there is a camp in the jungle
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"THERE IS A CAMP IN THE JUNGLE..."di Irene Donatoni
Il 20 dicembre 2013 giunse la chiamata al Comitato Locale della Croce Rossa Italiana di
Gorizia: nei pressi del fiume Isonzo era stato individuata una tendopoli precaria e l'abbassarsi delle
temperature imponeva di provvedere al più presto.
In un relativo silenzio della stampa locale, Prefettura e Croce Rossa tentarono di mettere a punto un
affrettato piano di accoglienza.
Questa breve relazione intende esaminare l'evolversi della situazione a partire dalla data
indicata fino all'inizio del mese di dicembre del 2014.
Ci si soffermerà sulle motivazioni che hanno portato i soggetti migranti a stabilirsi in quel luogo,
considerando le condizioni degli accampamenti in riva al fiume Isonzo, e sulle modalità con cui è
stata affrontata tale circostanza, tentando di analizzare le problematiche affiorate nel corso della
ricerca da me condotta presso i migranti accolti direttamente dalla Croce Rossa di Gorizia.
Perché Gorizia?
Fino al 2012, il Friuli Venezia Giulia non aveva mai dovuto affrontare una situazione così
critica dal punto di vista immigratorio, nonostante la presenza di una sola Commissione territoriale
per tutto il Triveneto.
Ad esempio, il sistema di prima accoglienza di Trieste offriva fino a 150 posti e si attivava quasi
immediatamente dopo la presentazione del modello C3 alla Questura; si deve tener conto che al
tempo i richiedenti asilo arrivati via terra nel territorio di Trieste si aggiravano mediamente attorno
alle 4 persone, provenienti quasi esclusivamente da Serbia, Kosovo e Albania.
Per quanto riguardava l'area goriziana, la presenza della popolazione immigrata residente sul
territorio si aggirava attorno all'8%1 (49% donne, 51% uomini), in linea con i dati della media
italiana.
Gli stranieri residenti si concentravano in particolare nel territorio di Monfalcone (16,6%), data la
presenza dei cantieri navali di Fincantieri S.p.A., che continuano ad attirare prevalentemente
migranti originari del Bangladesh.
1 In http://www.wel-fare.it/w/images/pianoimmigrazione.pdf (sito della Provincia di Gorizia)
Nell'ambito delle politiche nazionali, nell'estate del 2008 è stato aperto un CARA all'interno di una
caserma militare dismessa, in una zona periferica del Comune di Gradisca, a 15 km da Gorizia. La
struttura del CARA condivideva l'ingresso con il CIE, chiuso nel novembre 2013 in seguito alle
proteste dei reclusi, che si trovavano a dover affrontare lunghi periodi di permanenza (fino a 18
mesi) in un ambiente carente di servizi e non a norma dal punto di vista igienico-sanitario.
La situazione pare essersi complicata a partire dal mese di aprile del 20122: non solo nei
numeri (i richiedenti asilo che dovrebbero entrare nella rete di assistenza sono ora, solo a Trieste,
362), ma anche nella differenziazione di provenienza e di trattamento previsto (i nuovi arrivati
provengono da Paesi quali Afghanistan, Pakistan, Siria, Eritrea e Sudan; i migranti dei primi due
Paesi giungono via terra, gli altri, fino ad agosto, venivano smistati attraverso l'operazione "Mare
Nostrum"). Da aprile 2014 il Friuli Venezia Giulia ha ospitato 1487 soggetti collegati all'operazione
"Mare Nostrum", ma molti di loro hanno fatto perdere le proprie tracce per poter raggiungere il
Nord Europa, mentre sono attualmente presenti 489 richiedenti asilo giunti via terra: 286 a Trieste,
169 a Udine e 34 a Pordenone.
I dati riguardanti la situazione goriziana non sono stati forniti durante il Seminario CRI del 22
novembre, in quanto difficilmente calcolabili e in via di continuo sviluppo.
Al contesto andrebbe altresì aggiunto la notizia dell'indagine giudiziaria che sta coinvolgendo i
vertici della cooperativa Connecting People, titolare della gestione dei servizi presso il CARA di
Gradisca fino a tutto dicembre 2014 (i titolari del Consorzio sono accusati dei reati di associazione a
delinquere, truffa e frode in pubbliche forniture)3. Inoltre ha bloccato da 6 mesi l'erogazione degli
stipendi ai propri dipendenti.
I posti messi a disposizione da tale struttura erano stati totalmente occupati proprio pochi giorni
prima della scoperta dei migranti stanziatisi in riva al fiume4.
I ragazzi di origine afghana e pakistana che sono stati trovati ad affrontare le intemperie
invernali avevano già presentato il modello C3 alla Questura, che aveva comunicato loro di
attendere per ricevere assistenza. Nel frattempo avevano dovuto organizzarsi per conto proprio e nei
limiti delle proprie possibilità.
La stessa situazione si è presentata a partire da maggio 2014, ma i richiedenti asilo avevano spostato
l'accampamento dalle rive gradiscane a quelle di pertinenza del Comune di Gorizia.
Attualmente si assiste allo slittamento delle persone non ancora inserite in un sistema di accoglienza
verso zone più centrali della città, come il Parco della Rimembranza.
Molti si sono interrogati sul perché queste persone stiano scegliendo di presentarsi alla
Commissione territoriale di Gorizia.
A tale domanda, il S.A.P. di Gorizia ha fornito una propria interpretazione: «Il Sindacato Autonomo
di Polizia sottoscrive le dichiarazioni del prefetto di Gorizia: da tempo aveva individuato il
2 I dati riportati sono stati forniti, durante il seminario "Attarversar confini: i migranti da emergenza a quotidianità" del 22 novembre 2014, dal funzionario dell'Ufficio Immigrazione della Prefettura di Trieste dott. Lucio Prodam
3 Franco Femia, “Appalti al Cie di Gradisca, 13 imputati di falso e truffa”, Il Piccolo, 17 maggio 20134 Franco Femia, "Emergenza immigrati al Cara di Gradisca", Il Piccolo, 18 dicembre 2013
problema nell'iter della Commissione per il riconoscimento della protezione internazionale (...).
