un bestiario politico nelle «epistole» di dante, in «italianistica», xliv / 2 (2015), pp....

26
ITALIANISTICA Rivista di letteratura italiana ANNO XLIV · N. 2 MAGGIO/AGOSTO 2015 PISA · ROMA FABRIZIO SERRA EDITORE MMXV estratto issn 0391-3368 issn elettronico 1724-1677

Upload: unibo

Post on 16-Nov-2023

0 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

ITALIANISTICARivista

di letteratura italiana

ANNO XLIV · N. 2

MAGGIO/AGOSTO 2015

PISA · ROMA

FABRIZIO SERRA EDITORE

MMXV

estratto

issn

039

1-33

68is

sn e

lett

roni

co 1

724-

1677

SOMMARIO

«NEL SUO PROFONDO».MISCELLANEA DI STUDI DANTESCHI (1265-2015)

A cura diAlberto Casadei, Marcello Ciccuto, Giorgio Masi,

con la collaborazione di Ida Campeggiani

Premessa (Giorgio Masi) 11Nota ai testi 13Alberto Casadei, La «mirabile visione» nel finale della Vita nova 15

*Raffaele Pinto, Il Libro delle canzoni e la costruzione del personaggio della Anti-

beatrice 21Juan Varela-Portas de Orduña, Tre donne intorno al cor: una proposta di let-

tura e datazione 37Eduard Vilella, «Pintura» ed esperienza estetica in Amor che movi tua vertù dal

cielo 53

*

Davide Nardi, L’«imaginata caccia» e il «consiglio» della ragione: psicofisiologia del-l’atto morale in Inf 21-23 69

Massimo Colella, «Fa molte belle trasmutazioni ovidiezando». Antichi commenti emetamorfosi dantesche (Inf 24-25) 85

Ronald L. Martinez, Commendatio animae: Guido da Montefeltro e la liturgiaper i moribondi e i defunti 99

Niccolò Maldina, L’ars orandi di Dante e lo status teologico delle anime del Pur-gatorio 115

Serena Pagani, «Ricorditi di me». Pia de’ Malavolti e Nello de’ Pannocchieschi (Purg5, 130-136) 131

Theodore J. Cachey Jr., Una nota sugli angeli e l’Empireo 149

*Giuseppe Ledda, Un bestiario politico nelle Epistole di Dante 161Marco Veglia, Dante e Cangrande 181

*Sabrina Ferrara, Il senso del tempo nelle Egloghe di Dante, uomo e poeta 199

*

Fiammetta Papi, Sulla semantica della cortesia. Riflessioni su una definizione dantesca 209Cécile Le Lay, Per una nuova mariologia dantesca: rassegna bibliografica e prospettive 223

*Giuseppe Indizio, Documenti privatistici agli albori della fortuna di Dante (con una

nota su Andrea di Leone Poggi) 235

Bibliografia

Saggistica

Reviewing Dante’s Theology, edited by Claire E. Honess and Matthew Treherne(Marcello Ciccuto) 243

Giorgio Inglese, Vita di Dante. Una biografia possibile (Alberto Casadei) 245Fazio Degli Uberti, Rime, edizione critica e commento a cura di Cristiano Lo-

renzi (Marcello Ciccuto) 248Maria Musiol, Vittoria Colonna: A Woman’s Renaissance (Veronica Copello) 250Rime del Burchiello comentate dal Doni, edizione critica e commento a cura di Carlo

Alberto Girotto (Fiammetta Papi) 253Oscar Schiavone, Michelangelo Buonarroti: Forme del sapere tra letteratura e arte

nel Rinascimento (Giovanni Zagni) 258Pietro Petteruti Pellegrino, La negligenza dei poeti. Indagini sull’esegesi della

lirica dei moderni nel Cinquecento (Alessandra Villa) 261Barbara Torelli Benedetti, Partenia, a Pastoral Play, a Bilingual Edition, edited

by Lisa Sampson and Barbara Burgess-van Aken (Sofia Cangiano) 263Marco Santoro, I Giunta a Madrid: vicende e documenti (Giancarlo Volpato) 264Luca Lenzini, Un’antica promessa. Studi su Fortini (Pierluigi Pellini) 267Maria Rizzarelli, Sorpreso a pensare per immagini. Sciascia e le arti visive (Enrico

Fantini) 269Laura Ricci, Paraletteratura. Lingua e stile dei generi di consumo (Alberto D’Alfonso) 271

Sommario

UN BESTIARIO POLITICONELLE EPISTOLE DI DANTE

Giuseppe Ledda

Gli studi recenti sulle immagini animali nella Commedia hanno messo in luce come il poeta attivinella memoria del lettore i valori simbolici attribuiti agli animali dalla tradizione medievale o sfrut-ti in modi nuovi tali meccanismi di allegorizzazione. Anche alcune delle Epistole dantesche (5, 6, 7,11) sono ricche di riferimenti agli animali: questo articolo si propone di studiarli in modo sistema-tico, tenendo presenti le tradizioni bibliche, classiche e medievali relative. Si passano così in rasse-gna le immagini di regalità riferite all’imperatore Arrigo nelle Epistole 5 e 6, il leone e l’aquila, que-st’ultima anche in relazione ai pulcini di corvo. L’Epistola 7 presenta un terribile bestiario di Firenze,con l’idra, la vipera, la volpe, la pecora infetta. Infine, nell’Epistola 11 le immagini animali contri-buiscono alla rappresentazione profetica dell’autore (la pecora, l’asina di Balaam) e a quella nega-tiva dei cardinali (le figlie della sanguisuga).

Recent studies on the animal images in Dante’s Commedia have shown that the poet alludes to thesymbolic meanings given to the animals by the Medieval tradition, or puts into practice in newways such processes of allegorization. Also some of the Epistulae by Dante (5, 6, 7, 11) present manyreferences to animals. This article intends to study them in a systematic way, by giving considera-tion to the biblical, classical and Medieval pertinent traditions. The royal animal images attributedto the Emperor Henry, the lion and the eagle (Ep 5, 6) – the last one considered also in relationshipto the ravens’ chicks –, are here studied with such a perspective. In the Epistula 7 we can find a terrible series of animal images referred to Florence: the hydra, the vixen, the viper, the sick sheep.Finally, in Epistula 11 animal images contribute to the prophetic selfrepresentation by the author(the sheep, the Balaam’s ass) as well as to the negative characterization of the cardinals (the daugh-ters of the leech).

1.

ottratte alla valutazione ‘naturalistica’ e ‘realistica’ a lungo prevalente, le fre-quenti immagini animali usate da Dante nella Commedia si sono rivelate un terreno

di studio complesso e significativo.1 Il poeta attiva nella memoria del lettore i valori sim-

1 Rimando, anche per ulteriori riferimenti bibliografici, ad alcuni miei lavori recenti: Giuseppe Ledda, LaCommedia e il bestiario dell’aldilà. Osservazioni sugli animali nel Purgatorio, in La fabbrica della Commedia, Atti delConvegno internazionale di studi, Ravenna 14-16 settembre 2006, a cura di Alfredo Cottignoli, Donatino Domini,Giorgio Gruppioni, Ravenna, Longo, 2008, pp. 139-159; Id., Animali nel Paradiso, in La poesia della natura nella Di-vina Commedia, Atti del Convegno internazionale di studi, Ravenna, 10 novembre 2007, a cura di Giuseppe Led-da, Ravenna, Centro Dantesco dei Frati Minori Conventuali, 2009, pp. 93-135; Id., «Quali colombe dal disio chiama-te»: A Bestiary of Desire in Dante’s Commedia, in Desire in Dante and the Middle Ages, a cura di Manuele Gragnolati,Tristan Kay, Elena Lombardi, Francesca Southerden, Leeds, Legenda, 2012, pp. 58-70; Id., Per lo studio del bestiariodantesco. In margine a Gli animali fantastici nel poema dantesco di Guido Battelli, «Bollettino Dantesco per il Setti-mo Centenario», 1, settembre 2012, pp. 87-102; Id., Per un bestiario di Malebolge, in Dante e il mondo animale, a curadi Giuseppe Crimi, Luca Marcozzi, Roma, Carocci, 2013, pp. 92-113; Id., Un bestiario metaletterario nell’Inferno dan-tesco, «Studi danteschi», lxxviii, 2013, pp. 119-153. Indico preliminarmente alcuni testi di riferimento sui bestiari esugli animali nella cultura medievale che mi sono stati utili per le ricerche che hanno condotto alla stesura di que-sto e dei miei precedenti contributi: Beasts and Birds of the Middle Ages. The Bestiary and its Legacy, a cura di Wille-ne B. Clark e Meradith T. McMunn, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 1989; Michel Pastoureau,Bestiaire du Christ, bestiaire du diable, in Id., Couleurs, images, symboles. Études d’histoire et d’anthropologie, Paris, LeLéopard d’or, 1989, pp. 85-110; Jacques Voisenet, Bestiaire chrétien. L’imagerie animale des auteurs du Haut Moyen Âge

«italianistica» · xliv · 2 · 2015

S

162 Giuseppe Ledda

bolici che ai singoli animali erano assegnati nel bestiario medievale o sfrutta in modoautonomo e originale i meccanismi di allegorizzazione e moralizzazione per suggerirenuovi significati.

Tra le altre opere dantesche le Epistole si mostrano particolarmente ricche di allusio-ni e presenze animali, altrove invece meno frequenti. Tali presenze sono però tutte con-centrate nelle cosiddette epistole civili, 5, 6, 7, 11, mentre nessuna delle altre mostra al-lusioni di questo tipo.1

Un primo riferimento si trova all’inizio dell’Epistola 5, indirizzata ai Re, Signori e po-poli d’Italia nell’autunno 1310, dove Dante annuncia con entusiasmo l’arrivo di Arrigo einvita tutti gli italiani a sottomettersi all’autorità dell’imperatore e a collaborare con luialla restaurazione della pace. L’imperatore è investito di una missione provvidenziale esono numerosi i riferimenti biblici chiamati a conferirgli una figuralità messianica.2

Tra i tanti riferimenti cristologici sono le metafore solari che aprono l’epistola (1, [2-3]), subito seguite da uno dei più celebri emblemi cristologici animali, il leone della tri-bù di Giuda:

Arrexit namque aures misericordes Leo fortis de tribu Iuda; atque ullulatum universalis captivita-tis miserans, Moysen alium suscitavit qui de gravaminibus Egiptiorum populum suum eripiet, adterram lacte ac melle manantem perducens (Ep 5, 1 [4]).

Nel linguaggio di questo passo entra forse anche, secondo i commentatori, una eco virgiliana: l’allusione a una similitudine in cui un leone affamato, scorta una preda,«gaudet, hians immane, comasque arrexit» (Aen x, 726).3 Ma se il leone virgiliano arre-xit comas, prima di incrudelire sanguinosamente sulla preda, questo leone dantesco

(ve-xie s.), Toulouse, Presses Universitaires du Mirail, 1994; Bestiari medievali, a cura di Luigina Morini, Torino, Ei-naudi, 1996; L’animal exemplaire au Moyen Âge (ve-xve siècle), a cura di Jacques Berlioz e Marie Anne Polo de Beau-lieu, Rennes, Presses Universitaires de Rennes, 1999; Jacques Voisenet, Bêtes et Hommes dans le monde médiéval.Le bestiaire des clercs du ve au xiie siècle, Turnhout, Brepols, 2000; «Micrologus», viii, 2000: Il mondo animale / TheWorld of Animals; Francesco Zambon, L’alfabeto simbolico degli animali. I bestiari del medioevo, Milano, Luni, 2001;Maria Pia Ciccarese, Animali simbolici. Alle origini del bestiario cristiano. i (agnello-gufo), Bologna, Edizioni Dehoniane, 2002, ii (leone-zanzara), ivi, 2007; Simbolismo animale e letteratura, a cura di Dora Faraci, Manziana (Roma), Vecchiarelli, 2003; Bestiaires médiévaux. Nouvelles perspectives sur les manuscripts et les traditions textuelles, acura di Baudouin Van den Abeele, Louvain-La-Neuve, Université Catholique de Louvain, 2005; Michel Pastou-reau, Bestiaires du Moyen Âge, Paris, Seuil, 2011; Dante e il mondo animale, cit.

