vaticano: “incrostature di stucchi bianchi” o “superbe moli laterizie”?
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DIREZIONE DEI MUSEISTATO DELLA CITTÀ DEL VATICANO
EDIZIONI MUSEI VATICANI
BOLLETTINODEI MONUMENTI MUSEI E GALLERIE PONTIFICIE
XXXI–2013
Direzione editoriale
Antonio Paolucci, Arnold Nesselrath, Paolo Nicolini
Comitato scientifico di redazione
Antonio Paolucci, Nicola Mapelli, Arnold Nesselrath, Ulderico Santamaria, Giandomenico Spinola
Periodico a cura di
Cristina Pantanella
Testi
K. Aigner, A. Amenta, S. Artusi, R. Barbera, P. Di Giammaria, I. Di Stefano Manzella, C. Felli, F. Guth, N. Marconi, S. Meloni, A. Miotk, L. O’Connor, E. Pallottino, S. Pandozy, S. Panzer, D. Piombino–Mascali, S. Ranucci, A. Vella, M. Zagarola
Coordinamento editoriale
Federico Di Cesare
Redazione
Carla Cecilia con la collaborazione di Sabrina Moscato e Simona Tarantino
Referenze fotografiche
Foto © Musei VaticaniSelezione: Rosanna Di Pinto, Filippo Petrignani e Gabriele Mattioli Foto: Pietro Zigrossi e Alessandro Bracchetti, Giampaolo Capone, Luigi Giordano, Danilo Pivato, Alessandro PrinzivalleTutte le altre referenze sono elencate a pagina 437.
Progetto grafico e impaginazione
Grafica Punto Print, Roma
ISBN 978–88–8271–348–5
© Edizioni Musei Vaticani 2015 Città del Vaticano www.museivaticani.va
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), sono riservati per tutti i Paesi.
Alessia Amenta, Dario Piombino–Mascali, Stephanie Panzer
Vatican Mummy Project.L’indagine paleoradiologica della mummia di Ni–Maat–Ra(Musei Vaticani, inv. 25011.6.1)
Candida Felli
Two pottery sherds in the Collection of the Pontifical Biblical Institute at the Vatican Museums
Samuele Ranucci con appendice di Simona Artusi
La collezione di monete di Adolphe Poche nei Musei Vaticani: non tutto è perduto
Ivan Di Stefano Manzella con appendice di Matteo Zagarola
Sulla P singularis incisa nel frammento di trabeazione marmorea scoperto negli scavi al Palazzo della Cancelleria in Roma (Musei Vaticani, inv. 16173 = CIL VI, 40543)
Rosanna Barbera
I frammenti “inediti” del Lapidario Profano ex Lateranense: ricomposizioni e identificazioni bibliografiche
Sara Meloni
Uno schiavo di Publius Ciartius Sergianus sul retro di una lastra del Lapidario Profano ex Lateranense
Alessandro Vella
“Frammenti” di un complesso sepolcrale della media e tarda età imperiale dalla zona del Ponticello di San Paolo sulla via Ostiense a Roma: alcune note di topografia
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Indice
BOLLETTINO DEI MONUMENTIMUSEI E GALLERIE PONTIFICIE6
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357
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Lucy O’Connor
The Late Antique Wooden Reliquaries from the Chapel of the Sancta Sanctorum
Elisabetta Pallottino
Vaticano: “incrostature di stucchi bianchi” o “superbe moli laterizie”?
Nicoletta Marconi
«Di maniera antica-moderna assai buona». Cantieri, apparati, strumenti e maestranze: l’officina della Fabbrica di San Pietro per la pratica del restauro a Roma tra XVII e XIX secolo
Federica Guth
«Quasi con senso di vendetta, sfociai nella scultura policroma».La scultura dipinta di Francesco Messina
Paola Di Giammaria
Il Fondo Roma Chiese nella Fototeca dei Musei Vaticani
Katherine Aigner with the collaboration of Andrzej Miotk
Vatican Ethnography: The History of the Vatican Ethnological Museum 1692-2009
Stefania Pandozy
The Ethnological Materials Laboratory
Indice
REFERENZE FOTOGRAFICHE 437
REFERENZE FOTOGRAFICHE
Foto © Musei Vaticani, Governatorato SCV
Selezione: Rosanna Di Pinto, Filippo Petrignani e Gabriele Mattioli
Fotografie: Pietro Zigrossi e Alessandro Bracchetti, Giampaolo Capone, Luigi Giordano, Danilo Pivato, Alessandro Prinzivalle
© 2015. Foto Scala, Firenze/BPK, Bildagentur für Kunst, Kultur und Geschichte, Berlino
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© Giacomo Manzù, by SIAE 2015
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© Servizio Fotografico «L’Osservatore Romano»
© The British Library Board (k 75 1–3, 3)
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Archivi Alinari-archivio Alinari, Firenze
Archivi Alinari-archivio Anderson, Firenze
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Archivio di Documentazione Archeologica, Soprintendenza Archeologica di Roma – Palazzo Altemps
Basilica di San Paolo fuori le Mura, per gentile concessione
Collezioni d’Arte e di Storia della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, per gentile concessione
Courtesy British School of Archaeology in Jerusalem and Council for British Research in the Levant
Courtesy of the Israel Antiquities Authority
Fabbrica di San Pietro in Vaticano, per gentile concessione
Fondation Custodia, Collection Frits Lugt, Paris, per gentile concessione
Jenny Poche, per gentile concessione
BOLLETTINO DEI MONUMENTIMUSEI E GALLERIE PONTIFICIE438
Museo del Novecento, Milano – Copyright Comune di Milano, tutti i diritti di legge riservati (© Photoservice Electa, Milano/Luca Carrà)
Philadelphia Museum of Art: The Bloomfield Moore Collection, 1883
Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea. Su concessione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (Idini Fotografia & Archivio Immagini)
Studio Museo Francesco Messina, Milano, per gentile concessione
Su concessione del Ministero per i beni e le attività culturali e del turismo – Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, Museo Nazionale Romano
L’Editore si dichiara pienamente disponibile a regolare eventuali spettanze per quelle immagini di cui non sia stato possibile identificare e reperire la fonte.
