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economica area 335 Uno sguardo all’interno della scatola nera del non profit. Beni relazionali, motivazione ed effort dei lavoratori di Michele Mosca * e Francesco Pastore ** 1. Introduzione Nel corso degli ultimi due decenni si è assistito ad una crescita dimensionale del settore non profit (SNP) in tutti i Paesi occiden- tali. Tale fenomeno si è registrato in concomitanza con le difficoltà di crescita sperimentate dalle economie più avanzate. Nel nostro Paese, l’interesse verso le organizzazioni produttive senza fine di lucro è aumentato nel corso degli anni anche a seguito della parti- colare congiuntura che l’Italia ha attraversato e si trova tuttora ad affrontare. Il peso del debito pubblico, il progressivo disimpegno dello Stato nella fornitura diretta di servizi, uniti alla sua incapacità di rispettare standard di qualità e criteri di efficienza hanno spia- nato la strada ad organizzazioni private sia di natura for profit (OFP) che non profit (ONP) le quali si sono affiancate e spesso sostituite alle organizzazioni pubbliche (OP), risultando spesso in competi- zione tra loro. Ne è derivato un sistema di offerta di servizi pubbli- ci, soprattutto quelli di tipo sociale, più complesso che in passato, caratterizzato dalla compresenza di soggetti di natura diversa. Il crescente ruolo assunto dalle organizzazioni private nella fornitu- ra di servizi un tempo di esclusiva competenza del settore statale ha spinto gli studiosi a coniare un nuovo termine, quello appunto di welfare mix 1 , intendendo con ciò un sistema produttivo carat- terizzato da un’offerta variegata di servizi sociali, sanitari ed assi- stenziali da parte di organizzazioni pubbliche, private for profit e private non profit . La crescita del peso relativo del cosiddetto terzo settore all’interno del sistema economico del nostro Paese è stata perciò favorita an- che dalla trasformazione delle sue finalità. Ad organizzazioni co- stituite in prevalenza per promuovere diritti o per ridistribuire ri- sorse si sono affiancate e spesso anche sostituite (trasformandosi) organizzazioni che producono in modo continuativo servizi di uti- Il welfare mix * Università degli Studi di Napoli “Federico II”. ** Seconda Università degli Studi di Napoli. 1 Per un approfondimento del modello di erogazione dei servizi che si basa sulla compre- senza di più organizzazioni produttive con diverso assetto proprietario, si vedano D’Acun- to e Musella (2004).

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economica area335

Uno sguardo all’interno della scatola neradel non profit. Beni relazionali,motivazione ed effort dei lavoratori

di Michele Mosca * e Francesco Pastore **

1. IntroduzioneNel corso degli ultimi due decenni si è assistito ad una crescitadimensionale del settore non profit (SNP) in tutti i Paesi occiden-tali. Tale fenomeno si è registrato in concomitanza con le difficoltàdi crescita sperimentate dalle economie più avanzate. Nel nostroPaese, l’interesse verso le organizzazioni produttive senza fine dilucro è aumentato nel corso degli anni anche a seguito della parti-colare congiuntura che l’Italia ha attraversato e si trova tuttora adaffrontare. Il peso del debito pubblico, il progressivo disimpegnodello Stato nella fornitura diretta di servizi, uniti alla sua incapacitàdi rispettare standard di qualità e criteri di efficienza hanno spia-nato la strada ad organizzazioni private sia di natura for profit (OFP)che non profit (ONP) le quali si sono affiancate e spesso sostituitealle organizzazioni pubbliche (OP), risultando spesso in competi-zione tra loro. Ne è derivato un sistema di offerta di servizi pubbli-ci, soprattutto quelli di tipo sociale, più complesso che in passato,caratterizzato dalla compresenza di soggetti di natura diversa. Ilcrescente ruolo assunto dalle organizzazioni private nella fornitu-ra di servizi un tempo di esclusiva competenza del settore stataleha spinto gli studiosi a coniare un nuovo termine, quello appuntodi welfare mix 1, intendendo con ciò un sistema produttivo carat-terizzato da un’offerta variegata di servizi sociali, sanitari ed assi-stenziali da parte di organizzazioni pubbliche, private for profit eprivate non profit.La crescita del peso relativo del cosiddetto terzo settore all’internodel sistema economico del nostro Paese è stata perciò favorita an-che dalla trasformazione delle sue finalità. Ad organizzazioni co-stituite in prevalenza per promuovere diritti o per ridistribuire ri-sorse si sono affiancate e spesso anche sostituite (trasformandosi)organizzazioni che producono in modo continuativo servizi di uti-

Il welfare mix

* Università degli Studi di Napoli “Federico II”.** Seconda Università degli Studi di Napoli.1 Per un approfondimento del modello di erogazione dei servizi che si basa sulla compre-senza di più organizzazioni produttive con diverso assetto proprietario, si vedano D’Acun-to e Musella (2004).