Iter che nella quasi totalità dei casi, a differenza di altri Paesi europei, si conclude con
l'accoglimento di uno dei tre livelli di protezione...»5
Veronika Martelanc6, rappresentante UNHCR e membro della Commissione territoriale di Gorizia,
respinge fortemente questa dichiarazione, affermando che le percentuali sono conformi al resto
delle Commissioni italiane ed europee.
La Commissione sta comunque cercando di comprendere per quale motivo questa tipologia di
migranti si stia rivolgendo a loro, in quanto si è constatato che effettivamente Gorizia sta ricevendo
più richieste rispetto al resto d'Italia; a parere della stessa dottoressa Martelanc, la ragione potrebbe
essere trovata nelle indicazioni fornite dal Ministero dell'Interno sull'assicurare "priorità" al CARA
di Gradisca e nel conseguente passaparola tra i migranti, indotti così dalla speranza di poter essere
valutati in breve tempo.
Mi pare inoltre rilevante comprendere in base a quale criterio stiano scegliendo il loro luogo
di ritrovo, in attesa della definizione della pratica.
Su questa questione non si sono pronunciate le Istituzioni, ma sembra abbastanza evidente che i
soggetti migranti stiano tentando di diventare mano a mano più visibili e di trovarsi accanto ai
luoghi in cui verranno poi smistati e riceveranno assistenza. Il camp in the jungle si è dunque
avvicinato.
Probabilmente la voce che inizialmente circolava tra i migranti poneva l'accento sull'importanza del
CARA di Gradisca, poi sulla centralità di Gorizia ed infine sulla posizione della Questura, della
Prefettura e della sede della Croce Rossa Italiana.
La presenza in determinati luoghi pubblici, frequentati dalla popolazione locale, ha creato una certa
sensibilità all'argomento.
L'uso dello spazio pubblico non si limita solo alla necessità di riposo di coloro che non sono ancora
stati inseriti in una struttura, ma è anche parte integrante della vita diurna degli altri migranti: i
parchi sono diventati luoghi di incontro, di scambio di informazioni e di baratto.
Appare chiaro il loro bisogno di appropriarsi dello spazio pubblico, in quanto «oltre ad essere un
modo per addomesticare la città, è una condizione necessaria per vivere e costruire la propria
socialità, senza la quale l'esistenza sarebbe priva di senso»7, una socialità impossibile da creare
nelle stanze a loro assegnate e che analizzerò in seguito.
5 Christian Seu, "Sap e Lega: i finti profughi devono essere respinti", Il Piccolo, 4 novembre 20146 Le seguenti opinioni sono state date in risposta ad una domanda da me posta personalmente dopo il Seminario a cui
era stata invitata7 Alessandra Brivio, La città che esclude. Immigrazione e appropriazione dello spazio pubblico a Milano, in Pinelli
B., (a cura), 2013, Annuario Antropologia. Migrazioni e asilo politico, Ledizioni
L'intervento delle associazioni
Il 20 dicembre 2013, quattro persone furono coinvolte nella riunione per discutere sul luogo
in cui offrire ospitalità ai migranti che vivevano a Gradisca: il Presidente della Provincia, il Prefetto,
la presidentessa della Croce Rossa ed il proprietario dell'hotel "Internazionale".
La Croce Rossa fu chiamata a mediare, in quanto le istituzioni, a causa di alcune insolvenze
burocratiche dell'hotel, non potevano direttamente trattare con l'amministrazione dell'edificio: CRI
avrebbe ricevuto la disponibilità economica dalla Prefettura e con essa sarebbe stato pagato l'hotel,
30 euro al giorno per migrante in cambio della pensione comprensiva di vitto e alloggio.
In tale sede, l'associazione si impegnò anche a mettere a disposizione dei migranti un mediatore
culturale, l'assistenza sanitaria (utilizzando un ambulatorio interno alla sede e predisponendo una
convenzione tra ASL e CRI), dei corsi di italiano e delle lezioni di Educazione civica.
I richiedenti asilo usufruirono di tali servizi fino al momento del colloquio con la Commissione; per
inciso, gli ultimi ottennero la risposta ai primi di luglio, sette mesi dopo.
Nel frattempo erano stati individuati altri migranti sulle rive goriziane dell'Isonzo e il loro
numero andava crescendo mano a mano che si ritardava l'intervento: il precario accampamento
arrivò ad accogliere fino a 95 migranti, prima della notte che fece muovere le autorità.
All'inizio di settembre, un violento nubifragio si era abbattuto sui rifugi, e molti cittadini si
accordarono per portare soccorso ai migranti. I giornali locali, prima silenti, cominciarono a portare
alla luce la situazione.
A quel punto, la Prefettura decise di convocare un vertice di tutti i Sindaci della Provincia per
decidere le misure da adottare: data la necessità immediata di intervento, si allestì una tendopoli in
un campo sportivo nelle vicinanze del centro città, con attrezzature fornite dalla Protezione Civile.
Il 17 settembre si cominciò a smantellare la tendopoli, in quanto si erano trovati gli accordi per lo
smistamento dei ragazzi, che si comprese essere solo uomini di origine afghana e pakistana e il cui
numero continuava a crescere: 80 sarebbero stati gestiti dalla Caritas e ospitati nell'ex convento di
suore "Nazareno", 40 dalla Croce Rossa con la possibilità di usare le stanze dell'hotel e 120-130
furono ammassati in un capannone industriale dismesso.