AbstractAlcuni complessi architettonici del Vaticano, dalle pareti riccamente decorate negli interni e sistematicamente nude all’esterno, possono essere considerati una metafora dei due diversi destini del patrimonio protetto, a–funzionale e immutabile di pitture e sculture e del patrimonio esposto, funzionale e in perenne trasformazione delle strutture architettoniche. Questo processo di trasformazione non è neutro: dalla fine del Settecento in poi, il pensiero razionalista influenza le pratiche costruttive, le manutenzioni e i restauri, e inventa una tradizione costruttiva mai esistita prima di allora. Sincerità funzionale e regolarità costruttiva – soprattutto del materiale laterizio – diventano requisiti di bellezza e determinano nel giro di pochi decenni un diffuso abbandono di pratiche secolari di rivestimento che per la prima volta non vengono ripetute.Alla luce di questa chiave interpretativa, nell’articolo si studiano in dettaglio le superfici del Cortile del Belvedere, della Biblioteca Sistina, del Palazzo Vaticano e del Museo Pio–Clementino.
The walls of some architectural complexes in the Vatican – richly decorated in the interiors and systematically naked on the outside – can be considered as a metaphor for the two different destinies of protected heritage: a–functional and immutable with regard to paintings, sculptures and displayed heritage; functional and in a perennial state of transformation in relation to architectural structures.The process of transformation is not neutral: from the end of the eighteenth century onwards, the spread of rationalist thought influenced construction, maintenance and restoration practices, and a building tradition that had never previously existed was invented. Functional sincerity and constructive regularity – especially in the use of brick-based materials – became requirements of beauty and within a few decades gave rise to a widespread abandonment of centuries-long practices of cladding surfaces that for the first time were not repeated.In the light of this interpretative key, this article studies in detail the surfaces of the Courtyard of the Belvedere, the Sistine Library, the Vatican Palace and the Museo Pio–Clementino.
VATICANO: “INCROSTATURE DI STUCCHI BIANCHI” O “SUPERBE MOLI LATERIZIE”? Elisabetta Pallottino 233
Ringrazio il Direttore dei Musei Vaticani Antonio Paolucci e Maria Mari, già Responsabile della Soprain-tendenza ai Beni Architettonici dei Musei Vaticani, per avere organizzato e ospitato la mia conferenza del 7 giugno 2011 ai Musei Vaticani, di cui questo articolo è una sintesi. Ringrazio anche Concetta Mirabella, stagista presso la stessa Sopraintendenza e Rossana Nicolò, per gli aiuti che mi hanno offerto nel corso della stesura di questo testo.
1 A segnalarlo in diversi momenti e contesti sono stati in particolare tra gli altri: Muratori 1950; Ur-bani 1990; Marconi 1993.
2 Castelnuovo, Sergi 2004, p. XXXVIII.
PREMESSA
Se turisti e studiosi, in visita ai Musei Vaticani, non fossero concentrati quasi esclusi-vamente sull’impegnativo itinerario di statue, affreschi, dipinti e decorazioni che si susse-guono senza sosta nel tempo e nello spazio lungo il percorso, si accorgerebbero sicuramente di una curiosa quanto sistematica circostanza. Riuscirebbero a notare infatti il radicale e stridente contrasto tra le pareti interne rivestite di marmi, stucchi, dorature e colori e la nuda materia delle superfici esterne dove, nel migliore dei casi, quando pure un rivestimen-to esiste, lo si trova tinteggiato di colori arbitrari e spenti che ne mortificano l’architettura.
La circostanza dovrebbe stupire e far riflettere. Verrebbe naturale chiedersi se il contrasto oggi visibile quasi ovunque fosse o meno intenzionale fin dall’origine. Proveremo a ragiona-re, dati alla mano, sulle ragioni di una simile domanda e sulle possibili risposte, arrivando a concludere che il complesso vaticano non è altro che un’eloquente metafora dei due diversi destini del patrimonio protetto, a–funzionale e immutabile di pitture e sculture e del patrimo-nio esposto, funzionale e in perenne trasformazione delle strutture architettoniche1. Diversi elementi, spesso nascosti e quasi introvabili, soprattutto quando non li si vuole cercare, stanno a dimostrare che quel contrasto che oggi vediamo con stupore non doveva esistere, almeno prima della fine del Settecento, e molti indizi ci inducono a pensare che esso sia il risultato di un pervicace lavoro di revisione/invenzione del passato molto praticato tra Settecento e Novecento. Hanno scritto recentemente Enrico Castelnuovo e Giuseppe Sergi a proposito del Medioevo (ma sono parole adatte a ogni passato): il (passato) «che è stato ricostruito da eru-diti e studiosi dal Settecento all’inizio del Novecento è eccezionalmente efficace, risulta andar bene così com’è, mentre riletture e nuove scoperte sono percepite quasi come un disturbo»2.
Di queste “riletture” e delle possibili “nuove scoperte” daremo conto nel testo che se-gue nella speranza che diano il minor disturbo possibile e servano invece a capire la pro-
BOLLETTINO DEI MONUMENTIMUSEI E GALLERIE PONTIFICIE234
blematicità delle superfici che abbiamo oggi davanti agli occhi. In particolare il percorso indiziario e l’analisi contestuale saranno applicati allo studio del Cortile del Belvedere, del Palazzo Vaticano e del Museo Pio–Clementino.