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lità sociale. E non a caso è proprio questo settore – il settore deiservizi di pubblica utilità – che enumera la percentuale più elevatadi ONP, in modo ormai simile ad altri Paesi europei.Contemporaneo alla crescita del SNP, si è sviluppato un accesodibattito sia in sede istituzionale che accademica che ha messo indiscussione la capacità di queste organizzazioni di assumere unruolo attivo nella crescita occupazionale e del prodotto. I punticritici sollevati dal dibattito hanno riguardato vari aspetti, che quisono riassunti in due punti fondamentali. Da un lato, si è sostenu-to che tali organizzazioni tenderebbero a creare occasioni di lavo-ro sostitutive, anziché aggiuntive a quelle perse nel settore pubbli-co a causa dell’azione di ‘cessazione’ della fornitura di servizi.Dall’altro lato, si è messo in dubbio che le occasioni di lavoro co-munque generate dal settore non profit fossero di buona qualità.In altri termini, soggetti non facilmente identificabili nella proprie-tà dell’organizzazione potrebbero utilizzarle come strumenti disfruttamento della forza lavoro procurando posti di lavoro di bas-sa qualità e retribuendo i lavoratori con salari inferiori a quelli cor-risposti dalle concorrenti for profit e da quelle pubbliche.In effetti, l’idea che il SNP paghi i lavoratori remunerati – più dicinquecentomila, pari a circa il 2,7% dell’occupazione totale nel1999 secondo i dati del censimento ISTAT reso pubblico nel 2001 2

– con un salario inferiore a quello corrisposto dalle OFP e da quel-le pubbliche è assai diffusa. Mentre nel caso del settore pubblicola differenza salariale sarebbe spiegata dal sostegno statale di cuigodono le OP 3, invece, nel caso delle OFP, si ipotizza che esseutilizzino i salari come un meccanismo incentivante e di controllo,alla maniera descritta dai modelli con salari di efficienza. Pagandoremunerazioni più elevate, le OFP assumerebbero una forza lavo-ro maggiormente qualificata 4 ed in grado, perciò, di garantire pre-2 Tale valore è di molto inferiore a quanto registrato negli altri Paesi industrializzati, qualiOlanda (12,6%), Irlanda (11,5%), Stati Uniti (7,8%), Gran Bretagna (6,2%), Germania (4,9%)e Francia (4,9%).3 L’evidenza empirica relativa agli Stati Uniti e all’Unione europea mostra che, in genere, ilsettore pubblico remunera i propri lavoratori con salari monetari più elevati. Comemostrato nell’ultimo paragrafo, l’evidenza empirica fornita in Mosca e Pastore (2003a)dimostra che il caso italiano non fa eccezione da questo punto di vista.4 Nella letteratura, tale idea è alla base dei modelli di ‘selezione avversa’, in quanto le impresefor profit pagherebbero salari più alti per assumere i lavoratori con una maggiore produttività.

Le retribuzioni nelsettore non profit

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stazioni lavorative di qualità elevata e livelli più alti di produzionedi beni e servizi. Al contrario, il SNP attirerebbe una forza lavorodotata di basse qualifiche professionali e capace, perciò, di pro-durre un ammontare minore di beni e servizi, per di più di qualitàinferiore.Più in generale, la questione della remunerazione del fattore lavo-ro si ricollega poi con il problema se in Paesi tecnologicamenteavanzati – il cui sviluppo si basa essenzialmente sulla ricerca diprodotti innovativi seguendo principi di efficienza e perseguendoottiche di massimo profitto – ci sia spazio per imprese non profit.Ci si chiede, in altre parole, come sia possibile che organizzazioni(le non profit) che corrispondano salari più bassi delle concorren-ti possano nel lungo periodo rimanere in vita in un contesto pro-duttivo ispirato alla logica del profitto e dell’efficienza.Ma si può effettivamente dire che le ONP siano meno efficientidelle loro controparti private e pubbliche? Inoltre, anche ammessoche ciò sia vero, come è possibile che un differenziale salariale traorganizzazioni operanti nello stesso settore persista anche nel lun-go periodo? Per rispondere a tali domande, la letteratura recentesull’argomento ha puntato la sua attenzione sull’analisi delle carat-teristiche interne alle organizzazioni che operano nel settore deiservizi sociali, nel quale si assiste alla compresenza di organizza-zioni caratterizzate da un diverso assetto proprietario. Ciò è statopossibile, nel caso italiano, anche grazie alla disponibilità di unanuova banca dati, raccolta dall’ISSAN nel 1998, che fornisce indi-cazioni dettagliate su aspetti interessanti interni alle organizzazio-ni operanti nel settore dei servizi sociali, quali, ad esempio, i rap-porti interni fra lavoratori e volontari e con lo staff dirigenziale edil grado di motivazione e di soddisfazione dei lavoratori occupatiin diverse forme di organizzazione. Il volume curato da Borzaga eMusella (2003) raccoglie numerose elaborazioni fondate sulla bancadati dell’ISSAN.In questo articolo, si tenterà di riprendere e passare in rassegnaalcuni dei principali risultati sia empirici che teorici di questa re-cente letteratura, sottolineando come l’indagine innovativa con-dotta sulle caratteristiche interne alle organizzazioni operanti nel-la fornitura di servizi di utilità sociale abbia contribuito anche al

