volpini d., dal lago a. (eds.), (1986), quaderni di antropologia e sviluppo, n.2....

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Autosviluppo medico - sanitario

e ricerca antropologica partecipata

Linee teoriche e metodologiche orientativee relazione sulla fase preliminare della

ricerca antropologica partecipataapplicata al progetto

di autoeducazione medico-sanitariadei Tharaka del Kenya

1986

CUAMM

Via S. Francesco, 126 - 35100 Padova

Tel. 049/31106

Fuori commercio

Pubblicato con il contributo

del Ministero degli Affari Esteri

Stampato dalla TipoSerigrafia Frisardi Renzo - Via G. Stanchi, 6 - Roma

SOMMARIO

Pag.

Il Introduzione

D. Volpini

17 Il progetto di ricerca antropologica nel quadro dell’attuale intervento sanitario del CUAMM.Q Bonadio e Al. Girardelli

33 Ricerca socio-antropologica partecipata applicata al progetto diautoeducazione sanitaria tra i Tharaka del KenyaD. Volpini

44 Relazione sulla fase preliminare della ricerca antropologica partecipata applicata al progetto di autoeducazione sanitaria dei Tharakadél Kenya

O. GiareUi

117 Culture mediche a confronto

F. Tugnoli

125 Medicina positivistica e medicina vitalistica: due approcci complementari al problema della saluteD. Volpini

Quaderno . 2 - Febbmio 1986

2. lI mago-erbalisia M’Kamundi mentre prepara una medicina con le

1. TI nago-erbalista NjoeIi Muciri con i suoi ornamenti rituali.

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erbe.

Strumenti rituali dclmago-erbalista M’Mothom. Si possono noia-re oggetti di provenienza accoltumativa intcgrati nel bagaglio mibaIe.

3. Il mago-erbalista M’Mugwongo con il nipote J. Mugao (maestro e nostroassistente di ricerca) durante un’intervista.

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6. Operazionechirurgicaall’ospedaledi Nkubu.

5. Suora e infermiere dell’ospedale di Nkubu con una puerpera tharaka che haavuto un parto trigemino. Nella tradizione tharaka due dci gemelli sarebberostati uccisi perché ritenuti corpi senza anima.

7. Suora dcl dispensano di GaLunga durante un controllo pcdiatnico in una uniUpenifenica.

8. Operatrice sanitariadell’ospedale di Nkubu.

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INTRODUZIONE

di D. Volpini

I Quaderni di Antropologia e Sviluppo sono nati, come dichiaratonella introduzione al primo numero, per ospitare i contributi derivantidalla riflessione teorica e dalle indagini empiriche svolte nell’ambito dellaricerca sulle problematiche socio-antropologiche relative ai processi dimutamento culturale indotti nel Terzo Mondo dall’attività di volontariatointernazionale e di cooperazione allo sviluppo, che la Sezione di Antropologia Sociale e Culturale del Dipartimento di Sociologia dell’universitàdi Bologna sta effettuando in collaborazione con altri Enti.

Con il primo Quaderno, oltre che la Sezione e le sue attività diricerca, si sono volute presentare le linee teoriche orientative della ricerca: riflessioni-stimolo da verificare attraverso l’indagine empirica sulcampo. Per sottolineare questo loro carattere di riflessioni orientative,più che di fondamenti teorici si è parlato di considerazioni antropologiche sui processi di modernizzazione indotti nelle comunità rurali delTerzo Mondo. Si è voluto mettere anche immediatamente in rilievo ilcarattere conflittuale e ambivalente dei processi di scontro-incontroculturale in atto portando come esempio concreto l’ambivalenza dellamodernizzazione indotta tra i Tharaka del Kenya dalla scuola e dallapredicazione missionaria.

Con il primo numero dei Quaderni si è voluto avviare il discorso;secondo le esigenze della ricerca partecipata, stimolarlo più che impostarlo. Un discorso che attraverso la riflessione teorica e la ricerca empirica si andrà sempre più specificando e approfondendo nei successivinumeri dei Quaderni.

Il presente Quaderno, come altri che lo seguiranno, è dedicato allaricerca socio-antropologica triennale applicata al progetto di educazionesanitaria di base realizzato tra i Tharaka del Kenya dall’organismo diVolontariato Internazionale C.U.A.M.M. di Padova in collaborazionecon la Sezione di Antropologia Sociale e Culturale del Dipartimento di

Sociologia dell’Università di Bologna e con FUniversità di Nairobi. Essarientra nella programmazione più generale della ricerca su « Volontarialo internazionale, cooperazione e sviluppo (Quaderno n. I, pag. 5)della quale costituisce uno dei momenti fondamentali e dovrebbe renderepossibile una riflessione scientificamente fondata su un caso di intervento, su un progetto specifico, che permetta di cogliere il volontariatointernazionale nel vivo dell’azione, entrando attraverso l’osservazionepartecipante nelle dinamiche stesse del progetto.

Tale ricerca sul campo riveste una certa rilevanza scientifica e nonpoche difficoltà teoriche e metodologiche sia perché è la prima, nel suogenere, realizzata in Italia sia perché, oltre l’ambito del mutamento culturale indotto attraverso l’azione di volontariato internazionale, comprende anche quello dell’Antropologia Culturale Medica (branca tra lemeno sviluppate delle scienze etno-antropologiche) e applica le teoriee le metodologie della ricerca partecipata (Participated Àction Re.vearch)muovendosi, perciò, ad un livello sperimentale del tutto nuovo. Travalicain tal modo l’ambito conoscitivo proprio della ricerca antropologicaclassica, quello applicativo della ricerca antropologica applicata, persperimentare un’antropologia dello sviluppo fondata sulla ricerca-stimolo.

Sia nel Quaderno n. I sia nel mio libro Educazione e Cultura hocercato di mettere in rilievo il perché della necessità della ricerca socio-antropologica panecipata nella stimolazione dci processi di autosviluppo,nei prossimi numeri il dibattito verrà approfondito seguendo l’evolversidi questa in atto applicata al progetto di autoeducazione sanitaria deiTharaka del Kenya.

Questo n. 2 dei Quaderni è dedicato alla presentazione del progettodi educazione sanitaria di base tra i Tharaka, del progetto di ricerca chene diviene il perno e il propulsore, e, in particolare, della fase preliminare della stessa, nonché di alcune riflessioni teoriche sui rapporti tramedicina scientifica occidentale e medicine tradizionali i quali sono alcentro del processo di scontro-incontro culturale medico-sanitario in attoin Tharaka.

11 primo articolo, « Il progetto di ricerca antropologica nel quadrodell’attuale intervento sanitario del C.U.A.M.M. , è scritto da due me-

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dici dello stesso Organismo che hanno svolto il loro lavoro volontario

nell’ospedale di Nkubu dal quale il territorio del Tharaka dipende. Dei

due, la Dr.ssa Girardelli ha condotto una ricerca epidemiologica in

Tharaka, mentre il Dr. Bonadio attualmente è ritornato in Kenya come

responsabile medico del progetto. Il loro contributo ha, perciò, un valore

particolare perché si fonda non soltanto su conoscenze teoriche, ma

anche sulla pluriennale esperienza pratica sul campo. L’articolo si divide

in tre parti. Nella prima gli autori ci introducono al1a Prhnary Heahiz

Care (PHC) detta anche Rural Hea/rh Care (RHC; nella seconda pre

sentano la specifica applicazione che il C.U.A.M.M. fa della PHC nei

suoi programmi medico-sanitari di base; nella terza restringono l’obiettivo

al progetto in corso del quale la ricerca antropologica partecipata, come

si è detto, è parte integrante.

Il secondo contributo, Ricerca socio-antropologica partecipata

applicata al progetto di autoeducazione sanitaria tra i Tharaka del

Kenya , di D. Volpini, presenta il programma della ricerca descriven

done brevemente l’ambito teorico, l’oggetto e lo scopo, i fondamenti

teorici, le varie fasi nelle quali si dovrebbe articolare nonché il perso

nale in essa impiegato. Tale contributo deriva da una sintesi del ciclo

stilato « Participated Action Research Joint Project - Rural Health

Care - Tharaka, Kenya elaborato dalFautore quale direttore della

ricerca e presentato dal C.U.A.M.M. al Ministero degli Esteri per l’ap

provazione del progetto e del relativo finanziamento. Secondo la teoria

e la metodologia della ricerca panecipata, i contenuti programmatici

delineati vanno considerati soltanto come stimoli orientativi della ricerca

stessa, che va costruita di fase in fase, a tutti i livelli (teorico, metodolo

gico e tecnico), con la partecipazione attiva dei vari parrner.s: Sezione

di Antropologia Sociale e Culturale, C.U.A.M.M., Università di Nairobi,

comunità tharaka coinvoite. autorità locali e nazionali. Anche la durata

delle fasi e il ritmo della ricerca, così come sono proposti, vanno ritenuti

puramente indicativi in quanto essi non possono essere rigidamente pro

grammati in anticipo ma dipendono dall’andamento della ricerca stessa,

dai suoi ritmi « fisiologici .

Nel terzo articolo O. Giarelli presenta un’ampia relazione sulla

fase preliminare della ricerca. Il suo contributo costituisce la parte

centrale del Quaderno dedicato, appunto. prevalentemente ad essa.

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La relazione è divisa in tre parti. La prima è dedicata alla presentazione del popoio tharaka, alla crisi di modernizzazione che attraversoe al ripensamento delle metodologie di intervento da parte degli agentiesterni di mutamento che con più sensibilità operano tra i Tharaka: imissionari e i volontari. Tra di essi si va facendo strada la consapevolezza della necessità di un tipo divcrso di sviluppo, più attento alcontesto culturale tradizionale, nel quale lo sviluppo non coincide piùnecessariamente con l’occidentalizzazione.

La seconda parte inizia con l’introduzione storica del programmadi Primay Heald Care in Tliaraka, ma prcvalcntcmente essa è dedicata alla presentazione dei risultati dello studio degli operatori sanitaridi villaggio (Village Heahh Workerv). Sulla base delle risposte ad unquestionario somministrato dall’autore ad una parte dei 34 V.H.W. operanti in Tharaka, egli tenta di tracciare un identikit che sintetzzi i caratteri tipo di questi volontari africani. Ne esce una immagine dominantedi donne intorno alla trentina sposate, con in media quattro o cinquefigli, di istruzione medio bassa. L’autore tenta poi di dare una rispostaa vari quesiti, i più importanti dei quali sono: come si colloca e chesignificato assume all’interno della comunità tharaka attuale la figuradel V.H.W.? E’ essa frutto soltanto dei criteri esterni (delle suore) diselezione o risponde anche ad altro genere di esigenze? Per trovare unarisposta a tali quesiti l’autore passa ad analizzare due processi di mutamento. a suo avviso, di particolare importanza al riguardo: le trasformazioni intervenute nella struttura del casale e del villaggio e l’evoluiione della comunità domestica, che hanno sempre più isolato la donna.Secondo l’autore l’attività di V.H.W. permetterebbe alla giovane donnatharaka la ricostituzione di una solidarietà collettiva femminile, offrcndouna possibilità nuova di socializzare i propri compiti tradizionali, offrendo anche una occasione di gratificazione sociale legata al fatto disentirsi parte integrante dei nuovi processi di modernizzazione attraversola propria attività educativa. Vengono analizzati anche i criteri e i meccanismi della loro selezione nonché le modalità e i contenuti della loroformazione.

La terza parte è invece dedicata alla presentazione di uno studiopreliminare della medicina tradizionale tharaka condotto attraverso unaserie di interviste etnografiche fatte agli operatori tradizionali: maghierbalisti e divinatori. La medicina tradizionale viene presentata comerisposta della cultura locale al problema della malattia, viene, perciò,analizzato il concetto di malattia e i diversi livelli (fisico, sociale e

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spirituale) che esso coinvolge, nonché i livelli terapeutici (profano emistico-magico). Vengono infine presentate le varie figure di operatorisanitari tradizionali.

A conclusione dell’articolo l’autore cerca di individuare le possibilità reali di collaborazione tra operatori sanitari tradizionali e medicivolontari in un reciproco rinnovamento dei ruoli. Prendendo in esameanche altre esperienze in atto in diversi paesi africani, individua duelinee possibili di collaborazione: quella dell’integrazione, che punta allafusione della medicina tradizionale nel sistema sanitario di tipo occidentale, e quella della cooperazione, fondata su di un rapporto di collaborazione autonoma e parallela. L’autore conclude optando per la secondain quanto più rispettosa della specificità della medicina locale.

Nel quarto contributo del Ouaderno Culture mediche a confronto ‘ F. Tugnoli mette in rilievo le costanti che, a suo avviso, accomunano le medicine extra-occidentali con le varie tappe dello sviluppostorico della medicina scientifica occidentale fino al XIX Secolo. Eeliindividua tali costanti, in modo particolare, nell’approccio olistico e nell’impianto conoscitivo ed espressivo illogico-analogico e simbolico.

Affronta poi il problema dello scontro-incontro acculturativo e deirapporti di forza tra medicina scientifica e medicine alternative. Dopoaver descritto rapidamente la situazione caotica, ma estremamente dinamica, che si è venuta a creare con l’irrompere in Occidente delle medicine alternative e nel Terzo mondo di quella scientifica, auspica chenelle varie aree culturali della terra sorgano persone in grado di operare quelle sintesi clic, salvando le specificità culturali, sottraggano ivari sistemi medico-sanitari all’arbitrio e alla mistificazione fondandoli« scientificamente t.

L’ultimo articolo, « Medicina positivistica e medicina vitalistica:due approcci complementari al problema della salute di D. Volpini,deriva dalle riflessioni teoriche fatte in ordine alla elaborazione delleproblematiche inerenti al progetto di ricerca. In esso l’autore inquadrail problema medico-sanitario a livello antropologico. Presenta il sistemamedico-sanitario come sub-sistema di quello culturale globale e ne mettein rilievo le caratteristiche di relatività culturale derivanti sia dall’alte-

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rità dei sistemi socio-culturali globali sia dalla diversità dei significatidei concetti fondamentali coinvolti: vita, morte, salute, malattia, individuo, corpo, società, ecc.

L’autore entra poi nel vivo della discussione analizzando e comparando i due quadri teorici generali — metafisici e logici — fondamentali nei quali i sistemi medico-sanitari si inquadrano e dai quali traggonosignificato gli stessi concetti singoli coinvolti: I’organicisrno positivisticoe il vitalispio nistico-reIigioso. Egli li considera come due approcci complementari alla conoscenza dell’uomo e del cosmo. Essi, storicamenteconsiderati dai medici occidentali conflittuali e incompatibili, potrebbero, a giudizio dell’autore, dialogare purché fosse risolto il problemadel linguaggio superando il monocentrismo culturale nel rispetto dellostatuto « scientifico peculiare dei vari approcci.

Il contributo si chiude con un’analisi del processo di scontro-incontro culturale che, in ambito medico-sanitario, sta vivendo l’Occidente.In particolare viene presentata la situazione italiana e il caso della cittàdi Bologna, nella quale la Sezione di Antropologia Sociale e Culturalesta conducendo una indagine in proposito. L’autore mette in rilievola vivacità e la dinamicità del fenomeno acculturativo medico-sanitario,che, sia in Occidente che nel Terzo Mondo, si configura come una inondazione che trasporta fango e oggetti preziosi. L’articolo si chiude conun invito agli studiosi seri a non lasciarsi trasportare, nel separare gliuni dall’altro, dall’emotività o ingannare dalle apparenze, superandol’etnocentrismo e le difficoltà di linguaggio. Soltanto attraverso il superamento del piegitidizio reciproco e della acritica accettazione dei modellie degli elementi culturali alieni, sia da parte delle società occidentaliche di quelle extra-occidentali, si potrà avviare il processo di selezionee di integrazione che porterà al reale arricchimento reciproco dei sistemimedico-sanitari, i quali, secondo l’autore, vanno considerati espressionidiverse di un’unica • scienza », di un’unica impresa umana: preservare,ricuperare e potenziare la salute e la vita.

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IL PROGETTO DI RICERCA ANTROPOLOGICA NEL QUADRO

DELL’ATFUALE INTERVENTO SANITARIO DEL CUAMM

Dr. Rinaldo Bonadio (I)

Dr.s.va Mirella Girardelli (2)

Ci siamo proposti in questo lavoro di inquadrare il progetto diricerca « Partecipatory Action Research Joint Project Rural HealthCare — Tharaka — Kenya ‘ nell’ambiente in cui si svolgeranno lesue attività concrete di ricerca sul campo e di presentare al lettorequegli aspetti del programma sanitario di cooperazione CUAMM giàin atto, che sono sembrati più rilevanti per una corretta comprensione

del rapporto di correlazione e di scambio che verrà a stabilirsi fra lac novità cioè la ricerca antropologica e il già esistente cioè il programma sanitario stesso. Abbiamo creduto opportuno di dividere ilnostro lavoro in tre parti che gradualmente, dal più generico e teorcoverso il più specifico e concreto, cercheranno di illustrare quegli aspettidel programma di cui sopra si diceva:

Parte prima: Introduzione alla Priniary Heatg Care (P.H.C.).

Parte seconda: La P.H.C. applicata agli interventi di cooperazione delCUAMM.

Parte terza: Il progrwnnia NKUBU sede della ricerca antropologica.Introduzione alla Prhnaryy Health Care

(I) Medico, attuale Capo Gruppo del programma sanitario CUAMM di

Nkubu.

(2) Medico, ex volontaria nel programma sanitario di Nkubu. attualmen

te collaboratrice della Direzione CUAMM.

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Introduzione alla Primary Healtb Care

1. Cosa è la P.H.C.

Il concetto di Primary Health Care (PHC), scaturito dalla conferenza internazionale di Alma Ata (1978), esprime un corpo organico di principi ed indicazioni operative che coinvolgono l’intero settore sanitario e lo pongono in relazione con ogni altro aspetto delleattività umane legate allo sviluppo.

Riprendo il concetto di salute, nella conferenza di Alma Atasi afferma che: c la salute è un fondamentale diritto umano ed il raggiungimentodel più alto livello di salute possibile è un cruciale ed universale obiettivo sociale, per la cui realizzazione si richiede lo sforzocongiunto di altri settori sociali ed economici oltre quello proprio dellasanità (Art. I).

La PHC è il mezzo per soddisfare questo fondamentale dirittoumano e, nell’articolo VI, viene così definita: c La PH.C. è costituita da quelle attività essenziali basate su dei metodi e una tecnologia pratica, scientificamente valida e socialmente accettabile, reseuniversalmente accessibili agli individui e alle famigie nella comunitàattraverso la loro piena partecipazione e ad un costo che la collettività e il paese possono assumere a ogni stadio del loro sviluppo inuno spirito di autoresponsabilità e di autodeterminazione. Esse fannoparte integrante sia del Sistema sanitario nazionale, di cui sono la cellula fondamentale e il punto centrale, sia dello sviluppo economicoe sociale d’insieme delle comunità ‘.

Non quindi una medicina di seconda mano per le popolazionirurali ed i baraccati nelle grandi città, oppure un ripiego momentaneoin attesa di soluzioni migliori, ma una trasformazione radicale e permanente nell’approccio al problema della salute che, aderente allenecessità e risorse della popolazione, garantisca un costante miglioramento della qualità della vita.

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2. Presupposti fondamentali per una PHC adeguata.

La conoscenza quanto più obiettiva ed approfondita possibile

della situazione globale in cui si opera è uno degli archi portanti del

l’attività di PHC; chiunque partecipi a questo lavoro, ed a qualsiasi

livello intervenga, deve sforzarsi di possederla.

Il secondo arco portante è la consapevolezza degli obiettivi che

si vogliono raggiungere; nel nostro caso, l’obiettivo finale è lo svilup

po globale, autonomo ed indipendente, della popolazione locale.

Vedremo come è in questo contesto di adeguata conoscenza che

trovano il loro punto d’incontro la ricerca antropologica e l’intervento

sanitario.

3. La PRC vista nei suoi dettagli.

Le componenti essenziali della PHC sono:

1) Educazione sanitaria riguardante i problemi locali prevalenti

della salute ed i metodi per prevenirli e controllarli.

2) Promozione di un adeguato apporto alimentare e di una appropriata nutrizione.

3) Possibilità di disporre di una adeguata quantità di acqua sicura

e di misure igieniche di base.

4) Protezione materno-infantile inclusa la regolamentazione delle

nascite.

5) Vaccinazioni contro le maggiori malattie infettive.

6) Prevenzione e controllo delle malattie localmente endemiche.

7) Trattamento appropriato delle più comuni malattie e traumi.

8) Disponibilità di medicamenti essenziali.

I principi, espressi in termini inglesi, su cui si basa la nuova

strategia sono:

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1) Equitable distribution: cioè una maggiore equità nella distribuzione dei servizi sanitari.

2) Focus on pret’ention: priorità per le attività preventive, dacui si possono ottenere i maggiori risultati. -

3) Co,nn,unity involve,nent: la comunità deve essere attivamentecoinvolta e corresponsabile della gestione della propria salute, utilizzando le risorse che sono disponibili a livelo locale e nazionale (Es.In molte delle comunità africane, i guaritori e le ostetriche tradizionali sono ancora parte integrante della cultura e delle tradizioni edesercitano all’interno di esse una considerevole influenza soprattuttoin merito ai problemi sanitari. La loro valorizzazione sarebbe di grande vantaggio nella diffusione ed applicazione dei principi della PHC).

4) lntersectoria! Approach: la salute, parte di un contesto piùampio di sviluppo sociale ed economico, si integra con gli altri settori,non strettamente medici, dell’educazione, agricoltura, habitat, comunicazioni, ecc.

5) Appropriote Tech’;ologv: la tecnologia deve essere appropriata alle condizioni locali, sia in termini culturali che economici,metodi e procedure devono rispondere alle esigenze e possibilità dellapopolazione e del paese, senza rinunciare al valore della scicntificità.

La PHC è. quindi, un invto al rinnovamento dei sistemi esistenti,sia a livello locale che nazionale, secondo una nuova politica che coinvolge logicamente e soprattutto anche gli « strumenti umani di talisistemi, cioè gli operatori sanitari.

In questo senso si ritiene necessaria un’ampia revisione dei curricula di formazione, caratterizzati finora da una impostazione eminentemente individualistica e clinica.

L’operatore sanitario che si orienti verso i principi della PHCnecessita dì nuove e più specifiche qualità, quali quelle oggetto dellescienze sociali (metodologiche, di lavoro di gruppo, ecc.) che, sebbene al di fuori dell’ambito strettamente medico, sono necessarie aicompiti di tipo educativo, gestionale ed organizzativo (formazione delpersonale, supervisione delle attività, ecc.).

Nella maggioranza dei PVS, però, data la carenza di personalemedico, sono soprattutto i quadri intermedi ed ausiliari che svolgonodirettamente le attività sanitarie a livello periferico.

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Accanto a questi si è andata sempre più delineando una figura

dcl tutto particolare e nuova rispetto alle categorie tradizionali del

personale paramedico: l’operatore sanitario di villaggio, le cui caratte

ristiche essenziali si possono così riassumere:

I) È un membro scelto dalla comunità in cui vive per occuparsi

a livello di villaggio o piccola comunità (500-2.000 persone) di al

meno tre aspetti:

— protezione materno-infantile;

— misure locali di sanità pubblica (acqua, rifiuti, ambiente);

— trattamento delle condizioni morbose più comuni con ri

ferimento dei casi più complessi ai livelli immediatamente superiori

del sistema sanitario.

2) Nel villaggio può essere isolato o più spesso essere parte di

un piccolo team con competenze diversificate.

Si intende utilizzare, dopo un appropriato riciclaggio, in questi

teams periferici, sia le traditional birth attendants (matrone di vil

laggio), sia i guaritori locali.

3) Non fa parte formale-burocratica del sistema sanitario nazio

nale, ma è principalmente responsabile verso la comunità stessa. In

certi casi è previsto che il suo impiego sia solo parE-time e che egli

continui nel suo lavoro precedente.

La comunità è responsabile, in misura variabile, del suo man

tenimento.

4) Viene formato a livello periferico per una durata variabile

e con modi diversi da paese a paese.

La definizione ed il grado delle sue competenze che determinano

poi il curriculum di formazione, variano da un paese all’altro e di

pendono in genere dal grado di sviluppo della comunità.

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La P.H.C. applicata agli intenenti di cooperazione del CUAMM

Il CUAMM, attraverso la sua presenza costante nei PVS daglianni ‘50, ha vissuto passo passo la lenta trasformazione dell’intervento sanitario. Ne sono testimonianza i documenti elaborati già inepoca pre-conferenza di Alma Ata, nel momento in cui enuncia leproprie finalità di intervento: portare un contributo ai processiglobali di sviluppo di una data popolazione in senso generale ed insenso specifico, contribuire allo sviluppo dei sistemi sanitari localibasati su rigorosi principi di giustizia sociale .

Oggi, in concreto, l’intervento CUAMM in campo sanitario sianei programmi privati che governativi risponde a linee precise di integrazione organica dei servizi a livello di territorio: dove cioè dellesemplici linee geografiche racchiudono in sé, in una visione unitaria, tutte le esigenze e le aspirazioni della gente nel vivere quotidiano.

In sintesi: l’insieme dei servizi sanitari in una determinata zonacomprende due strutture diverse, ma strettamente collegate fra loro:l’ospedale e le unità sanitarie rurali.

1) L’Ospedale.

Ritenuto in passato la forma più adeguata a rispondere ai bisognipiù immediati della popolazione, l’ospedale, concepito alla manieraoccidentale, ha trovato modi di diffondersi e consolidarsi anche neiPaesi in via di sviluppo. Struttura statica, accentratrice dei servizisanitari prevalentemente a carattere curativo, ad uso e consumo delleélites urbane, rimaneva preclusa alla stragrande maggioranza dellepopolazioni rurali lontane da esso.

I criteri della PHC, punto di riferimento continuo ad ogni livello dell’organizzazione sanitaria, coinvolgono e ridefiniscono in modo evidente anche la struttura ospedaliera attraverso nuove e più articolate funzioni. Queste si esprimono con l’impegno della standardizzazione terapeutica, la consona e giustificata introduzione di metodi-

che e strumentazioni diagnostiche e la particolare attenzione per il

riodentamento e costante supervisione del personale paramedico.

Ogni medico o specialista (ostetrico, chirurgo, ortopedico ecc.)

è chiamato in causa in questo processo di ristrutturazione e nell’or

ganizzazione dei servizi del proprio campo specifico.

Ad esempio, nell’ambito della chirurgia tropicale, la standardiz

zazione delle procedure chirurgiche, anestetiche e diagnostiche essen

ziali, adatte ed adeguate alle condizioni dei vari livelli di sistemi

sanitari, che possano favorire anche l’inserimento di personale ausi

liario con queste mansioni (nei PVS molto raramente sono disponi

bili medici anestesisti). se applicata su vasta scala potrebbe portare

ad immensi vantaggi sia in termini di risparmi economici, sia in ter

mini di maggiore uniformità, e perciò maggiore facilità e costanza dei

risultati, nella formazione sia dei medici che del personale parame

dico nei PVS.

L’ospedale deve essere visto anche come una struttura dinamica

di prevenzione e promozione della salute attraverso un sistema di

decentramento dei servizi a livello di territorio di competenza.

A tale scopo viene istituito il Dipartimento di Sanità pubblica

le cui funzioni possono essere così schematizzate: programmazione e

supervisione delle attività nel territorio; formazione ed aggiornamento

degli operatori periferici; valutazione del programma stesso attraverso

una formulazione di indicatori adeguati; organizzazione di un sistema

di raccolta ed analisi dei dati statistici in relazione agli obiettivi pre

fissati.

2) L’Unità Sanitaria Rurale.

È il primo immediato interlocutore periferico dell’Ospedale nel

processo di decentramento dei servizi.

La sua attività preponderante, però, è costituita dai servizi ma

terno-infantili (immunizzazione, controllo della crescita e sviluppo del

bambino, prevenzione della gravidanza a rischio). All’Unità Sanitaria

Rurale è affidato il compito dell’ulteriore diffusione dei servizi nel

territorio attraverso ambulatori fissi e/o mobili e la selezione, for

mazione e supervisione degli operatori sanitari di villaggio.

23

Attrezzata di un piccolo laboratorio e di semplice strumentario,questa unità è in grado di soddisfare le più comuni e semplici istanzeterapeutiche nonché l’assistenza al parto non complicato.

La figura dell’operatore sanitario di villaggio nasce dalla volontàe dalla partecipazione al programma della popolazione appartenenteall’area di unità sanitaria rurale.

Dal lavoro e dalla collaborazione tra l’operatore sanitario di villaggio e l’Unità Sanitaria Rurale si sviluppa un servizio ambulatorialedapprima mobile e poi fisso.

Sulle peculiarità degli operatori sanitari di villaggio si è già detto a pagina 5.

Il servizio ambulatoriale mobile è costituito da un team sanitario che, partendo dall’Unità Sanitaria Rurale, si reca periodicamentein luoghi periferici programmati, per svolgervi soprattutto attività diprevenzione materno-infantile, in collaborazione con l’operatore sanitario di villaggio.

Da un servizio ambulatoriale mobile può nascere un servizio atribulatoriale fisso che gli dia carattere di continuità, fermo restando checiò deve avvenire per volere e con la partecipazione della popolazione,che deve essere sempre più cosciente della propria condizione fino adarrivare a gestirla da sé.

iOspedale

Rurale <2\ • ** Clinica fissa

a Clinica mobile

Operatori Sanitari di Villaggio

24

Altri strumenti importanti della Prhnarv Health Care sono:

a) La raccolta dati.

Per una corretta valutazione e supervisione del programma è in

dispensabile un sistema minimo attendibile.

A tal fine i criteri da seguire dovrebbero essere i seguenti:

1) Devono essere individuate le informazioni necessarie e suffi

cienti alla valutazione dell’andamento del programma.

2) La raccolta dei dati dovrebbe essere adeguata alla struttura

(ospedale, unità sanitaria rurale, cliniche fisse, villaggio), ed alla si

tuazione oggetto della rilevazione.

3) 1 dati dovrebbero essere analizzati ed utilizzati correttamente

anche a livello di raccolta e non solo riportati alle sedi centrali. A

questo proposito diviene importante la formazione e la supervisione

del personale ai vari livelli al fine di migliorarne il rendimento sul

campo secondo un processo continuo di rilevazione-analisi-azione .

4) I protocolli di raccolta dovrebbero essere il più possibile sem

plificati, in modo da consentire in futuro la loro riproducibilità in

loco.

b) Personale cooperante espatriato.

Come precedentemente accennato, i compiti del personale me

dico abbracciano innumerevoli aspetti del problema salute (medicina

preventiva, medicina curativa, educazione igienico-sanitaria, maternità

ed infanzia, difesa dell’ambiente e formazione del persondle), tali da

richiedere non solo un’adeguata preparazione, ma soprattutto una no

tevole apertura mentale nei confronti di una realtà tutt’altro che sta

tica e prevedibile.

Un’attenzione particolare, in questo contesto, dovrà essere riser

25

vata nei riguardi del personale paramedico ed ausiliario locale, nonsolo in termini di formazione tecnica, ma anche di spinta motivazionale in considerazione dell’alto valore sociale del servizio che è chiamato a svolgere.

Essendo il più diretto interlocutore con la popolazione, versola quale, in definitiva, è rivolto il servizio, il personale locale è iltramite più immediato per una continua e corretta informazione sulleesigenze ed i bisogni che continuamente emergono a livello di base.

Il ruolo del personale cooperante si presenta quindi complessoe non privo di difficoltà. Ciò è dovuto in parte al tipo di preparazione accademica, eminentemente tecnica e clinica, ma soprattuttoalle sue scarse conoscenze a livello socio-culturale e politico dell’ambiente in cui deve operare.

Ammettendo tali limitazioni ed ostacoli, tuttavia sarà posto ognisforzo per una preparazione preliminare in Italia, la quale, oltre agliaspetti tecnico-pratici previsti dall’intervento di cooperazione, comprende anche una adeguata informazione sulla problematica generaledello sviluppo (condizioni socio-culturali, politiche ed economiche),studio della lingua locale e serio interessamento ai vari aspetti dellamedicina di base, affinché l’intervento del personale cooperante possaavere un significato positivo ed una sua validità.

Si ritiene, infatti, che solo un’adeguata preparazione sia il presupposto per una mentalità aperta ed allo stesso tempo equilibrata,tale da evitare interpretazioni ed iniziative troppo personali del tipodi servizio che, in aggiunta alle limitazioni dovute alla brevità delcontratto (circa due anni), distolgono da una omogenea linea di intervento, dove invece i singoli contributi, proprio perché in breve successione di tempo, devono essere tali da sommare la loro efficacia.

Una volta sul campo il personale cooperante completerà la propria preparazione attraverso un tirocinio della durata di tre mesi. Acontatto con personale più esperto sarà favorito il più possibile ilproprio inserimento nell’ambiente locale e nel programma specificodi cooperazione a cui è destinato.

Da quel momento egli si farà carico di una valutazione seria econtinua del proprio operato attraverso aggiornamenti frequenti edincontri con altre esperienze e sarà particolarmente attento alle indi-

26

cazioni critiche che origineranno da un franco e assiduo controllo con

la popolazione locale.

Nella grande complessità della realtà culturale del Terzo Mondo

il compito che ci si prefigge non risulta facile, anche perché le cono

scenze disponibili che derivano da analisi macro-culturali non posso

no essere sempre generalizzate ed applicate a contesti singoli e par

ticolarissimi come lo sono ciascuna delle innumerevoli etnie africane.

Un’analisi micro-culturale, allora, fondata sulla ricerca sul campo, quel

lo del South Tharaka, dovrà essere in grado di fornire all’operatore

sanitario quelle conoscenze di cui egli necessita per un corretto im

patto nell’ambiente socio-culturale e politico nel quale si trova ad

operare

Egli sarà così in grado di sollecitare la partecipazione attiva e

la piena responsabilità delle popolazioni locali, valorizzandone e fi

nalizzandone i modi di essere e di vivere, senza imporre i propri mo

delli importati dall’occidente.

Con questo atteggiamento rivolto a favorire la maturazione di

ogni autentico valore della cultura autoctona egli si farà promotore

di un processo organico di sviluppo della comunità locale in confor

mità ai principi della self-reliance e self-determination.