Dopo qualche tempo la situazione andò stabilizzandosi; ma una successiva ispezione della
Croce Rossa e dell'ASL agli ambienti del capannone, messi a disposizione dallo stesso proprietario
dell'hotel, rilevò condizioni che risultarono disastrose: alcuni migranti dormivano su materassi
appoggiati al pavimento, il riscaldamento non era sufficiente per un ambiente così vasto ed erano
presenti solo due stanze per l'igiene personale. Cominciavano inoltre a presentarsi casi di scabbia,
facilmente curabili, ma sintomo di una condizione igienico-sanitaria non accettabile.
La situazione fu segnalata al Prefetto e, dopo qualche giorno, i migranti presenti nel capannone
furono prelevati dalla Polizia, caricati su alcune corriere e spediti in altre aree del Nord Italia, senza
che ASL e CRI potessero continuare a seguire, nemmeno sul piano meramente informativo, un paio
di ragazzi dalle condizioni mediche personali precarie.
Attualmente, tra i migranti ospitati dall'hotel vige una diversificazione del tutto casuale:
alcuni vivono all'interno della struttura vera e propria, altri invece sono stati messi in due
appartamenti vicini.
Coloro che dormono nelle stanze dell'hotel sono più controllati per quanto riguarda l'accesso e
l'uscita dalla struttura, ma lo stato degli ambienti è abbastanza buono e le pulizie sono assicurate dal
personale dell'albergo.
Invece, coloro che vivono negli appartamenti, devono presentarsi alle 8.00 e alle 20.00 in hotel per
firmare un foglio di presenze, ma durante la notte non sono controllati. Tuttavia, gli appartamenti
hanno varie lacune: nell'appartamento 1 sono presenti dieci persone e nel 2 vivono in nove (tre per
stanza), il mobilio è carente (anche qui mancano armadi e reti per i letti), le pulizie devono essere
fatte da loro a turno, nonostante la CRI paghi la stessa somma sia per il loro pernottamento che per
quello dei ragazzi dell'albergo, inoltre i caloriferi sono insufficienti, spesso rotti e quelli funzionanti
vengono accesi solo per tre ore al giorno.
Foto 1: appartamento 1, stanza comune
Come si può notare dalle foto allegate, questi luoghi non sarebbero adatti al ritrovo (infatti, al
momento della mia visita, attorno alle ore 17.00 di un venerdì, erano presenti solo due persone),
mentre l'albergo non permetterebbe una loro confluenza all'interno dell'hotel stesso.
Ciò forza i migranti a trovarsi nei luoghi sopra citati o a camminare per le strade di Gorizia,
nonostante alcuni operatori della Croce Rossa abbiano loro consigliato di riunirsi un gruppi meno
numerosi. Il suggerimento è dovuto ad una questione di percezione cittadina dei migranti ed è
legato ad una speranza degli operatori, ovvero che i loro ospiti possano rimanere nel territorio, una
volta ottenuto il permesso, in un clima accogliente.
Operatori e attività
In quanto la mia breve ricerca si è svolta principalmente negli ambienti della Croce Rossa,
riporterò quanto ho visto in quel contesto, non mi soffermerò dunque a trattare degli operatori e
delle attività della Caritas al Nazareno.
La sezione goriziana del CRI è diretta da un'energica, anche se non più giovane, Presidente,
A., volontaria da molti anni e con una buona conoscenza del Pakistan e dell'Afghanistan, avendo
spesso vissuto in quelle zone come moglie di un ufficiale dell'esercito.
Pur ricoprendo un incarico non retribuito, è possibile trovarla al lavoro dalle prime ore del mattino
fino a tarda sera, dal lunedì al sabato, impegnata in conversazioni telefoniche con vari enti ed
istituzioni, in ufficio tra richieste e documenti, in aula per la formazione dei volontari oppure tra i
ragazzi per ascoltare le loro richieste e provvedere ai loro bisogni.
Per il lavoro con i migranti può contare su uno sparuto numero di volontari, in quanto molti non
amano occuparsi di questa situazione, ma preferiscono proseguire nell'adempimento di altri tipi di
attività in Croce Rossa.
Una di queste persone è la figlia, avvocato, che si occupa dell'ambito giuridico.
E., l'Ispettrice delle Infermiere Volontarie, supervisiona l'ambito sanitario, riguardante l'ottenimento
di un codice fiscale e dell'STP (la tessera sanitaria temporanea per gli stranieri irregolari),
l'erogazione di alcuni farmaci e medicamenti e l'organizzazione delle visite mediche, tenute
nell'ambulatorio medico interno al CRI da due medici volontari con il supporto dell'ASL.
Alcune ex insegnanti di italiano delle scuole medie e superiori sono state contattate per fornire dei
corsi di lingua italiana, che si tengono tre volte alla settimana per due gruppi di migranti, mentre la
volontaria O., di origine albanese, impartisce un corso di Educazione civica, utilizzando delle slide
della Fondazione Mondo Digitale (Roma 2011) intitolate "Imparare l'educazione civica attraverso
l'informatica. Manuale per l'integrazione di immigrati e rifugiati politici con approfondimenti ed
esercizi pratici".
Nella mia permanenza al CRI, ho potuto notare alcune problematiche.
Intanto, il titolo del corso di O. chiarisce in che modo esso sia impostato, anche se
involontariamente; sebbene in questo siano trasmesse informazioni utili per il migrante per arrivare
al colloquio con la Commissione preparato e per comprendere come funzioni lo Stato in cui sta
chiedendo asilo, l'intento del programma è di fornire linee guida su ciò che viene considerato un
"buon comportamento" e dunque che caratteristiche debba avere un "buon cittadino".
Inoltre, il numero dei volontari che si stanno occupando dei migranti è estremamente limitato e la
non partecipazione di molti è un problema serio, talmente serio da stimolare la Referente Regionale
dell'Area 1 del CRI ad organizzare un seminario sul tema per tutti i Comitati della Regione.
