studio sugli egizzi

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ARMANDO MEI MONICA BENEDETTI

LA PORTA DEL CIELO

LA SCIENZA ALCHEMICA E LA CIVILTA’ DELLE STELLE

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TITOLO IN INGLESE HEAVEN’S DOOR

© ARMANDO MEI & MONICA BENEDETTI ALL RIGHTS RESERVED

URBANIA, 03 APRILE 2013 ISBN-13: 978-1483985862 ISBN-10: 148-3985865

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A Elia, Marco, Simona e Marta

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Copertina di: Monica Benedetti & Armando Mei

@ All rights reserved

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“Osiride entra in Djedu e ha ivi trovato l’anima di Ra:

le due anime si abbracciano reciprocamente divenendo due anime gemelle”

DA: IL LIBRO DEI MORTI

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Introduzione

Questa volta, a conclusione del nostro terzo saggio – ultimo

lavoro della Trilogia che comprende anche “36.420 AC – Rive-

lazioni dal Tempo” e “Oltre le nebbie del Tempo” – abbiamo

deciso di non ospitare nessuna firma autorevole, così come ac-

caduto per le precedenti pubblicazioni. Una scelta dettata dalla

nostra convinzione che la Ricerca Scientifica, in questi ultimi

decenni, ha subito mortificazioni aberranti, frutto di un modus

operandi, assolutamente non condivisibile. Il saggio che vi ac-

cingete a leggere, è il completamento di anni di duro lavoro,

sviluppato, quasi interamente, in condizioni estreme. Ci siamo

spesso trovati, sul nostro percorso, in situazioni addirittura

paradossali, che ci hanno “chiarito” cosa significa spingersi ol-

tre gli stereotipi. Per utilizzare una metafora, da quando è ma-

turata la nostra convinzione di intraprendere un percorso di

chiarezza e ricostruzione della Verità Storica, abbiamo subito

un processo di desertificazione, proprio come nell’8.000 a.C. è

accaduto al deserto del Sahara!

Dello stuolo di amici e colleghi che si affollavano agli inizi

dell’avventura del Tau-T Project, è rimasta solo l’ombra…

“Essere scomodi” ora ha un significato anche per noi…

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Raccontare i fatti, alla luce dell’evidenza dei dati archeologici,

non sempre è una procedura compresa ed accettata… Ma que-

sto, fondamentalmente, ci interessa molto poco… poiché, il no-

stro unico intento, è quello di leggere fatti ed eventi con la

massima trasparenza e logica scientifica.

Questo libro narra delle vicende che ci hanno portato alla sco-

perta della funzione del complesso monumentale di Giza. Uno

studio basato sull’analisi delle costruzioni, dei testi accademici

occultati - riposti in soffitta per la preoccupazione che potesse-

ro essere riportati all’attenzione del pubblico - di reperti ar-

cheologici taciuti e di alcuni testi alchemici che custodiscono

un Sapere Antichissimo.

Rimettere insieme il tutto, è stato assolutamente complicato…

ma avvincente e, se permettere… soddisfacente, poiché ci ha

dato la chiave per entrare in sintonia con l’Antico Sapere e con

la Civiltà che ha realizzato prodigi scientifici, senza precedenti.

Il percorso di studio parte dai momenti che hanno “ispirato” la

ricerca, assecondando vicende molto personali, sviluppandosi

poi attraverso una lettura meno obsoleta dei reperti archeologi-

ci, fino a collegarsi alla definitiva ricomposizione della Piana di

Giza, introducendo e svelando l’arcano dell’area Ovest delle

Piramidi. Infine, partendo dalla lettura di una pubblicazione

dell’Università di Chicago risalente al 1929, abbiamo ricostrui-Q

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to il processo scientifico che si sviluppava all’interno della

Grande Piramide. Con pazienza e risolutezza ci siamo immersi

nella Filosofia degli Alchimisti, poiché nei segreti più complessi

dell’Opera primordiale della Natura, sono nascosti i principi

primi della Scienza della Grande Piramide di Giza.

Abbiamo dimostrato che gli ambienti interni al Monumento,

erano stati realizzati per assecondare un processo funzionale

alla produzione di Energia, attraverso l’interazione tra Campo

Magnetico Terrestre e Campo Elettrico appositamente genera-

to, secondo i principi artistici della manipolazione delle forme.

E ad ogni dettaglio non rilevato dall’Archeologia Ufficiale, ab-

biamo ridato il suo antico nome e la dignità storica che gli ap-

partiene. Dettagli rinvenuti nelle Camere e nei Condotti del

monumento… senza tralasciare nulla. Ciascun elemento è sta-

to progettato e realizzato per essere parte integrante del proces-

so produttivo, dal Pozzo nella Camera Sotterranea, fino al Py-

ramidion.

In sintesi, abbiamo voluto dimostrare che:

1) la Grande Piramide è stata costruita anche per produr-

re Energia allo stato puro;

2) il sistema di produzione è applicabile anche al nostro

attuale sistema energetico, come fonte alternativa, ine-

sauribile ed ecologica;

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3) l’energia prodotta all’interno della Piramide può inte-

ragire con la biologia umana.

Così, alla fine del nostro lungo lavoro, riteniamo di poter dire

che la Grande Piramide ha un segreto in meno…

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PARTE PRIMA ECHI LONTANI

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“C'è una cosa più forte di tutti gli eserciti del mondo, e questa è un'idea il cui momento è ormai giunto.”

Victor Hugo

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Gli dèi decidono

uesta storia inizia il 19 ottobre del 2008, una sera in cui Nico Moretto e sua moglie Anna sono stati a cena a casa mia. Come ogni fine settimana, ab-

biamo trascorso un po’ di tempo insieme, sia per il piace-re di fare due chiacchiere e per assecondare, quando pos-sibile, la nostra passione per la Juventus. Quella sera, la “nostra” squadra ha giocato al San Paolo e, per noi che abbiamo vissuto nella provincia napoletana, si è trattato praticamente di un derby! Mi resta il ricordo di una sera-ta piacevolissima, grazie anche alla buona cucina e alla vivacità delle mie bimbe, Simona e Marta, che non hanno dato un attimo di tregua al caro Nico. Soprattutto Simo-na che, di Nico, ha una vera e propria venerazione! Quel-la sera, ne abbiamo approfittato per fare due chiacchiere sulla possibilità di organizzare un week-end con il pro-fessor Lloyd Knutson, entomologo americano e ricono-sciuto scienziato dalla comunità internazionale e sua moglie Mara, programmandolo per dicembre. In realtà, qualche mese prima, avevamo tentato di organizzarne uno a Scario, nel Cilento, estremo sud della Campania. Un posto tanto tranquillo quanto incantevole. Avevamo deciso di trascorrere qualche giorno nella tranquillità della campagna, con i Moretto ed i Knutson cercando di creare le condizioni per discutere dei nostri futuri pro-getti di ricerca. Tuttavia, imprevisti di vario genere, ci avevano privati dell’autorevole presenza di Lloyd e di sua moglie Mara. Mia figlia Simona, comunque, aveva saputo riempire le nostre giornate, impedendoci di scambiare due chiacchiere in tranquillità! Di quei giorni, mi è rimasto lo splendido ricordo di sani momenti di di-vertimento e di pantagrueliche cenette a base di prodotti

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tipici locali. Tutto ciò, ha fatto passare in secondo piano, il velato dispiacere di aver dovuto rinunciare all’obiettivo primario: il nostro lavoro! Anche quella sera di ottobre è stata particolarmente gradevole. Le riflessio-ni sui contenuti delle nostre ricerche, intervallate dai commenti alle azioni più significative del match di foot-ball, hanno reso quei momenti molto meno pesanti per chi condivideva la nostra serata. Nulla lasciava presagi-re, che da lì a qualche ora, le nostre vite sarebbero state stravolte da eventi incredibilmente nefasti… Quella “piacevole serata” di ottobre, infatti, la ricorderò come una delle più tristi della mia vita. Il giorno dopo, intorno alle 10.15, la voce di Anna rotta dal dolore, mi ha infor-mato che Nico Moretto era in condizioni disperate, rico-verato in un ospedale di Napoli, colpito da una gravis-sima emorragia cerebrale. Un destino maledetto lo stava costringendo alla battaglia più impegnativa della sua vi-ta. Quella telefonata mi ha gelato il sangue nelle vene. Mi sono precipitato all’ospedale, innanzitutto, per stare vi-cino a lei e alle sue due figlie, Daniela e Loretta, e per ca-pire cosa stesse accadendo al mio caro amico e fratello. Dall’aprile del 2005, eravamo diventati praticamente in-separabili… Avevamo condiviso tutto… ogni momento della nostra vita… e perfino stilato un programma di la-voro particolarmente impegnativo, con l’obbiettivo di suggellare le nostre ipotesi di ricerca in un nuovo libro che riassumesse le nostre teorie sulla misteriosa funzione dello Zed. Il nostro sogno, mai nascosto, era quello di fa-re breccia nella comunità scientifica con la forza delle no-stre idee e l’umiltà del neofita. Invece, davanti all’ingresso della sala operatoria dell’ospedale Loreto Mare, quel maledetto 20 ottobre, si sono consumate le nostre speranze, i nostri sogni, le nostre ambizioni di percorrere insieme le tappe della ricerca archeologica e

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scientifica… Gli dèi hanno deciso che il nostro comune cammino doveva interrompersi lì… in un soleggiato e anonimo lunedì di ottobre… In un ospedale “di frontie-ra”, si è compiuto uno dei momenti più dolorosi della mia vita. Oggi, Nico non è più con me ad affrontare le battaglie che ci eravamo prefissi… Lui, ormai, è impe-gnato in un confronto decisamente più arduo ed impor-tante: quello con la vita! A me, invece, è toccata una missione meno ostica e sicu-ramente meno impegnativa, ma in ogni caso, importante: non disperdere l’enorme mole di lavoro che abbiamo ac-cumulato in questi ultimi anni. Ho cercato di fare il mio dovere anche in queste circostanze terribili… quando avrei voluto alzare le braccia e arrendermi all’inesorabile avanzata del destino! Anche questa volta, mi sono ricor-dato dei suggerimenti del caro Nico: “Abbiamo un dovere con noi stessi e con chi crede nel nostro lavoro… - mi ha detto un sabato pomeriggio, nel salotto di casa sua, prima di cominciare il consueto briefing sulle attività della setti-mana - Una volta iniziato questo percorso non possiamo più tirarci indietro…!” E così è stato! Il Destino mi ha concesso di incontrare una persona me-ravigliosa, Monica Benedetti, che è riuscita a riempire i miei vuoti apportando tutto quanto necessario a vivere di Fede, Amore, Sogni e Ricerca… Questo lavoro è per Nico, per noi stessi, per i nostri figli, per le ricerche che ci vedono impegnati da una vita e per tutti i nostri lettori che ci seguono, da qualche tempo, con sempre maggiore interesse e attenzione. Abbiamo sentito il dovere di ci-mentarci in quest’impresa… con la consapevolezza di averlo al nostro fianco! Nico non avrebbe apprezzato, in nessun caso, un solo momento di cedimento… Ha sem-pre ritenuto necessario combattere fino all’ultimo respi-ro… Non ci siamo mai chiesti, però, cosa sarebbe succes-

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so, se uno di noi fosse venuto meno per qualsiasi moti-vo… Il destino ci ha fatti trovare proprio nella condizio-ne meno auspicata e la risposta è stata inesorabile: “Gli dèi decidono…”

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Echi di civiltà remote

luglio del 2012, Monica ed io abbiamo pubblicato il nostro primo libro insieme, con un self-publishing on line. Una scelta dettata, oltre che

dal rispetto che sentiamo, interiormente, per il pianeta che ci ospita con tanta pazienza, anche dall’intenzione di tenere i prezzi di vendita bassi e dare la possibilità a tutti di acquistare, senza eccessivi dispendi di risorse, un libro che racconta una verità storica scomoda, soprattutto in un periodo in cui l’economia va uno schifo… Del resto, dopo l’esperienza con una casa editrice lom-barda - che ha voluto investire sul primo lavoro con Ni-co, interamente dedicato all’analisi scientifica confluita nella Teoria sulla Datazione Storica dello Zep Tepi, o Primo Tempo di Osiride - abbiamo deciso di invertire la rotta e provvedere direttamente con le nostre mani. Così, dopo “Giza: le piramidi satellite ed il codice segreto”, “36.420 a.C.” (che è un’integrazione del primo libro) e “Oltre le Nebbie del Tempo” siamo entrati direttamente e, a pieno titolo, nel mondo della ricerca archeologica di campo. Tutto questo ci ha permesso di conoscere i mi-gliori ricercatori del momento, e abbiamo avuto il piacere di stringere un rapporto di cordiale amicizia con Robert e Jean Paul Bauval. Nei nostri periodici confronti, Monica ed io siamo sempre stati convinti che, l’evoluzione delle civiltà post-diluviane, sia stata condizionata dal retaggio di società progredite che hanno caratterizzato la vita del nostro pianeta in epoche remote. Esse, a nostro giudizio, sono state influenzate nella loro dinamica, negli usi e co-stumi e finanche nelle credenze religiose, da ancestrali echi, che lasciano intuire l’esistenza di qualcosa di straordinariamente avanzato, prima che si affermassero

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le note civiltà secondo gli stereotipi storici “imposti” da-gli studiosi ortodossi. I sospetti, che si sono via via raf-forzati nel corso dei nostri studi, si basano essenzialmen-te sull’analisi dei contenuti di documenti antichi e sulle testimonianze degli studiosi classici che hanno vissuto in prima persona, o quasi, l’evoluzione delle civiltà a noi storicamente più vicine. Ci riferiamo, in particolare, al Canone Reale – o Papiro di Torino – che può essere con-siderato uno dei documenti più misteriosi che l’Antico Egitto ci ha lasciato. In esso è contenuta una lunga lista di Sovrani che si sono succeduti nella Terra del Nilo a partire dall’ultimo colpo di coda dell’epopea ascritta all’Enneade Eliopolitana (Ra, Shu, Tefnut, Nut, Geb, Osi-ride, Iside, Nepthis e Set) fino a Menes, il primo Faraone della Prima Dinastia ufficialmente riconosciuta dall’Egittologia Accademica, per poi proseguire fino all’epoca in cui è stato compilato (secondo la scuola uffi-ciale) nel periodo ramesside compreso tra il 1.290 – 1.224. a.C. Questo documento è stato al centro della teoria sulla Datazione Storica del Primo Tempo di Osiride. Nei pre-cedenti lavori, infatti, non solo è stata sostenuta l’attendibilità del lungo Elenco di Re, ma anche, e soprat-tutto, la doverosa critica per lo zelo con il quale gli Egit-tologi lo hanno sbrigativamente considerato l’invenzione di qualche fervida mente del mondo antico. Esso è, inve-ce, il retaggio di una lunga tradizione storica che riporta le origini della Civiltà del Nilo nei meandri oscuri di un’epoca senza tempo. Il salto indietro nelle Ere è soste-nuto da alcuni reperti ritrovati in Egitto, i quali lasciano intendere che qualcosa di importante sia realmente acca-duto nel nostro passato remoto. Le stesse Piramidi di Gi-za sono la dimostrazione del passaggio di una Civiltà straordinariamente evoluta, la quale ha gettato le basi per la realizzazione di monumenti che rappresentano un

