciò che ci caratterizzain quanto esseri umani. La filosofia infatti è la disciplina del pensiero.L'antropologia invece è la disciplina che studia le culture.Per cui il corso è di filosofia in quanto studia l'evoluzione del pensiero (nontanto in senso “cronachistico”), ma lo fa attraverso lo studio delle culture,quindi attraverso l'antropologia. E questo perchè il pensiero è un fenomenoculturale, esso infatti si sviluppa solo se in rapporto con altri esseri umani.Quindi, non è un dono di natura, ma un frutto della cultura.→ Il problema antropologico (Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?)

come chiave di lettura della nascita e dello sviluppo del pensiero filosofico.3) Il metodo fenomenologico (o osservativo) di Fornari

 – Aspetto fenomenologico(osservativo). Il metodo fenomenologico è ilpunto di partenza della conoscenza stessa. “Fenomeno” è ciò cheappare, che si manifesta. Il metodo osservativo consiste nell'aprire almassimo le capacità percettive e osservative prestando la massimaattenzione al fenomeno in esame. Occorre mantenere unatteggiamento di massima disponibilità e apertura. Osservare, noneconomizzare, aprire uno spazio di ricerca dove osservare cose che

magari non mi servono, ma se non lo facessi, non potrei trovare ciò chemi sarà utile. Il metodo oservativo implica dunque lo staccarsi dagliinteressi immediati. Ma un distacco anche da se stessi, come se si fosseosservatori esterni, per capire meglio che “sono io a leggere questotesto, che vivo nella mia epoca, che ho la mia storia, la mia cultura equeste non sono cose da estromettere”. Devo capire cosa dipende dame, e cosa dal testo.

 – Aspetto ermeneutico(interpretativo). Attraverso questo lavoro, quantopiù capisco il testo, tanto più capisco me stesso. Si crea così un circoloermeneutico (interpretativo)

 – Aspetto esplicativo (fase dell'azzardo di ipotesi storico-causali).Secondo la scuola fenomenolgica, le interpretazioni le devo fareall'interno di una situazione data che non posso oltrepassare se nonvoglio farequalcosa di non legittimo. Questo è un grave limite: se nonstabiliso la storia, delle mieosservazioni me ne faccio ben poco perchènon vado ad incidere in profondità. Devo per forza fare degli azzardi,arrischiare ipotesi; devo espormi al rischio dellosbaglio: se non lofaccio, non ottengo il premio della conoscenza.

Il terzo momento (causale, esplicativo, genetico, storico) è la logica

prosecuzione dei primi due. Senza il terzo momento i primi due rimangonomonchi, non danno uno scopo e un obiettivo preciso alla mia osservazione ealla mia interpretazione.Se oso azzardare, è perchè ritengo che ci siano fenomeni più importanti di

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altri perché recano in sé tracce più dirette della storia che ci ha portato aquei fenomeni e dell’origine che ha prodotto quella storia; non metto ifenomeni uno accanto all’altro come particelle neutre.

4) Le teorie false riguardanti l'origine (la paura e la meraviglia)Quando e come nasce la cultura dal mondo animale? È un argomentotalmente problematico che difatti, in genere, viene evitato.La difficoltà dell’origine può essere toccata con mano anche nel riscontrodelle versioni false dell’origine che si sono costruite nel corso dei secoli e chesono tuttora considerate. Ignorando le difficoltà del problema sono stateelaborate teorie errate sull’origine. In sostanza si tratta di due teorie:

•  Teoria naturale: la cultura, l’intelligenza, la capacità di espressione checaratterizzano l’essere umano sarebbero nate di fronte alla meraviglia,provata dai nostri progenitori, degli spettacoli della natura, o anche

dallo spavendo di fronte agli stessi. Queste situazione avrebberoindotto i nostri antenati ad un atteggiamento esplicativo.

•  Teoria del contratto e del patto sociale: gli antenati pre-umani si sonoresi conto della necessità di collaborare tra di loro per far fronte alleavversità ambientali e avrebbero formato delle comunità dotate di unaprima elementare organizzazione.

Queste due teorie sono entrambe sbagliate.La prima perché le catastrofi naturali sono sempre esistite e mai nessunanimale è diventato per questo intelligente. Oltretutto ipotizza una capacità

di contemplazione delle meraviglie naturali: l’attenzione nel mondo animaledeve sempre e costantemente fare i conti con la sfera istintuale e deibisogni. Questa teoria presuppone dunque una cosa inaudita, ossiaun’attenzione di tipo non istintuale, derivante da una semplice curiosità dicarattere conoscitivo, il che è assolutamente inconcepibile. Non esistonocomportamenti di questo genere nel mondo animale.La seconda dà per scontata l'intlligenza, in senso culturale, in una fase in cuidoveva ancora nascere. Inoltre non è mai esistita una fase in cui nostriantenati ominidi vivessero da soli.

5) La prima teoria primordiale cioè: 6) Teoria mimetica e vittima sacrificale,di GirardL'antropologia mimetica di Girard è la prima ipotesi sull'origine dell'uomo.(1 fase: Mimesi acquisitiva) Essa afferma che l'intero apprendimento umanosi basa sull'imitazione, non intesa come passiva, ma come un processodinamico e generatore. Tale processo di mimesi non è un processo“naturale”, bensì culturale e relazionale: infatti non è possibile imitare senzadei modelli.Girard, nel descrivere i fenomeni legati all'imitazione, usa il termine genericodesiderio. Il desiderio umano si si determina e si sviluppa solo in rapporto

agli altri, cioè in rapporto ai modelli seguiti.Il nostro desiderio funziona secondo una tipica configurazione a triangolo: 1)il soggetto (imitatore), che deve apprendere per imitazione come orientare ilsuo desiderio; 2) il modello (mediatore soggetto-desiderio), che gli mostra

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cosa desiderare, 3) l'oggetto da desiderare che, oltre che materiale puòessere simbolico, psicologico, sociale, e così via. (Questo modello ci costringea vedere la nostra dipendenza sociale dagli altri. Il desiderio non è qualcosadi pre-esistente.)Il mediatore che ci rende desiderabile qualcosa tende facilmente a diventareil rivale, l'ostacolo da superare per impossessarsi dell'oggetto. L'imitazioneacquisitiva o per il possesso diventa così rivalità per il possesso.

(2 fase: Rivalità per il possesso) Quando poi il desiderio, provato dal soggettodesiderante, si focalizza sul suo ispiratore, mettendo in secondo piano il suooggetto iniziale, si ha la fase del desiderio metafisico.Dalla mediazione esterna, in cui il mediatore è lontano o nascosto, si passaalla mediazione interna,in cui il modello si fa vicino e visibile. E' qui che vi èla zona più pericolosa del desiderio.Paradosso tipico della mediazione interna rivalitaria è il doppio vincolo: unasituazione in cui il soggetto deve scegliere fra due alternative contraddittoriee ugualmente impossibili, dilemma insolubile che porta a conseguenzedistruttive chilo subisce.

Il modello del desiderio lancia implicitamente all'imitatore il messaggio “Siicome me”, ma quando l'imitatore obbedisce a tale comando, ciò provoca larivalità, per cui il modello gli manda un messaggio opposto:”Guai a te se seicome me!”. Una volta che però l'imitatore si allontana, il modello rilancia ilmessaggio iniziale, con un'esasperarsi della mediazione mimetica.Comunque vada, il modello conferma sempre la sua superiorità, mentrel'imitatore sarà sempre più disorientato.L'imitatore arriverà a odiare il modello, oppure a odiare se stesso, comeavviene in molte patologie psichiche. Il modello addossa all'altro tutta lacolpa della situazione.La rivalità si scatena.(3 fase: Crisi dei doppi) Il caso più paradigmatico di rivalità si ha allorchè lamediazione ostile è doppia e reciproca. Ognuno in realtà imita l'altro, ognunoè modello dell'altro.Le parti in gioco credono di accentuare e confermare sempre più le lorodifferenze, e invece manifestano sempre più l’identità dei loro desideri. Ilmomento finale in cui si realizza questa simmetria speculare è la violenza deidoppi, in cui la rivalità non ha più freni e diventa desiderio di distruggere inmodo totale il nemico, situazione che si può sviluppare contagiosamente in

un processo a catena suscettibile di coinvolgere un’intera collettività. La crisidei doppi, in cui ciascuno diventa l'immagine simmetrica e opposta dellaviolenza degli altri.

Per quanto riguarda la teoria primordiale, secondo il pensatore francese,una serie di mutamenti evolutivi ha portato una specie di primati a unincremento massiccio dei comportamenti imitativi fino a una soglia di rotturain cui le gerarchie animali del gruppo non sono state più sufficienti acontrollare l’imitazione acquisitiva. La competizione mimetica è esplosa,trascinando la comunità nella crisi mimetica, o crisi dei doppi.(4 fase: Transfert violento, scelta della vittima) Per uscire dalla crisi

bisognava rompere la simmetria contagiosa e mortale dei doppi mimetici, edè a questo punto che dev’essersi verificato, in una versione potenziata, unmeccanismo già esistente nel regno animale per disinnescare i pericoli dirivalità: quello in cui i due avversari potenziali o reali colpiscono un ‘terzo’, e

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in tal modo stringono un’ ’alleanza’.La differenza rispetto al meccanismo animale è che stavolta esso si èriproposto in forma imitativa e collettiva, secondo le modalità del ‘linciaggio’:un membro del gruppo, per un motivo qualsiasi, attira l’attenzione di altri, equesto è sufficiente a rompere la simmetria. La polarizzazione mimetica sipuò ora rapidamente concentrare, in forza di un identico processocontagiosamente imitativo, sulla vittima prescelta, che diventa l’unico

bersaglio della violenza scatenata di tutti. Di colpo ritorna l’accordo: nonappena la vittima è uccisa, il gruppo si ritrova pacificato.(5 fase: Transfert divinizzante) Assistiamo, insomma, a un duplice traumacollettivo: quello della crisi e quello della soluzione improvvisa.Il cannibalismo è attestato in tutte le culture più primitive e nei repertipaleontologici, e i miti sull’origine del mondo da qualche essere smembratosono diffusi ovunque, rappresentando una sorta di radiazione fossile dellacultura. La prima scintilla di quella che poi sarebbe divenuta coscienza sicrea adesso, attorno alla vittima uccisa, o meglio attorno a quel poco che neresta.

Bisogna adesso, in questo scenario, sottolineare, il meccanismo del duplicetrauma collettivo: al tranfert di aggressività subentra il transfert diriconciliazione, doppio passaggio che rappresenta la salvezza del gruppodalla violenza mimetica.Ci dev’essere stata una lunga frase infraculturarle ancora altamenteinstabile, per il motivo che non esistevano adeguati mezzi di controllo. Lerisoluzioni violente si ripetevano allo stato spontaneo, in un processo aspirale che avrebbe prodotto l’uomo. La struttura causale è già quella deldoppio vincolo.Si è raggiunta una soglia di stabilizzazione di questi sistemi doppio-vincolanticollettivi quando sono state elaborate delle differenze sufficientemente fortida permettere un controllo simbolico e strumentale delle crisi mimetiche,ossia una loro ripetizione sotto controllo.Nasce la cultura vera e propria, evento che coincide in tutto e per tutto conla nascita della religione, in cui la vittima è vista prima come responsabiledella crisi finchè è interna al gruppo, e poi come divinità salvatrice allorchèviene uccisa e diventa esterna, consentendo la riconciliazione del gruppo.Il “sacro” viene quindi definito come a percezione trasfigurata della violenzamimetica della collettività , malefica finchè è all’interno, benefica quando

all’esterno.(6 Fase: Divieti-Rituali) Quella che si forma attraverso il sacro è per Girardun’organizzazione in grado di tenere sotto controllo il mimetismoespellendolo a cadenze regolari. A queste due funzioni(sorveglianza/espulsione) corrispondono due grandi invarianti di ogni culturaumana: divieti e rituali. I divieti proibiscono tutti quei comportamenti, queglioggetti, quei simboli suscettibili di provocare o anche solo ricordare la rivalitàmimetica.Nasce la festa, la riproduzione della crisi e dell’evento salvifico che vi mettetermine, celebrazione perduta o seguita da un’antifesta in cui ci si purifica

della violenza mimetica momentaneamente liberata. In tal modo la comunitàdifende le proprie differenze culturali dall’indifferenziazione contagiosa emostruosa del sacro.Si crea un potente sistema antimimetico la cui pietra angolare è la vittima

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sacrificale, che Girard chiama anche capro espiatorio.(NB!) Tuttavia, poiché queste comunità sono piccole, l’istituzionalizzazionedel sacrificio non poteva rimanere statica perché voleva dire che, mettiamouna volta all’anno, un membro del gruppo veniva selezionato e ucciso: ma sesiamo in venti, nel giro di pochi anni si arriva all’estinzione. Un conto è se laviolenza spontanea avviene ogni tanto, ma il sacrificio deve essere regolareper agire in senso preventivo.

Questo meccanismo può essere allargato, questa formula può essereallargata ad esempio al membro di un altro gruppo; ci sono altri gruppi, altretribù di questi ominidi: ammazziamo uno di loro, è molto più conveniente;nessuno di noi muore, tutti noi ci coalizziamo contro questo gruppo e quindiritroviamo l’armonia. L’armonia è sempre collegata con la guerra; primalitigavamo, adesso siamo affiatatissimi.E' la magia della guerra. Si individua un nemico esterno, lo si cattura e si puòfare su di lui il sacrificio. L’istituzione della guerra è il primo meccanismosostitutivo.L’altra istituzione importantissima intesa come meccanismo sostitutivo è la

caccia: un animale può prendere il posto di un uomo; qui non abbiamo unacronologia perché la caccia intesa come uccisione di piccoli animali esistevagià prima della fase culturale propriamente detta, aveva però un carattereoccasionale perché i primati effettuano perlopiù raccolta di cibo.Cosa fondamentale è notale che questa sostituzione sacrificale si attuaanche e soprattutto a livello simbolico e interno, come avvienenell’interpretazione rituale della morte, in cui chi muore è assimilato allavittima e come tale può venir mangiato e venerato. Si potrebbe anziformulare l’ipotesi che il cannibalismo funerario sia la forma più arcaica dirito funebre che riforniva, fra l’altro, il gruppo di preziose riserve proteiche.La vittima sacrificale è una funzione elastica in grado di generare significati evantaggi sempre nuovi a seconda del modo in cui viene utilizzata, comedimostra la nascita della monarchia in cui il re era una vittima che per unincidente qualsiasi, come una resistenza, non è stata sacrificata subito. Adagire è il transfert di divinizzazione, in una forma temporanea e precaria chefa di questa vittima mancata una sorta di dio vivente, di guida sacrale dellacomunità, in attesa della occasione giusta per sacrificarla.Col tempo, in molti casi, il monarca sacro sarebbe riuscito a stabilizzare ilproprio potere, grazie alle vittime sostitutive che devono comunque morire al

suo posto.L’esempio del re ci fa vedere l’origine e l’evoluzione delle istituzioni politiche,e più tardi giuridiche.Il procedimento della sostituzione rivela il suo lato significante perchédiventa un elemento di lettura simbolica della realtà. Abbiamo quindi unaserie di procedimenti che diventeranno mentali, ma che all’inizio eranopercezioni di gruppo.Già le parti che rimangono della vittima, pars pro toto (la parte che sta per iltutto), vengono a ricordare concretamente la vittima stessa, ma allora ilpezzo del corpo della vittima diventa il simbolo della vittima stessa. In questa

maniera quando ho davanti a me la vittima, è come se essa fosse presente,con ai poteri che “io gruppo” le attribuisco, ad esercitare il suo potere inmodo benefico e non più distruttivo e pericoloso come all’inizio.Ma questa che in sé è una percezione concreta e intuitiva è diventata col

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tempo un procedimento mentale. Quando comincio a trovare delle cosesostitutive esterne, comincio ad avere la metafora: l’animale muore al postodella vittima iniziale, quell’animale diventa la metafora concreta della primavittima, ne prende il posto. Tutta la dimensione simbolica dell’uomo nasce e si sviluppa dal rito, comedimostra il carattere incontestabilmente rituale che hanno comportamenti eattività che siamo abituati a ritenere del tutto estranei alla religione.

L’uomo non può vedere di per sè il processo che gli ha dato origine, e sene deve anzi proteggere a livello cognitivo e rappresentativo. L’interoprocesso è possibile soltanto se rimane nascosta la sua origine dalla violenzadel gruppo. Se il gruppo vedesse la propria violenza, non se ne potrebbesalvare, non potrebbe interrompoere la catena senza fine dell’imitazionecontagiosamente violenta.La comunità percepisce se stessa come assolutamente in balìa di una vittima“realmente” onnipotente, prima nel male e dopo nel bene. Soltanto lapercezione monca e alterata di quanto in realtà è successo, permette lafondazione della cultura, che affonda le sue radici nel nascondimento della

vittima, nell’occultamento vittimario. Tale occultamento ha trovatocorrispondenza concreta dapprima nel suo divorarla cruda, e alla fine nelgrande avanzamento culturale della tomba, sviluppo simbolico delle pietreche coprivano le vittime lapidate(v.piramidi) o dei luoghi naturali(acque,grotte, burroni) in cui la vittima era gettata.Il gruppo non vuole più vedere la vittima. Non percepisce la propria violenzache attribuisce al volere degli dei. E' questa l'evoluzione subita dai miti.

7) Teoria di Fornari e Critiche a GirardCritica1: Girard pone l'accento sugli aspetti quasi esclusivamente distruttividella mimesi.Secondo Fornari, l'imitazione per il possesso può essere anche positiva, nelsenso che per la nostra vita e la costruzione della nostra identità noiabbiamo bisogno di “possessi” di vario tipo.Il desiderio quindi non è in sé né buono né cattivo, perchè è suscettibile didiventare l'una o l'altra di queste due cose, a seconda di come lo usiamo.Critica2: Girard identifica il desiderio metafisico e la mediazione interna coldesiderio mimetico tout court. Usando il desiderio metafisico comepremessa, in quanto comunque si stratta di una formulazione incompleta,

Fornari aggiunge che, a determinate condizioni (innamoramento, affetti), lamediazione interna può avere un utilizzo necessario e fecondo,estremamente creativo, al punto da poter essere definita la più grande fontedi energia psichica, sociale e culturale dell'uomo.Più che di mediazione interna ed esterna, Fornari preferisce parlare dimediazione vicina(oggettuale-creativa) e lontana(sociale).Mediazione vicina, perchè lo scopo primario e fisiologico di questa resta lascoperta e la definizione dell'oggetto presa nel senso più estensivo, cioèdella realtà che si trasforma mimeticamente in una fonte di azione,conoscenza, significato. Quindi la si po' definire anche mediazione

oggettuale, intendendo l'imitazione più intensa allorchè realizza il suo scopodi conseguimento dell'oggetto e di realizzazione della persona.Mediazione lontana, perchè tale rapporto è essenziale per il funzionamentomimetico della società.

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Per lo stesso motivo per cui il desideri dà vita, la può togliere. Gli uomini sonocondannati a vivere insieme per gli stessi motivi in base a cui si dividono. →Doppio vincolo (double bind).Critica3: Girard ignora gli studi di Baetson in cui quest'ultimo esplora lepotenzialità creative del doppio vincolo nell'apprendimento. E Baetson ignorala relazione strutturale del double bind con l'imitazione, la specificitàculturale del doppio vincolo umano.