Il seminario "Attraversar confini: i migranti da emergenza a quotidianità", tenutosi a Cividale il 22
novembre 2014, era rivolto principalmente agli iscritti CRI che non stavano aiutando in quel settore,
a far comprendere ad essi come, sia da un punto di vista umano che sanitario, non avessero nulla da
temere. Un altro tema trattato è stato quello della presenza stabile del fenomeno, ovvero che questo
non si riassorbirà in tempi brevi e che influenzerà il futuro della Regione.
A rendere più difficile la situazione, pare che la Caritas non stia fornendo gli stessi servizi del CRI,
cosicché i numerosi migranti posti sotto la loro tutela stanno chiedendo l'accesso ai corsi della
Croce Rossa, oppure tentano direttamente di parteciparvi. Più persone si accalcano nell'aula,
occupando anche i corridoi, più è difficile insegnare. Le docenti dei corsi di lingua italiana non
comprendono le questioni burocratiche che coinvolgono i loro studenti, cosicché lamentano
l'impossibilità di condurre un corso strutturato, dati i continui arrivi e le partenze forzate. Queste
insegnanti non parlano inglese, dunque il problema di comunicazione è alto, senza contare che una
piccola quota dei partecipanti è analfabeta.
O. e A., invece, parlano un ottimo inglese e possono comunicare tranquillamente, ma quando ho
partecipato alla lezione di Educazione civica mi sono accorta che un ragazzo, Mir., stava traducendo
le parole di O. dall'inglese al pashtun: non tutti i migranti hanno un buon livello di inglese, altri
ancora non hanno mai potuto impararlo.
Infine, i migranti ormai vedono la Croce Rossa come uno dei pochi enti su cui possono veramente
contare e con cui possono occupare le proprie giornate. Sempre più spesso passano il tempo davanti
all'entrata del centro e fanno continue richieste ai volontari che conoscono: A. mi ha confessato che,
pur essendo felice di essere a loro disposizione, la loro continua presenza è motivo di stanchezza e
di frustrazione, non riuscendo a gestire tutte le problematiche; un'altra sua preoccupazione è quella
di non "viziarli troppo", è infatti consapevole che a Gorizia i migranti stiano vivendo abbastanza
bene, ma che in caso di trasferimento forzato si troverebbero a dover fare i conti con tutt'altro
trattamento. Tuttavia, A. viene chiamata affettuosamente "mum" da alcuni ragazzi che ho incontrato,
a riprova del riconoscimento del suo ruolo e del suo sforzo quotidiano.
Come sottolineato da Zachary Whyte8, in questa tipologia di contesti va anche considerato
quanto il coinvolgimento di una associazione come la Croce Rossa possa risultare ambiguo: la
Provincia e la Prefettura hanno delegato a CRI non solo delle funzioni didattiche, ma anche di
controllo e di comunicazione di eventuali trasgressioni.
Tali compiti si scontrano con i principi della Croce Rossa e A., nel suo ruolo di Rappresentante
locale, è impegnata nel tentativo di bilanciare le richieste.
Mi è stato raccontato un caso pratico in cui questa contraddizione è risultata evidente: un migrante
ha chiesto ad un operatore come potesse aprire un conto in banca. Questi, sapendo che avrebbe
dovuto comunicare alle autorità il possesso di una probabile somma di denaro, ma essendo anche
consapevole di come ciò avrebbe potuto compromettere la richiesta d'asilo del migrante, ha
preferito non rispondere alla specifica domanda, ma piuttosto avvisarlo delle problematiche in cui
sarebbe incorso in caso avesse rivolto la richiesta ad altre persone. Al momento del racconto,
l'operatore mi appariva visibilmente turbato e si è detto insicuro del proprio ruolo.
Parte di tale insicurezza è percepita anche dai migranti: non sanno quanto siano effettivamente
controllati nè chi li stia sorvegliando. La diffidenza era palpabile nel momento in cui li ho
incontrati, mi hanno spesso domandato nel dettaglio quale fosse la mia funzione e come sarebbe
stato utilizzato il materiale che avrei raccolto.
Anche questo aspetto è ampiamente trattato nel saggio di Zachary Whyte, che rileva un
collegamento tra l'incertezza e il potere nel modello di controllo da lui chiamato myopticon:
l'incertezza è una scelta consapevole del potere, che usa questo stato d'animo per poter rendere i
soggetti frustrati e rassegnati e dunque facilmente allontanabili attraverso il diniego della
Commissione.
A differenza di ciò che si riscontra nella ricerca condotta in Danimarca dallo studioso, gli operatori
da me incontrati sono molto più consapevoli della miopia dello Stato italiano e della mancanza di
autorevolezza delle sue direttive. Non suggeriscono ai migranti di raccontare "solo la verità" e non
pretendono che la raccontino a loro.
L'ultimo aspetto che ho trovato interessante nel tempo trascorso tra gli operatori della Croce
Rossa è la "questione del dono": A. pare consapevole del fatto che molti migranti si possano sentire
in imbarazzo per l'aiuto ricevuto e costantemente in difetto, non avendo i mezzi per ricambiare.
Questo aspetto viene da lei mitigato sotto forma di reclutamento: nutrendo la forte speranza che i
ragazzi possano essere riconosciuti e insediarsi, coinvolge nelle attività coloro che si rendono più
8 Zachary Whyte, Miopia, incertezza e potere nel sistema d'asilo danese, in Sorgoni B. (a cura), 2011, Chiedere asilo in Europa. Confini, margini e soggettività, rivista «LARES», LXXVII (1)
disponibili e parla a tutti dei corsi di formazione che un giorno potrebbero seguire per diventare
volontari della Croce Rossa.
Effettivamente, all'interno del Comitato locale, ho potuto notare la presenza di un certo numero di
operatori (o persone volontariamente coinvolte nella manutenzione e pulizia dell'edificio)
provenienti da altri Paesi.