1 Anche la Ep 13 ne è priva. Si registra, in un testo di tale lunghezza, soltanto l’espressione generica «gregumvestigia sectari non decet» (13, 2 [7]) e il riferimento al capro, hircus, a proposito dell’etimologia, ampiamente vul-gata, di tragedia da tragos, e dunque come «cantus hircinus» (13, 10 [29]). Le Epistole sono citate dall’edizione a cu-ra di Claudia Villa, in Dante Alighieri, Opere, ed. diretta da Marco Santagata, Milano, Mondadori, vol. ii, 2014,pp. 1417-1592. Per facilitare l’individuazione dei passi indico la doppia paragrafatura, secondo l’edizione a cura diErmenegildo Pistelli, in Le opere di Dante, testo critico della Società dantesca italiana, Firenze, Società dantesca ita-liana, 19602. Indico preliminarmente anche altre edizioni commentate delle Epistole, a cui farò riferimento con ilsolo nome del commentatore: a cura di Francesco Mazzoni, in Monarchia. Epistole politiche, Torino, eri, 1966; a cu-ra di Arsenio Frugoni e Giorgio Brugnoli, in Opere minori, tomo ii, Milano-Napoli, Ricciardi, 1979; a cura di An-gelo Jacomuzzi, in Opere minori, vol. ii, Torino, utet, 1986; a cura di Rodney J. Lokaj, in Le opere latine, Roma, Sa-lerno editrice, 2005; a cura di Manlio Pastore Stocchi, in Epistole - Ecloge - Questio de situ et forma aque et terre,Roma-Padova, Antenore, 2012. Dedicato esclusivamente alle quattro epistole politiche è Dante Alighieri, FourPolitical Letters, Translated and with a commentary by Claire E. Honess, London, Modern Humanities ResearchAssociation, 2007.

2 Per una rassegna delle allusioni bibliche nelle Epistole e uno studio sulle loro funzioni cfr. Giuseppe Ledda,Modelli biblici e identità profetica nelle Epistole di Dante, «Lettere italiane», lx, 2008, pp. 18-42. Cfr. inoltre Paola Rigo, Tempo liturgico nell’epistola ai Principi e ai Popoli d’Italia, «Lettere Italiane», xxxii, 1980, pp. 222-231, poi in Eadem, Memoria classica e memoria biblica in Dante, Firenze, Olschki, 1994, pp. 33-44; Elisa Brilli, Reminiscenzescritturali (e non) nelle epistole dantesche, «La Cultura», xlv, 2007, pp. 439-455.

3 Cfr. in particolare il commento ad loc. di Arsenio Frugoni.

Un bestiario politico nelle Epistole di Dante 163

arrexit aures misericordes, e presta ascolto al lamento per la schiavitù universale del mon-do privo dell’imperatore.

Al richiamo virgiliano, reso probabile dal verbo arrexit, si aggiunge l’evidente cara-tura biblica di questo leone. E la dimensione biblica del bestiario delle Epistole sarà unacostante, anche se il bacino biblico non sarà l’unico a cui Dante attingerà. Il riferimen-to diretto è a un celebre passo della Genesi: «Catulus leonis Iuda a praeda fili mi ascen-disti / requiescens accubuisti ut leo et quasi leaena quis suscitabit eum» (Gen 49, 9). So-no parole pronunciate da Giacobbe a proposito del figlio Giuda. Da qui vengono poimolti luoghi paralleli, fra i quali spicca Nm 24, 9: «Accubans dormivit ut leo et quasi le-aena quam suscitare nullus audebit». E il leone della tribù di Giuda ricompare nel-l’Apocalisse, «ecce vicit leo de tribu Iuda radix David» (Apc 5, 5), in cui l’interpretazionemessianica e cristologica si fa del tutto chiara.

L’immagine aveva applicazione politica ed essa sembra funzionare in tal senso anchequi.1 Tuttavia occorre sottolineare che nel passo dell’epistola non vi è identificazionefra Arrigo e il «Leo fortis de tribu Iuda». Arrigo è piuttosto il nuovo Mosè che il miseri-cordioso leone di Giuda, impietosito dalla schiavitù universale, ha suscitato (suscitavit).Spicca però l’uso dello stesso verbo che è attribuito nei testi veterotestamentari a coluiche suscita il leone (Gen 49, 9; Nm. 24, 9). Del resto, in tutta la tradizione esegetica, in-nografica e naturalistica vige l’identificazione del leone padre con Dio padre e del «ca-tulus leonis» con Cristo. Qui Dante evoca dunque un leone padre che suscita un nuovoMosè, per il quale a questo appellativo messianico si aggiunge a quello implicito di ca-tulus leonis suscitato da un «Leo fortis».

Al leone della tribù di Giuda di Gen 49, 9 si sovrappone, attraverso l’attributo della for-titudo, la figura del leone come immagine di Dio che si scaglia feroce contro i nemicidel suo popolo. Tra i passi biblici che mostrano questo aspetto del leone mi pare effica-ce e attivo questo di Isaia, in cui tra l’altro è attiva anche l’associazione tra il leone e ilsuo catulus: «Quomodo si rugiat leo et catulus leonis super praedam suam; et cum oc-currerit ei multitudo pastorum, a voce eorum non formidabit, et a multitudine eorumnon pavebit; sic descendet Dominus exercituum ut praelietur super montem Sion et su-per collem eius» (Is 31, 4).

Fra i pochi leoni presenti nell’opera dantesca, il più pertinente è certamente quellodel sesto canto del Purgatorio, in una similitudine relativa all’apparizione di Sordello(Purg 6, 61-66). I commenti danteschi segnalano la funzione nobilitante e statuaria del-l’immagine, e anche quando individuano il versetto biblico da cui Dante ha ripreso l’im-magine, non ne traggono alcuna particolare conseguenza interpretativa. Anche in que-sto caso si riconosce, a partire dal commento di Tommaseo, che Dante alluda al versettogià citato: «requiescens accubuisti ut leo» (Gen 49, 9). I bestiari medievali, a partire dalFisiologo, trattando del leone, citano regolarmente proprio il versetto del Genesi su Giu-da come un leone che giace e riposa e interpretano tale notizia in senso cristologico eresurrezionale.2 Posta all’inizio della seconda cantica, questa immagine annuncia la re-

1 Si trovava per esempio applicata nella letteratura di crociata e in particolare in un testo scritto per celebrarel’anniversario della conquista di Gerusalemme nella prima crociata: «Sit gloria, spes eo, / unde surrexit leo / su-scitatus a Deo» (Analecta Hymnica, xlvb 95, 35, 1-3). Testo citato in Maurizio Perugi, Il Sordello di Dante e la tradi-zione mediolatina dell’invettiva, «Studi danteschi», lv, 1983, pp. 23-135, a p. 116, a proposito dell’immagine del leonein Purg 6, 66. Del saggio di Perugi si vedano più in generale le pp. 114-119 e inoltre Idem, Canto vi, in Lectura Dan-tis Turicensis. Purgatorio, a cura di Georges Güntert e Michelangelo Picone, pp. 85-91: pp. 88-89.

2 Vedi per esempio Physiologus, Versio latina b Is, cap. 1 (in Bestiari medievali, cit., pp. 10-12). Mi limito a pochi ri-ferimenti a scopo esempificativo: Gervaise, Bestiaire, vv. 119-138 (in Bestiari medievali, cit., p. 298); Libro della natu-

164 Giuseppe Ledda

surrezione alla vita eterna che attende, dopo il processo di purificazione purgatoriale,tutte le anime del purgatorio.1

Nell’epistola, invece, il «Leo fortis» è una figura di leone padre identitificabile con Diopadre o forse con la divinità in generale, e attraverso il verbo suscitavit si conferma perArrigo una figuralità messianica, di rinascita e di liberazione universale.

2.

Accanto al leone viene subito evocato l’altro simbolo animale di regalità, l’aquila. Nonè certo il caso di insistere sul noto simbolismo imperiale, ampiamente utilizzato ancheda Dante (basti pensare al sesto canto del Paradiso, in cui celebra i trionfi dell’imperoproprio attraverso l’immagine del volo dell’aquila, «l’uccel di Giove»):2

Pone, sanguis Longobardorum, coadductam barbariem; et si quid de Troyanorum Latinorumquesemine superest, illi cede, ne cum sublimis aquila fulguris instar descendens affuerit, abiectos vi-deat pullos eius, et prolis proprie locum corvulis occupatum. (Ep 5, [4] 11).

Per questa immagine dell’aquila, i commenti alle Epistole si limitano a indicare il vi delParadiso e il sogno dell’aquila in Purg 9, per la chiara eco del verso «terribil come folgordiscendesse» (v. 29).3 Mi pare, tuttavia, che questo passo confermi la tendenza dantescaal riuso delle immagini del bestiario medievale con modalità allusive, contaminatorie emanipolatorie: alludendo a notizie e simbolismi diffusi nella tradizione, ma trasfor-mandoli per creare un’immagine nuova.

Davanti agli occhi del lettore viene evocata in poche righe una vicenda che si può co-sì riformulare: un’aquila torna al nido e trova che i suoi figli sono stati cacciati mentreal loro posto sono nel nido pulcini di corvo. Per quanto ho potuto riscontrare, una si-mile storia mi pare, nella sua completezza, nuova e inedita: costruita con singoli ele-menti narrativi presenti nella tradizione letterario-naturalistica, ma ricombinati in mo-di nuovi.

Da una parte si attiva il ricordo non solo del simbolismo imperiale dell’aquila, ma an-che di tante immagini bibliche in cui l’aquila è simbolo della potenza di Dio e della suavolontà di protezione nei confronti del suo popolo.4 Basti per esempio Dt 32, 11: «Sicutaquila provocans ad volandum pullos suos, et super eos volitans, expandit alas suas, etassumpsit eum, atque portavit in humeris suis». Questo versetto si trovava citato in ma-

ra degli animali (Bestiario Toscano), cap. xiii (ivi, pp. 442-443); Bestiario moralizzato, cap. ii (ivi, pp. 493-494). Sul sim-bolismo cristologico del leone cfr. anche Pastoureau, Bestiaire du Christ, bestiaire du diable, cit., p. 101. L’immagi-ne aveva poi un’ampia diffusione nell’innografia: cfr. per esempio due testi citati da Perugi, Il Sordello di Dante ela tradizione mediolatina dell’invettiva, cit., pp. 116-117, n. 195: Analecta Hyminca, xlviii, 163, 1, 1-4; 164, 1, 1-8.

1 Per questa interpretazione del passo e per una più ampia documentazione cfr. Ledda, Per lo studio del bestia-rio dantesco, cit., pp. 100-101.

2 Sul simbolismo dell’aquila nella cultura medievale cfr. Alain Boureau, L’aigle. Chronique politique d’un em-blème, Paris, Les Éditions du Cerf, 1985, pp. 7-112; Maria Pia Ciccarese, Il simbolismo dell’aquila, «Civiltà classicae cristiana», xiii/3, 1992, pp. 295-333. In particolare sull’eccellenza della vista cfr. Michel Pastoureau, Le bestiairedes cinq sens (xiie-xvie siècles), «Micrologus», x, 2002 (= I cinque sensi / The five Senses), pp. 133-145. In ambito dante-sco: Antonio Gagliardi, L’aquila e il pipistrello, in Idem, Ulisse e Sigieri di Brabante, Catanzaro, Pullano, 1992; An-namaria Carrega, Immagini intessute di scrittura: aquile dantesche, «L’immagine riflessa», vii, 1998, pp. 285-301;Francesca Baraldi, Il simbolismo dell’aquila nella Commedia dantesca, «I castelli di Yale. Quaderni di filosofia»,ix, 2007/2008, pp. 85-101; Mariangela Semola, Dante e l’exemplum animale: il caso dell’aquila, «L’Alighieri», xlix,n.s. 31, 2008, pp. 149-159. 3 Cfr. per esempio ad loc. i commenti di Frugoni, Pastore Stocchi, Villa.