L'interpretazione di Fornari del doppio vincolo permette di integrare questedue visioni. Egli suggerisce che la mediazione ravvicinata ci suggerisce comeil doppio vincolo sia estremamente complesso ed elastico e che proprio perquesta sua cagion d'essere, con la stessa forza con cui può esseredistruttiva, può divenire straordinariamente creativa.Critica4: La terminologia girardiana, di transfert di aggressività e diriconciliazione , non è del tutto corretta, giacchè l'aggressività non ènecessariamente violenza (spesso è anzi finalizzata ad impedirla), mentre iltermine “riconciliazione” sottolinea esclusivamente l'elemento sociale,laddove è invece questione di identificare un fattore che è alla base della

stessa socialità.Per questo motivo, Fornari preferisce parlare di transfert violento(di violenzacollettiva), persecutorio, o anche di demonizzazione, e d i transfert didivinizzazione o sacralizzazione.Critica5: La simbolicità, di cui è fatta la cultura umana, trova nella vittima ilsuo primo segno. Ma Girard applica tale concetto come se fosse scontato,senza analizzarlo a fondo, laddove il segno rimanda a una traslazione, a untrasferimento originario che produce il senso.La traslazione dal biologico al culturale non può essere stata immediata, maè procedura piuttosto per approssimazioni scandite da fratture e soglie didiscontinuità, che organizzano ogni volta nuovi equilibri.Ci dev’essere stata una lunga frase infraculturarle ancora altamenteinstabile, per il motivo che non esistevano adeguati mezzi di controllo. Lerisoluzioni violente si ripetevano allo stato spontaneo, in un processo aspirale che avrebbe prodotto l’uomo. Girard lo nota ma non lo esprimeesplicitamente perchè questo lo avrebbe costretto a rivedere la sua teoria dipartenza sul desiderio. (NB!)Critica6: La definizione del “sacro” girardiano è riduttiva perchè non nericonosce a sufficienza la valenza la valenza positiva e creativa e la sua

presenza nella religiosità arcaica.8) Rito e MitoIl rito sacrificale viene ripetuto regolarmente X ripetere un evento essenziale delquale via via si va perdendo il significato, anche a causa dell’ occultamentovittimario.Questi riti quindi ad un certo punto necessitano di una spiegazione.Con la nascita del linguaggio → si formano i MITIIl mito nasce dal rito e dal mito nascono religione (importanza del sacro e delledivinità) e scienza (attraverso il mito le antiche comunità imparavano a conoscere ilmondo. Es. i movimenti del sole, le stagioni..)

Il passaggio dal rito al mito segna un passaggio alla storia del pensiero. Ilpensiero, infatti, nasce come tentativo di spiegare dei riti. Il racconto è laprima forma di organizzazione dei fatti che ci accadono quotidianamente, masoprattutto il racconto ci fornisce una successione di eventi che vuole darci

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una spiegazione, in una sequenza di cause ed effetti fino ad arrivare ad unaconclusione. E' la prima spiegazione degli avvenimenti trovata dall'umanità,a livello non individuale ma collettivo. C’è un elemento di fedeltà alla realtàaccaduta che ci viene trasmessa con estrema attenzione e puntiglio perchése le comunità non facevano questo i riti non potevano essere ripetuti consuccesso: era una questione di vita e di morte. Quindi i miti non soloriflettono le prime forme di spiegazione causale, ma addirittura hanno in sé

un criterio di verità, ossia un criterio di carattere conoscitivo. La storia delpensiero, propriamente detta, comincia col mito.Una vittima mancata poteva diventare una specie di sacerdote o stregone, lospecialista dei nuovi sacrifici. Ecco che allora abbiamo uno specialista che sifa carico del sacrificio, è il depositario del linguaggio sacro quando si èformato ed è depositario anche delle storie che si elaborano una volta che illinguaggio è diventato sufficientemente complesso e che accompagnano ilrito religioso. Queste storie sono i miti.Il mito rappresenta una testimonianza molto importante di pensiero religiosodella fase pre-filosofica che sarà alla base della nascita della filosofia in

Grecia.Esso è il racconto per eccellenza degli eventi decisivi per la vita dellacomunità stessa. E quale avvenimento più fondamentale dei processi diviolenza collettiva?! Ovviamente il tutto nella versione inevitabilmentemistificata e alterata di questa cultura stessa cioè nella prospettiva deisacrificatori.Si tratta di un punto di vista che riflette il convincimento assoluto che lavittima al centro della violenza collettiva non è la vittima di ciò che accade,ma è la responsabile di ciò che accade, è quindi depositaria di un potereenorme che il gruppo deve imparare a disciplinare. Se è troppo vicino, questopotere è distruttivo, se è troppo lontano, questo potere sarebbe inefficace.Deve collocarsi alla giusta distanza e questo avviene mediante il sacrificio,mediante il rito. Il mito racconta dunque questa storia partendo dalconvincimento dei partecipanti al rito: ne nascono storie bislacche.I miti riflettono le prime spiegazioni differenziali e simboliche che le comunitàumane hanno dato di se stesse. I miti tuttavia, queste autentiche rifondazioniverbali della comunità, non possono che riflettere la trasfigurazione deldoppio transfert rituale, e come tali vanno attentamente smontati nei loromeccanismi generatori per isolare i segni della persecuzione.

Un simile metodo, proposto da Girard, consente anche di sfatare leinterpretazioni tradizionali del mito che vedono in esso tutto tranne qualcosadi reale. Egli fa proprio un'analisi degli elementi logici interni del testo miticoa evidenziare contraddizioni, reticenze, lacune che solo l'ipotesi vittimariapermette di spiegare fornendone il principio genetico e simbolico.Dobbiamo scavare anche attraverso le successive stratificazioni culturali chetendono ad abbellire e infine a coprire l'evento fondatore. I miti più cruentisono quelli più antichi e più vicini alle origini.Si fa una selezione di fatti assolutamente verosimili, dotati di una logicainterna e escludiamo altri fatti che sono chiaramente inverosimili e che

riflettono però il punto di vista della comunità, il convincimento comunitarioche la vittima sia onnipotente, prima nel male e poi nel bene. Il metodo dilettura del mito ci permette di enuclearne la parte vera, di trarne il nucleo diverità, basta inserire alcune variabili e utilizzare una teoria che nell’insieme

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ci spieghi che cosa può essere accaduto all’origine di quel mito. Poi quei mitisono stati ripetuti per lungo tempo fino ad arrivare all’epoca storica in cuipossono essere stati modificati, variati. Oppure ci possono essere ritualisimili che producono miti simili, ma con qualche differenza.

9) Metodo unificato di Rito e Mito, di FornariMITO = racconto che serve a spiegare i riti sacrificali: la violenza del fondamento èespressa nel mito, ma velata da un racconto che sembra fantastico. In realtà nelmito sono presenti molti elementi reali. Nel mito inoltre sono espresse solitamentesolo le ragioni dei carnefici.QUINDI Il mito va attentamente smontato per far emergere elementi reali e leragioni delle vittime, tramite il metodo unificato dei riti e dei miti.Il metodo girardiano riflette le semplificazioni e gli atteggiamenti riduttivi giàriscontrati a proposito della mediazione e del sacro, e va ulteriormentesviluppato e arricchito.

È infatti possibile ricostruire all'interno di un mito e di una serie di mitidiverse stratificazioni e fasi evolutive, che si dispongono e si combinano neimodi più vari rimanendo però rintracciabili.Dal momento che il rito compie ciò che il mito racconta, esso non èaltro chemito in azione, con l'elemento propulsivo del mimetismo più intenso edestatico, quello che diventerà mediazione ravvicinata creativa, che ilsacrificio permette di orientare e utilizzare.All'inizio abbiamo un unico evento di irruzione di un modello sacro e assolutoche viene imitato nel rapporto di adorazione in due direzioni successive ecomplementari: innanzitutto la direzione del rito, coi divieti, e poi quella

simbolico-verbale. La prima ovviamente conserva un maggiore realismo, cheil racconto mitico cerca di spiegare in modo trasfigurato e confuso.Girard coglie che la causa esplicativa è la vittima, ma gli sfugge l'unità dei ritie dei miti, come metodologia. Il metodo unificato consiste nel leggere i mitiin stretta corrispondenza con i riti. Per cui dobbiamo utilizzare altreinformazioni su quei riti oppure teorizzare partendo da alcuni dettagli comepoteva essere il rito che accompagnava quel mito. Possiamo raccogliere delleinformazioni su riti simili e vedere che tutti questi testi formano una famiglia,ottenendo così un intero insieme di miti che si completano a vicenda, ciforniscono nuovi indizi per la decifrazione complessiva. Questo è ciò che

chiamo metodo unificato dei riti e dei miti (Girard parla prevalentemente solodei miti e normalmente non stabilisce sequenze di miti, si limita adanalizzare invece una singola storia o al massimo due. Egli inoltre vede solola vittima e quindi al di là della vittima il mito per lui è una serie di falsità. Inquesto senso Girard continua l’attuale connotazione svalutativa del mito oipervalutativa, ma senza prenderlo veramente sul serio, perché per lui il mitonon è altro che una menzogna. Non è così perché il mito comunque riproduceun criterio di fedeltà storica, riporta la storia dell’origine in forme causali,esplicative, simboliche; ci sono delle connessioni di carattere logico;insomma una serie enorme di cose senza le quali non sarebbe nato ilpensiero).

10) Cosa c'entra tutto questo discorso col cristianesimo → 11) Lasostituzione, nel cristianesimo

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Com’è possibile che noi oggi riusciamo a smantellare questa coerente einfernale macchina da linciaggio? Da dove ci viene questa consapevolezza ?La risposta di Girard è spiazzante: la consapevolezza dell'esistenza di vittimeinnocenti ci viene dalla rivelazione antipersecutoria dei Vangeli, preparata epreceduta dall'evoluzione antisacrificale della Bibbia ebraica.Sono i Vangeli a attaccare per la prima volta con una determinazione cosìperentoria e assoluta i processi mimetici violenti, i meccanismi sacrificali su

cui si fonda la cultura umana, prescrivendo un rimedio alla violenza mimeticache Girard non esita a definire di una precisione scientifica: l'unico veromodo di superare la violenza è quello di disinnescare la proliferazione deidoppi rifiutando la risposta simmetrica alla violenza degli altri, e quello discoraggiare sul nascere la rivalità acquisitiva porgendo, al momento dellaprovocazione, l'altra guancia.La logica del perdono, e della non rappresaglia, sostituisce la logica deldesiderio incontrollato e della rivalità, designata con la parola skandalon, lapietra d'inciampo che è iI modello-ostacolo posta sulla nostra strada.Lo skandalon indica le tappe fondamentali del processo mimetico:

1) il desiderio che diventa ontologico e rivalitario, focalizzandosi alla finesulla “pietra dello scandalo”;2) l'espulsione della pietra dello scandalo, ossia della vittima;3) l'ipocrisia con cui gli scandalizzati pensano di affermare la loro assolutaalterità rispetto alla vittima nel momento stesso in cui ne ripetono in formaaggravata le colpe reali o presunte.Questa ricchezza e concretezza di significazioni molteplici e convergenti,suggerisce riflessioni più generali, rispetto a come si esprime Girard, su cui èbene fare un primo chiarimento.La cosa più impressionante è che siamo di fronte a un sapere sull'uomo che èrimasto in parte incompreso per duemila anni. Il messaggio ha agito ed èstato seguito fin dall'inizio, ma accompagnato da una comprensioneantropologica sovente incompleta che sembra testimoniare, con silenziosaeloquenza, del suo essere indipendente dall'uomo.Non si tratta di “dimostrare” la “verità” del cristianesimo, bensì di sottoporreal lettore una serie di risultanze fenomeniche ed esplicative che acquistanoleggibilità e congruenza partendo dal nucleo più vivo dell'annuncio cristiano,indipendentemente da ogni adesione di fede.Ritornando allo skandalon, l'incomprensione parziale quanto rivelatrice di

tanti cristiani verso di esso si fa forse ancor più evidente nei confronti dellafigura di Satana, designante anch'essa il processo mimetico nel suo insieme,ma con una maggior enfasi sul suo aspetto collettivo e fondatore. In ebraicoSatana significa “accusatore”, come del resto diabolos che in greco significa”calunniatore”,e quale accusa, quale calunnia è più letteralmente satanica diquella di una folla scatenata, del doppio vincolo senza vie di scampo in cuiviene intrappolata la vittima? Satana è il meccanismo fondatore di tutte lecomunità umane, e di tutti gli individui che le seguono ciecamente, unmeccanismo che viene intrepidamente messo a nudo e smontato nei suoielementi costitutivi dalla parola e dall'azione di Cristo. Egli difende le vittime

e smaschera i persecutori in nome di un amore non più basato sul desiderioviolento, ma sull'imitazione del Padre che comanda il perdono, l'unico veroantidoto contro lo skandalon, contro Satana.Non vi è quindi una negazione del desiderio mimetico, come invece afferma

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Girard arrivando a una vera demoniazzazione del desiderio,bensì un suoriorientamento completo, basato sull'imitazione del Dio d'amore di cui Gesùsi dichiara figlio. L'obbedienza amorosa e totale di Cristo, da un punto di vistamimetico, può essere definita solo come una mediazione mistica e assolutad'amore, capace di condurre l'uomo alla suprema realizzazione oggettuale,nel momento medesimo in cui vi rinuncia. (NB. Mediazione oggettuale nelcristianesimo!)

Questa è la teoria del desiderio di Fornari che esprime in termini piùraziocinanti il senso antropologico.Nell' annuncio evangelico tutte le potenzialità positive del mimetismo umanosono riscattate e portate alla luce in una vera seconda creazione dell'uomoche rovescia la sua origine violenta indicata nella Bibbia dalla disobbedienzadi Adamo ed Eva e dal fratricidio compiuto da Caino. Questo annuncio,scandaloso nell' accezione originaria del termine, verrà pagato da Gesù conla _ sua stessa vita. Le forze di Satana, colpite in quella che è la loro causageneratrice, reagiscono col loro vecchio sistema, trasformando Gesù nel loroennesimo capro espiatorio. Ma la differenza tra il Dio di Gesù e le divinità

violente concepite dall'uomo trionfa nel momento stesso della sconfittaterrena del Figlia di Dio. Il racconto della Passione ci illustra il meccanismocollettivo della persecuzione di una vittima merme, che rimane estranea sinoin fondo allo skandalon dei suoi persecutori, testimoniando fino all'ultimo lapropria innocenza e perdonando i suoi persecutori. È la prima voce di unavittima totalmente innocente: «Padre, perdonali, perché non sanno quelloche fanno». Satana, il fondamento violento dell'uomo occultato «sin dallafondazione del mondo», rimane sconfitto.L'origine pienamente umana della violenza è rivelata. Soltanto qualcunocompletamente estraneo alla logica violenta dell'uomo poteva compierequesta rivelazione – sostiene Girard -, un Dio esente dalla violenza che puòraggiungere l'uomo solo nella veste di chi subisce la violenza fondatrice.La Resurrezione rappresenta l'ultimo rovesciamento, la rivelazione finale: nonpiù la divinità sacrificale che rinasce a garantire l'unanimità violenta delgruppo, bensì la vittima tradita e massacrata che ritorna a portare la verità eil suo perdono, recando ancora sul corpo i segni del supplizio subìto.(Perdono, ma non dimentico).Dopo essere risorto Gesù ritorna al Padre, e lascia a continuare la sua operalo Spirito Santo, la terza persona della Trinità, che dà a chi lo vuole il dono

sovrumano di distinguere e difendere le vittime, di non farsi ingannare daidoppi vincoli delle accuse di Satana, Lo Spirito Santo è chiamato in greco ilParakletos, che vuol dire semplicemente l'Avvocato della difesa. Tutti quelliche come Gesù imitano il Padre, ricevendo l'azione dello Spirito Santo,iniziano già dentro di loro il processo della Resurrezione, diventano figli di Dionon diversamente da Cristo.Il messaggio evangelico ha preparato il terreno, con la graduale caduta deitabù conoscitivi e sociali, ai successi della concezione scientifica moderna edella rivoluzione industriale. Attraverso il crescente affrancamento dalleantiche forme sacrificali l'uomo ha gradatamente affermato la sua libertà di

scelta, liberando le straordinarie valenze creative del suo mimetismo, cioè lasua capacità di utilizzare una mediazione ravvicinata creativa sempre piùemancipata dalle antiche norme del sacro. Una nuova mentalità audace epragmatica si è un po' alla volta sprigionata dall'Occidente cristiano, e si è

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impossessata irresistibilmente di tutte le culture mondiali.Il problema non è più di credere, ma di vedere.Sintesi: Il cristianesimo non rivela solo l'innocenza della vittima, ma ladipendenza che l'umanità ha dalla vittima.

12) La polis → La nascita della filosofiaLa civiltà greca nasce e si sviluppa in stretto rapporto con le civiltà del vicino

oriente. Essa nasce grossomodo a partire dall’ IX°/IIX° secolo a.C. La filosofianascerà nel VI° secolo a.C.Questa civiltà era assolutamente marginale, non disponeva di risorse, era isolata.MA è diventata importante proprio per la sua marginalità che le ha permesso disvilupparsi indisturbata per moltissimo tempo.POLIS = città stato relativamente indipendenti. La componente fondamentaledella polis è il cittadino e la sua libertà (soprattutto di parola).L’ esistenza di molte polis diverse presuppone una forte instabilità, risolvibiletramite la fondazione di colonie (dette insieme Magna Grecia).NB: si parla di una cultura priva di un unico centro politico, amministrativo e

grandi risorseAd un certo punto queste polis dovettero coordinarsi X difendersi dai nemiciesterni.Vengono istituite assemblee costituite da tutti i cittadini aventi diritti; nonc’era quindi un re mediatore, ma una forma particolare di democrazia XK nontutti avevano diritto di voto (ma in generale il sistema funzionava in modoorizzontale).In queste assemblee ognuno poteva esercitare il diritto di parola: il LOGOS, inGrecia, era considerato un vero e proprio potere da un lato e un’ arma dall’altro XK era un mezzo usato per persuadere.

Le polis sono la culla della filosofia = amore per la sapienza. Il sapientesolitamente metteva il suo logos al servizio della comunità con la speranza dirifondarla.Mentre nelle civiltà sumere le assemblee dei cittadini erano certamentedominate dal timore degli dei e dalla necessità di scrutare quale ne fosse lavolontà, un clima di forte instabilità dove il ricorso al sacrificio doveva esserepiuttosto frequente, nelle città stato greche non si ha un clima dello stessotipo. Non c’è più la dipendenza così timorosa e sacrificale nei confronti delledivinità della città. I cittadini della polis ripongono una grande fiducia nelleproprie capacità e nei propri mezzi. Cercano di stabilire in base a queste lorocapacità che cosa è meglio e conveniente decidere per la città. Lo strumentofondamentale per arrivare a queste decisioni era il, LOGOS. Il logos ha unanatura trsfigurante del divino.La mentalità di queste polis greche è sempre fortemente sacrale, perchéquesto rimane il contesto di tutte le società antiche, ma non più terrorizzatadi fronte al divino come avveniva nel mondo mesopotamico. È una mentalitàpiù positiva e costruttiva dove l’iniziativa dei cittadini riceve un maggiorerisalto. In questo le città stato greche sono state favorite non solo da unlungo periodo di sviluppo e prosperità con relativamente pochi incidenti, ma

anche dal fatto che nelle polis greche manca un corpo centralizzato dosacerdoti che concentrino nelle loro mani tutte le principali attività, culturali,economiche, sociali. Manca un organismo, un potere, centralizzato. Mancaquindi una struttura unificata di tipo monarchico come negli imperi del

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vicino oriente, Egitto e Babilonia. Manca di conseguenza di un'unica castasacerdotale che controlli tutte le forme fondamentali della cultura. In questamaniera nelle polis greche si ha uno sviluppo culturale che però è sganciatoda un controllo direttamente sacerdotale. Il controllo è piuttosto nelle manidelle assemblee cittadine composte da cittadini che cercano di prenderedelle decisioni di tipo razionale in base alla condivisione del logos.→ Il mito si sgancia dal rito e comincia a sviluppare in maniera autonoma

una sua logica propria che non deve più obbedire alla necessità di spiegare erendere efficaci i miti.I sacerdoti nelle città stato greche ovviamente c’erano, ma non avevano lapreponderanza, la presenza sociale massiccia, che avevano invece negliimperi del vicino oriente dove tutto era centralizzato e quindi più facilmentecontrollabile. Questo ci permette di capire come mai la filosofia si siasviluppata in Grecia e non in Babilonia o in Egitto.