I migranti
Nel corso della mia breve ricerca, ho potuto intervistare tre dei quaranta ragazzi ospitati
dalla Croce Rossa e ho avuto un colloquio con il mediatore culturale che li segue, anche lui di
origine afghana.
Alla lezione di Educazione civica a cui ho assistito erano presenti 34 migranti. La maggior parte
aveva un'età compresa tra i 20 e i 30 anni, mentre solo tre di loro erano nati negli anni '70. 28 erano
di origine afghana, 6 provenivano dal Pakistan.
O. aveva tentato di comprendere quanti anni di studio avessero alle spalle e quanti parlassero
fluentemente inglese: la maggior parte aveva una formazione scolastica compresa tra i 5 e i 10 anni,
nove ragazzi possedevano diplomi e lauree, mentre 13 non avevano mai frequentato la scuola; 16
parlavano in inglese correntemente.
Non mi è stato possibile comprendere tangibilmente quanti provenissero direttamente dai Paesi di
origine e quanti invece avessero vissuto per un certo periodo in un Paese europeo. Gli operatori
affermavano che la maggior parte avesse prima lavorato in Gran Bretagna, ipotesi supportata dal
fatto che molti possedessero smartphones con schede telefoniche +44, anche alcuni di quelli che
parlavano un inglese meno fluente.
I tre ragazzi intervistati hanno confermato di aver eseguito questo tipo di percorso.
R. proviene dal Pakistan, da un paese vicino Peshawar. Tre anni fa ha percorso la cosidetta
"via di terra", passando dal Pakistan, all'Iran e attraversando la Turchia, la Bulgaria, l'Italia e la
Francia per arrivare in Inghilterra.
Giunto a Londra, ha subito presentato richiesta di asilo politico. Dopo aver passato tre mesi in un
centro per immigrati, ha ottenuto il permesso umanitario, della durata di un anno.
Ha potuto lavorare in un negozio di cosmetici, ma illegalmente.
Mi ha parlato della sua laurea in Informatica e di come vorrebbe prima o poi poterla sfruttare; non
ha nascosto una certa frustrazione per il poco o insignificante riconoscimento che ha il suo titolo di
studio. In merito, ha voluto sottolineare di non essere partito per ragioni economiche, ma per la
situazione di costante minaccia: per i talebani chiunque potrebbe "non essere sufficientemente
musulmano" e per le agenzie governative chiunque potrebbe aver collaborato con i talebani.
«They don't ask, they don't think about it, they come and shoot you.»
D'altronde, gli studiosi dei processi migratori hanno ampiamente dibattuto su quanto le migrazioni
forzate e quelle economiche siano difficili da distinguere; per Barbara Sorgoni, l'antropologo può
occuparsi della distinzione, ma in quanto categorizzante9.
Dopo due anni di permanenza sul suolo inglese, avrebbe voluto richiedere un altro permesso, ma mi
ha raccontato che la Corte glielo avrebbe negato e l'avrebbe avvisato che, in caso fosse stato trovato
ancora in Inghilterra, sarebbe stato rimandato (R. ha usato il termine "deported") in Afghanistan.
A quel punto ha deciso di tornare in Italia passando attraverso la Francia. Giunto a Gorizia, il 26
agosto si è presentato in Questura.
Siccome questa gli aveva comunicato che non c'era posto per accoglierlo in una struttura, si era
unito al campo in riva all'Isonzo, campo in cui aveva incontrato il secondo ragazzo che ho
intervistato, Ar.
Ar. è nato in Laghman, una provincia dell'Afghanistan a 100 km da Kabul.
Anche lui ha percorso la "via di terra" cinque anni fa, per arrivare in Gran Bretagna. Il suo percorso
è stato, se possibile, persino più tormentato rispetto a quello di R., mi ha parlato dei numerosi cambi
di mezzi di trasporto (dai container dei camion alle auto, fino ad alcuni tratti sulle montagne che ha
dovuto percorrere a piedi) e dei 25 giorni in prigione in Turchia, ma anche del fatto che, dopo tanti
mesi passati al limite dell'indigenza, poter mangiare tutti i giorni e avere accesso all'assistenza
medica gli fosse sembrato un lusso.
A Londra ha potuto lavorare come cuoco per quattro anni, conseguendo un attestato che mi ha
mostrato fieramente.
Non mi ha voluto descrivere il tipo di permessi che gli erano stati concessi, nè se sia mai stato in
regola sul posto di lavoro; dopo anni, si è comunque trovato a dover lasciare l'Inghilterra e a
rivolgersi alla Commissione territoriale di Gorizia.
Ha preferito riferirmi le condizioni in cui ha vissuto con gli altri in riva al fiume. Quando è arrivato
c'era già qualche tenda che gli altri migranti si erano procurati in un negozio di merce cinese, ma il
numero non era sufficiente per tutti coloro che avrebbero necessitato di un riparo. Bevevano e si
lavavano direttamente con l'acqua del fiume.
Ha felicemente ricordato la mattina in cui, dopo la tempesta, si sono presentati molti cittadini
goriziani con acqua, coperte e altre tende. Ma ha pure specificato di aver mantenuto solo dei labili
rapporti verbali con una o due di quelle persone.
9 Barbara Sorgoni, Pratiche ordinarie per presenze straordinarie. Accoglienza, controllo e soggettività nei centri per richiedenti asilo in Europa in Sorgoni B. (a cura), 2011, Chiedere asilo in Europa. Confini, margini e soggettività, rivista «LARES», LXXVII (1)
Mir. ha accettato volontariamente di farsi intervistare, mentre R. e Ar. erano stati scelti da O.
all'interno della sua classe. Avevo notato la sua presenza proprio durante le ore di lezione di O., in
quanto stava traducendo a tutti le parole dell'operatrice dall'inglese al pashtun; poco prima
dell'intervista, aveva passato la giornata al Pronto Soccorso con un ragazzo che aveva un problema
neurologico, che aveva quindi bisogno di qualcuno che lo accompagnasse e comunicasse coi medici
in inglese.