Intanto, prima ancora di analizzare le diverse fonti pertinenti, se soltanto proviamo ad osservare, senza alcuna pretesa di veridicità, alcune delle vedute pittoriche degli edi-fici citati, ci accorgiamo subito che raccontano quasi tutte una realtà diversa da quella arrivata fino a noi: dal biancore del Belvedere di Innocenzo VIII, in un frammento di affresco del Pinturicchio, all’aspetto petrigno del corridoio orientale del Cortile del Belve-dere in più di una veduta fiamminga dipinta prima della costruzione del suo simmetrico occidentale (figg. 1-2)3, al candore dello stucco sulle pareti del Corridoio ligoriano rappresen-tate nell’affresco di Matteo Bril nella Torre dei Venti (fig. 3), fino all’apparenza chiara della superficie del Palazzo Vaticano, rappresentata almeno fino a tutto il primo Settecento della stessa tonalità del travertino della facciata maderniana della basilica4. Unica eccezione il dipinto del pittore austriaco Michael Wutky5, dove i volumi foderati di laterizio della Sala rotonda e della Sala a croce greca del Museo Pio–Clementino appaiono esattamente come sono ancora oggi con il loro materiale da costruzione in bella vista (fig. 4).
È una pista degna di attenzione, in cerca di ulteriori dimostrazioni più attendibili. Pro-viamo a segnalarne alcune.
CORTILE DEL BELVEDERE
La letteratura specialistica degli ultimi decenni ha discusso in diverse occasioni sull’ef-fettiva materialità e sulla finitura originale delle murature della Corte meridionale del Bel-vedere, di quelle bramantesche e di quelle ligoriane. Se l’interpretazione del cantiere ligo-riano è pressoché univoca, grazie ai documenti a suo tempo pubblicati da Ackerman6 che certificano, in perfetta sintonia con l’affresco vaticano (fig. 3), la presenza di un rivestimento in stucco marmoreo sulle pareti laterizie non ancora contraffortate, la fabbrica bramante-sca costruita circa cinquant’anni prima e le sue vicissitudini quasi immediate vengono lette invece in modo molto contradditorio.
Alcuni7 sono convinti che le pareti della lunga loggia, realizzate in materiali diversi (travertino, peperino e laterizio) come è oggi visibile a occhio nudo (figg. 5-7), esibissero intenzionalmente la loro disomogeneità con il tacito consenso di committenza e architetti.
3 Esistono due versioni dello stesso dipinto del pittore di paesaggi Hendrik van Cleef (Anversa 1525–1589) che differiscono in alcuni particolari ma che testimoniano entrambe la configurazione lapidea della facciata del Corridore orientale. Sono state pubblicate da Pietrangeli 1985, p. 15 (quella di Bruxelles, da lui datata 1559) e da Garms 1995, II, p. 77 (quella di Parigi, da lui datata anni ’80 del XVI secolo).
4 Cfr. a titolo esemplificativo, le tavole a colori che riproducono le vedute della piazza di San Pietro e del Palazzo Vaticano pubblicate da Garms 1995, I, fino alla veduta di G.P. Pannini del 1745 a p. 89.
5 Michael Wutky (Krems 1739–Vienna 1822). 6 Ackerman 1954. Sulla definizione a bugne piatte delle pareti ligoriane cfr. nota 12. 7 Cfr. in particolare Pagliara 1992 e 2000.
VATICANO: “INCROSTATURE DI STUCCHI BIANCHI” O “SUPERBE MOLI LATERIZIE”? Elisabetta Pallottino 235
Fig. 1. Hendrik III van Cleef, Panorama di Roma dal Belvedere di Innocenzo VIII con l’Antiquario delle Statue,
1559, Bruxelles, Musées royaux des Beaux Arts de Belgique
Fig. 2. Hendrik van Cleef, Panorama del Vaticano a volo d’uccello,
anni ‘80 del XVI sec., Paris, Fondation Custodia
BOLLETTINO DEI MONUMENTIMUSEI E GALLERIE PONTIFICIE236
Altri8 invece vedono in quella stessa disomogeneità materiale la sicura motivazione di un necessario rivestimento in intonaco più o meno spesso che, oltre a nascondere le sconvenienti irregolarità, permettesse di ottenere, grazie alla natura degli inerti utilizzati, una superficie identica alla pietra – «e tutta di trevertini la murò», scrive Vasari nella Vita di Bramante della «loggia dorica bellissima, simile al coliseo de’ Savelli»9 – ma di costo nettamente inferiore.
In assenza di documenti, le sole fonti che possono aiutarci a trovare una qualche mag-giore certezza sono le vedute già citate (figg. 1-2) e l’analisi diretta delle murature.
L’osservazione attenta degli equilibri cromatici in entrambi i dipinti ci obbliga a sotto-lineare l’accentuata differenza tra la superficie “lapidea” del corridoio orientale e le pareti laterizie di quasi tutte le altre fabbriche vaticane rappresentate. Alla vigilia della costru-zione del corridore ligoriano (fig. 1) e da lontano a memoria circa vent’anni dopo (fig. 2), il vedutista fiammingo Hendrik van Cleef sembra voler rappresentare a tutti i costi e con particolare evidenza, l’inserto classicista del nuovo fronte bramantesco del Belvedere, affi-dato all’apparenza lapidea all’antica.