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inno alle scienze più emancipate. Tutto ciò, inevitabil-mente, ci riporta ad un unico filo conduttore, verso epo-che largamente antecedenti la IV Dinastia. Il lettore più attento avrà certamente intuito che, a nostro parere, le Piramidi di Giza non sono opera dell’Egitto Dinastico, bensì di una “Civiltà delle Piramidi” vissuta prima delle catastrofi che hanno caratterizzato il nostro Pianeta a ri-dosso dell’11.000 a.C. Ma, prima, quando? Riteniamo, con ogni probabilità, che la Civiltà delle Piramidi si sia evoluta secondo i canoni trascritti nel Papiro di Torino ed abbia fissato un momen-to epocale nei monumenti di Giza, lasciando ad imperi-tura memoria una data ben precisa: 36.420 a.C. Questa data è la sintesi del modello matematico che, applicato ai monumenti di Giza, ci ha permesso di datare lo storico Zep Tepi, generalmente destinato alla mitologia dall’Egittologia ufficiale. Ma non è tutto… Il modello matematico, in quanto valore assoluto, avreb-be potuto ingenerare qualche perplessità nei nostri inter-locutori, con il rischio che la datazione potesse essere de-stinata a pura e semplice coincidenza. Così, abbiamo cer-cato una conferma nell’astronomia, attraverso il Ciclo della Precessione degli Equinozi, retrodatando il sorgere del Sole all’equinozio di primavera del 36.420 a.C. Il risultato è stato sorprendente! L’astronomia ha confermato che gli allineamenti tra la Cintura di Orione e le Piramidi di Giza, in quella data, sono semplicemente stupefacenti. Essi sono, addirittura, più precisi di quelli proposti nella Teoria della Correla-zione di Bauval, poiché nel 36.420 a.C. Al Nitak (la stella che, in genere, si fa corrispondere alla Grande Piramide) giace, in maniera precisissima, sul Meridiano Celeste. Inoltre, ci sembra il caso di evidenziare un altro elemento determinante ai fini dell’analisi astronomica. Negli alli-

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neamenti proposti da Bauval, Sirio è completamente as-sente! Nel nostro allineamento, invece, Sirio-Iside-Aset appare in tutto il suo splendore all’alba dell’equinozio di primavera, proprio al fianco del suo Sposo-Fratello Orione-Osiride-Sahu, al di sopra dell’Orizzonte e quindi ampiamente visibile. Peraltro, come esaurientemente de-scritto in “Oltre le Nebbie del Tempo”, abbiamo trovato anche il monumento corrispondente alla stella Sirio pro-prio a sud-est delle Piramidi. La tomba di Khentkaus, in-fatti, contiene in se tutti gli elementi scientifici, tali da rendere inconfutabile la nostra proposizione. Sia da un punto di vista astronomico, topografico, geologico e geometrico, la Tomba dimenticata dall’archeologia ri-specchia in tutto la stella di Iside e l’unico momento in cui si determina il preciso allineamento tra la costellazio-ne del Leone, di Orione e Sirio con i rispettivi monumen-ti è in una sola data: 36.420 a.C. Mai, dal 100.000 a.C. ad oggi, infatti, si verifica un allineamento così preciso come nella data dello Zep Tepi! Questo, per noi, rappresenta un momento assolutamente topico, perché, a dispetto del chiacchiericcio di bottega, i dati sono evidenti a tutti. Si può essere in disaccordo su qualsiasi argomento, ma non sull’evidenza scientifica! L’allineamento al 36.420 a.C. è la conferma che la Civiltà delle Piramidi ha voluto espressamente indicare una da-ta ben precisa che non è, oggettivamente, quella proposta dalla Teoria della Correlazione di Bauval. Bisogna avere il coraggio di guardare in faccia la realtà! I dati elaborati spingono indietro nel tempo le origini della civiltà egizia! Anzi, vorremmo aggiungere alcune riflessioni sulla for-mulazione proposta dal caro Robert. Se analizziamo la configurazione astronomica del 10.500 a.C. si notano delle particolarità davvero interessanti.

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Foto n 1 – la correlazione di Bauval

Questa configurazione segna non l’inizio, bensì la Fine del Primo Tempo di Osiride. Al sorgere del Sole, infatti, alla presenza del Padre di Giustizia, Giove, si determi-nano i Destini della Civiltà delle Piramidi. Il Toro, allo Zenit, trionfa sul cacciatore Orione, mentre Plutone – che rappresenta l’Ade – accompagna l’anima di Osiride nel cammino del Tramonto. Urano e Nettuno, Caos e Oceano Primordiale, segnano i tormenti che subirà la Compagnia dei Neteru. Una configurazione astronomica che inizia con la scomparsa di Iside dalla Storia. Questo è il dram-matico momento in cui viene soppressa la Divinità al femminile e prende il sopravvento il Dio maschio, sov-vertendo tutti i canoni fino a quel momento rispettati. E’ il momento in cui viene affidato lo scettro della reggenza ai seguaci del semidio Horus… l’inizio dunque, della ca-duta degli dèi. La domanda che, fino a quel momento, aveva alimentato la nostra sete di conoscenza, stava diventando sempre più inquietante: i Sapiens Sapiens possono aver acquisito

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e sviluppato le conoscenze scientifiche accertate dall’analisi dei monumenti e dei testi antichi, a ridosso del periodo compreso tra il 40.000 ed il 25.000 a.C., salvo poi essere spazzati via e ridotti a società primitive dalle catastrofi conclusesi intorno al 10.500 a.C.? Può la nostra specie aver subito dinamiche evolutive sostanzialmente diverse da quelle finora “narrate”? La risposta è stata confermata dai risultati delle nostre ri-cerche! Del resto, ad oggi, non solo non è stato trovato il cosid-detto “Anello di Congiunzione” tra l’Homo Neandertha-lensis ed il Sapiens ma, addirittura, è stato accertato che tra i DNA delle due specie, esistono ben 38 differenze che rendono, praticamente impossibile, difendere l’ipotesi evolutiva! Insomma, Neanderthal e Sapiens sono specie sostan-zialmente simili, ma oggettivamente diverse, che presen-tano posture comuni, ma che hanno molto poco di pecu-liare. Per molti secoli i Sebau, ovvero i seguaci di Set, noti come cinocefali, furono messi a guardia dei luoghi più sacri, come citato nel Libro dei Morti Egizio. Per un certo periodo di tempo, le due specie sembra abbiano condivi-so ruoli ben definiti, fino al giorno in cui gli eventi preci-pitarono in maniera definitiva:

“(…) Io sono questo gran gatto che si trova al lago dell’alveo di Persea in On

quella notte della battaglia in cui fu compiuta la sconfitta dei Sebau

e quel giorno dello sterminio degli avversari del Signore dell’Universo…

E riguardo alla notte della battaglia è quando arrivarono all’oriente del cielo e vi fu battaglia in cielo e sulla terra

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sino ai suoi estremi confini (...)”. Attraverso queste poche righe, viene ricordato un evento che ha cambiato le sorti delle Civiltà remote. Un leggen-dario confronto tra forze contrapposte, volutamente cela-to nell’ermetica cosmologia religiosa, che coinvolge il cie-lo e la terra fino ai suoi estremi confini.

“Ed è Thot che, sollevando la capigliatura, apporta vita, salute e forza, senza interruzione

per il suo possessore”. Quale straordinaria metafora per sostenere come, alla fi-ne della tenzone, Thot si libera del proprio “cimiero” per ritornare alla sua naturale funzione di “Maestro Istrutto-re” delle popolazioni sopravvissute, fino alla fine del proprio tempo. Nel Capitolo XVII, ancora, si legge: “In quella notte di festa del Lavorare la Terra (in Djedu)

con il sangue che rende giustificato Osiride contro i suoi avversari…

Ed allorché arrivano gli alleati di Set, essi fanno le loro trasformazioni in animali e poi li uccidono alla presenza di questi dèi

sino a che sgorga il loro sangue…”. Si conclude così, con l’annientamento fisico delle genti di Set, la battaglia per la conquista di un Potere che ancora ci sfugge. Set e le sue genti si sono ribellati all’ordine co-stituito da Osiride ed hanno perso la loro battaglia. Da-vanti agli dèi vincitori, i Grandi Giudici indossano i loro elmi, così da sembrare animali (emblematiche le raffigu-razioni degli dèi egizi con teste di animali, N.d.AA.) per

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annientare (fino a che sgorga il loro sangue…) i ribelli. Nello stesso capitolo, si evince chiaramente il motivo della bat-taglia:

“Le erezioni delle aste di Horo è la frase di Set ai suoi seguaci: si alzino qui i pilastri”…

Nel Capitolo XIX, si cita:

“La notte della battaglia e della sconfitta dei malvagi, innanzi ai Grandi Giudici di Abydos, la notte in cui Osiride è reso giustificato

contro i suoi avversari… innanzi ai Grandi Giudici che sono in Djedu, la notte dell’erezione dello Djed, in Djedu”.

Quella notte, la Colonna Zed acquisisce la sua funzione definitiva. Lo Zed, che è stato al centro dello scontro tra opposte fazioni, viene restituito al suo ruolo naturale. Le genti di Set e di Osiride, stando a quanto narra il Libro dei Morti, si sono scontrate per il potere dello Zed, ovve-ro per il potere dell’Energia. Nella terra dello Djedu, è iniziato lo sterminio dei Sebau… i cinocefali… gli uomini dalle sembianze di scimmie… i Neanderthal? Questi fatti sono ermeticamente ricordati nel prezioso te-sto egizio e tramandati, ad imperitura memoria, poiché attraverso essi è possibile ricordare la “grandezza degli dèi” che difesero il Potere dell’Energia, preservando lo Zed tutt’uno con la Grande Piramide. Tuttavia, non solo il Libro dei Morti Egizio sembra rive-lare episodi remoti che possono collegare le due specie umane, ma anche i Rg Veda, ad esempio, fanno luce su eventi drammatici che hanno coinvolto due opposte fa-

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zioni in lotta tra loro (Pandava e Kaurava), una delle quali ha utilizzato armi altamente tecnologiche - durante la battaglia di Kurukshetra - le cui descrizioni lasciano semplicemente stupiti. Questi esempi ci spingono, inevitabilmente, a proporre delle conclusioni che, nella loro sostanza, stravolgono i principi in base sui quali è stata scritta la storia. Sostene-re che, prima del diluvio, ci sia stata una Civiltà scientifi-camente evoluta che ha abitato il pianeta, disseminando-lo di monumenti tanto misteriosi quanto singolari, ci sembra ormai difficilmente confutabile. Ma fin dove si è spinta la loro tecnologia? Quali origini si possono desumere dai reperti attualmente disponibili? Se consideriamo lo Zep Tepi come momento di massimo splendore - l’Epoca d’Oro degli dèi - significa che questa civiltà veniva da un processo, lento ma inesorabile, che l’ha portata alla “conquista” del pianeta. Quindi, si è evoluta secondo schemi naturali nel corso delle epoche… Quindi, aveva origini ancora più antiche… Ma antiche quanto? C’è un collegamento con l’improvvisa comparsa dell’Homo Sapiens? E la scomparsa del Neanderthal è legata alla repentina ascesa della Civiltà delle Piramidi? Lo Zep Tepi celebra la vittoria dei Sapiens e la definitiva scomparsa dei “Sebau-cinocefali” richiamati nel Libro dei Morti?

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In giro per il mercatino

l nostro spirito è sempre stato animato da un unico comune denominatore: la Ricerca. Essa è, per sua natura, un’incognita, poiché non se

ne conoscono mai i risvolti… Ne comprendi i punti di partenza, ma non sai mai dove i sentieri della conoscenza possono condurti. Nella nostra mente, si è fatta largo la convinzione che, la Civiltà delle Piramidi, nascondesse qualcosa di estrema-mente importante. Le costruzioni dei monumenti di Gi-za, ad esempio, la loro perfetta sintesi delle scienze, i va-lori matematici in esse contenuti, gli allineamenti con le stelle della Cintura di Orione, con Sirio e le stelle del Nord, dimostrano che i costruttori possedevano delle conoscenze di base che non ritroviamo nelle arti e nelle scienze dell’Egitto Dinastico. L’idea di trovarci in pre-senza di qualcosa di insolito, quindi, è sempre stata mol-to forte… Troppi elementi ci hanno fatto ritenere proba-bile l’esistenza di una società tecnologicamente avanzata. Questa convinzione, naturalmente, ci ha portato in rotta di collisione con gli evoluzionisti, oltre che con gli Egitto-logi integralisti. Ma non abbiamo avuto altra scelta: la strada, già intrapresa con la Teoria della Datazione Stori-ca dello Zep Tepi, ci ha imposto di proseguire le ricerche per trovare ulteriori indizi che potessero sostenere i no-stri convincimenti. E, qualche cosa di interessante, l’abbiamo trovata!... Siamo andati alla ricerca di una traccia che potesse chia-rire i tanti interrogativi che si sono addensati nella nostra mente. Qualcosa che potesse indicarci la strada da segui-re, per giungere alle risposte che cercavamo… uno spun-to… uno stimolo… Ma dove scavare?

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In uno dei rarissimi momenti di “libera uscita”, ci siamo spesso dedicati alla visita dei mercatini rionali. Era un modo per evadere dai nostri pensieri, incontrare un po’ di gente e magari scambiare due chiacchiere. Il mercatino di Gaeta, quello dedicato alle anticaglie di ogni genere, è sicuramente uno dei più suggestivi. Ci si trova un po’ di tutto… Una domenica di fine luglio, sotto un sole rovente e con un tasso di umidità davvero insopportabile, ci siamo av-venturati tra le tante bancarelle che affollavano il litorale della cittadina laziale, in attesa di recarci a casa dei Knutson per uno dei nostri periodici appuntamenti. Sia-mo stati attirati dai famosissimi dischi 33giri - di cui sono un grande estimatore e collezionista - che ci hanno fatto ritornare con la mente alla nostra giovinezza e ci ha dato la possibilità di apprezzare, ancora una volta, la musica degli straordinari artisti degli anni ’70 e ‘80. Ma anche radio d’epoca, quadri, armi da collezione… insomma c’era di tutto… Un oggetto, in particolare, ha attirato la nostra attenzione quasi in simultanea… Nascosto, tra un piccolo gruppetto di “reperti”, riferiti a varie civiltà antiche, in un angolino sperduto, adagiato su un lenzuolino sbiadito ed usurato dal tempo, c’era un piccolo manufatto che ci ha ricordato le fattezze dello Zed… Ebbene si!... era una riproduzione - in verità pessima - della famosa Torre ospitata nella Grande Piramide… La Colonna vertebrale di Osiride…! Siamo rimasti stupiti a quella visione, quasi non crede-vamo ai nostri occhi! Che ci faceva uno Zed su una ban-carella del mercatino rionale di Gaeta? Per un attimo, ab-biamo avuto la sensazione che qualcuno ci stesse indi-cando la strada… Che qualcuno avesse ascoltato i nostri

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pensieri e ci avesse risposto in maniera perentoria. Ecco il posto dove cercare! Nella Piramide di Cheope. La chiave era lì! Tutto sembrava convergere verso uno degli elementi più misteriosi mai trovati in Egitto: lo Zed! Questa enorme colonna - inserita con sapiente maestria nella Grande Pi-ramide - ha creato lo scompiglio negli autorevoli ambien-ti accademici. Le interpretazioni, ovviamente, hanno ge-nerato non poche perplessità… Secondo la “scuola uffi-ciale”, infatti, lo Zed è stato concepito per un uso mera-mente tecnico; la struttura - a lastre sovrapposte distan-ziate l’una dall’altra, in media, di un metro, con l’annesso tetto a tre cerniere - doveva servire come vano di scarico per alleggerire il peso della parte superiore del monu-mento, così da evitarne il collasso; viceversa, l’interpretazione simbolica, molto più spartana e sicura-mente meno aulica, è destinata ad associare lo Zed alla Colonna Vertebrale di Osiride, inteso come elemento di equilibrio nel costante ciclo della vita, della morte e della rinascita. Non a caso, la sua etimologia deriva dalla radi-ce verbale “Essere Stabile”, oppure come acronimo nel linguaggio archetipale di Zain (Eternità) E’ (Vita) Dalet (Stabilità). In ogni caso, l’interpretazione ufficiale (almeno relativa-mente alla monumentale colonna inserita nella Grande Piramide), non ci ha mai convinto. Prima di tutto, perché lo Zed è completamente discostato dalla muratura circo-stante e quindi, in quella posizione, non avrebbe potuto svolgere la funzione di sostegno. Inoltre, se i costruttori avessero avuto questa necessità, dovremmo ritenere che una struttura simile sia presente anche nella Seconda e nella Terza Piramide. Per dovere di cronaca, ad oggi, le ricerche, effettuate all’interno della Seconda Piramide, hanno evidenziato

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particolari elementi che fanno ritenere plausibile l’ipotesi che essa ospiti delle Camere nascoste in attesa di essere riportate alla luce, ed è plausibile che in essa possa tro-varsi un secondo Zed. Tuttavia, anche in questo ipotetico scenario, siamo più propensi a sostenere l’ipotesi indi-pendente. Ci sono, infatti, degli indizi che confluiscono verso questa interpretazione… Abbiamo individuato degli elementi che apparentemente sembrano marginali, ma che mostrano una loro indiscu-tibile logica. Il vincolo, a cui velatamente abbiamo fatto riferimento, lo troviamo nei nomi dei due faraoni “pro-prietari delle Piramidi”. Ci è venuto alla memoria, infat-ti, il nome Horo di Cheope, ovvero Medjedu, che tradot-to in italiano significa “Colui che colpisce”. Apparente-mente, non sembra esserci nulla di strano nella traduzio-ne… ma, approfondendo l’analisi dei geroglifici che compongono il cartiglio del Faraone, abbiamo trovato qualcosa di molto interessante:

(mdd w) Due “Torri” collegate! E’ forte il richiamo alle due grandi strutture tra esse unite da qualcosa di particolare… tre segmenti che sembrano richiamare un metaforico lega-me… sembrano dei chiari riferimenti al possibile trasfe-rimento di energia attraverso dei “sistemi” di collega-mento!