4 Per una rassegna di passi biblici cfr. Gilberto Silvestri, Gli animali nella Bibbia, Milano, Edizioni San Pao-lo, 2003, pp. 109-114.

Un bestiario politico nelle Epistole di Dante 165

niera ancora più interessante nella Versio antiqua della Vulgata e da qui in gran parte del-la tradizione esegetica e naturalistica: «Sicut aquila protegit nidum suum, et super pul-los suos considit: expandens alas suas, suscepit eos, et tulit super pennas suas».1

Inoltre l’aquila nella tradizione naturalistica è per eccellenza l’uccello della visione:«aquila ab acumine oculorum vocata», spiega Isidoro e ripetono tutti gli altri autori me-dievali.2 Tale eccezionale capacità visiva riguarda sia la visione a distanza sia la visionedella luce. Così tutti i bestiari, i testi naturalistici e le enciclopedie ripetono non solo lanotizia secondo cui l’aquila riesce a fissare gli occhi nel sole, ma anche quella secondocui pure i pulcini, ancora nel nido, sono costretti dalla madre a fissare a loro volta gli oc-chi nel sole: se resistono sono nutriti, ma chi di loro distoglie lo sguardo è respinto co-me degenere e gettato via dal nido. La notizia, presente nella letteratura naturalisticaantica, è accolta nel bestiario cristiano già dagli autori patristici3 e poi diventa univer-salmente diffusa nei bestiari e nelle enciclopedie medievali.4 Si può citare come esem-plare proprio la formulazione di Isidoro:

Aquila ab acumine oculorum vocata. […] Nam et contra radium solis fertur obtutum non flecte-re; unde et pullos suos ungue suspensos radiis solis obicit, et quos viderit inmobilem tenere aciem,ut dignos genere conservat; si quos vero inflectere obtutum, quasi degenere abicit.5

La notizia, notissima e universalmente diffusa, non poteva non essere evocata nellamente del lettore dell’epistola dantesca.

Particolarmente interessanti sono quei passi in cui la notizia della prova del sole cuil’aquila sottopone gli aquilotti si trova associata al versetto del Deuteronomio sopra ci-tato, come avviene nell’Exaemeron di Ambrogio:

Aquila quoque plurimo sermone usurpatur quod suos abdicet fetus, sed non utrumque, verumunum ex pullis duobus. Quod aliqui fieri putaverunt geminandorum alimentorum fastidio. Sed idnon arbitror facile credendum, praesertim cum Moyses tantum testimonium pietatis in pullos suoshuic dederit avi, ut diceret: Sicut aquila protegit nidum suum et super pullos suos confidit et ex-pandit alas suas; et adsumpsit eos, et suscepit super scapulas suas. Dominus solus ducebat eos. Quo-

1 In questa forma il versetto era citato anche nel commento di Girolamo al Vangelo di Matteo (lib. iv, su Mt23, 37) e di qui ampiamente diffuso: «in cantico Deuteronomii legimus sicut aquila protegit nidum suum, et superpullos suos desideravit: expandens alas suas, suscepit et tulit super pennas suas» (Hieronimus, Commentariorumin Evangelium Matthaei Libri Quattuor, iv, 23 (su Mt 23, 37), in pl 26, coll. 175-176).

2 Isidoro, Etymologiae, xii, 7, 10-11.3 Sulla notizia della «prova del sole» cui l’aquila sottoporrebbe i suoi piccoli, cfr. Ciccarese, Animali simbolici.

Alle origini del bestiario cristiano. i. (agnello-gufo), cit., pp. 111-112, 114-116, 130-131, e i molti passi lì citati, fra cui Ari-stotele, Hist. an. ix, 619b; Plinio, Nat. hist. x, 10; Lucano, Phars. ix, 902-906; Eliano, De nat. an. ii, 26 e ix, 3;Ambrogio, Exaëmeron, v, 18, in pl 14, 232. Cfr. inoltre Ciccarere, Il simbolismo dell’aquila, cit., pp. 302-313. Parti-colarmente interessante la spiegazione cristologica di Gregorio di Elvira, De Salomone, 5-6, CChL 69, pp. 254-255: «sic quoque [scil. Christus dominus] extra ecclesiam proicit, in quibus fidei lumen infirmum est, qui igneamevangeliorum lucem vitiis saecularibus inquinati ferre non possunt» (in Ciccarese, Animali simbolici. Alle originidel bestiario cristiano. i. (agnello-gufo), cit., p. 116; e vedi p. 136 nota 74, per la stessa interpretazione in Clemente,Protr. x, 92.5). Sul simbolismo cristologico dell’aquila cfr. anche Pastoureau, Bestiaire du Christ, bestiaire du diable,cit., p. 103.

4 Isidoro, Etymologiae, xii, 7, 10-11. La notizia è raccolta naturalmente anche nella versione b Is del Physiologuslatino (cap. viii, in Bestiari medievali, cit., p. 24). Cfr. inoltre Rabano Mauro, De universo, viii 6, pl 111, 243; Ugodi Fouilloy, De avibus (pubblicato come Ugo di San Vittore, De bestiis, i, 56, pl 177, 53); Philippe de Thaün,Bestiaire, 2027-2042; 2093-2012 (Bestiari medievali, cit., pp. 218; 220); Alexander Neckam, De natura rerum, xxiii (pp.71-72); Bartolomeo Anglico, De proprietatibus rerum, xii 1 (p. 514); Tommaso di Cantimpré, Liber de natura rerum, v, 2 (p. 178); Vincenzo di Beauvais, Speculum naturale, xvi, 32 (p. 197); Brunetto Latini, Tresor, i, 145; Alberto Magno, De animalibus, xiii, 1 (ed. Stadler, p. 1433); Libro della natura degli animali (Bestiario toscano), xxxv(Bestiari medievali, cit., pp. 458-459); Bestiario moralizzato, xxxiv (Bestiari medievali, cit., p. 510); Cecco d’Ascoli,L’Acerba, iii, 3. 5 Isidoro, Etymologiae, xii, 7, 10-11.

166 Giuseppe Ledda

modo ergo expandit alas, si occiderit alterum? Unde puto non avaritia nutriendi eam inclementemfieri, sed examine judicandi. Semper enim fertur probare quos genuit; ne generis sui inter omnesaves quoddam regale fastigium degeneris partus deformitas decoloret. Itaque asseritur quod pul-los suos radiis solis obijciat, atque in aeris medio parvulos ungue suspendat; ac si quis repercussosolis lumine, intrepidam oculorum aciem inoffenso tuendi vigore servaverit, is probatur, quod ve-ritatem naturae sinceri obtutus constantia demonstraverit: sin vero lumina sua praestrictus radiosolis inflexerit, quasi degener et tanta indignus parente rejicitur; nec aestimatur educatione dignus,qui fuit indignus susceptione. Non ergo eum acerbitate naturae, sed judicii integritate condemnat;nec quasi suum abdicat, sed quasi alienum recusat.1

Nel momento in cui, nell’epistola dantesca, si parla di un’aquila che torna nel nido e vitrova dentro dei pulcini, si allude alla possibilità, per non dire necessità, che questi pul-cini siano sottoposti alla prova del sole, perché si possa provare se essi sono davvero fi-gli dell’aquila.

Dante è consapevole che quello dei nobili e delle genti d’Italia è un sangue misto e siappella loro perché facciano riconoscere che in sé hanno non solo il sangue barbaro, maanche il sangue romano, e facciano ora prevalere questa identità. L’appello suona peròvelatamente minaccioso. La figura dell’aquila che mette alla prova gli aquilotti era unafigura cristologica sì, ma dell’inflessibile severità del Cristo giudice. Perciò, suona comeuna implicita minaccia che coloro che non dimostreranno di essere figli veri e legittimidell’aquila saranno cacciati dal nido.

La pertinenza di questa lettura dell’immagine è suggerita anche dal fatto che la pri-ma immagine riferita all’imperatore era quella solare, posta enfaticamente in aperturadell’epistola e sviluppata analiticamente nelle prime righe del testo.

Nam dies nova splendescit ab ortu auroram demonstrans, que iam tenebras diuturne calamitatisattenuat; iamque aure orientales crebrescunt; rutilat celum in labiis suis, et auspitia gentium blan-da serenitate confortat. Et nos gaudium expectatum videbimus, qui diu pernoctavimus in deserto,quoniam Titan exorietur pacificus, et iustitia, sine sole quasi eliotropium hebetata, cum primumiubar ille vibraverit, revirescet. Saturabuntur omnes qui esuriunt et sitiunt iustitiam in lumine ra-diorum eius, et confundentur qui diligunt iniquitatem a facie coruscantis. (Ep 5, [1] 1-2)

Di particolare interesse l’ultimo periodo, costruito sulla giustapposizione antitetica didue versetti biblici (Mt 5, 6 e Ps 10, 6), a illustrare i due opposti comportamenti nei con-fronti dell’imperatore e le loro conseguenze: i giusti saranno saziati nella loro fame esete di giustizia, gli ingiusti saranno confusi.

Entrambe le situazioni sono indicate come reazioni di fronte alla luce abbagliante deiraggi del sole. Per il primo caso è citato il versetto evangelico del discorso della monta-gna «Beati qui esuriunt et sitiunt iustitiam: quoniam ipsi saturabuntur» (Mt 5, 6). Tutta-via, per adattare la citazione alla metafora solare, Dante aggiunge la clausola «in lumi-ne radiorum eius»: aggiunta del tutto incongrua rispetto al testo evangelico, costruito

1 Ambrogio, Exaemeron, v, 18, 60, pl 14, 231-232. Meno diretta ma comunque presente la combinazione in Ra-bano Mauro, De universo, viii, 6, pl 111, 243-244. In conclusione Ambrogio aggiunge anche un’altra notizia, quel-la secondo cui i pulcini di aquila caduti dal nido sono raccolti e allevati da altri uccelli, in particolare per Ambro-gio dalla folaga (fulica), per altri autori altri rapaci: è una notizia che dovrebbe derivare da Plinio, Nat. hist. x, 4,13, e si trova in bestiari anche più tardi come il Bestiario di Cambridge. Diverse versioni di questa notizia anche inAlexander Neckam, De natura rerum, xxiii (p. 72) Bartolomeo Anglico, De proprietatibus rerum, xii, 1 (p. 515);Tommaso di Cantimpré, Liber de natura rerum, v, 2 (pp. 178-179); Vincenzo di Beauvais, Speculum naturale, xvi,32 (p. 197); Brunetto Latini, Tresor, i, 145. Tale notizia è discussa e respinta da Alberto Magno, De animalibus,xiii, 1 (ed. Stadler, p. 1433).

Un bestiario politico nelle Epistole di Dante 167

sulle metafore alimentari e non su quelle della luce, ma necessaria per integrare il ver-setto nella complessa immagine solare che Dante sta costruendo.

Anche il comportamento negativo è indicato con materiale biblico, la ripresa di unsintagma da Ps 10, 6: «Dominus interrogat iustum et impium; qui autem diligit iniqui-tatem, odit animam suam». Si tratta ancora di un contesto di messa alla prova da partedel Signore, che emette poi il suo giudizio. Infatti subito dopo si aggiunge: «Pluet superpeccatores laqueos; ignis et sulphur, et spiritus procellarum, pars calicis eorum. Quo-niam iustus Dominus, et iustitias dilexit: aequitatem vidit vultus eius» (Ps 10, 7-8). Qui,a differenza del passo di Matteo, c’è dunque alla fine un elemento visivo che può avercontribuito alla ripresa dantesca. Nel passo dantesco il versetto è combinato con il ver-bo confundentur, forma assai diffusa nel linguaggio scritturale, sempre in riferimento aipeccatori e ai nemici di Dio.1

Dante sviluppa la metafora solare anche per contrapporre le reazioni dei giusti e de-gli ingiusti: al cospetto della luce del sole i giusti si troveranno nutriti e saziati; gli in-giusti, invece, confusi e incapaci di sostenere tale luce, saranno puniti. Questa contrap-posizione costituisce lo sfondo su cui il riferimento successivo all’aquila e ai suoi pulcinipuò costituire una allusione alla prova del sole.