13) Perchè la filosofia deriva dall'orfismo (culto di Dioniso) e in cosa sidifferenziano

La filosofia cerca di dare spiegazioni razionali recuperando temi religiosi: adesempio, come è nato il mondo?La filosofia è infatti nata dalla religione, differenziandosi da essa(logos) maanche conservandone alcuni elementi. Uno di questi è la ricerca di qualcosacome la verità, dove la verità prende in qualche modo il postoprecedentemente occupato dalla divinità, solo che la verità della filosofiaassume un carattere più logico.Essa quindi si basa su ragionamenti e su ricerca di significato.Le religioni si fondano su fatti non razionali, su esperienze di carattererituale, partendo dalle quali hanno elaborato storicamente tutta una serie diforme culturali che racchiudevano una organizzazione di tipo razionale. Soloche con la filosofia, e poi con la scienza, queste basi razionali siautonomizzano. Il mito è il passaggio di mezzo.Infatti ci è un'evoluzione conoscitiva dell'umanità. La successione è:

 – percezione → Orfismo – rappresentazione → Tragedia – pensiero → Filosofia

La filosofia non ha perciò inventato nessuno dei suoi concetti ma li haricevuti da un contesto sociale che a sua volta li ha ereditati da uno sviluppo

culturale e religioso antico. Anche se tenderà a divenire più astratta e a porsicome sapere assoluto, la filosofia nasce come sapeinza sacra.Nel mondo greco è interessante rilevare un dualismo religioso: c'era lacosiddetta “religiosità olimpica”, una religione pubblica che mirava arisolvere i problemi comuni dell'intera città. Al giorno d'oggi la religione èindividuale e spirituale: ognuno prega la divinità affinché risolva i problemipersonali. La religiosità olimpica prevedeva invece che si richiedesse larisoluzione di problemi collettivi. Va poi notato che era quasi sempre unchiedere la protezione da cose materiali: guerre, carestie, epidemie...Questo perchè a quei tempi nella società greca non c'era differenza tra

cittadino e uomo privato. Per noi invece i due aspetti sono ben distinti:abbiamo una vita privata ed una vita in cui facciamo parte della società. E'chiaro che una religione come quella olimpica non appagava il singolocittadino e le sue esigenze: tutti noi ci chiediamo "che ne sarà di me? Quale

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è il mio destino?"Ciò che risultava fortemente ridimensionata, in questa prospettiva, era unacerta spiritualità interiore e volta al misticismo, che trovò espressione nongià nella religione olimpica, ma nell'Orfismo. La religione di Dionisoproponeva una diversa spiritualità, e, almeno parzialmente, un elevato gradodi esaltazione di quegli aspetti estatici, cioè l'uscita da questo mondomediante l'entusiasmo e l'interpretazione, da parte umana, della "divina

follia" di Dioniso. La figura di Dioniso veniva associata al concetto di altro, dialterità, facendo da tramite fra il mondo umano e quello divino, tra il mondodei vivi e il mondo dei morti. Nell'Orfismo, infatti, si parla di anima, direincarnazione.L’Orfismo è particolarmente importante perché introduce nella civiltà grecaun nuovo schema di credenze e una nuova interpretazione dell’esistenzaumana.E' proprio questo passaggio dell'interessamento dalla natura all'uomo chefarà la differenza. Lo stesso accadrà con Socrate e il distacco dai filosofi dellaphysis, dove si potrà parlare di filosofia vera e propria, in quanto si indaga sul

pensiero che è qualcosa di appartenente all'uomo come frutto della cultura,quindi non qualcosa della natura.Mito orfico di Dioniso, nasce per la terza volta. I Titani attirano il piccolo con igiocattoli (lo specchio) e lo uccidono, volevano punire l’ennesimo adulterio diZeus. Lo divorano subito, è un crudo rituale come vorrebbe Smith. Riduconoa ceneri i Titani. Nasce l’umanità. Poiché Titani avevano mangiato Dioniso,nell’umanità ha la speranza di identificare con Dioniso (rimando ad Osiride,identificazione). Dioniso è destinato alla beatitudine eterna. Mito sull’originedel mondo e sulla violenza umana.L’Orfismo è un mito che contiene potenzialmente anche una riflessione più dicarattere antropologico. Deve assicurare la liberazione dell’anima del fedeledel culto della rinascita. Ha quindi un’efficacia magico rituale.Ne troviamo derivazioni nel primo pensiero filosofico greco. I greciriconducono a forze che rimandano ad un’aura sacrale ma che sonoriconosciute attraverso il logos della natura.Si passa da spiegazioni dove intervengono agenti divini a spiegazioni in cui cisono cause riconoscibili nella realtà. Le leggi del cosmo sono riconoscibili nellogos umano perché se correttamente interpretate esprimono il medesimologos. Queste leggi non dipendono dagli dei, il logos umano attraverso

l’interpretazione del sapiente può cogliere queste leggi. Si conserva lastruttura ma ci si stacca dalla riconduzione ad un’unica causa divina vistacome causa ultima.Il pensiero mitico è la razionalità che si sta formando. Il pensiero greco è unpasso ulteriore: un logos interno alla materia stessa, sul versante dellanatura. Il dio di Israele è creatore della materia, è lo stesso procedimento sulversante teologico.[differenze] Mentre l' orfismo accentua la percezione intuitiva del rito, a cuifinalizza l'elemento rappresentativo e prespeculativo del mito, la filosofia sisgancia sempre più dagli elementi rappresentativi accedendo a una

formalizzazione via via più astratta, e tenderà a interpretare le proprierisorse meta-rappresentative e meta-linguistiche come un titolo di superioritàrispetto a letteratura e tragedia.  Tuttavia, ciò che continuerà ad accomunare religione e filosofia sarà la

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ricerca della verità. La filosofia greca sarà così uno strumento di esplorazionesacrificale di secondo grado, che si rivelerà determinante nella nascita di unnuovo sapere di tipo scientifico.14) Il significato del logos e la dialetticaLogos significa parlare, dire, udire ma anche legge. E’ qualcosa di più se vistonel suo significato, è una forza, una capacità personale. Quando riesco aparlare in modo convincente si crea un circuito che trasmette una forza

logico argomentativa che è di origine divina. Per i Greci questa era unapersona che aveva ricevuto una forza da un Dio.L’oratore è colui che riesce ad esprimere un logos convincente. Questopresuppone un pubblico che lo ascolta.La retorica è una tecnica di manipolazione del logos utilizzata nelleassemblee per far prevalere una discorso sugli altri.Fornari ipotizza l’attribuzione della nascita del linguaggio ai suoni e ai rumoriprodotti dalla vittima, perché se tutto quello che riguardava la vittima erasacro, doveva essere sacro anche tutto ciò che emetteva la vittima comesuoni o rumori. Da questi suoni che inizialmente avevano un valore religioso

e che con la ripetizione diventavano parte integrante del rito, possiamoottenere delle prime parole che avevano un significato religioso (ipotesigenerica). Da queste prime isole di significato possono essersi sviluppatealtre parole che un po’ alla volta hanno cominciato ad articolarsi in undiscorso che inizialmente doveva essere di carattere strettamente rituale,fortemente collegato con il mito, ma poi questo nuovo straordinariostrumento avrebbe avuto applicazioni di ogni tipo, comunicativo, culturale,educativo, ecc. Infatti nelle culture antiche il linguaggio ha una forza sacrache oggi abbiamo perduto.Il logos greco ha una connotazione fortemente sacrale che spiega leparticolarità di questo concetto: logos significa parola, idea, ragionamento,discorso, calcolo, tutta una quantità di significati collegati con la sferasacrale. Da qui la parola trae la sua pregnanza, la sua ricchezza di significati.Esso veniva visto come una forza, un potere, di cui ogni singolo cittadinopoteva essere investito e che doveva utilizzare nel modo più giusto, piùadeguato, in modo da ottenere la decisione migliore.La dialettica ha permesso il passaggio dallo sfondo religioso al pensieroastratto.Durante un discorso dialettico, l'interrogante pone una domanda in forma

alternativa, presentando cioè i due corni di una contraddizione. Il rispondentedeve trovare un medio, un concetto unificatore che unisce i due termini diuna proposizione. Ma tale medio è più astratto della proposizione, e a suavolta deve essere dimostrato esso stesso.La dialettica è così la disciplina che ha permesso di sceverare le astrazionipiù evanescenti.→ v. sofisti.

15) Il sapiente arcaico e i suoi ruoli, 16) L'enigma e 17) Il logos per i varifilosofi pre-socratici

Il sapiente arcaico ha un ruolo ancora fortemente sacrale, con un commercioravvicinato con la sfera divina: non è ancora il filosofo, in senso tecnico.Il sapiente si avvede del “gioco della vittima sacrificale”, e lo comunica aglialtri sotto la maschera del gioco enigmatico, con una sottigliezza e

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pertinenza che presuppone una conoscenza approfondita della sapienzaorfica. Il sapiente greco arcaico è un tecnico sacrificale, che deve stabilire inbase alla sua scienza divina quando, come e quale vittima immolare perliberare la comunità.Eraclito è il sapiente che più di ogni altro ha fatto dell'enigma il suo specificomezzo espressivo. Egli non può né vuole togliere l'ultima maschera, svelarela menzogna delle menzogne, questo è l'orizzonte ultimo della sapienza

greca.È la sapienza filosofica a mostrarci con gli esiti più istruttivi l'importanza e ilimiti della ricerca greca sull'uomo e sul sacro. La filosofia costituisce iltentativo radicale di manipolare l'enigma e di impiegarne le leggi per unavera rifondazione del mondo greco e della sua religione tradizionale,avvertita ormai come insufficiente. A tale scopo la sapienza filosofica ricorrealla sapienza orfica e misterica, di cui mantiene il dinamismo simbolico erivelativo, ma sganciandolo dai suoi riferimenti mitici e rituali, etrasportandolo in una nuova sorta di religione impersonale basata su unprincipio universale, l'arché. Questo principio che si dà a conoscere all'uomo

gli permette di cogliere l'unità di tutte le cose -la physis – e di indagarla coimezzi che gli sono propri, col logos che in tal modo rivela di fare un tutt'unocon le leggi del cosmo. Attraverso il logos è l'uomo, il sapiente, che viene afar parte dell'ordine cosmico. Attraverso il logos è l'uomo, il sapiente, cheviene a far parte dell' ordine cosmico. Un tentativo così grandioso però nonriuscirà mai a superare le ambiguità di partenza della propria nascita, deimezzi conoscitivi impiegati, e cercherà di risolvere le proprie contraddizionirendendo sempre più autonomo il logos che era inizialmente strumento diuna sorta di rivelazione conoscitiva e sacrale, di ierofania razionale.Dal singolare misticismo speculativo delle origini emergerà gradatamente unlogos sempre più orgoglioso di sé, e che non si accontenterà di raccogliere eesprimere la razionalità del reale, ma vorrà incarnare la razionalità supremache ingloba e definisce ogni altra, una totalità razionale.Il loro ruolo è quello di diffondere la conoscenza, che a quei tempi era legataalla sfera sacrale, rivolgendo il loro logos a degli ascoltatori che poiavrebbero dovuto farlo proprio attraverso la propria comprensione, cioèattraverso il proprio logos.Questa volontà di dimostrazione razionale del reale si riveleràstraordinariamente feconda da un punto di vista logico e conoscitivo, quanto

sottilmente ingannevole nel suo graduale occultamento di una verità piùoriginaria, quella sacrificale dell'uomo.Sono questa nascita e quest'evoluzione a produrre quella che proporrei dichiamare indicativamente “filosofia sacrificale”(presocratica), nella dupliceaccezione di una filosofia che è partita indagando sulla struttura del sacrificioe che poi lo ha “metasacrificato” a sua volta pensando in misura crescente dipoterne prescindere.Mentre la sapienza arcaica cerca di diventare l'interprete dell'enigmacollettivo del processo vittimario intervenendo nella sfera politica e pubblicaa cui profondamente appartiene, la filosofia ormai tecnicamente a sé stante

della fine del IV secolo si rivelerà sempre meno consapevole delle leggi deldesiderio mimetico e della fondazione vittimaria. Platone sarà la chiave divolta per questo cambiamento.

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18) Cosa c'entra la società greca con il sacrificio e 19) Parmenide: filosofoche riprende il sacrificio, iniziatore dell'ontologia e 20) Il sacrificio connessoalla filosofia, e qndi all'enigmaParmenide teorizza un archè(principio)  assolutamente innovativo, al puntoche definirlo un archè è equivoco. Questo principio, che non è un principio, èl'Essere. Non è un principio, letteralmente, perchè esiste da sempre, e secosì non fosse contemplerebbe il Non-Essere, venendo meno alla sua stessa

definizione di Essere. Il Non-Essere non esiste, per definizione.Se quindi l’Essere è ed esiste pienamente in virtù di se stesso, questosignifica che è sempre esistito e sempre esisterà. Non c’è stato un momentoin cui l’Essere non c’era, così come non ci sarà un momento in cui l’Esserenon sarà più.Ne derivano concezioni paradossali: dal punto di vista di Parmenide nonmoriamo e non nasciamo. Parmenide risponde ai suoi contestatori con unaargomentazione che ritornerà molte volte in filosofia e che già esiste pressola filosofia indiana o cinese. Parmenide risponde: “Sono tutte apparenze”.Pensiamo di nascere, pensiamo di morire, in realtà in quanto enti

partecipiamo dell’Essere e quindi né nasciamo né moriamo.Per questo motivo il termine  principio applicato a Parmenide non è del tuttoappropriato: non esiste un principio in senso temporale, nel senso di unmomento originario da cui sono nate tutte le cose, perchè nell'universo diParmenide non esiste nascita e non esiste morte.In uno dei suoi poemi, Parmenide descrive così l'Essere: “Immobile, nei limitidi possenti legami, è senza principio e senza fine [non nel senso che siainfinito quantitativamente, ma nel senso che non cessa mai di esistere],restando lo stesso e nello stesso posto e per se stesso rimane e così restafisso perché la Necessità, possente, lo tiene nei legami di un limite che loracchiude tutto intorno.” L'Essere di Parmenide è la straordinaria trasformazione della vittima!Parmenide non non vuole descrivere la vittima, ma trae dal simbolismo dellavittima e del sacrificio le immagini, la struttura stessa della realtà assolutache ci descrive.Ovviamente la vita dell’Essere antico non è solo la nostra vita nel sensobiologico e non ha nulla a che fare con la visione della vita intesa comefenomeno materiale. La vita di cui parlano gli antichi comprende la vita deglidei. Il vivere degli antichi mantiene in sé una connotazione sacrale che

differenzia la concezione greca di  physis da quella attuale. Ci permette dicapire che tutti siamo, nel senso che viviamo e vivremo sempre, perché nonabbiamo mai avuto una nascita né avremo una morte. In questo modo ilpassaggio alla struttura del sacrificio diventa più agevole perché noi siamo invirtù dell’Essere, come negli antichi sacrifici la comunità poteva essere, nelsenso di vivere, solo se c’era il sacrificio.Il passaggio, quindi, che si ha con Parmenide è quello in cui l'intera comunità,salvata miracolosamente grazie all'uccisione della vittima, interpretaquest'ultima come divina e le attribuisce una vita superiore.Un ulteriore passaggio: la dea proibisce severamente a Parmenide di

affermare che l’Essere non è. Esiste un motivo ben preciso nel qualeritroviamo la stessa struttura del sacrificio. Se qualcuno dicesse che lavittima non è un dio, ma è stata barbaramente assassinata, o farebbe lastessa fine della vittima oppure introdurrebbe il germe del dubbio. A questo

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punto cosa accadrebbe se si insinuasse il germe del dubbio? Il rito nonsarebbe più valido e la violenza ritornerebbe. Non solo nei riti sacrificali laviolenza non viene percepita perché tutti si convincono in maniera più omeno spontanea, ma socialmente condivisa, che non si tratta di violenza madi una azione voluta dalle divinità, ma anche che c’è un divieto implicito anon fare vedere le cose come stanno veramente, ossia che la vittima inrealtà è morta e non è un dio. Per questo motivo Eraclito deve dire ciò che ha

compreso in forma enigmatica. Era consapevole del fatto che se la suapercezione fosse stata pubblicamente recepita, ciò poteva avereconseguenze molto gravi. Avrebbe potuto essere perseguitato perchéattaccava il fondamento rituale dell’intera società.Con Parmenide nasce quindi quella che verrà chiamata onotologia, chedefinisce la  physis, e indirizza la propria violenza mediante il controllo dellogos.Il pensiero filosofico nel giro di pochissime generazioni sta facendo grandipassi sulla strada dell’astrazione. Il verbo sostantivato essere con Parmenideraggiunge una densità concettuale assolutamente senza precedenti. Qui

siamo su una strada che comincia a specializzarsi anche da un punto di vistatecnico, per quanto non ci sia ancora un gergo tecnico in senso stretto;questo avverrà solo nel IV secolo a.C. con Platone e Aristotele.

21) Cosa è il problema della physis e chi lo ha affrontato? e 22) Importanzadei sofisti e23) Concetto di physis per i presocratici e nella modernità: differenze e 24)Differenza tra la filosofia e la physisI presocratici credevano che il mondo obbedisse a delle leggi universalinecessarie che, una volta chiarite dovevano essere utilizzate anche nelmicro-cosmo della polis.In questo modo la polis avrebbe riflettuto l’ ordine e l’ equilibrio dell’universo.Il tentativo fallisce e i filosofi si pongono il problema antropologico più grande

PROBLEMA DELLA PHYSIS :  XK gli uomini sono portati a violare l’ ordinecosmico, dal quale tra l’ altro provengono?[importanza dei sofisti e problema physis] I sofisti sono coloro che pongono iltema di ciò che differenzia l’uomo da tutti gli altri esseri. Cos’hanno dipeculiare gli umani visto che gli umani sono dotati di cultura e di logos? Da

un lato questo logos si presenta in continuità con il mondo della  physis, madall’altro i sofisti sottolineano la capacità umana di stabilire le regole e l’usodel logos in base a convenzioni e le convenzioni come tali sonofondamentalmente arbitrarie. Quindi c’è l’elemento dell’arbitrarietà, dellanon corrispondenza della cultura umana al mondo esterno della  physis. Ladistinzione sviluppata da alcuni sofisti è proprio quella tra le regole delleculture umane, che loro chiamano con il termine greco comprensivo dinomos che significa legge, legge come qualcosa di valido per una comunità,per una  polis, ma non necessariamente corrispondente alle leggi della

 physis: quindi la distinzione di nomos rispetto alla physis (natura).

Questo perché uno dei problemi, se non il problema di fondo del pensieropresocratico, è proprio quello del ruolo dell’uomo all’interno della natura.Questo problema verrà poi ereditato e affrontato in maniera estremamenteinnovativa da Socrate.