La banca dati diISSAN

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dibattito teorico ormai in corso da alcuni decenni sui fattori chespiegano l’esistenza delle organizzazioni non profit, permettendodi superare alcune note lacune tipiche delle spiegazioni precedenti.In particolare, ci si soffermerà su due aspetti peculiari delle ONP:il primo, più generale, riguarda la loro capacità di creare beni rela-zionali come sottoprodotto della attività principale di produzionedi servizi di utilità sociale; il secondo, collegato al primo, riguardala loro capacità di motivare i lavoratori, spingendoli così a profon-dere uno sforzo analogo a quello dei loro colleghi operanti nelleimprese for profit, anche in presenza di salari più bassi. Allo stessotempo, si tenterà, così, di sviluppare un percorso interpretativovolto ad individuare argomenti che confermino o confutino i dub-bi sollevati da coloro i quali guardano con scetticismo al recentesviluppo del SNP.Il resto dell’articolo è organizzato come segue. Il secondo paragraforichiama i termini essenziali della spiegazione classica dell’esisten-za del settore non profit. Il terzo paragrafo sottolinea le novità teori-che derivanti dall’osservazione dei rapporti interni alle ONP e dallaloro funzione redistributiva. Il quarto paragrafo identifica le pecu-liarità del settore dei servizi di utilità sociale nel quale le ONP sonopiù diffuse, in Italia e non solo. Il quinto paragrafo propone unaspiegazione teorica dell’esistenza di differenziali salariali a sfavoredel SNP. Il sesto paragrafo passa in rassegna l’evidenza empirica di-sponibile confrontandola con le spiegazioni teoriche discusse neiparagrafi precedenti. Seguono alcune considerazioni conclusive.

2. Le interpretazioni teoriche tradizionali del non profit

La letteratura sul non profit offre diverse interpretazioni del suc-cesso che tali organizzazioni hanno registrato nel corso degli anni.L’interpretazione predominante, come è noto, si può far risalireai lavori pionieristici di Weisbrod (1975; e 1988) e di Hansmann(1980; e 1996). I contributi di questi due studiosi, spesso associa-ti e combinati fra loro, hanno costituito per molti anni un conte-sto teorico piuttosto organico in grado di fornire una spiegazio-ne convincente, ed accettata perciò quasi universalmente, delleragioni dell’esistenza delle ONP. Il primo autore sottolinea la co-

I lavori diWeisbrod e diHansmann

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siddetta “terzietà” delle ONP, vale a dire la loro capacità di elabo-rare una risposta innovativa ai fallimenti del mercato e dello sta-to nella fornitura di particolari beni/servizi, caratterizzati da ester-nalità positive e problemi di free riding. L’offerta di tali beni/servizi sarebbe condizionata dal ruolo dominante giocato dall’elet-tore mediano all’interno di regimi democratici, ruolo che limite-rebbe la soddisfazione delle richieste provenienti dalle minoran-ze. Le organizzazioni non profit allargherebbero lo spettro deiservizi pubblici offerti, permettendo di raggiungere un maggiorebenessere sociale. Oggi, questa interpretazione ha avuto un revi-val collegato alla evoluzione del sistema di welfare, cui si facevariferimento nell’Introduzione.Seguendo il secondo autore, si capisce, inoltre, perché la imple-mentazione di tali servizi sarebbe delegata alle organizzazioni senzascopo di lucro, anziché a quelle for profit. In effetti, i mercati dovele ONP sono più diffuse sono caratterizzati da asimmetrie informa-tive, talvolta a favore dell’organizzazione, talaltra a favore dellaclientela, che determinerebbero l’impossibilità di concludere letransazioni tra produttore e consumatore, nel caso la produzionesia assicurata da imprese private. In sostanza, seguendo questainterpretazione, quando le imprese possiedono maggiore informa-zione rispetto ai fruitori di servizi pubblici, questi ultimi tendereb-bero ad affidarsi alle ONP, perché le ONP offrirebbero maggiorigaranzie rispetto alle OFP a causa del vincolo statutario alla distri-buzione degli utili. Inoltre, quando le asimmetrie sono a favoredei consumatori, le ONP hanno una maggiore facilità nel reperireinformazioni rispetto alle OFP e alle OP. In un sistema nel quale letransazioni possono fondarsi su una rete di rapporti informali, qualisono quelli che si instaurano nelle ONP, i costi che queste si trova-no a fronteggiare sono minori, consentendo attraverso questa viail rispetto dei vincoli di efficienza produttiva e, risultando così, piùproduttive delle concorrenti. Da parte degli utenti, c’è una mag-giore propensione a rivelare in modo corretto le proprie preferen-ze quando queste non saranno utilizzate dai produttori per rag-giungere finalità di lucro. Il non profit, quindi, avrebbe un vantag-gio competitivo rispetto al concorrente for profit costituito dallapresenza di costi di transazione (di raccolta delle informazioni, di

I costi ditransazione

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contratto e di esercizio della proprietà) più bassi delle loro antago-niste for profit (Hansmann, 1996, cap. 12).Queste interpretazioni, che hanno come punto in comune la ten-denza a definire il non profit in negativo, come soluzione alla nonproduzione di beni/servizi o alla non conclusione delle transazio-ni in condizioni di asimmetrie informative, sono considerate spie-gazioni classiche del fenomeno del non profit, ma vengono oggiritenute inadeguate a spiegare il diffondersi di tali organizzazioniin mercati nei quali il fallimento dello stato e del mercato e il pro-blema delle asimmetrie informative sono solo marginali.