Tuttavia, è evidente che la situazione non è quella consueta nella letteratura natura-listica ed esegetica. Si prospetta il rischio che l’aquila trovi che i suoi veri pulcini sonostati cacciati dal nido, evidentemente non da lei, ma da qualche altro. Benché non siauna notizia molto diffusa, si trova in alcuni bestiari la precisazione che la prova del so-le viene effettuata proprio per evitare il rischio che durante l’assenza dell’aquila le sueuova siano state sostituite nel nido con uova di altri uccelli.2 Il rischio è dunque che glieredi legittimi, i veri figli dell’aquila, giusti e amanti della giustizia, siano stati cacciatidal nido, e che l’aquila tornando al nido vi trovi invece dei pulcini di corvo. È implicito,ma ovvio, che tutti i pulcini saranno sottoposti dall’aquila alla prova del sole: se po-tranno rivolgere gli occhi nel sole, bene, altrimenti, per il fatto di essere confusi dal ri-fulgere del volto del sole splendente («confundentur […] a facie coruscantis»), sarannoriconosciuti come qui diligunt iniquitatem.

Resta da chiedersi perché l’opposizione sia proprio con i corvi.3 Una favola esopicaoppone l’aquila e il corvo, ma non c’è grande tradizione in proposito né vi è tematiz-zato il tema del nido e dei pulcini. Inoltre, il versetto biblico che si trova citato da alcu-

1 Vedi per es. Ps 24, 3-4: «Etenim, universi, qui sustinent te, non confundentur. Confundantur omnes iniquaagentes supervacue». Tra le tante occorrenze: Baruch, 6, 38; Osea 4, 19; Is 1, 29; 19, 9; 20, 5; 45, 24; 49, 23; Ier 17, 13; 20,11; Micha 7, 16. Particolarmente interessanti: Is 41, 11 («Ecce confundentur et erubescent omnes qui pugnant ad-versum te»); 45, 24 («Ergo in Domino, dicet, meae sunt justitiae et imperium; ad eum venient, et confundenturomnes qui repugnant ei»); 66, 5; Micha 3, 7; Ps 33, 6 «Accedite ad eum, et illuminamini; et facies vestrae non con-fundentur»).

2 Cfr. per esempio Guillaume le Clerc, Bestiaire, 689-704: «Une altre manere a estrange: / car qui de ses oesfereit change / e en son ni altres meïst, / si qu’il nel sëust ne veïst, / quant li pigon serreient grant, / ainceis qu’ilfussent ben volant, / les portereit la sus en l’air / contre le rai, contre l’esclair / del soleil, quant melz raiereit. / Ce-lui qui ben esgadereit / le rai del soleil, sanz ciller, / amereit il e tendreit cher, / e celui qui n’avreit vigor / d’esgar-der contre la luor, / com avoltre le guerpireit, / ja puis ne s’en entremettreit» (Guillaume le Clerc, Le Bestiaire,herausgegeben von Robert Reinsch, Leipzig, Reisland, 1892, pp. 251-252). La diffusione della notizia è confermatada Alberto Magno, che la riporta, con varianti, e la respinge dopo un’ampia discussione (Alberto Magno, Deanimalibus, xiii 1, ed. Stadler, pp. 1433-1434).

3 Interessante ma non risolutivo il rimando di Villa, commento cit., ad loc. secondo cui «questa associazioneornitologica, in cui si trovano aquile e corvi, si rinviene in Albertino Mussato, Ecerinis (ed. Padrin, 1900, p. 10): lìperaltro con sentimento filoguelfo, si parla di un’aquila nigris sociabile corvis».

168 Giuseppe Ledda

ni commentatori dell’epistola dantesca, Ps 147, 9,1 non dà luogo a una interpretazionenegativa del corvo né dei suoi pulcini. Il versetto si trova infatti nel contesto di un can-to di lode a Dio, perché egli, tra le tante cose buone, «dat iumentis escam ipsorum etpullis corvorum invocantibus eum». L’allusione ai pulcini dei corvi è dunque positiva,perché essi sono assimilati a coloro che temono Dio e che possono perciò sperare nel-la sua misericordia: «Beneplacitum est Domino super timentes eum, et in eis qui spe-rant super misericordias suas» (Ps 147, 11).

Il corvo ha per il resto nella tradizione biblica un trattamento piuttosto negativo, findall’episodio secondo cui, inviato al termine del diluvio da Noè ad esplorare e verifica-re se le terre si fossero asciugate, non tornò mai all’arca, come fece invece la colomba.2Di qui, oltre che per il piumaggio nero e le abitudini alimentari immonde, al corvo fuattribuito un simbolismo spesso negativo.3

Ma anche per i corvi esiste una notizia naturalistica legata al tema del riconoscimen-to dei pulcini come veri figli o usurpatori del nido. In molti testi si racconta che inizial-mente i corvi rifiutano i pulcini, in quanto, privi di piume, sono di colore bianco e nonsomigliano ai genitori; ma quando poi si coprono del piumaggio nero li nutrono amo-revolmente. La notizia è ampiamente utilizzata e discussa da Gregorio Magno, per com-mentare il versetto biblico Iob 38, 41, «Quis praeparat corvo escam suam, quando pullieius clamant ad Deum, vagantes eo quod non habeant cibos?».4 La notizia penetra intal modo nella tradizione esegetica del libro di Giobbe ed è raccolta anche da Isidoro diSiviglia e di qui diffusa nei bestiari e nelle enciclopedie, dove diventa la notizia standardsul corvo.5

Spesso si aggiunge a questa l’altra notizia secondo cui i piccoli del corvo sopravvi-vono prima di essere nutriti dai genitori cibandosi di rugiada celeste, ovvero, secondo diffuse interpretazioni, della grazia divina. Così per esempio Bartolomeo Anglico: «Dicuntur autem pulli corvorum rorae coelesti vesci, quamdiu beneficio aetatis, nonhabent nigras plumas» (e la glossa marginale: «Nota quod gratia Dei reficit innocen-tes»).6 A conferma della pertinenza di questa tradizione, credo possa essere il riferi-mento, poco sotto nell’epistola dantesca, alla rugiada come simbolo esplicito della gra-zia di Dio: «Non resiliat gratia Dei ex vobis tanquam ros cotidianus ex lapide; sed velutfecunda vallis concipite ac viride germinetis, viride dico fructiferum vere pacis» (Ep 5,5 [16]).

1 Cfr. per esempio Frugoni, commento cit., ad loc. 2 Cfr. Gen, 8, 6-9.3 Per un quadro delle principali interpretazioni patristiche cfr. Ciccarese, Animali simbolici. Alle origini del

bestiario cristiano. i. (agnello-gufo), cit., pp. 357-378.4 Cfr. Gregorio Magno, Moralia in Iob, xxx, 33: «Editis namque pullis, ut fertur, escam plene praebere dissi-

mulat, priusquam plumescendo nigrescant, eosque inedia affici patitur, quoadusque in illis per pennarum nigre-dinem sua similitudo videatur. Qui huc illucque vagantur in nidum et ciborum expetunt aperto ore subsidium.At cum nigrescere coeperint, tanto eis praebenda alimenta ardentius requirit, quanto illos alere distulit».

5 Cfr. Isidoro di Siviglia, Etymologiae, xii, 7, 43; Rabano Mauro, De universo, viii (in pl 111, 252); Pseudo-Ugo di San Vittore (= Ugo di Fouilloy), De bestiis, i (pl 177, 31-33). Per altri esempi si veda Bestiari medievali,cit., pp. 622-24; 359-360 (per le fonti bibliche della notizia); 378-380; 441-442; 511; 596-597. Vedi inoltre anche BrunettoLatini, Tresor, i, 157. Per le fonti patristiche cfr. Ciccarese, Animali simbolici. Alle origini del bestiario cristiano i(agnello-gufo), cit., pp. 357-377.

6 Cfr. Bartolomeo Anglico, De proprietatibus rerum, xii, 10. Per la glossa marginale vedi Baudouin Van denAbeele, Simbolismo sui margini. Le moralizzazioni del De proprietatibus rerum di Bartolomeo Anglico, in Simbolismoanimale e letteratura, cit., pp. 159-183, dove, alle pp. 170-181, si offre anche la trascrizione delle glosse marginali nellibro xii, De avibus, dal ms. Paris, bnf, lat. 16098, sul corvo a p. 175. La notizia secondo cui i piccoli dei corvi si cibanodi rugiada è molto più antica, trovandosi già in Girolamo, Tractatus in Psalmos, 116, 9: cfr. Ciccarese, Animalisimbolici simbolici. Alle origini del bestiario cristiano i (agnello-gufo), cit., pp. 361-362 e 375-376 n. 44.

Un bestiario politico nelle Epistole di Dante 169

Un altro dato di un certo interesse è che la metamorfosi dei pulcini può essere vistain senso positivo (e allora il corvo genitore diventa figura di Dio), come effetto della pe-nitenza: «Se l’omo per verace penitentia / se veste de vertude, Deo lo tene / per Suo fi-liolo e fallo esser beato».1

In conclusione, mi pare che, pur senza suggerire corrispondenze troppo strette, Dan-te alluda a notizie diffuse nella cultura naturalistica, per creare un’immagine nuova ecomplessa. Da una parte la prospettiva per i corvuli che usurpano il posto degli aquilot-ti nel nido è minacciosa, dall’altra non si può non ricordare che nella tradizione scrittu-rale, esegetica e naturalistica i pulli corvorum hanno un destino positivo e vengono nu-triti perfino dalla rugiada della grazia, almeno finché sono bianchi e non somigliano ailoro genitori neri. Il riferimento ai corvuli, associato con il tema del nido dell’aquila edella prova del sole evoca dunque insieme la severità del giudizio ma anche la miseri-cordia di Dio.

Accanto all’allusione alla minacciosa aquila che sottoporrà alla prova i pulcini, e caccerà gli indegni, si può cogliere l’invito ai Signori italiani a recuperare la propria iden-tità di aquile, a far vincere dentro di sé il sangue romano e aquilino, rifiutando la partedi sangue discendente dai corvi longobardi. E nella scelta di questi uccelli potrebbe for-se avere influito anche il loro essere animali sacri e ampiamente presenti proprio nel-l’emblematica germanica e soprattutto longobarda, in quanto animali sacri a Odino, inlongobardo Wotan, il Signore dei corvi.2

3.

Gli auspici espressi da Dante nell’Epistola 5 non hanno però l’esito che egli sperava, an-che a causa dell’opposizione ad Arrigo da parte di alcune città, prima fra tutte Firenze.Ciò provoca una violenta epistola rivolta «Agli scelleratissimi Fiorentini che vivono trale mura di Firenze» (Ep 6).

Per Arrigo si continuano a usare riferimenti messianici e insieme simboli propri an-che della tradizione romana. In particolare è interessante per i nostri scopi il riferimen-to all’aquila, che piomberà dall’alto sulla città ribelle, incurante delle mura e dei vallicostruiti a difesa:

An septi vallo ridiculo cuiquam defensioni confiditis? O male concordes! o mira cupidine obcecati!Quid vallo sepsisse, quid propugnaculis et pinnis urbem armasse iuvabit, cum advolaverit aquila inauro terribilis, que nunc Pirenen, nunc Caucason, nunc Athlanta supervolans, militie celi magisconfortata sufflamine, vasta maria quondam transvolando despexit? Quid, cum adfore stupescetis,miserrimi hominum, delirantis Hesperie domitorem? (Ep 6, 3 [12])

L’«aquila in auro» è evidentemente l’insegna imperiale, come appare anche nell’esem-pio purgatoriale di «Traiano imperadore»: «l’aguglie ne l’oro / sovr’essi in vista al ventosi movieno» (Purg 10, 80-81). Va citato però soprattutto il canto 6 del Paradiso, in cui tor-

1 Bestiario moralizzato, xxxvi, vv. 12-14, in Bestiari medievali, cit., p. 511.2 Cfr. Gianna Chiesa Isnardi, I miti nordici, Milano, Longanesi, 1991, p. 54; Andrea Cattabiani, Volario.