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Il significato del cartiglio è: “Colui che colpisce in nome delle due Signore”. Che cosa è richiamato, dunque, nell’ermetico nome Med-jedu? Quale misterioso evento è ricordato attraverso il nome Horo di Cheope? Per mezzo di quale strumento “colpiva”? e chi sono le due Signore in nome delle quali agiva questa figura del mito, richiamata nel nome egizio di Cheope? Abbiamo proposto la stessa metodologia di analisi rela-tivamente al nome Horo di Chefren, il cui cartiglio è:

(nebty wsr m) User – em – nebty ovvero: Colui che è forte con le due Signore… Potere e Forza si uniscono alle “Due Signore”. Cheope e Chefren racchiudono, nei loro nomi, un’ermetica remini-scenza di qualcosa che ha conferito grandezza a chi ha edificato le “Due Signore”, per esercitare un potere sco-nosciuto. Ci è sembrato davvero interessante rilevare, in-fine, che Medjedu custodisce in sé i due termini Djed o Djedu così come sono richiamati nel Libro dei Morti! Ov-vero, Djed in Djedu… alias: lo Zed nella terra dello Zed! Quindi, non solo la Grande Piramide, ma anche la Se-conda è parte integrante di questo sistema tecnologico impenetrabile.

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Di nuovo in trincea

uel pomeriggio di luglio dopo il “tour al mercati-no”, abbiamo trascorso alcune ore in compagnia di Mara e Lloyd, nel salotto della loro casa di Gae-

ta, con la mente rivolta al nostro piccolo Zed. In quel periodo, abbiamo ultimato “Oltre le Nebbie del Tempo” e – guarda caso – ci siamo ritrovati, ancora una volta, a casa di Lloyd, alla fine di un lavoro editoriale. Quel pomeriggio, durante la nostra piacevole conversa-zione, abbiamo richiamato alla nostra mente un episodio di vita personale, rimasto indelebile nella memoria, ov-vero, quando con Nico, avevamo deciso di chiedere al prof. Lloyd la prefazione per il primo libro, “Giza: Le Pi-ramidi satellite ed il Codice Segreto”. E’ stato un momen-to davvero intenso, quando con inconsueta timidezza, ho fatto formale richiesta. Il timore che la sua autorevole firma sarebbe stata eccessiva per il nostro modesto lavo-ro era molto forte… Quella è stata, anche, l’occasione per rileggere, nella mente, le sequenze degli ultimi cinque anni vissuti tra un mare di scartoffie; in giro per biblioteche e siti archeolo-gici, alla ricerca delle origini dei miti… Oggi, quasi in-consapevolmente, siamo passati dallo stato di lettori pas-sivi, a protagonisti – per quanto limitatamente al nostro ambito – della ricerca scientifica e archeologica. Un salto di qualità avvenuto nel breve volgere di un battito di ci-glia… Catapultati in una dimensione nella quale, nessu-no, avrebbe mai sperato di trovarsi… Se qualcuno, agli inizi del nuovo millennio, ci avesse pronosticato un futuro da ricercatore e scrittore, gli avremmo semplicemente consigliato un urgente ricovero in un ospedale psichiatrico!

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Questa storia è stata l’occasione per alleggerire un po’ la tensione su un argomento particolarmente complesso e spendere un po’ di tempo in chiacchiere rilassanti. Quel-la sera, ne abbiamo approfittato per richiamare tutti gli elementi necessari ad impostare la nostra ricerca sul rap-porto Piramide-Energia, partendo dagli indizi disponibili e dall’incoraggiamento autorevole di Lloyd. Sentivamo, in cuor nostro, che lo studio a cui ci stavamo accingendo era molto impegnativo, per certi versi ri-schioso e al tempo stesso “controcorrente”… la qual co-sa, generava, in noi, sensazioni fortemente contrastanti. Ricordo ancora nitidamente che, sulla strada del ritorno, avevamo poca voglia di parlare… eravamo entrambi as-sorti nei nostri pensieri… Sentivamo che, da lì a qualche giorno, ci saremmo trovati in trincea, pronti a fronteggia-re una mole di lavoro enorme. L’unica cosa, che mante-neva vivo il nostro spirito “guerriero”, era la consapevo-lezza di aver imboccato un sentiero, la cui direzione, era semplicemente ignota… La curiosità era forte e, cono-scendoci, non vedevamo l’ora di affrontare la battaglia. Tornati a casa, abbiamo cominciato a riordinare un po’ le idee e ad abbozzare un piano operativo che ci avrebbe portato direttamente al cuore della Grande Piramide. Sentivamo che, dietro quella misteriosa montagna di pie-tra, si celava uno dei più alti segreti che la civiltà remota del Nilo ci aveva lasciato in eredità. Abbiamo approntato una scaletta che potesse scandire i ritmi del nostro lavoro, seguendo una logica impostata sull’analisi dei miti e sulle eventuali connessioni con le origini della remota Civiltà delle Piramidi. Tuttavia, nelle nostre conversazione, era palese che il la-voro, non poteva essere limitato al solo Antico Egitto. Monica, che è una vera appassionata della civiltà Sume-ra, nell’ambito delle sue conoscenze, ha rilevato

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l’esistenza delle “sospette” similitudini con le origini primordiali di quelle Civiltà ancora poco conosciute. In realtà, la stragrande maggioranza delle Civiltà Anti-che – quelle note e meno note – sono accomunate dalla stessa similitudine, nel racconto degli eventi catastrofici che hanno spazzato via le terre che li ha ospitati. Il mito del Diluvio è comune a tutti… E’ stato in quel momento che, con uno scatto, mi sono di-retto verso la libreria del nostro studio ed ho tirato fuori un rotolo avvolto con un elastico. Con un gesto repenti-no, ho liberato la scrivania dai libri e dalle fotocopie che la occupavano, l’ho srotolato, appoggiando l’elastico su uno sgabello, ed ho steso il foglio sul piano d’appoggio. Era un planisfero… Su di esso, nitidamente indicati i continenti e gli Stati che li componevano. Monica ha capito al volo quale era il mio intento e senza aggiungere parola, ha preso dal cassetto una scatolina di puntine da disegno e me le ha passate. Al tempo stesso, ha preso il taccuino sul quale avevamo appuntato una serie di “records” ed ha cominciato ad elencarmi i nomi di tutte le civiltà antiche, i cui miti ci erano noti, ed ospi-tavano strutture piramidali. Al termine del nostro lavoro, il risultato era sorprenden-te… Il planisfero ci stava indicando che quasi tutti i luoghi che hanno ospitato le civiltà più misteriose e che presen-tano straordinarie similitudini nelle loro origini, sono concentrate nell’emisfero nord tra il 55° ed il 20° paralle-lo… Al tempo stesso, abbiamo notato che la stragrande maggioranza dei siti piramidali e, in ogni caso, costituiti da enormi, quanto maestosi, blocchi monolitici, sono concentrati alle stesse latitudini… E, a quelle medesime coordinate geografiche, il campo magnetico terrestre assume dei valori estremamente più

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significativi rispetto ad altre zone del pianeta, come qualche tempo prima avevamo rilevato da un’apposita carta trovata sul sito ufficiale della NASA.

Le osservazioni accademiche, sui motivi per cui gli anti-chi popoli avevano deciso di stabilirsi in quelle zone, ci hanno rivelato che il clima, le terre fertili, i fiumi, i mari possono avere un’importanza notevole, ma evidente-mente non “decisiva”, poiché l’interesse che ha spinto queste misteriose popolazioni ad edificare vestigia, tanto imponenti in quei luoghi, è direttamente collegato alle forze energetiche del pianeta. Non le condizioni ambientali favorevoli, quindi, bensì i campi energetici. Ecco cosa collega i monumenti ai luo-ghi dove sono stati eretti. Le Piramidi, per quanto ri-guarda Giza, sono l’elemento principale in base al quale la correlazione scientifica, tra monumenti ed energia, si concretizza! Era forte la consapevolezza che l’analisi si stava incana-lando nella giusta direzione, ma qualcosa sembrava an-cora sfuggire alla nostra attenzione… La misteriosa Civiltà che ha edificato le Piramidi, ha avu-to un motivo molto importante per scegliere i luoghi del pianeta dove più alta è la concentrazione magnetica.

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Infine, un altro significativo elemento, ha attirato la no-stra attenzione. I siti piramidali di Teotihuacàn, di Giza e di Yonaguni sembrano essere stranamente collegati da una linea invisibile. A prima vista, abbiamo avuto l’impressione che i tre siti fossero sostanzialmente equi-distanti, nel senso che le percorrenze dirette tra Giza e Teotihuacàn e tra Giza e Yonaguni (Mar del Giappone) corrispondono in maniera sorprendente… Questo ele-mento, a prima vista, pur se curioso, ci è sembrato so-stanzialmente privo di apprezzabile significato. Invece, nel corso di ulteriori approfondimenti, abbiamo impara-to che l’equidistanza è un indicatore fondamentale per la trasmissione dell’onda elettromagnetica a bassa frequen-za, tra due punti anche molto distanti. Questo parametro scientifico ci ha dato la sensazione che Teotihuacàn – Gi-za – Yonaguni siano parte integrante di un eccezionale progetto planetario. Quella sera ci siamo addormentati con la convinzione che - la dislocazione dei monumenti, la concentrazione delle aree geografiche nelle quali si sono sviluppate le ci-viltà più misteriose, i miti che raccontano i nefasti eventi che le hanno ridotte allo stato primitivo - racchiudessero qualche altro elemento che potesse svelare i segreti del loro antico sapere. Si imponeva la necessità di approfondire l’analisi e di trovare un vincolo scientifico molto convincente, per giu-stificare la funzione di questo Gigante sistemato sulla Piana di Giza! Ed il rapporto rilevato nell’analisi interdisciplinare tra energia - monumenti - magnetismo terrestre era sicura-mente il giusto punto di partenza.

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L’orto degli dèi

el corso degli ultimi venti anni sono stati effet-tuati degli studi molto interessanti, su alcuni siti archeologici, intimamente collegati alla no-

stra ricerca. Ci siamo informati, ad esempio, su quelli svolti da John Burke, relativamente al rapporto tra magnetismo terre-stre e siti monumentali riferiti a civiltà antiche. Burke è un fisico della Stony Brook University che, nel 2006, ha pubblicato un saggio (il titolo in inglese è: Seeds of knowledge, Stone of Plentry, scritto in collaborazione con il naturalista Kaj Halberg) basato essenzialmente sullo studio geofisico delle aree in cui sorgono una sessantina di siti megalitici, sparsi un po’ in tutto il mondo: dal Sud America all’Europa, fino al deserto africano, tra i dimen-ticati percorsi di una scienza senza età. A tal proposito, nel novembre del 2006, è apparsa anche un’intervista sul-le colonne della rivista specializzata Hera. I risultati ottenuti dallo studioso americano sono davve-ro sorprendenti. Egli ha rilevato che la quasi totalità dei siti, oggetto dei suoi studi, sorgono in aree dove il ma-gnetismo terrestre è particolarmente elevato. John Burke ritiene che il campo magnetico terrestre sia addirittura amplificato, grazie alle costruzioni realizzate dalle anti-che popolazioni che hanno abitato quei luoghi. Quindi i siti megalitici, secondo l’eminente studioso americano, servono ad aumentare la forza magnetica ge-nerata dal Pianeta in quel dato punto… Questa proposta, naturalmente, ci ha fatto porre delle questioni ben precise… ovvero: perché le civiltà antiche avevano esasperatamente cercato di correlare la costru-zione dei monumenti con le energie del pianeta? E so-

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prattutto, come hanno fatto a rilevare le aree ad alta in-tensità magnetica non avendo maturato – stando alle teo-rie proposte in ambienti accademici – alcuna conoscenza dei fenomeni fisici propri del pianeta stesso? Questi interrogativi sono stati costantemente al centro della nostra analisi; ogni qualvolta ci siamo imbattuti nelle conclusioni di autorevoli studiosi che hanno pre-sentato teorie straordinariamente affascinanti ma, appa-rentemente, prive di un riscontro oggettivo, tra ipotesi evolutiva e conoscenze scientifiche. John Burke, nel suo saggio, ha evidenziato i risultati di un’interessante interdipendenza tra i siti megalitici, il magnetismo terrestre e la crescita di piante ed ortaggi coltivati nei pressi di queste strutture. Nel suo lungo la-voro di ricerca, ha dimostrato che la grandezza dei mo-numenti è direttamente proporzionale alla quantità di energia amplificata in particolari aree del pianeta. Le Pi-ramidi di Giza, ad esempio, oppure Stonehenge, sono utilizzati per concentrare al meglio i flussi magnetici, così da accumulare maggiore energia atta a scopi non meglio precisati. Naturalmente, non sappiamo quali! Tuttavia, l’esperimento proposto da Burke - su alcuni semi coltivati nelle aree prossime ai monumenti, laddove l’intensità magnetica è maggiore - ha prodotto risultati davvero stupefacenti: è stato osservato, infatti, che i semi crescono con maggiore velocità, robustezza e producono il doppio o addirittura il triplo rispetto ai medesimi semi piantati in zone lontane dall’influsso magnetico amplifi-cato dai monumenti. Un risultato sorprendente che apre uno scenario molto interessante… Non a caso, lo studioso americano – facendo espresso ri-ferimento alle piramidi e alle relative proporzioni – so-

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stiene che esse possono “diventare attrattori di energia così come i campanili delle chiese possono esserlo per i fulmini… è la fisica di base che ci dice che una carica elettrica nell’aria si concentra in un punto specialmente se presenta una cima ap-puntita”. Secondo Burke, inoltre, “E’ la carica elettrica na-turale del terreno e non il campo magnetico ad essere manipo-lato dalle forme, anche se alcune di queste cariche sono causate dal cambiamento dei campi magnetici in queste località parti-colari come risultato di un processo chiamato induzione”. Burke sostiene che “quando si intensifica il campo magnetico terrestre si genera una carica elettrica nel terreno che attrae aria naturalmente elettrificata di carica opposta. Il tutto si con-centra sulla cima della piramide. Pertanto il motivo per cui le piramidi sono prive di punta e perché in questo modo si evita di attrarre fulmini”. Le conclusioni proposte da Burke, relativamente alla ci-ma della Grande Piramide, possono essere condivise o meno (in realtà noi non ne siamo assolutamente convin-ti). In ogni caso, quello che interessa la nostra analisi, non è certamente sapere perché la Piramide attribuita a Cheope o le Piramidi mesoamericane non hanno la pun-ta, bensì ci preme richiamare l’attenzione sui risultati della sperimentazione scientifica proposta dallo studio-so. Egli ha, senz’altro, avuto il grande merito di indivi-duare una delle possibili funzioni di questi misteriosi monumenti. Riteniamo che il dato fondamentale, che merita una con-siderazione a parte, è legato al fatto che queste oscure ci-viltà hanno avuto la capacità di saper sfruttare le poten-zialità del pianeta per i propri fini, senza alterare la qua-lità della vita. E’ un dato molto importante, poiché que-sto dimostra che esse sono state in grado di comprendere i meccanismi della natura, le forze che possono essere