3. Alcuni recenti sviluppi teorici: la funzione redistributivadelle non profit

Comune ai contributi legati all’impostazione tradizionale è anchel’argomento del vincolo di non distribuzione o di distribuzione li-mitata degli utili. Secondo questo approccio, le ONP, il cui obietti-vo non consiste esclusivamente nella massimizzazione del profit-to, risultano più efficienti di altre forme organizzative.Ora, questo aspetto delle organizzazioni non profit è stato oggettodi ulteriore riflessione ed approfondimento nei contributi più re-centi. Si è notato, ad esempio, che l’impossibilità di distribuire utiliagli individui che detengono il controllo delle organizzazioni con-sente di segnalare e garantire l’assenza di incentivi a trarre un van-taggio indebito non solo sui clienti, ma anche su tutti gli stakehol-der, vale a dire i donatori, i fornitori, i lavoratori e tutti coloro cheentrano in rapporto con l’organizzazione. Potendo essere solo rein-vestiti per migliorare i servizi forniti e/o creare migliori condizionilavorative, gli eventuali utili realizzati determinano effetti molte-plici a beneficio di tutta la struttura organizzativa. Essi, infatti, pos-sono fornire un contributo per aumentare il grado di fiducia deiclienti, invogliare i lavoratori ad investire in capitale umano speci-fico e rassicurare i donatori sul fatto che le loro risorse sarannoutilizzate solo ed esclusivamente per i fini statutari (Glaeser e Sh-leifer, 2001). Seguendo questo modo di argomentare appare chia-ra un’altra specificità delle ONP: la funzione redistributiva. L’im-possibilità di ottenere vantaggi monetari diretti (sotto forma di ap-propriazione dei profitti) da parte di particolari stakeholder fa sì

La funzioneredistributiva

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che si producano vantaggi per tutte le categorie di stakeholder pre-senti nell’organizzazione, dai lavoratori ai manager, dagli utentialla intera comunità di appartenenza. Migliori condizioni di lavoroe posizioni lavorative più stabili possono essere assicurate ai lavo-ratori, servizi aggiuntivi e prezzi più contenuti agli utenti e un raf-forzamento delle relazioni sociali attraverso la costruzione ed im-plementazione di reti fiduciarie alla comunità nel suo complesso.La capacità ora illustrata delle organizzazioni non profit di garanti-re meglio gli stakeholder è stata sviluppata in diverse direzioni,delle quali due sono sottolineate in queste note. La prima riguardal’impatto sulla collettività nel suo complesso. La seconda riguarda,invece, la capacità delle non profit di sviluppare meglio le relazio-ni interne, soprattutto quelle con i loro lavoratori. Al primo puntosi farà cenno nella parte restante di questo paragrafo, mentre ilsecondo punto sarà sviluppato nel prossimo paragrafo.Collegata alla funzione redistributiva delle ONP è la loro capacitàdi presentarsi direttamente – a differenza dello stato e del mercato– come produttrici di “capitale sociale” e più in generale di svilup-po economico, intendendo con questo termine il complesso di isti-tuzioni sociali e norme che “producono” e riproducono la fiducianecessaria per il buon funzionamento del mercato e che avvantag-giano, pertanto, l’intera comunità. L’idea che le ONP possano con-tribuire a creare il capitale sociale che il mercato non riesce a ge-nerare, ma di cui pure ha un bisogno esiziale può essere ritrovatanei contributi recenti di studiosi quali Putnam (1993; e 2000) e Lin(2001). Coleman (1990, p. 317), in particolare, sottolinea che alcu-ne caratteristiche del capitale sociale lo rendono difficilmente ri-producibile. Ad esempio, in modo simile ad alcuni beni privati, ilcapitale sociale è un bene network, in quanto l’utilità di ciascunoaumenta con l’aumento dei soggetti in rete, come il telefono o ilfax, ma ha anche caratteristiche proprie dei beni pubblici, in quantocrea esternalità e, quindi, è soggetto al rischio di free riding 5.

5 In letteratura sono presenti tesi che sostengono che il mercato riesce a trovare soluzioniche aumentano la fiducia senza ricorrere alla produzione di “capitale sociale”. Questeinterpretazioni sostengono che il mercato da solo è in grado di individuare adeguatiincentivi per creare e/o mantenere elevata la reputazione/fiducia (cfr. North, 1990). Sipensi ai codici di commercio, alle società di rating , alle certificazioni dei processiproduttivi e dei prodotti delle imprese, etc..

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Proprio queste caratteristiche di difficile riproducibilità del capita-le sociale fanno comprendere come mai territori nei quali è eleva-ta la concentrazione di istituzioni non profit risultino più produtti-vi di altri nei quali vi è carenza 6. Realtà territoriali nelle quali vi èuna fitta rete di impegno civile fanno aumentare l’investimento infiducia e la probabilità che altri reciprochino con fiducia (Grano-vetter, 1973; e 1985; Putnam 1993; e 2000).Altri studiosi hanno messo in luce la capacità delle ONP di sapermeglio valutare e motivare il fattore lavoro, ciò che avrebbe con-tribuito ad accrescere la stabilità e la competitività di tali formeorganizzative. Secondo tali autori, le ONP possiedono un vantag-gio competitivo (rispetto alle concorrenti pubbliche e for profit)perché in grado di relazionarsi meglio con i lavoratori, i volontarie i manager e creare nello stesso tempo sistemi di incentivo nonbasati esclusivamente su aspetti monetari e in grado inoltre sia diveicolare verso le organizzazioni donazioni sotto forma monetariae di lavoro, che selezionare e meglio motivare i lavoratori nellaproduzione di beni/servizi per i quali è difficile monitorare la pre-stazione lavorativa 7. Le ONP sarebbero in grado di sfruttare me-glio incentivi non pecuniari che risulterebbero in alcuni casi com-pensativi dei livelli più bassi di remunerazione, in modo da man-tenere comunque elevato il livello complessivo della soddisfazio-ne del lavoratore e consentirgli di garantire gli stessi livelli di pro-duttività dei colleghi che ricevono remunerazioni più elevate inaltre organizzazioni. Su questo ultimo punto si ritornerà nel quintoparagrafo, non prima di esserci chiesti come mai le ONP tendonoa concentrarsi nella produzione dei servizi di utilità sociale.