La Presidente si è mostrata entusiasta del fatto che potessi parlare con una persona come Mir., che
qualifica come un valido aiutante, in quanto le facilita il rapporto con gli altri ragazzi, dimostra
impegno nello studio dell'italiano e si relaziona con molti goriziani senza incontrare particolari
difficoltà.
Anche per questo, è stato scelto per partecipare ad un corso di teatro realizzato dalla compagnia
"FieraScena"; con attori e altri migranti, ha realizzato "Attraversamenti. L'altro Amleto"10,
spettacolo che sta facendo il giro delle scuole e dei teatri della Regione.
La partecipazione era volontaria e, raccontandomi l'esperienza, Mir. si è detto entusiasta,
sottolineando come all'ultima rappresentazione fossero presenti 350 persone.
Mir. attribuisce la sua disponibilità al fatto che abbia voglia di occupare il tempo per farlo passare
più velocemente. Concorda con l'opinione del mediatore culturale, che qualche anno prima si era
trovato nella medesima situazione: «tramite lo studio dell'italiano pensavo al futuro e non al
10 Lo spettacolo completo si trova a questo indirizzo: https://www.youtube.com/watch?v=dXk2TMXb47Q
Foto 4: l'accampamento prima dello smantellamento
passato».
Mir. è partito dall'Afghanistan quando aveva 15 anni. Il passaggio dall'Iran alla Grecia è stato molto
faticoso: mi ha raccontato dei sei mesi in cui ha dovuto compiere lunghi tratti a piedi, soprattutto
per passare i confini tra i Paesi, e delle persone che sono morte lungo il percorso.
«One time I've tried to wake up two friends, but they didn't answer. I leaved them there with a piece
of paper with their name on their corpses.»
Riferisce che al tempo non c'era la "via di terra" così come è strutturata oggi (ovvero il passaggio
per la Bulgaria), o almeno lui non ne era a conoscenza. Arrivato in Grecia, ha dovuto pagare per
avere una barca da quattro posti con cui attraversare il mare Adriatico: erano in 12, sono arrivati alle
coste italiane solo in otto.
Dopo qualche mese passato a Milano in clandestinità, presso conoscenti, è partito per raggiungere
degli zii residenti nel Regno Unito da molti anni.
Fatta la richiesta, il permesso gli è stato concesso fino ai 18 anni, poi ha continuato a risiedere prima
a Londra e poi a Glasgow grazie a dei permessi di lavoro, dato che faceva il pizzaiolo presso i
ristoranti dei familiari.
Mi ha parlato del fatto che in Gran Bretagna l'atteggiamento nei confronti dei richiedenti asilo e dei
migranti in generale sta cambiando, quando ha fatto richiesta di rinnovo del permesso di lavoro
glielo hanno rifiutato e gli hanno dato una lettera in cui gli si comunicava l'obbligo di lasciare il
Paese entro qualche giorno, altrimenti sarebbe stato portato in Afghanistan forzatamente.
Immediatamente lui e i familiari si sono attivati per trovare una soluzione:
«Someone told me about a camp in the jungle...»
Attraverso reti di conoscenze, Mir. è venuto a sapere dei migranti che si stavano riunendo presso
l'Isonzo e di come la Commissione goriziana potesse dargli un permesso in un tempo
sufficientemente breve. Mir. sperava infatti di poter essere giudicato dalla Commissione prima
dell'arrivo della notifica del sistema Eurodac; contrariamente alle sue aspettative e nonostante sia
arrivato sulle sponde del fiume già a maggio, il suo colloquio è stato fissato per i primi di marzo.
La paura di Mir. non è da sottovalutare: già di per sé lo spettro dell'espulsione è sempre
presente tra i migranti («Lo spettro delle espulsioni è lì a ricordare che uno slittamento verso
l'espulsione può verificarsi in qualunque momento»11), in più, proprio nei giorni in cui stavo
conducendo la mia ricerca, le prime notifiche del sistema Eurodac stavano arrivando.
Nello specifico, il sistema di notifica dovrebbe funzionare entro i primi sei mesi dalla presentazione
della richiesta di asilo, superati i quali il migrante non potrebbe più essere rimandato nel primo
Paese di arrivo.
11 Carolina Kobelinsky, Lo spettro delle espulsioni. Conflitti e dilemmi morali nell'accoglienza dei richiedenti asilo in Francia in Sorgoni B. (a cura), 2011, Chiedere asilo in Europa. Confini, margini e soggettività, rivista «LARES», LXXVII (1), pag. 109
I due migranti segnalati avevano già superato abbondantemente i sei mesi dalla richiesta e
credevano perciò di non dover più temere il sistema Eurodac, ma la Polizia aveva comunicato loro
che a Roma le carte erano già arrivate a giugno e non importava se a loro fossero state consegnate
appena a novembre: in due giorni, senza avere il tempo per poter fare ricorso (che la figlia di A.
stava tentando di approntare), i due ragazzi sono stati caricati su un aereo diretto a Londra. Dopo
aver passato un certo periodo in carcere, la loro ultima destinazione sarà l'Afghanistan.
Nel momento in cui la Polizia comunicava ciò ai due ragazzi, Mir. era presente. Ha saputo
direttamente dal Prefetto che altre notifiche ritardatarie ma legali erano in viaggio, forse anche la
sua. In quel momento, ha deciso di non comunicare l'eventualità ad A., cosciente del fatto che ciò
avrebbe potuto far crollare la Presidente12.
In tale tendenza, è insita una doppia minaccia e crudeltà: da una parte i migranti sono soggetti alle
preoccupazioni dei primi sei mesi, dall'altra si fa tirare loro un sospiro di sollievo vanamente.