Le due rappresentazioni pittoriche, insieme con l’estrema irregolarità della costruzione e con la sicura materialità della replica ligoriana (che molto difficilmente avrebbe imitato l’architettura prospiciente senza ricopiarne anche l’apparenza superficiale), sarebbero suf-ficienti a dimostrare la presenza di un rivestimento appropriato fin dall’origine, compro-messo nel tempo e, da un certo momento in poi, mai più ripetuto. Ma qualcuno potrebbe ancora dubitare di quello che non è più visibile se non fosse per alcuni recenti rinvenimen-ti effettuati nel corso del cantiere organizzato dalla Sovrintendenza ai Beni Architettonici dei Musei Vaticani per il rilievo e il restauro delle campate II–IV da Sud10.
Grazie alla curiosità e alla cultura storico–materiale di chi stava eseguendo i rilievi11, in alcuni punti dell’intradosso delle arcate originali della loggia bramantesca che erano state tam-ponate e contraffortate da Benedetto XIV in continuità con i numerosi interventi simili rea-
8 Cfr. in particolare Forcellino 1990b, pp. 67–68. 9 Vasari 1568, Vita di Bramante da Urbino Architettore, II, p. 65. 10 Ringrazio Maria Mari, già responsabile della Sopraintendenza e del cantiere, per aver favorito l’acquisizio-
ne dei dati rinvenuti e per aver organizzato, nell’ambito delle conferenze scientifiche su Il restauro architettonico. Cultura e metodo, la comunicazione di cui questo articolo costituisce il resoconto (Musei Vaticani, 7 giugno 2011).
11 Ringrazio l’arch. Paola Brunori per avermi messo al corrente dei risultati della sua indagine.
Nella pagina a fianco:Fig. 3. Matteo Bril, Il Cortile del Belvedere visto dal
Corridoio orientale
con la Torre dei Venti, 1580–83 ca.,
Palazzo Apostolico Vaticano, Torre dei Venti
Fig. 4. Michael Wutky, Costruzione della Rotonda
del Museo Pio–Clementino in Vaticano, anni ’70/’80
del XVIII secolo, Philadelphia Museum of Art
BOLLETTINO DEI MONUMENTIMUSEI E GALLERIE PONTIFICIE238
lizzati fin dalla fine del Cinquecento nella Corte meridionale12, sono apparsi frammenti ben visibili di un’intonacatura di un certo spessore tinteggiata del color della pietra (fig. 8 a-c). A chi doveva realizzare una nuova superficie laterizia, a campate alternate di muro pieno e con-trafforti aggettanti, bastava raschiare quello che era rimasto in superficie senza affaticarsi ad eliminare ciò che sarebbe rimasto completamente nascosto dalla muratura di tamponamento. Un intonaco bramantesco? Se, a distanza ormai di più di due secoli, la materia del rivestimento originale doveva essere stata probabilmente restaurata, rimaneva comunque il significato di un rivestimento rinnovato a segnalare ancora la lunga durata della tradizione rinascimentale. Forse fu proprio in quell’occasione, almeno per quelle due campate, che quella stessa tradizione cominciò a subire un’interruzione radicale e definitiva, dopo decenni che possiamo immaginare di progressivo degrado come sembrano suggerire alcuni particolari dei disegni delle King’s Maps
12 Chattard 1766, II, pp. 414–418; Ackerman 1954, pp. 111–112, 114, 116–117; Redig de Campos 1967, pp. 226–227.
Fig. 5. Cortile del Belvedere, Corridore
Est: sulla parete delle campate III e IV
da Nord sono visibili diversi elementi in
peperino inseriti in modo non sistematico
nel contesto murario in laterizio
(foto P. Brunori 2006)
Nella pagina a fianco:Fig. 6. Cortile del Belvedere,
Corridore Est: sulla parete della
campata I da Sud sono visibili
diversi elementi in travertino
inseriti in modo irregolare nel
contesto murario in laterizio (foto
E. Pallottino 2011)
Fig. 7. Cortile del Belvedere,
Corridore Est: sulla parete della
campata I da Sud sono visibili
diversi elementi in peperino
inseriti in modo irregolare nel
contesto murario in laterizio. Il
ricorso al peperino, in funzione
strutturale e destinato ad essere
rivestito per accompagnare
gli elementi in travertino, è
visibile anche sulla cornice del
contrafforte settecentesco
(foto E. Pallottino 2011)
BOLLETTINO DEI MONUMENTIMUSEI E GALLERIE PONTIFICIE240
Fig. 8 a,b,c. Cortile del Belvedere,
Corridore Est: sull’intradosso dell’arco
della III campata, tamponata nel
corso dei lavori di realizzazione dei
contrafforti (Benedetto XIV), è stata
individuata una porzione di intonaco
del colore della pietra tiburtina
rimasta in situ perché coperta dal
tamponamento (foto P. Brunori 2011)
Nella pagina a fianco:Fig. 9. Anonimo, Prospetto del Corridore
est, anni Venti del XVIII secolo, London
British Library, K 75 1-3, 3, f. 49: sul
prospetto del Corridore Est, come si
presentava a quella data, sono visibili,
in particolare verso Nord, frammenti
di un “bugnato di pietra” molto simile
a quello che era stato realizzato in
stucco sul Corridore ligoriano. L’appunto
grafico potrebbe rappresentare
realisticamente lo stato di degrado di
un rivestimento che in quegli anni si
stava progressivamente perdendo o
forse meglio sarebbe dovuto servire
a indicare a compendio il tipo di
stuccatura della facciata in laterizioc
b
a
VATICANO: “INCROSTATURE DI STUCCHI BIANCHI” O “SUPERBE MOLI LATERIZIE”? Elisabetta Pallottino 241
oggi conservate presso la British Library di Londra13 (fig. 9). Sui contrafforti in laterizio qualche accorgimento tecnico di simulazione della pietra tramite rivestimento doveva essere ancora praticato: ad esempio la cornice insieme di travertino e peperino della fig. 8c non poteva certo apparire con quell’incongrua irregolarità materiale che osserviamo oggi. Ma la sopravvivenza di una pratica abituale sulle modanature architettoniche, testimoniata esplicitamente nelle pagi-ne della descrizione settecentesca di Chattard14, non impedisce di ipotizzare che le pareti della
13 BL, K75 1–3, 3, f. 49. Sui disegni del Corpus londinese cfr. Curcio 2007 e Nicolò 2010. Il disegno di un finto opus quadratum deve essere confrontato idealmente con lo stesso apparecchio rappresentato dal disegno di progetto di Pirro Ligorio per l’ala occidentale e meridionale del Cortile del Belvedere pubbli-cato da Ackerman 1954, fig. 32.