Simboli, miti e misteri degli esseri alati: uccelli, insetti e creature alate, Milano, Mondadori, 2009, pp. 298-299. Tralascio,per motivi di spazio, alcune altre immagini animali presenti nell’Ep 5: il riferimento alle seduzioni della cupiditas,cui è associato l’emblema delle sirene (Ep 5, 4 [13]); le immagini di bovini, specie buoi aggiogati (5 [16], ecc.); le molte immagini pastorali (5 [17], ecc.). Tralascio anche la pur interessante immagine del «coluber» che «supinatur»come veicolo di una similitudine in cui la «culpa vetus» si rovescia e poi si rigira su se stessa (6 [18]), solitamenteintesa dai commentatori come esempio di autolesionismo e che a me pare invece l’immagine di una finta con-versione, di un girare su se stesso e tornare nella stessa posizione di prima.

170 Giuseppe Ledda

nerà l’aquila come figura del potere imperiale che vola conquistando e punendo sugrandi scenari geografici. Ma l’aquila imperiale, inequivocabilmente disegnata con pre-cisi riferimenti araldici, è rappresentata nel suo volo minaccioso anche con i caratteriche le attribuivano molti passi biblici, che forse non agiscono direttamente, ma certotutti creano uno sfondo per intendere l’azione politica dell’imperatore come assimila-ta, attraverso la figura potente e invincibile dell’aquila, all’azione di Dio e delle forze mi-litari e politiche da Dio stesso suscitate e spinte.1

In questa epistola, a Firenze, la città ribelle, rea di aver resistito ai decreti divini, sonoassociati modelli biblici esemplari di arroganza e superbia, quali i babilonesi costrutto-ri della torre (Ep 6, 2 [8]), che saranno citati anche tra gli esempi di superbia nel Purga-torio,2 come anche i monti di Gelboe (3 [11]).3 E si giunge, ancora con un esempio chesi ritrova tra quelli purgatoriali di superbia,4 all’immagine classica di Troia distrutta eincenerita (4 [15-16]).5

A Firenze non si associano però immagini animali in questa epistola. Si può registra-re un riferimento topicamente evangelico allo iugum libertatis, che i Fiorentini sono ac-cusati di rifiutare: «primi et soli iugum libertatis horrentes» (2 [5]).6 Qui sembra attivoun altro campo metaforico che Dante userà nel Purgatorio, dove i superbi sono trasfor-mati in buoi aggiogati: il giogo doma la loro superbia.7 Il riferimento evangelico è an-cora a una figura cristologica di divino aggiogatore, che invita all’umiltà della sotto-missione ma presenta il giogo imposto come dolce e leggero:

Venite ad me, omnes qui laboratis et onerati estis, et ego reficiam vos. Tollite iugum meum supervos et discite a me, quia mitis sum et humilis corde, et invenietis requiem animabus vestris. Iugumenim meum suave et onus meum leve est. (Mt 11, 28-30)

Nel bestiario cristiano, ai buoi che accettano docilmente e umilmente il giogo si con-trappongono spesso i bufali, descritti come buoi selvatici che si ribellano al giogo, re-golarmente interpretati come simbolo di superbia.8

1 Cfr per esempio Dt 28, 49: «adducet Dominus super te gentem de longinquo et de extremis finibus terrae insimilitudinem aquilae volantis cum impetu cuius linguam intellegere non possis»; Ez 17, 3: «et dices haec dicit Do-minus Deus aquila grandis magnarum alarum longo membrorum ductu plena plumis et varietate venit ad Liba-num et tulit medullam cedri»; Ez 17, 7: «et facta est aquila altera grandis magnis alis multisque plumis»; Ier 48, 40:«haec dicit Dominus ecce quasi aquila evolabit et extendet alas suas ad Moab»; Ier 49, 22: «ecce quasi aquila ascen-det et evolabit et expandet alas suas super Bosram et erit cor fortium Idumeae in die illa quasi cor mulieris partu-rientis»; Apc 8, 13: «et vidi et audivi vocem unius aquilae volantis per medium caelum dicentis voce magna vae vaevae habitantibus in terra de ceteris vocibus tubae trium angelorum qui erant tuba canituri».

2 Cfr. Purg 12, 34-36.3 Cfr. Purg 12, 40-42. Per ulteriori riferimenti sul Gelboe come monte della superbia cfr. Erich Auerbach, L’or-

goglio di Saul (Purg 13, vv. 40-42), in Idem, Studi su Dante, Milano, Feltrinelli, 1984, pp. 269-273.4 Cfr. Purg 12, 61-63. E cfr. inoltre Inf 1, 75; 30, 13-15. Su Troia come esempio di civitas diaboli nella cultura

medievale e in Dante cfr. Elisa Brilli, Firenze e il suo profeta. Dante fra teologia e politica, Roma, Carocci, 2012, pp.181-185.

5 Cfr. Patrizia Di Patre, I modi dell’intertestualità dantesca: tradizione classica e biblica in un frammento di prosa(Ep vi, 12-24), «Studi Danteschi», lxi, 1989, pp. 289-306, in particolare pp. 300-305.

6 Il concetto della libertà come obbedienza alle leggi sarà spiegato più ampiamente nel par. 6 [23].7 Cfr. Purg 11, 52-54: «E s’io non fossi impedito dal sasso / che la cervice mia superba doma, / onde portar con-

vienmi il viso basso». Anche Dante si sottopone, con Oderisi a questa postura aggiogata e penitenziale: «Di pari,come buoi che vanno a giogo, / m’andava io con quell’anima carca» (Purg 12, 1-2).

8 Bartolomeo Anglico, De proprietatibus rerum, xviii, 14: «Bubalus est a bove diminutione dictus, eo quod si-milis sit bobus. Est autem animal ita indomitum, quod prae feritate iugum non recipit in cervice». [glossa: «Notacontra seculares indomitos et superbos»]. La glossa è trascritta dal ms. Padova, Biblioteca Antoniana, 494, f. 230 v.Per un altro esempio cfr. Rabano Mauro, De universo, vii, in pl 111, 210. Per altri riferimenti cfr. Ledda, Dante eil bestiario dell’aldilà, cit., pp. 147-148.

Un bestiario politico nelle Epistole di Dante 171

Ancora di sapore biblico è la metafora ornitologico-venatoria dei «pennati»:

A, Tuscorum vanissimi, tam natura quam vitio insensati! Quam in noctis tenebris malesane men-tis pedes oberrent ante oculos pennatorum, nec perpenditis nec figuratis ignari. Vident namquevos pennati et inmaculati in via, quasi stantes in limine carceris, et miserantem quempiam, ne for-te vos liberet captivatos et in compedibus astrictos et manicis, propulsantes. (Ep 6, 5 [21])

Il riferimento biblico, Prov 1, 17: «Frustra autem iacitur rete ante oculos pennatorum» èstato parzialmente integrato da alcuni editori, ma già il sintagma «ante oculos penna-torum» garantisce comunque della pertinenza dell’allusione, cui poi si aggiunge quel-la all’incipit del salmo 118: «Beati immaculati in via».1 Tuttavia nell’epistola, come delresto nel salmo, non è esplicito il riferimento negativo agli uccelli giovani, implumi einesperti, che invece potrebbero cadere nella rete dei cacciatori, riferimento che saràesplicitato nel Purgatorio, nella figura del «novo augelletto». Dal fatto di essere ormaipennuti il comportamento autodistruttivo dei Fiorentini si configura come follia.

4.

Se nell’Epistola 6, rivolta ai Fiorentini, non si trovano grandi immagini animali a pro-posito di Firenze, è invece l’epistola ad Arrigo, la 7, a presentare uno spettacolare e vio-lentissimo bestiario fiorentino. Dante rivolge direttamente all’imperatore una epistolanella quale, pur confermando la devozione e la fiducia in lui, non esita a rimproverarloper il suo indugiare e lo invita a marciare contro Firenze per abbattere la sua superbaresistenza, in quanto con il suo esempio trascina le altre città italiane alla ribellione.

Abbiamo anche qui immagini di tipo messianico-cristologico per Arrigo, combinatecon modelli romano-imperiali e riferimenti virgiliani, in particolare alla quarta ecloga(Ep 7, 1 [5-6]) e alle parole di Giove nel I libro dell’Eneide (3 [13]). Al centro fra i due ri-chiami al profetismo virgiliano si innalzano i riferimenti cristologici, sospesi però tra ilriconoscimento pieno («Ecce Agnus Dei»), coniugato al tempo passato («Tunc exultavitin te spiritus meus, cum tacitus dixi mecum»), e il dubbio presente, espresso attraversole parole del Battista (2 [7-10]).2

E attraverso il richiamo alle parole del I libro dell’Eneide in cui si ricordava a Enea lamissione regale che gli era affidata e i doveri verso i discendenti, si applicano ora ancheal figlio di Arrigo Giovanni, novello Ascanio, le immagini animali messianiche e cristo-logiche del leone (presentanto con riferimento virgiliano a Aen x, 723-728) e dell’agnello:

Iohannes namque, regius primogenitus tuus et rex, quem, post diei orientis occasum, mundi suc-cessiva posteritas prestolatur, nobis est alter Ascanius, qui vestigia magni genitoris observans, inTurnos ubique sicut leo deseviet et in Latinos velut agnus mitescet. (Ep 7, 5 [18])

Ma in questa epistola colpisce soprattutto il terribile bestiario di Firenze. Dapprima èl’immagine dell’idra a essere evocata per riferirisi all’opposizione delle città italiane:

Tu Mediolani tam vernando quam hiemando moraris et hydram pestiferam per capitum amputa-tionem reris extinguere? Quod si magnalia gloriosi Alcide recensuisses, te ut illum falli cognosce-res, cui pestilens animal, capite repullulante multiplici, per damnum crescebat, donec instanter ma-gnanimus vite principium impetivit. (Ep 7, 6 [20])

1 L’integrazione è infatti considerata non necessaria dagli editori più recenti, come Pastore Stocchi e Villa. Èun’immagine che Dante riprenderà, con diversa funzione autobiografica, in Purg 31, 61-63.

2 E cfr. Mt 11, 3; Lc 7, 19.

172 Giuseppe Ledda

Si tratta di un riferimento topico, non di origine biblica ma classica. Infatti i commen-tatori rimandano giustamente alle Metamorfosi ovidiane. L’idra di Lerna è citata più vol-te anche nell’Eneide, ma piuttosto rapidamente, anche se i commenti supplivano le in-formazioni mancanti.1 Nel poema ovidiano il breve racconto è pronunciato dallo stessoErcole, impegnato in una lotta contro Acheloo.2 Tuttavia, nel testo ovidiano non c’è iltermine hydra, bensì il più generico echidna.

Di là dalla fonte ovidiana, ulteriormente arricchita dalla lectio Ovidii medievale, va ri-cordato che l’idra di Lerna era entrata nel bestiario cristiano, proprio con le caratteri-stiche che aveva in Ovidio. Così, per esempio Isidoro, che pure definisce la notizia fa-volosa e ne dà una spiegazione ‘razionalistica’:

Hydra draco multorum capitum, qualis fuit in Lerna palude provinciae Arcadiae. Haec Latine ex-cetra dicitur, quod uno caeso tria capita excrescebant. Sed hoc fabulosum est; nam constat Hydramlocum fuisse evomentem aquas, vastantes vicinam civitatem, in quo, uno meatu clauso, multierumpebant: quod Hercules videns loca ipsa exussit, et sic aquae clausit meatus. Nam Hydra abaqua dicta est.3

La notizia arriva a Isidoro probabimente attraverso il commento virgiliano di Servio,che chiosa il verso su Briareo (Aen vi, 287) citando anche l’idra di Lerna,4 presente peròanche in altri testi e tradizioni. Per esempio è citata ripetutamente nel Liber monstrorum,5dove in particolare c’è il dettaglio della nocività del veleno: «Lernaeum autem anguempoetarum fabulae fingunt dirum fuisse spiramine, et Tartareo nocivum veneno, et lin-guis triplicibus terribilem».6

5.