4. I settori di intervento delle non profit: il ruolo dei servizi diutilità socialeSe si segue l’impostazione tradizionale per spiegare l’esistenza delnon profit allora dovremmo aspettarci che esso si concentri in quei

6 Questa interpretazione trova conferma per il nostro Paese nel fatto che la maggior partedelle organizzazioni non profit si concentra nel nord del Paese dove sono maggiormentepresenti istituzioni sociali.7 Per un maggiore approfondimento si vedano i contributi presenti in Borzaga e Musella(2003).

La soddisfazionedel lavoratore

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mercati nei quali siano presenti sia la tirannia dell’elettore media-no che difficoltà forti nel reperimento di informazioni adeguatesulla qualità del servizio e sulla procedura osservata durante le fasidi produzione. Diverse ricerche empiriche recenti hanno studiatola distribuzione delle ONP in diversi settori produttivi, innanzi tut-to per verificare la validità della spiegazione classica ed, in secon-do luogo, per carpire da tale informazione ulteriori elementi ingrado di caratterizzare in modo univoco il non profit. Tali studihanno messo in evidenza che, pur essendo presenti in diversi set-tori produttivi, in quasi tutti i Paesi, le ONP tendono a concentrarsimaggiormente nel settore dei servizi di pubblica utilità (Salamon eAnheir, 1996; e 1998; Barbetta et al., 2003; Hansmann, 2003). Maperché la maggior parte delle organizzazioni non profit è presentenel settore dei servizi di pubblica utilità? Cosa è in grado di offrirein più alle ONP questo settore rispetto agli altri?Una delle specificità possedute dal settore dei servizi di pubblicautilità è che in esso si produce un output che ha natura di benepubblico, una caratteristica che potrebbe scoraggiare organizza-zioni volte al perseguimento del profitto dal partecipare alla suaproduzione. Inoltre, in questo settore le organizzazioni produttivedevono garantire l’offerta del servizio anche ad utenti che non rie-scono a sopportarne il costo attraverso il pagamento completo delprezzo. La massiccia presenza di organizzazioni non profit in que-sto settore può spiegare la maggiore attitudine di questa formaorganizzativa, che si esplicita attraverso la flessibilità della struttu-ra e del fattore lavoro, ad erogare il servizio a tutti i richiedenti erisultare più efficiente delle concorrenti for profit e pubbliche 8.In questo settore, inoltre, si produce un output particolare che hanatura multidimensionale. Questa caratteristica determina difficoltànel momento in cui si procede alla misurazione della qualità delservizio erogato e dell’efficienza produttiva dell’organizzazione,adottando gli stessi indicatori utilizzati per le organizzazioni forprofit. In effetti, oltre a produrre l’output specifico – il servizio ri-

8 L’assenza di organizzazioni pubbliche deriva dal fatto che nel corso degli ultimi anni loStato si sta disinteressando della fornitura di servizi di utilità sociale, sia delegando altreorganizzazioni produttive di proprietà non pubblica sia cedendo completamente la gestio-ne di tutte le procedure di selezione della domanda e di fornitura del servizio.

Le specificità delsettore dei servizidi pubblica utilità

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chiesto dall’utente –, il settore in questione produce esternalitàpositive, vale a dire una maggiore socialità e un’intensificazionedelle reti fiduciarie tra organizzazione e cliente. Non a caso, inletteratura, si è cercato di cogliere la multidimensionalità dell’ou-tput prodotto identificando con la produzione del servizio anchela produzione congiunta di beni e servizi relazionali 9 (Gui, 2000;Musella, 2003). Tutti questi effetti positivi, rafforzati ulteriormentedal vincolo alla non distribuzione del profitto, sono in grado dideterminare un aumento della domanda dell’output di tali orga-nizzazioni e ciò consentirebbe alle stesse di essere più competiti-ve rispetto alle concorrenti for profit e pubbliche. È chiaro quindia questo punto che la peculiarità del settore consente alle organiz-zazioni di specializzarsi nella produzione dell’output specifico ri-sultando più efficienti delle concorrenti for profit e pubbliche.Tuttavia, un limite dell’impostazione ora analizzata consiste nel fattoche essa non consentirebbe di allargare il campo di analisi e so-prattutto non spiegherebbe la presenza di organizzazioni non pro-fit in settori nei quali i fenomeni di internal trust e di asimmetriainformativa sono assenti, oppure il cui peso può essere notevol-mente ridotto ricorrendo alla reputazione o a strategie di marke-ting pubblicitario 10.

5. Compensazioni non-pecuniarie ed effort lavorativo. Un ap-proccio teoricoLa sezione precedente ha mostrato come nel settore dei servizi dipubblica utilità e più in particolare nel settore dei servizi alla per-sona, dove maggiormente operano le ONP, l’output sia difficile damisurare a causa della produzione congiunta di beni e servizi rela-zionali ed anche a causa del fatto che il prodotto dipende non solodall’ammontare di lavoro impiegato, ma anche dallo sforzo (effort)effettivamente profuso dai lavoratori, sforzo che presenta proble-mi di monitoraggio. A causa della difficoltà di misurare l’output e

9 Per una definizione di servizio e bene relazionale cfr. Gori e Vittadini (1999). Per unadefinizione di bene relazionale cfr. Zamagni, 1999.10 Un’analisi approfondita dei limiti presenti in letteratura nell’analizzare lo sviluppo delsettore e delle organizzazioni non profit è presente in Borzaga (2003).