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generate e soprattutto hanno dimostrato di saperle con-trollare. Come abbiano potuto conoscere il campo magnetico del-la Terra è un mistero… come abbiano potuto costruire delle strutture che potessero interagire con il campo ma-gnetico terrestre, è un altro mistero… e come abbiano po-tuto coniugare campo magnetico e strutture artificiali per poter influire sulla riproduzione vegetale, è l’apoteosi del mistero! Queste perplessità ci hanno portato alla mente una rifles-sione tipica degli evoluzionisti… “L’uomo che da scim-mia si trasforma in bipede pensante…” e che solo dopo il mitologico Diluvio Universale comincia ad acquisire i primi elementi della conoscenza… Ricordiamo sempre con grande piacere l’espressione di Nico quando ascoltava la storia “della scimmia e dell’uomo”… Gli si stampava sul viso un sorriso sornio-ne più che eloquente… Nico non ha mai creduto nella validità della Teoria dell’evoluzione (limitatamente al passaggio dall’Homo Neanderthalensis all’Homo Sapiens, NdA) e, a dire il ve-ro, abbiamo sempre condiviso questa posizione… Le tracce rilevate in tutti questi anni di ricerca, rendono og-gettivamente impensabile che l’Homo Sapiens possa es-sersi evoluto secondo gli schemi darwiniani… La stessa costruzione delle Piramidi di Giza, senza dover andare troppo lontano dal nostro ambito di studi, lascia intendere che, solo una civiltà “tecnologicamente” avan-zata, abbia potuto concepirle, progettarle, attrezzare il cantiere, costruirle secondo regole ferree nella piena os-servanza delle direttrici astronomiche, e conciliarle con la natura, rendendole un tutt’uno con il pianeta attraverso l’interazione con il campo magnetico terrestre…

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Ci sembra già di immaginare migliaia di schiavi che scolpiscono la pietra con mazzole in legno e scalpellini in rame, che levigano il granito con i medesimi attrezzi, che trascinano blocchi di pietra o di granito, del peso di ton-nellate, in pieno deserto e poi le arrampicano su per la piramide con rampe di legno o di pietra… La teoria ufficiale, a nostro avviso, fa acqua dappertutto, e gli studi indipendenti di autorevoli ricercatori sono la testimonianza diretta che dietro quei blocchi di pietra si celano misteri straordinari. Gli studi di Burke, in ogni caso, per le nostre ricerche hanno rappresentato un punto di partenza notevole… Abbiamo compreso che, con ogni probabilità, il mistero può essere svelato andando oltre gli ordinari schemi di ricerca. Questo nuovo ramo, che coniuga i monumenti con il campo magnetico e, più in generale, con l’energia, è stato al centro del nostro interesse e ci ha condotti alla teorizzazione di questa nuova proposta di studio. Abbiamo letto molti libri, diversi articoli e svariate rifles-sioni sul rapporto Giza-Energia. E, a dire il vero, nella stragrande maggioranza dei casi, le ipotesi formulate non ci hanno pienamente convinti. Burke ci ha aperto la via verso una nuova metodologia di studio e le teorie di Tom Danley e Christopher Dunn sull’elettromagnetismo a bassa frequenza e sulle riso-nanze, hanno ulteriormente confermato la legittimità del-la nostra ricerca. I loro studi sulle Piramidi e il magneti-smo ci hanno condotti in un ambito applicativo decisa-mente nuovo, ma particolarmente affascinante.

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Il canto delle Piramidi

e conclusioni di John Burke hanno stimolato la nostra curiosità al punto che ci siamo lanciati in una ricerca a tutto campo.

Abbiamo notato che la letteratura sull’argomento è parti-colarmente prolifica. Molti ricercatori, più o meno cono-sciuti, hanno sviluppato degli studi sul rapporto magne-tismo-monumenti ed i risultati, in alcuni casi, sembrano davvero interessanti. Ovviamente, tra tanta produzione, è necessario verificare l’attendibilità delle teorie proposte… Tom Danley è un ingegnere acustico e per tutta una serie di coincidenze – per sua stessa affermazione - fortuite, è stato coinvolto, alcuni anni fa, in un progetto finalizzato alla realizzazione di un documentario, ospitato dalle maggiori televisioni monotematiche della piattaforma sa-tellitare, quali Discovey Channel, National Geographic e History Channel. All’epoca, il documentario fu arricchito dalla partecipazione di uno degli attori più famosi di Hollywood, Charlton Heston. Danley, in quel periodo, aveva sviluppato un progetto per una società che realizzava hardware per la Nasa. All’ingegnere fu richiesto di dedicarsi allo studio delle risonanze collegate ai voli spaziali. I risultati delle sue sperimentazioni, sulle risonanze acustiche, hanno inte-ressato, in particolare, gli autori del prestigioso docu-mentario, al punto che Danley è stato invitato a parteci-pare alla spedizione in terra d’Egitto… precisamente a Giza! Armato di tutto punto, con le strumentazioni necessarie a monitorare l’acustica all’interno della Grande Pirami-de, Danley ha cominciato i suoi test proprio tra le mura

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della cosiddetta Camera del Re, esattamente sotto i bloc-chi che formano lo Zed. La sperimentazione proposta dall’ingegnere americano, coadiuvato da un squadra di tecnici, si è basata sulla di-sposizione della strumentazione di rilevamento su un la-to della Camera ed un microfono omnidirezionale, esat-tamente sul lato opposto. “Applicai la prima gamma di fre-quenza – racconta Danley – partendo da 200Hz, arrivando a 10Hz, un livello confortevole. Intorno a 90Hz, osservai una forte risonanza ambientale e modulando a 1,1 Hz/sec si produ-ceva della vera energia. Quello che fece alzare e correre tutti verso l’esterno era la risonanza intorno ai 30Hz. In quel mo-mento interrompemmo la prova…”. L’esperimento ha seguito il suo iter programmato, fin quando, la risonanza acustica a 30Hz non ha causato il panico tra i presenti, al punto che fu grande la preoccu-pazione che quel suono, tanto intenso quanto armonico, avrebbe potuto causare danni alla struttura! Dopo quella traumatica esperienza, l’esperimento sotto lo Zed è stato definitivamente sospeso. Danley ha osservato, inoltre, che dall’interno del cosid-detto “sarcofago” di granito rosso, si modula un suono in maniera straordinariamente armonica che, integrandosi con tutti quelli provenienti dall’esterno, crea una specie di melodia “davvero affascinante”. Tuttavia, a nostro avviso, la centralità degli studi dell’ingegnere acustico è nei rilevamenti effettuati sulle “vibrazioni armoniche” all’interno della Camera del Re. Egli ha ricevuto l’impressione che, in origine, quella Ca-mera risuonasse al delicato soffio del vento che giunge dall’esterno, emettendo una vibrazione armonica d’infrasuono intorno ai 16Hz. Inoltre, le risonanze rileva-te, sono talmente ben integrate, così melodiose, da for-mare un accordo di Fadiesis. Questo dato è importantis-

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simo, poiché in alcuni testi antichi risalenti all’Egitto Di-nastico, si fa riferimento alla sonorità del pianeta Terra che si “armonizza” sul Fadiesis. “Abbiamo duemilioni e mezzo di blocchi di pietra ammucchiati in Egitto accordati sul-la frequenza della Terra…”. Questa osservazione ci ha fatto riflettere, ancora una volta, sulle sopraffine tecniche svi-luppate dai costruttori, sulla precisa conoscenza della scelta dei materiali utili a produrre le giuste armonie, in simbiosi con le frequenze del campo magnetico terrestre. Siamo convinti, laddove ce ne fosse ancora bisogno, di essere in presenza di qualcosa di fantastico… Una civiltà sconosciuta che pian piano svela i propri segreti attraver-so l’utilizzo della moderna tecnologia… Davvero straordinario…! Le conclusioni di Danley hanno evidenziato un altro elemento intimamente collegato all’obbiettivo primario del nostro studio. Anche l’ingegnere americano, infatti, si è cimentato nella raccolta di dati all’interno delle camere dello Zed e, i ri-sultati che ha ottenuto, ci hanno incuriosito non poco! Attraverso un’intercapedine sotto il tetto a tre cerniere, Danley ha inserito una camera a fibre ottiche, lunga do-dici metri, per vedere cosa ci fosse oltre. In effetti, qual-cosa di strano è stato rilevato dall’èquipe di ricerca: una strana fila di blocchi di pietra, con l’angolo destro in bas-so spezzato, è stata allineata, in maniera precisissima, al di sopra dello Zed. Perché quei blocchi presentano quella bizzarra caratteri-stica? Perché i costruttori avrebbero dovuto sistemare una fila di blocchi di pietra con gli angoli bassi spezzati? Questi blocchi possono essere un ulteriore indizio sulla funzione da attribuire alla Colonna Vertebrale di Osiri-de?

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La precisione dei costruttori impone un’attenta riflessio-ne, poiché la loro maestria – soprattutto nel taglio della pietra – non può giustificare alcun errore di sorta. Per-tanto, la caratteristica dei blocchi con angolo spezzato deve, necessariamente, custodire qualche misteriosa fun-zione! Lo studioso americano, nel corso delle sue sperimenta-zioni, ha rilevato il livello delle frequenze all’interno del-le camere dello Zed. Esse mostrano interessanti risonan-ze, comprese tra qualche Hz e i 15-20 Hz. Il dato impor-tante è che gli ultrasuoni permangono anche nel silenzio più assoluto. E questo significa soltanto una cosa: quella macchina è ancora viva…! Il monumento ha subito molte ferite, dovute al tempo e alle devastazioni di avventurieri e predoni che l’hanno martoriato nelle sue forme esterne ed interne. Ormai, della Grande Piramide, rimane soltanto la testimonianza di qualche cosa di prodigioso. Le sue reali funzioni pos-sono essere soltanto immaginate o studiate attraverso l’analisi scientifica e l’esame delle testimonianze dei do-cumenti antichi, nonché tramite approfondimenti delle tradizioni orali o anche dallo studio delle raffigurazioni pittoriche e dei bassorilievi, che impreziosiscono i templi e le tombe degli antichi egizi. L’esperienza di Danley l’abbiamo considerata estrema-mente preziosa ai fini del nostro lavoro, poiché – come Burke – mette in rilievo la relazione Monumento-Energia, considerata nell’accezione più ampia del termi-ne. Questo connubio è diventato sempre più evidente nel corso delle nostre ricerche. Lo sviluppo di una tecnica molto sofisticata era, ormai, evidente… Ma questa tecnologia può essere stata sviluppata dagli Egizi Dinastici?

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Abbiamo sempre voluto porci questo interrogativo, ogni qualvolta ci siamo trovati in presenza di qualcosa di nuovo, che ha alimentato il nostro bagaglio di informa-zioni ed accresciuto il mistero sulla Civiltà delle Pirami-di. Siamo in presenza di una Popolazione che ha impara-to a rilevare il campo magnetico e integrandolo nelle tec-niche di costruzione dei propri monumenti. Gli Egizi Dinastici erano in grado di percepire queste co-noscenze? Si può sostenere, come rilevato in qualche ambiente accademico, che attraverso l’applicazione em-pirica è possibile realizzare queste strutture, in piena ar-monia con la natura ed il cosmo? E’ questo il grande mistero che avvolge il complesso mo-numentale di Giza! Queste conoscenze non sono associa-bili al periodo cosiddetto Dinastico, poiché in nessun momento compreso tra il 3.100 ed il 343 a.C. è mai stato riproposto, sull’intero globo terrestre, un progetto scien-tifico così elevato. Di lì a poco, gli studi di un altro americano, Christopher Dunn, avrebbero indirizzato definitivamente la nostra ri-cerca verso la correlazione Grande Piramide – magneti-smo terrestre. Intanto, con la mente ci siamo trasferiti nel nostro passa-to remoto, allorquando la Piana di Giza vibrava al Canto della Piramide…

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Il mistero si infittisce

uando nel lontano 2000, mi sono recato per la prima volta sulla Piana di Giza, sono rimasto affa-scinato dalla precisione con la quale sono stati co-

struiti quei misteriosi monumenti. Ne abbiamo discusso spesso, delle dimensioni dei blocchi utilizzati per co-struire le piramidi, ed in particolare, di quelli inseriti all’interno della cosiddetta Camera del Re. Le loro di-mensioni, infatti, lasciano ipotizzare un’organizzazione che non riconosciamo agli egizi dinastici e tantomeno siamo a conoscenza dell’esistenza, in pari epoca, di at-trezzature o strumenti che potessero giustificare lo sforzo profuso dai costruttori per edificare Giza. Come molti studiosi e semplici lettori - appassionati dai misteri dell’archeologia - ci siamo chiesti in che modo i costruttori abbiano potuto tagliare quei blocchi, trasci-narli per chilometri e modellarli, senza avere a disposi-zione le tecnologie necessarie per sostenere l’immane impresa. E, ancor più, siamo stupiti dalle dimensioni dei monoliti di granito rosso, con i quali sono stati costruiti la Camera del Re e lo Zed all’interno della Grande Pira-mide. Le travi del soffitto della Camera del Re, ad esem-pio, hanno dimensioni enormi: 8 per 1,5 metri per un pe-so che oscilla tra le 20 e le 60 tonnellate!... e qualcuno az-zarda, addirittura, un peso prossimo alle 80 tonnellate! Si tratta di dimensioni abnormi… A meno di prove in-confutabili, è improponibile ascrivere questo enorme la-voro a popolazioni in piena Età del Bronzo. Siamo perplessi per la superficialità con la quale l’Egittologia accademica ha liquidato l’argomento Gran-de Piramide. Per la scuola ufficiale non c’è nessun dub-bio: la Piramide è stata voluta da Cheope e costruita da-

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gli Egizi nel 2.450 a.C. circa (stando alla versione più ac-creditata). Le ipotesi sulle tecniche di costruzione - sem-pre secondo il parere dell’Egittologia Accademica - sono ampiamente soddisfatte dalle capacità maturate dai tec-nici Egizi. Niente misteri, dunque, ma solo ed esclusiva-mente la forza delle braccia. Nonostante tanta autorevole determinazione, le teorie uf-ficiali continuano a prestare il fianco a non poche criti-che! La realizzazione di un’opera, tanto maestosa, presuppo-ne una prima fase di sviluppo tecnico del progetto, ovve-ro la conoscenza di principi di base di geologia, disegno geometrico e misurazioni topografiche. Tuttavia, dagli elementi a nostra disposizione non ci risulta che nell’Egitto Dinastico fossero note tali nozioni. Del resto, le rappresentazioni pittoriche - rinvenute nei Templi e nelle tombe dinastiche – dimostrano, in maniera inequi-vocabile, che i concetti di prospettiva e di tridimensiona-lità erano completamente sconosciuti. Pertanto, è uma-namente impossibile condividere le ipotesi relative alla realizzazione di tale monumento, in base a conoscenze puramente empiriche. Quindi la domanda è: come hanno fatto? Ad una fase progettuale corrisponde una fase esecutiva, dunque nel caso specifico: estrazione dei materiali, tra-sporto in loco e messa in opera. La fase di estrazione sembra essere quella più complica-ta, poiché per ottenere i blocchi di granito o di basalto dalle rispettive cave, era necessario avvalersi di strumen-ti idonei. I cunei di legno imbevuti d’acqua potevano es-sere funzionali al processo estrattivo? A nostro parere, erano assolutamente inadeguati, soprattutto in ragione delle ciclopiche dimensioni dei blocchi inseriti nella Ca-mera del Re.