Il programma Nknbu sede della ricerca antropologica

Le finalità generali del programma Nkubu sono quelle proprie

dell’intervento sanitario nei PVS: miglioramento delle condizioni igie

niche di vita, riduzione dei tassi di morbosità e mortalità dovuti alle

malattie infettive e parassitarie, lotta alla malnutrizione e contenimento

della crescita demografica.

L’ospedale di Nkubu oggi è una istituzione diocesana ed è sorto

ad opera delle Missioni della Consolata intorno agli anni ‘50. Esso

conta attualmente 257 posti letto ed è provvisto dei reparti di Medi

cina e Chirurgia generale, Maternità, Pediatria e Malattie infettive.

I suoi servizi principali sono l’ambulatorio esterno, la fisioterapia, la

radiologia, il laboratorio e la farmacia. Il personale medico e, in pic

cola parte, paramedico sono italiani.

Annessa all’ospedale vi è una scuola per infermiere/i diplomate/i.

A tal proposito è da ricordare come in questi ultimi anni anche il

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curriculum formativo del personale paramedico abbia subito una sostanziale modifica.

Nella scuola, durante i quattro anni di insegnamento, oltre chealle tradizionali materie a carattere medico ed ostetrico, vengono impartite lezioni di medicina pubblica. Ne è nata, quindi, una nuovafigura: la « Community Nurse , più rispondente alla mutata strategia ed adatta ad inserirsi nei nuovi programmi.

Il Dipartimento di Sanità Pubblica, i cui compiti sono stati precedentemente descritti, ha la sua sede all’interno dell’ospedale ed èformato da personale medico e paramedico con particolare competenza nel campo della medicina preventiva ed igiene pubblica.

L’ospedale di Nkubu ha vissuto, nel tempo, una graduale trasformazione: da una struttura a carattere prevalentemente curativo èandato acquistando un ruolo più finalizzato di promozione e prevenzione attraverso un articolato decentramento dei servizi a livello diterritorio (vedi Fig, 2).

7*4. 2

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* li 5.,ltarL.

* cll.,l..

+culc. .0*12.

•Op.r.t,tl St,lt..l dl Vi21.ai,

28

La sua zona di competenza ‘ all’interno del Distretto di Meni

(9.992 kmq; 1.029.000 ab.) si è delineata nelle Divisioni Sud Tmenti

e Tharaka per una superficie di circa 2.000 kmq ed una popolazione

di 200.000 persone.

Il Sud Imenti, situato sulle pendici orientali dell’altopiano del

Monte Kenya, è una regione (400 kmq circa) ad alta densità di po

polazione (300 ab/kmq), con clima mite e buona piovosità stagionale

Il Tharaka, invece, esteso per circa 1.500 kmq, in territorio pia

neggiante a 600 mt s.l.rn., presenta i caratteri delle regioni aride pro

prie delta savana. Data l’ostilità del clima e delle condizioni ambienta’i

la popolazione è ridotta e piuttosto scarsa (40 ab/kmq; n. ah. 60.000

circa).

Ed è proprio qui, in una delle regioni più povere e neglette dl

Paese, che il Programma Nkubu concentra maggiormente i suoi sford.

Nel Nord Tharaka i programmi rurali integrati sono già avviati da

diverso tempo con buoni risultati. Il Centro di Gatunga opera conte

Unità Sanitaria Rurale e conta, allo stato attuale, 34 operatori sani

tari di villaggio, sparsi in 13 località per una copertura totale di ‘50

famiglie. L’équipe mobile, formata da un’ostetrica ed un’infermiera di

plomata, si reca settimanalmente in sei villaggi (vedi Fig. 2).

Le ripercussioni di questa attività sull’intero territorio sembrano

incoraggianti se si pensa che la fascia d’età sotto i due anni risulta

vaccinata intorno all’SO%.

Nel Sud Tharaka l’Unità Sanitaria Rurale è situata nella Mis

sione di Matiri ed è in fase veramente iniziale di sviluppo. in que

sta zona del Sud Tharaka che si inserirà la parte principale della

ricerca antropologica (Cfr. Giarelli, articolo seguente).

Problemi irrisolti.

Accanto ad alcuni aspetti positivi dell’intervento sanitario in que

ste regioni, come il programma di vaccinazioni nel Nord Tharaka,

molti tuttavia rimangono i problemi ancora irrisolti nel campo della

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salute della popolazione. Una epidemia di colera proprio in questoanno 1985, successiva alla caduta delle prime piogge dopo un lungoperiodo di siccità, è il più evidente, anche se non forse il più significativo, esempio di un substrato igienico precario ed incontrollatoche influenza e condiziona ogni approccio medico alla risoluzione diquei problemi sanitari legati alla diffusione delle malattie trasmissibiliendemiche, parassitosi intestinali e vescicali, gastroenteriti, tubercolosi,ecc. ecc.

Alcuni problemi della salute si caratterizzano anche per gli aspetti particolari, che nel rapporto medico-paziente il semplice contributotecnico è incapace di risolvere.

Alcuni esempi:

1) per la tubercolosi e la lebbra, malattie croniche ed endemiche molto diffuse, è necessario un trattamento di lunghissima durata, ma, nonostante tutti gli sforzi per semplificare ed accorciare iprotocolli terapeutici e responsabilizzare gli interessati, resta moltoalta la percentuale dei « defaulters (cioè dei pazienti che, abbandonano dopo brevi periodi la terapia, si espongono alla fatale riacutizzazione della malattia);

2) nel campo delle gastroenteriti o più in generale delLe diarree, l’aspetto essenziale del programma di controllo non è l’elaborazione di tecniche terapeutiche più sofisticate, ma la diffusione capillare di elementari accorgimenti preventivi (igiene) e curativi (semplice reidratazione orale con acqua, sale e zucchero). Questi accorgimenti, però, riescono efficaci solo nella misura in cui vengono accettati dall’intera comunità come parte integrante del proprio bagaglioculturale;

3) nella pianificazione familiare, dove il contatto con la comunità è più diretto e costante, spesso il medico è incapace di interpretare i modelli e le risposte culturali della popolazione coinvolta. Laeducazione sanitaria offerta in maniera tecnico-asettica, senza una conoscenza profonda del substrato culturale che dovrà accoglierla, rischia di rimanere inefficace, se non è in sintonia con la mentalitàed i costumi della gente. Ciò può spiegare facilmente gli scarsi risul

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tati ottenuti dagli svariati programmi di Family Planning intrapresi negli ultimi anni, nonostante la validità scientifico-occidentale delle metodiche proposte e la relativa disponibilità di risorse al proposito.

Conclusione.

Da quanto esemplificato è evidente come sia indispensabile aumentare il più possibile i canali di comunicazione reale con la popolazione locale, affinché questa sia la protagonista del proprio sviluppo.t importante che ciò avvenga senza che la gente perda il suo bagaglio umano e culturale, nel segno di un rispetto reciproco fra personeappartenenti a popoli diversi che lavorano e crescono insieme.

Perciò è benvenuta una ricerca antropologica che aiuti noi operatori occidentali a conoscere la gente del posto, ed a riflettere meglio anche sui nostri valori, ed aiuti essa a capire la propria realtàdi popolo tra gli altri popoli per uno sviluppo globale, autonomo edindipendente da condizionamenti negativi esterni.

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32

RICERCA SOCIO-ANTROPOLOGICA PARTECIPATA APPLICATA

AL PROGEnO DI AUTOEDUCAZIONE SANITARIA

TRA I THARAKA DEL KENYA

di Domenico Volpini

Ambito teorico

La presente ricerca rientra nell’ambito di quella più ampia sulvolontariato internazionale e sulla cooperazione allo sviluppo condottadalla Sezione di Antropologia Sociale e Culturale del Dipartimentodi Sociologia dell’Università di Bologna. Ne costituisce un aspettoessenziale: quello della ricerca sul campo (cfr. Volpini, 1980, 5). Essaè anche parte integrante del progetto di « Primary Health Care), condotto dall’organismo di Volontariato Jnternazionale CUAMM di Padova nel Distretto del Meru in Kenya, del quale costituisce la partesperimentale. Va ctnsiderata, perciò, un joint profec che vede comepartners, oltre alla Sezione di Antropologia Sociale e Culturale delDipartimento di Sociologia dell’Università di Bologna e al CUAMMdi Padova, l’Institute of African Studies e il Community Health Department dell’Università di Nairobi nonché, ovviamente, la popolazione tharaka e le autorità locali e nazionali.

Oggetto e scopo della ricerca

L’oggetto della ricerca è costituito dalle dinamiche socio-culturali del processo di sviluppo medico-sanitario dei Tharaka del Kenya,considerato sia nei suoi dinamismi interni, endogeni, sia in quelliesterni, esogeni, acculturativi.

Lo scopo è quello di stimolare e favorire, attraverso le metodologie della ricerca panecipata, un processo di autoeducazione socio-sanitaria, nel quale devono essere coinvolti attivamente gli operatorisanitari tradizionali (maghi-erbalisti, divinatori, levatrici, madri di f a-miglia); a tale scopo, favorendo l’integrazione delle loro conoscenzecon apporti della medicina occidentale, si dovrebbe stimolare e avviare una costruttiva collaborazione tra loro e il personale medico eparamedico moderno operante in loco, arrivando ad un incontro edinterscambio creativo tra la medicina tradizionale tharaka e la medicina scientifica occidentale.

33

Fondamenti teorici

I presupposti teorici fondamentali sui quali il progetto si basasono i seguenti:

1) Un processo di sviluppo può essere tale soltanto se è di auto-sviluppo.

Sia la prassi che la riflessione teorica hanno dimostrato ormai inmodo inequivocabile che una comunità, un popolo, o si sviluppanoda sé (pianificando e autogestendo il proprio sviluppo) o non si sviluppano affatto. Lo sviluppo etero-gestito (foreign-development) puòprodure soltanto parassitismo socio-culturale e dipendenza economica.TI fallimento nel Terzo Mondo di migliaia di progetti suffraga la validità di questa affermazione.

TI pericold di una maldestra e distruttiva modernizzazione in

dotta anche in campo medico-sanitario può essere evitato soltanto se

la cooperazione allo sviluppo, abbandonata la sua caratteristica di

monologo tecnico-scientifico dell’Occidente industrializzato, si baserà

su un dialogo che, rispettando il diritto fondamentale dell’autodeter

minazione dei popoli, lascerà l’ultima parola ai soggetti dello svi

luppo, allo loro plasticità e creatività culturale.

La collaborazione delle autorità locali (District Health Officer,

Medical Officcrs, Chief, Sub-Chiefs, ecc.) viene ritenuta indispensa

bile per il successo del progetto al fine di avviare un autentico pro

cesso di self-reliance. Fondamentale sarà l’apporto dell’Università di

Nairobi che parteciperà al team interdisciplinare della ricerca — co

stituito da antropologi, sociologi, medici e botanici — attraverso lacollaborazione dell’Institute of African Studies, del Departmcnt of Ho

tany e del Department of Community Health.

2) Qualsiasi progetto di sviluppo deve affondare le sue radici nel

l’humus della cultura locale, delle sue realizzazioni storiche. Siamo

perciò d’accordo con l’O.M.S. che la moderna medicina, alla qualedobbiamo scoperte cruciali durante 11 XX secolo, è inadatta a prov

vedere le cure sanitarie per le popolazioni rurali dei paesi che si sonoavviati ad installare le loro infrastrutture. La medicina tradizionaleafricana è uno dei pilastri dell’eredità culturale della regione e pos

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siede la capacità potenziale di fornire un rimedio a questa inadeguatezza.

Una integrazione dei due sistemi, senza compromesso di principio, ma con piena comprensione da parte di entrambi, porrà in gradole popolazioni gravemente svantaggiate di beneficiare di uno dei fondamentali diritti umani: il diritto alla salute (WHO, 26th Session.Agenda 10, Kampala, 1976).

3) La natura del diafogo, che un progetto di autosviluppo socio-sanitario come quello proposto mette in atto, è molto complessa inquanto coinvolge culture profondamente diverse tra di loro. Essa rende perciò indispensabile l’appono determinante che le scienze umanee sociali, prime fra tutte quelle socio-antropologiche, possono offrire.

Lo sviluppo è, in primo luogo, l’effetto dell’attività degli uominidi cui occorre conoscere il sistema di valori e le aspettative.

Solo attraverso tale conoscenza — che richiede l’impiego di sociologi e antropologi — ed un continuo dialogo con la popolazione,sarà possibile ottenere la partecipazione ed il coinvolgimento delleenergie umane esistenti ai fini dello sviluppo e dell’elevazione del livello di vita (Augelli, 1983).

La ricerca socio-antropologica, infatti, attraverso la metodologiae le tecniche della osservazione partecipante e della ricerca partecipata — avviando su basi scientifiche un processo di conoscenza attraverso l’osservazione, l’analisi, e la critica della realtà — sonisce effetti tali, da: a) avviare all’interno della comunità un processo di mutamento autodiretto; b) suscitare per la causa sociale [‘interesse particolare di alcuni individui che vo3sono divenire operatori culturaliinterni; c) stimolare, di conseguenza, in costoro la richiesta di unaiuto per la propria formazione specifica (Volpini, 1980).

La ricerca socio-antropologica parteciputa ha effetti collaterali distimolo molto forti: le interviste e i colloqui sui problemi medico-sanitari più importanti che investono la collettività e sulle dinamichepiù vive dei processi culturali in corso, la ricerca e l’analisi delle basistoriche della realtà culturale attuale, la possibilità di confronto inconvegni, tavole rotonde, assemblee, ecc., producono una presa di coscienza della propria realtà storico-culturale con conseguente stimoload affrontarla ed a modificarla, Lo scambio di comunicazione reciproca (sia gli operatori esterni, i volontari, sia la comunità locale di-

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ventano, di volta in volta, soggetto e oggetto della ricerca), che haluogo nella conduzione della ricerca come con-ricerca, come indagineche parte dall’ambito dell’auto-descrizione della situazione per giungere alla interpretazione complessiva del sistema socio—culturale e deisuoi rapporti con l’esterno, produce un processo di consapevolizzazionecon stimoli più o meno forti alla trasformazione critica della realtà.

I progetti di sviluppo, in assenza della ricerca socio-antropologicapartecipante e partecipata, possono produrre un mutamento che, ingenere, si risolve in una trasformazione parziale, acritica e squilibratadella realtà, pianificata e diretta dagli agenti esterni.

La ricerca antropologica applicata ha proprio lo scopo fondamentale di stimolare nelle comunità interessate questa riflessione suiproblemi e sui fattori che li generano o li possono risolvere, sia sulversante della propria cultura locale sia su quello della cultura ufficiale delle moderne nazioni nelle quali sono inserite, sia, infine, suquello della cultura industriale occidentale, della quale l’antropologo egli agenti esterni sono esponenti (1).

Durata della ricerca: 3 anni (estendibile per altri 2 anni).

Sue fasi: I) fase preliminare (6 mesi)

2) prima fase (6 mesi)

3) seconda fase (6 mesi)

4) terza fase (12 mesi)

5) quarta fase (6 mesi)

Sc,ninari. Ogni fase, secondo la metodologia della ricerca partecipata, sarà conclusa in Tharaka da una serie di riunioni aile quali, oltrei ricercatori e i medici volontari, i collaboratori locali, le autorità localitradizionali e moderne, le persone che sono state intervistate e quelle

(1) Per un approfondimento maggiore, cfr. Volpini D., 1980 e 1984.

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che fossero interessate, parteciperanno anche il direttore della ricerca,la segretaria della ricerca e un esperto dell’Institute of African Studiese, a turno, un membro o due della équipe di teorizzazione, a secondadella specificità della competenza richiesta.

In tali riunioni verranno comunicati i dati emersi e i risultati raggiunti dalla ricerca; verranno ascoltate le valutazioni critiche che iTharaka esprimeranno, e saranno chiesti loro consigli per migliorarei metodi e le tecniche e adeguare i concetti alla realtà culturale locale.

Terminate tali riunioni in Tharaka, sarà organizzato in Italia unseminario teorico-metodologico al quale, oltre i ricercatori e l’équipedi teorizzazione, potranno partecipare altri esperti appositamente invitati. Il seminario avrà lo scopo di vagliare i dati rilevati e i risultatiraggiunti, di discutere le basi teoriche, la metodologia e le tecnicheutilizzate e di adeguarle alla fase successiva.

Si concluderanno i lavori con una relazione scientifica parziale.Nel caso che i risultati raggiunti o i dati rilevati fossero particolarmente significativi potrà essere curata la pubblicazione degli atti delSeminario in un numero dei Quaderni di Antropologia e Sviluppo edito dal CUAMM e dalla Sezione di Antropologia Sociale e Culturaledel Dipartimento di Sociologia dell’Università di Bologna.

I) Fase preliminare (durata: 6 mesi).

La ricerca di sfondo è durata 6 mesi e ha c3mpreso sia lindagineindiretta sia una prima presa di contatto con il campo della ricerca, ilTharaka.

Tale fase ha avuto lo scopo di rilevare, organizzare ed elaborare,in funzione del progetto, tutti i dati e le informazioni reperite attraversole fonti scritte e una serie di interviste-sondaggio relative al Kenya,al Distretto del Meru, alla Diocesi del Meru, alla Divisione del Tharaka; in modo particolare le informazioni relative alla politica di sviluppo in campo medico-sanitario. Sono state, ovviamente, prese inconsiderazione e vagliate le informazioni e la documentazione reperitepresso il CUAMM.

La fase preliminare ha compreso attraverso una indagine disfondo sul campo che il dr. Giarelli ha condotto nei mesi di luglio,

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agosto, settembre e ottobre 1984 con un finanziamento della FOCSIV

e del CUAMM. I dati rilevati e i risultati di questa sono presentati

nell’articolo di Giarelli pubblicato in questo quaderno.

Il seminario teorico-metodologico ha chiuso questa fase.

2) Prima fave (durata: 6 mesi).

Conoscendo già a sufficienza il sistema culturale tharaka per gli

studi e le ricerche di Bernardi e Volpini, e per l’attività sociale di

Castellani e medica di Dal Lago, la prima fase sarà orientata subito

all’approfondimento della conoscenza dell’ambito magico-religioso e

sanitario della cultura tharaka.

Si individueranno gli operatori tradizionali nel campo della sa

lute: maghi-erbalisti, indovini, ecc.; si cercherà di prendere i contatti

con essi e di farne un censimento cercando di classificarli seconda

categorie proprie dei Tharaka, e di rilevare quanti hanno la licenza

governativa di esercizio.

Saranno anche presi i contatti con tutti gli operatori sanitari mo

derni: medici, infermieri, ecc. Si cercherà di quantificare, con una

indagine statistica, il numero dei Tharaka che, utilizzano le strutture

mediche moderne (ospedali, maternità, ambulatbri), la frequenza con

la quale ne usufruiscono, la qualità delle attrezzature medico-sanitarie

di cui tali istituzioni dispongono e le medicine che dispensano.

Questa prima fase della ricerca dovrebbe avere lo scopo di dare

un quadro il più realistico possibile della situazione sanitaria e delle

istituzioni tradizionali e moderne che operano nell’ambito della salute.

Si ipotizza che giù questa prima fase avrà, anche se ancora tenui,

degli effetti-stimolo collaterali di critica e autocritica che andranno

controllati e ben studiati, specialmente nelle riunioni che, secondo la

metodologia della ricerca partecipata, seguiranno in Tharaka e nel

seminario teorico-metodologico che avrà luogo in Italia.

3) Seconda fase (durata: 6 mesi circa).

In questa fase della ricerca, attraverso l’osservazione panecipante

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e l’intervista etnografica, l’indagine approfondirà la conoscenza dell’anibito socio-sanitario. Saranno intervistati gli operatori tradizionali e lepersone di ambo i sessi e dei vari gradi di età, in modo da riuscire acomprendere i concetti principali (salute, malattia, cura, guarigione,morte, nascita, ecc.) che fondano tale settore della cultura locale. Sicercherà, per quanto possibile, di partecipare ai riti magici di curae ai momenti di vita fondamentali relativi al campo specifico dell’indagine. Per u&analisi scientifica della consistente pratica erbalisticatharaka, si chiederà l’aiuto di un botanico dell’università di Nairobi,per la classificazione e la raccolta delle piante medicinali utilizzateI oc amente.

Di particolare interesse in questo caso si rivelerà la collaborazione con l’Institute of African Studies dell’Università di Nairobi che,non soltanto ha offerto la propria collaborazione ma, attraverso il suo

Direttore, ha anche prospettato di entrare nella ricerca attraverso unjoint project.

Questa fase dovrà anche rilevare, almeno in parte, il valore deirituali magico-curativi nei rapporti e nelle dinamiche sociali, nonchéle variabili e le coslanti nell’atteggiamento culturale dei Tharaka neiconfronti della medicina tradizionale e di quella moderna, del magoerbalista e del medico.

Si ipotizza che questa seconda fase avrà effetti-stimolo collaterali di una certa entità che spingeranno i Tharaka coinvolti all’auto-indagine (nel versante della cultura locale) e a porre domande airicercatori sulla cultura europea. Le metodologie e le tecniche dellaricerca partecipata dovranno incentivare al massimo tale attività conoscitiva da parte della popolazione locale (almeno nei suoi elementipiù sensibili a tali problemi).

Anche questa fase, come le altre, si chiuderà con riunioni inloco e con il seminario teorico-metodologico in Italia.

4) Terza fase (durata: I 2 mesi).

La ricerca si proporrà in questa fase di approfondire la conoscenza degli atteggiamenti culturali della popolazione locale nei confronti della niedicina tradizionale e della medicina moderna introdottadall’esterno, e dei loro reciproci rapporti; le interviste etnografiche e

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i colloqui informali cercheranno di stimolarne una comparazione. Conla collaborazione dei medici e degli infermieri si cercherà di facilitarel’indagine conoscitiva dei Tharaka nei confronti delle istituzioni (ospedali, ambulatori, ecc.) e degli operatori (personale medico e paramedico) propri della medicina moderna.

Si cercherà di intervistare possibilmente:

a) il maggior numero di operatori tradizionali di ambo i sessi;

b) un campione rappresentativo di anziani e anziane;

c) un campione rappresentativo di adulti di ambo i sessi;

d) un campione di giovani studenti di ambo i sessi;

e) un campione di giovani illetterati di ambo i sessi;

fl gli insegnanti;

g) gli operatori sanitari moderni (medici, infermieri, ecc.) siabianchi sia locali;

h) le autorità locali;

i) i missionari religiosi e laici;

I) il clero locale.

In questa fase si prevede che la ricerca sortirà effetti-stimolo chespingano da una parte ad iniziare una collaborazione tra alcuni operatori tradizionali e alcuni medici ed infermieri, e dall’altra ad elaborare insieme concetti e metodologie originali per un’autoeducazionesanitaria delle comunità locali, che si realizzi secondo le concezionipedagogiche proprie del sistema inculturativo locale.

La terza fase si ipotizza che possa essere la più produttiva nellastimolazione delle dinamiche culturali, nello spingere i singoli e i gruppi a riflettere e prendere coscienza della situazione ed, eventualmente,nel richiedere . l’aiuto esterno per arricchire le proprie conoscenze siateoriche sia empiriche e per avviare quel processo di selezione deglielementi culturali esterni e di integrazione degli stessi nel sistema socio-culturale locale.

Come si è già detto, in tale processo di auto-educazione particolare importanza riveste il rapporto con gli operatori tradizionali (maghi, curatori, levatrici, ecc.) che devono essere considerati i primi epiù importanti interlocutori.

Questa terza fase contemplerà periodiche discussioni « semina

40

nati con rappresentanti delle categorie menzionate e in modo particolare con quelli delle categorie a) e g), per discutere e valutare idati e le informazioni che man mano si vannd raccogliendo.

In tali seminari si stimolerà la discussione particolarmente suiconcetti basilari del settore socio-sanitario della cultura locale (concetti di malattia, salute, cura, guarigione, morte, vita), e si affronteranno anche i problemi inerenti al valore simbolico dell’ambiente (specialmente delle fonti d’acqua, dei fiumi, delle paludi, dei boschi, ecc.)ed alla possibilità che si ha di intervenire nella loro modificazione (es.:bonifica delle paludi, trivellamento di pozzi, taglio parziale di boschi,ecc.).

Altro importante settore d’indagine sarà quello relativo alla gravidanza, al parto e all’allevamento dei bambini. Anche in quest’ambito(nel quale logicamente va impegnata una ricercatrice), oltre alle interviste etnografiche e all’osservazione partecipante, va contemplata la ricercapartecipata, che verrà attuata discutendo con le madri e le operatricitradizionali i risultati delle interviste e le interpretazioni emerse dalL’osservazione partecipante. Ciò potrà essere fatto per gruppi e in piccole assemblee nelle quali, come per il resto dell’ambito socio-sanitario, verrà stimolata l’indagine da parte dei membri della comunità locale nei confronti del sistema socio-sanitario occidentale, specialmentedelle strutture (ospedali, maternità, ambulatori) operanti e delle pratiche attuate in loco. Questa con-ricerca dovrebbe avere effetti collaterali tali da spingere la comunità locale, in primo luogo, al superamento della posizione di passività e di asimmetria negativa nella quale le metodologie tradizionali dei progetti di sviluppo la pongono,in secondo luogo, a prendere nelle proprie mani, fattivamente, la pianificazione e la realizzazione del proprio sviluppo. In questo modola ricerca socio-antropologica diviene elemento stimolante dei processidi auto-indagine e auto-sviluppo. Questo è l’obiettivo principale che,attraverso la sua metodologia e le sue tecniche, nonché attraverso isuoi effetti-stimolo collaterali, la ricerca antropologica partecipante epartecipata si propone di raggiungere. Il seminario teorico-metodologico concluderà la fase.

5) Quarta fase durata: 6 mesi circa).

In questa ultima fase saranno elaborati i dati e sarà condotta

41

una analisi comparativa tra questa esperienza e le altre che nellastsa zona sono proseguite con metodologie tradizionali d’intervento.

Infine sarà organizzato un seminario di chiusura che potrà eventualmente essere ampliato a convegno.

Ente finanziatore.

Il presente progetto di ricerca è finanziato dal Dipartimento perla Cooperazione allo Sviluppo del Ministero degli Affari Esteri attraverso il CUAMM di Padova.

Personale impegnato nella ricerca.

Direttore:

— Prof. D. Volpini, Università di Bologna.

Ricercatori:

— Dr. O. Giarelli, Università di Bologna, CUAMM.

— Sigra T. Fontanesi, Paramedico, CUAMM.

— Altri dell’Università di Nairòbi.

Segretaria:

— Sigra B.M. Castellani, Paramedico.

Assistenti di Ricerca:

— J. Kiria, Tharaka.

— J. Mugao, Tharaka.

Équipe di teorizzazione:

— Il Direttore, i Ricercatori e la Segretaria della Ricerca, cheè anche segretaria dell’équipe di teorizzazione.

— Prof. A. Ardigò, Università di Bologna.

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— Prof. P. Guidicini, Università di Bologna.

— Prof. G. Piani, Università di Bologna.

— Prof. A. Tarozzi, Università di Bologna.

— Dr. A. Benvenuti, Università di Bologna.

— Dr. C. Cipolla, Università di Bologna.

— Prof. V. Maconi, Università di Genova.

— Prof. B. Bernardi, Università di Roma.

— Prof. V. Lanternari, Università di Roma.

— Prof. A. Colajanni, Università di Roma.

— Dr. L. De Clementi, Ministero Affari Esteri.

— Mons. L. Mazzuccato, CUAMM.

— Ur. A. Dal Lago, CUAMM.

— Dr. P. Cosci, CUAMM.

— Dr. G.P. Donà, CUAMM.

— Dr. A. Pontarin, CUAMM.

— Dr. R. Bonadio, CUAMM.

— Dr. V. Pisani, CUAMM.

— Dr. G. Peflis, CUAMM.

— Dr. C.D. Nyamwaya, Università di Nairobi.

— Dr. V. Kimani, Università di Nairobi.

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RELAZIONE SULLA FASE PRELIMINARE DELLA RICERCA

ANTROPOLOGICA PARTECIPATA APPLICATA AL PROGETTO

DI AUTOEDUCAZIONE SANITARIA DEI THARAKA DEL KENYA

di Guido Giare/li

Premessa

Il presente lavoro si basa sui materiali etnografici raccolti durante un soggiorno di ricerca fra i Tharaka del Kenya svoltosi dalragosto all’ottobre 1984: esso ha costituito l’indagine preliminare diuna ricerca antropologica applicata ad un progetto di « Primary HealthCare che il CUAMM sta realizzando nel Meru District del Kenya (I).

Tale ricerca applicata è parte integrante di una più ampia ricerca inter-universitaria su « Volontariato Internazionale e Cooperazione allo Sviluppo ‘ diretta dal Prof. Domenico Volpini e rientranelle attività scientifiche e di ricerca della Sezione di AntropologiaSociale e Culturale del Dipartimento di Sociologia dell’Università diBologna. Essa avrà durata triennale e prevede la partecipazione dello scrivente in qualità di volontario-antropologo ricercatore sul campoper un periodo di due anni.

Una ricerca antropologica applicata ad un progetto di volontanato esige in via preliminare una adeguata conoscenza della popolazione implicata e del suo territorio, secondo l’idea guida dell’etnografia applicata per la quale ogni popolazione è più importante delprogramma di sviluppo che fra di essa si vuole attivare (Bastide,1975, 118). Nella prima parte (che ha comunque carattere puramente introduttivo) viene utilizzato prevalentemente il dato statisti

(1) Tale indagine è stata resa possibile grazie ad una borsa di studioFOCSIV ed al finanziamento integrativo del CUAMM.

Un particolare ringraziamento desidero porgere anche a tutti coloro —

medici-volontari, missionari, suore e popolazione tharaka — che hanno reso possibile, con la loro collaborazione, la realizzazione della ricerca.

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co (2) al fine di mostrare alcune conseguenze della modernizzazionefra i Tharaka.

Per la seconda parte — dedicata alla figura del village heahhworker — mi sono basato soprattutto sulle risposte date ad un questionario da me elaborato (cfr. Appendice), nonché sull’osservazionepartecipante.

La terza parte, infine, vuole costituire un primo approccio « emico alla medicina tradizionale tharaka: essa è frutto delle intervisteetnografiche fatte ai suoi specialisti.

Nella conclusione vengono abbozzati alcuni problemi e formulate alcune proposte relativamente alle concrete possibilità di integrazione fra medicina tradizionale e intervento di cooperazione sanitaria.

I Tharaka e i popoli meru.

i Tharaka costituiscono un gruppo etnico la cui collocazione èstata oggetto di discussione. Alcuni autori (Lambert, 1956; Bernardi,1959) classificano i Tharaka come una sezione etnica della più vasta tribù Meru, popolazione bantu-camita degli altopiani centrali delKenya: come proverebbero tutta una serie di affinità culturali e strutturali delle quali le più importanti sono rappresentate dalla esistenzadi una tradizione mitologica orale comune (il mito di fondazione sull’esodo da Mbwa) (3) e dalla presenza del Mugwe, figura di dignitario religioso della società tradizionale (4).

Altri autori, come il Fadiman (1976), ritengono i Meru più unaetichetta apposta dagli amministratori coloniali britannici ad una se-

(2) Sul sempre maggior ricorso a metodi statistici nel lavoro sul campoe nella ricerca antropologica più recente, si veda M. Freedman (1979: 190).

(3) Per alcune versioni del mito, si vedano quella raccolta da Bernardifra gli Imenti (1959: 57-8) e quella registrata fra i Tharaka da Volpini (1978:App. 110; per un approfondimento delle implicazioni storiche, cfr. Lambert(1950: 7) e Fadiman (1970, a-b; 1973, a-l).

(4) Si veda, in proposito, Bernardi (1959; 1971), Volpini (1977).

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ne di popoli eterogenei che una vera entità tribale unitaria: comedimostrerebbe il fatto che in epoca pre-coloniale tale denominazionesi applicava soltanto a cinque delle attuali nove etnie (Igembe, Tigania, Imenti, Miutini ed Tgoji, escludendo Muthambi, Mwimbi, Chukae Tharaka). Volpini (1978) annovera i Tharaka tra le nove tribù nelle quali si dividono i popoli Meru. TI Lowenthal considera i Tharaka come una singola entità etnica: basandosi sui dati raccolti riguardanti le classi d’età, egli indica come maggiormente proficua unacorrelazione dei Tharaka con le vicine popolazioni Embu o Mbeerc(1971: I). I due • Kenya Population Census ‘ del 1969 e 1979, infine, classificano i Tharaka come una entità etnica separata.

Al di là di un dibattito che solo l’ampliamento della documentazione storica e archeologica contribuirà a risolvere, quel che pareormai assodato è il carattere abbastanza recente dello stanziamentoTharaka nel territorio attuale, precedentemente abitato da popolazioni delle quali, allo stato attuale delle conoscenze, ben poco si sa:gli Njuwa e i Gumba (5).

Un territorio, quello Tharaka, che si presenta come un altopianoai piedi delle pendici nord-orientali del monte Kenya digradante versoest; punteggiato da numerose colline e solcato da gole profonde infondo alle quali scorrono i fiumi provenienti dal monte Kenya. È unhabitat piuttosto arido, a clima caldo-secco, dominato dall’ocra rossastro della savana che solo le due stagioni delle piogge (delle c grandipiogge di ottobre-dicembre e delle piccole piogge di marzo-maggio ) riescono a trasformare in un tappeto verdeggiante. L’economiatradizionale di sussistenza dipende integralmente dall’andamento di queste piogge: la fame recente causata dalla siccità dovuta a tre stagionidelle piogge saltate negli ultimi due anni ne è la dimostrazione. Lescorte di miglio depositate nei granai, anche nelle stagioni buone, nonsuperano mai il fabbisogno stagionale.

(5) i. Kenyatta (1977: 47) così descrive i Gumba: ‘ Nelle foreste vivevauna razza di gente chiamata Gumba (pigmei) che era dedita alla caccia. Eranomolto bassi e forti, Le loro abitazioni erano costruire sotto terra, erano timidie non amavano incontrare estranei. Per evitare di incontrare altra gente scavavano delle gallerie, ,nhuwu, che collegavano i vari settori del toro villaggiosotterraneo,.