14 Chattard 1766, II, p. 415 sull’ordine dorico: «Segue sopra i capitelli de’ detti pilastri l’architrave, fregio, e cornice d’ordine dorico con modiglioni sotto il gocciolatore, e suoi triglifi con campanelle, essen-do ne’ risalti la detta cornice, come anche il fregio, l’architrave, e tutti triglifi rustici, e quella nello sfondo sopra gl’archi in dentro stabilita in stucco».
BOLLETTINO DEI MONUMENTIMUSEI E GALLERIE PONTIFICIE242
Corte meridionale avessero già cominciato a trasformarsi, in un invaso completamente nuovo, delimitato da muri possenti in laterizio, e molto lontano, per architettura e per materia, dall’ae-rea loggia dorica pensata da Bramante.
Non era certo raro nei primi decenni del Cinquecento, far passare una materia per un’altra con il ricorso a un rivestimento intonacato più o meno sottile: soprattutto sul peperino e sulla cortina laterizia ben tagliata che garantivano una superficie molto regolare e indistruttibile se adeguatamente protetta. Gli esempi, resi noti anche dai più recenti cantieri di restauro, sono ormai tantissimi: dalla porta Julia che diverse fonti descrivevano di travertino facendo impazzire Redig de Campos che non sapeva come identificarla con quella che vedeva ormai in peperi-no15; alla Loggia sul Tevere della Villa Farnesina alla Lungara, dove, anche qui, spiando dietro alle tamponature di metà Seicento, sono stati recentemente scoperti frammenti molto estesi di scialbatura coprente del colore del travertino sui pilastri/paraste in mattone e decorazioni floreali sugli intradossi degli archi in peperino, identiche a quelle che ancora possiamo vedere all’interno nella Loggia/Sala della Galatea (fig. 10)16; alla facciata di Palazzo Ossoli dove la rico-gnizione accurata dei frammenti superstiti di intonachino del color travertino su alcuni elemen-ti in peperino ha incoraggiato, nel corso dell’ultimo restauro17, la ritinteggiatura di tutte le parti in peperino a risarcimento della perduta unità materiale; fino alle tracce di scialbatura color del travertino data in tre mani sulla cortina laterizia del risvolto della prima campata michelangio-lesca del Palazzo dei Conservatori nel corso dei restauri diretti dall’ICR tra 1996 e 199718.
BIBLIOTECA SISTINA E PALAZZO VATICANO
Anche lo studio dei documenti di cantiere e delle testimonianze iconografiche relative alla costruzione della Biblioteca – primo braccio divisorio del Cortile del Belvedere – e del Palazzo Vaticano al tempo di Sisto V, ci obbligano a ripensarne l’aspetto e a riflettere di conseguenza sul contesto architettonico materiale nel quale furono inserite.
15 Redig de Campos 1967. Alla p. 94 riporta la descrizione di Francesco Albertini «Est et porta Iulia apud viridarium, quam nuper tua Beatitudo sumptuoso aedificio et tyburtino lapide fundavit exornavitque apud nova moenia Belvidere nuncupata […]» (Albertini 1510, p. 465) e osserva: «Il ‘travertino’ è forse una svista dell’autore». Alla p. 125 riporta il testo dell’informazione data da Girolamo Cattaneo a Federico Gonzaga il 7 gennaio 1531, giorno del crollo di un tratto del Corridore orientale «fora dil muro di Nicola, dove sta quella porta bella di travertino» (Pastor 1925–1934, IV (2), p. 739, n. 133) e osserva: «come si vede, lo scrivente conferma l’Albertini (465) dove dice essere la porta Iulia in travertino, sicché l’attuale, in pepe-rino, si deve forse al restauro del Peruzzi, sebbene sia di stile affatto bramantesco».
16 Nel 2009–2010 ho potuto osservare entrambi i rivestimenti da vicino nel corso del restauro delle facciate della Villa durante gli incontri promossi dall’allora Direttore regionale per i beni architettonici e paesaggistici del Lazio Luciano Marchetti per discutere i criteri d’intervento con G. Carbonara, C.L. Frommel, i restauratori delle terrette peruzziane sulla facciata verso il Tevere, A. Forcellino e A. Risolo, e il direttore dei lavori della Soprintendenza per i beni architettonici per il Comune di Roma G. Belardi.
17 Il restauro, portato a termine nel 1992, è stato diretto da Mario Lolli Ghetti, allora Soprintendente vicario per i beni architettonici di Roma.