Il primo riferimento animale relativo esclusivamente a Firenze è quello della vulpecula,poi la città è presentata con una serie di quattro immagini, due animali, la pecora infettae la vipera, e due exempla classici: la scellerata ed empia Mirra e la terribile, furiosa e in-fine autodistruttiva Amata. Tali emblemi della criminosa Firenze sono prima presenta-ti in questo ordine e poi ripresi e spiegati ripartendo dall’ultima, Amata, per poi ripren-dere dall’inizio della serie con la vipera, la pecora infetta e infine Mirra, secondo l’ordineprecedente:

An ignoras, excellentissime principum, nec de specula summe celsitudinis deprehendis ubi vulpe-cula fetoris istius, venantium secura, decumbat? Quippe nec Pado precipiti, nec Tiberi tuo crimi-nosa potatur, verum Sarni fluenta torrentis adhuc rictus eius inficiunt, et Florentia, forte nescis?,dira hec pernicies nuncupatur.

1 Cfr. Virgilio, Aen vi, 287: «ac belua Lerneae»; vi, 576-577: «quinquaginta atris immanis hiatibus Hydra / saevior intus habet sedem»; vii, 657-658: «pulcher Aventinus clipeoque insigne paternum / centum angues cinctamque gerit serpentibus hydram»; viii, 299-300: «non te rationis egentem / Lernaeus turba capitum circum-stetit anguis».

2 Cfr. Ovidio, Met ix, 60-79 e in particolare i vv. 70-74. L’idra è citata brevemente anche da Stazio, Theb iv, 169ss. e in moltissimi altri testi classici.

3 Isidoro di Siviglia, Etym xii, 4, 23. Le parole di Isidoro sono riprese in molte opere enciclopediche, dal Fi-siologo versione b Is (19); a Rabano Mauro, De Universo (pl 111, 236), al De bestiis, iii, 54 (pl 177, 105), ai molti be-stiari derivati dal Fisiologo.

4 Maurus Servius Honoratus, In Vergilii carmina comentarii; recensuerunt Georgius Thilo et HermannusHagen, Leipzig, Teubner, 1881, ad Aen vi, p. 287.

5 Cfr. Liber monstrorum, ii, 9; iii, 1; iii, 3 (ed. a cura di Corrado Bologna, Milano, Bompiani, 1977).6 Liber monstrorum, iii, 1 (ed. cit., p. 138).

Un bestiario politico nelle Epistole di Dante 173

Hec est vipera versa in viscera genitricis; hec est languida pecus gregem domini sui sua conta-gione commaculans; hec Myrrha scelestis et impia in Cinyre patris amplexus exestuans; hec Ama-ta illa impatiens, que, repulso fatali connubio, quem fata negabant generum sibi adscire non timuit,sed in bella furialiter provocavit, et demum, male ausa luendo, laqueo se suspendit.

Vere matrem viperea feritate dilaniare contendit, dum contra Romam cornua rebellionis exa-cuit, que ad imaginem suam atque similitudinem fecit illam.

Vere fumos, evaporante sanie, vitiantes exhalat, et inde vicine pecudes et inscie contabescunt,dum falsis illiciendo blanditiis et figmentis aggregat sibi finitimos et infatuat aggregatos. Vere in pa-ternos ardet ipsa concubitus, dum improba procacitate conatur summi Pontificis, qui pater est pa-trum, adversum te violare assensum. (Ep 7, 7 [23-26])

Colpisce che il principale dei simboli animali negativi della Commedia, il lupo / lupa,sia del tutto assente dalle Epistole. Tanto più che nel poema, oltre che come immagi-ne della cupiditas (Inf 1, 49-60 e 94-111; 7, 8; Purg 20, 10-12), quasi tutte le occorrenzedel lupo e della lupa sono riferite a due sole entità: Firenze e i papi avari e simonia-ci, che, ribaltando l’immagine tradizionale del buon pastore, sono visti come lupi chedilaniano le greggi loro affidate.1 Nel bestiario di Guido del Duca di Purgatorio 14 èapplicato a Firenze l’emblema lupesco: «trova di can farsi lupi / la maladetta e sven-turata fossa» (vv. 50-51). Nel Paradiso le occorrenze si infittiscono e la prima tra que-ste, «però che fatto ha lupo del pastore», salda il motivo antifiorentino con quello an-ticlericale (Par 9, 127-136). Così il testimone dell’immagine lupesca passa da Firenzealla Chiesa. E le due ulteriori occorrenze del Paradiso confermano questa duplice ap-plicazione. Dapprima l’immagine è riferita ai fiorentini nell’incipit del canto 25, unpasso che salda l’emblema animale al tema autobiografico, in quanto Dante si poneora esplicitamente come «nimico ai lupi che li danno guerra» (Par 25, 6). Infine nelcanto 27 Pietro pronuncia la celebre invettiva contro Bonifacio e gli altri papi simo-niaci definiti ancora, come nel canto 9, «in vesta di pastor lupi rapaci» (v. 55).2 Invecenelle Epistole non abbiamo tracce di lupi, né in relazione a Firenze né nei confrontidella Chiesa e dei cardinali, a cui pure non sono risparmiate immagini negative, spe-cie nell’Epistola 11.

A Firenze è applicato l’emblema della «vulpecula», che ha particolare rilievo, postocom’è in prima posizione e staccato dalla serie compatta delle quattro immagini suc-cessive. Nella Commedia la volpe è simbolo di frode, come sarà reso esplicito a proposi-to dei pisani: «le volpi sì piene di froda, / che non temono ingegno che le occùpi» (Purg14, 53-54). La volpe avrà anche un’altra applicazione nel poema, nelle vicende allegori-che presentate al protagonista nel paradiso terrestre (Purg 32, 118-123). L’esegesi dante-sca è abbastanza unanime nell’interpretazione di questa volpe come figura dell’eresia.Del resto la Bibbia presentava l’immagine della volpe che guasta la vigna: «Capite no-bis vulpes parvulas quae demoliuntur vineas; nam vinea nostra floruit».3 L’esegesi bi-blica e di qui le enciclopedie e i bestiari medievali interpretavano le volpi non solo co-me simbolo di frode, ma in particolare della frode degli eretici.4

1 Resta fuori solo l’occorrenza del sogno di Ugolino in Inf 33, 29.2 Per il collegamento del lupo con l’avarizia nella cultura medievale cfr. Mireille Vincent-Cassy, Les ani-

maux et les péchés capitaux: de la symbolique a l’emblématique, in Le monde animal et ses représentations au Moyen Âge,Toulouse, Université di Toulouse - Le Mirail, 1985, pp. 121-132: p. 126. Diffuso anche il riuso delle immagini biblichedel lupo travestito da pecora, su cui agiscono i luoghi biblici del caso, come Mt 7, 15 e Ier 23, 1.

3 Cant 2, 15. Cfr. inoltre Ps 63, 11; Lam 5, 18; Ez 13, 4.4 Il simbolismo è diffusissimo, lo si ritrova in tutti i padri della Chiesa. Per una rassegna di passi cfr. Ciccare-

se, Animali simbolici. Alle origini del bestiario cristiano ii (leone-zanzara), cit., pp. 393-410.

174 Giuseppe Ledda

Nel passo dell’epistola, tuttavia, il contesto non rende immediatamente pertinente iltema dell’eresia, benché vada certo colto il suggerimento di Claudia Villa, secondo cuila volpe fiorentina sarebbe qui simbolo dell’eresia in quanto «si ribella all’imperatore».1Inoltre in qualche passo patristico in cui è attribuito il simbolismo dell’eresia si trovanogli elementi che caratterizzano qui la «vulpecula»: il rintanarsi al sicuro dai cacciatori eanche il riferimento al fetore. Particolarmente efficace in questo senso un passo di Ago-stino: «Vulpes insidiosos maximeque haereticos significant; dolosos, fraudolentos, ca-vernosis anfractibus latentes et decipientes, odore etiam putentes. Contra quem odo-rem dicit Apostolus: “Christi bonus odor sumus in omni loco”».2 Benché presente in unautore così significativo, il tema dell’odore delle volpi non pare diffuso in relazione al-l’eresia.

Del resto, oltre al simbolismo dell’eresia, ancora più frequentemente la volpe è sem-plicemente simbolo del diavolo. In questo senso è interpretata già nel Fisiologo e da lì intutte le enciclopedie e bestiari. In questi testi la notizia più diffusa è quella secondo cuila volpe si finge morta per attrarre uccelli desiderosi di cibarsi del suo cadavere e riu-scire così a catturarli: notizia regolarmente interpretata come immagine del diavolo.3

Il simbolismo diabolico sembra appropriato e attivo in questa fosca caratterizzazio-ne di Firenze, in cui c’è però un particolare inusuale, quello del fetore. Oltre all’accen-no, rimasto però isolato, nel testo di Agostino sopra citato e a qualche altra sporadicatraccia,4 tale motivo non ha veri sviluppi se non nelle enciclopedie del xiii secolo. Conparticolare ampiezza svolge questo tema Bartolomeo Anglico: «Animal siquidem estfoetidum, corruptum, et loca reddit sterilia et corrupta, ubi morari continue consuevit.[…] anhelitum habet foetidum, et morsum aliquantulum venenosum».5 Vincenzo diBeauvais applica anche alla volpe un comportamento simile a quello della puzzola:«Vulpes est animal fetidum maximeque in ore, et etiam posteriori parte in minente mor-tis periculo».6

Di particolare interesse è poi la notizia che collega la il fetore della volpe alle sue ar-ti fraudolente e al tema della tana, che contende al tasso e che conquista grazie appun-to al fetore e alla sporcizia: «Contra taxum pro mansionibus pugnat, et ipsius foveamurina et stercore polluit et defoedat, et sic de ipso non violentia sed dolo et fraudolen-tia triumphat. Foveas et loca subterranea inhabitat et frequentat».7 Nello Speculum na-turale di Vincenzo di Beauvais tale notizia è presentata in modo ancora più interessan-te, perché si racconta che la volpe occupa abusivamente con l’inganno la tana del tasso,approfittando del momento in cui il legittimo proprietario si è allontanato, e ne impe-disce il ritorno lordando la tana:

1 Villa, commento cit., ad loc., dove allude alla diffusione di tale simbolismo nell’età gregoriana.2 Agostino, Enarrationes in Psalmos, 80, 14, pl 37, 1040. Il passo è citato parzialmente da Pastore Stocchi,

comm. ad loc., senza riferimenti al simbolismo dell’eresia, e indicando invece come pertinente quello diabolico:«simbolo del demonio e dei suoi servi».

3 Cfr. Fisiologo Latino, Versio b Is, 15 (in Bestiari medievali, cit. pp. 38-40). La storia è ripresa da Isidoro di Sivi-glia, Etymologiae, xii, 2, 29; Rabano Mauro, De Universo, viii (pl 111, 225); Pseudo-Ugo di San Vittore (Ugodi Fouilloy), De bestiis et aliis rebus, ii, 5 (PL 177, 58); e in generale nei bestiari della tradizione del Fisiologo: Phi-lippe de Thaün, Bestiaire, 1775-1826 (in Bestiari medievali, cit., pp. 204-206); Gervaise, Bestiaire, 655-684 (ivi, pp. 324-326); Libro della natura degli animali, xl (ivi, pp.461-462); Bestiario moralizzato, vii (ivi, p. 496).

4 Per esempio l’aggettivo «fetida» è usato anche in Pseudo-Ugo di San Vittore (Ugo di Fouilloy), De be-stiis et aliis rebus, iv (pl 177, 164).

5 Bartolomeo Anglico, De proprietatibus rerum, xviii, 112 (p. 1128).6 Vincenzo di Beauvais, Speculum naturalis, xix, 121, c. 244 rb.7 Bartolomeo Anglico, De proprietatibus rerum, xviii, 112 (pp. 1127-1128).