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In cosa consiste questo paradosso? Il paradosso (quello che chiamoparadosso della physis) può essere formulato nei seguenti termini: l’uomo èparte della  physis, il suo logos è espressione del logos universale e il buonfunzionamento della  polis dipende dal collegamento di questo logos umanocon il logos universale, di cui la sapienza dei vari pensatori vuole essere lostrumento che consenta questa armonizzazione tra logos umano e logos delcosmo, dell’essere. Però l’esigenza stessa, lo scopo stesso che si pone questo

tipo di pensiero solleva una domanda che non trova risposta: “Se c’è bisognodi armonizzare il logos umano e quello cosmico, questo è segno che il logosumano non è armonico con il resto della realtà”.Il dilemma sembra essere il seguente: o l’ordinamento universale ènecessario, da lì non si scappa, come sono propensi a dire molti presocraticie allora l’uomo si conformerà volente o nolente a questa legge universaleoppure l’uomo effettivamente riesce a disobbedire a questo ordinamentouniversale, ma allora questo ordinamento universale non è necessario. O ènecessario e non c’è ribellione oppure c’è ribellione e allora l’ordinamentonon è necessario. L’ordinamento cosmico dei presocratici, secondo un’antica

tradizione di origine religiosa, si presenta come ineluttabile non tanto perchédipendente da volontà superiori, ma perché legato a leggi oggettive da cuinon si scappa. È questo il grande passaggio dalla sapienza di tipo religioso emitico alla nuova sapienza di tipo filosofico: l’individuazione di leggiuniversali e necessarie, l’arché, etc. E allora come si spiega, come far entrarein questo quadro innovativo la capacità dell’uomo di disobbedire a questeleggi universali e necessarie? Se l’uomo può disobbedire, allora queste legginon sono universali e necessarie. È un problema che non viene risolto daquesti grandi pensatori.I sofisti sono gli eredi e gli interpreti di questo fallimento nel senso che neevidenziano i termini costitutivi dicendo che ciò che dipende dalla volontàumana, dalle istituzioni umane (il nomos) può essere anche totalmenteslegato rispetto all’ordinamento della natura, della  physis, del kosmos. Inquesta maniera non offrono nessuna soluzione; merito dei sofisti è stato diaverlo evidenziato per primi.A questo punto le ripercussioni sono molto gravi perché nel momento in cui ilnomos, la legge umana intesa nel senso più ampio, ma partendo dallacollettività, dalla  polis, non ha più un criterio oggettivo e superiore che glifaccia da modello, la conseguenza anche solo dal punto di vista politico è

molto grave. Qual è la conseguenza estremamente pericolosa del distaccodel nomos dalla physis? La conseguenza è l’anarchia perché non ci sono piùdei riferimenti in base ai quali, non solo formulare le regole, ma ovviamenterispettarle. In questa maniera otteniamo un sapere destabilizzanteassolutamente micidiale perché un sapere di questo tipo era capace diannientare qualunque ordinamento politico, civile, morale, culturale. → ilproblema verrà ripreso da Socrate, nel De Repubblica.[phyisis presocratica vs modernità]La vita di cui parlano gli antichicomprende la vita degli dei. Il vivere degli antichi mantiene in sé unaconnotazione sacrale che differenzia la concezione greca di  physis da quella

attuale.[differenza filosofia-physis]:Socrate.

25) L'innovazione apportata da Socrate rispetto ai precedenti filosofi

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Il dialogo socratico tipico consiste nell’incontro più o meno fortuito di Socratecon un concittadino o un amico e Socrate pone delle domande: domandemolto strane, non di carattere personale bensì di carattere concettuale.L’interlocutore gli dà una risposta e questa risposta però non accontentaSocrate, il quale con una serie di controdomande induce l’interlocutore adare delle risposte parziali che non si capisce bene dove vadano a parare;ma dove vanno a parare diventa chiaro alla fine quando, riprendendo le

parole dello stesso interlocutore, Socrate lo costringe a confutare la rispostadata in precedenza. L’interlocutore, confuso, trova una scusa per andarseneoppure tenta una seconda risposta. A questo punto Socrate, in manieracortese quanto implacabile, ricomincia lo stesso procedimento ponendo unaserie di domande.La cosa importante dei dialoghi di Socrate è che ques'ultimo, con il suoprocedimento che è chiaramente di origine dialettica, costringel’interlocutore a porsi il problema della definizione che può essere affrontatosolamente se si riesce a formulare una definizione di carattere universale,ossia a isolare, mediante un procedimento di astrazione, tutti gli elementi

riconoscibili in tutti i singoli membri di una classe di cose.Questa esigenza definitoria pone il carattere universale dei concetti: unconcetto, un’idea deve avere in sé un carattere universale.Abbiamo visto che con Parmenide di usa l'infinito sostantivato (l'Essere),mentre con Socrate si hanno invece gli aggettivi sostantivati (il Bene). Quiavviene che si staccano le qualità dalle singole cose determinate e le sitrasforma in proprietà in sé. In questa maniera si pone l’esigenza non tantodi definire se una singola cosa è bella o meno quanto di trovare il criteriogenerale, universale in base al quale stabilire se una cosa è bella o no.Socrate pone il problema che verrà detto “degli universali”.Socrate sviluppa ulteriormente questo processo di trasformazione e neottiene un’esigenza in termini di puro pensiero e cioè un’esigenza didefinizione universale che non è più direttamente collegata con la physis, maè collegata direttamente con il pensiero. Quindi c’è un’ulteriore tappa sullastrada dell’astrazione.uesto ci mostra un altro aspetto importantissimo di Socrate: il fatto che nonsi occupa più dei problemi della  physis. È un passaggio decisivo nella storiadel pensiero che ha risvolti positivi e altri più equivoci che in qualche modomettono tra parentesi problemi che i predecessori di Socrate, i presocratici,

non erano riusciti ad affrontare. Il problema alla fine è uno solo, è quello cheavevano evidenziato i sofisti ed è importante collegare anche Socrate propriosullo sfondo dei sofisti e delle loro scuole perché senza la preparazione deisofisti Socrate non sarebbe stato possibile.(NB!)Rispetto ai precedenti filosofi, al quesito sollevato di sofisti sul ruolodell'uomo sulla natura, Socrate decide di mettere da parte il problema,perchè nemmeno lui ha una risposta. Ma, a differenza dei precedenti,comprende che ci vogliono generazioni di grandissimi pensatori solo periniziare a formulare la domanda che noi ora possiamo formularedirettamente, ma alla quale dobbiamo guardarci bene di non rispondere

troppo presto.La filosofia molto spesso non consiste nel trovare risposte, quanto piuttostonel ritardarle, al fine di preparare un terreno il più fertile possibile. La rispostanon cade dal cielo, ma va preparata; è un processo!

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Socrate comprende che è inutile che si cerchino i meccanismi che presiedonoal funzionamento dei corpi celesti, del sole e della luna quando non si ènemmeno in grado di garantire una giornata tranquilla ad una qualsiasicomunità umana. Dobbiamo cominciare da noi: noi restiamo gli oggetti piùmisteriosi e sconosciuti.Pertanto, accantonando e mettendo tra parentesi le questioni relative allanatura, all’arché, alla spiegazione della realtà, Socrate mette tra parentesi

anche quella sapienza di carattere rituale e sacrificale che aveva fatto damodello per la sapienza cosmica ed ontologica dei presocratici.Dobbiamo studiare noi stessi, ma ci si potrebbe chiedere se è possibilestudiare l’uomo prescindendo dai fondamenti dell’uomo perché quello cheSocrate intuisce è che andando in quella direzione ci immergiamo inproblemi da cui non usciamo più. L’uomo non trova il significato da solo,nella dimensione orgogliosa del sapiente arcaico, ma nel dialogo con gli altri,lo trova nella convivenza e nello scambio con gli altri, uno scambio che non èsolo verbale e logico, ma anche educativo, culturale e soprattutto affettivo.

L’aspetto affettivo è importante perché quello che, a mio avviso, Socrate

intuisce con una profonda percezione delle esigenze dell’essere umano non èsemplicemente una nuova definizione della sapienza filosofica, di grandesuggestione, quanto proprio il modo con cui Socrate ricerca questa meta cheè un modo profondamente educativo, nel senso che vede nella filosofia, nellaricerca della sapienza uno strumento di educazione di se stessi e degli altri:uno strumento di apprendimento e di insegnamento, che può funzionaresolamente in un rapporto a tu per tu.Questo rapporto di tipo affettivo, che Platone teorizzerà sotto forma di eros(tenendo presente che per i greci “eros” non indica tanto il sesso quantopiuttosto ogni relazione di tipo desiderativo e affettivo che può includereanche i rapporti di tipo più sentimentale e sessuale), mostra che Socratecapisce profondamente il funzionamento del desiderio. Tradotto nei nostritermini ciò significa che Socrate capisce che l’uomo è desiderio – nondimentichiamoci di Eraclito – però non vuole collegare il desiderio con lequestioni angosciose e insolubili del sacrificio, della fondazione sacrificale,delle leggi della  physis; Socrate dice che da qui non si viene fuori; capisce(per questo è veramente grande) che il nostro desiderio funziona se ci sonodei modelli e il nostro desiderio diventa buono se i modelli sono buoni.

26) Differenza Socrate-PlatoneLa nascita della filosofia greca giunge a una definizione ormai tecnicamentecompleta con Platone.

Socrate si concentra sulla verità umana prima che su quella cosmologica,utilizzando discorsi brevi, mettendo in discussione e facendo partorire leidee (maieutica).Platone (considerato del filone dei Parmenide) comprende che la Greciarischia di non avere futuro e si rifà ai presocratici per garantire pergarantire l'ordinamento della polis.

27) Paradosso dell'uomo giusto/ingiusto nella Repubblica, di Platone e 28)Idea del sacrificio in P. In seguito ai problemi evidenziati dai sofisti sul distacco tra nomos e physis,Socrate parla del   paradosso della maggioranza della democrazia. La

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democrazia si basa sul criterio della maggioranza e la maggioranza sembraun criterio ragionevole in base al quale prevale una qualche forma digiustizia perché passa ciò che viene deciso dalla maggioranza dei cittadini.Ma il criterio della maggioranza non può essere in sé un criterio di giustiziaperché se la maggioranza è fatta di uomini violenti e ingiusti, che ne è delcriterio della maggioranza?La democrazia intesa come criterio della maggioranza non garantisce la

benché minima forma di giustizia, in quanto ci può essere anche unamaggioranza di violenti. (Per Fornari: linciaggio spontaneo=forma più anticadi democrazia).Nel De Repubblica, Platone narra la vicenda simbolica di Gige che trova unanello magico grazie al quale può diventare invisibile. Quindi acquisisce dicolpo una possibilità di azione che altrimenti sarebbe assolutamenteinterdetta a qualunque essere umano, quindi lui può commettere qualunqueingiustizia e non andare incontro alle conseguenze perché è invisibile. Gigeva a letto con la moglie del re e uccide il re stesso quindi diventa lui re.Abbiamo un uomo normale che diventa un terribile criminale e che però

raggiunge i massimi vertici del potere politico. Allora l’esperimento mentaledi questo racconto consiste nell’evidenziare come al posto del protagonistadi questo piccolo apologo tutti gli uomini agirebbero nella stessa maniera,avrebbero cioè la garanzia di una assoluta impunità. Nello stesso tempo peròquesto consentirebbe agli uomini capaci di diventare invisibili di raggiungerei massimi onori, di raggiungere le cariche più alte e prestigiose venendoobbediti e venerati da tutti.→ In questa maniera si ha un uomo che si rivela assolutamente ingiusto mache ha tutte le apparenze del giusto.E poi c’è il caso opposto. Cioè immaginiamo un uomo che sia perfettamentegiusto, l’uomo perfettamente giusto è l’uomo che agisce secondo giustizia ela giustizia è quella che si è definita nel I libro e cioè non fare del male aglialtri perché l’uomo giusto è quello che non fa peggiorare di stato le personecon cui ha a che fare o le cose che deve trattare, quindi lui non fa del malema preferisce subirlo. Ma quindi un uomo che sia assolutamente giusto agiràsempre in maniera retta e onesta però non si curerà delle conseguenze e seun’azione giusta lo porterà ad esporsi, ad essere giudicato dagli altri comeinvece disonesto lui non ne terrà conto ma agirà sempre e comunque inmodo conforme a giustizia.

Quindi abbiamo due tesi: una è la perfetta realizzazione dell’uomoassolutamente ingiusto, qui è la perfetta realizzazione dell’uomoassolutamente giusto. Che gli altri mi ritengano un mostro non mi interessaperché io devo agire secondo la mia coscienza e la mia coscienza è quella diun uomo perfettamente giusto. Non solo, ma noi possiamo aggiungere cheessendo tutti gli altri uomini ingiusti come si è detto nell’ipotesi precedente èchiaro che il comportamento dell’uomo giusto sarà normalmente giudicato inmaniera negativa, sarà frainteso o anche se non frainteso verrà condannatocome comportamento assurdo, privo di senso, irrazionale, ridicolo e tuttoquello che volete.

→ proprio agendo in modo giusto avrà tutte le apparenze dell'ingiustizia.A questo punto, venendo riprovato e condannato da tutti che fine farà l’uomoperfettamente giusto? Verrà impalato. Il termine che usa Platone è  Timpanismos o apotimpanismos; non era propriamente parlando la

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crocifissione che facevano i romani ma consisteva nel legare il condannatoad un palo molto strettamente ovviamente con un qualche sostegno e peròin modo tale che il rimanere per lungo tempo legato a questo palo era fontedi grandi sofferenze. Bastava anche un piccolo furterello per peresserecondannato a tale supplizio.Pur ammirando il giusto che ha tutte le apparenze dell’ingiusto econdannando l’inverso, l’ingiusto che ha tutte le apparenze del giusto,

Platone non approva nessuno dei due nel senso che il giusto con tutte leapparenze dell’ingiusto dimostra di essere un uomo eticamente superiore,dimostra di essere un uomo saggio, un uomo sapiente, un vero filosofo perònello stesso tempo rimane confinato ad una situazione di impotenza mentrePlatone vuole una realizzazione efficace, di carattere pubblico e storicodell’idea di giustizia. Perché l’idea di giustizia, che come tale fa un tutt’unopraticamente con l’idea di bene e quindi è l’idea più importante, deveplasmare ed essere riconoscibile in tutta la realtà.Come se ne viene fuori? Come realizzare la giustizia nella polis se la polis èuna comunità di uomini ingiusti che non appena hanno l’occasione di farla

franca sono pronti a commettere qualunque ingiustizia, e dove i giustiammesso che esistano sono una ristrettissima minoranza spesso ridottaall’impotenza? E qua abbiamo l’escamotage e cioè Platone fa dire a Socrate:“Va bene, non siamo riusciti ancora a trovare una definizione soddisfacenteguardando ai singoli individui, ma perché non partiamo dall’osservazione diqualcosa di più grande e cioè non partiamo dall’osservazione di un’interacomunità che sarà verosimilmente un po’ una mescolanza di cose giuste e dicose ingiuste” (è un metodo fenomenologico quello che propone Platone ecome tale di grande valore anche scientifico e conoscitivo). In questamaniera noi potremmo vedere alcune cose giuste, altre ingiuste e noifacciamo tesoro degli elementi giusti che riusciremmo ad osservare perricavarne qualche indicazione ulteriore sulla definizione di giustizia.[idea di sacrificio in Platone] Platone ha fatto emergere nella sua analisisenza rendersene conto è la violenza intrinseca anche se di solito piùpotenziale che pienamente manifestata, la violenza intrinseca ad ognicomunità umana, perché ingiustizia è uguale a violenza in termini più spicci.Non solo ma anche che chiunque si comporti in modo diverso diventavittima.Perché se io mi trovo in una comunità tutta composta di uomini ingiusti e

cioè violenti e io sono l’unico che non sono violento, che fine faccio? Diventola vittima degli uomini violenti.Non solo, ma Platone in questa maniera non solo identifica il meccanismoche porta alla vittima e la posizione della vittima ma addirittura arriva a direche la vittima è l’unica rappresentante della giustizia. Solo che per lui questanon è una definizione di giustizia in alcun modo spendibile perché il giustoche viene impalato o crocifisso rimane impotente, non realizza quellagiustizia storica, pubblica, sociale che per un greco restava l’unicadefinizione di giustizia, di bene.Platone ha individuato il meccanismo della vittima e ha capito in qualche

misura, perlomeno intuito, che il meccanismo della vittima risale allecomunità umane in quanto tali e siccome l’uccisione dell’uomo giusto è ilmassimo dell’ingiustizia, il trionfo supremo dell’ingiustizia, quindi sono lecomunità umane in quanto tali, in base alle loro dinamiche interne, la fonte

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dell’ingiustizia. Ma allora se è così, come potrò fidarmi dell’osservazione diqueste stesse comunità per ricavarne un ideale di giustizia?magari si può anche sostenere che proprio il momento della massimacriticità può diventare l’inizio di una soluzione però ci deve essere qualchefattore che mi consenta questo cambiamento radicale, questorovesciamento. Ma le comunità umane in quanto tali non possonotrasformarsi in fonte di giustizia, non se ne viene fuori, perchè la fonte stessa

del male è l'umanità.

29) Differenza tra amore in Platone e per il Cristianesimo → 30) Differenzareligione greca - ebraico/cristiana e 31) Il sacrificio nel cristianesimoNel primo caso, Dio è oggetto di amore, nel secondo caso è Colui che ama.In Grecia, umano e divino sono staccati.In Grecia un ladruncolo di polli poteva essere condannato a morte. Oggi noiprotesteremo.Per Platone invece la cosa era assolutamente normale.Perché noi protestiamo e Platone no? Perché noi intanto storicamente siamo

passati attraverso l’influenzamento cristiano. (Attenzione! Che si sia credentio no queste cose qua credetemi c’entrano poco.) Riteniamo questo coseindegne di un paese civile. Perché noi siamo passati attraverso l’esempiocristiano che ci mostra il giusto che ha tutte le apparenze dell’ingiusto che èfiglio di Dio ma in quanto uomo crocifisso. Questo esempio, che noi si creda omeno nell’affermazione che è figlio di Dio, è rimasto impresso a caratteriindelebili nonostante tutto nella nostra coscienza collettiva e nella nostracultura. Per cui noi non accettiamo più che la gente venga crocifissa inquesto modo, neanche per motivi molto più seri, figuriamoci per quelli cheper noi sono piccoli reati.[amore in Platone] Nel mito della caverna (il prigioniero liberato deveriscendere), Platone capisce che la separazione tra umano e divino checaratterizza il mondo greco ha bisogno di un elemento di mediazione che luiidentifica in Eros soprattutto, visto come essere demoniaco in parte umano ein parte divino.[Sacrificio cristianesimo]Anche il cristianesimo dice che gli uomini sono di persé ingiusti e se qualcuno di giusto si trova in mezzo a loro quest’unico giustofa una brutta fine. Questo è quanto sostiene il cristianesimo. Ovviamenteperò il cristianesimo dice una cosa diversa che Platone non può dire perché è

una prospettiva assolutamente estranea al suo orizzonte culturale.C’è un presupposto che permette al cristianesimo di venir fuori da questadifficoltà in cui invece Platone rimane coinvolto e intrappolato. Gesù è figliodi Dio, essendo figlio di Dio permette di far ritornare visibile la giustizia chel’ingiustizia e la violenza umana aveva cancellato al momento dellacrocifissione.Il cristianesimo parte dallo stesso identico problema di Platone, solo che ilcristianesimo, anziché solo parlare di giustizia, ha anche un’immagine chericorre molto spesso nei Vangeli: Il Regno dei Cieli, di Dio. Regno vorrebbedire la realizzazione di una comunità pienamente pacificata, dove non c’è più

la violenza e dove al contrario regna l’amore e la carità. Qui, a differenza diPlatone, si mette al centro di tutto l'amore reciproco.Non si tratta solo di “Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto ate”, ma “Fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te”.

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La stessa vicenda del giusto che ha tutte la apparenze dell’ingiusto di portarefra gli uomini, dimostrare agli uomini l’unica vera giustizia che è appuntoquella del regno di Dio, quella testimoniata da Gesù Cristo.[Differenza religione greca – ebraico cristiana] “Io non voglio i vostri sacrifici.I vostri sacrifici sono per me un abominio”. Abominio nella Bibbia èl’immagine che significa la massima lontananza da Dio. Nel momento in cuiio sono lontano da Dio io vivo nell’abominio, sono un abominio. Perché?