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I Tharaka avevano economia mista: alla coltivazione dei campiunivano l’allevamento stanziale del bestiame, la caccia e l’apicoltura.L’attiviLà agricola si basava su tecnologie elementari quali il bastoneda scavo e Fascia in ferro (karhoka), nonché sulFuso del punga, unlungo coltello oggi assai diffuso e di derivazione europea. Le tecniche colturali erano principalmente costituite da coltivazioni mobili,rotazioni di terreno praticate dopo il taglio e la bruciatura dei cespugli e dell’erba. Le colture princpali erano il miglio, il sorgo e duetipi di legumi locali chiamati FIChUgU e nthuruku. L’allevamento delb2stiame si è adattato all’ambiente della savana: fra i bovini gli zebùdi razza locale, e fra gli ovini le capre sono ancor oggi i più diffusiper la loro resistenza. La caccia veniva praticata in due modi: conl’arco e le frecce avvelenate (waarhi) e con le trappole (utegi).

L’apicoltura costituisce ancor oggi un’attività assai diffusa; andando per la savana, non è difficile imbattersi in tronchi cilindricichiusi alle due estremità e appesi agli alberi: sono gli alveari dei Tha—raka, dai quali essi ricavano il miele.

Per quanto riguarda la struttura politica e sociale tradizionaleè possibile definire la società Tharaka come un ordinamento dell’uguaglianza (Bernardi, 1974: 294): si trattava infatti di una società acefala, fondata su di una condizione dì fondamentale parità dei suoimembri, nella quale il governo ) aveva carattere situazionale e nongiungeva mai a cristallizzarsi in ruoli stabiliti. Due sono le componenti fondamentali su cui si basava tale ordinamento: la parentela ele classi d’età.

Il sistema di parentela era a struttura clanica, patrilineare, conmatrimonio esogamico e residenza virilocale. Le diverse unità strutturate clic lo compongono erano, nell’ordine, il dan, il lignaggo, lafamiglia estesa e la famiglia coniugale. Mentre nella famiglia estesal’esercizio della gestione politica era dell’anziano capofamiglia, a livello di iignaggio e di dan esso risiedeva nei rispettivi consigli degli anziani. in particolare. il consiglio degli anziani di lignaggio, ‘omprendente tutti i capifamiglia discendenti da un capostipite noto, rappresentava l’organismo amministrativo minimo tradizionale più efficiente.

Intersecandosi con le strutture di parentela, il sistema delle classid’età era Faltro elemento portante del sistema politico tradizionale.Attribuendo progressivamente maggiori poteri ai diversi stadi di an

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zianità sociale, il sistema delle classi d’età regolava la distribuzionee l’esercizio del potere. Così i bambini (aiji nkala) costituivano ungruppo d’età non socialmente organizzato. Attraverso il primo stadiod’iniziazione (kirimu) essi passavano alla prima classe d’età, quelladegli adolescenti (aìji i ‘,o); con il secondo stadio «iniziazione. quellodella circoncisione (niotio), essi diveniano aduli i (n!l,oka). Tradizionalmente essi dovevano vivere nella casa comune (gara) e avevano compiti anche guerrieri. Passavano poi nella classe d’età degli anziani(ak,,ru ha kiama) aitraverso l’iniziazione della kiania do nkolntnr?o,e accedevano alle sezioni successive attraverso altri stadi iniziatici. Glianziani erano coloro che realmente esercitavano il potere politicoattraverso i consigli degli anziani (Biama bia akuru) (cfr. Volpini,1978; Bernardi, 1959).

È evidente come tale ordinamento si basasse essenzialmente suiconsigli (biania) ai diversi livelli, nei quali venivano prese le decisioni:si trattava dunque di un potere diffuso, nel quale ogni segmento dell’ordinamento politico (dan, lignnggio o classe di età) era autonomonel risolvere eventuali conflitti interni.

-

Agenti ed effetti della modernizzazione.

Dopo esser rimasto a lungo isolato dall’influenza coloniale britannica a causa della sua inospitalità e dell’ostilità della sua popolazione, il Tharaka ha poi vissuto in modo forse più traumatico glieffetti della modernizzazione. L’abbandono dell’abbigliamento tradizionale e l’acquisizione di numerosi elementi della cultura materialeoccidentale sono solo gli aspetti oggi più evidenti dei processi di trasformazione subiti negli ultimi decenni. Al di là di tali fenomeni diacculturazione formale, profondi sono stati infatti i mutamenti intervenuti nell’organizzazione sociale e culturale tharaka ad opera dei diversi agenti di modernizzazione.

Con la colonizzazione britannica, I’brdinamento politico tradizionale ha perso progressivamente d’importanza sino a scomparire deltutto dopo l’indipendenza (1963). Tn particolare, l’autorità dei consigli degli anziani nella gestione politica e giudiziaria è stata progressivamente del tutto esautorata a favore dei diversi ufficiali amministrativi governativi (District Commissioner, District Officer, Chief, ecc.)

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con la seguente profonda trasformazione mentale rispetto alla con

cezione tradizionale dell’autorità politica in una società dell’uguaglian

za. La condizione sociale degli anziani ne ha sofferto e il loro pre

stigio ed influenza presso i giovani sono oggi assai diminuiti.

Forse ancor più profondo del mutamento politico-amministra

tivo è stato il mutamento socio-economico che ha fatto seguito alla

riforma terriera (Land Consolidation) del 1966 attuata dal governo

indipendente. Come ha scritto Voipini: Tradizionalmente la proprie

tà della terra era della tribù; quella delle coltivazioni era della fami

glia estesa; le aree di pascolo erano comuni e comuni anche le zone

di caccia. Questo rapporto collettivistico dell’uomo con l’ambiente e

con la produzione era uno dei fattori più importanti della cultura tra

dizionale Tharaka. La proprietà collettiva delle risorse e della pro

duzione impediva, insieme al sistema delle classi d’età, l’emergere de

gli individui e delle famiglie con potere personale, nonché il sorgere

delle classi sociali ‘ (Volpini, 1978: 225).

La divisione delle terre e la loro assegnazione individuale hanno

inevitabilmente innescato un graduale processo di disgregazione della

unità e della solidarietà tribale con t’introduzione della proprietà pri

vata: creando così le condizioni per l’emergere di una differenziazione

sociale fondata sulla ricchezza e sulla proprietà.

La stessa attività missionaria, per altri versi così benemerita, in

centrandosi prevalentemente sull’educazione scolastica di tipo occiden

tale, ha sortito profondi effetti deculturanti: il tentativo di sradicare

l’iniziazione tradizionale, in nome di quel malinteso concetto di evan

gelizzazione che identificava le tenebre con la tradizione e la luce

con il processo di occidentalizzazione, ha provocato non pochi con

flitti psicologici e turbamenti morali nei giovani tharaka (6).

L’ecosistema socio-culturale Tharaka esce dunque profondamente

modificato e in via di ulteriore modificazione a causa di dinamismi

di origine esterna che, non riuscendo a controllare, tende a subire

con conseguenze anche gravi. A questo punto occorre chiedersi: gli

alti costi sociali del processo di modernizzazione di origine esogena

(6) Per una documentata analisi in proposito, si veda Volpini (1984:

pane Il).

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hanno comunque comportato dei benefici in termini economici estrutturali? Per fornire una documentata risposta, è necessario ricorrere al dato statistico (7).

Meru DLvtrict: Tharaka Division.

IL Tharaka costituisce oggi amministrativamente una delle setteDivisions in cui si articola il Meni District, nella Eastern Provincedel Kenya. Secondo il censinìcnto dcl 1979 il D.stretto di N421 o hauna popolazione complessiva di 830.179 abitanti, con un incrementoannuo rispetto al censimento precedente del 3,36% (8).

Ulteriori analisi indicano che il 50,8% (422.068 unità) della popolazione totale è rappresentalo da ragazzi al disotto dei 15 anni;mentre il 19,3% (160.373 unità) sono bambini al disotto dei 5 anni.Una pressione demografica crescente che il Central Bureau of Statistics ha calcolato in un tasso di crescita annuo previsto per il periodo1980-1990 pari aI 3,91%. Utilizzando tale tasso, le proiezioni dellapopolazione delle diverse Divisions del Distretto di Meni sono leseguenti (9)

(7) I dati statistici da me utilizzati sono quelli contenuti nel Meni DùrnictDeselopn,ent PIa,i: 1984-1988 pubblicato dal Ministry of Finance and Planningdel Kenya. È indubbiamente con molta cautela che è possibile utilizzare de! datistatistici la cui attendibilità (pur trattandosi di dati ufficiali) è spesso dubbia:per molti di essi si tratta infatti più di stime approssimative della situazione chedi reali rilevazioni. Essi rappresentano tuttavia l’unico indicatore disponibile perquantificare le reali dimensioni di determinati fenomeni strutturali.

(8) Font e: Central li ureau ot Sratisi ics. Ke,,ya Papr,lariun Ccnsus, 1979,voI. I, lune 1981.

(9) Fonte: Central Hurcau of Statistics. Popnhtria;t Prujerijons far Kenya:1980-2000, March 1983.

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TAB. I - PROIEZIONI DELLA POPOLAZIONE 1979-1988).

Dh’ision Censu, 1979 1983 1988

North Imenti 398.434 238.764 290.404

Timau 23.389 28.143 34229

South Imenti 103343 324.587 151.533

Nithi 142.288 171.207 208.236

Tigania 140.651 169.237 205.840

Tharaka 50.277 60.495 73.579

Igembe 171.597 206.472 251.129

Totale 830.179 998.905 1.214.950

Escludendo le aree non residenziali del distretto (foreste e par

chi), la pressione demografica è così distribuita nelle diverse parti

del distretto (10):

TAB. 2 - DENSITA’ DELLA POPOLAZIONE (1979-1988).

DiWsion N. di Densitd (1979) Densfld (1983) Densità (1986)

km. q. Persi kni. q. Pcrs./kni. q. Pers./kni. q.

North Imenti 918 216 260 316

Timau 790 30 36 43

SouLh Imenti 392 264 318 387

Nithi 640 222 268 325

Tigania 652 216 260 316

Tharaka 1.496 34 40 49

Igembe 2.572 67 80 98

Meni Distrkr 7.460 Iii 134 163

(10) Fonte: lbid.

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Dalle tabelle I e 2 si vede come il Tharaka benché rappresentiuna delle Divisions più vaste del Distretto ha una popolazione relativamente bassa, con una bassissima densità. una zona consideratasemi-arida per la scarsità di piogge e le alte temperature che rendonodifficili l’agricoltura: anche se si ammette che maggiori opportunità diirrigazione in questa zona sarebbero possibili se una migliore tecnologia e sufficienti capitali fossero disponibili (Il). evidente l’importanza di costruire dei sistemi di irrigazione allo scopo di garantirele intrastrutture necessarie allo sviluppo aaricolo; come pure la realizzazione di acquedotti che mettano al sicuro la popolazione dalla siccità. Tuttavia, dei 47 Water Projects attualmente funzionanti nel Distretto, solo uno si trova in Tharaka, e non del tutto funzionante.I soli due nuovi Water Profects per il Tharaka sono quelli progettatidalle due missioni cattoliche di Gatunga e Materi; l’frrigation Se/teme di Mukothima con finanziamento italiano, e il Water Supply diMateri con finanziamento svedese.

Dei 182 centri di disinfestazione del bestiame esistenti inoltre inMeru, 6 si trovano in Tharaka: tre di essi sono fuori uso per mancanza d’acqua e di personale o infestazioni di parassiti.

La situazione delle comunicazioni non è certo migliore: il MeruDistrict dispone di 1802,1 km. di strade cosi classificate:

A — strade asfaltate 195,1 km.

B — strade imbrecciate 896,2 1cm.

C — strade in terra 710,8 km.

Dei 195,1 km. di strade asfaltate non uno si trova in Tharaka.Quelle esistenti, quasi tutte in terra, non sono adeguatamente mantenute, così da diventare spesso impraticabili durante la stagione dellepiogge.

Una delle caratteristiche del processo di sviluppo del Meru è lacostituzione di cooperative: esse svolgono un ruolo importante nelle

(11) Aleru Districi Develop,uenr Pia,,, cit., p. 6.

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attività economiche di un distretto quasi esclusivamente agricolo. La

produzione di the, caffè e cotone è quasi totalmente commercializ

zata attraverso tali cooperative.

Non si tratta solo di cooperative agricole (Farnwrs Coofleradt’e

Societies): ve ne sono anche nel settore del credito e del risparmio

(Savings and Credi!) e molte sono multisettoriali, realizzando una se

rie di funzioni che includono l’acquisto, la vendita, l’approvviggio

namento, l’immagazzinamento e il trasporto dei prodotti. Ebbene, del

le 78 coopen’tive owii esistenti in tutto il Distretto (rvg2luppt’te in tre

federazioni con un totale di 164.384 membri) solo una si trova inTharaka ed è inattiva.

Per quanto riguarda i servizi sociali, il settore della scuola ha

avuto un enorme sviluppo dopo l’indipendenza: essa rappresenta cgi

il traguardo più ambito dei giovani. Anche il Tharaka ha conosciuto

una notevole diffusione delle scuole (12), anche se la loro qualità è

spesso deprimente: La situazione riguardante le iscrizioni è soddi,;fa

cente nella maggior parte delle Division tranne che in alcune parti ce!

Tharaka che sono affette da credenze antiquate, dalle lunghe distanze

che debbono essere coperte tra la casa e la scuola e dalla mancanza

d’acqua e di opportunità di convitto (13).

La costruzione delle classi, delle case per gli insegnanti, dei dor

mitori è, per quanto riguarda la Priniary School, responsabilità delle

associazioni dei genitori e dei comitati scolastici: venendo così a di

pendere dalla situazione economica della comunità interessata, anche

se talvolta possono collaborare col loro intervento anche agenzie di

cooperazione nazionali e straniere. È evidente come tutto questo si

traduca in una penalizzazione delle aree più povere come il Tharaka:

in aree come il Tharaka il bisogno di maggiore assistenza nel

provvedere opportunità di convitto e altre facilitazioni sembra essere

urgente a causa di una base economica piuttosto debole » (14).

(l2) Per i dati più aggiornati relativi alla situazione scolastica del Tharaka

si veda Volpini (1984: 52).

(13) Meni Districi Deeioptnent Pia,,, eh., p. 29.

(14) Meni Districi De”elopnient Pia,g, eh., p. 29.

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La situazione non è certo migliore per le Secondary Schools:delle sette esistenti in Tharaka solo una è governativa, mentre le altre sono haranibee (frutto della raccolta di fondi fra la popolazionelocale) o private (aiutate o meno dal governo) (15).

TAB. 3 - SECONDARY SCHOOLS GOVERNATIVE.

D iVjSir)fli pro

d( scuole so’ ro or ilizzar e so fo i tiUzzo i e

North Imenti 6 5 iIgcmbe 3 3

Nithi lO 7 3South Imenti 6 3 3Tigania 3 3

Tharaka

Tihnìu

£ evidente, dalla tabella, come la sovrautilizzazione sia direttamente collegata alla scarsità di scuole.

Per quanto riguarda gli istituti professionali (Village Poivtechnìcs)la situazione parrebbe migliore: dei 18 esistenti nel Meru tre si trovano in Tharaka, a Marimanti (Ritmi Tminhig Center, Village Palytechnics, Schooi al the Cand. Children). Ma anche qui la sovrautilizzazione è notevole in quanto le strutture esistenti non sono in gradodi soddisfare la domanda crescente di iscrizioni; e spesso mancano lospazio e i mezzi necessari ad un adeguato addestramento.

Esaminiamo infine la situazione sanitaria, quella che maggiormente ci riguarda. Il Meru è servito oggi da cinque ospedali (16), dei quali

(IS) IbM., p. 27.

(16) Un sesto, governativo, è attualmente in costruzione a Kanyankine. inSouth Imenti.

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uno solo è governativo (Meru District Hospital) mentre i restanti quat

tro sono confessionali (cattolici, metodisti e chiesa protestante del

l’Africa orientale).

TAB. 4 - INFRASTRUnURE SANITARIE DEL DISTREnO DI MERU.

Goi’érnativi Privati Totale

Ospedali 1 4 1

Sub-ospedali I

Health Centres 7 1 8

Dispensari 33 43 76

Totale 42 48 90

La disponibilità di posti-letto per ciascun ospedale è così, ripar

tita (compreso il Sub-hospital governaÉivo di Chuka) (17):

TAli. 5 . DISPONIBILiTA’ Dl POSTI-LEnO NEL DISTRETrO Dl MERU.

Meru District Hospital 241 letti

Nkubu Hospital 260 letti

Chogoria Hospital 204 letti

M aua Hospi tal 130 letti

Tigania Hospital 42 letti

Chuka sub-hospital 100 letti

Totale 977 letti

Se si considera la popolazione complessiva del Distretto, vi è at

tualmente in Meru un posto letto ogni 1.022 persone (18): ma si

(17) ?ideru District Dei’elopn,ent Pia,,, cit., p. 21.

(18) Un dato leggermente inferiore alla media nazionale del Kenya: cfr.Vogcl (1974: 109).

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tratta di un dato molto relativo se si pensa che dei 5 ospedali presenti in Tharaka non ne esiste alcuno. La zona gravita principalmentesugli ospedali di Nkubu e Chogoria, aggravandone il sovraffollamento.Per quanto riguarda poi gli healrh centres e i dispensari, vi sono oggiin Tharaka due health centres governativi (a Chokariga e Marimanti):la loro situazione è spesso di sottoutilizzazione a causa della mancanza di medicinali, di mezzi di trasporto per il trasferimento dei pazienti agli ospedali e per le deficienze strutturali e di personale. Deitre dispensari esistenti, due sono cattolici (Gatunga e Materi) ed unogovernativo (Kamanyaki). La disponibilità di strutture sanitarie moderne per il Tharaka finisce qui.

Volendo riassumere la disponibilità complessiva di facilitazioni infrastrutturali nei diversi settori in Tharaka rispetto al resto del Distretto, mi pare interessante riportare il seguente sistema di punteggielaborato dal Diwsional Developrnent Comnzittee (19):

TAB. 6 - DISPONIBILITÀ’ DI SERVIZI NEL DISTRETTO DI MERU.

Division Abitazione Medicina/ Acqua Trasporti

Educazione

North Imenti (°) 50-60 50-60 50 50South Imenti 50-60 50 50-60 50NiLbi 50 50-60 50 40-50Igembe 40-50 40-50 30-40 30-40Tigania 30-40 40-50 40-50 50Tharaka 30-40 30.40 30-40 40-50

(9 Il North Imenti include Timau Division prima che le due fossero separatenel 1982.

CHIAVE Gradazioni

50-60 Al di sopra della media50 Media40-50 Al di sotto della media30-40 Povero

(19) Meru District Development Pia,,, cit., p. IO.

56 -

La tabella sintetizza bene il senso di questo nostro excursus sta

tistico: il Tharaka costituisce un’area classificata come la più povera

del distretto, con una disponibilità di infrastrutture e di servizi sani

tari e scolastici completamente al disotto della media. È il dato di

una emarginazione strutturale rispetto alle altre aree del Distretto che

fa deL Tharaka una di quelle zone che i teorici del sottosviluppo han

no definito neglected areas (20): territori cioè destinati a subire

gli effetti più deleteri dei processi di occidentalizzazione senza go

derne alcun reale beneficio, neppure in termini di modernizzazione.

Tradizione, sviluppo e cooperazione.

L’ubriachezza dilagante fra gli adulti con conseguenti frequenti

risse a colpi di ponga; il fenomeno sempre più diffuso di ragazze non

sposate con figli, specie fra coloro che hanno frequentato le Secondary

Schools; e da ultimo la fame, dovuta alla carestia provocata dalla sic

cità con spostamenti migratori interni di massa alla ricerca di zone

più fertili, sono solo alcuni sintomi di un malessere oggi sempre più

diffuso fra i Tharaka.

Le spinte anomiche e le tendenze disgreganti sono certamente

il frutto della crisi dei valori e delle norme tradizionali che costituisce

un tipico effetto dei processi dì modernizzazione. Il carattere esogeno

delle condizioni di sviluppo di tipo occidentale venendo a contatto

con la cultura tharaka ha provocato una brusca frattura rispetto alla

cultura tradizionale e alle relazioni sociali che essa implicava: da qui

l’origine di fenomeni come quelli descritti. Ma sono anche probabil

mente il risultato del fallimento delle aspettative create dalla moder

nizzazione stessa, soprattutto fra i giovani. Come anche il dato stati

stico ha mostrato, queste sono state largamente disattese: e la cre

scente disoccupazione giovanile, un fenomeno nuovo e ormai macro

scopico nonostante la mancanza di dati ufficiali, ne è una conferma.

t così che il mutamento culturale troppo brusco e l’identificazione

(20) Si veda in proposito la discussione del concetto di • società dualista

in Balandier (1973: 250 e segg.).

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dello sviluppo con la modernizzazione occidcntalizzante tout courthanno in gran parte innescato le dinamiche attuali.

Tutto ciò sta provocando un serio ripensamento fra coloro chehanno sin qui operato fra i Tharaka. Particolarmente fra i missionarie i volontari presenti, si va facendo strada la consapevolezza dellanecessità di un ripensamento complessivo delle scelte sin qui effettuate. Un piccolo esempio: un giorno uno dei missionari di Gatun2ami disse di vergognarsi profondamente di tutti gli assurdi nomi arcaicipresi dal calendario cristiano e imposti ai Tharaka battezzati: avrebbepreferito assai di più mantenere i loro nomi tradizionali. Potrebbesembrare un esempio banale. Credo invece si tratti di un segno significativo, anche se piccolo, della necessità sempre più diffusa di untipo diverso di sviluppo, più attento al contesto culturale tradizionale,dove sviluppo e modernizzazione non coincidono più necessariamente.

Se quest’ultima indica infatti un processo di pura acquisizionedi elementi culturali occidentali, il primo può invece costituire unprocesso maggiormente critico, in cui l’eventuale acquisizione di talielementi viene mediata dalla cultura e dalla tradizione locale. Unatradizione vista non più come mero fattore di resistenza alla modernizzazione, ma come forza propulsiva di un possibile sviluppo endogeno (21).

Un ruolo assai importante in questo senso può essere svolto dall’intervento di volontariato internazionale che, per le sue caratteristiche intrinseche di risorsa umana, racchiude potenzialità inesplorate,utilizzabili nei processi acculturativi indotti (22).

Il programma integrato di attività socio-sanitarie avviato dalCUAMM fra i Tharaka, con la Diocesi di Meru come contropartelocale, riflette, a livello di concezione dell’intervento di cooperazione

(li) Sulla distinzione fra • iradizione e • tradizionalismo , e la riconsiderazione del ruolo della prima nei processi di sviluppo, si veda Balandier (1973)ed Eisenstadt (1974).

(22) La presenza dell’antropologo permette di rilevare tali dinamiche e potenzialità orientando il progetto alla loro stimolazione (A. Colajanni, da una relazione orale tenuta presso la Sezione di Antropologia Sociale e Culturale delDipartimento di Sociologia dell’Università di Bologna il 3 1-5-1984).

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sanitaria, il mutamento in atto. Nato da un precedente progetto sanitario interamente incentrato sull’attività ospedaliera di tipo occidentale, esso tenta di rispondere alla duplice esigenza di promuovere daun lato una serie di attività di Primary Health Care ‘ (23) sul territorio e di redifinire dall’altro, ridimensionandolo, il ruolo dell’ospedale. Un particolare interesse riveste in tale progetto l’attività, avviatasin dal 1980, di formazione dei « village health workers , operatorisanitari di base con compiti preventivi ed educativo-sanitari.

Village Health Workers

Storia del programma.

Il programma di zPrimary Health Care (PHC) di Gatunga nelTharaka è stato avviato, sulla base di precedenti esperienze pilota (24),nel 1980 insieme a quello di Nkubu in Imenti e ad altri istituiti dalla Diocesi di Meru; « Questo programma è iniziato sulla base dellaesperienza passata che non dava agli ammalati e alle famiglie sufficienti garanzie riguardo l’informazione, la cura e la prevenzione dellemalattie. Inizialmente è stata fatta una ricerca all’interno della diocesi,un’indagine nel nostro ambiente; poi è stato possibile adottare unlavoro di PHC anche nei nostri dispensari grazie all’aiuto di alcunepersone, anche finanziario. Tutto ciò è stato fatto nella zona semi-arida dell’Embu; poi il programma è stato esteso alla zona di Tigania nel Meru, dove lavorano i volontari italiani. Attualmente stiamolavorando su questo problema nel Tharaka con iL CUAMM a Nkubu,Gatunga e Materi (Mons. Silas Njeru, 1984, i. n. 2).

Il programma sanitario del CUAMM, già in corso da parecchianni presso l’ospedale di Nkubu, ha inglobato, a partire dal 1983, le

(23) Per un’utile introduzione alla • Primary Heal.h Care si veda WaItVaughan (1984).

(24) Per la storia e la valutazione di un’esperienza-pilota di PHC in Kenyafra i Kamba del Machakos si veda G. Huising (1981)

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due esperienze giù avviate dalle missioni a Gatunga e Nkubu, proponendosi di ampliarle e ripeterle altrove all’interno di un più vastoprogramma di educazione sanitaria interessante tutta la zona del Tharaka e del South Imenti. In tal modo il medico-volontario è statoinserito come una figura nuova all’interno di esse, con ruoli essenzialmente di programmazione e di supervisione. Trattandosi dunqtidi un programma praticamente ancora in fase di avvio, è certo prematuro tentare una valutazione del ruolo svolto dai volontari all’interno di esso: per questo ho ritenuto di incentrare l’attenzione inmodo particolare sulla attività delle « village health workers ) precedentemente avviata a Gatunga in Tharaka (25). Essa rappresenta infatti un aspetto del programma di PHC particolarmente interessanteda un punto di vista antropologico.

Gatunga si trova nella North Tharaka Location (v. cart. n. 3),una zona fra le più aride e calde del Tharaka. L’attività delle VHWè stata avviata ad opera del Consiglio Parrocchiale e delle suore della missione attraverso l’organizzazione di riunioni di preparazione cuiparteciparono il Chief e altre autorità locali. In tal modo il progettevenne presentato e discusso e vennero scelte alcune aree nelle qualiiniziare il lavoro in base a tre criteri: 1) distanza dalle unità sanitarie presenti (il dispensano della missione di Gatunga e l’Health Center governativo di Marimanti); 2) povertà dell’area; 3) aLtri bisogni,come mancanza d’acqua, agricoltura povera, diffusione di malattie, ecc.

Le aree scelte furono così sei: Gakaoni, Kiumbe, Mautheni, Makithi, Ndiciani, Manduru, tutti compresi in una fascia di territoriopiuttosto lontana da Gatunga.

« Abbiamo iniziato — dice Sr. Luigia, responsabile del progetto— dalle parti più remote, perché hanno meno facilità di contatti:dalla zona del Meru Park verso PUra Gate, distante circa 3040chilometri da Gatunga (Sr. Luigia. t984, mt. o. 4).

In ciascuna area i leaders locali della chiesa (catechisti) e imembri dei dan selezionarono le persone ritenute più adatte pertale lavoro. Si formò così il primo gruppo di 16 VHW. Dopo un

(25) Il programma di PHC di Nkubu, che ho pure avuto modo di conoscere e di studiare da vicino, sarù utilizzato per alcune comparazioni.

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periodo di preparazione presso la missione di Gatunga e un’indaginepreliminare nelle zone interessate, venne affidata a ciascuna VHW laresponsabilità di venti-trenta famiglie — a seconda della distanza esistente nell’ar&a fra un casale e l’altro — residenti nella propria zona.E così che, ciascuna all’interno del proprio gruppo di casali, le VHWiniziano a svolgere il proprio compito di educazione sanitaria e dipromozione delle misure igieniche di base. Il dr. Consonni, responsabile del Public Health Department dell’ospedale di Nkubu (unastruttura appositamente creata dal CUAMM per coordinare e valutarele diverse attività periferiche di PHC del progetto), così presenta lafigura e l’attività delle VHW: La loro famiglia dovrebbe essere considerata un modello, cioè loro sono i primi ad applicare i principiche insegnano. La loro attività consiste nel girare periodicamente, inbase alla disponibilità di tempo, tra le famiglie a cui dare dei suggerimenti e constatare la messa in pratica degli insegnamenti dati, farequindi una valutazione pefldica del lavoro nelle famiglie. Le VHW,a loro volta, sono supervisionate dalla Public Health Nurse dell’ospedale... Attualmente i punti base sono: l’igiene, insegnano le misure igieniche di base come la costruzione di gabinetti lontano dalla casa edagli approvvigionamenti idrici, o come il fatto di tenere il bestiamein un recinto separato dalla casa mentre nella gran parte delle famiglie il bestiame vive nelle capanne con gli uomini; viene poi insegnata l’ebollizione dell’acqua, il lavaggio delle stoviglie dopo ogni pasto e la messa ad asciugare al sole. Prima c’ra l’abitudine di tenereil focolare in mezzo alla capanna, a livello del suolo, ora invece vieneinsegnata la costruzione di un focolare separato, cioè rialzato rispettoalla terra e messo in un angolo, e ciò ha diminuito il numero degliustionati; viene poi insegnato alle madri .come nutrire i loro piccoli,perché spesso le madri, già nel periodo dello svezzamento, davano banane e mais ai loro piccoli mentre per un bambino i meno di unanno non è certo l’alimentazione ideale; un altro lavoro importante,svolto sempre dalle VHW, è quello di spingere le madri, senza forzarle, ma convincendole, a portare i bambini alle vaccinazioni quandovengono fatte dalla “ mobil clinic “. E quindi un lavoro di sensibilizzazione e di informazione (dr. Flavio Consonni, 1984, i. n. 3).

Nel 1982 altre due aree (Mokuthu e Maragwa) situate nelle zonepiù lontane da Gatunga vennero ad aggiungersi alle precedenti. Congli stessi criteri vennero scelte e selezionate aTtre 7 VHW.

• Nel 1984, infine, venne avviato un terzo gruppo di VHW, pro

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venienti questa volta da cinque aree situate vicino a Gatunga: Rwatha, Kamatumu, Karikamburi, Kagosoani e Kenunku. Complessivamente il programma interessa oggi tredici zone della North TharakaLocation, con un totale di trentaquattro VHW operanti in esse (conuna nieclia, quindi. (li due—tr e VHW pc r on zona).

Per un primo approccio alle attività svolte ed ai risultati con-seguiti nei primi tre anni di attività dalle VHW, può esser utile riportare i dati dell’indagine effettuata nel dicembre 1983 dagli stessi promotori del programma (26):

— famiglie coperte dal progetto n. 4.036— famiglie visitate mensilmente n. 217— famiglie con recinto separato per gli animali

prima del programma n. 26— famiglie con recinto separato per gli animali

dopo il programma - n. 228— toilets esistenti in precedenza n. 4— toilets costruite dopo n. 102— toilets iniziate n. 59— igiene domestica n. 234— acqua bollita per uso alimentare n. 219— vaccinazioni ultimate nel 1974 47%— vaccinazioni ultimate nel 1983 78,3%

Per una valutazione dei dati sopra citati, riporto il giudizio diun medico-volontario che ha partecipato alla realizzazione dell’indagine: « Io ho valutato il lavoro che stavamo facendo e che non hoper niente modificato, perché questi due anni mi sono serviti per conoscere: e quello che alla fine ne ho ricavato è una mappa della situazione attuale. E da questa si traggono delle conclusioni: ad esempio,

(26) 1 dati citati sono ripresi da un documento di valutazione del programma intitolato Gatunga Area Programme — Community Health Workers(s.d. ma 1983).

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se in Tharaka vaccinano l’80% della popolazione il giudizio è positivo ‘ (dr. Rinaldo Bonadio, 1984, mt. n. 1).

Identità di un volontario africano.

Chi sono esattamente queste VHW? Chiamate anche € community health workers , ruraL health workers, o heakh promoters ‘,

esse rappresentano un modello atipico di operatore sanitario: nonfanno parte del servizio sanitario istituzionale in quanto non stipendiate dal governo o da altri enti; sono invece parte integrante dellacomunità locale in cui operano e nella quale vivono. Sulla base deidati raccolti, ho tentato di tracciare un identikit che sintetizzi i caratteri-tipo di questi volontari africani (27):

1DENTIKIT-TIPO Dl UNA VHW

sesso femminileetà 30 annistato civile sposatanumero di figli 4-5istruzione medio-bassa

Si tratta ovviamente di un identikit intermedio fra situazioni differenziate: l’età varia, per esempio, dai 22-23 ai 39-40 anni, ma lamaggioranza è intorno alla trentina.

Il sesso (femminile) e lo stato civile (sposate) appaiono comel’unico dato invariabile (28). Il livello di istruzione presenta inveceuna certa oscillazione, pur restando entro limiti medio-bassi: alcunedonne sono analfabete, la maggior parte ha fatto qualche classe delle Elementari ( Primary School ) senza terminarle (Standard I o Ifl;

(27) V; domande un. 1, 2, 3, 4, 5 deI quationario.

(28) Fra le 28 VHW di Nkubu sono invece presenti tre uomini.

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solo qualcuna ha frequentato le Secondarie (t Secondary School :

Form IV) (29).

Il numero dei figli è il dato che presenta il maggior grado di

variabilità, pur denotando una certa correlazione fra livello educativo

e prole: si va infatti dai IO-li figli di chi è illetterata o ha fatto la

Primary, ai 2-3 di chi ha fatto la Secondary School.

Come si colloca, all’interno della società Tharaka attuale, la figura

della VHW che complessivamente tende a delinearsi sulla base di

questi dati? Che significato assume in rapporto al ruolo tradizionale

della donna? £ tale figura esclusivamente il frutto dei criteri ufficiali

di selezione o risponde anche ad esigenze di altro gruppo?

Per rispondere a questi interrogativi occorre cercare di indivi

duare anzitutto quali meccanismi sociali e culturali guidano la sele

zione.

Criteri e meccanismi di selezione.

È necessario introdurre, a questo punto, una distinzione preli

minare. Alcune esperienze di PHC hanno mostrato (Vaughan-Walt,

1983) che chi viene selezionato per la formazione e come viene sele

zionato rappresenta una questione di vitale importanza per il successo

del programma stesso. Alcuni paesi hanno infatti fallito selezionando

giovani ragazze (che non hanno la necessaria autorità nella comunità

e sono spesso guardate con sospetto dalle donne sposate) o uomini

(che possono non essere accettati dalle donne). D’altra parte, se le

persone giovani hanno maggiore energia e disponibilità, grande vo

lontà di imparare e maggiori livelli di istruzione moderna delle per-

(29) Il livello di istruzione delle VHW di Nkubu è complessivameFste più

alto, trattandosi nella maggioranza dei casi di donne alfabetizzate che hanno

terminato le ultime classi della Primary (Standard VI-VII).

evidente come, parlando di c livello d’istruzione i, si intenda con tale

termine indicare esclusivamente il livello d’istruzione scolastica, non quello rela

tivo alL’istruzione tradizionale.