Un bestiario politico nelle Epistole di Dante 175

Fertur autem quod vulpes numquam facit sibi foveam: sed foveam taxi dolose occupat. Cum enimscit taxum exisse de fovea accedit ad introitum et ibi stercorat sicquam propter inmundiciam fugittaxus: et vulpes occupat locum eius.1

Con ampiezza ancora maggiore e con un’applicazione morale pertinente alla situazio-ne dantesca, la notizia è sviluppata nel De naturis rerum di Alexander Neckam:Taxi mansiones subterraneas sibi parant labore multo. […] Latitans interim in insidiis animal do-losum, vulpem loquor, sustinet usque dum mansio subterranea parata sit, et tempus absentiae ta-xorum sibi reputans idoneum, signum turpe inditium hospitum novorum ibidem relinquit. Re-vertentes melotae, lares proprios indignantur inhabitare, er alias sibi construentes aedes, foedatamdomum foedo hospiti, sed praedoni, relinquunt.

Sic multi sunt qui turpiter res alienas invadunt, ius sibi dicentes, cum nemini liceat ius sibi dice-re. Turpiter acquisita detinent iniuste, et dominium usurpant sibi illicite. Difficile est autem ut lae-tum sortiantur exitum, quae inhonesto inchoata sunt principio. Fundum sibi iure haereditario com-petentem linquere coguntur veri domini, et in remotis partibus agentes nova vix demum sibi autconstruunt aut conducunt tuguria.2

Mi pare che in questa tradizione si possano trovare i presupposti per comprendere l’im-magine di Firenze, con dentro i suoi Fiorentini intrinseci, come una «vulpecula» puzzolente rintanata al sicuro nella tana. È una figura di usurpazione fraudolenta dellatana stessa, cioè della città, sottratta all’imperatore e agli altri cittadini, cacciati come tas-si in esilio dalla loro legittima casa dal fetore fraudolento di questa volpe. Del resto l’inti-tulatio di questa epistola recita appunto «Dantes Alagherii Florentinus et exul inmeritus».

Attraverso il fiume Arno, a cui si abbevera questa volpe, la corruzione da lei portatarischia di diffondesi ovunque. E qui forse operano le immagini della peste, che si dif-fonde a partire dall’acqua avvelenata dalle bestie infette, di cui Dante aveva letto nelleMetamorfosi ovidiane in un lungo episodio che ha lasciato molte tracce nella descrizio-ne delle malattie che affliggono i falsari della decima bolgia.3 Ma ancora più vicino allaformulazione dantesca sembra l’episodio della peste nel iii libro delle Georgiche.

Dopo essere stata definita una volpe puzzolente e fraudolentente usurpatrice, e attra-verso l’immagine della peste aver alluso al pericolo che l’opposizione da lei promossa siestenda ad altre città, Firenze è presentata con una serie di immagini, la prima delle qualiè quella della vipera (7 [23]). Per l’espressione «versa in viscera» è stato giustamente chiamato in causa il sintagma virgiliano «in viscera vertite vires» (Aen vi, 833), pronun-ciato da Anchise per deplorare profeticamente le guerre civili fra Cesare e Pompeo.4

Ma il sintagma è qui applicato alla notizia secondo cui la vipera, nascendo, uccide lamadre. I commentatori dell’epistola sono soliti citare a questo proposito Isidoro di Si-viglia.5 In realtà la notizia è diffusissima nella letteratura naturalistica e allegorica. Neha tracciato la storia Francesco Zambon, individuando una delle prima occorrenze delmotivo nel iii libro delle Storie di Erodoto, attraverso Aristotele, Teofrasto, Filostrato,Antigone, Nicandro ecc. sino alla versione raccolta e rielaborata da Plinio, poi svilup-

1 Vincenzo di Beauvais, Speculum naturalis, xix, 121, c. 244ra.2 Alexander Neckam, De naturis rerum, cap. 127, p. 207 (ed. a cura di Thomas Wright, London, Longman, Re-

berts, and Green, 1863).3 Mi riferisco all’episodio ovidiano della peste di Egina (Met vii, 517-660), esplicitamente citato in Inf 29, 58-66

e poi ripetutamente utilizzato anche nel canto successivo (e già in Conv iv, 27, 17).4 Cfr. Virgilio, Aen vi, 832-833: «Ne, pueri, ne tanta animis adsuescite bella / neu patriae validas in viscera vertite

vires». Il riferimento è proposto da Frugoni, comm. ad loc. e sviluppato in particolare da Honess, comm. ad. loc.5 Isidoro di Siviglia, Etym, xii, 4, 10. Cfr. per esempio ad loc. i commenti di Frugoni, Pastore Stocchi, Villa.

176 Giuseppe Ledda

pata da Solino.1 Su tale base gli scrittori cristiani poterono interpretare l’espressione«progenies viperarum» riferita più volte nel Vangelo ai Farisei e applicarla più in gene-rale al popolo ebraico.2

La notizia compare anche nel Fisiologo, benché solo nella versione latina y, non inquella, assai più diffusa, b.3 Inoltre la notizia è anche in Isidoro e in tutta la tradizioneche da lui dipende:

Vipera dicta, quod vi pariat. Nam et cum venter eius ad partum ingemuerit, catuli non expectan-tes maturam naturae solutionem conrosis eius lateribus vi erumpunt cum matris interitu. Luca-nus: «Viperei coeunt, abrupto corpore, nodi». Fertur autem quod masculus ore inserto viperae semen expuat; illa autem ex voluptate libidinis in rabiem versa caput maris ore receptum praecidit.Ita fit ut parens uterque pereat; masculus, dum coit, dum parturit, femina.4

Da queste autorevoli fonti la notizia si diffonde ovunque nei bestiari e nelle enciclope-die.5 E in tutta la tradizione da Isidoro in poi si registra il participio versa («ex voluptatelibidinis in rabiem versa»), presente anche nel testo dantesco, ma riferito al momentodel coito.6 La vipera sembrerebbe evocata da Dante non solo per la parte che concerneil parto e dunque il matricidio compiuto all’atto della nascita, ma anche per la lussuriasfrenata che la caratterizza in tutte le fonti e che provoca l’uccisione del maschio da par-te della femmina. Tale enfasi implicita sulla lussuria sfrenata e mortale consente un pas-saggio al personaggio di Mirra.

L’immagine della pecora infetta riprende invece quella della peste allusa a propositodella prima figura, della vulpecula puzzolente che abbeverandosi infetta le correnti del-l’Arno.7 In particolare, all’immagine biblica del gregge si associa qui quella della pestepropagata anche da una sola pecora infetta: un pericolo contro il quale ammonisce Vir-gilio prima della descrizione della peste nel iii libro delle Georgiche.8

6.

Le immagini animali presenti nell’Epistola 11, ai Cardinali, concorrono principalmentealla costruzione dell’identità profetica dell’autore, come altre allusioni bibliche.9 Fra

1 Cfr. Zambon, L’impuro concepimento della vipera, in Idem, L’alfabeto simbolico degli animali. I bestiari del medioe-vo, cit., pp. 57-79.

2 Cfr. Mt 3, 7; 12, 34; 23, 33 («serpentes genimina viperarum») Lc 3, 7 («genimina viperarum»).3 Physiologus Latinus Versio y, edited by Francis J. Carmody, «University of California Publications in Classical

Philology», 12/7, 1941, pp. 95-134, cap. xii, p. 110. 4 Isidoro di Siviglia, Etymologiae, xii, 4, 10-11.5 Cfr. per esempio Rabano Mauro, De Universo, viii, 3 (pl 111, 232); Pseudo Ugo di San Vittore (=Ugo di

Fouilloy), De bestiis, ii, 21 (pl 177, 68-89); Gervaise, Bestiare, vv. 507-528 (in Bestiari medievali, cit., p. 318); Bestiariodi Northumberland, ix, 4 (in Cynthia White, From The Ark to the Pulpit. An Edition and Translation of the «Transi-tional» Northumberland Bestiary (13th Century), Louvain-La-Neuve, Université Catholique de Louvain, 2009, p. 266;Alexander Neckam, De naturis rerum, cap. 105, p. 187; Bartolomeo Anglico, De proprietatibus rerum, xviii, 95;Vincenzo di Beauvais, Speculum naturale, xxi, 50; Brunetto Latini, Tresor, ii, 143.

6 La presenza così insistita di questo verbo potrebbe aver suscitato il ricordo dell’espressione virgialiana «in vi-scera vertite vires». Nella tradizione naturalistica si trova venter o latera (in particolare il sintagma «conrosis eiuslateribus»), mentre è raro viscera, presente però in Prudenzio: «Sic vipera, ut aiunt, / dentibus emoritur fusae perviscera prolis» (Prudenzio, Hamartigenia, 582-583).

7 Ma anche per la vipera non mancano nella tradizione espressioni come «pestis laetifera» (Alexander Nec-kam, De naturis rerum, cap. 105, p. 187, dove è riferita all’invidia, di cui la vipera è immagine).

8 Virgilio, Georg iii, 464-473. A questo, che mi pare il riferimento principale, e che non vedo citato da nessuncommento, si può aggiungere, per la seconda parte dell’immagine, il verso della prima ecloga virgiliana, citato daqualche commentatore (Frugoni): «nec mala vicini contagia laedent» (Buc i, 50).

9 Sulle allusioni bibliche nell’Epistola 11, cfr. Ledda, Modelli biblici e identità profetica nelle Epistole di Dante, cit.,pp. 32-41.

Un bestiario politico nelle Epistole di Dante 177

queste pure l’immagine di Oza, episodio citato da Dante anche nel Purgatorio, nell’in-trodurre l’esempio di umiltà costituito da David che danza discinto al cospetto dell’ar-ca santa (Purg 10, 55-57):1

Forsitan «quis iste, qui Oze repentinum supplicium non formidans, ad arcam, quamvis labantem,se erigit?» indignanter obiurgabitis. Quippe de ovibus in pascuis Iesu Christi minima una sum; quip-pe nulla pastorali auctoritate abutens, quoniam divitie mecum non sunt. Non ergo divitiarum, sed«gratia Dei sum id quod sum», et «zelus domus eius comedit me». Nam etiam «in ore lactentiumet infantium» sonuit iam Deo placita veritas, et cecus natus veritatem confessus est, quam Phariseinon modo tacebant, sed et maligne reflectere conabantur. Hiis habeo persuasum quod audeo. Ha-beo preter hec preceptorem Phylosophum qui, cuncta moralia dogmatizans, amicis omnibus veri-tatem docuit preferendam. Nec Oze presumptio quam obiectandam quis crederet, quasi temereprorumpentem me inficit sui tabe reatus; quia ille ad arcam, ego ad boves calcitrantes et per abviadistrahentes attendo. Ille ad arcam proficiat qui salutiferos oculos ad naviculam fluctuantem ape-ruit. (Ep 11, 5 [9-12])

La strategia di Dante è duplice. Da una parte respinge l’accusa di mettere mano all’ar-ca santa, cioè alla Chiesa, ma dichiara di occuparsi soltanto dei buoi recalcitranti chetrascinano malamente il carro fuori della strada. Dall’altra parte invece rivendica, siapure attraverso operazioni di apparente modestia, l’ispirazione divina delle proprie pa-role, la propria identità di profeta, anche attraverso la formula di apertura «et quis iste?»,modulo biblico usato in passi di investitura profetica e attribuzione di autorità.2 E la for-mula con la quale Dante si indica come la più piccola delle pecore dei pascoli di Cristoè naturalmente una ripresa, in chiave pastorale e ovina, dell’autodefinizione di san Pao-lo come il più piccolo degli apostoli, subito seguita, nel testo paolino, dalla parole cherivendicano l’azione della grazia nel proprio operato apostolico (1 Cor 15, 9-10). Inoltrenello zelo di Dante risuona quello di David: «zelus domus eius comedit me» (Ps 68, 10).3Ma si aggiungono subito altri riferimenti che mirano ai due obiettivi di certificare l’au-torità profetica assunta e al tempo stesso di limitare, come nel caso di Oza, il pericolodi essere accusati di presunzione. Così, Dante fa riferimento al detto salmistico secon-do cui la parola di Dio può risuonare nella bocca dei lattanti e dei bambini che ancoranon sanno parlare, «in ore lactentium et infantium»;4 o che la verità taciuta e contesta-ta dai farisei può essere apertamente manifestata dal cieco nato del racconto evangeli-co.5 Non è in gioco la dignità di chi parla, ma la sua capacità, per misteriosa ispirazionedivina, di rivelare la verità.