Perché sono lontano da ogni fonte di vita, quindi non sono io che procuro lavita al Dio di Israele con i miei sacrifici, come se questa divinità fosse unvampiro che ha bisogno di succhiare il sangue delle vittime ma al contrariosono io che ho bisogno di lui. Questa è, a grandi linee, la rivoluzione operatadal monoteismo.I rapporti con le divinità nel mondo antico erano regolamentati dai riti e datutta una serie di regole e di divieti. Se io violavo queste norme e questi ritiio commettevo un’impurità, un sacrilegio e come tale ero meritevole dipunizione.Il sacrilegio è totalmente indipendente dalla mia volontà morale. Se io entro

in un tempio, ricolmo di sentimenti di amore e di venerazione per la divinitàvenerata in quel tempio e però nel mio entusiasmo commetto un’infrazionerituale, ad esempio mi precipito all’altare e abbraccio la statua della divinitàio commetto un sacrilegio e come tale sono meritevole di punizione.Questo significa che il rapporto con la divinità sacrificale non è un rapporto ditipo personale, è indipendente dalle mie intenzioni, alla divinità non glienefrega nulla delle mie intenzioni. Se infrango e regole devo pagare.Siamo ancora nel mondo del sacro-arcaico. Ma all’interno di questaconcezione di tipo sacrale si fa strada un po’ alla volta la nozione di un Dioche non solo è unico, spirituale e onnipotente ma è un Dio personale con cuiprima il popolo di Israele nel suo insieme e poi ogni singolo israelita stabilisceun rapporto di tipo affettivo e personale. Quindi Dio vuole bene al suopopolo, ama il suo popolo e si arrabbia se il suo popolo viene meno allafedeltà rispetto ai patti. È un Dio che vuole stabilire un patto, un’alleanza, unaccordo con il suo popolo.Per cui alla fine Dio parlerà a ciascun singolo israelita, potenzialmente aciascun singolo uomo che può stabilire con Dio un rapporto di tipo spirituale,morale e affettivo. Anche qui cambia radicalmente la concezione religiosa.32) L' amore nel simposio / 33) Desiderio per Platone

Eros riveste una posizione intermedia: non è un dio, ma neanche un mortale:è un qualcosa che nasce e muore di continuo;è una metafora con cui si vuoledimostrare che non si può mai possedere totalmente l'amore; l' amore èmetafora della filosofia perchè l'uomo non possiede il sapere, ma si sforzaper ottenerlo; può riuscire ad avvicinarvisi,ma non si tratta comunque di unaconquista definitiva: il pieno sapere è irraggiungibile. Dunque Eros è unasemi-divinità intermedia.La tematica erotica è strettamente connessa alla retorica.Quindi l'amore è funzionale al pedagogismo. Non mira tanto all'amorereciproco, come invece avviene nel cristianesimo. E' come se la conoscenza

venisse prima della persona.

34) L'aspetto religioso nel simposioElemento importante nel simposio è anche l'altare, luogo che unisce gli

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uomini agli dei, accentuando il carattere rituale del simposio, infatti non vadimenticato che il simposio presenta anche un aspetto religioso quale laconsacrazione agli dei di parte del vino consumato, ciò che i Greci chiamanolibagione, atto che precede il bere.Generalmente il primo cratere è consacrato a Zeus e alle divinità olimpiche,il secondo agli eroi e il terzo a Zeus Sotèr; il posto occupato da Dioniso inquesta procedura è quello di oggetto dell'offerta, in quanto dio del vino.

L'aspetto religioso è che in presenza di questo “luogo” sacro, si faccia delladialettica. Quindi ancora a sottolineare la sacralità del logos e delladialettica.[risposta incompleta]

35) La logica del cristianesimo e 36) Concetti di Filosofia ripresi nelCristianesimo e 37) Cosa c'è di non religioso nel cristianesimo (=la logica ela ragione)Il cristianesimo si rifà a tutta una serie di fenomeni, atteggiamenticomportamenti e riti tipici di molte altre religioni, ma questa cosa non è la

più importante perché la più importante è il legame conoscitivo conl’esperienza, legame che possiamo afferrare anche con la nostra razionalità.Questo non significa che il cristianesimo sia una religione interamenterazionale, ma che ha un nucleo importante di razionalità, ossia un aspettoconoscitivo che non va mai sottovalutato. (V. significato di satana, scandalo,porgi l'altra guancia).I Vangeli vogliono condurci verso il punto di origine nei linguaggi, nelle formeovviamente accessibili a quel tempo. E tutto questo avviene non in relazionead un principio astratto come nella filosofia greca, bensì in relazione ad unapersona.Ci avviciniamo ad un’esperienza originaria in cui anche Cristo diventa vittimasolo che stavolta la vittima è pienamente rivelata, pienamente manifestata.Mentre prima la vittima occultata permetteva la manifestazione dei fenomenie della conoscenza, adesso accade la stessa cosa, ma attraverso ilprocedimento contrario: è la visibilità della vittima che diventa essa stessafenomeno e manifestazione. Quindi è lo stesso identico tipo di situazione, marovesciato radicalmente nel suo significato. La visibilità non è più a spesedella vittima, ma è la visibilità della vittima in persona. In questorovesciamento si attua per così dire l’unicità che i Vangeli attribuiscono a

Cristo.Gesù Cristo ci presenta come alternativa radicale all’universo chiusodell’imitazione violenta l’universo dove veniamo schiaffeggiati. In questouniverso Gesù Cristo si presenta come il modello, l’unico seguendo il quale,se lo vogliamo, troviamo la forza di porgere l’altra guancia individuando larazionalità penetrante che motiva questo comportamento.Cosa vuol dire razionalità?  La tradizione cristiana parla a questo punto diragione divina, una definizione tradizionale che, riletta con questeconsiderazioni, riceve un nuovo significato. Oggi nessuno parla più di ragionedivina (nemmeno i teologi) perché è un’espressione che appare troppo

staccata dalla realtà, ma se seguiamo questi percorsi molto concreti vediamoche questa espressione apparentemente astratta recupera un significatomolto preciso. C’è quindi una razionalità rigorosa, quasi matematica che nonè una razionalità semplicemente umana. Ha una marcia in più, va al di là del

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calcolo razionale che siamo abituati a fare relativamente di solito a noi stessio alla cerchia più immediata che ci sta intorno. Seguendo questo modello,accettandolo – in termini cristiani evangelici questo significa amandolo, ilrapporto deve essere di amore, di vicinanza – riusciamo a seguirne il criteriodi razionalità interna.Siccome Gesù Cristo si presenta come esterno all’universo chiuso dellaviolenza mimetica umana, ecco che Egli appare veramente come il Figlio di

Dio, cioè come il portatore di una razionalità superiore a quella umana, diuna realtà che trascende la nostra, ma che è presente in mezzo alla nostrarealtà. Ha ambedue gli aspetti: è contemporaneamente uomo e Dio.Dunque rapporto di imitazione: imitazione di Cristo oppure imitazione deimodelli negativi, violenti, dei modelli di persecuzione che ci sono tra gliuomini che sono riconducibili alla figura di Satana. La grande alternativa èCristo o Satana, il difensore dei capri espiatori oppure colui che li accusa.Gesù Cristo perdona perché è tanto buono ed è tanto buono perché è figlio diDio? Tutto questo è privo di significato dal punto di vista razionale perché aquesto punto uno potrebbe obiettare come fanno tanti: ma che senso ha

questa storia? Io non credo nella divinità di Gesù Cristo e quindi non me nepotrebbe importare nulla dell’episodio di Cristo.La spiegazione invece è rigorosamente razionale da un punto di vista propriofilosofico, antropologico, storico; si tratta di ragionamenti constatabili, nulladi misterioso e basta il nostro cervello. L’intero edificio che è stato costruitosu questi episodi e sulla figura centrale di Gesù Cristo, tutto quello che èstato costruito in termini teologici, religiosi, interpretativi, anche istituzionali,ha una sua ragione riconducibile a questo. Il ragionamento di fondo lo si puòsintetizzare in due parole, ovviamente uno è liberissimo di non ritenerlovalido, ma si tratta di posizioni che hanno quindi una motivazionericonoscibile: solamente un essere di provenienza divina poteva esserecapace di fare questo. Il ragionamento che è alla radice dell’intera riflessioneteologica su Cristo, dell’intera cristologia è che un uomo capace di farequesto non può essere soltanto un uomo, è un uomo al cento percento, madeve avere una provenienza più che umana perché è capace di portare unaverità, una razionalità che non coincide con quella degli uomini.Quindi la razionalità dei Vangeli supera ogni divisione fra credenti e non.In Grecia, quando un ladruncolo veniva condannato a morte e subisse unsupplizio, per Platone era una cosa irrilevante perchè un ladruncolo non era

degno della sua attenzione.Il cristianesimo rifiuta in blocco una cosa del genere perché il suo stessofondatore ha subito un supplizio del genere e lo ha subito ingiustamente equesto viene detto a chiare lettere dai Vangeli, dall’insegnamentoevangelico. Il cristianesimo, per quanto io possa continuare a disprezzare glialtri e a trarre piacere dal vedere un ladruncolo condannato all’impalamentoo alla crocefissione, condanna questi comportamenti. Che io mi vogliachiamare o no cristiano, è irrilevante. Il messaggio dice che queste cose nonvanno fatte; se le faccio, è responsabilità mia, me ne assumo laresponsabilità, ma questa è comunque una colpa, invece per Platone questa

non è una colpa.Per noi è “naturale” provare orrore allo spettacolo di una testa decapitata,pubblicamente mostrata per le strade. Che cosa c’è di naturale in questoatteggiamento? Non c’è nulla di naturale in questo atteggiamento, è la cosa

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più innaturale e più culturale che si possa immaginare, ed è dovuta ad unainfluenza culturale precisa. Il fatto che troviamo questa reazione naturale nonindica la naturalità della reazione, ma la profondità e il radicamento diun’influenza culturale; i cambiamenti più forti sono quelli di cui non ciaccorgiamo, li troviamo normali, scontati, sono un po’ come l’aria cherespiriamo alla quale normalmente non pensiamo.Non è assolutamente una questione di sensibilità; la sensibilità casomai

viene dopo, è una conseguenza. La differenza è proprio di consapevolezza, dipercezione perché ci rendiamo conto del valore di un essere umano edell’orrore morale e simbolico del trattarlo da carne da macello.Non provo orrore davanti ad una testa tagliata per un fatto sentimentale,provo orrore perché mi fa orrore una violazione inaccettabile della dignitàdell’essere umano, altro che sentimentalismi: questi sono princìpi.[NB!]C’è un’immagine dell’uomo che è anche l’immagine di Dio; se violol’immagine dell’uomo, violo anche quella di Dio; mentre nel mondo antico,mondo umano e mondo divino possono avere vari rapporti, ma restanonettamente distinti: quello che spetta agli dei non spetta agli esseri umani

perché gli esseri umani sono inferiori.In sintesi, nel cristianesimo (soprattutto quello medioevale) ritroviamoparecchi elementi del mondo antico; per esempio, il Cristianesimo antico emedioevale non rinnega l’idea di kosmos, cioè di un mondo ordinato contutte le sue parti distinte; solo che questa idea resta subordinata al Diocreatore del mondo che come lo ha creato così un domani lo distrugge nelGiudizio finale.- Un’altra cosa forse ancora più importante che il cristianesimo ha in comunecol mondo antico è il desiderio di salvezza: nel mondo antico si erano diffusimolti culti a cominciare dall’orfismo in cui l’individuo si rivolge ad un’istanzadivina superiore per essere salvato proprio nella sua anima; si assiste allanascita di una nuova interiorità che il cristianesimo realizza; c’è quindi unelemento di continuità. L’uomo antico prova angoscia: l’antica Grecia avevascritto le tragedie dove c’è l’angoscia per la violenza umana. Il cristianesimodà risposta ai problemi che il mondo antico si era posto e che non era riuscitoa risolvere (pensiamo di nuovo all’inizio della Repubblica di Platone): c’è unafortissima continuità senza la quale il cristianesimo non sarebbe riuscito adiffondersi nel mondo antico.- Il cristianesimo dà una chiarezza di distinzione che nel mondo antico non

esiste, per cui l’uomo è veramente uomo, mentre invece nel mondo anticol’uomo resta da un lato confuso con il mondo degli dei che hanno bisogno deisuoi sacrifici, però se ne stanno per conto loro, ma nello stesso tempo hannoscambi, commerci e relazioni d’amore con gli umani, poi ci sono degli esseriper metà umani e per metà divini, ecc...- Così come con la natura: l’uomo è un essere naturale, però ha anche lacapacità di ragionare, ha il nous; venera gli dei, però nello stesso tempo è unanimale come gli altri.Il cristianesimo prende tutti i termini del problema dell’uomo, del rapportocon la religione, del rapporto con il mondo che ci sono nel mondo antico, ma

li distingue con una chiarezza che consente di rimetterli insieme.C’è un salto di qualità, pur nella continuità degli elementi costitutivi e neicontributi importantissimi che vengono dalla cultura antica. Da un punto divista filosofico, scientifico e giuridico la cultura ebraica e cristiana erano

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analfabeti rispetto ai Romani; l’enorme passo in avanti lo hanno fatto dalpunto di vista religioso e antropologico; in questo senso torniamo alla nostraciviltà come unione tra queste due grandi fonti.

38) L' auctoritas della Chiesa nel MedioevoDa un punto di vista storico auctoritas significa autorità, è un terminederivato dal mondo romano. Nel Medioevo l’auctoritas è di due tipi: quella

della Chiesa e quella dell’Impero. Dopo la caduta dell’Impero Romanod’Occidente, dopo che il dominio dei Longobardi viene sconfitto ad opera delregno dei Franchi, il vincitore Carlo Magno nel Natale dell’anno 800 vieneincoronato dal Papa in San Pietro Imperatore dei Romani. Come sapete,questo impero romano rifondato viene rifondato dal papa stesso – è il papa aincoronare il nuovo imperatore, si tratta dunque di un impero cristianizzatoche prende il titolo di Sacro Romano Impero: come dire, l’Impero romanorinato, ma sotto forma cristiana.Rinasce l'impero ed è definito come auctoritas.Che cosa vuol dire auctoritas dal punto di vista etimologico? Significa che se

sono investito dall’auctoritas posso agire come auctor , posso essere l’autoredi un’azione.C’è una nozione fortemente sacrale all’inizio di tutto questo, è inutile dirlo.L’auctoritas come colui che agisce è colui che ha in pieno il diritto dimuoversi e di intervenire; gli altri gli devono obbedire. L’auctoritas è la fontedell’azione intesa in senso religioso, politico, giuridico e chi ne è investitodiventa a sua volta abilitato ad agire. (L’imperatore investito della massimaauctoritas mi dà un ordine e io, suo luogotenente, agisco in suo nome edivento a mia volta un’auctoritas, do l’ordine a un mio sottoposto e questi èautorizzato ad agire.) L’auctoritas autorizza, cioè trasmette l’auctoritas.

Questa struttura si trasmette anche al cristianesimo, ma con un significatoche deriva dal messaggio cristiano.La prima auctoritas, per quanto riguarda il Medioevo, è quella della Chiesa.L’auctoritas nel cristianesimo sarebbe quella detenuta da Cristo, il qualeagisce a sua volta a nome del Dio che l’ha mandato e che nei Vangeli eglidefinisce come suo Padre. C’è una caratteristica trasmissione di potere chesembra essere in comune con quelle tradizionali.L’auctoritas che esercita Cristo però non avviene semplicemente nei modiclassici del potere sacrale che si rifà a qualche sacrificio e si stabilisce e si

esercita a spese di qualche vittima sacrificata.È necessario infatti riflettere anche sul fatto che dal sacrificio derivano leistituzioni politiche, le leggi, le punizioni per chi viola le leggi. La punizionepiù grave era la pena di morte, che ha molte caratteristiche in comunenell’antichità con il sacrificio. Vi è quindi tutta una serie di istituzioni e legamiche legano l’autorità del mondo antico alla sfera sacrale. Gesù Cristo perònon può esercitare l’autorità in questo senso perché è contro il sacrificio, nonvuole vittime sacrificali. Nello stesso tempo i Vangeli gli attribuiscono unaautorità suprema.Il potere di Cristo si manifesta nella sua massima pienezza, la  plenitudo

 potestatis, in un momento assolutamente paradossale per la logica consuetadel potere, ossia la Passione, e di conseguenza la Resurrezione. Il momentodel trionfo di Cristo, trionfo non in termini materiali, sacrificali e violenti, maspirituale, è il momento della Crocifissione. Cristo manifesta la sua pienezza

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di potere, la sua sovranità, nel momento – per la nostra mentalità – piùabissalmente lontano da qualunque tipo di sovranità: quando Cristo muorecome una vittima inerme inchiodato ad una croce. Questo è il vero trionfo diCristo.Cristo manifesta questa sovranità nel momento in cui è sconfitto perchévenendo sconfitto prende il posto della vittima, la rivela e rendeincancellabile la rivelazione. Questo è la vera sovranità, il vero potere. È un

potere che esprime un’altra logica che è diversa da quella che seguiamo noi.Non è una logica di tipo sacrificale, violento, ricattatorio, intimidatorio, ma èla logica dell’amore che comanda di porgere l’altra guancia e prendere ilposto della vittima piuttosto che provocare altre vittime. Questo è il potere ela sovranità.Da questa constatazione ne discende che, in linea di principio, sempreparlando di principi informatori, quando il papa della Chiesa di Roma, o chiper esso (può essere un vescovo fino ad arrivare al popolo cristiano), dichiaradi essere una auctoritas, poiché è il vicario di Cristo e successore di Pietro,deve essere chiaramente in continuità con l’insegnamento di Cristo. Ma

l’insegnamento di Cristo, l’auctoritas di cui lascia l’esempio è quella diaccettare anche di morire in croce pur di testimoniare un messaggio di tiporadicalmente diverso da quelli di cui siamo abituati.Il paradosso sta nel fatto che la Chiesa rivendica una autorità supremaperché proviene da Gesù Cristo Figlio di Dio (sembra non esserci pretesa piùgrande di questa), pretesa per cui la Chiesa ancora oggi viene severamenterimproverata perché vista come segno di un potere oppressivo. Vuolecomandare, imporre la sua volontà.Il significato profondo dell’autorità della Chiesa giungiamo al vero significatodel modello di Cristo che è quello del servo obbediente che pur di salvare glialtri accetta di morire in croce.L’autorità della Chiesa è perciò l’autorità della croce e, nel momento in cuiviene rivendicata una autorità suprema perché proveniente da Dio stesso,questa autorità suprema.Il potere che deriva dal sacrificare la propria vita per il bene degli altri.Questo è il vero significato dell’auctoritas in senso cristiano o, se vogliamo, insenso “cristologico”.Questo significa che il principio transitivo dell’auctoritas, in qualche misuratransitivo, si applica anche nel cristianesimo, ma in una maniera conforme al

messaggio evangelico, all’auctoritas di Cristo. Cristo esercita l’auctoritassuprema perché ha accettato di subire il sacrificio supremo per la salvezzadegli altri. Quelli che vengono dopo di lui possono esercitare la stessaauctoritas se e nella misura in cui accettano di fare altrettanto.L’analisi dell’auctoritas dimostra come storicamente e culturalmente ilcristianesimo si sia affermato non continuando la logica di violenza di prima,tipica logica di tipo sacrificale, né contrapponendo alla vecchia logicasacrificale una logica radicalmente opposta, ossia una logica anti-sacrificale.(NB!)Questa è tendenzialmente la posizione che ha anche Girard: ilmessaggio di Cristo come messaggio anti-sacrificale che rifiuta la logica del

sacrificio.Ma se il messaggio cristiano si limitasse a rifiutare la logica del sacrificio, arigettarla, come potremmo essere salvati noi esseri umani che dipendiamodalla logica del sacrificio? Non solo, ma il nostro codice genetico culturale è

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imbevuto di sacrificio. Non potrebbe esistere senza il sacrificio e l’umanitànon sarebbe nata. Un messaggio radicalmente opposto al sacrificio comefarebbe a salvare degli esseri dipendenti in tutto dal sacrificio?La vera soluzione sta invece in una difficile via mediana: impadronirsi delsacrificio, che quindi rimane perché è storicamente e antropologicamentenecessario, solo che questo sacrificio viene rovesciato di significato. Mentreprima era il sacrificio della violenza ora diventa quello dell’amore.

In questa maniera tutte le forme e le istituzione derivate dalla violenza,venendo reinterpretate, non cambiano in se stesse perché la violenza umanarimane sempre la stessa. Ricevono però un nuovo significato capace dileggerle e di sovvertirle dall’interno, innanzitutto a livello simbolico espirituale, che però è quello decisivo. Questa è la lenta trasformazione che ilcristianesimo introduce nella storia occidentale diffondendola nel corso delMedioevo.