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Gli operai egizi, infatti, avrebbero dovuto innanzitutto trapanare la roccia per una profondità di almeno 1,5 mt., inserirvi il cuneo di legno e procedere alla fase di estra-zione. Il tutto nella speranza che il blocco non subisse fratture impreviste. La terza fase, prevedeva la squadratura dei blocchi. Im-maginiamo gli operai ricurvi su ciascun blocco, nell’intento di ottenere l’assoluta precisione su ogni lato, utilizzando scalpellini di rame e martelletti di legno. E’ noto che il granito è una delle pietre più dure conosciute e che il rame e’ troppo tenero per riuscire a scalfirlo. Quindi la domanda è: come hanno fatto? Supponiamo, in ogni caso, che gli Egizi siano riusciti nell’intento. A questo punto, era necessario trasportarli fino alla Piana di Giza. In quel periodo, avevano soltanto due vie: quella terrestre, attraverso il deserto e quella fluviale. La prima ipotesi sembra altamente improponibi-le, poiché le cave si trovavano ad una distanza di circa 800 Km. e trasportare blocchi di quelle dimensioni senza l’ausilio di mezzi adeguati e con la sola forza delle brac-cia era un’impresa inimmaginabile. La via fluviale, invece, presupponeva l’impiego di un’imponente flotta mercantile, costituita da navi ecce-zionalmente dotate, per sopportare tali pesi. Le evidenze storiche non ci hanno lasciato alcuna traccia che potesse far ipotizzare l’esistenza di una flotta simile. Siamo finalmente sulla Piana di Giza. 2.300.000 blocchi attendono di essere disposti, secondo lo schema prestabi-lito. Considerando gli anni di regno di Cheope, gli operai Egizi avrebbero dovuto disporre ciascun blocco, con pre-cisione assoluta e senza alcun imprevisto, in un tempo massimo di circa 2 minuti per 20 anni… E soprattutto, avrebbero dovuto operare in un cantiere organizzato secondo sistemi moderni.

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Quindi la domanda è: come hanno fatto? Infine, sarebbe interessante capire come sia stato possibi-le realizzare il condotto discendente, le cui caratteristiche sono a dir poco eccezionali: le sue misure sono pari a 1,19 per 1,00 mt per una lunghezza totale di 109 mt. (con un margine di errore dal punto iniziale al punto finale con-tenuto in un range di 1,27 cm…) mantenendo un’angolazione costante di 26°34’… il tutto perfettamen-te scavato nella roccia viva. Accettando le ipotesi ufficiali e considerando le difficoltà ad operare in un ambiente così angusto e con strumenti inadeguati, dovremmo ragionevolmente ritenere che non sarebbero stati sufficienti 2500 anni, per terminare il la-voro. Nonostante i nostri sforzi, riteniamo impossibile riuscire a conciliare le posizioni accademiche con l’evidenza dei fatti. Ricordo che quando sono andato a Giza, nei pressi della Grande Piramide e della Seconda Piramide, ho notato molti blocchi di basalto e granito sparsi qua e là nella sabbia del deserto. I terremoti, l’erosione e la mano dell’uomo avevano procurato non pochi danni a questi preziosissimi monumenti. Ed è proprio su questi blocchi - finiti anche ad un centinaio di metri dalle piramidi stes-se - che si è focalizzata l’attenzione di Christopher Dunn. Lo studioso americano è stato al centro di alcune polemi-che, da quando ha pubblicato le proprie conclusioni sulla funzione della Piramide di Cheope e soprattutto sulle tecniche che i costruttori avrebbero utilizzato per tagliare i blocchi di granito e per modellarli. In realtà, le sue osservazioni sembrano essere suffragate da dati oggettivi. Ci sono, infatti, alcuni blocchi che pre-sentano delle particolarità davvero “inusuali”. Ad est della Grande Piramide, ad esempio, Dunn ha notato un

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blocco in basalto con un profondo e precisissimo taglio che da sinistra si sposta in linea retta verso il centro. Dunn ha osservato che quella caratteristica di taglio, è possibile solo con l’utilizzo di una sofisticata sega circo-lare! L’ipotesi che i blocchi di basalto e di granito, siano stati modellati e tagliati con l’utilizzo di tecnologie avan-zate, è stata sempre al centro delle teorie ipotizzate da al-cuni studiosi indipendenti. Il taglio trasversale sul blocco in basalto, notato da Dunn, non ha fatto altro che con-fermare le teorie più emancipate. Quell’incisione poteva avere la metaforica funzione di recidere le obsolete teorie ufficiali ed aprire la strada, de-finitivamente, ad una nuova concezione dell’indagine ar-cheologica. I reperti disponibili non possono essere tra-scurati e, quelli notati da Dunn, sono oggettivamente in-dicativi di un sistema tecnologico inequivocabile che ha caratterizzato la Civiltà delle Piramidi. Ma non è tutto. Dunn, nel corso della sua indagine sulla Piana, ha notato un altro particolare interessantissimo. Un blocco di granito rosso di Assuan, a poco più di cento metri ad est della Seconda Piramide, sembra essere la prova evidente che la IV Dinastia non ha nulla a che fare con quei monumenti. Perfettamente sagomato, presenta una forma originale. Non si tratta del solito blocco squa-drato, bensì di un blocco plasmato con perizia e precisio-ne, con delle scanalature e delle “bombature” che danno la sensazione di una piccola colonna ricavata dalla lavo-razione del blocco grezzo originario. La precisione della curvatura della piccola colonna e del suo raggio sono, a dir poco, impressionanti. Dunn, sulla base dei risultati delle proprie indagini, ha ritenuto plausibile l’ipotesi, secondo la quale, i blocchi siano stati tagliati con seghe circolari ad ultrasuono.

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Insomma, secondo l’eminente studioso americano, la Pi-ramide di Giza può aver avuto la funzione propria di una centrale energetica, connessa a sistemi di produzione ancora ignoti. La Civiltà delle Piramidi, quindi, sarebbe stata in grado di utilizzare appositi utensili con funzio-namento altamente tecnologico, con l’obiettivo, nel caso specifico, di tagliare i blocchi di granito con una preci-sione davvero impressionante. Le conclusioni di Dunn ci hanno davvero affascinati. Del resto, l’esigenza di proporre dei paragoni con gli utensili utilizzati durante la IV Dinastia – e per la verità anche successivamente – sembra essere davvero una necessità, per comprendere fino a che punto, le ipotesi dello stu-dioso americano, siano attendibili. Al Museo Egizio di Torino, in apposite teche, sono alli-neati una serie di utensili propri del periodo legato all’Antico Regno. Naturalmente, sono oggetti di vita quotidiana, quindi non possono essere considerati ai fini della lavorazione dei blocchi di granito. Tuttavia, ci sem-bra interessante analizzarne la fattezza, nella maggior parte dei casi, in rame e assemblati in maniera straordi-nariamente semplice. Da ciò, si può dedurre che la tecni-ca di produzione degli utensili, era sostanzialmente pri-mordiale e ci risulta davvero difficile poter pensare che, nello stesso momento, gli Egizi dinastici potessero aver prodotto strumenti di alta precisione, per intagliare i blocchi utilizzati nella costruzione delle Piramidi. A questo punto, la domanda è inevitabile: se gli Egizi Dinastici erano davvero a conoscenza di “tecnologie avanzate”, perché non sono mai stati prodotti utensili di precisione, da utilizzare durante le normali fasi imposte dalla vita quotidiana? Perché avrebbero dovuto utilizza-re utensili “tecnologicamente” diversi a seconda degli ambiti di impiego? Le ipotesi proposte da Christopher

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Dunn confermano la nostra convinzione che una Civiltà remota abbia raggiunto livelli di conoscenza talmente sopraffini sì da essere in grado di lavorare il basalto ed il granito con estrema semplicità. Ma con quale sistema metodologico? Quali fonti energe-tiche avevano realizzato per attivare, come sostiene Dunn, le seghe circolari per tagliare i blocchi di granito? Le teorie finora esaminate sono tutte orientate in una di-rezione ben precisa, nonostante presentino non poche la-cune, soprattutto da un punto di vista squisitamente scientifico. Ora, il desiderio di scoprire i segreti della Grande Pira-mide, composta da due milioni e mezzo di blocchi di pie-tra, secondo Danley accordati in Fadiesis, ci ha incorag-giati a proseguire le ricerche e l’analisi del fenomeno Gi-za. Ma avevamo bisogno di altri indizi. Le teorie esaminate, seppur illuminanti e ricche di elementi significativi, non erano sufficienti a svelarne i misteri. Abbiamo dovuto allargare il nostro raggio d’azione… scavare nei miti delle civiltà antiche, alle varie latitudini, e verificare eventuali correlazioni con simbologie o ico-nografie associabili alle fonti di energia. Probabilmente, nei testi ermetici, catalogati come “funerari” dagli acca-demici, avremmo potuto trovare qualche elemento utile alla nostra ricerca. Insomma, era giunto il momento di girovagare per le bi-blioteche alla ricerca di indizi, poiché era lì che avremmo potuto trovare la “chiave di volta”. Documenti, tradizioni, miti, racconti, raffigurazioni pit-toriche, bassorilievi, simbologie… gli obbiettivi erano fis-sati… l’avventura era cominciata!

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PARTE SECONDA ANTICHE CIVILTÀ

TRA MITO E SIMBOLOGIE

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“Non troverai mai la verità

se non sei disposto ad accettare anche ciò che non ti aspettavi”

Eraclito

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Il simbolismo occulto

l 24 febbraio del 2011 è stato un freddo pomeriggio d’inverno. Per fortuna, durante la mattinata il sole aveva fatto capolino a sprazzi, rendendo meno ri-

gide le temperature. A bordo della mia auto, col riscal-damento acceso e al ritmo di un buon blues d’autore, ho percorso il consueto tragitto che dal centro cittadino mi porta nell’immediata periferia dove Monica ed io, all’epoca, abitavamo. Nel corso dei mesi riservati alla ricerca, abbiamo incon-sciamente maturato la consuetudine, senza imposizione alcuna, di dedicarci agli approfondimenti sugli argomen-ti a noi più cari, chiudendoci nel nostro studio, senza che nessuno ci disturbasse. Magari gustando una buona taz-za di cioccolata calda, viste le temperature rigide, per “stimolare” la riflessione. Nella splendida cornice delle colline dell’Alta Valle del Metauro, immersi nella naturale bellezza del luogo, nella terra che ha ospitato nomi illustri, quali Dante Alighieri, Michelangelo Buonarroti, Raffaello Sanzio e il Duca Fe-derico di Montefeltro, avevamo piantato i vessilli del no-stro Quartier Generale. Tra quelle mura ci siamo confrontati, con estrema pa-zienza e pignoleria, per far breccia negli ermetismi che caratterizzano i misteriosi reperti ereditati dalle Civiltà Antiche. Abbiamo voluto analizzarne i miti ed i simboli e gli impenetrabili segreti che da sempre affascinano i nu-merosi appassionati dell’archeologia, poiché sempre convinti che quelle fonti sarebbero state illuminanti per la nostra ricerca. Ci siamo voluti appropriare delle erme-tiche conoscenze delle popolazioni che hanno dominato il Pianeta nelle epoche remote – e la cui testimonianza è

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immortalata nei resoconti degli storici e nei testi delle ci-viltà a noi più familiari - per rendere il nostro percorso meno ostico. Le simbologie egizie, i misteri dei Sumeri, le fantastiche epopee dei Re dell’India, le tradizioni delle popolazioni mesoamericane, rappresentano il gustosis-simo cocktail che ci ha condotti al piacere della scoperta, nel più sublime percorso della ricerca. Un viaggio a ritroso nella storia, a caccia di minuziose tracce, con l’obbiettivo di aprire un nuovo fronte di in-dagine, laddove gli studiosi non hanno ancora proposto nulla di concretamente apprezzabile. E’ stato un lavoro lungo, complicato, ma – al tempo stesso – stimolante, che ci ha permesso di “leggere”, i fatti narrati nei miti e nei testi antichi, in un’ottica sostanzialmente innovativa. E quel giorno siamo partiti proprio da lì, dalle conclusio-ni degli studiosi come Burke, Danley e Dunn - che hanno impresso un nuovo ritmo alla stagnante ricerca archeo-logica – per sviluppare nuovi approfondimenti sulla funzione delle tre Sorelle di Giza. Era ormai chiaro che quel complesso monumentale non è soltanto un inno alla geometria, all’ingegneria, alla matematica, all’astronomia… ma racchiude delle connessioni anche con la fisica… con il magnetismo terrestre… insomma il monumento è la sintesi di ogni cosa… in esso si riassu-mono i principi della filosofia e delle scienze, del sacro e del profano, dell’alfa e dell’omega. Nulla è stato lasciato al caso. Tutto segue un ordine ben preciso. Quel complesso monumentale doveva servire per ogni cosa, ed i testi antichi non sono altro che la sin-tesi di un lontano retaggio, ormai dimenticato. Il Capitolo XVII del Libro dei Morti Egizio, ad esempio, propone un testo il cui ermetismo lascia davvero attoniti: “Osiride entra in Djedu e ha ivi trovato l’anima di Ra:

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le due anime si abbracciano reciprocamente divenendo due anime gemelle”.

Quale misteriosa scienza si cela nei cunicoli delle Pira-midi di Giza? Quale oscuro e straordinario segreto ser-bano i costruttori dei monumenti? Quale grado di cono-scenza hanno raggiunto, per poter conferire all’uomo il “potere divino”? L’uomo-Osiride si unisce al divino-Ra in Djedu… quale mistero si è realizzato nella “Colonna di Osiride”? La “macchina piramidale” ha conferito, a chi ne ha utilizzato la sua energia, di essere un tutt’uno con gli dèi che l’hanno adoperata nelle epoche remote. In che modo? C’è un sistema tecnico-scientifico che può giustificare la “divinità umana” nei misteri dei suoi con-dotti? Il pieno controllo dell’energia prodotta dal Piane-ta, è in grado di conferire all’uomo il potere divino? Le numerose domande, che inevitabilmente affollavano la nostra mente, imponevano risposte esaustive. Aveva-mo l’obbligo di trovare un vincolo scientifico che rendes-se presentabile la nostra Teoria, in base alla quale la Grande Piramide era uno strumento di produzione di elevati quantitativi di Energia allo stato puro. Ci siamo tuffati tra le righe del significato teologico degli antichi testi, dove si nascondono ben altre scienze che celano gli oscuri misteri di remote civiltà! Ma quale percorso seguire per venire a capo del proble-ma che si manifestava in tutta la sua complessità? Dove trovare gli indizi…? Nei simboli? Nei miti? Nei reperti? Negli antichi testi? Lungo il nostro percorso, abbiamo individuato alcune tracce davvero interessanti. Esse ci hanno condotti diret-tamente al cuore della Grande Piramide: alla Camera Sotterranea, alla Camera del Re, alla Camera della Regi-na, allo Zed, il tutto intimamente correlato ad un sistema

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di produzione di Energia, attraverso processi estrema-mente semplici ma, nello stesso tempo, straordinaria-mente complessi, per il grado di sviluppo tecnologico raggiunto dall’uomo moderno. Tracce caratterizzate da simbologie apparentemente fini a se stesse ma, in realtà, intimamente collegate. “Simboli parlanti” ricorrono - nella stragrande maggioranza delle raffigurazioni pittoriche, così come nei bassorilievi - sempre allineati e soprattutto nello stesso ordine! Quasi a voler chiaramente indicare un significato ben preciso, che gli egizi dinastici ricordano come il potere di confe-rire al defunto “nuova energia vitale”, finalizzata alla ri-nascita dopo la morte. Ma, la nostra convinzione era ben diversa: quelle raffigurazioni sono delle “istruzioni d’uso” sul meccanismo di produzione dell’Energia. Ankh, Uàs e Zed… Tre simboli in sequenza e, qualche volta, addirittura compenetrati… come a sottolineare un’evidente, impre-scindibile, unità… poiché è solo attraverso l’unione delle simboliche funzioni che è possibile trasmettere il “potere dell’energia” e rendere l’uomo-Osiride quale nuovo di-vino-Ra. Tre simboli strettamente collegati agli dèi Egizi. Essi ne sono i custodi. Ovunque, sono raffigurati con in mano un Bastone Pastorale ed una Croce Ansata e, infine, “protet-ti” dallo Zed. I tre simboli dell’Energia… Il Bastone Pastorale, simbolo del Potere; la Chiave della Vita, simbolo della nuova Energia e lo Zed, simbolo di Stabilità! Ci sono ritornati alla mente i nomi Horo di Cheope e Chefren, ovvero: Medjedu e User em nebty. “Colui che colpisce in nome delle due Signore…” “Colui che è forte con le due Signore…”

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Nei loro nomi, i due Faraoni hanno ereditato il retaggio di Civiltà sconosciute che hanno, indirettamente, in-fluenzato la dinamica delle società “primordiali” della nostra Era. Il Potere dell’Energia è racchiuso in quei nomi e nei sim-boli posseduti dagli déi. Il Bastone Pastorale, la Chiave della Vita e lo Zed. Una trilogia che nasconde uno dei segreti più ermetici della Civiltà della Piramidi e che gli Egizi Dinastici hanno ri-chiamato nei loro simboli, quali effigi degli dèi apporta-tori di conoscenza. Il simbolismo racchiuso nei testi egizi dinastici, attribui-sce agli déi il ruolo di “infondere” al Faraone una nuova Energia dopo la morte. Il tutto è possibile solo grazie all’utilizzo congiunto dei tre simboli. Il richiamo delle nostre origini, ci imponeva di svelarne il Mistero..