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sone anziane, esse sono anche maggiormente mobili e ambiziose, meno legate alle situazioni locali. Un adulto con famiglia è assai menoprobabile che si allontani dalla comunità di appartenenza per cercarealtre opportunità. Anche se poi possono darsi casi come quello accaduto in Tharaka e raccontato da Sr. Luigia: Il primo gruppo èstato di sedici donne di cinque villaggi; di queste sedici solo una l’homandata via perché ho scoperto che mi diceva bugie: lei aveva traslocato lasciando il suo villaggio e da dove era andata a vivere nonpoteva insegnare ancora nel suo villaggio perché troppo lontano, contrariamente a quanto diceva (Sr. Luigia, 1984, i. n. 4).

Il tipo di legame che lega l’individuo alla propria comunità èdunque un elemento importante nel determinare la selezione delleVHW: ciò è ancor più vero quando l’intento è quello di promuovereuno sviluppo comunitario e di cambiare o modificare il comportamento collettivo. Costumi locali e tradizioni radicate difficilmente risulteranno modificati da persone la cui autorità e influenza sulla comunità sono scarse o irrilevanti.

In Tharaka i criteri di selezione seguiti si basano essenzialmentesull’essere i volontari donne sposate, con bambini, che godono dibuona reputazione all’interno della comunità. Viene inoltre richiestocome requisito indispensabile il parere, favorevole del marito.

L’altro criterio basilare seguito nella selezione è stato quello della disponibilità al lavoro volontario: un problema direttamente legatoa quello delle motivazioni, che affronteremo più avanti. Il livello diistruzione moderna riveste invece minor importanza rispetto ai dueprecedenti criteri: abbiamo visto, nel tracciare l’identikit delle VHWcome esso sia piuttosto vario, pur restando entro limiti medio-bassi:non è richiesta neppure l’alfabetizzazione.

Possiamo dunque sintetizzare i criteri di selezione seguiti inTharaka nel modo seguente:

CRITERI DI SELEZIONE

Collocazione sociale +

Disponibilità a! voloniarhnt, +

- Livello d’istruzione

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Altro aspetto di fondamentale importanza nel determinare la selezione è poi rappresentato da chi effettua la selezione stessa. Gliagenti esterni della cooperazione (in questo caso le suore responsabilidel programma, ma lo stesso discorso vale per i volontari) non conoscendo molto spesso direttamente la situazione locale devono necessariamente passare attraverso determinati membri della comunità stessa: € In ogni centro — afferma Sr. Luigia — ci sono dei catechistiai quali abbiamo spiegato come deve esser svolto il lavoro, cioè scegLiere donne del luogo, le più intelligenti e volenterose, ed istruirle inmodo poi che ogni donna insegni nel proprio villaggio.., io dunquemi sono servita dei catechisti per scegliere le donne adatte (sr. Luigia, 1984, i. n. 4).

È necessario prestare una particolare attenzione al ruolo che capi e leaders locali possono svolgere esercitando la propria influenzanel processo di selezione.

Quel che è importante tener presente, in tutti questi casi, sonoi meccanismi culturali che operano come un filtro selezionante l’input proveniente dall’esterno. Ciascuna comunità possiede infatti propri meccanismi collettivi che operano parallelamente e spesso al disotto dei criteri ufficiali di selezione dettati dagli agenti esterni: essirappresentano una risposta ed una mediazione della cultura e dei valori locali alle variabili culturali introdotte dall’esterno. Si tratta diun caso di quel processo di selezione culturale, tipico dei fenomenidi acculturazione, per cui • ciascuna cultura reagisce come corpo vivente al modello proposto da fuori da un’altra cultura, e “risponde”(Lanternari, 1969: 198). Si viene così a create un flusso bidirezionale nel quale, assieme ai criteri ufficiali di selezione, interagiscono imeccanismi interni, spesso inconsci, di selezione della comunità locale:

Criteri di selezione

Agente esterno Comunità locale

Meccanismi di selezione

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Tali meccanismi di selezione possono anche essere il frutto ditrasformazioni avvenute o in corso nella struttura sociale e dei mutamenti intervenuti: è il caso che ci apprestiamo a considerare.

Trasformazioni strutturali del casale e del villaggio.

In Tharaka non esistono oggi dei villaggi veri e propri: nel passato, tuttavia, i Tharaka vivevano in grandi villaggi posti di preferenza sulle colline. Ciascun villaggio era formato . da uno o più dan:cosicché quest’ultimo, oltre che una struttura di parentela, rappresentava anche una unità residenziale (30). Il dan si suddivideva nei diversi lignaggi costituiti da un insieme di famiglie estese discendentiper via patrilineare da un unico antenato riconosciuto. Anche la famiglia estesa aveva una propria delimitazione spaziale, costituita dall’insieme delle abitazioni della famiglia coniugale dell’anziano e diquelle dei figli maschi. La famiglia coniugale, pur godendo di unapropria unità spaziale di residenza, non era autonoma ma si integrava completamente nella famiglia estesa.

Villaggio tradizionaleTharaka: schema concettualedel sistema concentrazionario(famiglia coniugale non autonoma)

(30) V. Volpini (1978: 61)

(35) Trattandosi di una rappresentazione concettuale e non spaziale nonsi pretende in alcun modo di ricostruire la reale disposizione spaziale del vii.laggio tradizionale Tharaka: per la quale occorrerebbero dati storici che mancano.

Una rappresentazione concettuale (31) schematica del villaggio tradizionale Tharaka, potrebbe avere allora l’andamento di una serie dicerchi concentrici di questo tipo;

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Durante il periodo coloniale, e particolarmente nel corso della

Emergency (1952-1956), i Tharaka per sfuggire al controllo e alle

rappresaglie dei colonizzatori britannici abbandonarono i villaggi e si

dispersero nella savana, si ebbe così un notevole mutamento nella

struttura dei villaggi. Mutamento poi consolidatosi con la riforma ter

riera (Land Consolidation) della quale abbiamo già avuto modo di

parlare: Con la divisione della terra e l’assegnazione della proprietà

alle famiglie nucleari, con l’obbligo di costruire le abitazioni all’interno

della proprietà, i villaggetti sono stati definitivamente disgregati (VoI

pini, 1978: 63).

Venuto meno il concetto di dan e di lignaggio come unità resi

denziali, anche la famiglia estesa si è in gran parte disgregata, anche

se sopravvive ancora in alc9ne zone. Ciò ha portato come conseguen

za una autonomizzazione della famiglia coniugale come entità sociale

e residenziale pienamente responsabile.

Dal sistema concentrazionario tradizionale di villaggi si è così

passati all’attuale sistema di casali sparsi, legati a volte da rapporti di

vicinato casuali fra famiglie coniugali diverse:

Villaggio Tharaka

Attuale: schema concettualedel sistema

Disperso (famiglia coniugale

autonomo)

Q = famiglia coniugale

Il numero di casali che compongono un’area di residenza varia

alquanto: si va da un minimo di 50-60 ad un massimo di 100-120

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ed oltre. Fra un casale e l’altro possono esservi dai 400 ai 1.500 metri: in media la distanza è di circa 800 metri - I km. (32).

Quanto alla struttura spaziale del casale tradizionale, eccone unadescrizione: L’abitazione tradizionale era costituita da un’area circondata da una siepe di spine (nvbzci) con un’entrata alta circa settantacentimetri, chiusa da una fascina di rami spinosi. All’interno vi eranole abitazioni (nyotnba): quella del marito, costituita da una tettoia conica sorretta da alcuni pali distanti circa meno metro l’uno dall’altro, così che in caso di necessità gli fosse stato agevole uscire a difendere la famiglia; quella della moglie o quelle delle mogli, costituite da capanne cilindriche, separate, costruite con pali conficcati nelterreno uno adiacente all’altro, senza intonaco di fango, e con il tettoconico di erba secca; le abitazioni delle figlie excisse non sposate, costruite alla stessa maniera; e il granaio, che era una capanna similealle precedenti, ma sollevata dal suolo di circa un metro su alcunirobusti pali, con il pavimento anch’esso di pali posti orizzontalmenteuno adiacente all’altro (Volpini, 1978: 62).

Oggi tutto questo si va sempre più modificando: scompare lasiepe di spine (rwincO; una sola abitazione a pianta rettangolare conle pareti intonacate di fango (o in legno, qualcuna anche in muratura) e il tetto di lamiera va progressivamente sostituendo sia le capanne di pali e di erba del marito che quelle della moglie e dellefiglie. Avere una casa con le pareti intonacate e il tetto di lamiera èoggi considerato uno status-symbol della famiglia coniugale nella nuova situazione che ha fatto seguito alla modernizzazione.

(32) Sc si pensa a cosa significhi in questa situazione andare di casalein casale per effettuare l’home-iLvhing si avrii un’idea del perché ciascuna VHWnon possa seguire più di 20-30 famiglie.

L’ho,ne.vishing costituisce il momenio centrale del lavoro delle VHW: nella zona di loro competenza, gravitante attorno alla parte dell’area residenzialenella quale risiedono, esse vanno di casale in casale per incontrare le donnedelle altre famiglie e svolgere così i propri compiti educativo-sanitari.

Ho seguito personalmente una VHW durante l’hon,e-ì’isiting alle ventunofamiglie del suo gruppo: camminando per chilometri sotto il sole implacabiledella savana mi sono reso conto di quanto la distanza possa costituire un ostacolo al lavoro di queste volontarie.

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Sulla base ‘dei dati raccolti col questionario, ho notato come esi

sta spesso una certa correlazione diretta fra livello d’istruzione e mo

dernizzazione delle abitazioni: le volontarie con più alto livello di

istruzione (Secondary School) vivono infatti spesso in un’unica casa

a pianta rettangolare, denominata casa principale o living-room

Si tratta evidentemente di una situazione nuova, nella quale nuovi pro

blemi di etica familiare tendono a sorgere in seguito alla situazione

di coabitazione. Le VHW con livello d’istruzione più basso (Primary

o illetterate) tendono invece ad abitare in capanne separate da-quella

del marito, secondo la tradizione.

Anche la collocazione deL focolare domestico tende a mutare.

Tradizionalmente esso era costituito da tre pietre collocate per Wnc

all’aperto o al centro della casa della moglie: oggi esso viene invecG

collocato separatamente — per lo più rialzato — entro una capanna

di pali e di erba a pianta circolare che viene definita cucina ‘.

Jmmutata resta invece la tipologia costruttiva del granaio del

l’eventuale pollaio; mentre elementi di modernizzazione (spesso intro

dotti dalle VHW stesse) sono rappresentati dalla costruzione d una

latrina di lamiera a pianta quadrata; di un recinto in legno per tenete

separati gli animali (mucche, capre e galline); e di una apposita buca

per i rifiuti.

Sulla base delle mappe del proprio casale dkegnate dalle VHW

(cfr, Quest. domanda 8), ecco quella di una VHW che ha fatto la

Secondary: essa ben rappresenta la mappa di un casale-tipe rnoder

nizzato così come oggi tende ad essere in Tharaka.

I recinto I I toiletI per gli I i casa principale

__________

I bucaanimali j ° I

living-houseper Q

rifiuti

opollaio

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L’evolversi della comunità domestica.

La società tradizionale Tharaka è caratterizzata da quello chealcuni antropologi hanno chiamato il « modo di produzione domestico (Sahlins, 1972) o (comunità domestica (Meillasoux, 1978);forma economica basata sull’autosussistenza e articolata in un insieme di cellule produttive familiari fra le quali non esiste quella specializzazione produttiva propria della divisione sociale del lavoro. All’interno della cellula produttiva esiste invece una ripartizione deicompiti di tipo funzionale: e tradizionalmente tale ripartizione erapiuttosto netta all’interno della società Tharaka, seguendo criteri disesso e di età.

L’agricoltura era attività sia dell’uomo che della donna, ma concompiti diversificati: la semina era attività propriamente femminile,mentre lo scasso del terreno veniva fatto dagli uomini. Questi coadiuvavano le donne anche nel dissodamento e nella sarchiatura, eseguita dopo la semina per liberare il terreno dalle erbacce. La protezione dei raccolti, dal germogliamento alla maturazione, dagli animaliselvatici e specialmente dagli uccelli era compito dei ragazzi cheall’alba si recavano nei campi e, appostatisi su piattaforme costruiteappositamente sugli alberi, con fionde e alte grida li scacciavano.

Sempre alle donne spettava invece il trasporto del raccolto dalcampo al granaio. Se dunque l’agricoltura era attività prevalentementefemminile, la caccia invece rappresentava un’attività esclusiva dei maschi adulti: essi costituivano il consiglio dei cacciatori > (kiania giawaathfl interclanico, al quale si accedeva attraverso una iniziazionespecifica. Anche l’apicoltura era attività propriamente maschile.

L’allevamento, invece, era un’attività propria degli anziani coadiuvati dai ragazzi incirconcisi. Il commercio, limitato ad alcuni oggetti artigianali e prodotti agricoli scambiati sui mercati, veniva svoltodalle donne accompagnate dai mariti (33).

Tradizionalmente, dunque, la famiglia coniugale costituiva una

(33) Per una ricostruzione della vini economica e sociale iradizionale Tharaka, si veda Volpini (1978: 31 e segg.).

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vera e propria c cooperativa di produzione con ruoli ben determinatisecondo il principio di reciprocità. Oggigiorno, a quanto ho potutoosservare, la ripartizione dei compiti non è più così netta come lo era

in passato. Del lavoro nei campi ho visto occuparsi sia uomini che

donne. La caccia, come attività maschile, ha perso d’importanza inquanto, con la costituzione a nord del Tharaka del Meru Park, glianimali selvaggi si sono quasi tutti ritirati in esso. I Tharaka. così

come altri popoli africani, sono oggi considerati cacciatori di frodo,

in base alle nuove leggi del Kenya che regolamentano la caccia (34).

Alcuni sono emigrati in cerca di lavoro; altri si sono dedicati al com

mercio, atdvità in forte espansione con il processo di modernizzazionecrescente: hanno aperto uno di quei negozietti (ntuka) dove si vende

di tutto, o un’osteria, in cui, accanto alle bevande tradizionali (neliobi,

uuki, ,narua) è possibile trovare birra e coca-cola, ecc.

Quel che resta invece compito della donna è il lavoro dome

stico: e si tratta di un fardello di attività piuttosto pesante, se sipensa alla situazione ambientale del Tharaka (35). La raccolta dellalegna per il fuoco è un compito lungo e gravoso, data la relativa scar

sità di alberi. Non è difficile incontrare per strada gruppi di donnericurve sotto il peso di pesanti fascine. 11 trasporto dell’acqua è un’al

tra attività estremamente gravosa: se si pensa che il fiume dista inmedia dal casale due-tre chilometri, sono necessarie anche tre-quattro

ore di cammino per trasportare i recipienti di zucca colmi d’acqua. Aciò si aggiunga che, in un periodo di siccità, come quello recente, inmolti casi è necessario scavare una buca nel letto del fiume in seccaper ottenere l’acqua.

Anche la manipolazione dei prodotti agricoli per l’alimentazione,compresa la preparazione della birra di miglio, è un’attività esclusi

vamente femminile. Il miglio viene macinato manualmente servendosidi due apposite pietre sino ad ottenere la farina; poi, sempre maci

(34) Poiché la regolare licenza viene oggi rilasciata dalle autorità solo achi possiede un fucile da caccia e paghi la tariffa prevista.

(35) I_e osservazioni relative al lavoro domestico sono il frutto, oltre chedell’osservazione partecipante, delle risposte al questionario (domande nn. i2. 13).

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nando, vi si unisce dell’acqua finché non diviene una poltiglia omo

genea che sarà poi bollita. È una preparazione piuttosto lunga e ciòche si ottiene è l’uchuru, un semolino di largo consumo contenuto in

apposite zucche (gikir. L’altro cibo principale tradizionale è lo nkirna,

un piatto costituito da foglie di legumi bollite e mischiate a farina

di miglio e di sorge.

Con l’importazione di nuove coltivazioni, anche l’alimentazionetradizionale ha subito delle modificazioni. Il processo di accultura

zione ha provocato infatti da un lato l’introduzione di nuovi alimenti,dall’altro l’utilizzo di altri tradizionalmente disponibili ma non consumati (o consumati solo con modalità e da gruppi particolari) comecarne, pollame, uova, pesce, frutta. Così i piatti oggi diffusi sono a

base di mais e fagioli bolliti insieme (kithere); oppure, per le occasioni festive, il marigu a base di banane verdi cotte insieme a patatee fagioli; o, infine, l’ugali, polenta bianca cotta con piccoli legumiverdi,

È importante notare come la scarsità di cibo proveniente daicampi a causa della siccità recente (i fagioli sono spariti, miglio, sorgee legumi vari scarseggiano) ha avuto come conseguenza l’acquistopresso i neuozi (con i soldi ricavati dalla vendita di cotone o tabacco) di cibi occidentali in polvere spesso di pessima qualità chehanno causato alterazioni nella dieta abituale e, quel che è più grave,nuove patologie intestinali.

Un’ipotesi interpretativa.

Alla luce dei processi strutturali esaminati — le trasformazionisubite dal casale e dal villaggio e l’evolversi della comunità domestica— vorrei avanzare un’ipotesi relativa a quei meccanismi comunitari

di selezione culturale dei VHW — dei quali abbiamo parlato.

Tradizionalmente il fardello delle attività domestiche e lavorative

femminili era suddiviso fra le diverse donne della famiglia estesa, laquale, riunendo varie famiglie coniugali poliginiche, consentiva unaulteriore redistribuzione degli oneri domestici. Le donne collaboranostrettamente nei diversi lavori; esisteva fra esse una forte solidarietà

che si manifestava anche nelle più svariate circostanze della vita (parti,malattie, ecc.).

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Con il disgregarsi della famiglia estesa, il graduale scompariredella poliginia e l’autonomizzarsi della famiglia coniugale proprio della nuova struttura residenziale, tale solidarietà di gruppo è divenutaoggi più problematica se non impossibile in molti casi, date le distanzeesistenti fra i diversi nuclei parentali. Ciò vale soprattutto per le donne più giovani che costituiscono la maggioranza delle VHW. Eccoallora che la tradizionale solidarietà femminile tende a manifestarsiin forme nuove, inedite, che vanno al di là del ristretto gruppo di parentela. Rimasta quasi isolata all’interno della famiglia nucleare nelfar fronte ai propri impegni domestici e lavorativi, la giovane donnatharaka trova nelle attività di PHC la possibilità di ricostituire unasolidarietà collettiva che le permetta di socializzare, almeno in parte,i propri compiti. Tra questi, quelli inerenti la salute, l’alimentazionee l’igiene sono già presenti e integrati all’interno del complessivo ruolodomestico che essa svolge (36). Non si tratta perciò in realtà di attività nuove, bensì di una serie di compiti che nella cultura tharakada sempre afferiscono alla metà femminile della società: la cura deifigli, la preparazione degli alimenti, le faccende domestiche, il lavoronei campi. Nuovo e diverso è semmai il modo nel quale esse orasvolgono tale attività. Risentendo in pieno dei processi di mutamentostrutturale che abbiamo descritto, esso è ormai fortemente esposto aiprocessi acculturativi ad opera di agenti esterni (missionari, suore,cooperanti). La cultura tradizionale funge tuttavia sempre da filtrorispetto agli elementi acculturanti introdotti dagli agenti esterni, reinterpretandoli all’interno del proprio contesto. È in tal senso che, credo, si possa parlare per le VHW di fenomeno reinterpretativo.

11 rapporto niotii’azioni-ricornpense.

Una verifica della nostra ipotesi viene dai dati raccoLti inerentiil problema delle motivazioni al lavoro volontario. Interrogate circa

(36) Sul ruolo della donna nella comunicà domestica e nel contesto dellaeconomia di sussistenza si vedano Mcillassoux (1978: 93) e Evans-Pritchard(1965).

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le proprie motivazioni esplicite, le VHW hanno infatti risposto adducendo alcune motivazioni ideali (religiose, umanitarie). La maggioranza ha espresso motivazioni di tipo solidaristico: aiutare la gentedella propria comunità, insegnare loro come combattere le malattie e cosa fare per migliorare la propria salute , ecc. (cfr. quest. domanda 27). Emerge un sentirsi protagoniste nella costruzione di unasolidarietà fra donne coinvolgente anche l’intera comunità di appartenenza. Ciò offre loro anche l’occasione per una certa gratificazionesociale dovuta al fatto di sentirsi parte integrante dei nuovi processidi modernizzazione attraverso la propria attività educativo-sanitaria;come risulta da questo brano di intervista:

fl: « Quali motivazioni hanno le donne che fanno questo lavoro, visto che ciò comporta un certo impegno? .

R.: « Penso che si sentano privilegiate, perché scelte nellapropria comunità e poi abbiamo inculcato in loro il fatto che la lorogente ne trae beneficio, e loro sono molto orgogliose di quello chefanno (Sr. Luigia, 1984, mt. n. 4).

Interrogate poi circa i cambiamenti che personalmente si attendevano dalla loro attività, alcune di esse rispondevano con aspettative di mutamenti culturali (c migliorare le proprie conoscenze ), mentre la maggior parte di esse aveva, invece, aspettative di tipo materiale: riuscire ad avere una latrina, una casa adeguata, migliorare lasituazione alimentare della propria famiglia e le proprie condizioni divita in generale (cfr. quest. domanda 28). È evidente come si trattiin tutti i casi di aspettative inerenti la sfera domestica e familiare dicompetenza femminile. Tali aspettative materiali compensano in qualche modo l’assenza di un salario vero e proprio. Mentre a Nkubu,nell’Imenti, le VHW ricevono una piccola ricompensa in denaro, inTharaka le VHW ricevono, infatti, periodicamente soltanto qualchepremio in beni materiali, come precisa Sr. Luigia: -- ogni tanto doloro qualche cosa per la loro famiglia come un gallo o una gallina,un recinto, un sacco di cemento e come ultimo aiuto un piccolo aratro, ma tutto questo nel giro di quattro anni (Sr. Luigia, 1984, mt.IL 4).

Il problema della retribuzione rappresenta senza dubbio un problema cruciale che altrove è stato risolto in vari modi nei diversiprogrammi di PHC adottati (Walt-Vaughan, 1983). Nello Zimbabwe,per esempio, le VHW ricevono dal governo l’equivalente del salario

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minimo per legge attribuito al lavoro domestico e agricolo. Oltre confine, in Mozambico, è la comunità locale ad accollarsi il costo deglioperatori sanitari pan-time utilizzando il surplus di produzione collettiva. In Botswana, invece, le VHW — chiamate i family welfareeducators ; — sono pagate dal governo e anche piuttosto bene, cosìda divenire parte della classe burocratica. In India esse percepisconoun piccolo onorario, non un vero e proprio salario, pagato dal governo attraverso i -i village councils . La remunerazione dipende evidentemente anche dall’entità delle risorse disponibile da parte di chifinanzia il programma: governo, comunità locali o agenzia esterna.Chi paga determina evidentemente in ultima istanza la fedeltà e Ilavoro delle VHW. Se è il governo, esse tenderanno facilmente aburocratizzarsi, sul modello degli altri « development workers locali,venendo meno alla propria responsabilità nei confronti delle comunitànelle quali esse operano. Se è un’agenzia esterna (missioni, ONG, ecc.)il rischio è quello di creare una doppia dipendenza esogena: culturale — dovuta al « prestigio della cultura donataria — ed economica — trattandosi di fondi la cui minaccia di discontinuità causatada un eventuale ritiro è sempre presente.

Meglio sarebbe se a finanziare fosse direttamente la comunitàlocale, magari attraverso un apposito health committee incaricatoanche di gestire il programma: ciò le responsabilizzerebbe magaiormente difronte al problema, stimolandone la volontà di supportarel’attività di VHW. Inoltre, anche le VHW avrebbero chiaro il referente e la fonte ultima dcl loro lavoro.

Da parte delle agenzie esterne (di volontariato in particolare)questo richiederebbe un radicale mutamento nei modo di gestire i progetti di sviluppo sin qui seguito: la controparte locale dovrebbe esseredirettamente la comunità locale in quanto beneficiaria dei progettistessi. La costituzione di village health committee ‘ — cui partecipino i leaders e le autorità locali, gli anziani e gli agenti esterni (missionari, volontari, ecc.) — permetterebbe di far gestire e programmare direttamente alle comunità l’attività di PHC delle VHW, decidendo anche le modalità di un eventuale salario. Ciò permetterebbeinfatti di porre anche con correttezza il problema del rapporto moti-

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vazioni-ricompense, che va visto all’interno del contesto comunitario

di origine (37).

Il problema della formazione delle l’MW.

Vorrei brevemente proporre alcune riflessioni relative a un pro

blema sul quale ho avuto modo di riflettere, direttamente stimolato

dall’osservazione partecipante. Le VHW, dopo esser state selezionate,

effettuano un periodo di preparazione costituito da corsi brevi e inter

mittenti, per l’impossibilità di queste donne di assentarsi per lunghi

periodi da casa. A tale scopo, esse vengono riunite dai diversi vil

laggi di provenienza a Gatunga per due-tre giorni alla settimana per

tre settimane consecutive. A Nkubu nell’Imenti i corsi hanno invece

durata settimanale e vengono ripetuti per tre volte nel corso dell’an

no. A Gatunga il corso viene poi ripetuto più volte durante il primo

anno e periodicamente negli anni successivi.

- Per quanto riguarda la metodologia di insegnamento adottata, è

evidente come l’eterogeneità del livello di istruzione comporti una

certa difficoltà di amalgama fra le donne più anziane, illetterate, e

le più giovani, scolarizzate. Non vengono allora utilizzati libri o altri

testi scritti. In Tharaka, come in altre parti del Kenya, viene adot

tato il metodo Freire o . metodo psico-sociale ‘ come viene chia

mato, introdotto in Kenya nel 1974-1975 dopo esser stato sviluppato

da Paulo Freire in Brasile negli anni sessanta (Freire, 1972). Si tratta

di un metodo educativo per gli adulti che tende a sviluppare gli argomenti oggetto di insegnamento a partire dal play-acting , un co

dice visuale utilizzato per trasmettere un messaggio e stimolare ladiscussione.

I contenuti del corso si articolano in una serie di nozioni elementari relative al significato e al ruolo degli operatori sanitari di baseall’interno del proprio contesto comunitario, ai problemi sanitari piùdiffusi e all’importanza di un approccio preventivo, a nozioni di igiene,

(37) Per un approccio alla PHC attento alle implicazioni sociali e allapartecipazione comunitaria. si vedano David Werner (1980) e Marie-ThérèseFeuerstein (1980). ‘

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alimentazione (specie neo-natale), anatomia e fisiologia del corpo umano, a consigli circa le pratiche delle coltivazioni agricole.

Il metodo Paulo Freire è un metodo certamente valido e interessante per le possibilità educative e comunicative che offre. Hoavuto tuttavia l’impressione, partecipando ad uno di questi corsi, chele soluzioni e le metodologie proposte fossero alla fine sempre quelleprestabilite, suggerite da chi insegnava. La loro ) risposta, quellatradizionale, molto spesso non usciva, magari per pudore o paura disbagliare. Credenze e pratiche radicate nella cultura e nel costumedelle VHW — e da tutti conosciute — erano come accantonate, messe da parte. E ciò è inevitabile, data l’estraneità intrinseca del metodo stesso di insegnamento rispetto alla cultura tharaka, che, cometutte le culture, possiede proprie modalità di inculturazione tradizionale, sia formale (iniziazioni) che informale. Si tratta, certo, di modalità in crisi sotto l’incalzare del processo acculturativo legato allaintroduzione ormai generalizzata dell’istruzione scofastica. Resta tuttavia fondamentale cercare di comprendere quali sono le modalità pedagogiche tradizionali attraverso le quali si esplica il processo di apprendimento nella cultura tharaka. Utilizzando tali modalità pedagogiche è infatti possibile riuscire a comunicare in profondità un datomessaggio, che altrimenti verrà recepito superficialmente e come unqualcosa di estraneo.

Ecco perché quello della formazione delle VHW è un problemaparticolarmente complesso, nel quale gli aspetti inculturativi tradizionali e acculturativi moderni tendono a intersecarsi, influenzandosi rec iprocam ente.

Un rapporto ambivalente.

Ho chiesto direttamente alle VHW se nel loro villaggio esistessero dei guaritori o delle levatrici tradizionali (quest. dom. 25 e 26).Alcune mi hanno subito risposto di no, con l’aria di chi racconta unabugia a fin di bene. Altre hanno immediatamente assunto un atteggiamento imbarazzato accennando a sorrisi e gesti per schermirsi.Solo dopo aver spiegato loro che la cosa mi interessava molto, facendo capire che non era mia intenzione giudicare alcunché, alcunesi sono messe a parlare, sempre con molto imbarazzo rafforzato, in

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alcuni casi dalla presenza dell’infermiera o della suora. Le più anziane erano ovviamente le meglio informate, e hanno mostrato diconoscere perfettamente molte pratiche e rimedi della medicina tradizionale.

Ho raccontato questi comportamenti perché credo ci aiutino acapire quel che mi sembra essere l’atteggiamento di fondo delle VHWnei confronti della medicina tradizionale. Si tratta infatti di un aspetto della loro cultura che esse conoscono assai bene (almeno le piùanziane) e verso il quale, parlando con estranei, mostrano, tuttavia,di avere un atteggiamento fondamentalmente ambivalente. Da un latoesse sono inevitabilmente radicate in quelle pratiche, in quegli atteggiamenti e in quelle credenze come parte integrante del proprio complesso culturale tradizionale; dall’altra, esse preferiscono spesso nonparlarne, affermando di non rivolgersi mai ai guaritori tradizionali edi non credere in essi.

Siamo in presenza di un dilemma irrisolto tipico di fenomeni diacculturazione che provoca la « doppia adesione (Bernardi, 1984:9). L’incontro della concezione medica tradizionale con quella moderna scientifica provoca infatti un conflitto interno irrisolto nelle VHW.L’acquisizione di nozioni mediche occidentali viene sempre mediatadalla cultura tradizionale; e le proprie radici culturali spingono queste donne ad andare dal mago-erbalista quando il proprio bimbo siammala. Tutto ciò può esser visto anche come un dato emblematicorispetto al come viene interpretato dalle VHW il proprio lavoro.Esso non viene affatto percepito come un qualcosa di alternativo odopposto rispetto alla medicina tradizionale, la cui sfera di rilevanzasi colloca altrove, ma semmai come complementare ad essa. Ciò conferma anche la nostra ipotesi relativa ai meccanismi comunitari diselezione culturale: l’attività di VHW, vista come parte integrante delle attività tradizionali proprie delle donne, si colloca per la culturatharaka in una sfera d’azione che non tocca la medicina tradizionale,almeno nel suo livello specialistico. I maghi-erbalisti hanno infattiuna influenza sulla comunità che permane anche oggi in presenza delprocesso di modernizzazione. Le VHW ne hanno rispetto e preferiscono non mettersi in conflitto con essi.

Ecco perché un atteggiamento eccessivamente critico nei confronti degli operatori medici tradizionali e delle loro pratiche da partedegli agenti esterni (missionari, suore, volontari) non fa che aumen

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tare la conflittualità interna fra i due corni del dilemma, ostacolandqil lavoro delle VHW.

Oual è allora il giusto atteggiamento da assumere da pane degli agenti esterni? Morley opera una differenziazione delle pratiche edelle credenze tradizionali distinguendole in quattro categorie:

1) credenze e pratiche benefiche;

2) credenze e pratiche innocue;

3) credenze e pratiche dannose;

4) credenze e pratiche delle quali troppo poco si conosce esulle quali è opportuno sospendere il giudizio (Morley, 1973: 52).

In molti casi tuttavia ci si trova a dover collocare la situazionenella quarta categoria: troppo poco si conosce, spesso, di pratichee credenze che si rischia di condannare sulla base di un giudiziosommario.

La medicina occidentale, come afferma anche Morley (1973: 50),in fondo non rappresenta qualcosa di nuovo. L’attività medica è unaattività sociale e come tale essa è sempre presente presso ciascunapopolazione con connotati culturali specifici. Di questo occorre prendere atto.

I medici, che •hanno ricevuto la loro istruzione medica inEuropa o in USA e che vanno a lavorare per qualche tempo nellezone tropicali, generalmente pensano che la grande differenza che troveranno riguarderà la natura delle malattie proprie delle aree tropicali. Benché tale differenza ovviamente esiste, più grandi ancorasono le diversità esistenti nella cultura della gente tra la quale lavoreranno, nel suo approccio alla vita e, più importante ker il medico,alla salute e alla malattia (Morley, 1973: 45).

È questo approccio differente alla salute, alla malattia e alla vitache la ricerca antropologica può contribuire a far conoscere senzapregiudizi. Tale conoscenza rappresenta una necessità imprescindibileper ogni intervento di cooperazione sanitaria fondato sui bisogni realidella popolazione locale.

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I due livelli di conoscenza.

Ho assistito un giorno alle visite che il medico-volontario del

CUAMM effettua mensilmente presso il dispensano di Gatunga. £

stata un’esperienza assai utile, che mi ha permesso di comprendere

alcune delle difficoltà più grandi del rapporto medico-paziente in si

tuazioni di incontro fra culture diverse. Il paziente entrava nel dispen

sano e, richiesto di spiegare i propri sintomi, iniziava invariabilmente

un lungo discorso accompagnato da una espressiva mimica facciale e

da un gesticolare che interessava un po’ tutte le parti del corpo. Ter

minata l’esposizione, l’infermiera presente alla richiesta del medico di

tradurre i sintomi descritti pronunciava qualche scarna frase in in

glese, se non addirittura solo qualche vocabolo. Purtroppo, non cono

scendo il Kitharaka non ho potuto verificare quanta pane del di

scorso de! paziente andasse persa o fraintesa nella traduzione. È evi

dente tuttavia come il problema linguistico costituisca in questi casi

un serio ostacolo al lavoro del medico. I medici-volontari mi hanno

espresso spesso la difficoltà che essi incontrano nel formulare in que

ste condizioni una diagnosi attendibile della malattia.

Ciò che emerge, inoltre, al di là del livello linguistico, è una

concezione del corpo sottostante assai diversa da quella cui l’anato

mia e la fisiologia occidentali ci hanno abituati. Il corpo rappresenta

per i Tharaka un sistema di forze interagenti fra loro: quando tale

interazione si svolge in armonia, il corpo gode di buona salute. La

salute non è considerata un fenomeno isolato, puramente fisico, ma

è parte integrùnte dell’intero complesso socio-culturale.