La produzionecongiunta di benie servizirelazionali

Uno sguardo all’interno della scatola ... • ecomomica area345

lo sforzo lavorativo, anche gli indicatori tradizionali utilizzati permisurare la produttività del lavoro falliscono il loro scopo. Per talemotivo, un processo di determinazione salariale quale quello de-scritto nella letteratura sui cosiddetti salari di efficienza 11, applica-to attraverso la corresponsione di alti salari, potrebbe apparire lastrategia migliore per un’organizzazione produttiva che voglia ga-rantire elevati livelli di produttività. Questo approccio implica, inprimo luogo, che la quantità (e qualità) del servizio erogato dipen-de esclusivamente dallo sforzo lavorativo (effort) e dall’attenzioneimpiegata dai lavoratori durante lo svolgimento della propria man-sione lavorativa ed, in secondo luogo, che la remunerazione in-fluenza il livello di produttività attraverso un aumento dello sforzolavorativo. L’idea che nel SNP operi un meccanismo di determina-zione salariale del tipo descritto dalla letteratura sui “salari di effi-cienza” è stata sostenuta anche da Hansman (1980) e Weisbrod(1977; e 1983).In questo paragrafo, si tenta di mostrare come la natura peculiaredella produzione di servizi alla persona può contribuire a spiegareperché le ONP tenderebbero a corrispondere bassi livelli di salariorispetto al settore privato for profit ed a quello pubblico, questio-ne sollevata, come si è detto nell’introduzione, non solo nel dibat-tito accademico, ma anche in quello di politica economica (God-deeris, 1988; Preston, 1989; e Frank 1996; per un quadro più com-pleto del differenziale salariale del SNP si vedano Leete, 2000; e2001; e Ruhm e Borkoski, 2000). Si è notato, infatti, come, inver-tendo il ragionamento di Hansmann, si tende spesso a sostenereche la differenza salariale a danno delle ONP sarebbe legata allatendenza delle OFP ad usare i salari come un meccanismo incenti-vante e di controllo così come sostenuto dalla modellistica della‘selezione avversa’: pagando salari più alti, le organizzazioni pri-vate assumerebbero una forza lavoro più qualificata in grado digarantire livelli più alti di produzione a parità di qualità. Al contra-

11 Com’è noto, nell’approccio dei salari di efficienza à la Shapiro e Stiglitz (1984) si sostieneche essendo la performance lavorativa – l’effort – collegata direttamente al salario, èpossibile, quando non è controllabile l’effort, ottenere un elevato livello di impegnolavorativo aumentando il salario al di sopra del livello che sarebbe necessario perriequilibrare il mercato del lavoro.

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rio, il SNP assumerebbe una forza lavoro con bassi livelli di quali-fica professionale capace come tale di produrre lo stesso output,ma con caratteristiche quantitative e qualitative inferiori.Già in un contributo precedente, però, Hansmann (1980) avevasuggerito, invece, che le ONP utilizzassero i salari come un mecca-nismo di ‘selezione avversa invertito’: offrendo salari più bassi diquelli corrisposti dalle concorrenti private for profit e pubblicheesse sarebbero in grado di disincentivare quei lavoratori interessa-ti solo alla remunerazione monetaria ed attirare quelli che attribu-iscono un valore maggiore al lavoro svolto. Questa idea è stata inseguito formalizzata da Preston (1989) e da Handy e Katz (1998).La prima assume che i lavoratori impegnati nel settore non profitabbiano come termine fondamentale della loro funzione di utilitàindividuale anche il benessere della intera collettività. I secondiassumono che il salario di riserva dei lavoratori specializzati emotivati dal perseguimento dei fini dell’organizzazione è più bas-so di quello dei lavoratori specializzati ma indifferenti alle sortidell’organizzazione. Questa ipotesi implica che è strategico per leONP corrispondere salari più bassi in modo da assumere, con unaprobabilità più alta, lavoratori qualificati e, allo stesso tempo, mo-tivati.Gli argomenti teorici sopra esposti si scontrano con due problemifondamentali. In primo luogo, il modello della Preston (1989) nonsegue l’approccio con salari di efficienza e non tiene perciò contodel problema di monitoraggio dell’attività lavorativa prestata nelsettore dei servizi sociali dove le organizzazioni non profit coesi-stono con le for profit. In secondo luogo, nell’analisi di Handy eKatz (1998) si dovrebbe spiegare perché lavoratori specializzati,ma più motivati, hanno un salario di riserva più basso rispetto aicolleghi con gli stessi profili professionali ma indifferenti alle sortidell’organizzazione. In altre parole, cosa sono in grado di offrirein più le ONP ai lavoratori più motivati rispetto alle organizzazionifor profit (OFP) e alle OP tanto da spingerli a preferire le primealle seconde?Ebbene, è possibile ipotizzare, anche alla luce delle osservazionipresentate nelle sezioni precedenti, che la remunerazione com-prenda una componente che si traduce in una dimensione stretta-

Il meccanismodi “selezioneavversa invertito”