18 Cfr. Il Palazzo dei Conservatori 1997; Pallottino 1999 e 2000, p. 289.
VATICANO: “INCROSTATURE DI STUCCHI BIANCHI” O “SUPERBE MOLI LATERIZIE”? Elisabetta Pallottino 243
È certo che il fronte della Biblioteca verso sud dovesse apparire ben diverso da come oggi lo vediamo, non soltanto per il successivo inserimento settecentesco dei contrafforti seriali ma soprattutto perché la facciata originaria in laterizio, con «loggie grandissime al pian terreno», era stata intenzionalmente rivestita d’intonaco graffito e dipinto, come possiamo vedere nel disegno pubblicato da Domenico Fontana nel 159019 (fig. 11) e leggere alle voci della Misura e stima da lui stesso tarata nel 1588: «per la stuccatura et colla negli aggetti di tutte le materie che sono dentro a uno delli vani fra detti pilastri […] e colla di carbone dove si sono fatti li graffiti e colla di stucco sopra uno delli pilastri con l’intavolato che gira attorno a una delle finestre […]»20.
19 Fontana 1590, pp. 97–98. Nel testo alla p. 82 l’edificio è così descritto: « […]una fabrica sontuo-sissima, e ciò fece nel capo del Cortile di Belvedere verso Tramontana, la qual fabrica seguita l’ordine dell’architettura dell’altre facciate del Cortile, come si vedrà nel seguente disegno: ha loggie grandissime al piano terreno […]»
20 ASR, Camerale I, Fabbriche, b. 1527, ins. 2, citate da Forcellino 1990a, p. 29.
Fig. 10. Un esempio di rivestimento
del peperino usato come materiale
strutturale: le decorazioni geometriche
peruzziane sull’arco della Loggia di
Galatea della Villa Farnesina alla Lungara,
tamponata a metà Seicento (foto E.
Pallottino)
BOLLETTINO DEI MONUMENTIMUSEI E GALLERIE PONTIFICIE244
Uno sguardo al contesto: come si sarebbe mai potuta inserire una simile facciata, espres-sione monumentale e matura di una fortunata tradizione rinascimentale che a Roma si stava avviando al suo epilogo21, in un contesto di fodere laterizie a vista? Anche questa ovvia con-siderazione ci porta ad immaginare a ritroso una Corte meridionale di tutt’altra apparenza, dove le logge bramantesche e ligoriane, non ancora stravolte allora da tamponamenti e con-trafforti, avrebbero potuto accogliere senza contrasto il nuovo inserto parietale a finti rilievi della Biblioteca, in un invaso spaziale nuovo, meno avvincente del grande Cortile originario ma almeno omogeneo nella sua apparenza superficiale a finta pietra, più o meno decorata.
La stessa domanda può essere posta a proposito del contesto del Palazzo Vaticano che andava a costituire il terzo lato del Cortile di Damaso a completamento delle pareti delle logge raffaellesche. Anche qui: come era possibile accompagnare la sequenza degli ordini in travertino con una parete in laterizio compatta come quella della nuova architettura di Fontana, per di più realizzata con un materiale piuttosto scadente?
Ad immaginare il Palazzo nel suo immediato contesto, sarebbe stato più adeguata una parete interamente lapidea. Ed è così che allora fu effettivamente realizzata con una costosa simulazione e descritta come di prassi dalle stime del muratore, redatte nel 1596: i mattoni ordinari della cortina piuttosto scadente oggi esposta a vista (fig. 12), erano stati allora rive-stiti da uno stucco di pietra22.
21 Pallottino 1990a, p. 96.22 ASR, Camerale I, Giustificazioni di Tesoreria, b.24, ins.3: «Adì 18 aprile 1596. Misura delli lavori
di muro fatti a tutta robba da m.o Antonio Pozzo m.o Antonio Bollino et m.o Tommaso Pozzo e m.o Ambrozio Luna muratori compagni nella fabbrica del palazzo novo Vaticano qual fa fornire la S.ta di N.S. Papa Clemente 8°», «per la stuccatura della facciata di fora di detto palazzo long. ins. p. 760 alt. reg. p.43 fa canne 326 p. 80 sc. 163.40» (al costo unitario di 50 baiocchi a canna quadra che corrisponde a quello allora in uso per i rivestimenti a tutta superficie in colla pregiata di stucco di marmo o travertino).
Fig. 11. Domenico Fontana, Fabrica della Gran Libreria del Vaticano (da Fontana 1590)
VATICANO: “INCROSTATURE DI STUCCHI BIANCHI” O “SUPERBE MOLI LATERIZIE”? Elisabetta Pallottino 245
Le vedute lo confermano almeno fino a Pannini23 e, anche per l’altro palazzo al Late-rano e per molte opere sistine24, ci restituiscono un’architettura che affidava ancora alla pietra da taglio e a tutti i suoi sofisticati succedanei l’espressione del massimo decoro dei committenti.
Fig. 12. Palazzo Vaticano:
dettaglio della cortina laterizia
irregolare oggi in vista e in origine
rivestita di stucco bianco di pietra
23 Garms 1995 (cfr. supra, nota 4).24 Fonti iconografiche e documentali concordano nel testimoniare un’apparenza lapidea di gran parte
delle opere sistine: gli affreschi eseguiti sotto la guida di Cesare Nebbia e Giovanni Guerra nel Salone della nuova Biblioteca rappresentano una lunga serie di facciate “di pietra” la cui realizzazione in cantiere era affidata a diversi espedienti di simulazione minuziosamente descritti nei conti dei lavori (dallo stucco di marmo e travertino del Palazzo Vaticano alla colla alla genovese del Palazzo Laterano) e in alcune fonti del primo Seicento, come la Lettera sull’architettura del marchese Vincenzo Giustiniani (cfr. Forcellino 1989; Pallottino 1990 e 1992).