Inoltre, in questi casi è evidente come queste persone non siano trattate come soggetti giuridici, che
avrebbero quindi diritto a conoscere il più presto possibile la loro posizione legale13: la "svista"
romana è trattata solo come tale e non come un grave errore da parte delle amministrazioni.
La causa per il ricorso potrebbe essere facilmente vinta, ma la figlia di A. mi ha segnalato due
problemi logistici: da un lato il tempo, dall'altro il fatto che dovrebbero andare a Roma sia
l'avvocato che l'assistito (e dunque la Croce Rossa da sola dovrebbe farsi carico di tutti i costi, dal
trasporto, alla permanenza, alle spese burocratiche).
M. è arrivato in Italia da poco più di due anni, ma si è appena sposato con una ragazza
incontrata a Gorizia ed è già diventato mediatore culturale presso la Croce Rossa, la Questura, i
Comuni di Gorizia e di Udine e la Commissione territoriale del Triveneto.
Pagato poco e a voucher trimestrali, la sua speranza è quella di potersi trasferire con la moglie in
Austria (questa decisione l'ha portato a concludere la terza media presso le scuole serali e ad
intraprendere lo studio del tedesco).
Nel frattempo è deciso ad affrontare la situazione dei migranti a Gorizia, situazione che secondo lui
sta peggiorando più per direttive nazionali che locali.
Ad esempio, informalmente era stato da poco coinvolto in un caso che non gli si era mai presentato
prima: un ragazzo analfabeta era stato fermato dalla Polizia ferroviaria e gli era stato chiesto il
motivo della presenza in Italia. Il mediatore culturale assegnato, fraintendendo le parole del
migrante, aveva indicato l'intenzione di ottenere un permesso di lavoro e non di inoltrare una
12 Attualmente, già 15 ragazzi sono stati rimandati in Inghilterra. C'è dunque motivo di credere che ormai A. sia consapevole del fenomeno e della possibilità che coinvolga anche le poche persone che la stanno aiutando.
13 Mi ricollego qui alla distinzione tra zoé e bios teorizzata da Agamben in Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Torino, Einaudi, 1995 (ristampa 2008)
richiesta d'asilo. In pochi giorni era stata decretata l'espulsione del ragazzo, che si era presentato
prima in Questura e poi in Croce Rossa senza sapere cosa fare.
M., poco incline ad accettare la spiegazione del fraintendimento, aveva deciso di scrivere una lettera
in pashtun, inglese e italiano con cui il ragazzo potesse dichiararsi analfabeta e discorde con la
richiesta di permesso di lavoro presentata in precedenza. Lavorando per vari enti amministrativi, M.
aveva preferito non firmare la dichiarazione, ma proprio questo dettaglio è stato preso in
considerazione dal Questore e dalla Polizia ferroviaria per non assumersi la responsabilità del caso.
M. ha timore che le norme stiano cambiando e che pratiche di questo genere possano reiterarsi.
Nonostante la costante minaccia di essere prelevati e spediti in altre zone d'Italia oppure di
essere riportati in Inghilterra o in Afghanistan, i migranti stanno tentando di crearsi un proprio
spazio all'interno della cittadina: stanno aumentando le richieste di permesso per poter stare fuori
oltre l'orario previsto e alcuni ragazzi stanno provando ad allacciare relazioni con gli abitanti più
giovani, anche se difficilmente riescono ad uscire insieme la sera: i goriziani sono abituati ad
oltrepassare liberamente il confine per frequentare i locali sloveni, mentre i migranti non possono
farlo.
Quando ottengono i permessi serali, Mir. cucina pietanze afghane, riunendo anche più di quaranta
persone presso l'abitazione di un compaesano arrivato molti anni fa in città. Mir. afferma che questa
sia la sua piccola ribellione al cibo dell'albergo, che sta portando tutti loro a dire al personale «pasta
basta!»; ma tale pratica transnazionale ha la potenzialità di creare un senso di comunità,
condivisibile non solo con persone di origine afghana e pakistana, ma anche con abitanti del luogo,
ed un senso di casa.
Foto 5: cena dopo lo spettacolo teatrale
Ovviamente non tutti i migranti condividono le posizioni di Mir., ma preferiscono rimanere
circondati dal proprio gruppo di compagni, che R. chiama «my family».
Per quanto riguarda le aspirazioni future, di esse si parla poco. Solo dopo qualche incontro
Mir. ha accennato al fatto che, a suo parere, molti preferirebbero rimanere in Regione, ma se
otterranno il permesso saranno costretti ad andare in città più grandi, come Milano e Roma, dove
hanno già delle reti di relazioni e le possibilità di aprire un'attività o trovare lavoro sono più alte.
Discorso pubblico e abitanti
La presenza dei ragazzi di origine afghana e pakistana, sulla carta, ha suscitato molte
polemiche: i giornali locali hanno riportato le parole accese dei vari amministratori, dunque il
dibattito è fortemente politicizzato, costellato di declinazioni di responsabilità e caratterizzato dal
continuo scambio di accuse.
Le critiche più forti hanno riguardato la scelta delle autorità locali di non intervenire
immediatamente per ospitare i migranti, il voltafaccia dei vari Sindaci della Provincia che non
hanno supportato il collega di Gorizia Ettore Romoli e la selezione dei luoghi in cui infine i ragazzi
sono stati mandati (la scelta dell'albergo ha scandalizzato chi non è a conoscenza delle reali
condizioni degli alloggi, mentre ha indignato coloro che conoscono bene le strutture assegnate).