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mente monetaria – il salario – ed un’altra componente che riflettetutti quegli elementi che non sono traducibili direttamente in mo-neta, vale a dire le buone relazioni sul posto di lavoro con i colle-ghi e i diretti superiori, la partecipazione alle decisioni dell’orga-nizzazione, il coinvolgimento diretto con il richiedente nell’eroga-zione del servizio, la condivisione dei fini dell’organizzazione etc..Come dimostrano Mosca e Pastore (2003b), la considerazione del-le componenti non monetarie della remunerazione è essenzialeper completare l’ipotesi di Hansmann dell’esistenza di una sele-zione avversa invertita e dare “realismo” all’assunto del modello diHandy e Katz (1998) che lavoratori più motivati abbiano un salariodi riserva più basso, anche a parità di qualifica professionale. Que-sto modo di argomentare appare essenziale per affrontare la que-stione della presenza di differenziali salariali tra organizzazioni chehanno una forma diversa, ma che producono lo stesso servizio. Sele OFP corrispondono livelli più alti di remunerazione monetaria –il salario – in virtù di un meccanismo che segue da vicino il princi-pio alla base dei modelli con salario di efficienza, e, per questavia, assumono solo lavoratori con un elevato livello di produttivi-tà, allora se ne dovrebbe dedurre che esse dovrebbero risultare leuniche forme organizzative in grado di sopravvive nel lungo peri-odo. Ma allora come si potrebbe spiegare la compresenza delleONP?Una risposta a questo interrogativo è da ricercare proprio nell’esi-stenza di compensazioni non monetarie e nella capacità delle ONPdi assicurare livelli di remunerazione non-monetaria più elevati.In altre parole, affinché perduri un differenziale salariale a dannodelle non profit anche nel lungo periodo, esso dovrebbe esserecontrobilanciato da un differenziale positivo della componente non-pecuniaria in termini di un più elevato livello di fairness nell’orga-nizzazione non profit. Ma allora il modello con salari di efficienzadi Shapiro e Stiglitz (1984) non appare adeguato per spiegare lapermanenza di un differenziale salariale nel lungo periodo fra or-ganizzazioni diverse e necessita introdurre i modelli fondati sulmorale dei lavoratori (cosiddetti morale models) sviluppati da Aker-lof (1984) e da Akerlof e Yellen (1990). Infatti, seguendo Shapiro eStiglitz (1984), il SNP dovrebbe livellare i salari alzandoli al livello

Le componentinon monetariedellaremunerazione

Un più elevatolivello di fairnessnella ONP

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di quelli del SFP/pubblico o scomparire, risultando meno efficien-te nel lungo periodo, come sostenuto dagli oppositori del SNP.Invece, la possibilità di selezionare una mano d’opera più motiva-ta, cioè più interessata alle ricompense non monetarie della remu-nerazione, permette alle ONP di pagare salari più bassi senza per-ciò essere necessariamente meno efficienti.

6. L’evidenza empirica sui salari e sull’efficienza delle nonprof i t

Prima di concludere l’analisi della recente letteratura sul settorenon profit, resta da capire se il dibattito teorico ora riportato è ingrado di spiegare l’evidenza empirica disponibile. Naturalmente,la prima questione da sottolineare è la difficoltà di verificare empi-ricamente concetti e grandezze che proprio nel dibattito teoricosono ritenute dai più non misurabili o misurabili solo in modoimproprio utilizzando gli indicatori tradizionali. Si pensi ai benirelazionali, alla qualità dell’output o all’efficienza nel settore deiservizi sociali, alla motivazione e all’effort del lavoratore nelle di-verse organizzazioni. Un primo lavoro approfondito di verifica diqueste caratteristiche interne alle ONP operanti nel settore dei ser-vizi di utilità sociale è stato reso possibile dalla banca dati dell’IS-SAN, che è stata costituita, tra gli altri motivi, anche con l’intento dimisurare grandezze all’apparenza difficili da misurare. Tale bancadati presenta informazioni prima inesistenti sulla motivazione deilavoratori e sul loro sforzo lavorativo, nonché sul grado di effi-cienza delle organizzazioni. I lavori contenuti nel volume di Bor-zaga e Musella (2003) forniscono alcune elaborazioni che qui ci sipropone brevemente di richiamare, concentrandosi sui punti se-guenti: il differenziale salariale fra ONP, OFP ed OP; ed il grado dimotivazione dei lavoratori nei diversi tipi di organizzazione.Sul primo punto, Mosca e Pastore (2003a, Tabelle 1 e 2) trovano chein media non esiste un divario salariale statisticamente significativonei salari orari percepiti dai lavoratori a tempo pieno delle ONP edelle OFP. I salari mensili dell’insieme degli occupati sono inveceleggermente più alti nelle for profit (5.7%), il che è dovuto alla mag-giore percentuale di lavoratori a tempo parziale occupati nelle nonprofit e ai salari orari più bassi percepiti da tali lavoratori.