39) Il ruolo di Dante (chi rappresenta nella Divina Commedia)Dante applica l’idea cristiana e medioevale di auctoritas per cui Virgilio,

quando giunge il momento di congedarsi da Dante perché ormai il suocompito è esaurito (essendo un poeta pagano non è degno di accompagnareDante nel Paradiso), gli dichiara con parole solenni che, siccome haconosciuto i regni del male e del peccato, è diventato pontefice e imperatoredi se stesso.Dante non è semplicemente diventato il fedele e l’obbediente servitore diChiesa e impero, ma ne è diventato lui stesso l’incarnazione. In questamaniera Dante ci fa capire che l’obiettivo dei due poteri universali non èquello di un’umanità cristiana umilmente sottomessa, ma è quello dellarealizzazione piena dell’auctoritas in ognuno di noi, in ogni singolo cristiano,di cui Dante è semplicemente il simbolo, l’anticipazione simbolica.Dante rappresenta simbolicamente l’intera umanità del suo tempo e quindianche tutti i peccati dell’umanità del suo tempo.Dante rappresenta l'intera umanità, o meglio, l'intera cristianità.Virgilio rappresenta anche quello che di grande l’umanità ha fatto prima dellarivelazione cristiana. Rappresenta quella che in linguaggio tradizionale vienechiamata “ragione naturale”, la razionalità umana come si può svilupparesenza l’aiuto soprannaturale della rivelazione.Beatrice indica colei che dà beatitudine. Nel cristianesimo colei che dà la

beatitudine è la sapienza stessa di Dio, “la ragione divina”, come si dicevaallora. È il messaggio stesso del dio cristiano che Dante incontra, ma fa faticaa capire. Alla fine però ne riceve un saluto, un segno di comunicazione ericonoscimento.C'è da dire che questi simboli non sono una realtà sovrapposta. Per creare unsimbolo è sufficiente anche un oggetto indifferente a cui per convenzione siattribuisce la rappresentazione di qualcos'altro. Arbitrario, insomma.I simboli adoperati da Dante non sono simboli in questo senso. Sono simboliche generalmente hanno il nome più appropriato di figure. La figura è unsimbolo, ma siccome si tratta normalmente di una persona, di un

personaggio veramente esistito o di cui si pensava che fosse veramenteesistito, questo personaggio può simboleggiare qualcosa d’altro, ma è nellostesso tempo se stesso. Questo perché in lui, nella sua vita, nella sua figura enel suo personaggio c’è qualcosa che anticipa il messaggio cristiano, la

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figura di Gesù Cristo, oppure lo rappresenta se il Cristo è già venuto almondo per portare la salvezza.Non perdo la mia identità personale, ma da un punto di vista cristiano larealizzo al massimo.Per così dire, divento un simbolo vivente di una realtà superiore cheattraverso la mia scelta e il mio coraggio coincide con la mia realtà. Non sitratta più quindi di un simbolo scelto per convenzione, ma è una specie di

simbolo incarnato. Questa è la figura.La Divina Commedia è una grandiosa narrazione di tipo figurale in cui si hauna simbologia di questo tipo.

40) Dante e l'amor corteseVirgilio rappresenta la ragione umana nei suoi risultati più ampi e Beatriceche rappresenta la ragione divina; la ragione divina non è in contraddizionecon la ragione umana ma va infinitamente al di là di essa, la completa e larealizza però per raggiungere questo scopo la ragione umana deve essersisviluppata ed esercitata rendendo l’uomo capace di comprendere e di

scegliere. Quindi abbiamo un uomo che da solo è impotente a salvarsi mache grazie alle sue capacità può sviluppare la sua conoscenza e sviluppare lapropria capacità di scelta, se Dio parlasse a degli animali questi da soli con leloro forze non sarebbero in grado di fare più di tanto. Dio invece vuoleparlare a degli esseri capaci di rispondergli esplicitamente di si, di direrazionalmente “Si, sono d’accordo, accetto questa cosa, voglio questa cosa”.È un po’ il tipo di passaggio, la ragione umana così come il paganesimo, è ilpassaggio intermedio tra la sfera animale e la sfera divina. Quindi ci vuoleuna figura intermedia, una bestia che diventa intelligente e quindi ha in séqualcosa di superiore e di spirituale ma non è talmente spirituale da essereormai a posto da aver raggiunto la natura divina. Dio non vuole unautomatismo, questo passaggio deve essere il risultato di una scelta, di unapprendimento, di una crescita, di una maturazione.L’uomo può diventare angelo, questo è un processo storico, non è unrisultato mitologico ma lo diventa con la sua libera scelta diventando grandema diventa grande sviluppando le sue capacità, ecco la funzione di Virgilio,però c’è Beatrice che lo chiama in soccorso senza però incontraredirettamente Dante, Dante non è ancora in grado di comprendere Beatrice,non è ancora in grado di incontrarla simbolicamente e figuralmente.

[NB!] Nel medioevo usavano spesso la donna amata come simbolo spirituale,tuttavia essa sta anche a significare Quindi Beatrice rappresenta l’amore diDante, cioè l’amore provato da Dante, di cui Dante è capace, solo che questoamore da solo in quanto desiderio umano resta insufficiente. Ecco che alloraper sprigionarne le potenzialità e svilupparlo al massimo grado deve arrivarela sapienza divina con il suo amore infinito ed è questa la sapienza Beatrice,cioè beatificatrice che salva l’umanità non appioppando in una specie diamore di cui l’uomo non vuole saperne ma facendogli capire, facendoglivivere che questo amore che viene da Dio è la realizzazione perfetta diun’esperienza d’amore che noi già proviamo nel nostro piccolo che è l’amore

che noi abbiamo per le persone a cui vogliamo bene ed è l’amore chesentiamo in modo particolarmente intenso quando ci si innamora. Ecco chequa abbiamo la simbologia molto profonda, molto importante dell’AmorCortese. L’Amor Cortese del Medioevo è quella tradizione poetica, filosofica,

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teologica che vede nell’amore l’esperienza centrale dell’uomo e questoamore inteso proprio come innamoramento viene visto come anticipazione,prima manifestazione anche se ancora imperfetta dell’amore che dovrebbecongiungere l’uomo a Dio, ed è l’amore che Dio prova verso l’uomo, questoamore ovviamente si realizza nella figura centrale di Cristo.Nella concezione dell’Amor Cortese l’amore realizza sé stessocompiutamente nel momento stesso in cui viene provato, dopo è vero che

subentra il desiderio di essere con la persona e tutto quanto però la scintilladell’amore è qualcosa di sovranamente disinteressato, se l’amore non haquesto aspetto disinteressato non è un sentimento sovrano. Quando noi ciinnamoriamo abbiamo assolutamente la percezione fenomenologica diessere dominati da qualcosa di più grande di noi.L’Amor Cortese è l’esperienza dell’amore sì come sentimento, ma prima ditutto come manifestazione nei nostri sentimenti di un potere superiore,questo potere ha qualcosa di divino perché si impadronisce di noi, anche conla violenza. Quindi siamo noi che dobbiamo obbedire all’amore, non èl’amore che deve obbedire alle nostre voglie e ai nostri capricci e ai nostri

bisogni. L’aspetto psicologico esiste, esiste anche l’aspetto del bisogno macome conseguenza di un’esperienza che ha un significato ben diverso, che èun significato più che psicologico, è un significato antropologico di tipospirituale, è qualcosa che viene dalla nostra storia, qualcosa che esprime laragion d’essere stessa per cui siamo al mondo, altro che bisogno!Ecco che quindi l’Amor Cortese in questa maniera è l’amore che provano leanime cortesi, cortese deriva da corte, la corte era la corte del principe o delsignore feudale, allora nell’etichetta di corte bisognava far vedere che si eradegli esseri superiori e quindi si era superiori ai desideri volgari della genteda poco quindi bisognava comportarsi, spesso era una messa in scena,superiori e disinteressati. Poi però questa motivazione di carattere piùsociale, sociologico si è trasformata in una nozione di carattere spirituale,cioè la comprensione di questi poeti è che l’amore cristiano coincide conl’amore cortese inteso in senso spirituale. Quindi se io mi innamoro secondole modalità dell’Amore Cortese, in questo innamoramento anche se l’amoremi fa soffrire, soprattutto in un certo senso se mi fa soffrire io riesco asuperare le barriere del mio egoismo, a voler soltanto il bene della persona dicui mi sono innamorato in questa maniera io realizzo le condizioni dell’AmoreCortese. Ma queste condizioni dell’Amore Cortese mi portano a sacrificarmi

per la persona di cui sono innamorato e quindi mi portano a realizzare il veroe unico amore nel Cristianesimo che è l’amore di Gesù Cristo per gli uomini.Quindi l’Amore Cortese attraverso l’esperienza dell’innamoramento èl’esperienza dell’amore di Cristo, diventa addirittura quindi un’esperienza dicarattere religioso, di carattere mistico. Quindi siamo in un contesto moltodiverso da ciò che noi normalmente intendiamo per innamoramento.

41) Differenza tra Medioevo e Età modernaNella filosofia moderna quello che è caratteristico è che non c’è più unarealtà predefinita avente delle caratteristiche oggettive come poteva essere

per gli antichi o come in sostanza era ancora nel Medioevo è che non c’è piùuna realtà già strutturata che noi dobbiamo limitarci a registrare e aosservare se vogliamo rendere la nostra conoscenza vera.Ci sono molti avvenimenti che scombussolano il mondo medievale: la

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scoperta dell'America, la riforma luterana che causa una rottura i cristiani, lerivoluzioni francese ed americana, la rivoluzione industriale.In filosofia ci sono enormi sviluppi, soprattutto sul tema politico e dellaconoscenza, ma latita il tema antropologico. Si studia il come dellaconoscenza(scienza) ma non la sua origine(antropologia-filosofia).Nel mondo antico e in parte nel Medioevo c’è ancora una visione di tipooggettivistico, ossia esiste una realtà oggettiva creata da Dio o dotata, come

nell’antichità, di una forza di origine sacrale e l’uomo per conoscere inmaniera veritiera deve rispecchiare questa realtà, ne deve essere proprio lariproduzione fedele, nella misura in cui non lo fa la sua conoscenza non saràdegna di fede; è quello che possiamo riscontrare facilmente in Platone: nelmito della caverna abbiamo i prigionieri sul fondo della caverna che vivono inun mondo irreale perché scambiano le ombre proiettate dagli oggetti perl’unica realtà oggettiva, ma quando il prigioniero liberato si volta verso glioriginali che proiettano le loro ombre e poi man mano che sale finché nonraggiunge la visione delle idee ecco che finalmente la sua visione registra lavera realtà e diventa a sua volta vera. Quindi abbiamo una realtà già

organizzata di cui l’uomo è parte ed espressione e l’uomo raggiunge la veritànel momento in cui si uniforma a questa realtà. Nel Medioevo questoschema, a grandi linee si può dire che rimane anche se c’è un cambiamentofondamentale nel senso che non abbiamo più una realtà sacrale ma abbiamouna realtà creata dal Dio unico, della tradizione ebraico-cristiana e in ultimaanalisi nel Medioevo l’unica vera conoscenza è il mettersi in contatto con Dio,cioè l’unica vera realtà oggettiva è quella di Dio stesso e il Dio cristiano nonè un semplice oggetto perché è una persona; quindi lo schema antico simodifica in profondità anche se la linea generale del ragionamento sullaconoscenza non cambia radicalmente, cambia però nel suo principiofondamentale che è Dio e Dio è una persona, non è una realtàsemplicemente già esistente e già formata. Però il problema non vieneaffrontato direttamente, comincia ad essere affrontato nel Rinascimentoquando sottolineando il ruolo storico dell’uomo ed esaltandone le capacitàl’uomo comincia a diventare protagonista del mondo e diventa il punto dipartenza della riflessione filosofica, quindi con il Rinascimento l’attenzione alproblema antropologico conosce un altro importante passo in avanti. L’uomoquindi è grande, è il protagonista della realtà perché ha di superiore rispettoalle altre creature la capacità di conoscere. Quindi mentre prima la

conoscenza è vera perché riflette una realtà vera adesso l’accento si spostasull’uomo che conosce, sul soggetto conoscente e in questa maniera gliequilibri si modificano, non è più la conoscenza umana che gravita intornoalla realtà ma comincia ad essere la realtà che gravita intorno all’uomo cheha le capacità di conoscere, cioè si comincia a capire che il ruolo, l’apportodell’uomo alla conoscenza non è l’atteggiamento di tipo contemplativo cheregistra una realtà superiore ma svolge al contrario una funzione attiva,quindi la conoscenza non si limita a registrare qualcosa di già fatto ma è co-partecipe della realtà conosciuta perché la plasma, la interpreta secondo lesue caratteristiche.

Il pensatore che finisce di focalizzare il problema della conoscenza comeproblema centrale della filosofia sarà Cartesio nel Seicento, il quale nel suodiscorso sul metodo introduce il dubbio universale: se noi possiamo dubitaredi tutto non possiamo però dubitare di una cosa che rimane e cioè del fatto

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che noi dubitiamo. Questo è certo. In altre parole: l’ultima certezza che restaè quella relativa a noi come soggetti pensanti. Da qui Cartesio ricava la frasepiù famosa e rappresentativa della sua filosofia: “Cogito ergo sum”  cioè“Penso dunque esisto”.In questa prima persona singolare c’è uno degli equivoci della modernafilosofia moderna della conoscenza e cioè l’equivoco di studiare il problemadi ciò che possiamo conoscere, di come possiamo conoscere, ecc, a partire

da un singolo soggetto conoscente e questo è un errore perché studiare ilsingolo soggetto conoscente.Prima di esistere individualmente noi esistiamo in maniera relazionale,esistiamo all’interno di un gruppo, di una società, di una collettività. Allora ciaccorgiamo molto più facilmente del ruolo fondamentale che svolgel’imitazione nell’apprendimento, nella strutturazione della nostraconoscenza, della nostra mente. Noi siamo capillarmente imitativi mentreinvece nella moderna filosofia della conoscenza partendo dal soggetto, dalcogito ergo sum o equivalente ha fatto astrazione dalle reali relazionimimetiche che consentono alla nostra mente di svilupparsi e di conoscere e

quindi abbiamo avuto una pericolosa astrazione che ha creato, ha favoritol’illusione che la conoscenza sia una specie di operazione, di materiale chenoi secerniamo un po’ come il ragno secerne il filo con cui fare la ragnatela,ma questa è una visione totalmente erronea, noi non secerniamo da noistessi, certo arriviamo a fare questo ma dopo che noi abbiamo appreso pervia imitativa, non c’è altro modo.Inoltre, in epoca moderna assistiamo ad un'ulteriore decadenza dei duevecchi poteri universali del medioevo e nasce invece l'Europa modernaorganizzata attorno alle nazioni europee.

42) Istinto apollineo e dionisiacoLa tragedia greca non è ispirata a Dioniso come semplice curiosità dicarattere storico, ma ci parla del msg + profondo che la tragedia ci vuolcomunicare: assistendo a questa, l'uomo deve ricordare e tramite questarivivere la sua origine, quindi la dimensione sacrificale. Dioniso è il diosacrificale per eccellenza: nei cuoi culti si passava dall'estasi al culmine delsacrificio.Quindi la tragedia greca ricorda questa dimensione da cui l'uomo proviene eche l'uomo deve ricordare se non vuole cancellare se stesso.

 Tragedia: momento in cui l'uomo greco rivive le sue origini dionisiache e letrasforma in conoscenza, tramite la rappresentazione.La divinità che per eccellenza presiede alla conoscenza e all'arte è il fratellodi Dioniso, Apollo. Il dio di Delfi a cui è attribuito l'oracolo, la capacità disvelare il futuro nei detti enigmatici. Apollo è l'ispiratore dell'arte edell'armonia x le quali la civiltà greca è diventata famosa.Nietzsche capisce che questa armonia apollinea non sarebbe possibile se nonfosse alimentata dalla dimensione orgiastica e sacrificale di Dioniso.Dioniso e Apollo sono i due principi apposti e complementari. Il Dionisiaco èquello originario, “naturale”, dice Nietzsche, senza cui l'umanità non

potrebbe nemm.esistere, e al quale deve di tanto in tanto ritornare. Ma essoha anche una forza distruttrice, che quindi non può prevalere nella vitacivilizzata degli uomini, in quanto se non viene tenuto a bada sarebbecatastrofico, deve quindi essere controllato dall'istinto apollineo, il quale

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però, da solo, non raggiungerebbe certi risultati senza la forza dionisiacasenza che continuamente la alimenta: riti e tragedia. La tragedia ha ilcontenuto dionisiaco della morte dell'eroe, con la dimensione armoniosa deimezzi artistici con cui il tutto viene inscenato.Con questo, Nietzsche non vuole solo parlare solo dell'uomo greco, ma delleorigini del genere umano! Con Socrate e Platone avviene un oscuramento diquesta origine. Essi fanno prevalere lo spirito raziocinante, allontanando e

condannando come immorale lo spirito dionisiaco. Un allontanamentorazionale e morale che in realtà rappresenta una decadenza perché siallontana la dimensione originaria. Si ha una falsificazione antropologica checrea una struttura di potere, dice Nietzsche, chiamata morale, somma ditutte le negatività dell'uomo occidentale. Il cristianesimo poi proseguiràperfezionando questa via, e condannerà direttamente la dimensionedionisiaca, perchè il cristianesimo rifiuta il sacrificio, quindi quello che l'uomoè. Cristo chiede all'uomo di non essere umano, cosa assurda secondoNietzsche perchè parte dalla premessa erronea di rifiutare ciò che realizzal'uomo stesso.

43) Nietzsche: la risposta ke dà al fatto ke l'uccisione di dio è statasvelata..come la risolve .. Nel pensiero di Nietzsche la croce è una presenza nascosta quanto centrale.Essa svolge un ruolo occultamente strategico già nell'aforisma 125 della Gaiascienza, il testo fondatore della contemporanea morte di Dio. L'inesistenza diDio fa parte del messaggio che l'aforisma intende trasmetterci, ma non inquanto constatazione di un'inesistenza irreversibile. Nietzsche vuole molto dipiù di questo cieco e banale ateismo: ciò a cui mira è un'inesistenza di Diointesa come presa di coscienza di un'uccisione che l'umanità ha commessonella notte dei tempi, e che ora essa dovrebbe rivendicare spavaldamentequale sua presa più gloriosa, e oltrepassamento di tutto ciò che è statafinora, quale realizzazione di un'oltre- o super-umanità.Nietzsche si rende conto che la sua epoca è un po' quella della resa dei conti,in cui l'uomo arriva a conoscere se stesso in una maniera senza precedenti.La solitudine esistenziale inizia ad essere focalizzata. Nietzsche accusa ilcristianesimo di aver coperto le origini dell'umanità, però di alimentarsene dinascosto. Così facendo però essa sopprime la volontà di potenza, ovvero loslancio che ogni uomo ha a realizzare al max se stesso. La volontà di potenza

è privilegio dei più forti. Egli stesso, sottintende, è incluso in questacategoria. I deboli allora si coalizzano,perchè da soli non ce la fanno.L'unione x fare la forza. Non s'impongono con la qualità, ma con la quantità.Così i più furbi di loro s'inventano la morale. Questi furbi sono i preti cherendono proibito tutto quello che è tipico dei più forti e che in epoche remoteera normale. Ma le ns tendenze sono sempre quelle, secondo Nietzsche.Quindi la morale sopprime ciò che di vitale vi è per elogiare la suasoppressione. Nel cristianesimo vi è quindi una volontà di potenza ipocritache inquina l'uomo. Egli ricerca una dimensione autentica, dionisiaca espazzare via tutte le menzogne. L'esigenza di recuperare le origini è

fondamentale, ma la cultura europea se n'è completamente dimenticata,anzi, pensa addirittura che non esiste.Nietzsche si scaglia violentemente contro questa cultura. Fondamentale ènella Gaia scienza, l'aforisma dell'uomo folle. Nella tradizione il folle era

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ritenuto portatore di verità normalmente inaccessibili all'uomo normale osavio. Questo folle rappresenta Nietzsche stesso. Il folle va al mercato conuna lanterna accesa di giorno e urla ai presenti (rappresenta società cheormai si raduna solo per ragioni di mercato, la messa della società moderna)dicendo “cerco dio”. Sembra assurdo che lo chieda a una folla che si radunasolo per motivi di mercato(le uniche certezze che questa società concede),che quindi non lo fa più per motivi religiosi, e di conseguenza è atea. Ma

questi uomini sono ben contenti perchè inconsapevoli, e quest'ultima èfunzionale al funzionamento della società economica. Ecco perchè deridel'uomo folle, perchè per la folla la questione di dio nemmeno si pone. Ma ilfolle non si abbatte, anzi il suo convincimento si alimenta! E continua: “Dovese n'è andato Dio? L'abbiamo ucciso! Ma come abbiamo fatto?!”(la lanternaperchè non c'è + ness sole a sorgere sull'uomo = Dio) Emerge quindi il sensodi abbandono dell'uomo moderno, la natura non è più sacrale, la scienza celo ha fatto scoprire. Noi siamo minuscoli in questa enorme vastità universale.Vengono a mancare le figure divine e mitologiche a cui l'uomo si affidava perspiegazioni. Non si trova, non si riconosce un senso.