BOLLETTINO DEI MONUMENTIMUSEI E GALLERIE PONTIFICIE246
MUSEO PIO–CLEMENTINO
Negli anni del lungo cantiere del Museo Clementino e Piano tra fine Settecento e primo Ottocento25, alcune consuetudini della tradizione costruttiva romana subiscono un processo di radicale e progressiva interruzione tanto repentino e insieme duraturo da ri-sultare spesso quasi invisibile a due secoli di distanza. Alcuni di questi mutamenti sono direttamente riscontrabili sulle pareti del Museo di nuova costruzione dove il ricorso al materiale laterizio si dimostra sempre più chiaramente intenzionale almeno nei tre casi se-guenti. Sicuramente al Cortile Ottagono (1771–1774), dove, vent’anni dopo la costruzione clementina, le superfici levigate di mattoni tagliati e spiccati di altezza irregolare in traver-tino, che oggi vediamo scoperte (fig. 13), sono regolarizzate con una tinteggiatura in “color cortina” e in “color travertino”26. Ugualmente per l’architettura all’antica delle grandi sale voltate dell’addizione di Pio VI, le cui pareti esterne, in aperto contrasto con la ricchezza
25 Pietrangeli 1985; Consoli 1996.26 Pallottino 1990b, pp. 242–248, nn. 26, 30–31: la cortina laterizia non risulta in vista almeno fino
ai primi anni Trenta del Novecento; i lavori degli anni Novanta del Settecento che nascondono le irre-
Fig. 13. Museo Clementino, Cortile
Ottagono: la struttura irregolare del
portico, coperta da una tinteggiatura fino
agli anni Trenta del Novecento, presenta
spiccati in travertino di diversa altezza e
superfici in cortina laterizia tagliata
VATICANO: “INCROSTATURE DI STUCCHI BIANCHI” O “SUPERBE MOLI LATERIZIE”? Elisabetta Pallottino 247
degli interni decorati, sono intenzionalmente realizzate, tra il 1780 e il 1784, con una cor-tina ordinaria (fig. 4) forse ispirata ai resti scavati per l’occasione a Otricoli: le “superbe moli laterizie” ricordate in più occasioni dall’antiquario Giuseppe Antonio Guattani27 (fig. 14). E ancora nell’ultima struttura del complesso, l’Atrio dei Quattro Cancelli, realizzato da Giu-seppe Camporese tra il 1787 e il 1792, che esibisce all’esterno una cortina tagliata simile a quella del Cortile Ottagono, questa volta priva di incongruenze costruttive o irregolarità e destinata quindi ad apparire, senza rivestimenti, con tutta la bellezza della sua costruzione.
A evocare in quegli stessi anni la bellezza del laterizio e della regolarità costruttiva, a ipo-tizzarne l’adozione intenzionale anche dove non era mai esistito o dove – che fosse ordinario o tagliato, bene o male apparecchiato – era stato rivestito in vari modi imitando spesso altri materiali più nobili come il marmo o il travertino, è soprattutto Francesco Milizia28. È lui a far esplicitamente notare che quando «[…] le facciate sono di mattoni ben arrotati e connes-si con diligenza, si possono lasciare senz’intonaco e fanno bella comparsa […]»29. È ancora lui a pronunciare un’esplicita condanna di quei sofisticati accorgimenti che erano serviti a rivestire anche i laterizi e i peperini (molte volte di struttura e non di apparenza) e a costruire così edifici di “pietra” – e di “pietra scolpita” – anche quando questo materiale si era rivelato inaccessibile perché troppo oneroso: «lo stucco, e l’incalcinamento, che si sovrappone alle
Fig. 14. Giuseppe Pannini,
La Sala Ottagona delle Terme di
Otricoli, in Guattani 1805.
Al centro dei resti delle “superbe
moli laterizie” è visibile il
mosaico che sarà utilizzato come
pavimentazione della Sala Rotonda
del Museo Pio–Clementino
golarità sono documentati dai conti degli “imbiancatori” G.B. Franconi e B. Sturbinetti, tarati da Giu-seppe Camporese (ASV, Palazzo Ap., Computisteria, b.450, “Conti di bianco”del 1794: «[…] con aver ridato due mani di color di travertino a n°32 facce di pilastri , ed alle fasce […] con il cornicione […] ed all’Architrave scorniciato […], con le Cornici attorno n° 8 bassorilievi , e dato due mani di color cortina appatinato a tutti li fondi tramezzo in detti pilastri, e fasce e nelli angoli, […] con aver dato il color di tra-vertino a n°8 frontespizi scorniciati con l’Architravi, e fasce, che riquadrano li fondi delli medesimi sopra il suddetto Cornicione, e ricampito di color di Cortina nelli fondi di detti […]».
27 Guattani 1805, p. 39. 28 Pallottino 1990c, pp. 111–116.29 Milizia 1781, III, p. 181.
facciate, attrae lo sguardo per la sua bianchezza, ma presto annoia, e non è della maggior dura-ta.»30; «Gli apparecchi finti con istucco o con pittura a chiaro scuro, sono puerili e ridicoli»31; e infine, a proposito delle facciate graffite, «questo genere ha molta forza, e resiste più d’ogni altro alle ingiurie del tempo, ma è disaggradevole alla vista, e perciò abbandonato»32.