1 Per un’analisi del trattamento dantesco di Oza, che tiene presente sia il passo purgatoriale che quello del-l’Epistola 11, cfr. anche anche Robert Hollander, Dante as Uzzah? (Purg x, 57, and Ep xi 9-12), in Sotto il segno diDante. Scritti in onore di Francesco Mazzoni, a cura di Leonella Coglievina e Domenico De Robertis, Firenze, Le Let-tere, 1998, pp. 143-151. In relazione a David cfr. Giuseppe Ledda, La danza e il canto dell’«umile salmista»: David nel-la «Commedia» di Dante, in Les figures de David à la Renaissance, edité par Elise Boillet, Sonia Cavicchioli, Paul-AlexisMellet, Genève, Droz, 2015, pp. 225-246.

2 Patrizia Di Patre, L’arte della emulazione nelle Epistole dantesche (Tre reperti classico-biblici), «Studi Dante-schi», lxii, 1990, pp. 323-334: pp. 326-328.

3 Su David profeta cfr. Nicolò Mineo, Profetismo e apocalittica in Dante. Strutture e temi profetico-apocalittici inDante: dalla «Vita nuova» alla «Divina Commedia», Catania, Università di Catania, Facoltà di Lettere e Filosofia, 1968,p. 146, che cita a riscontro anche vari passi danteschi: Conv ii, 1, 6; iii, 4, 8; Mon ii, 1, 5; iii, 3, 12, oltre a S. Bona-ventura, I Sentent ii, 9.

4 Cfr. Ps 8, 3: «Ex ore infantium et lactentium perfecisti laudem»: ripreso in Mt 21, 16. Cfr. inoltre Sap 10, 21:«Quoniam sapientia aperuit os mutorum, et lingua infantium fecit disertas».

5 Cfr. Io 9, 1-41, e in particolare gli ultimi versetti (35-41), in cui si fa più forte la contrapposizione fra il cieco na-to che crede in Cristo, lo adora e proclama la verità e i farisei che peccaminosamente si ostinano nel negarla.

178 Giuseppe Ledda

Alla stessa strategia obbedisce il nuovo reimpiego delle immagini pastorali e ovine:

Non itaque videor quemquam exacerbasse ad iurgia; quin potius confusionis ruborem et in vobiset aliis, nomine solo archimandritis, per orbem dumtaxat pudor eradicatus non sit totaliter, accen-disse; cum de tot pastoris officium usurpantibus, de tot ovibus, et si non ablatis, neglectis tamen etincustoditis in pascuis, una sola vox, sola pia, et hec privata, in matris Ecclesie quasi funere audia-tur. (Ep 11, 6 [13])

Se le immagini animali finora citate sono assunte delineare l’identità profetica dell’au-tore, quella delle figlie della sanguisuga è un’immagine biblica associata ai cardinali, fi-gli della Chiesa che non sposano la carità o la giustizia, ma appunto le figlie della san-guisuga, le quali diventano così le nuore della Chiesa, a cui partoriscono, suo malgrado,abominevoli nipoti:

Cupiditatem unusquisque sibi duxit in uxorem, quemadmodum et vos, que nunquam pietatis etequitatis, ut caritas, sed semper impietatis et iniquitatis est genitrix. A, mater piissima, sponsa Chri-sti, que in aqua et Spiritu generas tibi filios ad ruborem! Non caritas, non Astrea, sed filie sangui-suge facte sunt tibi nurus; que quales pariant tibi fetus, preter Lunensem pontificem omnes alii con-testantur. (Ep 11, 7 [14-15])

La sanguisuga si trova nelle Etymologiae di Isidoro e di qui in tutti i bestiari ed enciclo-pedie, con una trattazione che però non menziona le sue figlie, ma si presta a un’inter-pretazione nel senso dell’avarizia insaziabile: «Sanguisuga vermis aquatilis, dicta quodsanguinem sugit. Potantibus enim insidiatur, cumque labitur faucibus vel ubi uspiamadhaerescit, sanguinem haurit; et cum nimio cruore maduerit, evomit quod hausit, utrecentiorem denuo sugat».1

Delle figlie della sanguisuga non si parla nei bestiari né nelle enciclopedie. Tale im-magine viene dal libro biblico dei Proverbi: «Sanguisugae duae sunt filiae, dicentes: Af-fer affer» (Prov 30, 15). Il De universo di Rabano Mauro è tra i pochi testi della tradizionenaturalistica a raccogliere questa notizia biblica, dandone anche un’interpretazione al-legorica interessante per il passo dantesco, secondo cui le due figlie della sanguisuga sa-rebbero la lussuria e l’avarizia: «Sanguisuga vero diabolus est. Unde est illud in Prober-biis: Sanguisugae duae sunt filiae, dicentes: Affer, affer (Pro xxx). Diaboli autem filiaesunt luxuria et avaritia, quibus sanguinolentus hostis humanum genus infestat».2 Raba-no Mauro ripete questa interpretazione allegorica nel commento ai Proverbi.3 E anchela Glossa ordinaria raccoglie questa interpretazione, che pare comunque ben assestatanella tradizione esegetica del versetto dei Proverbi:

Sanguisugae duae sunt filiae. Diabolus, qui siti peccata suadendi perpetuo ardet; Duae filiae, quaeeius imitantur ardorem, luxuria et Philargyria. Nam luxuriae, quo liberius frena laxantur, eo noxiusdelectatur; et crescit amor nummi, quantum ipsa pecunia crescit.4

Pur non essendo un motivo diffusissimo, l’interpretazione delle due figlie della sangui-suga come lussuria e avarizia era consueta,5 mentre l’avaritia o cupiditas ha anche una

1 Isidoro di Siviglia, Etymologiae, xii, 5, 3. 2 Rabano Mauro, De universo, viii, 4, pl 111, 236.3 Rabano Mauro, Expositio in Proverbia Salomonis, pl 111, 776.4 Glossia ordinaria, ad Prov. 30, 15, in pl 113, 1113. Altri riferimenti da Girolamo e da Beda, meno pertinenti al riu-

so dantesco, sono addotti nel commento ad loc. di Pastore Stocchi.5 Si ritrova per esempio in questa lettera di di Osberto di Clare a Adelaide di Barking: «De duabus sangui-

sugae filiabus quae animas fidelium lacerant. Ecce hae sunt duae filiae sanguisugae dicentes: Affer, affer [Prov30:15], avaritia videlicet et luxuria, quae affectum in omnibus sequentes illicitum nequaquam cohibere praevalent

Un bestiario politico nelle Epistole di Dante 179

tradizione esclusiva, documentata per esempio nel De contemptu mundi di Antonio daSegni.1

Dopo aver attribuito ai cardinali l’immagine di sposi delle figlie della sanguisuga,Dante torna a usare infine le immagini animali di origine biblica per ribadire, di contro,la propria identità profetica:2

Sed, o patres, ne me fenicem extimetis in orbe terrarum; omnes enim que garrio murmurant autmussant aut cogitant aut somniant, et que inventa non attestantur. Nonnulli sunt in admirationesuspensi: an semper et hoc silebunt, neque Factori suo testimonium reddent? Vivit Dominus, quiaqui movit linguam in asina Balaam, Dominus est etiam modernorum brutorum. (Ep 11, 8 [17-18])

Attraverso la figura biblica dell’asina che Dio fece parlare per riprendere Balaam, reo diaver abbandonato la strada indicata e di dirigersi verso una direzione erronea,3 Dantepropone una nuova figura biblica della parola profetica concessa misteriosamente daDio anche a chi ne sarebbe incapace o indegno, che sviluppa tramite l’immagine ani-male quanto aveva poco sopra rivendicato attraverso l’immagine dei lattanti, incapacidi parlare ma resi facondi dalla grazia divina. Qui l’immagine dell’asina di Balaam è as-sunta per invitare tutti gli altri fedeli, i quali «murmurant aut mussant aut cogitant autsomniant» le stesse idee che l’autore osa esprimere, a dare a loro volta testimonianza diquanto hanno compreso. Si tratta perciò di un auspicio che la voce critica dell’autorenon sia più isolata, ma che Dio possa dare anche a tutti gli altri fedeli la forza per pren-dere la parola, come già fece una volta con l’asina di Balaam.

([email protected])

appetitum». The Letters of Osbert of Clare, ed. E. W.Williamson, London, Oxford University, 1929), ep 42 (pp. 153-179) [dal sito web: http://epistolae.ccnmtl.columbia.edu/letter/1207.html].

1 Antonio da Segni - Innocenzo III, De contemptu mundi, ii, 6: «“O ignis inexstinguibilis! o cupiditas insatia-bilis! Quis unquam cupidus primo fuit voto contentus? Cum adipiscitur quod optaverat, desiderat ampliora, sem-per in habendis, et nunquam in habitis finem constituit. Insatiabilis est oculus cupidi, et in partem iniquitatis nonsatiabitur”. Avarus non implebitur pecunia, et qui amat divitias, fructum non capiet ex eis. “Infernus et perditionunquam replentur, similiter et oculi hominum insatiabiles”. Sanguisugae vero duae filiae sunt, quae dicunt: Affer,affer. “Nam Crescit amor nummi, quantum ipsa pecunia crescit”». Letture alternative del passo biblico identifica-no le due figlie della sanguisuga in gola e lussuria (cfr. come per esempio Nicola di Gorran, In vii epistolas ca-nonicas expositio, 2, 1: «abstinendum est a carnalibus desideriis, id est ab his quae caro desiderat, quae sunt opera gu-lae et luxuriae. Hae sunt duae filiae sanguisugae, idest carnis»; Ignoti Auctoris Expositio super Apocalypsim «Vox», cap.8: «Ratione inquietudinis per gulam, quia affectus gulosi non quiescit. Prov 30, sanguisugae duae sunt filiae, dicentesaffer affer; gula scilicet et luxuria») o piacere e vanità (cfr. per esempio Bonaventura da Bagnoregio, Exordiummagnum Ordinis Cisterciensis, dist. i-ii [Biblioth. pp. Cisterciensium, i, p. 13], I, 9: «quia pessimae hujus sanguisugae,detestandae hujus meretricis, id est negligentiae complexum minime devitant, generant ex eo vipereo semine duasfilias, ipsa matre sua deteriores, voluptatem scilicet et vanitatem, quae sine cessatione, sine omni prorsus inter-polatione clamant miserae matri suae, dicentes: Affer, affer»).

2 Meno rilevante l’allusione alla fenice, qui citata senza riferimento al simbolismo cristologico unanimemen-te attribuito dal bestiario medievale, ma esclusivamente per la sua unicità. Per una prima informazione sulla tra-dizione relativa, cfr. La fenice. Da Claudiano a Tasso, a cura di Bruno Basile, Roma, Carocci, 2004.

3 Cfr. Nm 22, 28: «Aperuitque Dominus os asinae, et locuta est». Il passo è ripreso in ii Pt 2, 15-16, in un conte-sto di duro rimprovero verso «pseudoprophetae» e «magistri mendaces»: «derelinquentes rectam viam erraverunt,secuti viam Balaam ex Bosor, qui mercedem iniquitatis amavit: correptionem vero habuit suae vesaniae: subiu-gale mutum animal, hominis voce loquens, prohibuit prophetae insipientiam».

composto in carattere dante monotype dallafabrizio serra editore, pisa · roma.

stampato e rilegato nellatipografia di agnano, agnano pisano (pisa) .

*

Settembre 2015(cz 2 · fg 21)