In tale clima, non ha sorpreso la decisione del Prefetto di Gorizia Vittorio Zappalorto di
esternalizzare il problema; invece di trovare strategie per migliorare la situazione e la
comunicazione all'interno della Provincia, ha preferito dichiarare ai giornali:
«Questi non sono profughi, sono semplicemente furbi. (...) Si tratta di stranieri che provengono da
altri Paesi Ue che non hanno diritto a nessun tipo di assistenza. Sono dotati di carte di credito che
la maggior parte della gente si sogna, si spostano in aereo, atterrano a Venezia e poi vengono a
Gorizia a mettersi in fila per il rilascio dell’asilo politico. (...) Ho chiesto loro perché vengono tutti
a Gorizia. Mi hanno risposto perché ormai in tutta Europa si sa che Gorizia è una città ospitale.
(...) La commissione sta facendo il loro gioco con procedure e accertamenti lenti e inconcludenti.
Intanto è la prefettura a dover sobbarcarsi l’onere della gestione dell’emergenza»14.
La replica è giunta dal direttore della Caritas diocesana e da A., preoccupati che il lavoro
delle associazioni di volontariato venga vanificato dalle parole del Prefetto:
«La via deve essere quella dell’accoglienza diffusa: piccoli gruppi ospitati su tutto il territorio. E
poi: è necessario il coinvolgimento dei privati affinché vengano messi a disposizione alloggi
14 Roberto Covaz, “Questi sono furbi altro che profughi”, Il Piccolo, 31 ottobre 2014
attualmente sfitti e inutilizzati. È chiaro, però, che se passa il concetto che tutte queste persone
sono furbetti, mai e poi mai troveremo un privato disponibile a offrire un appartamento di sua
proprietà.»15
A supportare l'opinione dei direttori delle associazioni, è intervenuto Andrea Bellavite, il redattore
del blog goriziano più seguito:
«Leggendo i quotidiani odierni si scopre che Gorizia è sotto assedio. Gruppi di persone assaltano
inermi centri d'accoglienza, la polizia accorre da una parte all'altra della città riuscendo a fatica a
ristabilire l'ordine, la gente che fugge impaurita qua e là, il sindaco che invoca la magistratura
affinché ci sia "tolleranza zero" contro quelli che si configurano come "veri e propri reati".
Qual è il reato? Si evince molto chiaramente dall'insieme degli articoli che se non altro hanno
avuto il merito di riportare al centro dell'attenzione il "vero" problema: il "reato" è quello di avere
freddo, il freddo cane delle scorse notti e di non aver voglia di affrontarlo in un parco, costretti
ogni mezz'ora a spostarsi un po' più in là da una cinica e inconcludente ordinanza comunale.»16
Al di là delle polemiche, non è stata spesa una riga per chiedere direttamente ai migranti
della loro situazione e delle loro intenzioni, nemmeno nel reportage del giornalista locale Pino
Roveredo sul CIE e sul CARA di Gradisca17.
L'antropologa Liisa Malkki18 ha analizzato a fondo questa tendenza a non riportare l'opinione dei
soggetti coinvolti, ma anzi a renderli muti preferendo rappresentazioni visuali e opinioni di esperti e
operatori; il rischio rilevato è quello di deumanizzare i soggetti, renderli «bare humanity» in attesa
di un partenalistico aiuto. Ed è proprio in questo senso che Gorizia percepisce i migranti.
In effetti, le polemiche della carta stampata hanno avuto poca eco tra la popolazione. Solo
due "manifestazioni" sono state condotte contro i migranti, ma i partecipanti (iscritti o simpatizzanti
della Lega Nord) non superavano la decina.
Gli abitanti di Gorizia si ritengono "persone tolleranti" e credono di dimostrare un buon livello di
accettazione, ma l'aiuto proposto riflette il concetto di "paternalismo".
In parte, il fatto che una cittadina così piccola non abbia ancora espresso malessere per la situazione
appare interessante, ma forse spiegabile da alcuni fattori storici e contestuali: Gorizia è sempre stata
città di confine e lo scambio e la convivenza con altri popoli non sono risultati problematici fino
all'arrivo del Fascismo. Da quel momento, era andato crescendo un certo senso di superiorità,
palesatasi in episodi di discriminazione ed emarginazione della minoranza slovena, ma le guerre
15 Francesco Fain, "«Don Zuttion: I furbi non bevono l'acqua dell'Isonzo», Il Piccolo, 12 novembre 201416 http://forumgorizia.blogspot.it/2015/01/il-reato-vero-e-lirresponsabilita.html17 http://ilpiccolo.gelocal.it/trieste/cronaca/2013/11/04/news/quel-muro-lungo-286-passi-che-imprigiona-il-dolore-
1.805223918 Liisa Malkki, 1996, Speechless Emissaries: Refugees, Humanitarianism, and Dehistoricization, «Cultural
Anthropology», 11(3)
jugoslave hanno rimesso in discussione il confine, sia come permeabilità che come realtà storica.
Inoltre, la recente evoluzione economica della Slovenia, in seguito all'entrata in Europa il 1° maggio
del 2004, e la conseguente chiusura di molte attività commerciali ed imprenditoriali nell'area
italiana, hanno notevolmente ridotto il senso di superiorità nei confronti dei Paesi dell'Est e riportato
in auge l'idea di un'unione culturale, sociale ed economica della Mitteleuropa19.
Nell'idea di Mitteleuropa è contenuto l'asburgico concetto di "tolleranza". Ma la tolleranza
non è sufficiente, soprattutto in relazione a ciò che potrebbe accadere in futuro: gli arrivi non stanno
accennando a diminuire ed alcuni di coloro che sono attualmente ospitati da Caritas e Croce Rossa
rimarranno presenti in questo territorio.
Compreso e accettato questo fatto, la sfida per Gorizia diventerebbe in prima istanza la creazione di
un sistema di accoglienza più rapido ed efficace e in secondo luogo la tematica della convivenza e
dell'incorporazione.
19 Ho trattato la tematica del "ritorno alla Mitteleuropa" dal punto di vista culturale, economico e sociale nella mia tesi triennale "L'viv, Lwow, Lemberg, Leopoli. Percezioni di una città al tempo degli Asburgo"