È qualcosa di più che la semplice assenza di malattia: ha a

che fare con l’intera interpretazione della vita (cosmologia) e deriva

da un concetto di natura che comprende assieme il mondo fisico,

l’ambiente sociale e le forze metafisiche (38). Come ha affermato H.

Ngubane per gli Zulu: Uno Zulu concepisce una buona salute non

soltanto come implicante un corpo sano, ma come una situazione sa-

(38) Per tutte le società africane, l’originale concetto di natura include

alla stesso tempo il mondo fisico, l’ambiente sociale e le forze metafisiche dell’universo: cfr. J. Mbiti (1969).

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na riguardo ogni cosa che lo concerne (1977: 27-28).

Ecco allora come l’avvento della malattia implichi uno scompenso ad uno dei tre livelli della natura, fra loro strettamente compenetrati: un malessere fisico, una disarmonia fra i membri del gruppo sociale, una forza spirituale turbata. Questi tre aspetti concernonolo stato di malattia trascendendo le conseguenze puramente fisiche ebiologiche di una disfunzione organica per interesse in diversi modila vita sociale e spirituale dell’individuo. A tutto questo complessodi forze fa riferimento la rappresentazione mimica e verbale del paziente tharaka: influenzando in modo determinante le modalità attraverso le quali egli cerca di cogliere e di spiegare i sintomi dellamalattia nonché quella catena di eventi che egli ritiene abbiano condotto ad essa.

Vorrei sottolineare come l’episodio della malattia costituisca unfatto implicante una molteplicità di relazioni a diversi livelli. Secondola tradizione tharaka tale avvenimento non resta un fatto esclusivodell’individuo, ma coinvolge l’intero gruppo sociale a lui più vicino:famiglia estesa, parentado, vicinato (39).

Quando un individuo cade ammalato, una serie di consultazionia livello profano ha luogo all’interno del gruppo famigliare per determinare che tipo di azione è necessario intraprendere: in esse un ruoloimportante spetta alla conoscenza detenuta dagli anziani (maschi efemmine). Se il problema non appare troppo grave, si può decideredi trattarlo direttamente facendo ricorso per lo più a qualche rimedio erbalistico che gli stessi anziani conoscono. Nel caso il malatonon accenni a migliorare o addirittura si aggravi, viene presa la decisione di consultare un divinatore (niuringia) per sapere quale sila causa della malattia. La consultazione non interessa solo il paziente, ma implica i) coinvolgimento di tutta la sua famiglia (e a volteanche di qualche parente o vicino). Da questo momento in poi lamalattia non è più una questione profana ma viene trattata a livellospecialistico dagli esperti che la cultura tharaka storicamente ha prodotto per tale compito (divinatori e maghi-erbalisti). A seconda della

(39) lI concetto di therapy managing group » è stato discusso dettagliatamente da J.M. Janzen (1978).

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causa individuata come responsabile della malattia, il muringia puòindirizzare a questo o a quel mago-erbalista specialista per il tipo particolare di cura necessaria. L’ultima tappa è quindi rappresentata daltrattamento vero e proprio della malattia ad opera dello specialista,trattamento che può essere di diverso tipo (erbalistico, rituale, ecc.).

Esistono dunque tradizionalmente in Tharaka due livelli dellamalattia distinguibili sulla base della gravità della malattia stessa; aiquali si ricollegano anche due diversi livelli di conoscenza. Ad unprimo livello, che potremmo definire profano », l’insorgere della malattia resta relativamente circoscritto nella sua gravità e il sapere cheriguarda la sua gestione è patrimonio del gruppo sociale; è solo adun secondo livello, quando il trattamento non sembra sortire efficaciao la malattia è considerata da subito come particolarmente grave, clicfa il suo ingresso la dimensione specialistica e con essa un altro livellodi conoscenza, detenuto da una particolare categoria di esperti.

La distinzione fra i due livelli di conoscenza si •riflette anche nel•l’uso linguistico: i Tharaka chiamano infatti ndawa i farmaci utilizzati per curare le malattie che trovano la propria forza esclusivamentenegli elementi naturali che li compongono; mentre utilizzano il termine niuchega (p1. rnithega) per designare le medicine che agisconograzie al valore magico-simbolico loro conferito dal mago-erbalista.

Oggi tutto questo processo è messo in crisi dalla progressiva individualizzazione della malattia causata dal diffondersi della concezionemedica occidentale, oltre che dal disgregarsi della famiglia estesa: l’autonomizzazione della famiglia nucleare coniugale sta rendendo in granparte impraticabile il tradizionale processo gestionale della malattia.La funzione dell’anziano sta venendo così in gran parte meno anchein questo settore culturale. Anche se mi sono stati raccontati episodidi donne anziane che, magari all’insaputa dei genitori, portano il nipote ammalato dal mago-erbalista per farlo curare, il processo decisionale inerente la malattia sta oggi divenendo sempre più circoscrittoesclusivamente all’interno dela coppia coniugale, la quale, pur restandomolto spesso legata al sapere profano tradizionale, è anche più chemai esposta ai processi acculturativi in corso.

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11 sapere profano.

I Tharaka sono dei profondi conoscitori delle piante e delle erbeche crescono nella savana, nonché delle possibilità terapeutiche daesse offerte. La loro medicina erbalistica ha saputo sfruttare a fondole molteplici possibilità messe a disposizione da un ambiente per altriversi così ostile. A Jivello profano, esiste ancor oggi una diffusa cultura erbalistica che mette i Tharak-a in grado di affrontare direttamentel’insorgere di malattie e incidenti non gravi senza far ricorso ad alcunspecialista. Come un bambino cresce, gli vengono insegnate credenzee pratiche basilari, che ogni Tharaka deve conoscere. L’intento è quello di ottenere una certa capacità di autosufficienza nell’affrontare lemalattie più comuni. Ciò è probabilmente connesso anche col carattere aleatorio della capacità produttiva nella comunità domestica.

Come afferma Meillassoux: La malattia, che presso queste società ha sempre costituito l’oggetto di costante preoccupazione, ha ineffetti delle ripercussioni immediate sulla produzione. Essa deve venir scongiurata con tutti i mezzi, magici, medicinali e statistici(1975. 51).

Gli adulti conoscono i rimedi per i dolori allo stomaco, la malaria, i morsi di serpente; le donne sono ben informate circa i disturbiinfantili e ne conoscono i rimedi. Le piante velenose, assai diffuse nell’habitat caldo-secco del Tharaka, sono in larùa parte note ai Tharakache debbono presto imparare ad evitarne i pericoli. Si tratta di unaconoscenza impartita attraverso un’inculturazione informale per mezzodi canali non istituzionalizzati, ma è pur sempre una conoscenza disponibile per ogni Tharaka, interamente gestita e diffusa a liveJlo

profano

Le pratiche terapeutiche che di seguito presento, in parte fruttodelle risposte alla domanda 23 del questionario e in parte di interviste dirette, costituiscono solo una piccola parte del « sapere medico ‘

attraverso cui ogni Tharaka è in grado di curarsi da sé: esse sonoancor oggi largamente in uso in molte zone del Tharaka e rappresentano ciò che essi chiamano ndawa, farmaci che sono in grado di prepararsi direttamente da sé. Il problema del loro valore terapeuticoempirico sperimentale non è qui affrontato, la sua soluzione Hchiederà l’apporto di botanici e farmacisti.

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Interventi su alcune ,nalattie.

Per mezzo dei questionari e delle interviste dirette ho potuto rac

cogliere alcune pratiche terapeutiche adottati dai Tharaka. Le pre

sento qui di seguito a titolo esemplificativo.

Le malattie più diffuse fra i bambini, secondo quello che ho po

tuto rilevare dovrebbero essere: diarrea, dolori allo stomaco, morbillo

e tosse. Del trattamento contro la diarrea, dolori allo stomaco, morbillo

esistono diverse varianti. Generalmente la madre fa bollire un poilo

intero con le piume assieme ad alcune radici di piante, dando poi la

zuppa così ottenuta al bambino. Una pratica più rara, oggi sempre

più in disuso, consiste nel far togliere al bambino quattro denti (due

inferiori e due superiori): operazione questa generalmente eseguita dal

mago-erbalisla. -

Contro il morbillo il rimedio più comune consiste nello spal

mare il viso e il corpo del bambino con feci e urina di mucca, oppure

col sangue e gli intestini di capra. Nelle zone più alte del Tharaka.

verso l’Imenti, un’altra pratica consiste invece nel lavare il corpo del

bambino con foglie di eucalipto bollite, dandogli da bere grasso di

pecora.

Contro la tosse, infine, la madre mastica un’erba chiamata rukuri

il cui succo dà poi al bambino.

Abbastanza diffuse sono anche le malattie degli occhi. Per cu

rarle i Tharaka spalmano sugli occhi il sangue di pecora. Oppure,

allo stesso modo, viene usato il latte di mammella di una puerpera.

Per combattere i vermi intestinali un’erba (inenvwa) macerata

e ridotta in polvere, viene bevuta in un infuso con acqua. Oppure,

allo stesso modo, vengono usati semi di njuthi o corteccia di izwanva.

Per la malaria esistono diverse pratiche terapeutiche: infusi, un

guenti e zuppe.

Tra gli infusi, i più comuni sono quelli a base di radici di inu

kayayu macerate, bollite e il decotto bevuto. Tale decotto può essere

preparato anche con radici di ndago o semi di njuthi.

Gli unguenti vengono preparati utilizzando il fusto di una pianta

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chiamata rnakuri quando è ancora verde: macerato e ridotto in polvere, viene poi spalmato su tutto il corpo. Lo stesso trattamento puòessere applicato usando cortecia di rnuyura o di ,nukunda.

Una terza modalità terapeutica è poi costituita da una specie dizuppa composta di radici di tnurhugarhuga, niutagara, tnurangare e dicorteccia di inuguchua e mweniba bollite tutte insieme. Un pollo viene poi ucciso e cucinato nel brodo ottènuto dalla zuppa di tali piantee mangiato dal paziente.

Per curare il raffredore e la tosse vengono masticate le partigiovani superiori di una pianta di murororna, decotto e inghiottito ilsucco. Oppure si prepara un infuso di radici di ndago che viene bevuto. Allo stesso modo si utilizzano le foglie di ,nubau, merao embo!ua e le radici di ,nururuku.

Per la cura della gonorrea viene preparata e bevuta una zuppadi radici di ,nurnanke.

Per curare il mal di stomaco in genere viene masticato il succocontenuto nella corteccia radicale di mutongu o nelle foglie di muthuhthi. Oppure vengono macerate le radici di inueria che, bollite,danno un decotto, che viene bevuto.

Contro la dissenteria vengono lavate e macerate, ridotte in polvere e bevute con acqua le radici di ciang’ongo.

Per curare la scabbia viene posto sulla parte ammalata il succodella corteccia di muchaguca.

Contro i morsi di serpente viene brùciata e, ridotta a carbonellala corteccia di niukonguu (una pianta le cui radici sono ritenute diprovocare la morte entro due ore) e posta sulla parte del corpo morsicata. Oppure, con le stesse modalità, si utilizza il fusto di munyaritha o la corteccia di mukau.

Per la medicazione delle ferite si usa la corteccia secca di inuthigu. Macerata e ridotta in polvere viene posta direttamente sullaferita. Preparata con lo stesso procedimento viene utilizzata la corteccia di mwegere o le foglie di nzuuti, oppure viene spruzzato sullaferita il succo di una pianta verde chiamata ikongo.

Contro i dolori alla schiena viene bollita la corteccia di ,nukuvue bevuto il decotto.

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Gli operatori sanitari tradizionali.

Gli operatori sanitari tharaka sono tradizionalmente persone come tutte le altre, sposate, con il proprio casale e il proprio pezzo diterra da coltivare. Molto spesso si tratta del resto di individui concapacità superiori alla media. E difficile distinguerli incontrandoli perstrada. Essi godono tuttavia di grande rispetto e stima da parte dellapopolazione a causa della loro conoscenza particolare. Il prestigiosociale di cui godono rende probabilmente la loro arte un canalé privilegiato di affermazione per gli individui più capaci o ambiziosi.Le diverse figure di operatori sanitari tradizionalmente presenti inTharaka sono le seguenti:

flPEgATORI SANITARI TRADIZIONALI THARAKA

nome rharaka traduzione sesso

muringia divinatore m/f

mugao mago-erbalista m/f

mutani circoncisore mlf

mujukia madre della nascita f

a) muringia (divinatore).

Il muringia può spesso identificarsi col mugao. altre volte essere una persona diversa: ma concettualmente egli compie sempre unaoperazione distinta dall’azione terapeutica del ,nugao. 11 suo compitoconsiste infatti nel diagnosticare le cause della malattia e, in basead esse, nell’inviare il malato ad un mugao specialista per il tipo particolare di malattia individuata. Per ottenere la diagnosi il muringio

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si serve di varie tecniche di divinazione: la più diffusa è chiamata,nbugu. Essa consiste in questo.

La divinazione (uringhi) può venir fatta solo al mattino. Conla polvere bianca di caolino (Iraa) il nuringia segna ritualmente alcune partì del proprio corpo ritenute essere i centri vitali (fronte.polsi e gambe) e traccia dei segni longitudinali e trasversali su di unostrumento chiamato ;nbugu, consistente in una zucchetta svuotata aforma allungata contenente dei semi chiamati nyari e una piantadetta kiyari. Poi recita una preghiera alla divinità e cominciando adagitare lo strumento su e giù in modo da produrre un suono lo interroga dialogando continuamente con esso. Intercala questa operazione rivolgendo al paziente e a chi lo accompagna delle domande.

Dopo aver agitato più volte lo tnbugu, versa nella mano destraalcuni semi; conta quanti ne escono; li esamina attentamente e senon li ritiene significativi li rimette dentro e ripete l’operazione; altrimenti li dispone su di una pelle di capra ai suoi piedi mostrandoli alpaziente. Tutto questo gli lascia certamente tempo per pensare, riflettendo sul problema di chi gli sta di fronte, ottenendo così alla fine unadecisione in merito alla causa ritenuta pertinente.

Il mago-erbalista M’Kariiguua mi ha mostrato i seguenti esiti possibili dello mbugu.

« Ecco i modi e i risultati che si possono ottenere scuotendo lornbugu:

— i seme: ‘npingo

— 3 semi: kirurni

— 4 semi: 2 gambe deboli + 2 buone (il paziente arriva debole e riparte sano)

— 3 semi: urogi

— 6 semi: kibitana

— 7 semi: urogi

— 8 semi: mugiro

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— 9 semi: nkorna (posseduto da uno spirito, matto, ma ma

lana per l’ospedale)

— IO semi: sano

— IO semi e un bastoncino: urogi

— 12 semi: TBC.(M’Kaniiguua, 1984, inc n. IO).

Un altro sistema è invece quello mostratomi da M’Meeni con

sistente nell’usare una zucchetta concava nella quale, dopo averne se

gnato i bordi con polvere di caolino bianco (iraa), il muringia versa

dell’acqua. Poi prende del tabacco e lo mischia nell’acqua. Versa più

volte un po’ del contenuto sul terreno ai suoi piedi e osserva atten

tamente il modo in cui esso si dispone: l’immagine che si forma rap

presenta la persona ammalata. Esaminando la forma il ‘nuringia for

mula infine la sua diagnosi.

Esistono altri sistemi, che però non ho avuto modo di osservare

direttamente: come lanciare in aria del tabacco osservandone poi la

disposizione sul palmo dela mano; o agitare una boccetta piena d’ac

qua facendo fuoniuscire delle gocce da un foro praticato nel tappo

(Poli, 1983: 115).

Non inganni in tutti questi casi l’apparente rudimentalità delle

tecniche: esse non sono che l’aspetto più appariscente di un processo

non visibile attraverso il quale il muringia studia attentamente la per

sona che gli sta davanti e i suoi accompagnatori cercando di cogliere

le radici nascoste della sua malattia.

Da notare infine che il muringia può essere (come del resto il

mugao) sia uomo che donna: anche se, a quanto mi consta, la grande

maggioranza di essi è di sesso maschile.

b) mugao (mago-erbalista).

Il mugao rappresenta certo la figura centrale fra gli operatori

sanitari tharaka: è il curatore per eccellenza, specialista sia nei tratta-

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menti erbalistici delle malattie più diffuse (dai dolori addominali altemalattie veneree, dall’infertilità ai problemi pediatrici e ginecologici)sia nella cura dei casi di magia malefica (urogi). Egli è inoltre sempre anche divinatore (muringia).

La sua clientela sarà più o meno vasta a seconda della sua fama.In genere ciascun inugao si specializza in qualche tipo particolare dimalattia. Per divenire inugao è necessario un lungo apprendistato (chepuò durare anche nove anni) presso un niugao anziano ed esperto dalquale apprendere l’arte del curare, il linguaggio simbolico appropriato, nonché un’approfondita conoscenza delle piante medicinali e velenose della savana. Il tnugao più anziano è considerato il c padrerituale e adotta l’aspirante mago-erbalista come figlio. L’aspirante dovrà prima di iniziare il periodo di apprendistato sottostare a ritualiiniziatici molto impegnativi.

Questo tipo di iniziazione che, seguendo Mauss, potremmo definire « per tradizione (Mauss, 1965), avviene di preferenza — manon esclusivamente — all’interno del gruppo di parentela: per esempio, dal padre al figlio, come ho avuto modo di apprendere incontrando M’Meeni, anziano mago-erbalista che mi ha raccontato di stareiniziando il figlio alla sua stessa professione.

Per lo svolgimento del proprio lavoro il mago-erbalista utilizzaprincipalmente una serie di strumenti che conserva in una cesta: zucchette rituali svuotate, corni, parti del corpo di diversi animali dellasavana (ippopotami, rinoceronti, scimmie), zampe di capra e di uccelli rapaci, stiletti e anche lucchetti, chiavi, ecc. (cfr. Volpini, 1978:58). Si tratta, per gli ultimi due, di oggetti di introduzione recente,esempio di adattamento della loro funzione nel nuovo contesto culturale, diverso da quello d’origine. Attraverso l’uso di tali -Strumentiil mago-erbalista esegue diversi rituali curativi e prepara la medicinamagica (,,iutlzega) da somministrare al paziente e della quale egli soloconosce le modalità di preparazione. -

e) Mutani (circoncisore).

Ho ritenuto di includere la figura del circoncisore fra gli operatori sanitari tradizionali tharaka (anche se egli non rappresenta uncuratore in senso stretto) sia per le implicazioni sanitarie del suo la-

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voro, sia in quanto detentore di una tecnica chirurgica specialistica,anche se non strettamente di tipo sanitario.

Il circoncisore riveste un ruolo di grande rilievo in una societànella quale ancor oggi praticamente la totalità dei ragazzi e delle ragazze passano attraverso lo stadio iniziatico della circoncisione (frano).Essa viene a tutt’oggi considerata il rito di passaggio indispensabileper poter accedere alla maturità sociale. Poiché le circoncisioni hanno luogo in tutto il Tharaka contemporaneamente, i circoncisori sono molto richiesti durante tali periodi e i diversi clans gareggiano fradi loro nell’accaparrarseli offrendo loro doni con grande liberalità.

Il mutani ha il suo corrispettivo femminile nella mutaninwamukache opera la excisione femminile. Entrambi sono in genere due persone abbastanza anziane che hanno appreso la loro arte da personea loro volta più anziane. La loro abilità tecnica nell’eseguire l’operazione è ritenuta indispensabile e di grande importanza. Volpini (1978:106) riferisce in proposito di come il circoncisore venga incoraggiatoad operare bene durante l’operazione chirurgica ricondandogli il nome di !kaura: un circoncisore divenuto proverbiale per la sua inettitudine in quanto feriva il glande degli iniziandi.

d) inujukia (levatrice).

La grande maggioranza delle donne tharaka partoriscono ancoroggi neL proprio casale, anche a causa della non disponibilità in locodi servizi sanitari ospedalieri. Una grande importanza vengono alloraad assumere quei gruppi di donne che assistono le madri durante ilparto. Non si tratta di vere e proprie figure di specialiste. Il lorosapere deriva dall’esperienza personale vissuta direttamente. Il partodiviene così una occasione di solidarietà collettiva fra le donne delvicinato. Le donne sposate più mature ed esperte (sui 40-50 anni) delvicinato si riuniscono nel casale della partoriente e, dopo aver preparato l’acqua e il coltello per tagliare il cordone ombelicale e l’olioper ungere l’orifizio vaginale, incoraggiano la donna cantando. La madre così, pur partorendo di fatto da sola, si avvale dell’incitamento edel conforto delle altre donne. Anche la placenta viene espulsa direttamente dalla partoriente: in caso di ritenzione, le viene somministrata una pozione a base di un’erba chiamata ,nuthigiri (o di ciang’

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ongo). Dopo il parto le donne usano cose come lattine piene di sassolini o di coperchietti di bibite per produrre rumore allo scopo difar piangere il bambino: una di esse riceve il bambino appena uscitodal grembo materno e rimane ad assistere la puerpera per un periododi quattro giorni durante la « segregazione della nascita . Diviene cosìla ,nun,krn.

La concezione eziologica.

La seduta divinatoria ha principalmente lo scopo di individuarela catena causale di eventi che ha provocato la malattia. Mediantele sue tecniche particolari il divinatore cerca di ottenere da chi glista difronte delle risposte in grado di fornirgli degli indizi sul tipodi problemi che travagliano il malato e iL suo gruppo di provenienza.Se il divinatore risiede vicino ad ‘essi e ne conosce bene la situazione,sarà senza dubbio facilitato nel suo compito. Se invece risiede lontano, dovrà far ricorso a tutta la sua abilità per riuscire nel suointento.

La divinazione consiste dunque, in definitiva, a mio avviso, inuna particolare forma di analisi psico-sociale tesa a individuare i conflitti nascosti all’interno dell’individuo malato e del suo gruppo sociale. Le tecniche apparentemente piuttosto rudimentali impiegate atale scopo non sono altro allora che il rivestimento esteriore di unprocesso psichico e sociale che l’abilità del divinatore riesce a innescare e a manipolare. È alla luce di quella che V. Turner ha chiamato la c funzione cibernetica della divinazione ‘ (Turner, 1976: 420)che occorre considerare la divinazione in quanto, cioè, meccanismo dicatalizzazione delle tensioni latenti sottostanti alla malattia. Tali tensioni, una volta individuate dal divinatore, vengono materializzate erappresentate attraverso credenze e simboli istituzionalizzati ben notial paziente. Ciò diviene possibile in quanto entrambi (divinatore epaziente) condividono il medesimo universo simbolico, lo stesso sistema di significati culturali. Tali simboli ben serviranno a rappresentare quella che viene ritenuta la causa ultima della malattia. Percomprendere meglio ciò vediamo qui di seguito alcuni esempi.

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a) Kiriuni (maledizione).

« Chiunque tratti male un anziano viene maledetto e quando

quell’anziano muore anche la persona maledetta muore o soffre di

qualche malattia’ (M’Meeni, 1984. mt. n. Il).

Il kirumi rappresenza la maledizione lanciata da una persona

offesa — in modo particolare un anziano — contro chi non lo tratti

con il rispetto dovutogli. Essa raggiunge la sua efficacia dopo la

morte della persona che l’ha lanciata. É evidente come si tratti di

una forma di controllo sociale, specie nei confronti dei giovani, da

parte degli anziani alto scopo di difendere le prerogative sociali e di

potere legate alla struttura delle classi d’età.

TI kirun;i, tuttavia, non è esclusiva degli anziani: anche quando

un genitore in punto di morte deve delle indicazioni al proprio figlio

e questi, dopo la sua morte, non le rispettasse, potrebbe ammalarsi

e morire o impazzire.

Vi è poi una terza forma di kiru,ni, dotata di una partico

lare valenza sociale: c Se qualcuno chiedesse in prestito qualcosa co

me del cibo da un altro e il proprietario del cibo rifiutasse, allora il

povero potrebbe maledirlo » (M’Meeni, 1984, i. n. Il).

In tutti e tre i casi lo scopo del kiruini è certo quello di incul

care il rispetto per l’anziano, il genitore, il povero nonché l’obbe

dienza o la solidarietà nei loro confronti. Alcuni maghi-erbalisti sono

in grado di curare il kirunit: M’Meeni ha eseguito per me il rituale

utilizzato a tale scopo facendo impersonare al figlio apprendista ma

go-erbalista il ruolo dela persona maledetta.

Ne riprendo la descrizione direttamente dalle mie note sul cam

po: La persona maledetta viene fatta sedere e segnata con polvere

di caolino bianco (iraa) sulla fronte, le braccia e le gambe: poi il

mago-erbalista le riga intorno recitando alcune invocazioni contro il

kirunil mentre con un grosso cucchiaio (n,wiko) e una bacchetta di

legno (nzuruugo) tocca la testa, il collo e le spalle; poi prende una

lunga zucca con dentro idromele (uki) e un ramo verde di un albero

di ,nware. Con il ramo « spazzola ‘ il corpo del malato e poi, dopo

aver bevuto un lungo sorso di idormele dalla zucca, lo spruzza spu

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tandolo sul corpo del malato prima davanti e poi dietro; ripete l’operazione alcune volte .

Si tratta probabilmente di un rito di purificazione volto a faruscire la maledizione dal corpo del paziente (la c spazzolatura ) ea farlo ritornare sano attraverso la spruzzatura dell’idromele che, essendo una forma di benedizione, rappresenta l’opposto del kirurni(maledizione).

b) Gendaga (sfortuna).

« Gendaga è quando qualcuno ha una cicatrice sul proprio corpo e viene da te e ti chiama al mattino , (M’Muthoro, 1984, mt. n. 9).

La vista di persone anomali. con segni particolari sul corpo.ritenute portatrici di sfortuna, è considerata causatrice di malattia.Nella categoria rientrano anche i figli unici, i gemelli, le persone conun occhio solo. Si tratta in tutti questi casi di categorie particolaridi persone, alle quali viene attribuita una connotazione negativa all’interno del contesto sociale (cfr. Mauss, 1965: 23). Esse rappresentano infatti un paradosso rispetto a ciò che è ritenuto costituire la

normalità . È attraverso questa categoria di persone che si cercadi spiegare accadimenti ed evenienze sfavorevoli.

£ il caso, ad esempio, dei gemelli. Presso i Tharaka, quandonascevano due gemelli, se ne uccideva uno. Il caso della nascita gemellare ha ricevuto particolare attenzione nella letteratura etnologica,che ha cercato di evidenziarne i diversi significati. Victor Turner hacolto l’aspetto di evidente esuberanza di fertilità, produttrice di difficoltà fisiologiche ed economiche, nonché fonte di imbarazzo nellaclassificazione parentale, in quanto ritenuti misticamente identici (1972).

Monica Wilson parla della nascita gemellare come di € un evento temibile per i Nyakyusa. I genitori di gemelli ed i gemelli stessisono abipasya, i terribili, ritenuti pericolosi per i parenti e i vicinie per il bestiame, al quale si ritiene che provochino sofferenze dadiarrea e gonfiore alle gambe, nel caso che si verifichi un contatto ‘

(1954: 152).

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Altre popolazioni preferiscono invece sacralizzarli, conferendo loro uno status particolare: i Lele ad esempio, secondo quanto affermaMary Douglas (1975), li considerano una fonte di fertilità; presso iNuer del Sudan, descritti da Evans-Priichard (1940), essi divengonoaddirittura i mediatori fra l’uomo e dio. Tra i Dogon rappresentanol’unione perfetta, l’unità ideale (Griaule, 1968: 20).

Il caso del figlio unico rappresenta invece la situazione opposta,esattamente simmetrica rispetto a quella del parto gemellare. Se quest’ultimo sta infatti ad indicare un’esuberanza di fertilità al di fuoridella norma, altrettanto anomala, ma per difetto di fertilità, apparela condizione del figlio unico. Per capire ciò occorre comprendere laimportanza che, in una società agricola come quella tharaka, assumeil valore della fecondità: sia nel caso della terra che delle donne, essacostituisce infatti un’importante indice di benessere, di prosperità e disalute. I figli rappresentano inoltre una fonte di previdenza sociale:saranno essi nfatti a prendersi cura dei genitori quando saranno troppo vecchi e deboli per badare a se stessi. Ecco quindi l’importanza diavere molti figli a fronte delta condizione di insicurezza e di debolezza oltre che di imprevidenza che l’idea del figlio unico suscita nela società tharaka.

Per prevenire le diverse fonti di gendaga i Tharaka usano unamuleto, chiamato anch’esso gendaga, che i maghi-erbalisti preparanousando diversi cereali, legumi e tre piante: ;iugunio, ìnuthigu e mii—?aruro. Il tutto viene fatto incenerire e benedetto per mezzo dei niltii?Zikuru (uno strumento che rappresenta l’unità del popolo Tharaka)poi legato in un pezzetto di pelle e posto al collo del paziente. Anche oggi questo amuleto è assai diffuso fra i Tharaka; anche se, acausa dei processi di acculturazione, molti preferiscono indossarlcsotto la camicia anziché appeso al collo.

c) Iviugiro (impurità).

« La parola ‘nugiro significa impurità o non pulito ». Ouestaò una malattia che è causata il più delle volte dalle donne. Unadonna mestruata potrebbe divenire causa di niiigiro se qualunque uo

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mo avesse rapporti sessuali con lei prima che si sia purificata

:MMeeni. 1984. mt. n. Il).

« TI niugiro è una malattia che colpisce chiunque entri nel casale

di un’altra famiglia dove qualcuno sia morto da poco: egli va là e

mangia il cibo di quella famiglia e sarà colpito da ituigiro (M’Ka

riiguua, 1984, mt. n. IO).

Come si vede il concetto di itiugiro riguarda principalmente due

tipi di impuritò: fisica e sociale. Nel primo caso è la donna col pro

prio particolare ciclo fisiologico ad essere in determinati momenti con

siderata « impura ‘: e ciò è legato alla particolare valenza sacrale e

insieme contaminante del sangue mestruale.

Nel secondo caso limpurità è legata alla situazione di contatto

recente con la morte: questa, come il sangue mestruale, costituisce

un elemento di pericolo. Tn entrambi i casi infatti Fimpurità scatu

risce da situazioni ritenute potenzialmente pericolose per la società,

che è necessario circoscrivere con precauzioni o con particolari ri

tuali di segregazione. La donna mestruata e i familiari del defunto

sono infatti ritenuti possibili fonti di contaminazione a causa delle

loro particolari condizioni temporanee (40).

Una forma « naturale ‘ di muqiro è infine ritenuta esistere nelle

giovani donne sposate precedentemente al primo parto. Esse non pos

sono partorire — pena il rischio di abortire — se prima non tornano

alla propria famiglia per eseguire un particolare rituale di purifica

zione presso il casale del padre. A tale scopo viene chiamato il mago

erbalista e gli viene offerta una capra. Jl rito, mostratomi da M’Meeni

consiste nel far bere alla donna una pozione posta in una lunga zucca

svuotata o in un corno di mussa (ngori) mentre il mago-erbalista.

prendendo della polvere bianca (Iraa) da una zucchetta (nipaun) e

spandendola intorno, recita alcune preghiere. L’onorario del mago

erbalista deve esser pagato dal padre.

(40) Sulla valenza simbolica, in rapporto :‘Th, ‘rL,ttIlra sociale, della con

taminazionc si veda M. Dougtas (1975)’.

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d) Kibitana (immoralità).

Kibitana è un tipo di malattia che contraggono frequentementequegli uomini che abbiano avuto rapporti sessuali illeciti con moglidi altri uomini (M’Meeni, 1984, mt. n. Il).

Con il termine kihitana un Tharaka intende generalmente classificare tutta una serie di malattie causate dall’infrazione di normeclaniche relative alla sfera del matrimonio e della sessualità.

La kibitana potrebbe essere provocata anzitutto dal fatto clic unuomo e una donna appartenenti allo stesso dan che si sposassero fraloro. È evidente che cosa questo possa rappresentare per una societàbasata sull’esogamia clanica. Ma anche l’incesto intraclanico provocala kibitana. I disturbi di ordine riproduttivo, sterilità, impotenza, mortalità neonatale, debolezza e magrezza (gzweng’a) dei bambini sonointerpretate quale conseguenze di un eventuale « incesto intraclanico .

L’altra fonte principale di kihitana riguarda l’infrazione di norme inerenti il comportamento sessuale: particolarmente, rapporti sessuali illeciti con mogli di altri uomini oppure rapporti sessuali framarito e moglie non consentiti in certi periodi (ad esempio, dopo lanascita di un figlio). Oualsiasi infrazione relativa alla sfera del comportamento sessuale è ritenuta generare disturbi e malattie di ordinesessuale. Esistono vari rituali di purificazione che i maghi-erbalistiusano per curare la kibitana. Uno di essi, che riguarda la donna, èil seguente: « La donna malata (e colpevole) deve innanzitutto chiamare l’uomo o gli uomini con cui in passato ha avuto rapporti sessuali; ognuno di essi, servendosi di un mazzetto di erbe e di altrielementi magici preparato dal niugao, dovrà” spazzolare “ la donnanelle principali giunture del corpo, per far uscire l’impurità; allo stesso scopo dovrà invitare la donna a masticare e poi sputare parte delle piante) (F. Poli, 1983: 141).

e) Urogi (magia malefica, stregoneria).

« La gente, tra di sé, è molto sospettosa e invidiosa. Una pci-

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trebbe vedere il figlio di un’altra donna e, a causa dell’invidia, fargli una magia malefica. Se uno non è stato invitato fra gli altri amiciallora, a causa dell’invidia, farà una magia malefica... Se io vengoa casa tua e tocco le mani di qualche ragazzo, i tuoi figli potrebberosentire che io ho fatto loro una magia malefica a causa dell’invidia »(M’Kariiguua, 1984, in n. IO).

La credenza nell’urogi, molto radicata in Tharaka, costituisce, infondo, una rappresentazione dei rapporti sociali interpersonali, nonsempre del tutto benevoli, che intercorrono fra i membri della società.L’urogi costituisce il canale privilegiato attraverso cui la gente esprime, condannandoli, sentimenti di avversione reciproca, odio, diffidenza, invidia e gelosia. Essa risulta essere, perciò, una forma codificatadi espressione della conflittualità interpersonale propria delle relazionisociali.