I divari salarialisono contenuti

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Solo quando si escludono le ONP laiche si registra un lieve divarioin termini di salari orari dei lavoratori a tempo pieno a favore delleOFP. In effetti, all’interno del settore non profit, mentre le coope-rative sociali e le organizzazioni religiose remunerano i loro lavo-ratori con un salario netto mensile più basso (-8.8%), quelle laicheoffrono salari più alti (2.3%) delle loro controparti for profit. Que-sta differenza all’interno del settore non profit, che è ancora piùmarcata se si concentra l’attenzione sui lavoratori a tempo pieno, èprobabilmente da attribuire al fatto che le ONP laiche svolgonoanche attività di vendita al pubblico, il che permette loro di gestireun maggior volume di affari e quindi di pagare salari più alti.Inoltre, Mosca e Pastore (2003a) trovano che il differenziale sala-riale fra settore statale e non profit ammonta a circa l’11% in termi-ni orari e al 16% in termini mensili al netto del prelievo fiscale. Ildifferenziale tende ad annullarsi nel caso dei lavoratori a tempoparziale, ma aumenta nel caso di quelli a tempo pieno in terminiorari, passando ad oltre il 15%. Il differenziale mensile è legger-mente più basso (13%) nel caso sempre dei lavoratori a tempo pie-no.Sul secondo punto, Depedri (2003) rileva un maggior grado di sod-disfazione dei lavoratori occupati nel privato non profit, rispetto aquelli occupati nel privato for profit e nel settore pubblico. Inol-tre, l’analisi econometrica suggerisce che il grado di soddisfazionedipende solo in parte dalla componente monetaria della remune-razione. Fattori importanti, in grado di influenzare il livello di sod-disfazione sono la condivisione dei fini dell ’organizzazione condirigenti, utenti e volontari, nonché il grado di coinvolgimento so-ciale e relazionale interno all’organizzazione. Solo nel settore sta-tale si osserva una più spiccata dipendenza della soddisfazionedalla componente monetaria della remunerazione.In sintesi, l’evidenza empirica relativa al caso italiano da noi pro-dotta sulla banca dati dell’ISSAN sembra sconfessare la credenzamolto diffusa che il SNP paghi salari più bassi del SFP, anche seconferma la conclusione che i salari nel settore pubblico siano piùalti che in quello privato. L’unica differenza fra privato for profit enon profit è nella maggiore quota di lavoro volontario e di lavoroa tempo parziale nelle seconde. Inoltre, le cooperative sociali e le

Il maggior gradodi soddisfazioneè influenzatodalla condivisionedei fini

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non profit religiose offrono effettivamente salari leggermente piùbassi di quelli delle imprese for profit e delle altre non profit lai-che. Tuttavia, a fronte di differenziali salariali piuttosto contenutiall’interno del settore privato, si registra, come previsto dalla mo-dellistica teorica discussa in precedenza, un maggior livello di mo-tivazione da parte dei lavoratori operanti nel non profit 12. Ciò do-vrebbe essere garanzia sufficiente dell’uguale grado di efficienzadelle non profit rispetto alle for profit ed al settore statale.

7. ConclusioniQuesto lavoro si è proposto di dar conto di un dibattito fiorito inanni recenti non solo in Italia intorno alle ragioni della esistenza edella improvvisa recente diffusione delle organizzazioni non pro-fit. Si è notato che tale espansione ha sollevato non poche per-plessità non solo nel mondo accademico, ma anche in quello lega-to alla attuazione della politica economica. Molti hanno espressola preoccupazione che la progressiva sostituzione delle organizza-zioni non profit a quelle pubbliche in un modello di stato socialecaratterizzato sempre più dall’arretramento del settore pubblicopotrebbe portare ad un progressivo scadimento della quantità equalità dei servizi offerti, nonché ad un peggioramento qualitativodelle condizioni di lavoro della forza lavoro impiegata.I tentativi di spiegazione della recente espansione del settore nonprofit, nonché dei dubbi che essa ha sollevato sono stati moltepli-ci ed hanno contribuito non solo a sciogliere tali dubbi, ma anchead aprire nuovi interessanti campi di riflessione e di analisi delmondo del cosiddetto terzo settore. Tali riflessioni contribuisconoa chiarire, approfondendola, la spiegazione tradizionale di Wei-sbrod che riconduce l’esistenza del non profit alla sua natura diterzo settore e di Hansmann che invece attribuisce alle non profitla capacità di risolvere il problema delle asimmetrie informativenel rapporto fra utente e produttore che si creano nei mercati dovele non profit operano.Le principali novità sono derivate dalla attenzione posta da moltistudiosi sulle relazioni interne alle organizzazioni non profit. In

12 Si vedano, per un approfondimento, Depedri (2003) e Solari (2003).

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particolare, l’analisi si è concentrata su due linee innovative di ri-cerca. La prima sottolinea il carattere redistributivo delle organiz-zazioni non profit, vale a dire la loro capacità di creare, grazie alfine ideologico che le anima, un output aggiuntivo a quello princi-pale, costituito dai beni relazionali. In tal modo, le organizzazioninon profit possono contribuire in modo significativo alla creazio-ne del capitale sociale.La seconda linea di ricerca si è soffermata sui meccanismi retribu-tivi esistenti all’interno delle non profit, sottolineando che, anchequando questo sia il caso, il pagamento di salari più bassi da partedelle non profit, rispetto sia alle for profit che, in misura senz’altromaggiore, al settore statale non deve necessariamente tradursi inuna perdita di output e di qualità dei servizi erogati. Per spiegareperché ciò sia vero, occorre innanzi tutto ragionare in un modellocon salari di efficienza, in quanto l’output prodotto tipicamentenel settore dei servizi sociali, dove sono più frequenti le organiz-zazioni non profit non può essere facilmente misurato, rendendodifficile anche il monitoraggio dello sforzo profuso dai lavoratori.Inoltre, muovendosi in un modello con salari di efficienza, si puòdimostrare anche come una minore remunerazione monetaria puòessere accompagnata da una maggiore remunerazione non pecu-niaria, lasciando invariato il livello di output prodotto. Ciò richie-de, però, che ci si allontani dai modelli tradizionali con salari diefficienza per considerare invece i cosiddetti morale models.

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