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La Storia celata dal mito

olto del nostro tempo, l’abbiamo speso ad ana-lizzare gli affreschi che rendono unici i templi e le tombe egizie di epoca dinastica. In essi so-

no richiamati, a vario titolo e per varie funzioni, gli dèi d’Egitto. I più gettonati sembrano essere Osiride, Iside ed Horus, così come Anubi e Ra che hanno una visibilità molto marcata. Tuttavia, nonostante le scene giustificas-sero a pieno titolo il politeismo egizio, era forte la sensa-zione che, il loro background, nascondesse messaggi molto più complessi. Certamente, nel corso del tempo, è maturata la convinzione che gli Egizi Dinastici, attraver-so la rappresentazione pittorica, abbiano richiamato eventi, la cui comprensione, era sconosciuta anche ai di-retti interessati. Insomma, relativamente al politeismo egizio e alle figure degli stessi dèi, venerati dalle popola-zioni del Nilo, la nostra posizione è tutt’altro che in linea con le tesi ufficiali dell’Egittologia e, parimenti, si può dire con le valutazioni proposte sull’argomento dalla maggior parte degli studiosi indipendenti. Un esempio per tutti è Dendera, il tempio più chiacchie-rato d’Egitto, dopo le Piramidi di Giza. Nelle cripte si trovano dei bassorilievi che hanno alimentato la fantasia degli egittologi, degli studiosi indipendenti ed anche dei semplici appassionati. Anche in questo caso, al centro dell’analisi, sono le rappresentazioni degli dèi, dei farao-ni che li omaggiano e dei sacerdoti che, in processione, testimoniano la loro coerente e cieca fede nella dèa Ha-thor la quale, a sua volta, sembra essere la custode di un sapere occulto! In ogni caso, l’Egittologia Accademica ha storicamente proposto il politeismo religioso, come elemento cardine

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della teologia egizia. Sull’argomento non si sono svilup-pate teorie in antitesi poiché, effettivamente, sembra emergere come un dato apparentemente incontrovertibi-le. Tuttavia, la nostra osservazione è stata influenzata, fin dal primo momento, da una considerazione, per noi, de-terminante: gli Egizi dinastici hanno attribuito agli dèi ruoli e funzioni, in virtù di un retaggio culturale, eredita-to nel corso dei millenni, dalle tradizioni orali e le hanno riproposte, ed “aggiustate”, in ragione delle esigenze po-litico-amministrative del momento. Quindi, abbiamo vo-luto separare, consapevolmente, il ruolo degli dèi nella dinamica teologica del periodo dinastico, cercando di analizzarne le varie rappresentazioni figurative, limita-tamente alla funzione ad essi attribuita nella tradizione orale e dimostrare, una volta per tutte, che quegli dèi al-tro non erano che uomini, pur se provenienti da un altro “luogo”. Di ciascun dio, richiamato nel Pantheon Egizio, abbiamo analizzato la rappresentazione iconografica, nonché il ruolo ricoperto. I risultati sembrano essere davvero inte-ressanti! La scelta di affrontare questo studio, apparentemente immotivato, sugli dèi dell’Antico Egitto, nasce dalla con-sapevolezza che le raffigurazioni pittoriche e le funzioni ad essi attribuite, altro non sono che il ricordo di epopee remote, vissute direttamente da uomini che hanno ma-turato “antichi saperi”. La loro straordinaria sapienza è stata ricordata come evento storico, poi come epopea leggendaria, quindi come espressione mitologica ed infi-ne, quegli stessi uomini, sono stati immortalati nella tra-dizione teologica come dèi, ovvero come “Possessori del-la Conoscenza Superiore”.

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Tolkien avrebbe suggellato questo momento con un pen-siero aulico che, sommessamente, apriva anche il lavoro editoriale: “Giza: Le Piramidi Satellite e il Codice segre-to”:

“Molto di ciò che era si è perduto… perché ora non vive nessuno che lo ricorda.

E alcune cose che non avrebbero dovuto essere dimenticate andarono perdute…

La storia divenne leggenda… la leggenda divenne mito…”.

Il retaggio di avvenimenti remoti, con il tempo, si è tra-sformato in canone teologico. Questa riflessione, ovvia-mente, è strettamente legata alla Teoria sulla datazione storica del Primo Tempo di Osiride, basata essenzial-mente sulla funzione matematica delle Piramidi Satellite, sul ruolo chiave della configurazione astronomica dell’intero complesso piramidale di Giza, nella determi-nazione delle epoche e sull’ermetico Canone Reale o Pa-piro di Torino. Le tracce - lasciateci dalla perduta Civiltà delle Piramidi - sono talmente evidenti, che ci risulta impossibile non proporre un’analisi sulla funzione di questi uomini, che hanno svolto un ruolo determinante nella genesi delle culture storicamente conosciute. Non a caso, in esse si fa espressamente riferimento ai principali eventi che ne hanno caratterizzato le origini: - ribellione al dio supremo; - diluvio o catastrofi che hanno ridotto le popola-zioni sull’orlo dell’estinzione;

- ricordo dell’Eden; - ricordo degli dèi apportatori di Civiltà (Thot, Vi-racocha, Quetzalcoàtl, Kukulkàn, ecc…);

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- ritorno degli déi. Minimi comuni denominatori per la soluzione di un enigma dai risvolti tanto inquietanti, quanto straordina-riamente affascinanti. Ad ogni latitudine, nelle remini-scenze mitologiche delle civiltà antiche, si fa espresso ri-ferimento alla sequenza composta da questi cinque even-ti. Quindi, è possibile che gli aspetti, opportunamente riassunti e schematizzati, possano evidentemente na-scondere qualcosa di realmente accaduto. “L’Antica Tradizione” si è conservata in maniera davve-ro eccezionale nell’Antico Egitto, probabilmente perché è il luogo centrale, dove i fatti storici sono ricordati con minore difficoltà. Ed è proprio il connubio “tecnologia - uomini-dèi” che è stato al centro dei nostri studi, perché ci siamo convinti di poter ricavare informazioni impor-tanti, per un’omogenea ricostruzione delle nostre origini.

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Gli utensili degli dèi

ella maggior parte delle riproduzioni “artisti-che”, gli dèi sono sempre in possesso di alcuni strumenti custodiscono antiche verità.

Pertanto, al di là delle interpretazioni degli Egittologi, in-centrate su aspetti di natura meramente teologica, ci inte-ressava verificare l’esistenza di una correlazione tra gli utensili degli dèi e le fonti di energia, così come ermeti-camente ricordate dagli Egizi dinastici nelle loro artisti-che rappresentazioni. Non escludevamo la possibilità che, questi utensili, po-tessero avere un legame con la Grande Piramide, attra-verso l’interazione tra il monumento ed il Campo Ma-gnetico Terrestre. Quindi, non solo uno studio di ordine puramente teolo-gico e filosofico, ma un approfondimento tecnico sulle caratteristiche scientifiche del monumento e sulle fun-zioni, a cui gli ambienti interni, erano destinati. Avevamo deciso di iniziare il nostro studio partendo proprio dalla città degli dèi di iwnw lunu, ovvero la città dei pilastri, meglio nota con il nome greco di Heliopolis, per poi procedere con gli altri dèi, appartenenti a tradi-zioni sostanzialmente più in linea con l’evoluzione delle Dinastie Egizie. Situata a nord-est de Il Cairo, l’antica Lunu era uno dei centri religiosi più importanti, tra quelli dedicati al culto del Sole. Le sue origini si perdono nel periodo predina-stico e, al suo nome, è collegato il mito della famosa En-neade Eliopolitana. Gli dèi di Lunu avevano un’origine molto antica già a quell’epoca e l’alone di mistero che li circondava, esalta-va la nostra curiosità.

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Il periodo di regno a loro attribuito – espressamente in-dicato nel Canone Reale o Papiro di Torino - risalirebbe a circa 33.000 anni prima del regno di Menes, Faraone ca-postipite del periodo dinastico. Questo dato era suffi-ciente a giustificare un’analisi, finalizzata alla compren-sione dei limiti tra mito e storia. Per avere una visione d’insieme più chiara, avevamo de-ciso di analizzare, singolarmente, le divinità di Heliopo-lis, così da poter creare le condizioni per comprendere, innanzitutto, quale poteva essere la reale origine dei no-ve dèi e, successivamente, verificare quale influenza ave-vano ricevuto le loro raffigurazioni nel corso delle suc-cessive dinastie. Questa era la metodologia più corretta per comprendere l’evoluzione degli strumenti degli dèi dal periodo Predi-nastico a quello Dinastico; inoltre, sarebbe stato più sem-plice rilevare le differenze e focalizzare la nostra atten-zione su alcuni particolari caratterizzanti le raffigurazio-ni più antiche. Così, avevamo deciso di seguire un ordine canonico, as-secondando l’importanza e le discendenze imposte dagli antichi testi. La prima figura analizzata, dunque, è stata quella di Ra. Il dio era associato al disco solare e, secondo il mito, sa-rebbe emerso dalle acque del Nun e portato tra le corna della vacca celeste, la dea Mehetueret. Il Nun era la parte maschile dell'oceano primordiale, che esisteva prima che venisse creato il mondo conosciuto. Questa brevissima descrizione delle origini di Ra, confermava alcuni ele-menti interessanti, collegati all’esistenza di qualcosa di vitale, antecedente il Diluvio. Tra le tante raffigurazioni egizie che ritraggono il dio So-le, una in particolare ha richiamato la nostra attenzione, poiché è tra quelle meglio conservate e più espressive.

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Innanzitutto, il disco solare che sovrasta il divino Ra è formato da un Cobra arrotolato a formare un cerchio. E’ una simbologia particolarmente interessante, poiché il Sole è associato all’Energia, mentre il Serpente alla Cono-scenza… da ciò si può dedurre che Ra è il “custode” del-la Conoscenza dell’Energia. Il dio impugna con la sinistra lo scettro Uas, come a voler espressamente manifestare il potere a cui era associato l’oggetto. Nella destra, invece, “impugna” l’Ankh o Cro-ce della Vita, così da manifestarsi come apportatore di Energia Vitale. La correttezza della nostra chiave di lettura è confermata dalla posizione degli strumenti nelle mani di Ra. Essi non sono stati disposti a caso, ma seguono una logica ben precisa. Sappiamo, infatti, che nelle filosofie orienta-li, la mano sinistra ha una funzione “ricettiva”, ovvero di rilevazione, ed il bastone impugnato dal dio Sole è adibi-to proprio a questa funzione: al rilevamento, con ogni probabilità, di qualche forma di energia. Nella mano de-stra – associata alla funzione di “trasmissione attiva” – Ra impugna l’Ankh, quasi a voler manifestare il proprio

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potere di trasmettere una funzione vitale alla “creazione” di cui è protagonista. E’ evidente, quindi, l’esistenza di una correlazione tra il capostipite dell’Enneade Eliopolitana, il potere dell’Energia Vitale e gli strumenti di cui è in possesso. Peraltro, un’attenta analisi del Pastorale di Ra, evidenzia alcuni elementi interessanti che caratterizzano l’oggetto. La fattezza del bastone Uas appare inusuale o quanto meno non convenzionale. Sappiamo, infatti, che ogni og-getto che riguarda civiltà antichissime - come appunto quella Egizia predinastica fino all’Antico Regno, omet-tendo i misteriosi reperti del periodo Naqada che, da soli meriterebbero un libro a parte - è caratterizzato dalla sua straordinaria semplicità nelle forme e nella stessa la-vorazione. In questo caso, viceversa, ci troviamo in pre-senza di uno strumento, la cui realizzazione, è sempli-cemente enigmatica. La sommità del Bastone, ad esempio, non prevede un’impugnatura bensì sembra essere sormontato da un’ulteriore asticella posta a forma di “T”, che gli egitto-logi associano alla figura di un canide. In realtà, il canide di cui parlano gli Egittologi, ad oggi, non è mai stato ac-curatamente identificato e, pertanto, è stato più comodo rifugiarsi nella “rappresentazione astratta di Seth”. Nes-suno, però, ha mai spiegato quale potesse essere l’attinenza tra il dio Sole e Seth… e soprattutto perché Ra dovesse impugnare uno scettro che rappresenta un dio, sostanzialmente, secondario. Ritornando all’Uas, è interessante notare le modalità di impugnatura del Bastone: esattamente nella parte centra-le, come per i Pastorali. In questo modo, egli manifesta un atteggiamento di ostentazione, quasi a voler sottoli-neare che, attraverso quello strumento, è possibile mani-

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festare la propria forza ed il proprio potere e, quindi, in-cutere rispetto nei propri “interlocutori”. Infine, ciò che ci ha incuriosito era la fattezza della base dello scettro, poiché non comune a nessun altro oggetto dello stesso genere. L’Uas presentava, infatti, un archetto alla base che, apparentemente, non sembrava avere alcu-na logica in termini di utilità. Anzi! La sua forma risulta-va davvero poco funzionale, poiché non era possibile appoggiarlo senza correre il rischio di rovinarne la base e, in ogni caso, avrebbe avuto problemi di stabilità anco-ra maggiori rispetto ad un bastone a “base convenziona-le”. Perché allora la scelta di quella forma? La risposta è racchiusa, in un culto di origine sciamanica africana, in base al quale l’Uas poteva essere utilizzato per creare una connessione e “veicolare alla Madre Terra le energie provenienti dal cielo”! Quest’interpretazione sem-brava essere l’indizio più interessante, fino a quel mo-mento individuato, lungo il nostro percorso di analisi. Finalmente, avevamo trovato una traccia che potesse so-stenere la correlazione tra utensili degli dèi e l’Energia, le cui origini sono nelle antiche tradizioni delle tribù cen-troafricane. Ecco perché, la forma ad archetto, era l’unico modo per renderlo funzionale alle finalità da svolgere, ovvero esse-re conficcato nel terreno per rilevare le frequenze della Terra. La considerazione, peraltro, trovava riscontro ne-gli Archetipi e, precisamente, nella lettera “T o Tau”; allo stesso modo, nella Qabala è considerata sinonimo di “Raccolta” di “Reazione ad ogni azione”, quindi ci con-ferma l’ipotesi, secondo la quale l’Uas era utilizzato per “rilevare”. Cosa? Naturalmente fonti di Energia!

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Lo scettro era sicuramente il ricordo di uno strumento tecnologico, utilizzato da evolute civiltà prediluviane, avente specifica funzione di interagire in presenza di Energia. Come il rabdomante utilizza un ramoscello di ulivo per trovare sorgenti di acqua, così gli uomini-dèi - vissuti nell’Egitto remoto - potevano aver utilizzato il “Bastone Pastorale” per ricercare aree ad alta intensità magnetica. A margine della riflessione e per completezza di infor-mazioni, ci sembra utile chiarire che gli Egittologi, tra una delle tante divagazioni sul tema, hanno attribuito all’Uas anche il significato di “compasso del dio”, poiché poteva essere uno strumento utile per tracciare lo shen, ovvero due cerchi concentrici. In tal modo, hanno ipotiz-zato un suo eventuale impiego anche nel campo delle co-struzioni delle stesse Piramidi di Giza. Questa interpre-tazione, per quanto articolata, non sembra chiarire, in maniera esaustiva, le caratteristiche dello scettro degli dèi. Dell’Enneade fanno parte Tefnut e Shu, generati da Ra, i quali formano la prima coppia divina riconosciuta in Egitto. Tefnut era il simbolo dell’umidità e Shu quello dell’aria; insieme ai loro due figli, Geb in rappresenta-zione della terra e Nut del cielo, erano considerati i quat-tro elementi primordiali. Tefnut era spesso rappresentata con testa leonina sor-montata da un disco solare; nella mano destra il Bastone con la tipica biforcazione alla base e l’Ankh nell’altra. Talvolta, la dèa impugnava un Bastone Pastorale diverso, ovvero senza biforcazione alla base e senza asticella a formare la caratteristica “T”. Si tratta dello scettro Uadj e, secondo gli Egittologi, era formato da un gambo con fio-re di… papiro.