Esistono diverse forme di urogi. La più comune è chiamata;neero e consiste nel mescolare al cibo o alle bevande di una persona un veleno:

« Meero è una malattia alla gola causata da magia malefica. Questa malattia è molto velenosa poiché una persona che ha subito unamagia malefica in questo modo potrebbe non essere più in grado diparlare; la sua gola diviene sempre più grossa. Questo accade quandosi mangia per esempio della carne... Ciò è usato per uccidere altrepersone: si fa loro una magia malefica che può essere curata dal magoerbalista» (M’Kariiguua, 1984, mt. n. IO).

I veleni utilizzati per provocare la nicero sono ricavati dal trattamento di alcune parti di piante della savana. Una di queste e ricette », dettatami dal mago-erbalista M’Kariiguua, viene ottenuta daltrattamento di cinque piante:

— spine di inuthungucha (blefaris linariifolia);

— radici di ,nurundu (non identificata);

— foglie, stelo e radici di ;nukanyanga (cissus rutundifolia);

— radici, stelo e foglie di inuthuriga (non identificata);

— radici di murharankondu (non identificata).

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Un aspetto particolare di questi veleni è rappresentato dal fattoche molto spesso essi non agiscono immediatamente ma con effettodilatato nel tempo Qinche di qualche giorno): in modo da permettere alla persona avvelenata di recarsi da un mago-erbalisra per farsicurare. Quest’ultimo utilizza fondamentalmente tre tipi di terapie percurare urogi e ineero in particolare. La prima è sottoforma di impiastro (kioria).

« Un’impiastro viene usato come un primo aiuto contro l’urogi.Viene usato spalmandolo su tutte le parti del corpo della persona cheha subito la magia malefica (Njoeli Muciri, 1984, i. n. 8).

Tale impiastro consiste in un impasto di diverse piante (mubuu,kainania, i;iuniruku, ,;irirhìgiri, inutharnhia, nzurerea, niurgwa, ecc.)mischiate con il contenuto degli intestini e il sangue di pecora o dicapra.

Una seconda forma di terapia è rappresentata da un decottoottenuto con diverse piante medicinali macerate insieme e fatte bollire con acqua. Esso viene fatto bere al paziente in un corno dibufalo o di mucca.

Infine, alcuni maghi-erbalisti utilizzano una forma di incisionesottocutanea (mukua) fatta con uno strumento (ndamata) con il qualetagliano la pelle del paziente per porvi al’interno una particolaremedicina.

Un altro tipo di urogi è rappresentato dallo #;ipingo. Viene usatoa scopo protettivo contro ladri, strupatori e adulteri. Viene utilizzataun corda particolare, della lunghezza di circa due metri, con deglianelli di legno e altri oggetti infilati dentro: Si usa uno spago (rurigi) contro le persone che si ritiene abbiano fatto una magia malefica contro la propria moglie o i propri figli. Si va sul sentiero, siscava una piccola buca e vi si pone dentro lo spago, poi vi si mettesopra un po’ di terra per nasconderlo. Se la persona che si vuolecolpire passa attraverso il sentiero diviene impotente (ndarha) neirapporti con la moglie. Questo è chiamato ,npingo. È usato anche perprevenire i ladri dal rubare nel proprio alveare durante la notte. Sequalcuno sale sulla pianta dove si trova l’alveare, non sarà più ingrado di scendere. È usato anche nel casale contro i furti: se qualcuno vuole prendere qualcosa in quel casale ne resterà colpito. Anche un’altra cosa chiamata nkorua è usata lungo la via: è una pietrausata per chiudere la porta come un lucchetto. E se qualcuno vuole

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scomparire dopo aver preso qualcosa, morirà (Njoeli Muciri, 1984,

mt. n. 8).

Nkorua è una pietra o un bastone segnato con polvere di caolino

bianco (irua) e posto nei pressi del casale a scopo protettivo. C’è

anche un altro scopo per il quale i;;pingo viene utilizzato: « usato

anche per prevenire gli uomini dal rapire le donne; e per prevenirc

gli uomini dall’intrattenere relazioni amorose illecite con mogli di al

tri uomini. È molto pericoloso: i testicoli dell’uomo diverranno gonfi

e più tardi egli morirà a causa delle ferite prodotte ai testicoli .

(M’Meeni, 1984, i. n. Il).

Per curare quest’ultimo caso di iiipingo il mago-erbalista MMeeni

mi ha mostrato due statuette in legno, provenienti dalla vicina tribù

dei Kamba e raffiguranti un uomo e una donna, clic egli utilizza in

sieme alla parte verde di una pianta chiamata ,isware.

Un terzo tipo di umgi, meno diffuso dei precedenti, è rappresen

tato dalla metamorfosi dello stregone (murogi) in un animale feroce

della savana: serpente, leone, leopardo, rinoceronte ecc. Ciò che si

trasforma non è tanto la persona fisica quanto il suo spirito che

agisce attraverso gli animali. Per ottenere le metamorfosi egli usa al

cune parti del corpo di essi (denti, pelle, corna, zampe. ccci rap

presentanti la loro forza vitale.

Si noterà come sino ad ora ho parlato dell’urogi in modo im

personale, senza mai dre chi esegue le magie malefiche. Ciò riflette

la concezione tharaka: il murogi, a differenza del ‘nugao (che rap

(4!) Si noterà come non valga dunque per i Tharaka la nota distinzione

operata da Evans-Pritchard (1937) per gli Azande fra stregoneria e fattucchieria:

i Tharaka fondono le due cose nel termine i,mgi — che ho preferito tradurre con

• magia m:tlcfica — indipcndeniemcnit dal fallo che essa agisca per via psi’

chica o per via empirica.

L’applicabilità e le possibililà di generalizzazione della distinzione proposta

da Evans-Prilchard in aitri contesti africani è stata del resto ampiamente discussa

da Viclor Turner, che ha affermato: Le credenze relative alla stregoneria non

si possono più —Se mai è stalo possibile — raggruppare utilmente in due cate

gorie contrapposle. la stregoneria (in senso stretto) e la fattucchieria , (1976:

150).

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presenta il suo opposto. l’antistregone), non agisce mai alla luce delsole ma nella massima segretezza; non è mai conosciuto ma solo sospettato, altrimenti verrebbe ucciso. Murogi può essere sia un espertoal quale ci si rivolge per ottenere delle fatture contro qualcuno siauna persona malvagia in senso lato (41). Dcl resto, seppur conccttualmente distinti, nugao e ,nurogi possono anche identificarsi: perpoter curare i propri pazienti che abbiano subito una magia malefica, il iiurgao deve anzitutto conoscerla bene. E molti rituali usaticontro I’iirogi contengono esattamente gli stessi gesti compiuti dal ,nurogi perfettamente invertiti. Ecco perché gli agao, pur conoscendobene l’urogi, la magia malefica, si impegnano ad operare pubblicamente solo l’ugao, la magia benefica, in forza di un giuramento cheessi fanno al momento della loro iniziazione.

A conclusione di questa esposizione della concezione eziologicatharaka, vorrei suggerire una prima bozza di analisi che credo utileper la sua comprensione.

Anzitutto, ciò di cui abbiamo parlato non sono tanto le malattiein se stesse quanto le loro cause. Quel che interessa i Tharaka nonè tanto la malattia intesa in quanto complesso di sintomi quanto laricerca del nesso causale in grado di spiegarla. Ecco perché due malattie uguali potranno ricevere diversi trattamenti se le loro cause saranno riconosciute diverse; mentre malattie diverse riceveranno lo stesso trattamento nel caso siano state provocate dalla medesima causa.

È questo nesso causale che viene ricercato in quella « sequenzadi eventi ) operanti non tanto a livello biologico quanto interpersonale. Tutte le rappresentazioni concettuali che abbiamo esaminato —

che si trattasse di sfortuna o di impurità, di maledizioni, di immoralità o di magia malefica — presentano un carattere di globalità cheinveste le relazioni sociali nella oro complessità e dinamica. Per questo credo si possa parlare, nel caso dei Tharaka, di una ezioloaia6 multipla operante su di una pluralità di livelli sociali e culturalifra loro connessi. La concezione causale tharaka della malattia costituisce in fondo una rappresentazione simbolica della società stessa.delle sue dinamiche e dei - suoi problemi. nonché delle sue tensioniinterne. Vecchi/giovani, uomo/donna, normalità/anormalità, puro/impuro, morale/immorale, bene/male sono alcune delle coppie dicotomiche che ci pare possibile ritrovare dietro l’eziologia tharaka dellamalattia. Una conèezione bipolare multipla dunque, che tutta si

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riassume nella opposizione fondamentale salute/malattia. Come hascritto Vittorio Maconi: « L’esperienza della salute si accompagna conquella dell’equilibrio della natura e dell’ordine della società: quelladella malattia si accompagna invece con l’esperienza del disordinedella natura e del decadimento dell’ordine della società ‘ (1982: 6).

La società, e non l’individuo, costituisce l’oggetto ultimo dellamedicina tradizionale tharaka (42).

uomo donna

puro I impuro

morale immorale

normale anormale

(42) Credo interessante notare, per inciso, come le • bipolarità multiple)da me rilevate a proposito della concezione eziologica tharaka concordino conlo schema di classificazioni simboliche mcru proposto da Roney Needham perinterpretare il significato della mano sinistra del Mugwe (1960).

La concezione tharaka di causalità bipolare multipla

Bipolarità multiple

vecchio giovane

Pluralitàdi livelli Eziologia tharaka

sociali della malattia

e culturaliKirumi

Gendagabene male

___________

Kibitana

Mugiro

Urogi

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Lo sviluppo possibile: fusione o inlegnzione?

Una cosa mi ha particolarmente colpito incontrando i maghierbalisti tharaka: alcuni di essi avevano abbracciato religioni cristiane(di diverse confessioni) e consideravano questo come qualcosa di noncontraddittorio con la propria attività. Credo sia un esempio significativo di come il nostro pregiudizio etnocentrico sia spesso più statico di quanto non siano quelle che siamo abituati a considerare culture primitive ‘, che sono in realtà culture molto spesso flessibili nelle loro concezioni, e spesso particolarmente reattive in presenza di processi culturali di incontro con la cultura occidentale. La medicina tradizionale (come tutta la cultura tharaka nel suo insieme) non è affatto statica, ed i suoi operatori sianno oggi cercando di far fronteai mutamenti socio-economici e culturali derivanti dal processo di modernizzazione in atto.

Ha scritto Vittorio Lanternari: c L’incontro-scontro fra due divergenti e contraddittori orientamenti speculativi e comportamentaliriguardo all’esperienza di malattia e guarigione, si svolge in modi econ effetti ben più complessi di quanto la filosofia del razionalismoscientifico potesse aprioristicamente ipotizzare e fors’anche auspicare(1983: 83).

Adattamenti, modifiche, emergenza di nuove concezioni e ruolicostituiscono la risposta della cultura indigna all’impatto con le agenzie di mutamento occidentali. Recenti indagini nigeriane (Ojanuga,1980) hanno mostrato come i curatori tradizionali possiedono un’attitudine positiva al cambiamento, dichiarandosi anche disponibili aseguire corsi di formazione chè permettano loro di inserirsi nellastruttura sanitaria nazionale.

Anche la popolazione, del resto, come abbiamo visto nel casodelle village health workers ‘ (ma l’esempio potrebbe essere generalizzato), usa oggi tranquillamente e in modo del tutto complementare la medicina tradizionale e quella occidentale; si va sia dal inugao che dal medico a seconda della cura ritenuta più efficace, dellestrutture maggiormente disponibili, dei costi meno onerosi. Non esiste più quella opposizione netta che un tempo caratterizzava le relazioni fra i due sistemi sanitari in senso competitivo. Nuove forme

103

di relazione si vengono oggi a stabilire, prendendo principalmente la

forma della suppkineruarietà e della coinplemenwrietù.

11 rapporto di supplenientarietà si basa sul riconoscimento che

problemi sanitari di una certa natura possono venir meglio trattati

da un solo tipo di medicina: per esempio, i Tharaka ammettono che

la medicina occidentale possiede possibilità chirurgiche impensabili per

la medicina indigena.

La relazione di compìcinentarietà si fonda sul fatto che talvolta

la medicina occidentale può essere utilizzata per certi aspetti della

malattia (fisici) mentre la medicina tharaka per altri (psico-sociali e

mistici).

Entrambi i casi evidenziano la dinamicità delle relazioni inter

culturali e la pluralità di risposte che la cultura tharaka sta oggi po

nendo in atto. Sarebbe allora certo un errore continuare a pensare

alla medicina tradizionale in modo statico senza tenere in considera

zione l’evoluzione che essa sta oggi subendo sia ad opera dei suoi

specialisti che nella coscienza profana.

Quali sono le possibilità di incontro, nella nuova situazione, fra

le VHW che abbiamo descritto e gli operatori sanitari tradizionali?

È possibile, concretamente, una collaborazione autentica fra attività di

PHC e medicina tradizionale? Le esperienze attualmente in atto in

diversi paesi dell’Africa possono servire da termine di paragone.

In Senegal è stato avviato da tempo un sistema di « villaggi te

rapeutici per l’assistenza psichiatrica, nei quali operano insieme me

dico e guaritore. È stata inoltre costituita un’associazione dei tera

peuti tradizionali (Venturini-Atti, 1982). In Somalia a cura dclle frat

ture semplici è stata affidata a curatori tradizionali (Coppo-Paganini,

1984); mentre il curriculum universitario degli studenti di Medicina

incorpora una introduzione alla medicina tradizionale (Elmi, 1980).

In Mali è stato creato un Istituto nazionale di ricerca farmacologica

e medicina tradizionale all’interno del Ministero della Sanità, col com

pito di valutare le tecniche terapeutiche tradizionali (Koumarè, 1979).

La Guinea ha invece avviato un programma di medicina popolare ba

sato sulla collaborazione fra guaritori e agenti di brigata sanitaria, en

trambi considerati come medici popolari (Atti-Venturini, 1984). Il

Ghana, giù dal 1969. ha istituito una associazione dei guaritori tra

dizionali, creando inoltre un Centro di ricerca scientifica sulle piante

104

medicinali (Bannerman-Burton-Vten-Chieh, 1983). In Nigeria esistononumerose associazioni locali di guaritori tradizionali, mentre sono state avviate alcune ricerche sulle possibilità di integrazione (AnongoJtyavyar, 1982). Anche in Zimbabwe è stata creata una associazionedi curatori tradizionali (Zinatha) (Bernardi, 1984). Nello Zaire operaun Centro specializzato di medicina dei guaritori presso l’istituto diricerche scientifiche di Kinshasa. In Tanzania sono state aperte cliniche di medicina tradizionale in aree rurali (per esempio, Mandandoe Lambeni nel distretto di Korogwe); curatori tradizionali collaboranocon medici, particolarmente nel distretto di Magu, lavorando negli

/ stessi reparti. Sono stati inoltre organizzati dei « workshops » per lariqualificazione degli operatori tradizionali (Sofowora, 1982). In Rwanda, infine, è stato aperto nel 1977 a Rare un Centro di medicina tradizionale cui fa capo anche una associazione locale di guaritori, colcompito di studiare la farmacopea tradizionale in collaborazione conl’istituto Nazionale di Ricerche Scientifiche di Butare; esso funzionainoltre come clinica con circa novemila pazienti (Telesphore, 1982).

Emergono, dalle esperienze sopraelencate, due linee principali diintervento tra loro diversificate:

a) la prima che potremmo chiamare dì fusione dei due sistemi(tradizionale e moderno) in unico sistema sanitario ufficialmente riconosciuto;

b) la seconda, che punta invece su di un rapporto di bue

qrazione, di collaborazione fra i due sistemi operanti in modo parallelo ed autonomo.

Difficile dire quale delle due strade sia la migliore: esse esprimono differenti contesti nazionali. Certo il rischio della strategia difusione è quello di « fagocitare la medicina tradizionale all’internodi quella moderna, schiacciandone connotati e identità peculiari sottoil peso dei propri apparati assai più potenti. Col risultato di riuscirea realizzare, in modo assai più sottile, quel processo di deculturazione che le ordinanze e le persecuzioni dei governi coloniali controla stregoneria non erano riusciti a compiere.

La strategia della integrazione, basandosi invece su di una collaborazione fra i due sistemi operanti ciascuno in modo autonomo, lascia intatte le specificità di ciascuno favorendo un reciproco arricchimento. Alla popolazione viene lasciata la scelta di quale tipo di operatori sanitari consultare, posto che entrambi godano di riconoscimento legale.

105

Quello della legittimazione giuridica della medicina tradizionalerappresenta in ogni caso il punto di partenza indispensabile. Il promulgamento di leggi adeguate in tal senso e la creazione di specifiche istituzioni pubbliche, costituiscono infatti le necessarie opzionipolitiche preliminari.

Al di là del problema giuridico-politico della legittimazione, siapre poi il vasto campo assai impegnativo delle diverse possibilitàdi professionalizzazione degli operatori tradizionali. Approfonditi studiinterdisciplinari e indagini sul campo costituiscono le premesse perla realizzazione di esperienze effettive di cooperazione a livello locale.Una volta che si siano ben comprese caratteristiche e possibilità diciascun tipo di medicina tradizionale, è possibile avanzare proposteconcrete come la creazione di associazioni locali dei curatori o lacreazione di centri di medicina tradizionali con compiti sia terapeutici che formativi.

I primi risultati della nostra inchiesta sulle attività di PHC ela medicina tradizionale in Tharaka, suggeriscono in particolare alcunelinee di intervento:

a) Village health workers; abbiamo visto come esse costituiscono un tipico caso di acculturazione. I loro compiti sono comunquecircoscritti ad una sfera limitata di azione tradizionalmente di competenza femminile (alimentazione, igiene, attività domestiche).

Di tutto questo occorre certo tener conto nella programmazionedi attività sanitarie che raggiungano nvccc tutta la popolazione.

b) Mujukia: pur non trattandosi, come abbiamo visto di operatrici specialistiche ma di donne esperte, perché non prevedere perle levatrici ‘ tradizionali una qualche possibilità di formazione connozioni elementari di ostetricia e di igiene del parto, facendone inoltre,per i casi di complicazioni, i tramiti fra la partoriente e l’ospedale?

c) Agao: essi, rappresentando i veri specialisti della mcdicinatradizionale tharaka, costituiscono ancor oggi la maggior fonte di curesanitarie per la popolazione. Possibilità di incontro e di collaborazione esistono, specie nel campo della fitoterapia e della medicinapsicosomatica. Si potrebbero migliorare le loro condizioni di lavorocodificandone tecniche e metodi terapeutici, rafforzando la loro coscienza di continuatori di una tradizione medica originale, cardine

106

insostituibile della società tharaka. Facendo svolgere ai maghi-erbalisti un ruolo di agenti sanitari e di salute pubblica nei villaggi, lediverse misure sanitarie potrebbero certo esser più facilmente accettate dalla popolazione, in forza del loro stretto legame culturale ecomunitario (43).

d) Mani: abbiamo visto come la loro opera sia essai richiesta in una società come quella tharaka nella quale anche oggi quasitutti i giovani, maschi e femmine, vengono circoncisi. Anziché ignorare questo dato, perché non cercare di fornire i circoncisori di alcune nozioni indispensabili di igiene che permettano loro di eseguirel’operazione iniziatica nel massimo di sicurezza per i giovani?

Come si vede, si tratta solo di alcuni suggerimenti di intervento,da verificare in futuro con ricerche più approfondite: quel che contaè avere sin da oggi coscienza dell’importanza di queste possibilità diintegrazione. Ed i soggetti primari di tale coscienza sono certamentei medici-volontari CUAMM. TI loro contributo è indispensabile allarealizzazione di qualunque attività di cooperazione. Abbiamo vistocome la medicina tharaka e africana in generale non sia statica, maevolva secondo una dinamica propria, anche la medicina scientificaoccidentale è certamente cambiata in questi ultimi anni. La nuovastrategia di c Primary Health Care: Salute per tutti entro il 2000 ,

lanciata dall’OMS, ne è certo la testinjmianza più significativa. Unapproccio più preventivo che curativo, che privilegi la promozionedella salute alla cura della malattia. Una visione unificante ‘ dellamalattia, che tenga conto dei diversi aspetti multisettoriali in essaimplicati; la comprensione dell’importanza degli aspetti comunitari eculturali nella determinazione della malattia; l’uso di tecnologie appropriate, con la massima valorizzazione delle risorse locali (e lamedicina tradizionale è certo una di esse), sono alcuni degli elementi che mostrano come anche la concezione medico-scientifica occidentale sia andata trasformandosi. Un mutamento che la rende cer

(43) Per la discussione e la valutazione di una serie di esperienze africane in proposito, si veda il numero speciale della rivista Soda! Science andMedicine dcdicato alla utilizzazione dei guarilori indigeni nei sislemi sanitari nazionali (voI. 16, n. 21, 1982).

107

to più vicina, in qualche modo, alla medcina tradizionale africana,

che nei nuovi campi ha molto da insegnarci fornendo ai medici-

volontari un bagaglio culturale più adeguato a favorire l’incontro

ormai necessario.

« Il volontario — come dice Pellis — per prima cosa dovrebbe

studiare il posto, perché ogni posto è diverso ed ha delle esigenze

proprie. Per seconda cosa, deve avere una grande competenza sani

taria di tipo dispensariale e quindi crearsi una fiducia nei confronti

della popolazione e soprattutto nei confronti del personale locale Il

medico può agire soltanto quando è in condizione di conoscere i pro

blemi: allora ben venga l’iniziativa di capire come funzionano la me

dicina tradizionale ed il modo di pensare della gente, perché questo

permetterà di non restar male difronte a certe “stranezze” incom

prensibili (dr. O. Pellis, 1984, mt. n. 12).

Nuove capacità e attitudini sono dunque richieste ai medici-vo

lontari. con un mix di disponibilità personale, plasticità culturale, con

cezione critica del!a conoscenza scientifica, coscienza politico-sociale

e capacità manageriali. Il nuovo profilo professionale del medico-vo

lontano nei PVS richiede ceno delle trasformazioni profonde rispettc

al ruolo tradizionalmente svolto, che lo pongano in grado di giocare

il nuovo ruolo a lui richiesto nel rapporto con la popolazione con

gli operatori sanitari di base, tradizionali (maghi-erbalisti, ecc.) e mo

derni (village health workers).

Se lo scopo ultimo dell’intervento di cooperazione sanitaria èquello di promuovere un tipo di sviluppo auto-diretto dalla comunità

locale, chi interviene in essa come un agente esterno deve essere in

primo luogo cosciente di noi operare nel vuoto, su di una pagine

bianca. Oli « omologhi locali ‘ nelle forme più diverse, così come un

qualche tipo di concezione medica, sono sempre esistiti presso tutte

le popolazioni. Tener conto di quanti g’à operano da tempo nelle

realtà preesistenti, delle loro diverse concezoni mediche e culturali,

non è solo un dovere elementarc di chi voglia rspettare una cultura« altra , ma è anche l’unica possbilità che gli si offre per capire ilsenso del proprio agire nell’amb’to dell’incontro fra culture e popoli

differenti.

103

IL QUESTIONARIO

Background of the rumi hcakh workers

1) Sex

2) Age ...._.. ..

3) Number of chiidren

4) Married or not

5) Education

6) Viliage -

7) Subiocation

Homestead and vilIage

8) Draw a map of your homestead

with the piace of: — the diffcrent buildings

— the use of them

— the materials that they are built

— the toiiet

— refuse’s pit

— the fireside

— the pen

109

9) What is the average number of people living in a household?

10) Who is the householder?

11) Who is attending to the children during the day?

12) What are the women’s duties?

13) What are the men’s duties?

14) How many homestead in your village?

15) What Is the average distance from oRe homestead to thenext?

Hcalth problem

16) How many times a day do people eat in the household?When?

17) What do they eat? (particuhwly the children)

18) Where do the people get their food?

19) Where do they get the water from?

20) How far do they walk to get water? (distance and time)

2!) How many peoples have a toilet?

22) What type of disease are most common in your area?

23) What type of treatment do most mothers give to their chi!dren who are sick?

24) Who makes the decision lo take the child for treatmentand where is the chi!d taken to?

25) Are there some traditional birth attendants in your area?

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26) Are there some traditionai heales? What they care?

Motivation

27) Why do you want to be a bealer worker?or: Why did you want to be a bealer worker?

28) Vhit personal changes do you expect from becorning a ruralhealth workers?

ELENCO DELLE INTERVISTE EFFETTUATE

Intervista ,,. I

Dr. Rinaldo Bonadio, medico-volontario rientrato dal Tharaka.Reg. eff. a Padova il 4-7-1984.

Intervista n. 2

Mons. Silas Njeru, Vescovo delta diocesi di Meni (Kenya). Reg.efi. a Nkubu il 13-8-1984.

Intervista ti. 3

Dr. Flavio Consonni, medico-volontario a Nkubu. Reg. eff. aNkubu il 16-8-1984.

Intervista ii. 4

Sr. Luigia, ostetrica professionale. Reg. eff. a Gatunga il 17-8-1984.

Intervista ti. 5

Sr. Francesca Tosco, infermiera professionale specializzata in salutepubblica. Reg. eff. a Nkubu il 20-8-1984.

111

Inten’ista n. 6

Dr. Bartolomeo Draghi, medico-volontario a Nkubu. Reg. eff. aNkubu il 23-8-1984.

Intervista n. 7

M’Mugwongo, mago-erbalista. Reg. eff. a Kitheno il 28-8-1984.

Intervista n. 8

Njoeli Muciri, mago-erbalista. Reg. eff. a Kitheno il 4-9-1984.

Intervista n. 9

M’Muthoro, mago-erbalista. Reg. efi. a Mitaani il 18-9-1984.

Intervista ,z. 10

M’Kariiguua, mago-erbalista. Rcg. eff. a Nkarini il 20-9-1974.

Intervista il. 11

M’Meeni, mago-erbalista. Reg. eff. a Karugwaru il 25-9-1984.

Intervista ti. 12

Dr. Giorgio PelIis, capogruppo medici-volontari di Nkubu. Reg.eff. a Nkubu il 4-10-1984.

112

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CULTURE MEDICHE A CONFRONTO

di Federico Tugnoli (1)

La maggior parte delle tradizioni extra-occidentali, e la nostrastessa tradizione, hanno certi elementi in comune. In esse il concettodi persona supera in genere i confini di una stretta individualità, el’uomo è considerato inscindibile dal suo ambiente cosmico, ereditario,sociale e familiare: egli è dunque immerso in un continunni spazio-temporale; altri elementi ricorrenti sono le leggi del ritmo e una prevalente impostazione illogico-analogica.

L’idea cinese, ad esempio, si fonda sul concetto di un poliritmoche inscrive ritmi circadiani in ritmi stagionali, e questi nell’arco dellavita, e questa nella vita del cosmo. Il cuore è molto attivo a mezzogiorno, e lo è molto meno a mezzanotte, quando invece è al massimodella sua attività la vescica biliare: il grosso mestino ha l’acme al mattino; il rene nel tardo pomeriggio; e così via. Il fegato è al massimodell’attività prima dell’alba, e nel bambino, e a primavera; ed è anchel’est, ed è anche il legno.

La Medicina tibetana integra una propria tradizione locale con isistemi nati alle sue due opposte pendici: in Cina e in India. DallaCina viene direttamente mutuata la dottrina della circolazione delle energie su base cronobiologica; sono pienamente recepite le interrelazionitra i cinque movimenti: legno, fuoco, terra, metallo e acqua. Dalle dottrine ayurvediche viene quasi completamente mutuata la teoria dei treumori, ed anche essa è ritmo. Il flegma giunge al massimo dell’accumulazione in primavela, il pneuma alla fine della stagione delle piogge(tarda estate), e la bile a fine autunno.

Ma la Medicina tibetana crede anche che la prima causa dellemalattie può essere remotissima: è lignoranza; è un peccato originale

(1) Il Prof. Federico Tugnoli è Primario del Servizio di Anestesia e Rianima2ione dell’Ospedale 5. Spirito di Roma e Coordinacore delle attivicù scientitichedell’Accademia di Storia dell’Arte Sanitaria.

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che precede la dimensione ontologica dell’individuo malato, risalendofino alle sue vite precedenti. Così il medico tibetano è botanico, chimico, astrologo e mago; crede in più di mille dèmoni, ma fabbrica medicine composte da 50, 100 sostanze; dà prescrizioni dietetiche, ma ordinaanche mantra e rituali.

Il medico ayurvedico fa cadere alcune gocce di olio di sesamo nelvaso di urina. Se l’olio non diffonde la malattia è inguaribile; se diffonde rapidamente, specialmente se verso nord, la malattia è lieve.Una buona prognosi è anche desunta dalla comparsa di figure comeun ci2no, un ombrello, un elefante, ecc.; ma la cura sari difficile secompaiono, ad esempio, una tartaruga. o un bufalo. Se poi compaionofigure come un insieme di fori, o una persona, o due teste, la malattiaè dovuta ad azioni compiute nelle vite passate, o a maledizioni, o aspiriti malefici.

In che cosa differisce, da questo medico, il mago-erbalista tharaka(Muguo) quando cerca nei suoi semi maledizione, sfortuna, impurità.immoralità, o malocchio?

Sappiamo che Pitagora credeva nel sainsara, che la terminologiapeccato originale , che qui ho usato, è occidentale; che l’idea di ma

lattia-punizione ha serpeggiato da noi per millenni.

E che cosa sono miasmi e costituzioni, per l’Omeopatia, se nonretaggi a cui l’uomo soggiace? La concezione dei miasmi (diatesi) offreuna chiave per comprendere la storia dell’uomo e il modo di emergenzadelle sue patologie, intese come prodotto di una interazione uomo-ambiente. Il Luetismo, ad esempio, fu concepito da Hahnemann comeun terreno modificato da una sifilide acquisita o ereditaria; eccociancora a un peccato originale ‘. Anche l’individuazione delle diatesiha una base analogica, dal momento che la Psora attiene agli alboridella specie umana, e tipologicamente alla Scabbia, ma è Allergosi;il Luetismo è rinascimentale ed è anche Etilismo; e la Sicosi è il miasmadei meccanismi di difesa ed è Gonorrea, ma anche Malaria, supervaccinazioni, e Reticoloendoteliosi cronica. Ma il terreno è di più: è illegame della costituzione e del temperamento con una o più diatesi.

Altro elemento comune alle varie tradizioni è l’intervento dell’uomosulle forze naturali. Il salto di qualità, che il MLsgao opera sulle piantemedicinali in modo che il loro potere giunga a trascendere quello deiloro elementi empirici, è lo stesso processo che in tante altre culture

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trasforma le piante da oggetti naturali, come dice B. Bernardi, in arte-fatti umani. Del resto la definizione di pianta medicinale dell’OMS(1978) mi sembra consapevole di ciò. E’ considerata medicinale qualsiasi pianta che in una o più delle sue parti contiene sostanze che possono essere usate per scopi terapeutici, oppure che fornisce precursoriin processi di semisintesi chimico-farmaceutica; ed è considerata drogavegetale la parte di una pianta usata per scopi terapeutici. Potrebbedunque essere tale anche una pianta con dimostrata assenza di principiattivi in senso occidentale, ma usata, ad esempio, con criteri analogicio simbolici.

A metà del Cinquecento, Girolamo Fracastoro, che credeva negliinflussi astrali (il termine « influenza » ha questo tipo di etimo) e nelmalocchio, intuì anche il contagio vivo. Co,uaiz,,ii uniniattini vuoi diresostanza infettante non inerte, ma viva. L’idea fu poi lentamente recepita, ma come un corollario (per non dire un compromesso) dellaimperante teoria umorale. La peste, ad esempio, fu concepita come unaputrefazione degli umori, da cui potevano nascere per generazione spontanea esseri minutissimi in grado, attraverso l’aria, di diffondere lamalattia.

A metà del Settecento, mentre i dotti in maggioranza e il volgotutto credevano ancora nella generazione spontanea, Lazzaro Spallanzani fu il campione della legge « vita dalla vita », contro Needham eBuffon.

A metà dell’Ottocento, mentre Pasteur scopriva tutto sulla fermentazione dell’orzo e dell’uva, ancora sopiva sotto le ceneri la generazionespontanea; e io direi che ancora oggi molte persone semplici credonoche quei lieviti che puntualmente ogni anno ricompaiono nell’uva pigiata nei tini, si generino spontaneamente.

Questa è l’epoca d’oro della individuazione dei vari microbi patogeni, e sull’onda di tali scoperte si dà per scontato, per ognuno di essi,il ruolo causale non solo necessario, ma anche sufficiente, delle malattie;la scienza medica si orienta subito sulla preparazione dei vaccini; einfine, nei primi anni di questo secolo, con la scoperta del salvarsan,inaugura l’era della chemioterapia.

Al di là di qualsiasi possibile commento sulla storia delle idee,desidero soltanto notare, in questa sede, che, agli effetti di un progresso,

119

le teorie importano spesso molto meno dei risultati che esse generano.Voglio ricordare, sempre in ambito microbiologico, che una delle maggiori scoperte di tutti i tempi, quella, appunto, del salvarsan contro lasifilide, fu propiziata da quell’idea base, destituita di ogni fondamento,che accompagnò Ehrlich per tutta la sua intensa vita di ricercatore, lafamosa teoria delle catene laterali; e per di più, in tale specifica scoperta,anche dal falso convincimento che la Spirochaeta pallida fosse simile, senon uguale, al Trypano.sonza. Del resto, per restare nel campo dellasifilide, in tempi più antichi l’unica terapia di un certo valore era ilmercurio, non certo introdotto come chemioterapico. TI suggerimentoera venuto dall’uso che ne facevano gli Arabi nelle affezioni cutanee,specialmente se pustolose. E poi la scialorrea, clic ne era l’effetto piùeclatante, era la dimostrazione inconcrovertibile della eliminazione degliumori corrotti, specialmente la pituita dal cervello.

Ma deve ora l’Africa, sede delle esperienze riportate nella presentepubblicazione, ripetere lutti i passi clic l’Occidente ha fatto nel corsodegli ultimi cento anni?