L'annuncio che dà Nietzsche è quindi al 100% religioso(!), in una circostanzaben paradossale. Nietzsche chiarisce che non è un'uccisione metaforica! “Dioè morto”.Non è un semplice annuncio dell'inesistenza di dio, è il contrario, perchè se èstato ucciso vuol dire che esiste!Ma è proprio il contrario di quello che l'autore inizialmente voleva sostenere!Egli infatti parla dell'uccisione violenta e sacrificale di dio, in ragione dellaquale l'umanità esiste. Ne dipende e ne è complice. Ma l'umanità non lariesce a vedere perchè aveva ancora la vista offuscata dal sole della divinità,dalla sua luce trasfigurante che interveniva per proteggere l'uomo dalrischio di sapere la verità! L'atto violento dell'uccisione di Dio restavacoperto. Adesso, queste proiezioni divine non vengono più credute come tali,non vengono più collettivamente condivise, quindi la società risultaincredula. Convinta che dio sia morto perchè defunto spontaneamente. Maquesta società ha rimosso il nucleo incandescente da cui sorgevano leantiche credenze, ovvero il sacrificio da cui nasceva dio. Siamo tutti complici,perchè da lì veniamo.  Tuttavia noi continuiamo ad esserci, ma non possiamo esistere senzal'uccisione di dio. Noi siamo l'incarnazione vivente dell'uccisione di dio, ne

dipendiamo intimamente. Che fine fa la divinità quindi, dove finisce nellasocietà moderna? Se esso sparisce, noi ci si avvia verso l'animalizzazionedell'uomo!Infatti se lo scopo della vita è solo il benessere, noi pensiamo solo arealizzare i ns istinti! Esattamente come gli animali! Infatti il modello che civiene proposto è proprio quello dell'animale che punta tutto sull'istinto e nonusa quindi la ragione, ciò che per definizione caratterizza l'uomoNietzsche si batte perchè questo non avvenga. Sé vero che gli esseri umanisono tali in quanto hanno ucciso dio, per continuare ad essere umanidovrebbero continuare ad uccidere dio.

L'alternativa è che noi continuiamo a sfruttare l'enorme potenziale di energiache viene dall'azione primordiale dell'uccisione di Dio. Dobbiamo continuaread uccidere Dio. Ma in che modo? Nietzsche risponde sottoforma didomanda: “Non dobbiamo anche noi diventare dei?”. Ma come si fa a

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diventare dei? Autosacrificandosi. Tuttavia prima si deve autodivinizzare tramite il concetto di superuomo conla volontà di potenza, per essere il modello che nessuno può superare.Inseguendo questa divinizzazione io mi faccio uomo, ma la realizzocompletamente divinizzando me stesso. E lo posso dimostrareannientandomi, perchè solo così sarò veramente superiore. E anchel'umanità dovrebbe fare lo stesso x mantenersi umana fino all'ultimo. Si deve

autodistruggere.Nietzsche impazzisce nel tentativo di non perdere la sua umanità.[ L'alternativa del cristianesimo è di non rinunciare al divino, ma di rinunciarealla divinizzazione sacrificale. Ma Nietzsche non la vuole prendere inconsiderazione. Il messaggio del cristianesimo è di non rinunciareall'umanità rinunciando a dio, ma questo dio non può più essere un dio la cuidivinizzazione dipende dal sacrificio. Dev'essere un dio che non vuolesacrifici, anche se usa questo come mezzo per rendersi accessibile agliuomini, perchè gli uomini oltre il sacrificio non arrivano a concepire altro.Questo messaggio sacrificale serve per fare arrivare un modello divino che

non vuole più il sacrificio di nessuno perchè l'ha fatto suo e l'ha accettato sudi sé. In questa maniera noi possiamo avere la divinizzazione necessariaall'essere umano per rimanere tali, senza però applicare il sacrificio, comecon folle coerenza arriva Nietzsche a concludere dicendo “Non dobbiamo noistessi diventare dei”? ]La terrificante grandezza di questo filosofo sta, non tanto nell'averidentificato un' origine sacrificale che egli è disposto a riconoscere da un latomentre la trasfigura e deforma dall'altro, quanto nello slancio temerario concui ha cercato di far suo il doppio vincolo del sacrificio, trasformandolo in unmartello demolitore di qualsivoglia pretesa culturale e sociale di autonomiadai doppi vincoli più distruttori. Nietzsche percepisce l'impossibilità di tornarealle antiche immolazioni divinizzanti e conseguentemente teorizza un loroinaudito riallestimento ad occhi spalancati. Il nichilismo in lui vuoi essere unafase intermedia e un mero strumento, non un raggiungimento.[NB!] E' Nietzsche per primo che non capisce la sostituzione da lui effettuata!Non dichiarata, non nominata dietro questo proclama c'è l'uccisione di Dioche ha disvelato ogni altra, l'uccisione di Cristo. Il silenzio su tale eventocentrale non è solo un segno di ostilità, è anche il segno di quanto questoconfronto pesi sul teorizzatore di Dioniso.

In “Così parlò Zarathustra”, Nietzsche non ce la fa a rimpiazzare l'odiatocristianesimo con un verbo alternativo che sia diverso dalle brillantiinvenzioni di uno scrittore di genio, e anzi conserva una certa forzosagoffaggine, di cui la continua inversione di passi biblici ed evangelici tradiscel'imitazione rivalitaria.

44) Nietzsche, l'autodivinazione e la sua follia e 45) Chi vedel'allontanamento e la sostituzione, ma la vuole allontanare da sèIl documento più clamoroso dell'attacco al cristianesimo è l'opera che neltitolo stesso reca il

rovesciamento più radicale dell'odiato cristianesimo, L'anticristo.Maledizione del cristianesimo. Nietzsche si lancia nel tentativo estremo diconfutare il significato della morte di Cristo, della sua uccisione ad opera deipoteri di questo mondo, un'uccisione che, non potendo ripeterla, il filosofo di

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Zarathustra cerca di minimizzare e occultare, senza mai davvero riuscirci.L'errore più tipico, di fronte a questo tentativo drammatico, è di minimizzarloa sua volta, aggrappandosi al luogo comune secondo cui Nietzsche andrebbecontro il cristianesimo, non contro Cristo, sofisma che per sostenersi richiedesemplicemente di ignorare ciò che scrive l' autore.Nietzsche vorrebbe, ma non può diventare un “anticrocifisso”.Il filosofo, ormai scatenato in questa resa dei conti, non si avvede della

sostanziale contraddizione rispetto alla scoperta da lui fatta pochi mesidianzi, circa la differenza tra Dioniso e il Crocifisso, scoperta consistenteproprio nell'osservare la similarità del loro destino; egli preferisce nonaccorgersi che è proprio la somiglianza strutturale della Croce agli antichisacrifici espiatori a dimostrarne il potere di redenzione.Nietzsche si era limitato, d'altronde, a parlare delle sole storie di Dioniso edel Crocifisso, escludendo quell'aspetto sanguinosamente rituale chel'avrebbe costretto a esaminare più da vicino il ruolo fondatore della morte diDioniso, e il radicale disvelamento operato dalla morte di Cristo, il suomettere a nudo quella morte di Dio che il filosofo aveva gridato ai quattro

venti nell' aforisma 125 della Gaia scienza.Nietzsche affermerà, ancora, che “li cristianesimo è stato una vittoria, unamentalità più nobile perì per causa sua, il cristianesimo è stato fino a oggi lapiù grande sciagura dell'umanità. ”La «mentalità più nobile» è naturalmentequella di coloro che crocifiggevano senza il minimo rimorso, né assegnandovialcuna particolare importanza. Nietzsche avverte benissimo di non poter piùsostenere la parte di un freddo procuratore romano, visto che la «mentalitàpiù nobile» è perita ad opera della <<Vittoria» cristiana, ma punta tutto sullapropria trasvalutazione di tutti i valori, sul rivolgimento destinato a portare alsuperuomo, all'umanità capace di realizzare la propria volontà di potenzaattuando l'eterno ritorno: la realizzazione delle antiche fondazioni in sestessi, nella propria volontà di potenza, in adempimento di quell'autodivinizzazione dell'uomo preconizzata nell' aforisma sulla morte di Dio. “Dioin croce. Si continua ancora a non comprendere lo spaventoso mondo dipensieri nascosto in questo simbolo? Tutto quanto soffre, tutto quanto èappeso alla croce, è divino … Noi tutti siamo appesi alla croce, quindi noisiamo divini … Noi soltanto siamo divini … ” Ma Nietzsche non riesce adessere il suo superuomo, per ragioni interne ed esterne: interne, perché iltentativo nietzschiano sorge dal voler dimostrare a se stesso la sua

superiorità, la sua natura divina, un genere di auto convincimento che puòsolo fallire visto che è determinato dal convincimento contrario; e questofatalmente rimanda alle ragioni esterne, poiché la panacea di ogni male, lavolontà di potenza del superuomo, richiederebbe precisamente ciò che ilfilosofo non ha mai avuto, una presa sul mondo capace di ridurlo a strumentodel proprio volere. Nietzsche, per eliminare le sue sofferenze, ingigantisceall'inverosimile quella “soluzione” dalla cui mancanza nasce il propriotormento, così che il rimedio invocato accentua il male e lo rende incurabile.Il doppio vincolo della fondazione, che fa apparire dio chi non lo è, vienerivissuto a carte scoperte e nel palcoscenico solipstico della propria mente,

esito estremo di quella psicologizzazione della tragedia che nell'epocacontemporanea diviene tragedia di una psiche implosa sul suo desiderio. Idoppi vincoli sacrificali maneggiati da Nietzsche con temerarietà profetica glisi ritorcono contro, e il loro incauto prestigiatore riversa la propria rabbia

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contro l'emblema religioso che gli ricorda la sua condizione, il suo fallimentoincipiente. Per questo il filosofo parla dello «spaventoso mondo di pensieri»che si nasconde dietro il simbolo di «Dio in croce».Non essendo disposto ad ammettere la croce della sua solitudine e dellesofferenze psichiche sempre più terribili che sono in procinto di sopraffarlo,egli -proietta sugli antagonisti cristiani la sua volontà strenua di autodivinizzazione, e siccome è lui a volersi autodivinizzare, il filosofo così si

autoinchioda a una croce che non si era mai vista nella nostra storia, un'autentica croce di Dioniso. → Folle[Chi vede la sostituzione] Ed è interessante osservare come anche Girardpreferisca basarsi prevalentemente sull'aspetto testuale, parlando perlopiùdei miti, quando il metodo unificato dei riti e dei miti dimostra, sulla basedelle sue stesse fondamentali acquisizioni, che i miti non possono esseredisgiunti dai riti allorché si parla di vittime e di origini sacrificali. Anche Girardpreferisce evitare tale stretto parallelismo, che non fa altro che dimostrare lapreminenza fondatrice del rito, per il timore di avvicinare troppo l'uccisione diCristo all'esecuzione rituale del sacrificio: il pensato re francese si è occupato

della differenza fra le storie di Dioniso e Cristo, e in qualche occasione dell'eucarestia, ma mai del valore rituale che la morte di Cristo può aver assuntoper esplicita scelta del figlio di Dio.Girard si ritrae, per non modificare il primitivo impianto razionalistico dellasua teoria e non affrontare vis-à-vis quel sacro e quel mimetismo che eglipensa di sistemare con la sua visione riduzionistica.

46) Cosa c'è di cristiano in Freud???

47) La libido e 48) L'incesto in FreudIn Freud esiste una pulsione fondamentale che organizza in sé la verapersonalità: è la pulsione sessuale. Quindi la nozione che Freud elabora èquella di libido, secondo cui l’individuo ha una vita sessuale sin da subito.La libido si soddisfa dapprima in forme elementari e primitive, quindicominciamo con la funzione essenziale della nutrizione e dell’allattamento –questa è la fase cosiddetta orale – poi la libido trova un altro elemento.Diciamo che la libido fondamentalmente è la fonte di piacere che incrementail senso di esistere e di stare bene della psiche, dell’individuo e al piacere

primordiale della nutrizione, dell’allattamento segue poi subito dopo ilpiacere di defecare, quindi il bambino è molto contento quando si libera dallesue feci e dai suoi escrementi in generale – questa è la fase che lui chiamaanale – quindi abbiamo una erotizzazione della libido che investe il corpo delbambino. Quindi cominciamo dalle parti del corpo coinvoltedall’allattamento, poi abbiamo appunto la parte coinvolta dall’azione didefecare, e questa è la fase anale, e poi abbiamo la fase in cui il bambinocomincia delle esplorazioni sessuali, scopre di avere i genitali, c’è la scopertadella differenza tra bambino e bambina e questa fase è la più complicataperché grossomodo dal terzo anno di età, quando il bambino comincia già ad

avere un minimo di sviluppo anche relazionale, fino sempre grossomodo alsesto anno di età abbiamo la fase in cui diventa determinante la relazionecon i membri della propria famiglia. Il primo membro della famiglia con cui ilbambino ha rapporto è la madre dalla quale riceve nutrimento e protezione e

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che è il primo oggetto libidico intorno a cui comincia a strutturarsi lapersonalità del bambino. Poi appunto abbiamo lo sviluppo anale e poi infinec’è una complicazione quando il bambino comincia a mettere a fuoco lafigura del padre che istintivamente il bambino vede, secondo Freud, come unrivale che gli sottrae l’oggetto libidico materno. Quindi abbiamo lacostellazione a cui Freud dà il nome di complesso di Edipo.Per cui allora, il bambino percepisce il padre come rivale e la madre come

oggetto conteso del desiderio. Questo è uno schema chiaramentetriangolare. L’Edipo in sé sarebbe una tendenza distruttiva, anomica perché ilbambino vorrebbe eliminare il padre e accoppiarsi incestuosamente con lamadre, quindi veramente una scena da brividi. Quindi se il bambino potessefare quello che desidera secondo Freud sarebbe uno sterminio in ognifamiglia, quindi per fortuna sono piccoli e non sono in grado.Il superamento della fase edipica lo si ha quando il bambino ha quelmeccanismo che Freud chiama identificazione con il padre, cioè comincia avedere che il padre oltre che un nemico, un ostacolo, è anche una personada seguire per diventare come lui.

Scatta un secondo complesso di Edipo che è un passaggio veramente infeliceper cui Freud postula che almeno per un breve periodo il bambino abbia uninnamoramento omosessuale nei confronti del padre perché Freud rimanedipendente dal primato della libido sessuale come elemento costitutivo deldesiderio, quindi la libido è il desiderio ma con queste modalità fortementebiologiche e sessuali. Anche questo secondo Edipo deve essere superatopositivamente e quando il bambino superate tutte le sue fasi riesce adiventare finalmente un individuo sviluppato, con la sua psiche equilibrata eraggiunge la fase che lui chiama oggettuale o della genitalità pienamenterealizzata.Ma se il bambino non riesce a sopravvivere a tutti questi incubi vienesegnato da traumi?[NB! Oggettualità in Freud] Secondo Freud, i traumi avvengono proprio finchéc’è l’Edipo. Se ci sono degli incidenti nell’Edipo basta, sei segnato per tutta lavita, non te ne liberi più. E li ci sono dei traumi che possono anche esserebenigni nel senso di non particolarmente gravi ma insomma te li porti dietroe questi traumi poi si ripercuotono nella tua vita relazionale e nel modo in cuitu riesci a conseguire l’oggetto che in Freud è sempre l’oggetto sessuale.Quindi la fase oggettuale è la fase del pieno possesso dell’oggetto sessuale e

dell’esercizio maturo ed equilibrato della genitalità. Questa ideadell’oggettualità che ha Freud, la considero comunque vera nel senso cheeffettivamente il nostro desiderio ha delle tappe di sviluppo e c’è una formatendenzialmente armonica ed equilibrata in cui il nostro desiderio si affermaproprio come strumento di conoscenza della realtà e di adattamento e ilnostro desiderio è lo strumento per fare questo.Secondo Fornari, Freud ha delle intuizioni assolutamente geniali perché ilcomplesso di Edipo è un’intuizione del triangolo imitativo. Il problema diFreud è che lui, con la provenienza positivistica della sua formazione, rimaneancorato ancora ad un’idea “fisicalista” di oggetto del desiderio. Freud non

capisce che il desiderio, possiamo chiamarlo anche libido, non è ancorato adun sesso fin dall’inizio. Un rapporto con gli oggetti c’è, nel senso che il nostrodesiderio, ripeto, è lo strumento di esplorazione, conoscenza e presa dipossesso della realtà, e il nostro desiderio però è imitativo, non ha degli

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oggetti già determinati, ha casomai potrei dire delle sfere in cui individuare ilsoggetto, che esistono già.Questo significa che il desiderio, che è imitativo – cosa che Freud noncapisce, non capisce che è imitativo da subito – però è imitativo in rapportoalla realtà, è uno strumento di scoperta della realtà; l’oggetto è designatodal modello ma partendo dalla realtà per cui la sfera oggettiva, oggettualeentra fin dall’inizio in gioco nel rapporto imitativo e ovviamente non riguarda

solo il sesso però l’aspetto libidico, per usare la terminologia di Freud, èimportantissimo perché è un aspetto relazionale, simbolico, ci insegna aleggere e a usare il nostro corpo, riguarda quindi la nostra identità, ha unsignificato enorme quindi il ruolo privilegiato che Freud assegna al sesso nonè assolutamente immotivato, è solo eccessivo e va oltre il bersaglio.L’intuizione dell’Edipo in sé non è totalmente sbagliata solo che Freud mettesubito la rivalità e dopo mette l’imitazione in sé positiva e costruttivadell’identificazione. Ma normalmente funziona esattamente all’opposto: ilbambino di suo tende ad imitare i genitori, certo con delle sfumature moltoimportanti, la fisicità del rapporto con la madre, il padre che interviene in un

secondo momento come modello più direttivo, sociale, ecc.; di per sé ilrapporto imitativo che il bambino ha con gli adulti che lo accudiscono è unrapporto non conflittuale, è un rapporto di per sé positivo, il bambinoistintivamente è fiducioso verso i modelli che lo accudiscono, rapportofortemente affettivo. Gli incidenti ci sono, ci può essere un rapportorivalitario ma perché il rapporto non funziona, viene disturbato da qualchedinamica patologica e quindi possiamo avere allora anche unaconfigurazione del tipo di Freud, però questo conflitto nasce dai genitori nonnasce dal bambino.