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Anche su questa interpretazione, siamo sostanzialmente in disaccordo. Nel senso che, le prime rappresentazioni iconografiche dell’Uadj, sono riconducibili alla descri-zione di un altro fiore, quello del Loto – che simbolica-mente gioca un ruolo importante nel periodo Predinasti-co. Del resto, gli Egizi, hanno associato questo fiore alla divinità, a differenza della pianta di papiro, contestualiz-zata all’ambito sacerdotale. Peraltro, il Bastone Pastorale femminile è stato raffigura-to nella forma di Papiro solo successivamente all’Antico Regno, ovvero quando si erano ormai perduti gli echi delle tradizioni orali che avevano condizionato le prime espressioni artistiche egizie. Il Loto, dunque, ben si integra con le considerazioni fino-ra proposte per l’Uas. Infatti, anche in questo caso, ci trovavamo in presenza di un oggetto che affonda le sue origini nell’epoca predinastica e il cui significato sembra avere connessioni con il concetto di Energia.

Il Fiore di Loto, non solo, ha un significato teosofico, le-gato simbolicamente al Ciclo della Vita e alla Rinascita dopo la morte, ma evidenzia anche un significato tecno-logico poiché, nei bassorilievi di Dendera, è direttamente collegato alle misteriose “lampade”. Ad ulteriore con-

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ferma, la Qabala interpreta esaustivamente il significato simbolico del Fiore degli dèi, associandolo alla lettera “Thet” e all’Energia Femminile, a cui è attribuita la fun-zione “creatrice di forme”. L’esatto opposto della lettera “Kaf”, a cui possiamo associare la base ad arco del ba-stone Uas, che si riferisce all’Energia Maschile, con fun-zione penetrante; proprio l’ipotetica funzione a cui era destinato il bastone degli dèi. Anche in questo caso, dunque, eravamo in presenza di un indizio interessate che ci ricollegava, ancora una vol-ta, al principio primevo dell’Energia. Gli altri dèi dell’Enneade, erano raffigurati con i mede-simi oggetti impugnati da Ra. Geb e Nut, al di là della metaforica personificazione della Terra e del Cielo, erano descritti rispettivamente come un uomo barbuto con in testa un’oca ed il bastone Uas ed una donna assisa sul trono con in mano l’Uadj. Nepthis, Seth, Iside e Osiride, i quattro figli generati da Nut e Geb, sono rappresentati con le medesime caratte-ristiche, ad eccezione di Osiride - dio dell’oltretomba e dei morti – raffigurato nella sua più comune iconografia della mummificazione. Unica eccezione, rispetto a tutti gli altri, è che lo Sposo di Iside è l’unico che non impu-gna mai gli utensili degli dèi. Riassumendo, gli dèi dell’Enneade erano generalmente rappresentati con un bastone con biforcazione alla base e con asticella a formare una “T” nella parte superiore (Uas) e con l’Ankh nell’altra mano. Le dèe, viceversa, nella maggior parte dei casi, erano raffigurate con l’Ankh ed il Bastone con in cima un “fiore di loto”, ma con base convenzionale (Uadj). Le differenze negli “utensili” ha una valenza sia teosofica che scientifica, poiché esaltano il concetto di Polarità: Maschio e Femmina, Uas e Uadj… ovvero due poli op-

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posti. Quasi come se fosse suggerita la necessità di unire i due strumenti per poter rendere funzionante un deter-minato sistema. Ecco cosa risultava da questo primo approccio ai miste-riosi utensili degli dèi: le divinità e i loro oggetti erano ciascuno speculare all’altro e, perché ogni cosa fosse al suo posto, era necessario che le coppie fossero entrambe operative o attive! L’unico a non possedere un corrispettivo speculare è il dio-Sole Ra e questo rafforza l’ipotesi, secondo la quale il monoteismo predinastico non è assolutamente infondato. Al dio Ra attribuiamo il retaggio di un monoteismo ar-caico; egli era considerato il “dio unico”, il procreatore della specie, “colui che è al di sopra di ogni cosa”. Rite-niamo, viceversa, che le altre divinità siano storicamente inquadrabili nell’evoluzione della Civiltà delle Piramidi, quali possessori di conoscenze scientifiche tali, da farli assurgere a dèi nel corso delle epoche. In origine, dun-que, era il monoteismo… successivamente trasformato dai sacerdoti dinastici in un politeismo “socio-politico”. Esso, infatti, si rifaceva all’epopea della misteriosa civiltà che ha colonizzato il pianeta, ricordata non già per i no-mi che portavano i suoi massimi esponenti, ma per le funzioni che ricoprivano. Questo retaggio fu assorbito nella teologia egizia, quale ricordo di coloro che portaro-no all’uomo la conoscenza. I misteri della Piana di Giza sono notevoli, e tutte le tes-sere del mosaico, messe al loro posto, fanno emergere una scena dai contenuti tanto meravigliosi, quanto inno-vativi. Lo studio degli utensili degli dèi ci aveva convinto – lad-dove fosse ancora necessario - che l’Egittologia Ufficiale era lontana anni luce dalla comprensione dei fatti storici

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che avevano, successivamente, generato l’Egitto Dinasti-co. Essa ha avuto il grande merito di illustrare, con una certa precisione, la dinamica delle società che dalla I alla XXX dinastia, si sono succedute nella terra del Nilo. Al con-tempo, ha avuto il demerito di aver sviluppato comples-se ed articolate spiegazioni, per giustificare fatti ed og-getti che, con l’Egitto Dinastico, non hanno nulla a che fare. Così come per la Datazione Storica del Primo Tempo di Osiride, anche in questo caso, avevamo l’obbligo di af-frontare l’argomento Piramide-Energia con la consueta razionalità, liberando la mente dalle convenzioni preco-stituite. E la misteriosa Dendera era il prossimo obbiettivo…!

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Il Segreto di Dendera

l Tempio dedicato alla dea Hathor è da sempre uno dei poli di attrazione, per coloro i quali visita-no le meravigliose vestigia dell’Egitto Antico. Im-

merso nel deserto a ridosso delle rive del “Sacro Fiume”, Dendera rappresenta uno dei misteri più complessi dell’antichità. Il Tempio è, strutturalmente, tra quelli meglio conservati di tutto l'Egitto ed è ubicato nell’antica città di Inuet, ca-pitale del 6° nomoi dell’Alto Egitto. La datazione dell’edificio è particolarmente controversa, soprattutto per quanto riguarda la costruzione più antica. Infatti, mentre la parte superiore sembra riferirsi all’epoca To-lemaica, le cripte dimostrano un utilizzo riconducibile quantomeno all’Antico Regno. Anche in questo caso, però, i dubbi sono notevoli, data la particolarità delle dodici camere che si trovano nella par-te inferiore e soprattutto dei bassorilievi che esse ospita-no. Le peculiarità dei contenuti delle scene, in essi descritte, sono semplicemente straordinarie e al tempo stesso estremamente misteriose. Peraltro, la fattura dei bassori-lievi è talmente minuziosa ed ermetica che ci sembra af-frettato ricondurli al periodo storico in questione. E non ci riferiamo solo alle ormai famose “Lampade di Dendera”, delle quali pur discuteremo sinteticamente, bensì a tutti i particolari rappresentati nei bassorilievi, presenti nelle cripte, che sono la sintesi del Sapere lascia-to in eredità dagli antichi uomini-dei. Naturalmente, l’accesso alle cripte è stato consentito – almeno fino a quando Zahi Hawass ha governato sui re-

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sti dell’Antico Egitto – solo ai più intimi acquiescenti del rais dell’archeologia egizia. Pertanto, l’accesso al tempio è stato praticamente impos-sibile… Naturalmente, quest’atteggiamento ha fatto sor-gere non pochi dubbi… Perché le cripte sono “dichiara-te” Aree Sensibili e quindi chiuse ai turisti ed agli stessi ricercatori? Ufficialmente, sono “off-limits” poiché non ci sono le giuste condizioni di sicurezza. Gli accessi non sono age-voli, gli ambienti sono molto stretti e, quindi, non è pos-sibile aprire il monumento ai numerosi “ospiti” che ne fanno richiesta. Peraltro, i bassorilievi che sono stati rea-lizzati nella parte inferiore del Tempio di Hathor, sono particolarmente delicati e meritano la massima tutela… tuttavia… Tuttavia, riteniamo che le pur condivisibili prudenze, proposte dagli ambienti ufficiali, siano semplicemente una “copertura”. C’è un altro motivo intrinseco, che ha spinto le gerarchie archeologiche egizie, a chiudere le cripte di Dendera: l’imbarazzo di dover dimostrare al mondo che le raffigurazioni potrebbero essere il retaggio di una perduta scienza, in attesa di essere compresa e ri-velata. Nelle cripte, infatti, ci sono alcune immagini legate al culto della dèa Hathor, che hanno attirato la nostra at-tenzione. In particolare, alcune raffigurazioni come quel-le che riproducono dei serpenti in verticale, che fuorie-scono da un recipiente; sfere con particolari simbologie al proprio interno, che ricordano le moderne rappresenta-zioni della resistenza elettrica; descrizioni di sistemi meccanici, che sembrano favorire alcuni specifici proces-si chimici; le già note lampade di Dendera, assimilabili ad oggetti destinati alla riproduzione di luce, nonché le stesse figure di alcuni sacerdoti e del faraone, che sono

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riproposti in abiti particolari, per nulla equiparabili allo stile egizio. Ma procediamo con ordine… Partiamo dalla nostra certezza che a Dendera sono cu-stoditi gli antichi Saperi che hanno dato vita al comples-so monumentale di Giza. In ragione di ciò, osserviamo i bassorilievi sotto una luce completamente nuova, sup-ponendo la possibilità che Dendera sia solo un archivio fotografico di ciò che fu in altre epoche. Ad esempio, in una delle raffigurazioni meno note, ma sicuramente tra le più interessanti, si notato alcuni ogget-ti in possesso della dèa Hathor. Essi sono molto semplici ed inseriti in una danza… religiosa. Ora, se da un punto di vista estetico, gli oggetti in questione assumono una rilevanza strettamente marginale al rito rappresentato, da un punto di vista squisitamente esoterico, essi hanno una valenza molto rilevante. Il sistro, infatti, viene rap-presentato nel bassorilievo in due forme diverse… la prima tipicamente di stampo egizio, mentre la seconda, richiama alla mente lo strumento, così come riprodotto nell’antica Sumer. Inoltre, per completezza d’analisi, gli strumenti sono rispettivamente disposti nella mano sini-stra e nella destra della dèa e, trattasi di oggetti a vibra-zione! La disposizione non è casuale, poiché a ciascuna mano viene attribuita una specifica funzione… Abbiamo già visto come, la mano sinistra, nei trattamenti energetici ha una funzione particolare, ovvero quella di “assorbire”, viceversa, la destra ha la funzione di “rilasciare”, ener-gia… Il fatto stesso che, l’uno sopravanza l’altro, è chiaro esempio di movimento, di azione, di moto… ed il com-pimento dell’azione va letto come atto di adempimento, di trasferimento e assorbimento di Energia.

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Naturalmente, questo è solo un primissimo indizio che incrocia un concetto basilare, proprio di tutte le raffigu-razioni che riguardano le cripte… Solo nell’immagine che segue, il puro concetto di Ener-gia, si estrinseca in tutta la sua maestosità… Prima di entrare nel merito della descrizione dell’opera, vogliamo solo farvi notare che gli Egittologi hanno attri-buito al “macchinario” alle spalle della dèa Hathor, un significato semplicemente ornamentale, escludendo, a prescindere, qualsiasi possibilità alternativa. Questo è uno dei motivi fondamentali, per cui crediamo che la co-siddetta “scienza ufficiale” sia sottoposta a pressioni esterne che spingono gli studiosi verso derive culturali poco rassicuranti. Basta, infatti, una lettura accorta di quanto volutamente raffigurato, per comprendere che ci troviamo in presenza di qualcosa che va oltre le cono-scenze del periodo dinastico. In nessun caso, infatti, gli egizi avrebbero potuto concepire un “macchinario” così complesso, senza avere un minimo di cognizione dei principi di base della chimica e della fisica… Allora per-ché tanto mistero? Perché giungere a conclusioni affretta-te che generano soltanto confusione tra gli appassionati e discredito sugli autorevoli proponenti di stampo acca-demico?

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Il bassorilievo in questione, presenta alcuni elementi che sembrano degni di nota. Innanzitutto, nel lato sinistro è visibile un “contenitore”, originariamente dipinto in blu, dal quale partono dei fili. Il colore non è stato scelto a ca-so, ma appare come una chiara indicazione del suo con-tenuto: acqua! Il “vaso” è poggiato su una sfera che era stata dipinta dagli artisti egizi, con un colore “ramato”. Lo stesso colore si nota negli elementi interni alle “batte-rie”, ovvero gli oggetti quadrati che poggiano sulle co-lonnine raffiguranti il volto della dèa, dove terminano i fili che fuoriescono dal vaso contenente acqua. Le colon-nine – le stesse che sono associate al sistro nella mano destra della dèa - sembrano assurgere a funzione specifi-ca di elettrodi, poiché solo due di esse – quelle a destra del bassorilievo - poggiano su un recipiente di colore ramato contenente una sfera, all’interno della quale è raf-figurato un particolare, che ci porta alla mente una scari-ca elettrica. Q

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Un’ultima evidenza, nello studio dei segreti di Dendera, è collegata alla rappresentazione del serpente che si in-nalza da un altro recipiente. Sappiamo tutti, profani e non, che il serpente è associato alla Conoscenza e all’Energia Vitale. Vogliamo solo far notare, in questo particolare, che il re-cipiente ha il solito colore ramato, e su di esso è sistema-to un fiore di loto. Abbiamo già verificato in precedenza che il Loto (nella prima fase dinastica) era associato al Bastone Uadj, impugnato dalle dèe. E’ forte il sospetto che potesse essere utilizzato per scopi meramente tecni-co-scientifici, ovvero come uno dei “poli di un generico sistema” produttivo. Ad ulteriore conferma, lo stesso fiore si trova posizionato alle estremità delle famose Lampade e, il suo gambo, è direttamente congiunto allo Zed. Quindi, anche in questo caso, il fiore caro agli dèi, aveva la funzione di trasferire energia, di inviare l’impulso fi-nale che “genera” il serpente.

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Il bassorilievo, dunque, considerato nella sua completez-za, indica chiaramente che gli Egizi Dinastici erano a co-noscenza di antiche nozioni scientifiche, che riprodusse-ro metaforicamente, non riuscendo a comprenderne la reale funzione. Un processo elettrolitico non era certamente alla loro portata e neppure era riproducibile empiricamente. No-nostante ciò, gli Egizi sapevano che il contenitore, dal quale uscivano i fili, doveva contenere acqua e che all’interno delle cosiddette batterie, c’era qualcosa che doveva avere il colore del Rame. Tutto questo ci sembra semplicemente fantastico… Infine, delle Lampade di Dendera, ormai, si conosce tut-to. Lo Zed, collegato tramite un filo, al fiore di Loto, è un chiaro indizio di quale potesse essere una delle sue fun-zioni: trasmettere Energia modulata e “stabilizzata” ver-so il fiore di Loto, per poter dare “la vita” al Serpente, all’interno della lampada.