Naturalmente c’è modo e modo di esportare cultura. Dopo unaprovvidenziale rettifica della concezione di colonizzazione intesa comeoperazione-terra-bruciata, abbiamo finalmente imparato a non violentarele culture non-occidentali o non-tecnologiche (espressioni queste con lequali alcuni di noi talora mascherano il convincimento che si tratti diculture primitive). Oggi auspichiamo nei PVS il traguardo di una saluteglobale ed integrata ottenuta in modo autonomo e indipendente, fondatasulla distribuzione dei moderni servizi, sull’educazione sanitaria, e sullaprevenzione. Del resto, anche il Servizio Sanitario Nazionale italiano èstato costruito sulla base di questi principi. Attraverso la legge di riforma ospedaliera del 1968 e poi la legge di riforma sanitaria del 1978,L’ospedale ha cessato dapprima di essere un hortus conclausus e poi,perdendo la sua personalità giuridica, è entrato a far pane di un’USLal servizio di un territorio, mentre nel còntempo si tentava di darespazio, rispetto alla sola fase curativa mediante ospedalizzazione, allaprevenzione, alla riabilitazione, all’educazione.

Istanze tutte, queste, profondamente sentite dagli Operatori volontari che hanno compilato le relazioni che precedono (frutto non di esercitazioni politico-filosofiche, ma di una dura esperienza pagata di persona). Ma un passo, contenuto in una di esse, fa pensare. Vi si dice insostanza: è veramente la nostra una modalità basata sulla integrazione

120

o sulla cooperazione, o non piuttosto un diverso e più sottile modo di

imporre comunque il nostro diktat?

Spesso la spinta all’importazione della modernizzazione da parte

dei PVS non è minore della nostra spinta alla esportazione della mede

sima. Anche se le relative basi filosofiche non vengono indagate, né

tanto meno recepite, vengono accettate molte « tecniche ) di guarigione,

e per i governi l’ospedale occidentale può essere il fiore all’occhiello.

Ma mentre il nostro c verbo microbiologico introduce vaccinazioni e

antibiotici, non solo non offriamo contributi alla soluzione di problemi

alimentari, ma anzi provvediamo a crearli là dove un delicato equilibrio

gestionale delle risorse dell’ambiente, mediato da sagge norme tradizio

nali, li aveva finora evitati, favorendo inopportune trasformazioni agri

colturali e deterioramenti ambientali.

E che ne sarà dei grandi messaggi di tutte le culture non-tecno

logiche?

Come la Cina ha incivilito il Giappone, e la Grecia lo ha fatto con

Roma, ora le culture non-scientifiche stanno inopinatamente conqui

stando il « barbaro ‘ conquistatore. Una crescente « cultura della salute »

ha determinato la tumultuosa invasione di tutto ciò che è antico, attra

verso il fianco sguarnito di una medicina sup3r-tecnologica che non

sa porsi come maestra di vita. La diffusione nelle « Medicine alterna

tive » è imponente. Sono tecniche antiche, tecniche nuove, e sviluppi

nuovi di tecniche antiche: psicoterapie di ogni genere, agopuntura, auri

coloterapia, omeopatia, bioterapie (organoterapia diluita e dinamizzata,

oligometalloterapia, sierocitoterapia. litoterapia dechelotiice), erhoiistcria.

fitoterapia, gemmoterapia, aromaterapia, cronioterap:a, dieioteiupi natu

rale, macrobiotica. magnetoterapia. argilloterapa, riflessoterapia, osteo

patia, chiropratica, yoga, shiatsu. t’ai-chi ch’ùan, ipnosi. training auto

geno, biofeedback, diagnosi astrologica, diagnosi radioestesica, musica

terapia. iridologia, pranoterapia; e l’elenco non fa che allungarsi.

Così, in Italia, legge e giurisprudenza si dibattono nella spirale

di una insolubile problematica in cui, se da un lato si tende a difendere

l’esclusività della competenza del medico in qualsiasi ambito diagnostica-

terapeutico (la quale comporta anche. di fatto, l’esclusività delle respon

sabilità professionali), non per difendere una corporazione, ma per

garantire la preparazione metodologica e tecnica di chi si propone di

trattare la salute altrui, dall’altro non si riesce neppure a valutare, classi

ficare, ed eventualmente accogliere nell’ufficialità, approcci terapeutici

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tra i più disparati che si prestano ad ogni abuso, spesso difficilmentecontrollabile dalla norma generale contenuta nell’art. 348 C.P.

La nostra società, che oscilla tra i due poli opposti dell’accettazione esaltata o del rifiuto sdegnato, si comporta di fatto con unamodalità schizofrenica. Non parliamo di integrazione. Non si può trasferire un gesto terapeutico da una cultura a un’altra, perché diverse sonole strutture simboliche di base; quel gesto diventa mera mimesi tecnicae concettuale.

Ancora un passo dello stesso Relatore va a coincidere con un altromio pensiero. Egli dice, a proposito del training delle VHW: Credenze e pratiche radicate.., erano come accantonate.., per un attimo .

Questa rilevazione sul campo è la controprova del fatto che il cervello umano è l’unico esempio di hardware modificato dal solftware.Quando ha appreso una modalità operativa, ben difficilmente gli puòriuscire di non identificarvisi per tutto il tempo a venire. Al massimo,può accantonarla temporaneamente. Come fa ognuno degli utenti dellecentinaia di centri di agopuntura in Italia, e, suppongo, delta maggiorparte dei medici che vi operano, tutti (nonostante la frequentazione dieventuali corsi extra-universitari) di formazione (e abilitazione) occidentale.

Questa non è più, in questa parte del mondo, l’epoca della me/is,dell’intuizione, dell’intelligenza sottile e obliqua (Rogora), della sintesi,e della modalità illogico-analogica; ma del logos, della razionalità, dell’analisi, del metodo deduttivo-matematico e del metodo induttivo-sperimentale.

Tutto, per quanto ci riguarda, dovrà essere filtrato, provato e riprovato, attraverso le metodologie occidentali. Mentre si susseguono proposte di legge per inquadrare nuovi operatori sanitari, nel mare degliinteressi economici più contrastanti, la scienza affronta con lo scalpellodella propria logica le medicine antiche, e intanto inavvertitamente cambia se stessa. Dopo il vistoso ridimensionamento del trionfalismo microbiologico dell’Ottocento, la nostra Medicina ha aperto fronti nuovi.11 nostro secolo s’è aperto con la riscoperta delle costituzioni; la viapsichica è stata imboccata con le psicoterapie, con il training autogeno( yoga occidentale •) e sue filiazioni, con l’ipnosi medica, con la medicina psicosomatica; la schizofrenia, già ritenuta incurabile, è diventataoggetto di indagine in ambito microsociale, cioè familiare; nei primi

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anni ‘50 è nata con metodi tutti occidentali la cronobiologia; si è iniziato a perseguire sistematicamente in ogni parte del mondo l’iter chepuò condurre dal bosco alla specialità medicinale; è stata fondata laagricoltura biodinamica; sono stati portati avanti discorsi pre-scientificicominciati altrove (vedi l’auricoloterapia, fenomeno non cinese mafrancese; vedi gli sviluppi attuali dell’Omeopatia; vedi il Biofeedback,extrapolazione tecnologica lungo una linea concettuale che passandoattraverso al Training autogeno risale a Yoga e Zen).

Intanto è stata intrapresa la decodificazione dei sistemi non-scientifici. E’ emblematica l’indagine sull’agopuntura. Mentre con criteri statistici si tentava una quantificazione dei risultati, gravati a tutt’oggidal malcelato sospetto di un effetto placebo, fino al 1965 si potevainvocare soltanto un improbabile effetto metamerico (comunque, riferibile al periodo dello sviluppo embrionale); in quell’anno è giunta lateoria del c gate control system di Melzack e Wall; negli anni ‘70 si èscoperta la liberazione endogena di neuromediatori morfinosimili. Beneper quanto attiene agli effetti antalgici, ma come spiegare gli effettisu organi e funzioni e sui loro processi patologici? Si è studiata allora lacito-istologia del punto, considerato zona di concentrazione vegetativa,complesso fibroleiomatoso-vascolare a soglia di resistenza neuroelettricapiù bassa...; si è indagata la sensibilità di un virus alle modificazioni deigradienti elettrici determinate dall’ago lungo i due tipi di meridiani,polarizzati dall’alto in basso (positivi-yang) o dal basso in alto (negativimn). Giunge anche notizia che si studia il Qi sotto l’aspetto bioenergetico ed elettromagnetico.

Altrettanto importante è stato il fenomeno della riappropriazionedelle proprie tradizioni, come è avvenuto in Cina, dove si è creato unerbario con oltre 50.000 campioni di cui si procede all’identificazione,si pubblicano mappe omologate di punti, e si allestiscono manuali ecorsi per medici stranieri, patrocinati dall’OMS.

L’OMS a sua volta, seguendo il suo progetto Salute (= cure sanitarie) per tutti nell’anno 2000 , incoraggia tutti i guaritori tradizionaliper rispondere, prima che alla domanda elitaria di medicina alternativain Occidente, alle esigenze della medicina di base nei PVS.

Questa è un’epoca di grandi mutamenti. Qualcuno ha manifestatol’auspicio che un giorno possa nascere un secondo Galeno, capace diricondurre tutti i canali in un unico fiume. Non credo che questo auspi

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cio sia valido a livello planetario, almeno in tempi brevi. La Medicinaè così intimamente connessa con la globalità culturale che la esprime,che è forse più realistico l’auspicio che possano nascere tanti e distintiGaleni capaci di interpretare e integrare i dinamismi evolutivi all’internodi ogni area culturale della terra.

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MEDICINA POSITIVISTICA E MEDICINA VITALISTICA: DUE

APPROCCI COMPLEMENTARI AL PROBLEMA DELLA SALUTE

di Domenico Volpini

Medicina e cultura.

La medicina costituisce uno dei settori più problematici del complesso culturale unitario di ogni popolo. La sua stretta relazione con

i concetti fondamentali dell’esistenza, quali la vita e la morte, la legadirettamente al livello filosofico-religioso prima ancora che a quelloscientifico tecnico-empirico.

Se questo è vero nell’ambito culturale occidentale moderno (I)caratterizzato, anche se non completamente dominato, dal positivismo

scientifico, ancora di più lo è in quello delle società tradizionali extra

occidentali. Tn esse, in modo particolare, la medicina è intimamenteconnessa con la cosmogonia e la religione, con la visione unitaria della vita che unisce inscindibilmente i viventi e gli antenati (i mortiviventi) — considerati come membri della società — alle forze positive e negative del cosmo e alla divinità, intesa essenzialmente comefonte della forza vitale, ossia, al sistema socio-culturale globale.

L’esempio dei Sakhalin Ainu attualmente viventi nell’isola di Hokkaido può ben illustrare questa realtà. L’unità più significante dellaloro organizzazione sociale è la società dell’universo, piuttosto che lasocietà ainu soltanto. Questo universo fornisce il modello basilare perla classificazione dei vari sottodomini dell’universo ainu. In esso, checonsiste di divinità e di uomini, la struttura simbolica basilare è dia-dica. Il principio classificatorio è costituito dalla fondamentale opposizione binaria tra sacro e profano. Contro l’universo ordinato degli

L) Si pensi ai conflitti socio-culturali e politici sollevati da.ll’approvazionedella legge sull’aborto in Italia e dal relativo referendum abrogativo. O, ancora,si pensi all’impressione prodotta nell’opinione pubblica italiana dal caso dei duegenitori sardi testimoni di Geova, i quali, in nome dei principi religiosi, hannoimpedito che fosse praticata alla figlioletta la trusfusione di sangue, e che poisono stati condannati per la di lei morte, O, infine, si pensi al drammatico dibattito sulla liceilà dell’eutanusia.

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Ainu i démoni costituiscono una anomalia permanente o temporaneache minaccia la stessa base diadica. Questa anomalia concettuale èconsiderata come il fattore causale fondamentale della malattia, laquale, così come è percepita dagli Ainu, coinvolge agenti spirituali —

démoni, deità, anime dei trapassati — e la condotta umana immorale,come agenti patogeni oppure come sorgenti di potere curativo. Lemalattie più gravi, quali le epidemie e la pazzia violenta, si ritieneche siano causate soltanto dai démoni. Le altre malattie sono indicedi disarticolazione nella rete delle relazioni sociali tra gli stessi Ainu,oppure tra gli Ainu e gli esseri dell’universo. Questa frattura ha luogosoltanto quando un Ainu viola il codice morale e sociale (OhnukiTierney, 1980, 137, 148).

L’esempio degli Ainu, mutatis mutandis, vale per quasi tutti glialtri popoli tradizionali extra-occidentali, per i quali, appunto, la salute e la malattia sono da ritenersi strettamente interconnesse con ilsistema socio-culturale globale. Da ciò consegue che soltanto la comprensione di questa realtà più vasta può permetterci di situare al suogiusto posto il settore parziale (nel nostro caso quello medico-sanitario) preso in considerazione e rendercelo comprensibile (Augé, 1976,128).

Relatività culturale del sub-sistema sanitario.

La stretta interconnessione deL sub-sistema medico-sanitario conil complesso unitario del sistema socio-culturale globale dà al priarnil suo reale e profondo significato e al tempo stesso fonda la relatività sostanziale della medicina. Di conseguenza nel panorama etiloantropologico ci troviamo di fronte non alla medicina, ma alle medicine , sostanzialmente diverse e tanto più differenti tra di loroquanto più lo sono i sistemi socio-culturali globali.

Le innumerevoli ricerche etno-antropologiche sul campo ci hanno dimostrato quanto siano diversi tra di loro i presupposti metafisicie teorici sui quali i vari popoli fondano la loro specifica elaborazione dei concetti di salute, malattia, diagnosi, terapia, guarigione, morte, e, di conseguenza, anche l’organizzazione del comportamento inordine, appunto, alla identificazione, alla rimozione, all’arresto, aLl’alleviamento o alla prevenzione dei sintomi della malattia. Tutto inquesto campo si presenta culturalmente relativo. Il « paradigma medico occidentale) (A. Young, 1976, 6) non risulta perciò universal

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mente applicabile, come non può esserlo alcun altro mutuato da singoli sistemi.

A mio avviso, allo stadio attuale delle conoscenze, non è possibile elaborare alcuna teoria generale la cui applicazione renda possibile l’analisi, la comparazione e la comprensione dei vari sistemi medico-sanitari.

La medicina, perciò, pur essendo come altri aspetti fondamentali della cultura (religione, economia, politica, educazione, ecc.), unfenomeno universale — perché tutti i popoli per dare delle rispostealle situazioni patologiche e per migliorare, preservare o ricuperarela salute, hanno elaborato un sistema medico-sanitario — è da considerarsi anche vario. E vero che ovunque il fine ultimo della medicinaè quello di migliorare e prolungare la vita dell’individuo e della società attraverso la conservazione, il ricupero e il potenziamento dcllasalute, ma al di là e dietro l’universalità del nucleo fondamentale della deontologia medica vi è la molteplicità di significati dovuta, comesi è detto, sia all’alterità dei sistemi socio-culturali globali sia alla diversità dei significati dei concetti fondamentali coinvolti: vita, morte,salute, malattia, individuo, corpo, società, ecc.

Sistemi medico-sanitari e relatività dei concetti di persona e di corpo.

a) Individuo - Società.

L’alterità culturale emerge sempre più se si prendono in considerazione e si approfondiscono due concetti fondamentali nell’analisidel fenomeno medico-sanitario: quello di persona (individuo) e quello di corpo.

La malattia, come la cultura, esiste, al di là dell’astrazione, soltanto nelle persone che ne sono portatrici. Sono le persone ad esseremalate e perciò sono esse che vanno curate. Ma sui concetti di persona ,, individuo ‘ e i società ) la cultura occidentale scientifica equelle tradizionali extra-occidentali si differenziano profondamente. Lamedicina scientifica occidentale ha sempre più orientato il suo approccio nell’individualizzazione della malattia; anzi, è andata molto oltrefino a prendere in considerazione, più che l’individuo, le parti malatedel suo organismo perdendo di vista il paziente come persona, ccmeessere vivente considerato nella sua globalità. fino ad affermare, con

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L’epigone del positivismo medico, R. Virchow, che c l’essenza della

malattia è... una parte modificata dell’organismo oppure una cellula

modificata o un modificato aggregato di cellule (tessuto od organo) ‘

(Castiglioni, 1936, 600).

Per la maggior parte delle culture tradizionali extra-occidentaliil concetto di persona supera i confini della stretta individualità perdiffondersi ed espandersi in quello di gruppo sociale (struttura di parentela, classe d’età, società iniziatica, casta, villaggio, ecc.). Per talemotivo quando l’individuo è malato viene preso in considerazione nonsoltanto lui nella sua globalità individuale ‘, ma anche la societàche lo circonda e di cui è ritenuto pane integrante. La malattia dell’individuo diviene così malattia della società, ed è all’interno di quest’ultima che essa viene analizzata e le sue cause diagnosticare. c Sonole relazioni sociali tra i viventi che vengono considerate essenziali peril benessere dei singoli e dei gruppi ‘ (Bernardi, 1984, 8). L’individuoche si ammala non è che la punta dell’iceberg che emerge, la spia

di una patologia sociale. È per questo che i curatori tradizionali, siano

essi sciamani, maghi-erbalisti, esorcisti, medium, profeti, ecc., hanno

tutti l’inchiesta sociale come parte integrante e fondamentale delle loro

metodologie cliniche. Tnnumerevoli sono gli esempi etnografici che si

possono citare in proposito.

Bruce Kapferer, analizzando i rituali dell’ esorcismo maggiorein Sri Lanka, mette in evidenza come le cause principali della malat

tia vengano ricercate ed individuate nei cattivi rapporti sociali interni

o esterni e come tutta la parentela e il vicinato siano coinvolti attivamente. Presentando il primo caso (The BasJ,fui Fiancée) egli scrive:

• La persistenza della malattia di Ranjanie convinse i membri dellasua famiglia e altri parenti ad esaminare più a fondo la natura delleloro relazioni sociali nel tentativo di trovare una spiegazione alla causadella malattia... La malattia, perciò, al tempo stesso produceva esempre più rifletteva un ampio set di problemi relativi alla organiz

zazione sociale della famiglia e all’articolazione di questa nella piùampia comunità . La stessa ottica emerge dal secondo caso (TheGiri Who Heard Voices). « I parenti e i vicini — scrive Kapferer —

allora dettero il loro generale consenso affinché venisse celebrato

un esorcismo maggiore. Molti cominciarono ad esaminare la natura

della loro esperienza sociale in relazione alla malattia di Asoka... Lamalattia di Asoka andò sempre di più simboleggiando una quantità

di problemi che, a quel tempo. travagliavano i membri della sua fami-

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glia e altre persone strettamente ad essi interrelate... L’esorcismo nonfu celebrato nella casa della madre della ragazza, ma nella grandecasa della famiglia (Maha-gedera, la grande casa). Questa rappresentava il centro simbolico di un ampio gruppo di parenti uniti dalegami di discendenza con l’antenato che l’aveva costruita (Kapferer,1979, 112-113).

La stessa prospettiva teorica viene rilevata da Lanternari tra gliNzima del Ghana: Ci sarà sempre — egli scrive — di fronte ad unmalato o ad un morto, un ninsili o un konsenle che, interpellato daifamiliari, saprà dire se la persona stessa o un suo familiare ha commesso una mancanza verso un membro della comunità. Non per nullauna malattia seria, o una morte, diventano occasioni di vere inchieste” etico-giudiziarie presso un esperto (Lantemari, 1972, 99).

Janet F. Kang-Wang, nel suo articolo c Midwife in Taiwan: anAlternative Model for Maternity Care , mette in rilievo la stessa compenetrazione tra individuo e società scrivendo: Si può spesso vedereuna giovane gestante accompagnata da molle donne più anziane andare a chiedere prestazioni e consigli ad un ambulatorio di maternitàretto da una levatrice. In tali circostanze, il più importante elementoper il successo della levatrice è costituito dalla sua abilità nell’interagire con il gruppo di donne nella sua globalità (Kang-Wang, 1980,73).

Nella concezione delle società tradizionali extra-occidentali l’individuo e la società si compenetrano, il concetto di persona si espandein quello di società travalicando i confini entro i quali le concezioniculturali occidentali li definiscono contrapponendoli. La conoscenza ela valutazione di questa realtà è essenziale per la comprensione deivari aspetti della cultura: religioso-morale, giuridico, sanitario, ecc.

b) 11 corpo.

Una delle pratiche didattiche più correnti nell’attuazione di progetti di educazione sanitaria eterogestita tra i popoli del Terzo Mondoè quella di organizzare delle lezioni di anatomia e di fisiologia umanacon l’ausilio di cartelloni o di diapositive che rappresentano la struttura del corpo umano e il suo funzionamento. Vari volontari rientrati — che erano stati impegnati in tale attività e con i quali hoavuto modo di parlare durante i corsi di formazione presso alcuni

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organismi italiani — affermavano che spesso gli adulti illetterati, alzandosi dopo la conferenza, scuotevano la testa dicendo: i Sono cosedei bianchi ,, relativizzando, cosi, le acquisizioni scientifiche occidentali, ritenute invece da noi oggettive e universalmente valide.

Come si dirà più oltre, la concezione chimico-biologica e struttural-funzionalista del corpo e della salute, propria della medicina occidentale, e quella vitalistica, propria della medicina tradizionale dellamaggior parte dei popoli extra-occidentali, partono da presupposti tal

mente diversi l’una dall’altra tanto da rendere i reciproci concetti in-comprensibili se utilizzati fuori dallo specifico contesto culturale. Unaesemplificazione dei concetti di salute in relazione alla concezione delcorpo in diverse culture può aiutare a comprendere meglio la varietàdelle posizioni filosofiche, ideologiche e teoriche sulle quali si fondala loro formulazione e che li rende cultur&mente relativi.

La Costituzione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la salute come uno stato di completo benessere fisico mentale esociale, e non semplicemente assenza di malattia o infermità . L’ideale della salute, tra i vari popoli, si fonda su visioni diverse dell’uomoe dei suoi rapporti con l’universo fisico, sociale e mistico che lo circonda e del quale egli è parte integrante.

Per la medicina occidentale dominante la salute è essenzialmenteuno stato ideale di assenza di malattie o di infermità. Il suo universosi restringe al corpo umano considerato come complesso meccanicoassimilabile, nello stato ottimale, alla macchina perfetta, le cui partie i cui processi sono misurabili e quantificabili. Il medico proc2deperciò dalla conoscenza astratta della normalità strutturale e funzionale di un organismo umano tipo, da criteri di normalità statisticie ideali. I suoi giudizi di adeguatezza si fondano sull’analisi dell’apporto distinto delle differenti parti all’omeostasi del complesso organico unitario per il raggiungimento di un’integrazione e di un equilibrio ideali. In pratica, però, il medico non ha indicazioni positive attendibili per sapere quando l’equilibrio ideale è raggiunto; considerasana la persona che è libera da qualsiasi indizio di malattia o di infermità (Lewis. 1976, 94-95).

La medicina occidentale dominante definisce, perciò, la salute, alivello ideale, come uno stato di perfetta omeostasi dell’organismo individuale considerato meccanicisticamente e astrattamente come siste

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ma interagente di divrse parti e, a livello pratico, come assenza evidente di disfunzioni positivamente rilevabili. Una visione astratta eche tiene in poco o alcun conto l’influenza ambientale, il sociale elo psicologico.

Questa visione dell’uomo, del corpo e della salute — legittimapur se riduttiva e deficitaria — perfettamente consona alla concezioneorganicistica e ‘positivistica sulla quale si fonda la scienza medica occidentale dominante, non è né universale né facilmente comprensibileda altri popoli con concezioni prettamente vitalistiche e spiritualistiche.

Nell’Occidente stesso la moderna medicina omeopatica si discosta sostanzialmente da tale visione. Per essa l’uomo — come scrive A.Negro (2) — è energia equilibrata , dinamismo che si rifiuta diessere inquadrato in schemi statici , forza vitale .. L’uomo sanoè, nella teoria omeopatica, il concreto essere umano più che un tipoastratto; il malato diventa invece il principio ed il termine dello studio fisiologico, e si fa dato reale di ricerca su cui è lecito fondareuna visione sistemica. Di fronte al concetto di uomo sano, costruitoper assemblaggio di dati medi statistici e quindi essenzialmente astrazione (lo diremo universale astratto), e di fronte all’uso pericolosoche di esso si può fare, come base di estrapolazioni terapeutiche, noicerchiamo volta per volta I’. uomo sano che in fatto, e non in concetto emerge da una progressiva liberazione dai suoi limiti costituzionali. L’uomo sano riposa nel fondo di ogni uomo e noi lo individuiamo via via che riusciamo a liberarlo dall’effetto dei miasmi, cioèdalle diatesi croniche che ne offuscano la presenza ed operatività.La sua nozione coincide dunque con la realtà e diventa il terminefinale e concreto del processo terapeutico. E non già il paradigmaastratto su cui misurare lo sforzo terapeutico. Quest’uomo sarà concretamente colui che si bilancia, al meglio, in se stesso e con il suoambiente sicché gode di esistere per sé e nel suo habitat ‘ (A. Negro,1984, 2, 3). La medicina omeopatica moderna con il suo concetto diuomo considerato quale campo di forze in equilibrio in rapporto con

(2) 11 professor Antonio Negro è Presidente dell’Associazione per la Libera Università Internazionale di Medicina Omeopatica • Samuele Hahnemann(L.U.I.M.O.) e Direttore dei Centro di Medicina Omeopatica Tommaso Cigliano (Ce.M.O.N.) con sede a Napoli in via A. Gramsci, 18.

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il cosmo, con la sua nozione terapeutica di recupero e riequilibriodella forza vitale — visioni che le derivano dalla cultura tradizionaleorientale — si pone tra le medicine vitalistiche, anche se i suoi me-lodi di ricerca, fondati sulla sperimentazione e sul principio ippocrateo di similitudine, la legano alla cultura occidentale della quale costituisce un peculiare fenomeno acculturativo.

Bruce Kapferer, nel già citato saggio sui Singalesi buddisti dellacittà di Galle, ci offre un esempio di come un popolo extra-occidentale concepisca in modo completamente diverso da quello della medicina scientifica dominante sia l’ideale della salute sia la visione delcorpo umano e dei suoi rapporti con l’universo fisico, sociale e mistico, che circonda l’uomo, in ordine alla perdita e al ricupero dellasalute stessa.

Una persona in stato di salute — egli scrive — dai Singalesiè considerata contemplante l’ordine soprannaturale dominato dalBuddha. Al di sotto del Buddha vi è una miriade di deità, le piùpotenti delle quali sono i Ouattro Dèi Guardiani (Saman, Nata, Vishnue Kataragama). Subordinate a queste deità vi è una schiera di dèmoni,seguiti dagli spiriti. Dèmoni e spiriti sono soggetti al controllo dolledèità e anche al controllo degli esseri umani che coltivano le virtùbuddiste e che esercitano il loro controllo con l’assistenza di specifiche deità le quali si crede che esercitino la loro autorità direttamentesu certi dèmoni.

Le deità e i dèmoni sono concettualizzati come abitanti i lorodistinti e separati « mondi , (loka). Ouando i dèmoni attaccano, iprocessi fisiologici e mentali del paziente sono sconvolti.

Gli esorcisti applicano la teoria umorale di causalità della malattia, gli umori basilari del corpo sono sangue e bile (pita), flemma(sema) e vento (vara). Nel corpo umano sano gli umori sono concepiti in stato di equilibrio. Dèmoni specifici attaccano alcuni umoricausando uno squilibrio umorale generale, che è manifestato da particolari sintomi fisici. Così Mahasoma causa uno squilibrio nell’umoredel vento, mentre Riri Yakka, il dèmone del sangue, causa uno squilibrio nell’umore della bile. I pazienti afflitti da Mahasoma manifestano sintomi tipici quali vertigini, mal di testa, dissenteria e vomito.Tutte le volte che i pazienti hanno febbre alta, polso rapido, sanguenelle feci, nelle urine o nel vomito, questi sono indicati come affettida Riri Yakka. I dèmoni delle malattie infettive (sonni] attaccano

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principalmente l’umore della flemma, ma alcuni di essi attaccano altriumori. I dèmoni che attaccano l’umore della flemma sono indicati dasintomi quali foruncoli purulenti bianchi, raffreddore di testa, congestione bronchiale, e così via, (Kapferer, 1979, 114-115).

Come si nota i criteri fisici e biologici propri della medicinaoccidentale sono sostituiti da altri eminentemente vitalistici, spiritua -

listici e sociali.

La stessa difformità dai concetto occidentale di salute e di corpola possiamo rilevare da un altro esempio tratto da un contesto etnologico diverso: un villaggio egiziano.

Soheir A. Morsy. in un suo studio sul concetto di corpo in rapportò alla salute in un villaggio egiziano così si esprime: Prendendoin considerazione le credenze riguardanti il corpo in relazione alla malattia, è evidente che per la popolazione di FatiHa il funzionamentoregolare e appropriato del corpo non è indipendente dall’ambente. Lacausa della malattia, che riceve più enfasi nella diagnosi, è definitain termini di interazioni del corpo con l’ambiente. Il corpo è concepito come un complesso, misterioso serbatoio (reservoir) che percepisce ed è soggetto agli effetti dell’ambiente naturale, soprannaturalee sociale che circonda l’individuo. I sintomi di una malattia e la suagravità sono importanti come manifestazioni dell’azione dei fattoricausali. Di minima importanza come indici diagnostici associati allamalattia sono i processi fisiologico-anatomici. La patologia è l’aspetto meno eh±orato della diagnosi medica del villaggio... Esaminandole concezioni circa il corpo e la loro relazione con la malattia pressola gente di FatiHa, è evidente che la logica che sottostà a tali concezioni è in contraddizione con quella del modello biomedico sul qualeè basato il trattamento medico cosmopolita io (Morsy, 1980, 93-95).

Una più ampia esemplificazione etnografica non farebbe che confermare ulteriormente la varietà delle concezioni culturali circa il corpo in relazione alla malattia e all’organizzazione sia della società siadell’universo. Per avere un esempio sintetico di tali correlazioni bastaleggere Dio d’acqua di Griaule e osservare la Tavola delle corrispondenze che sintetizza l’universo culturale dogon e vedere comele voci sesso, corpo, membra, organi, sessi, forme dei due sessi, dita,siano interconnesse da relazioni simboliche, analogiche, mistiche all intero cosmo (Griaule, 1968, 260-61). Il medico occidentale può nonessere scientificamente d’accordo con tali visioni, ma una cosa è certa:

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se non le conosce e non le prende in considerazione non potrà maistabilire un dialogo costruttivo con il popolo extra-occidentale in mez

zo al quale svolge il suo lavoro, specialmente in campo educativo-sanitario.

Organicùmo positivistico e vitalismo ,nisrico-religioso: due approcc

diversi e complementari alla conoscenza dell’uomo e del cosmo.

L’alterità sostanziale dei vari sistemi medico-sanitari, lo si è già

detto, yiene generata, ancor più che dalla diversità dei singoli concetti, dalla varietà dei quadri teorici generali — metafisici e logici —

nei quali tali sistemi sanitari si inquadrano e dai quali traggono significato gli stessi concetti singoli.

Nella società occidentale la medicina dominante, lo si è giàdetto, ha come quadro di riferimento quello scientifico-sperimentalepositivistico. Nata con Ippocrate e Galeno, sviluppatasi in un milieu culturale correlato con la logica greca, fondata sul metodo anatomo-clinico, alleata delle scienze sperimentali, ... sostenuta da un metodo scientifico rigoroso e immutabile.., nasce dallo studio diretto eiftdiretto della realtà sensibile; usa un linguaggio rigoroso che non sipresta ad equivoci o doppi sensi, tendendo a tradurre i fenomeni inlinguaggio matematico’ (Tugnoli, 1981, 104, 106). Nonostante ilsorgere in Occidente di medicine sincretiche, o raffermarsi progressivo della medicina sociale e di quella psico-somatica, in medicinaoccidentale moderna permane essenzialmente organicistica e divienesempre più frammentaria e specialistica. Considera l’uomo come sistema organico di elementi chimici, biologici e fisiologici strutturatia livelli sempre più complessi (elementi chimici, cellule, organi, apparati e sistemi) in relazione funzionale tra di loro e in lotta con l’ambiente esterno, più o meno sfavorevole, e in particolar modo congli agenti patogeni (microrganismi, quali i virus, i batteri e i funghi,oppure macrorganismi quali i vermi o gli insetti). Lo squilibrio e lamorte sono provocati dalla carenza di elementi chimici e dalla perdita di funzionalità o di funzionamento di alcuni elementi del sistema, che il medico deve riuscire, attraverso l’intervento tecnico-terapeutico, a ricondurre all’omeostasi. In questo processo il centro focale dell’attenzione diviene l’organo malato sui quale intervenire alivello puramente tecnico sia fisico che chimico. Di qui l’enorme svi

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luppo delle specializzazioni, da una parte, e della chimica farmacologica e della fisica applicata, dall’altra. In questi ambiti i traguardidella medicina dominante sembrano non avere più limiti. Essa ha raggiunto eccezionali livelli di sviluppo. Giornalmente assistiamo ai miracoli della terapia, della chirurgia e della tecnologia applicata. Ma dietro i suoi trionfi essa cela le sue miserie: è aggressiva, lesiva e disumana (‘rugnoli, 1981, 107), e soprattutto sta diventando sempre piùun enorme sistema di produzione del profitto, nel quale tutto è mercificato; la sopravvivenza stessa è posta sul mercato regolato dallalegge della domanda e dell’offerta e gestito dai signori della vita .

Nei sistemi socio-culturali tradizionali del Terzo Mondo la medicina — anche se l’attività curativa e sanitaria ha valore economico— non ha scopi di profitto né è fondata su basi scientifico-positivistiche.

Posvibilirà di dialogo

Ma allora è possibile un dialogo tra ID medicine cxtra-occidentalie quella scientifica? e su quale base?

In un suo saggio pregevole sulle cause della malattia nella medicina tradizionale africana, David Nyamwaya tenta di individuare unterreno comune di dialogo tra medicina occidentale e medicina tradizionale africana sul piano fisio-chimico, che sarebbe comune ad ambedue, afferniando che c sia nella medicina tradizionale africana sia inquella occidentale la causa della malattia è percepita in primo luogoe principalmente come patologia fisiologica (eccetto, ovviamente, peralcuni problemi psicologici). La medicina tradizionale africana — egliscrive — va oltre la patologia fisiologica e abbraccia altri ambiti delsistema, (Nyamwaya, 1984, 3). Seguendo O. Lewis (1976, 90), eglidistingue il concetto di de,vease da quello di illne,ss specificando chela illness è determinata dalle concezioni particolari di individui e culture, ed è perciò di natura sociale e psicologica, mentre la deseasepuò essere vista come una condizione universale, una anormalità paa1ogica rilevata da un set di sintomi e d2finita da criteri di naturabiologica. Dopo di ciò, egli passa a distinguere nella illness, che è ilconcetto con il quale meglio si defi iisce la ma1attia nella medicnaafricana, tre possibili categorie di cause o tre livelli di causalità. 1

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tre livelli, ad ognuno dei quali la causalità acquista diverso significato, sono:

1) quello fisio-chimico (considerato come naturale), che puòincludere anche fattori psicologici;

2) quello inter-personale;

3) quello spirituale.