A noi oggi sembra normale l’apprezzamento delle qualità costruttive del materiale la-terizio in vista ma per quei tempi invece quell’accento apologetico annunciava una svolta radicale e un diverso modo di evocare l’antico: le parole di Milizia rimbalzano senza verifica nei repertori di rilievi del primo Ottocento dove si ripetono diversi lapsus senza alcuna ve-rifica33 e soprattutto nei cantieri di restauro dove già pochi decenni dopo diventano realtà, incoraggiando l’invenzione repentina di una diversa tradizione rinascimentale. Quello che il degrado naturale non era mai riuscito a fare nel tempo perché i rivestimenti compromessi erano stati sempre ricostituiti, può ottenere ora senza mediazione la propaganda a favore della nudità dei materiali e della verità costruttiva: così al Palazzo Jacopo da Brescia nel 1825 quando a malincuore viene permessa una rinnovata protezione in stucco dei conci in peperino34; così a S. Andrea del Vignola nel 1829 quando Giuseppe Valadier, di fronte ai resti di intonaco sulla cortina del tamburo, decide senza esitazione di eliminarli perché la cortina “originaria” ancora «coperta con intonaco effimero ... sebbene non rotata deve figurare, tanto nella sua costruzione, che nella sua tinta naturale»35.
CONCLUSIONI
Non sappiamo esattamente a quando risale nel complesso del Belvedere la progressiva scomparsa dei rivestimenti in intonaco e stucco e la programmatica rinuncia ad un loro rifacimento, come sicuramente avvenne per il Corridore ligoriano.
Per quanto lungo e graduale sia stato questo processo a partire almeno dalla seconda metà del Settecento, è un fatto che le superfici di rivestimento in stucco, che in epoca rinascimen-tale – al Vaticano come altrove a Roma – coprivano un gran numero di strutture e fodere murarie, sono state in diverse occasioni cancellate, anche dalla nostra memoria, come abbia-mo ricordato con diversi esempi. E insieme con loro è andata perduta anche la concezione unitaria che allora teneva insieme struttura e decorazione – «volte o incrostature» e anche «porte o finestre o altri ornamenti» – come ci ricorda Vasari quando spiega come gli «stucchi bianchi» erano usati indifferentemente per rivestire superfici strutturali e ornamentali36.
30 Milizia 1781, II, p. 184.31 Milizia 1797, voce Apparecchio. 32 Milizia 1797, voce Sgraffito.33 Cfr. supra, nota 28: è emblematico il caso del Palazzo Laterano che fa “bella comparsa”, secondo Mi-
lizia, proprio per la sua facciata di mattoni arrotati (quando invece è sempre stata in muratura e intonaco). 34 Pallottino 1990c, p. 121.35 Marconi 1979, pp. 66–67; Pallottino 1990c, pp. 121–122. 36 Vasari 1568, I, pp. 143–144: «solevano gli antichi, nel voler fare volte o incrostature o porte o fine-
BOLLETTINO DEI MONUMENTIMUSEI E GALLERIE PONTIFICIE248
VATICANO: “INCROSTATURE DI STUCCHI BIANCHI” O “SUPERBE MOLI LATERIZIE”? Elisabetta Pallottino 249
Ai nostri occhi invece lo stucco bianco – «il vero stucco antico», quel materiale prezio-so e poetico che si prestava ad esprimere, a forza di tentativi sperimentali celebrati retorica-mente da Vasari nella Vita di Giovanni da Udine37, la più tangibile adesione all’ideale antico – appare oggi più verosimilmente destinato alle sole figurazioni plastiche. Non era così quando Pirro Ligorio, che lo usava ugualmente per le bugne del Corridore ovest del Belve-dere, oggi perdute, come per le raffigurazioni pagane della Casina di Pio IV38, ne testimo-niava la diffusa adozione: «Hoggidì in Roma è posto in uso et da ogniuno è adoperato»39.
Erme, satiri, festoni e meduse della Casina Vaticana, una volta puliti dalle incongrue tin-teggiature color del tempo, hanno già da qualche anno ritrovato il loro significato peculiare di rilievi marmorei (fig. 15 a-b). Le moli laterizie del Corridore Ovest rimarranno necessaria-mente svestite a testimoniare la radicale trasformazione subìta. Al Cortile della Pigna invece le due superfici residue del programma originario, quella di origine bramantesca a est e quella post–ligoriana a ovest, con il lato del Nicchione, possono ancora ritrovare il loro significato peculiare se opportunamente liberate dalle false interpretazioni del Novecento.
Fig. 15. a, b Casina
di Pio IV: facciata
prima e dopo i
restauri recenti che
hanno restituito alle
decorazioni in stucco
la loro configurazione
peculiare
stre o altri ornamenti di stucchi bianchi, fare l’ossa di sotto di muraglia, che sia o di mattoni cotti ovvero di tufi, cioè sassi che siano dolci e si possino tagliare con facilità; e di questi murando facevano l’ossa di sotto, dandoli o forma di cornice o di figure o di quello che fare volevano, tagliando de’ mattoni o delle pietre, le quali hanno a essere murate con la calce. Poi con lo stucco che nel capitolo quarto dicemmo, impastato di marmo pesto e di calce di trevertino, debbano fare sopra le ossa predette la prima bozza di stucco ruvido, cioè grosso e granelloso acciò vi si possa mettere sopra il più sottile, quando quel di sotto ha fatto la presa, e che sia fermo ma non secco affatto».
37 Vasari 1568, III, p. 216: «Ma finalmente fatto pestare scaglie del più bianco marmo che si trovasse, ridottolo in polvere sottile e stiacciatolo, lo mescolò con calcina di trevertino bianco, e trovò che così ve-niva fatto, senza dubbio niuno, il vero stucco antico con tutte quelle parti che in quello aveva disiderato».
38 Borghese 2011.39 Pirro Ligorio, Pianta e descrizione del Tempio Tondo ai Cesarini (tempio B dell’Area Sacra di Torre
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BOLLETTINO DEI MONUMENTIMUSEI E GALLERIE PONTIFICIE250
ABBREVIAZIONI
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