49) Il passaggio da Totem e tabù / Mosè e il monoteismo..differenze.. →RISP= psicanalisiIn Totem e tabù Freud parla complesso di Edipo e arriva alla conclusione chela patologia è una questione di storia, è la nostra storicità. E con una serie dianalogie, egli passa dal parlare dalla storia del singolo, alla storiadell'umanità.Partendo dai dati dei suoi pazienti, egli trova delle corrispondenze con quellidi popoli di cultura arcaica: il divieto assoluto(quindi un tabù) dell'incesto e ilconcetto di totemismo(di solito un animale con cui un gruppo si identificava

e ne faceva oggetto di rituali), ritenuta allora la forma più antica di religioneumana(credenza in realtà molto criticata poi).Queste presenze, nei suoi pazienti, erano maggiormente frequenti nei piùpiccoli, quando ad esempio erano spesso perseguitati nei sogni da qualcheanimale visto come particolarmente temibile. Freud ne vede unarielaborazione dell'edipo. Freud ne conclude che come in questi pazientiricorrevano questi comportamenti (tabù dell'incesto e totemizzazione delpadre), ci dev'essere un motivo della singolare analogia con le popolazionipiù antiche.Freud pensa che se l'incesto è oggetto di divieto, è perchè questo in realtà

avrebbe modo di essere. Altrimenti il divieto non avrebbe senso. Se c'è tuttaquesta severità è anche per il suo pericolo sociale, perchè innescherebbemolto facilmente l'imitazione. Ciò che spesso da noi viene ritenutoriprorevole suscita anche la nostra invidia. Quindi è connesso alla libido e al

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suo aspetto imitativo. Al desiderio quindi.In sintesi, quindi, le culture per sopravvivere devono proibire questicomportamenti che scatenerebbero la molla imitativa mettendo in crisi ilgruppo, perchè impedirebbero i matrimoni.Il totem paterno impedisce che questo avvenga. C'è poi il divieto di ucciderel'animale totemico, salvo momenti particolari di celebrazione religiosa in cuiaddirittura lo si poteva mangiare.

Ma quindi se anche il totem subisce il divieto, è perchè qualcuno lo ha volutouccidere!Probabilmente nell'antichità il complesso edipico deve essersi verificato alivello collettivo, non a livello psicologico, ma un fatto vero e proprio da cuipoi l'umanità ha avuto origine.Come arriva Freud alla scena originaria? Ci dev'essere un momento in cuiviene ucciso il padre, c'è l'incesto con la madre, ma dev'essere avvenuto inuna maniera così violenta che il divieto si è estesoa a tutte le culture per poientrare a far parte del ns codice genetico.L'illuminazione gli arriva leggendo Smith, uno studioso delle culture

semitiche e di antropologia che parla del sacrificio del cammello del Sinai checonsisteva nel legare un cammello prima del sorgere del sole ed ucciderloprima della rivelazione di venere (lucifero). Il capotribù lo colpice, e l'interatribù si avventava per divorarlo. Non c'è un rito complesso, è relativamentesemplice perchè la vittima viene immediatamente uccisa. Ma il punto è chequesto sacrificio non è dedicato a nessun dio, ma serve per creare un legamedi sangue, di parentela tra i membri del clan, attraverso il quale ne vengonorinvigoriti. Questo deve quindi essere segno di un periodo dell'umanità in cuiil rito era efficace in se stesso, ancor prima di concepire le divinità. Non c'èancora questa capacità di astrazione, secondo Smith.Freud non si accorge che i riferimenti di Smith sono inerenti a vittime umane,Infatti se queste comunità avessero potuto, avrebbero messo una persona,uno schiavo al posto dell'animale. Solo che smith inverte il procedimento,cioè pensa che il sacrificio umano sia una forma degenerata dell'originariosacrificio animale.Avendo letto anche Darwin che parlava delle prime comunità che vivevano inorde da 15-20 soggetti, dominati da un maschio che ha il monopoliosull'accoppiamento con le femmine, avendo la rivalità coi giovani del gruppoche o abbandonano o sfidano il grande padre, l'idea che si fa è: i giovani si

coalizzano e divorano il padre per avere le donne. A questo punto l'edipo sirealizza.Ma Freud non sa rispondere come avviene la spartizione delle donne! Fa unescamotage ipotizzando il senso di colpa dei fratelli che uccidono il padre,allora totemizzano il padre ed interdicono l'accesso alle femmine delgruppo(divieto dell'incesto) e l'uccisione del padre.E' così, che secondo Freud, nasce la religione. Da questi due divieti. X FreudCristo è il figlio su cui si vendica il padre, a livello simbolico. E' però il “chidoscaccia chido” della pena proporzionale per liberare da un peccato cosìgrande quale l'uccisione del padre.

L'errore in cui cade però è quello di ipotizzare fasi già con una base culturalee ipotizzarle come primordiali, naturali, spontanee, quali il senso di colpa, ilmatrimonio...Riprenderà questo tema in L'uomo Mose, in cui ricostruisce la figura di Mosè

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e la interpreta come il grande capo che viene ucciso ma che ritorna mandatoda dio per guidare la comunità.Per Freud la religione è qualcosa di infantile, paure infantili trasferite nell'etàadulta, di dipendenza dal padre-divino. Si tratta di una nevrosi ossessivainfantile.Così come Freud arriva ad identificare dei fenomeni antropologici grazie allapsicologia, egli sente il bisogno di interpretare i fenomeni antropologici in

chiave psicologica. Ma la psicologia non può analizzare ciò che è alla basedella psicologia stessa! Questa è stata la sua limitazione.Praticamente nella prima opera, partendo dalla psicologia, Freud fa delleipotesi su scene primordiali ma per spiegare comunque fatti psicologici qualiil complesso di Edipo. Parte dalla psicologia per ritonare alla psicologia.→ psicologia-scena primordiale-psicologia. (spiega l'individuale conl'universale)Nella seconda opera invece riprende la scena primordiale per spiegare lareligione(universale) con gli stessi metodi della psicoanalisi(individuale)→ scena primordiale-religione. (spiega l'universale con l'individuale → Errore!)

50) Comunicazione e Amicizia, in Bataille.Osservando una foto dei supplizi che si facevano subire in Inghilterra,Bataille, in merito al sacrificio, dice che egli diventa partecipe dellasofferenza inflitta al condannato, prova una forma dolorosissima ma anchegioiosa di solidarietà da lui definita comunicazione. “Io comunico con l'essereumano che ha subìto questo supplizio.” Il termine compassione non piace aBataillle perchè lo reputa troppo soggettivo e sentimentalista. Egli vuoleinvece capire con lucidità qual è il nocciolo conoscitivo dell'esperienza cheprova,una compresenza di stati che normalmente vengono ritenutiincompatibili. Ragione e sentimento in Bataille vengono a coincidere nelsacrificio. E' ciò che dev'essere accaduto nella scena originaria: estremafrenesia ed estrema lucidità. Bataille quindi prova una vera e propriaesperienza mistica, ma senza un oggetto supremo da contemplare, data lasocietà in cui vive. La sua esperienza consiste nel recuperare le condivisioniprimigenie dell'oggetto, quindi la condivisione mistica del sacrificio comegeneratore dell'oggetto divino. Sono visioni ancora sconvolgenti!Bataille vede il sacrificio recupero della condivisione primigenia originaria diogni possibile oggetto. Quindi egli come la sarà il pensatore della distruzione

primigenia dell'oggetto intesa come condizione imprescindibile della suaesistenza. Questo è il cuore del pensiero di Bataille.

51) Erotismo/lavoro/sacrificioIl lavoro è quello che la società vuole da noi x avere una posizione sociale; seavessimo solo i nostri stati intimi, saremo inutili alla società x i suoi interessirazionali di profitto. Il resto turba e mette in pericolo la società.Queste due cose hanno in realtà un rapporto strutturale tra di loro: una nonpotrebbe esistere senza l'altra.Bataille è influenzato dal marxismo, ma ha una posizione diversa: il lavoroserve a guadagnare e far guadagnare, quindi è il trionfo del calcolo, dellarazionalità. Scopo ultimo del lavoro è quello di spendere questi soldi. Per lasola gioia di spendere. Il massimo piacere che possiamo ricavare dal denaroè quello di sperperarlo. La distruzione del valore accumulato è alla base della

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ns economia. Se ciò non fosse, l'economia si fermerebbe perchè siacquisterebbe solo l'indispensabile.Il sistema economico si basa su una “circolarità che fa circolare” l'economia.Il dispendio è lo scopo fondamentale per cui noi lavoriamo e il piacere cheproviamo nel farlo è la ricompensa a tutti i nostri sforzi. Soprattutto nelmomento in cui disponiamo di un surplus! E' una situazione limite ma propriox questo più rivelatrice.

I beni più prestigiosi della ns società, gli oggetti che conferiscono una speciedi aurea di superiorità, sono quelli che richiedono il dispendio di enormi q.tàdi denaro. Quantità assolutamente simboliche. In questi casi, più che mai, lacategoria dell'investimento si rivela una pseudo-razionalizzazione. Infattiappena si supera la soglia del negozio, il prezzo viene automaticamentedimezzato, qualora io volessi rivenderlo. Il tale oggetto acquistato vienesacralizzato poi, tanto più quanto vi ho speso. Il valore ormai è inproporzione, tende a coincidere, col prezzo. Anche nel momento in cui iodecido di farlo come regalo, esso mi ritorna come valore simbolico.Bataille dice: se noi funzioniamo in questo modo, non c'è poi una grande

contrapposizione fra momenti “normali” delle ns attività sociali(razionali) e lens attività personali(emozionali).In realtà l'irrazionalità che la vita economico-lavorativa sembra volerescludere, pervade tutto, nonostante siano distruttive. Ma senza questo nonpotrebbe nemm esistere l'apparato produttivo della ns società. Questodinamismo deve aver agito fin dai primi momenti dell'umanità, anzil'umanità deve essere nata da una situazione di questo tipo, intorno al cuiparadosso tra distruttività/produttività si sono edificate tutte le cultureumane. IL momento della produzione, del lavoro, dell'accumulo di benicorrisponde all'istinto di sopravvivenza che a differenza degli animali, l'uomopuò sopravvivere solo se rende in dubbio, problematico questo stesso istintodi sopravvivenza. E' l'uomo per primo a mettere a repentaglio tutto quelloche gli è di necessità. Il bisogno di dispendio è sempre evidente, anche nellesituazioni di carenza di denaro, in cui sentiamo cmq il bisogno di lasciarciandare, di prendere qualche soddisfazione. E' proprio un bisogno!Queste situazioni di dispendio, per Bataille, corrispondono all'esperienzastorica del sacrificio, ne sono lo sviluppo. Sono il sacrificio! “Per amore di lei,io le dimostro che ho speso una somma considerevole”

52) Erotismo/matrimonio/religioneDa queste premesse, Bataille ricava una vera e propria teoria della religione.Egli si ispira a Strauss che spiega l'origine della cultura attraversol'istituzione del matrimonio, nel quale vi è la coesistenza degli oppostinatura/cultura. Nel matrimonio infatti si lega il sesso insieme alla dimensionecollettiva. Il matrimonio fa coincidere permissioni e divieti. La cultura è resapossibile dal controllo di quello che Freud chiamerebbe la libido. Ilmatrimonio è la prima coesistenza di elementi antitetici, secondo Strauss,per cui cellula costitutiva della società.Strauss non si chiede in forza di cosa, di quale forza questi due elementipossono coesistere.Bataille si rende conto che gli uomini erano in origine degli animaliorganizzati che lavoravano(non si addentra sui dettagli), ma questo lavorodell'animale preumano era fine a se stesso, per cui non c'era una ragione per

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seguirlo, senza dei momenti di distruzione dell'accumulato, quei momenti didispendio che conferiscono uni scopo al lavoro, quindi un valore e unsignificato, un senso.L'uomo quindi è un animale che obbedendo all'istinto di sopravvivenza si ètuttavia esposto a situazioni che mettevano a repentaglio la suasopravvivenza. Ma queste situazioni devono essere state così traumatiche,ma anche talmente regolari nella loro ripetizione da diventare indispensabili

e renderlo umano. L'essere umano è un animale che ha imparato a metterein pericolo la propria sopravvivenza, ma è stato proprio questo adifferenziarlo dagli altri animali. Di tanto in tanto deve mettersi in pericoloper salvarsi. Se non si distrugge non si crea.Ma Bataille non riesce a speigare l'origine del lavoro e del dispendio,nonostante poi abbia identificato una serie di elementi fondamentali per ilproblema antropologico.Per Bataille, il segreto x vivere la ns esistenza di uomini contemporanei conla mancanza dell'oggetto divino, una via d'uscita esiste e consistenell'impadronirsi attivamente della situazione storico-esistenziale e farla

nostra sul modello del superuomo nietzscheano ma maggiormente vitalistico.Il momento fondatore, quindi sacrificale del dispendio, quel circuito chemantiene vivo l'uomo, deve essere periodicamente rivissuto. Dobbiamoprenderne coscienza, superare l'inconsapevolezza, e viverla con piena gioia.Abbracciare senza riserve questo momento della potenziale distruzione, lastruttura paradossale della ns esperienza che ci consente anche di vivere lans quotidianità lavorativa.Per raggiungere la pienezza, noi dobbiamo accettare il conflitto insanabileche ci fonda, quindi accettare la ns natura (sacrificale, aggiunge Fornari) ediventiamo sovrani di noi stessi perchè non abbiamo paura di nulla, e nonabbiamo paura perchè mettiamo tutto a rischio. E' qui che siamo liberi.Nel teorizzare questa condizione di vita egli recupera comq la religiosità: lasovranità(uomo sovrano di sè) di cui parla Bataille diventa l'esperienza in cuinoi riviviamo qualcosa di storico e reale le condizioni del sacrificio da cuideriviamo. Egli non contempla dio, né l'assenza di dio, ma la morte dio intesacome sua uccisione. Nel momento stesso i cui la si dichiara, si dichiara anchela sua rinascita. Si rivive così costantemente una genesidell'umano(antropogonia) che è anche una teogonia.

53) Erotismo/amore/morteIl desiderio è quello di conquista, non di possesso dell'oggetto. L'estasi non èamore; l'amore è possesso cui è necessario l'oggetto, al tempo stessopossessore del soggetto e da esso stesso posseduto. Non vi è più ladistinzione soggetto-oggetto, ma una breccia spalancata tra l'uno e l'altro.Sogg-ogg sono dissolti in questa breccia; vi è passaggio, comunicazione, manon dall'uno all'altro, perchè questi hanno perso l'esistenza distinta. Quindi ilrapporto amoroso diventa il raggiungimento supremo dell'ogg da parte delsogg, ma in realtà questa esperienza mette in pericolo e in dissolvimentoentrambi che si perdono nell'esperienza amorosa.Questo si manifesta come ripetizione in sé dell'antica esperienza delsacrificio.La passione dell'io, l'amore in lui bruciante cerca un oggetto. “L'io è liberosolo fuori di sè”. Posso sapere di aver creato l'ogg della mia passione che non

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esiste di per sé. Io l'ho creata, ma per la stessa ragione non è nulla. Questooggetto è capace di luce e di ombra. Io lo formo, ma il mio pensiero altempo stesso ne è il riflesso. Percependolo, il mio pensiero stesso sprofonda.(é passato a parlare dell'oggetto da psicologico a teologico). Avvicinarsiall'oggetto significa avvicinarsi alle condizioni che lo hanno reso possibile,quindi alla situazione primordiale del sacrificio che Bataille descrive conquesta descrizione di stati d'animo.

Il passaggio diretto al sacrificio, parlando di documenti antropologici in suopossesso, lo si ha quando dice cheE' il sacrificio che in ultima analisi definisce l'oggetto. Noi non possiamorimanere umani se non riviviamo in maniera trasformata l'esperienza delsacrificio di Dio.

54) Erotismo (sia norma che trasgressione) e 55) Differenza con la sessualitàdi Freud e 56) Tensione essenziale perchè esista la cultura(tra divieto etrasgressione)L'erotismo, per come lo definisce Bataille, non è la realizzazione di un istinto

sessuale, ma si pone all'opposto della sessualità intesa in senso biologico,perchè la sessualità è un impulso che come tale deve essere espletato e cherisponde a precise finalità biologiche. L'erotismo umano è qualcosa dicompletamente diverso perchè esso può espletarsi solo se ciò che compie èin ultima analisi vietato. L'erotismo è l'espletamento di un desiderio moltoforte, espletamento, realizzazione che normalmente viene proibita dallacondizione normale nella quale gli uomini vivono, ma invece che reprimerel'attività sessuale dell'uomo, al contrario, non fa che rafforzarla, conferendoviun significato simbolico unico; da una parte interdicono, da una parte lorendono desiderabile. Questo rende possibili delle situazioni di eccezione che

violano le regole quotidiane in cui la sessualità umana può realizzarsi. Questesituazioni saranno quindi caratterizzate dalla trasgressione che incrementa ildesiderio umano.L'erotismo quindi è una parentesi di eccezionalità che consiste nel violare lenorme che nell'esistenza quotidiana della società proibiscono l'esercizio dellasessualità. Questa violazione delle norme non è in contraddizione con esse,ma serve a rafforzarle. Quindi l'erotismo è l'esercizio di qlcs di istintuale, masottoposta a una serie di imperativi. Anche se sembrano inconcepibili, inrealtà si alternano in maniera polare. Se ciò funziona, stanno in piedi sia ildesiderio erotico che l'istituzione famiglia re che Bataille pone agli antipodidel desiderio erotico. L'istituzione del matrimonio funziona in quantoaccettata dall'intera società per assolvere agli scopi di normalità eproduzione. Si alimentano a vicenda.L'erotismo è il desiderio umano per eccellenza in cui si pone nella maniera +lacerante della definizione dell'essere umano perchè in essa riviviamol'esperienza della nostra antropogenesi. L'erotismo diventa una sorta disituazione antropologica fondamentale che ci consente di rivivere il sacrificio.

57) L'imitazione nei Presocratici (physis)Cercando di definire la physis e i problemi ad essa connessi, essi indirizzano

la propria violenza mediante il controllo del logos.

58) L'imitazione nel Simposio (Platone)Platone concepisce una polis ideale in cui l'esercizio della libertà e la

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conquista della propria umanità avviene tramite il pieno possesso dellamente e del corpo. Per sviluppare una buona polis, Platone basa tuttosull'educazione, ovvero la costruzione dell'essere umano all'interno di unmondo politico e cosmico, pubblicamente, attraverso modelli esclusivamentepositivi (logos, dialettica). Il dialogo è una gara dialettica per trovare il logospiù bello. Nel gioco ad incastro del Simposio è costante la rivalità dialettica eil confronto agonistico; è un esemio di imitazione positiva dei dialoghi

passaparola.Eros è lo strumento che ci permette di elevarci al mondo delle idee(principiologico-ontologico e morale). Quindi Platone riconosce nel desiderio umanouna scintilla divina che si realizzerà solo nel mondo delle idee. →Amore=strumento per raggiungere il mondo delle idee.Platone vuole un transfert collettivo che assicuri l'imitazione buona dellarealtà, imitazione capace di fare della comunità specchio fedeledell'ordinamento del kosmos. L'unica alternativa è ridurre al minimo la farepreliminare della ripetizione rituale della crisi, trasfigurandola sottoforma dilogos dialettico.

59) L'imitazione nel Cristianesimo (positiva e negativa)Satana vs Cristo

60) L'imitazione in BatailleBataille conferma la dimensione an-oggettuale che definisce la modernità.Bataille descrive la condizione in negativo dell'uomo moderno che si trovaindigente dell'oggetto, quindi con un desiderio condannato ad essereirrealizzabile perchè manca l'oggetto; ma questa condizione poco invidiabilesi rivela privilegiata se l'uomo sa accettarla attraverso il lutto dell'oggetto in

cui può recuperare quelle condizioni primigenie in cui l'oggetto potevarinascere. Quindi dall'affermazione “L'oggetto non esiste più perchè è statoucciso”, si può passare a dire “L'oggetto esiste proprio perchè è statoucciso”. Ma tutto in una nuova forma in cui siamo pienamente padroni di noistessi.Bataille rimane all'interno del paradigma anogettuale moderno, tuttaviarecupera, attraverso Nietsche, la scena originaria della nascita dell'Oggetto.Egli sa della necessarietà dell'oggetto, ma anche se non possiamoraggiungerlo, possiamo sostituirlo per riprovare la dimensione oggettualecon la sovranità. L'oggetto non viene in realtà mai cancellato perchè ne

rimane traccia nel desiderio. Quindi l'oggetto è irrinunciabile.

61) L'oggettualità in Freud(Edipo), Nietzsche(Autodivinizzazione vs Cristo) eBataille(an-oggettualità da sostituire)