Seguendo Evans-Pritchard (1937, 72-73) e Gluckman (1960, 83,90), egli distingue nella ricerca della spiegazione il livello del e come da quello del perché e indica il primo livello di causalità(quello fisio-chimico) come livello del come e gli altri due comelivelli del « perché . Infine individua un terreno comune di dialogoe di comprensione reciproca tra la medicina africana e quella occidentale nella categoria di cause del primo livello.

Pur riaffermando la pregevolezza del saggio di Nyamwaya, nonposso esimermi dall’esaminare criticamente queste sue affermazioni inquanto il loro approfondimento critico può aiutarci a rilevare megliola estensione e la significatività dell’alterità derivante per la medicinadai diversi quadri culturali generali e dal diverso approccio (scieitifico-positivistico o vitalistico) conoscitivo.

Considerati in relazione allo specifico contesto culturale africano,che solo può esplicitarne il significato, i termini utilizzati da Nyamwaya per descrivere il primo livello — e phvsio-chenucal (usual!y re

ferred Io as natura!) with may include psychological jactors (Namwaya, 1984, 6) o i «crireria of a biologica! nature’ (Lewis, 1976,90) — risultano essere molto equivoci. Infatti, partendo dal terminepiù generale, quello di natura si può facilmente rilevare come lanatura sia concepita in modo sostanzialmente diverso da culture diverse. Per O. Lewis la frase e criteri di natura biologica significae i criteri propri della scienza biologica e perciò totalmente assentinella cultura dei Gnau della Nuova Guinea che egli analizza; infatti,è proprio con significato di distinzione che egli utilizza tali crinri,ritenendoli oggettivi, per distinguere il concetto di desease, propriodella medicina scientifica, da quello di i!!ness, che invece sarebbe pregno di soggettività psicologica e culturale, e che può essere applicatoanche all’analisi delle medicine non scientifiche extra-occidentali.

Un’analisi più attenta dei termini e biologico t, « fisiologico e« chimico » mette bene in rilievo la relatività e l’equivocità del loro

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significato se utilizzati in un contesto culturale a loro estraneo. I criteri biologici della scienza sperimentale occidentale, — lo si è giàripetutamente affermato — sono del tutto estranei alle culture tradizionali sia africane che di altre aree del Terzo Mondo. Esse, infatti,non contemplano un mondo organico con esseri viventi formati daelementi chimici organizzati in cellule attaccate da microrganismi (agenti patogeni esterni). Non concepiscono l’uomo come sistema anatomofisiologico formato da una interrelazione funzionale di cellule, organi,apparati e sistemi. La stessa cosa si può affermare della natura chimica delle cause della malattia. Non mi riulta che tra le cultureafricane ve ne sia alcuna che legga ed interpreti la natura (corpoumano compreso) nei termini chimici propri della patologia e dellafarmacologia occidentali.

Quando Nyamwaya scrive che « l’evidenza etnografica suggerisceche le società africane riconoscono il fatto che un disturbo delle partidel corpo da parte di sostanze o di organismi nocivi può causare lamalattia ‘ (Nyamwaya, 1984, 6), o che i membri delle quattro società africane (Zulu, Nyakyusa, Gusii, Mandari) da lui prese in considerazione tentano, come primo passo, un’osservazione empiricadel paziente e del suo ambiente fisico per cercare di attribuire la malattia a qualche fattore a loro familiare , per dimostrare che sia lamedicina occidentale sia quella africana hanno una base minima empirica fisio-chimica comune, non tiene conto che i termini (parti, corpo, sostanze, organismo, ambiente fisico) hanno significato (contenuto semantico) del tutto diverso nella scienza occidentale e nellaconoscenza tradizionale africana. Non si tratta di livelli diversi di approfondimento scientifico del c piano empirico , ma piuttosto di unadiversa lettura della realtà. Ci si trova di fronte a due approcci differenti, a mio avviso complementari, l’uno empirico-positivistico sperimentale, l’altro vitalistico, magico, mistico e religioso, che punta ilsuo obiettivo sulle energie positive e negative che circolano nell’universo. del quale l’uomo è parte integrante, e che costituiscono per leculture tradizionali extra-occidentali la quint’essenza della « natura (3).Quando ad un africano viene il mal di stomaco perché ha mangiato

(3) Per quanto riguarda il dibattito su posilivismo scientifico e vitalismumetafisico nella cultura occidentale si rimanda il lettore a due brevi, ma interessanti saggi di E. Borlone (cfr. bibliografia).

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un cibo avariato, e sa che l’averlo fatto è dipeso da imprudenza personale, è vero che non mette l’evento patologico in re!3zione con Istregoneria o con una punizione degli antenati e ne dà una spiegazione « naturale , ma è proprio nella concezione della « natura » chesi discosta dalla medicina occidentale. Egli non ragiona certo in termine di tossine che provocano reazioni biochimiche e biofisiche nelsuo sistema organico. Quella alla quale egli fa riferimento è una natura concepita in modo sostanzialmente diverso e che perciò rendealtro il suo concetto di malattia. A mio avviso, perciò, un comuncterreno di incontro e di dialogo, che permetta di raggiungere un arriccliimento culturale reciproco, va ricercato, più che su di un equivoco livello fisio-chimico comune, sulla complementarietà dei differenti approcci e sulle acquisizioni che i diversi processi conoscitivi,che da tali approcci sono scaturiti, hanno raggiunto.

Energia e materia: due vie d’accesso al « viaggio della conoscenza.

Quello organico-positivistico e quello vitalistico sono, dunque,due approcci diversi e complementari alla conoscenza dell’uomo e delcosmo. La nostra scienza sperimentale ha rilevato che l’universo èuna realtà che ci si presenta sotto due stati: quello di materia equello di energia, quello della struttura e quello delle forze dinamiche. Le scienze sperimentali occidentali — tra le quali la nostra medicina si colloca — hanno intrapreso il viaggio della conoscenza entrando dalla « porta ‘ della materia, della struttura, dividendone glielementi fino alla individuazione di particelle sub-atomiche sempre piùpiccole, dalla divisione delle quali si sprigiona energia sempre più potente. In tal modo, partendo dalla materia, sono .giunte all’energia.

La conoscenza mistico-magica delle culture tradizionali extra-occidentali parte, invece, direttamente dall’4c energia » in atto. Tenta diindividuare nelle persone, negli animali, nelle piante e nelle cose le« energie positive e negative, la forza vitale », e attraverso divrsicomplessi teorici, metodologici e tecnici ne tenta il controllo. L’uomo,come lo stesso universo, viene così concepto come un campo di forze, di energie che deve essere in equilibrio.

Lo yogin, per fare un esempio, non conosce l’anatomia, la fisiologia o la biologia molecolare, né ha conoscenze di chimica o di fisica atomica, tuttavia riesce a controllare le funzioni del proprio or-

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ganismo e a liberare energie e forza vitale ‘ come nessuno scienziato occidentale è mai sinora riuscito a fare. TI seguente brano, trattodalla già citata opera del Prof. Tugnoli, rende molto bene la diff:coltà di spiegare in un linguaggio scientifico occidentale fenomeni realizzati attraverso l’approccio vitalistico, anche se minuziosamente controllati per mezzo degli strumenti tecnologici più sofisticati della nostra scienza.

« Vi sono — scrive Tugnoli — tecniche e traguardi, che nonfanno parte dell’iter consueto dello yogin, particolarmente rivolti alsistema cardiovascolare, ma che testimoniano della potenza del prànàyàma. Qui ci riferiamo all’arresto volontario del cuore e allo statodi vita controllata che permette l’inumazione per periodi più o menolunghi... Quanto all’arresto del cuore, Brosse (4) precisa in cosa consiste la speciale modalità yogica: scompare ogni polso periferico, lapressione arteriosa non è più riLevabile, non si ascoltano più i tonicardiaci né si palpano più le pulsazioni del cuore, ma il cuore è sempre attivo ai controlli radiologici ed elettrocardiografici. Dopo una seguenza di tecniche del Prànyàma (Ujjayi, KI, Uddiyànabandha... insieme alle opportune fomw di concentrazione mentale), lo yogin arresta clinicamente il cuore. L’elettrocardiogramma mostra certe anomalie che Brosse scruta cercando di agganciarle, ma con scarso risultato.a una qualche nosologia. Tra gli elementi invocati per spiegare il fenomeno è classico il prioritario riferimento al meccanismo posto inatto dalla inspirazione forzata (manovra Valsalva) che ostacola il circolo di ritorno.

Passiamo allo stato di vita controllata che permette l’interramento. Dopo una seguenza del Priinyàma (KE, Kl, e Uddiyànabandhain serie) lo yogin, che in questo caso è sotto controllo aneriografico,elettrocardiografico e pneumografico (cosicclé si registrL no l’onda pulsatile, le correnti elettriche del cuore, e i movimenti respiratori, contemporaneamente), realizza tale stato fisiologico. Questo però non corrisponde affatto, come ci si potrebbe aspettare, a quello dell’iberna

(4) ta Dr.ssa Thérèse Srosse ha condotto per molti anni un’indaLinescentifica con lo scopo di verificare scrumernalmenie le tecniche yoga. L risultatidella sua ricerca sono pubblicati nella sua opera Èn,des i,utruniqntalex des terniqi,es div Yoga. Scale Franaise d’Extrème-Oricnt. Paris. 1976.

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zione: non ci sono testimonianze del tipico rallentamento biologicoche comporterebbe innanzi tutto una bradicardia associata alle notemodificazioni elettrocardiografiche. C’è solo un ritmo normale tachicardico con scomparsa temporanea dell’onda P.

Che spiegazione dare? Leggendo quelle dell’autrice (Brosse) csembra di rivivere la stessa vaga perplessità con cui noi stessi (dmentalità cartesiana come lei) abbiamo espresso le precedenti interpretazioni fanta-fisiologiche (5). Dopo decenni di osservazioni e diregistrazioni strumentali..., immaginiamo la pervicace studiosa, con lemani ricolme di tracciati vettocardiografici, balistocardiografici, ed altri di ogni sorta, a cui vorrebbe finalmente strappare una verità cheessi, più pervicaci, non concedono... inclinarsi infine ad esprimersicon linguaggio e concetti che nessuna documentazione grafica puòavallare (6).... Non si tratta di vita rallentata, ella dice, piuttosto loyogin traspone le sue condizioni di omeostasi dal piano laterale degliscambi con l’ambiente esterno, a un piano di interiorità verticaletale da suscitare relazioni organismiche nuove che si servono di energie gerarchizzate abitualmente silenti; una sorta di respirazione a circuito chiuso di tipo embrionario (secondo la terminologia degli antichi taoisti). Del resto nessun tracciato elettroencefalografico ricordamai stati di sonno, o di sonnolenza, o di ibernazione, né mostra reazioni a stimoli esterni, quasi che l’attenzione dello yogin si sposti dallivello fenomenale (corticale) a quello dell’attenzione - indeterminata inrelazione con un meccanismo sottocorticale profondo (nucleo o sistema centroencefalico di integrazione di Pinfield) che mobiliterebbe forme nuove di prànà associate a nuovi stati di coscienza, e, in asseizadi apporto energetico cosmico, un’altra energia, prima dormiente, silibera in situ. il risveglio di Kundaliny. Lo stato che conseguc aquesta risalita e riorganizzazione energetica, è il Samdhi fisiologico ‘

(Tugnoli, 1981, 309-1 1).

Le conclusioni sono eloquenti e mi sembra che confermino lamia ipotesi. La conoscenza yogica, a differenza di quella scientificaoccidentale, punta direttamente (con concetti suoi propri) alla com

(5) Per una più estesa trattazione si rimanda al Cap. 18 Confronto trastati: Tpnotico, Sofronico, Autoipnotico, Autogeno , deII’oj,. nt. del Prof. Tugnoli.

(6) Il corsivo è mio.

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prensione e al dominio dell’€ energia (prnà) e raggiunge risultaticulturali di altissimo livello senza bisogno di passare attraverso lostudio della materia e del suo strutturarsi. Essa, nella sua evoluzione,intraprendendo il « viaggio conoscitivo dalla porta) dell’energia,non passa per la conoscenza positivistica (chimica e bio-fisiologica)dell’organismo umano, ma va direttamente all’individuazione della forza vitale e del suo esplicarsi e circolare nel cosmo e nell’uomo, e,attraverso metodi e tecniche sempre più raffinate, ne persegue la massima utilizzazione.

Le stesse considerazioni possono farsi per le concezioni teorichee le realizzazioni tecniche pratiche (la più conosciuta in Occidente èragopuntura) proprie della medicina cinese. In essa il bioritmo è legato alla perenne alternanza dei principi mn e Yang e l’uomo è concepito come campo percorso da energie. La salute è, a sua volta,legata all’equilibrio del microcosmo interiore in seno ad un cosmoin perenne evoluzione ciclica.

Analoga conoscenza e dominio di forze • extra-scientifiche mostra il mago-erbalista tharaka quando riesce a dar vita a fenomenidi telecinesi facendo danzare, senza toccarli, i corni che fanno partedel suo apparato tccnico davanti al paziente, così come raccontaJacinta Mburi, studentessa tharaka, nel seguente brano di intervista:

Nell’aprile del 1970 ero gravemente malata e mi dettero una mistura di radici e foglie di un certo albero e guarii. Era molto cattvadi sapore. Murugori (il mago-erbalista) aveva dei - corni che danzavano. Era veramente un fatto che stupiva il vedere un corno chedanzava) (cfr. Volpini, 1984, 78).

Sia che venga concettualizzata come Pranà dagli Indu, come Ch’!,mn o Yang dai Cinesi, come Mana dai Polinesiani, Noinnio dai Dogon dell’Africa occidentale, o come spiriti o dèmoni da altri popoli,è sempre l’ct energia », quello spiritus di cui, secondo Ippocrate, quodenim coelum et terram interiacet... plenum est neque enim natantiaanimantia sine spiritu vivere possent (Anutio Fesio, 1596, 274).

Con i suoi limiti e le sue carenze, quello vitalistico costituisceun approccio diverso ma non meno importante del nostro, che, daparte sua, solleva non meno perplessità ed interrogativi.

da tener presente che dall’approccio vitalistico sono scaturiteconoscenze e pratiche mediche tutt’altro che semplici. A tal riguardobasta pensare alla complessità filosofico-teorico-concettuale e tecnica

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della medicina cinese o di quella indù. Ma non solo di esse. J.C.Young (1978, 81-87) mette in rilievo la complessità, la coerenza ela peculiarità della medicina tradizionale di un centro messicano attraverso l’analisi dei clusiers (Anderberg, 1973, Xl) e le tecniche dellohierarchical clustering (Johnson, 1967; D’Andrade et al., 1972) individuando i raggruppamenti ideali e logici dei termini indicanti le malattie e gli attributi che le definiscono nella cultura tradizionale. C.O.Frake (1961, 31) descrivendo la classificazione clinica delle malattiesecondo la cultura medica dei Subanum delle Filippine, fornisce 186nomi di malattie umane, e ben 724 ricette alternative per prepararemedicinali e medicamenti erbalistici. La formazione di un mago-erba-lista tharaka contempla non meno di nove anni di apprendistato durante i quali dal maestro l’allievo, che deve essere già uomo di mezzaetà (della prima sezione d’età della classe degli anziani), apprende laconoscenza della classificazione delle malattie secondo la patologia ‘

tharaka e impara ad individuarle e a scoprirne le cause attraverso lapropria esperienza e perspicacia e attraverso le tecnche dzlla divinazione;deve imparare a riconoscere decine e decine di piante, radici, elementi naturali (quali polveri, grassi, olii, ecc.) con i quali prepararei farmaci (nzithiga e ndawa), nonché tutti i complessi riti per diagnosticare e curare (Volpini, 1978. 55-60).

Dialogo e problema del linguaggio.

L’approccio magico-mistico vitalistico pur essendo diverso daquello scientifico-positivistico è da ritenersi tutt’altro che trascurabile. A mio avviso, proprio dalle caratteristiche di alterità ‘ e dicomplementarietà, da una parte, e dai pregi e difetti di ciascun approccio, dall’altra, può derivare la spinta al dialogo e la possibilitàdi effettuarlo. La comprensione culturale reciproca può effettuarsi, comunque, soltanto se ogni approccio viene preso in considerazione epenetrato con il suo linguaggio , con il suo bagaglio concettuale,secondo il suo statuto scientifico . Il lungo brano citato, riguardante gli alti traguardi raggiunti dallo Yoga Prànàyma, ci mostra laBrosse piegarsi ad esprimersi con linguaggio e concetti propri dellaterminologia degli antichi taoisti. In una sua conferenza all’istitutoSuperiore della Sanità il Prof. A. Negro esprime molto chiaramentela sua critica nei confronti della pretesa della scienza occidentale dominante di voler ridurre tutto ai propri concetti e schemi conoscitivi:

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c Vorrà rilevare — egli dice — solamente che, quando ad esempio,si offre al terapeuta occidentale, formatosi in una concezione biochimica dell’uomo, una diversa lettura che considera invece l’essere umano primariamente come equilibrio energetico — mi riferisco all’agopuntura — istintivamente questi cercherà di comprendere il fatto ne!le categorie che gli sono familiari e di fagocitarlo. Esigenza comprensibilissima, ma non tale da giustificare il rifiuto della teoria su cuiquei risultati si fondavano. Ed infatti se, in base a quello statuto epistemologico, è stato costruito un sistema di lettura, di effetti e diregole per onenerli, non è lecito alla scienza dominante sorridere di

quel sistema e di pretendere che esso si esponga nei termini della cultura corrente... La difficoltà per l’omeopatia di dialogare con la medicina allopatica consiste proprio in ciò: rendere conto di sé in unalingua che non le è propria, in un sistema che non le appartiene(Negro, 1984, 1-2).

La difficoltà linguistico-concettuale del medico omeopatico è lastessa nella quale viene a trovarsi qualsiasi esponente di sistemi conoscitivi diversi da quello scientifico occidentale ogni volta che instauraun dialogo con i rappresentanti di quest’ultimo; questo accade principalmente perché la scienza dominante pretende di imporre il propriolinguaggio come medium universale di intercomunicazione presentandolo, tra l’altro, come l’unico oggettivo, adeguato e non mistificante.

La comunicazione è stata finora fortemente ostacolata da taleposizione monocentrica egemonica. Una conoscenza reciproca culturalmente costruttiva richiede di necessità il suo superamento, con ilriconoscimento ad ognuno di esprimersi con il proprio linguaggio secondo i concetti teorici del proprio approccio, senza inutili con fusioni e nel rispetto reciproco.

Scontro-incontro: l’Occidente acculturato.

Nonostante le difficoltà linguistico-concettuali le medicine € al-ire stanno conquistando l’Occidente e mettendo in crisi la medicinascientifica ufficiate, facendo scricchiolare le pone del sistema chiusonel quale si è arroccata sicura.

Nel suo saggio c Urban folk medicine ‘ (1978) lrwin Press presenta i vari sistemi medico-popolari come € apzni ‘. ossia, strettamente interrelati agli aspetti economico, familiare, rituale, morale, ecc.,

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mentre, citando Manning e Fabrega (1973, 290), considera la medcina scientifica occidentale come sistema « chiuso ,, basato su conoscenze, tecniche e procedure accuratamente definite, che lo isolanodal contesto socio-culturale specifico. Mi sembra che la realtà odiernanon corrisponda più a questa netta contrapposizione. Certo, come siè già detto, la medicina occidentale si fonda su di un approccio positivistico-sperimentale considerato come universalmente valido e noninfluenzato molto da variabili socio-psichiche e culturali. Attualmente,però, la visione organicistica di base è incrinata dallo sviluppo dellamedicina sociale e psico-somatica, nonché dal crescente interesse dimostrato da masse sempre più consistenti di utenti, che, frustrati dagli insuccessi e spaventati dall’aggressività e dalla disumanizzazionedella medicina scientifica nonché dalla lesività derivante dagli effettisecondari dei farmaci chimici, si rivolgono alle medicine alternative.Il fenomeno investe l’Occidente nella sua globalità creando una verae propria controcultura medico-sanitaria. Craig A. Molgaard, Elizabeth L. Byerly e Charles T. Snow in un loro saggio affermano chela controcultura è oggi fondamentalmente interessata alla medicina ealle terapie olistiche, come è evidenziato dalla molteplicità dei centridi cura e dalle scuole negli Stati Uniti e nel Canada — la maggiorpane dei quali sorge negli Stati costieri del Pacifico e nel Colorado— che sponsorizzano workshops, riunioni curative e pubblicazioni. Gliautori, che hanno svolto una ricerca sul campo in uno di questi NewAge Healing Center ‘ situato nell’area centrosettentrionale dello Statodi Washington, e che essi chiamano con lo pseudonimo di AgniCircle, ci informano che vi si tengono lezioni di massaggio, hatha ycga,anatomia, astrologia e anche workshops partecipate chiamate « curando noi stessi » (healing ourvelves). Il centro organizza anche cmvegni curativi. All’ultimo di quelli che hanno avuto luogo prima dellapubblicazione de! saggio hanno preso parte più di duemila persone.Il carattere di intercompenetrazione culturale del centro viene messobene in rilievo dagli autori quando ci informano che gli elementi medico-filosofici sui quali fonda le sue attività includono aspetti di medicina ayurvedica. cinese, nativo-americana, chiropratica, naturopratica, omeopatica e in più la « Bach Flowers Remedies ‘, medicinabasata sul valore terapeutico dei fiori sviluppata da Edward Bach nel1920 e 1930 (Molgaard, Byerly e Snow, 1979).

La situazione degli Stati Uniti ha riscontri anche in Italia. Iprimi risultati di una indagine sulla medicina alLernativa in Bologna.avviata lo scorso anno dalla Sezione di Antropologia Sociale e CuI-

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turale del Dipartimento di Sociologia dell’università di Bologna, mostrano che non soltanto il capoluogo emiliano, ma l’Italia tutta èdisseminata di centri di diffusione e di terapia di medicine extraoccidentali o di medicine alternative sorte dal processo di scontroincontro della medicina occidentale con esse. La seguente tabella,relativa alla città di Bologna, ci dà un’idea della consistenza del fenomeno:

. TerapieArti medi- Danze

NOME PALESTRA O CLUB Yoga mar- che Medi- Cucina afroziali extra- tazione prlm.

Occ.

ACCADEMIA DISCIPLINE CINESI x

ALAN DANCE STUDIO x x

ASS. NAThRISTA BOLOGNESE x x x x x

ATHLON PALESTRA x x

AYKNEI x x X

BUSHIDO Y. C. FUMAKOSHI K.

CENTRO SPORTIVO S. MAMMOLO x x x x

CHOREA x

MUSOKAN CLUB x x x

FUNAKOSHI CLUB PALESTRA x x

DIMENSIONE DONNA X

EFESO CLUB X X X

MEETING POINT x x

KSENYA CLUB x x x

KODOKAN ASS. SPORTIVA x x x

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TerapieArti medi- Danze

NOME PALESTRA O CLUB Voga mar- che Medi- Cucina afro.Ziali extra- cuzione prim.

Occ.

CENTRO DEL DHARMA x x x

FARNESINA CLUB x

lAMA DOYO x x

SUDO KARATE CLUB BOLOGNA x

KAWAISHI CIRCOLO x x

KOIZUMI CLUB x x

KUNG FU CLUB X

KUNG FU WU SBU CENTER x

LEONDE x X

MARATON CLUB X X

NEMEA

FANTASY CLUB X

PALESTRA SOLARIS X

SHOTOKAN CLUB x 21 21

SQUASH CENTER

SUPER REFRAN CLUB 21

KOIZUMI 21 21

CENTRO STUDIO DISCIPLINE DEL 21 21

CENTRO INTERNAZIONALE DEGli 21 X X

in quasi tutte le palestre di quartiere x

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L’entità del processo acculturativo viene meglio compresa se si

pensa, per esempio, che l’Associazione Naturista Bolognese, centro

di interrelazioni culturali extra-occidentali indiane, cinesi, giappones

e perfino amazzoniche, conta circa tremila soci iscritti e molte centi

naia di simpatizzanti non iscritti che accompagnati da soci visitano i

ristorante e lo spaccio. I centri più importanti invitano spesso a pre

siedere convegni Guru e Lama di fama mondiale, ai quali interven

gono centinaia di partecipanti. Ad uno di questi, tenuto nell’estatc

I 985 nella villa Guastavillani, sono intervenute più di 300 persone.

È durato 3 giorni. Il (medico , giapponese Naboru Muramoto, au

tore del manuale pràtico di medicina orientale 11 medico di se stesso,

ha parlato di vari problemi medico-sanitari (compreso l’AIDS e il

cancro), ne ha illustrato le cause e le possibili terapie secondo l’ap

proccio prevalentemente macrobiotico, citando direttamente Georg

Ohsawa (Nyoti Sakurazaura), del quale si dichiara seguace.

In città operano anche medici antroposofi e medici omeopatiti

Oltre un certo numero di pranoterapisti e guaritori vi è anche un

medico (laureato in medicina) che è mago-guaritore.

Nel resto delle regioni italiane la situazione è analoga, ma con

intensità (per quanto riguarda influssi extra-occidentali) direttamente

proporzionale allo sviluppo economico-industriale: si hanno molti più

centri al Nord e nelle grandi città che non al Sud e nelle piccole

città.

Da una Guida al Vivere Sani in Italia (1982), a cura del Centro

di Bubiotica, edita da A. Mondadori, si possono estrarre alcuni dati

che danno l’idea indicativa del fenomeno globale a livello nazionale (7).

In Italia si hanno 140 centri Yoga, nei quali si pratica anche la

meditazione (8); 12 centri di Tai Chi Chuan (9); 19 centri di Do-In (IO);

(7) 1 dati forniti non sono esaustivi della realtà attuale in quanto essa

è in continua espansione e dal 1982 ad oggi sia i centri che gli operatori si

sono moltiplicati.

(8) da tener presente che quasi tolti i centri sportivi e le grosse pale

stre esistenti in Italia hanno nei loro programmi corsi di Yoga.

(9) Tal Chi Chuan: disciplina cinese psico-fisica risalente al VI sec. a.C.

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36 centri di Shiatzu (11); 13 centri nei quali si tengono coni di agopuntura per medici e 29 centri di terapia; l’Associazione VegetarianaItaliana ha, oltre alla sede centrale, 11 sezioni dislocate nel territorionazionale; la medicina ayurvedica è presente con l’International Association Ayurveda & Naturopaty; la medicina tibetana ha 2 centrid’informazione; in varie parti d’Italia si insegnano tecniche di meditazione yoga, tuo, mandata, zen, sannyasi. Nella Libera UniversitàInternazionale degli Studi G. Galilei di Conegliano Veneto (TV) enel Centro Internazionale degli Studi della Nuova Medicina di Bologna si tengono corsi per medici di agopuntura, auricolomedicina, agopressioni, aromaterapia, cromoterapia, e di altre medicine dolci ,.

Delle medicine occidentali nate da sintesi acculturative le piùantiche e attualmente in auge sono quella antroposofica e quella omeopatica. Della prima la guida registra 3 centri nei quali si tengono corsiper medici e 25 medici antroposofi che operano sul territorio nazionale. La seconda ha una espansione maggiore con 14 centri per coniper medici, 23 centri di terapia e un numero sempre crescente dimedici che la praticano e circa 450 farmacie che vendono prodottiomeopatici.

Il crescere della domanda di medicine alternative da parte deipazienti, l’interesse che spinge alcuni medici a dedicarvisi, il semprepiù consistente numero di medici, parame4ici e operatori sanitari occidentali che, lavorando nel Terzo Mondo, vengono a contatto diretto

Essa riproduce nei suoi movimenti la perenne alternanza dei due principi yin eyang, che secondo il pensiero cinese dominano la vita dell’universo e scaturiscono dal principio supremo Tai Chi.

(IO) Do-In: tecnica di origine orientale, il Do-In ha lo scopo di riportareil corpo e lo spirito in sintonia con 11 movimento dell’universo. Attraverso unaserie di frizioni, percussioni e palpazioni, chi pratica il Do-In impara a captarele vibrazioni del cosmo attraverso i numerosi punti di pressione del corpo.

(Il) Shiatzu: la parola shiauu, giapponese, significa letteralmente pressionedigitale. Esso è un tipo di massaggio usato in Oriente da secoli che viene praticato sul corpo umano seguendo dei sentieri meridiani e punti pressori chiamatitsubo, molto spesso coincidenti coi punti agopuntorei. L,o shiatzu come l’agopuntura, infatti, ha l’obiettivo di stimolare il flusso di energia e ki o e chi ,, dalquale dipende il miglioramento della salute. (La spiegazione dei termini in nota9, lO e Il, è stata desunta dalla Guida al Vivere Sani in Italia),

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con le medicine • altre ‘ e, bene o male, debbono fare i conti con

esse, gli studi e le ricerche congiunte di antropologi e medici (12)

hanno, come si è detto, incrinato la ermetica c chiusura della cit

tadella del sistema medico scientifico anche a livello istituzionale.

In molte facoltà universitarie di medicina occidentali, specialmentc

negli U.S.A. è stato introdotto l’insegnamento dell’Antropologia Cultu

rale (Medical Anthropology). Illustri cImici sia accademici che ospe

dalieri rivolgono in modo critico ma positivo la loro attenzione allc

studio del fenomeno invitando antropologi culturali ed etnologi a con

vegni fino a pochi anni or sono aperti soltanto ai medici. Tecniche

terapeutiche e concetti provenienti da medicine extra-occidentali ven

gono ufficialmente acquisite. Si pensi all’entrata dell’agopuntura in

vari ospedali italiani; all’attenzione rivolta da molti medici, special

mente sportivi, alla teoria dei bioritmi, o alle ricerche avviate da

valenti cImici, sia negli ospedali •che nelle università, sulle reali fa

coltà di alcuni guaritori o pranoterapisti.

La ricchezza, la vivacità e la dinamicità del fenomeno accultu

rativo medico-sanitario, che abbiamo cercato di illustrare, produce ov

viamente i suoi effetti anche sull’attività bibliografica. Accanto a pub

blicazioni di carattere strettamente scientifico se ne hanno una infi

nità a carattere divulgativo. Mentre nelle prime si tenta di impostare

un rapporto interculturale creativo, ma critico, nelle seconde, in ge

nere, domina l’entusiasmo e l’acriticità del e neofita . Da una parte

viene collocato il e male , il nocivo per la salute, ossia la medicina

scientifica e la scienza sperimentale occidentale in generale, dall’altra

il bene , 11 buono ,, tutto ciò che è e altro , ritenuto naturale,

non artefatto, antico, riportando, in parte, alla vecchia contrapposi

zione teorica tra natura e cultura di rousseauniana memoria. Scorren

do i titoli delle editrici specializzate (es. Edizioni Mediterranee, 11cr-

mes Edizioni) si vede come questo e altro comprenda tutto il none scientifico , energia vitale, alchimia, astrologia, parapsicologia, occultismo, yoga, pranoterapia, magia, radioestesia, eubiotica, omeopatia.

erboristeria, medicine orientali, libri di denuncia contro l’inquinamen

to, il nucleare, ecc.

(12) Da tali studi è sorta una nuova branca degli studi etno-antropologici,

la Medica! Anthropology, particolarmeme sviluppata negli U.S.A.

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Senza voler entrare nel merito della validità o meno delle singole discipline presentate, è il modo in cui vengono accomunateche è indicativo dell’acriticità e della emotività che caratterizza inbuona parte il fenomeno.

11 processo acculturativo anche in campo medico-sanitario, sia inOccidente che nel Terzo Mondo, ci si presenta come una inondazioneche trasporta fango e oggetti preziosi. L’opera dello studioso seriodeve tendere a separare gli uni dall’altro senza lasciarsi trasportaredall’emotività o ingannare dalle apparenze. Non dobbiamo dimenticare, però, nemmeno che gran parte del mondo scientifico ufficialeancora è dominato dal pregiudizio nei confronti delle elaborazioniculturali extra-occidentali ritenute primitive, selvagge, errate. A talriguardo, ritornando alla metafora dell’inondazione, dobbiamo tenerpresente che molti oggetti preziosi possono essere resi irriconoscibilidal cfango (13) del diverso linguaggio e statuto (scientifico edella incomprensibilità derivante dalla loro estrapolazione dal contesto culturale globale del quale sono elementi costitutivi.

Soltanto attraverso il superamento del pregiudizio reciproco e della acritica accettazione dei modelli e degli elementi culturali alieni,sia da parte delle società occidentali che di quelle extra-occidentali,si potrà avviare il processo di selezione e di integrazione che potràportare al reale arricchimento reciproco e sviluppo dei vari sistemimedico-sanitari, da considerarsi, a mio avviso espressioni diverse diun’unica c scienza ‘, di un’unica impresa umana: preservare, Hcuperare e potenziare la salute e la vita.

(13) • Fango, ovviamente, per chi, caratterizzato da rigidità e monocentrismo culturali, lo giudica Lale.

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TiposerigrafiaR. Frisardi - Roma

ANACLETO DAL LAGO (n. 1923) medico responsabile dell’ospedale di Nkubu (Kenya) dal 1955 aI 1966. Lecturer in Anatomianella Facoltà di Medicina dell’Uhiversità di Nairobi dal 1966 al1970. Docente di Anatomia presso la Facoltà di Medicina dell’Università di Padova dal 1970 al 1978. Attualmente è Membrodella Direzione del CUAMM e responsabile dei programmi dicooperazione.

DOMENICO VOLPINI (n. 1938] è attualmente Professore Associato di Antropologia Culturale nella Facoltà di Scienze Politiche e Coordinatore della Sezione di Antropologia Sociale eCulturale del Dipartimento di Sociologia dell’università diBologna.E’ autore delle seguentr opere: Il seme del ricino: iniziazionetribale e mutamento culturale fra i Tharaka del Kenya (1978);Educazione e cultura: analisi antropologica dei processi educativi (1980); Autosviluppo medico-sanitario e ricerca antropologica partecipata (1986).