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Nei bassorilievi del tempio di Hathor, sono illustrati i se-greti più profondi della conoscenza della Civiltà delle Pi-ramidi, che non si riferiscono alle procedure di costru-zione dei monumenti di Giza - sui quali permangono an-cora notevoli dubbi in base alle teorie proposte - bensì al-la loro funzione scientifica. Più ci inoltravamo nella lettura dei segreti di Dendera, maggiore era la convinzione, che in quei bassorilievi, c’è la sintesi della tecnologia utilizzata a Giza. La Grande Pi-ramide era stata costruita per produrre Energia con un processo che analizzeremo nella Terza Parte. Gli interni della Piramide sono distribuiti secondo regole di inge-gneria estrema, semplicemente perché quello era l’unico modo per assecondare le finalità degli uomini-dèi! C’è un ultimo argomento che riteniamo meriti la dovuta considerazione. In questi ultimi trent’anni, abbiamo assi-stito all’enorme sforzo dei “killer della Storia” che hanno fatto di tutto per insabbiare le prove sull’esistenza di una Scienza evolutasi nell’Antichità. Le certezze sull’inattendibilità delle teorie ufficiali, sono maturate quando Peter Ehlebracht, ricercatore di origine tedesche, si interessò al sito archeologico di Dendera. Il suo libro, "Haltet die Pyramiden Fest", narra dei nume-rosi saccheggi avvenuti nel Tempio e di sciagurati acca-

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nimenti di “ignoti” su alcuni bassorilievi, le cui tracce sono ancora oggi ben evidenti. I fatti risalgono al 1973 e lo stesso narratore è stato invitato – col consueto garbo – a “tacere”. I danni arrecati all’archeologia e alla storia del nostro passato remoto, ovviamente, sono notevoli, ma… non tutto è perduto! I manufatti asportati, infatti, sono ancora custoditi sotto chiave! Stando alle cronache del ricercatore tedesco, dopo diversi mesi di duro lavoro, le lastre furono sistematicamente smontate e portate in Europa… precisamente a Parigi… ancor meglio nelle “segrete” del Louvre. Da allora, non si è saputo più nulla. Il silenzio imposto da non si sa chi, ha arrecato l’ultimo colpo ferale alla ricostruzione storica dell’Antico Egitto e alla possibile scoperta di nuovi ele-menti scientifici, che potessero supportare le ricerche in-dipendenti. Coloro i quali hanno “lavorato” per sopprimere la verità, però, non hanno fatto i conti con i tantissimi ricercatori che - con immani sacrifici - hanno cercato di ricostruire un mosaico di cui mancavano le tessere principali. Eppu-re, il comune impegno – seppur orientato individual-mente – ha generato una serie di ipotesi di notevole inte-resse. Così, con certosina pazienza e con la sola forza del-la ragione, è stato possibile riaprire una finestra sul pas-sato e sorprendere, nella Luce, gli “orchi” della Storia.

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Un mosaico da ricostruire

vevamo sistemato in appositi schedari tutti i ri-sultati delle nostre ricerche, catalogati per ciascun settore specifico di appartenenza. Eppure, ri-

guardando i numerosi fogli - contenenti gli appunti di anni di ricerca, i libri che ci hanno accompagnato nel cor-so dei nostri studi, i disegni e le proiezioni sviluppati in ragione delle nostri ipotesi - ci sentivamo assediati da un’infinità di notizie, che in un modo o nell’altro, dove-vamo ordinare, per dare un senso compiuto alla nostra teoria. Eravamo in presenza di centinaia di tessere di un mosai-co, estremamente complicato, che “chiedeva” di essere ricomposto. Innanzitutto, sentivamo l’esigenza di rimettere in ordine le macroaree di analisi, ovvero chiarire tutti gli aspetti che hanno determinato la decisione di costruire i monu-menti, seguendo le specifiche leggi del Cosmo. E’ ormai noto, infatti, che le Piramidi di Giza seguono uno schema astronomico ben preciso. La Piana agli estremi margini de Il Cairo, come sapientemente ha scritto Graham Han-cock, è uno “specchio del cielo”, immortalato in una de-terminata epoca. Con i nostri studi, seguendo le regole che scandiscono il Ciclo della Precessione degli Equinozi, abbiamo indicato nel 36.420 a.C. il momento storico più corretto, poiché gli allineamenti dei monumenti, con le stelle della Cintura di Orione, a quell’epoca sono preci-sissimi. Da un punto di vista geologico, abbiamo rilevato – con-cordando la nostra riflessione con quella proposta da al-tri eminenti ricercatori, quali ad esempio Robert Schoch e Max Toth – che non esiste altra zona sulla quale poter

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edificare Piramidi così maestose. Nessun’altra area di Giza, infatti, sarebbe stata in grado di sopportare, per millenni, il peso di milioni di tonnellate di blocchi di pie-tra. L’accuratezza con la quale sono stati eseguiti i rile-vamenti, al momento della progettazione del sito, è sem-plicemente sorprendente, poiché denota una conoscenza molto approfondita della conformazione del sottosuolo. Da un punto di vista geofisico, infine, la Grande Pirami-de è una sintesi delle coordinate principali del Pianeta. Ne riassume, infatti, la curvatura, la distanza dal Sole, la quantità di giorni presenti in un anno solare, il valore di 1/60 di grado alla latitudine dell’equatore, il raggio pola-re in ragione dell’altezza della costruzione, rapportato al-la costante di 43.200 (valore fondamentale nel Ciclo della Precessione), il preciso allineamento degli angoli del monumento in rapporto ai punti cardinali, il peso del Pianeta in ragione del peso della piramide moltiplicato per un miliardo… e così via. Quindi è evidente che la Grande Piramide è una sintesi di valori geofisici ed astronomici, di cui la Perduta Civiltà delle Piramidi, era perfettamente a conoscenza. Per quanto riguarda le microaree di interesse, ci siamo dedicati agli oggetti degli dèi, la cui funzione tecnica è stata richiamata, “inconsapevolmente”, nelle raffigura-zioni artistiche dell’epoca Dinastica. Oggetti, la cui fun-zione è un indizio determinante delle conoscenze scienti-fiche che hanno permesso la realizzazione di un progetto ciclopico come quello di Giza. Il Bastone degli dèi, l’Uas, con la particolare caratteristica ad archetto alla base, fa trasparire il retaggio di una fun-zione di rilevamento di sorgenti energetiche che, guarda caso, sono esattamente in linea con l’area sulla quale so-no state costruite le strutture più famose al mondo. An-che altri siti, sparsi sul pianeta e risalenti ad epoche im-

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precisate e misteriose, sono intimamente collegati all’energia elettromagnetica, come ad esempio Teotihua-càn. Ed anche nel mito Q’eros della fondazione di Cuzco si parla di un “mitologico” Bastone d’Oro, consegnato dal dio Intilli al figlio Qoyari, con l’espressa raccoman-dazione di costruire la città, laddove si fosse conficcato nel terreno… Da evidenziare che Cuzco sorge in un’area ad elevata in-tensità elettromagnetica! Ci troviamo in presenza dello stesso strumento utilizzato dagli dèi egizi? Discorso analogo si può sviluppare in merito all’Uadj, il bastone delle dèe egizie. In questo caso, si passa dalla fa-se di rilevamento dell’Uas a quella di “connessione” dell’Uadj. Il fiore di Loto, infatti, è estremamente caratte-rizzante poiché, nelle raffigurazioni più ermetiche egizie, è associato alla “congiunzione” di sistemi energetici. Le raffigurazioni di Dendera, ad esempio, dimostrano chia-ramente che il Fiore degli dèi “serviva” a collegare lo Zed alle Lampade, ma anche a “far nascere” il Serpente nel recipiente ramato. Anche per l’Uadj, dunque, è evi-dente il retaggio di una funzione antica, persa nelle me-morie del tempo, allorquando si procedeva all’attivazione di un sistema, funzionale alla produzione di Energia, con l’ausilio di un oggetto che gli antichi egizi associavano al Fiore della Vita. Infine, abbiamo esaminato gli studi di John Burke, di Christopher Dunn e di Tom Danley, i quali hanno chia-ramente dimostrato – secondo vari aspetti, relativi ai di-versi ambiti di studio in cui sono impegnati – che esiste una forte attinenza tra i monumenti costruiti a Giza e le fonti elettromagnetiche. Ne abbiamo analizzato i conte-nuti delle teorie proposte e apprezzato le finalità che so-no, semplicemente, indiscutibili.

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Chi ha realizzato Giza ha amalgamato, sapientemente, le Leggi dell’astronomia, dell’ingegneria, dell’architettura, della fisica e della chimica. Nulla è stato trascurato… nulla è stato realizzato a ca-so… nulla è stato concepito senza l’ausilio di una Cono-scenza Consapevole… Tutto è stato creato secondo la Fi-losofia dell’Arte di cui si è persa ogni traccia. E’ inevitabile tornare indietro nelle Ere, così come hanno indicato i costruttori, fissando il momento con l’allineamento reciproco tra Costellazioni e Monumenti. E’ tutto scritto… Nel 36.420 a.C. esisteva una Civiltà Perduta che ci ha la-sciato dei Segni Temporali espliciti, che ha consegnato alla Storia una conoscenza sopraffina delle Scienze, at-traverso la creazione di un sistema di produzione di Energia allo stato puro, utilizzando la configurazione degli interni della Grande Piramide, così come la cono-sciamo. Non ci resta che alzare il velo e scoprire la Pura Scienza dei Filosofi.

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PARTE TERZA LA GRANDE PIRAMIDE NON È PIÙ UN MISTERO

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“La stolta interpretazione delle parole dei Filosofi secondo la lettera non conduce alla verità,

e si dice quindi che è una falsa scienza poiché molti hanno tentato e non hanno trovato niente,

e sono allora divenuti uomini senza speranza, e hanno condannato questa scienza e disprezzato i libri ad essa relativi;

e per questo la scienza li tiene in poca considerazione, poiché la nostra scienza dei segreti della natura non ha nemici

eccetto gli ignoranti”

Arnoldo da Villanova Medico e Teologo

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Dell’Arte della pura Scienza

ssociare l’Egitto all’Arte Alchemica è quasi im-prescindibile, così abbiamo cercato di compren-dere se, e soprattutto, quale poteva essere il vero

legame tra le terre del Nilo e l’Antica Scienza per anto-nomasia. Il nome, innanzitutto, dell’antico Egitto, ci sug-gerisce la parola alchimia: El-Khemè, ovvero “il sale del-la terra nera”. Nel nero è l’inizio di ogni cosa (fase della nigredo o putrefazione) e il sale è uno dei tre principali ingredienti indispensabili alla trasformazione del “piombo in oro”, della materia grezza in materia sottile. Dunque, non vi sono dubbi che nei tempi remoti esiste-va, in terra d’Egitto, una Scienza a tutt’oggi sconosciuta che trasmutava il metallo pesante, senza valore, nel più prezioso oro… Abbiamo sempre pensato che, al di là del-le parole dei filosofi, si nascondesse una spiegazione molto tecnica di come avveniva la trasmutazione alche-mica; associare il tutto al funzionamento della “macchi-na” Grande Piramide è stato un passo, decisamente, ob-bligatorio. In uno dei più famosi e, forse, antichi testi ri-guardanti la materia alchemica, il “Rosarium Philoso-phorum”, abbiamo trovato degli spunti di comparazione davvero molto interessanti, che danno adito a poche, po-chissime interpretazioni… Noi non sappiamo se esista, o sia mai esistita, la Pietra Filosofale, o se tutto il procedi-mento della sua produzione, sia fantasia o realtà; ciò che è certo è che se associamo le nozioni contenute all’interno delle regole base dell’alchimia, alla produzio-ne di energia, che riteniamo avvenisse all’interno del Monumento di Giza, le evidenze sono talmente ben sa-gomate da incastrarsi perfettamente l’una all’altra, la-sciando davvero poco spazio alla fantasia.

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“Considerate queste cose,

troviamo, per mezzo della nostra investigazione, sette proprietà necessarie e convenienti nella nostra pietra: Untuosità, Finezza, Affinità della Sostanza, Umore Radicale,

Purezza, Chiarezza, Terra Fissante e Tintura”. Ricordando il connubio Zed-colonna vertebrale di Osiri-de, le sette proprietà non potevano passare inosservate. L’associazione con i sette chakra principali della colonna vertebrale è stata immediata e quasi doverosa. Dalla filo-sofia orientale, sappiamo che il corpo fisico è compene-trato da almeno altri sei corpi aurici, che non vediamo con gli occhi, ma che esistono ed interagiscono, con noi e gli altri, in ogni istante e sono alimentati di energia attra-verso delle “ruote” (Chakras), dei vortici, posizionati in determinati punti, lungo la colonna vertebrale. Con la curiosità di capire se ci fosse una correlazione tra le sette proprietà alchemiche e le ruote energetiche del corpo umano, siamo andati ad esaminarle una ad una ed ecco cosa abbiamo scoperto…

“Ma la prima proprietà delle differenze è che l'untuosità determina in proiezione

uno scioglimento universale e l'apertura della medicina.

Per sicuro, l'immediata e conveniente fusione della medicina è principalmente necessaria dopo la proiezione della medicina

che è fatta e miscelata con naturale untuosità” Sempre dalle filosofie orientali, ci giunge che, alla base della spina dorsale, avvolto su tre spire e mezzo, esiste un serpente chiamato Kundalini che - se adeguatamente stimolato attraverso varie tecniche fisiche e mentali - si “risveglia” e comincia a salire lungo la colonna vertebra-le fino alla sommità del capo, dove, in corrispondenza

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dell’ultimo chakra - quello della Corona - esce e rende l’intero corpo un tramite tra la terra e il cielo, tra le “bas-se” energie terrestri e le sottili celesti. Leggendo la prima proprietà dell’alchimia, abbiamo subito notato delle ana-logie, con il famoso serpente orientale: “l’untuosità deter-mina in proiezione uno scioglimento universale e l’apertura della medicina”. Questa espressione ci ha riportato imme-diatamente l’immagine del serpente addormentato che si sveglia e “apre” la sua via verso l’alto. L’untuosità, di cui si parla, ci rammenta il suolo e, nella sua associazione al primo chakra, ci sovviene che realmente esso è conven-zionalmente riconosciuto come legame con l’elemento terra… Il primo chakra, chiamato dall’oriente Muladha-ra, è dello stesso colore del terriccio, rosso-marrone. Tra-dotto in occidente come chakra della radice, è la sede della fisicità più salda, delle ossa e di tutti i bassi istinti umani, quelli che ci legano alla terra. Nella Piramide, possiamo associare, tranquillamente, l’inizio di un pro-cesso, come nel corpo avviene per la Kundalini - che ri-sveglia una certa quantità di energia fino ad allora asso-pita - nella Camera Sotterranea, la parte che, per la sua posizione, può essere correlata all’elemento terra. E se vogliamo, anche i colori della pietra con cui sono costrui-te le misteriose protuberanze, quell’ocra rossastro, ri-mandano al colore attribuito al chakra della radice… La prima proprietà ci aveva stimolato ancora di più, se pos-sibile, la curiosità di andare a verificare cosa sarebbe ac-caduto, se anche tutte le altre fossero una spiegazione tecnica, mascherata da filosofia, del procedimento che avrebbe portato Osiride a riunirsi con l’anima di Ra, all’interno della camera superiore: quella cosiddetta del Re. La seconda proprietà recita:

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“La seconda è la finezza della materia o la sottigliezza spirituale,

per cui, fine e fluente nella fusione, penetra come acqua nel fondo di un oggetto graffiato, poiché secondariamente dopo la fusione della medicina,

l'ingresso è immediatamente necessario”

E lo Swadisthana, il secondo delle sette ruote di energia, collegato nel corpo alle pulsioni sessuali e al desiderare in genere, è associato all’acqua, al suo fluire con lentezza, ma con determinazione, alla sua potenza inavvertibile, se non con il dovuto tempo. Nelle parole: “penetra come ac-qua nel fondo di un oggetto graffiato”, possiamo riscontrare la funzione a cui è associato questo chakra, quindi, la pe-netrazione e l’oggetto graffiato, dalla cui etimologia, sappiamo “adatto alla presa”; è senz’altro la matrice op-posta alla penetrazione, che ne consente l’atto… Traspo-nendo tali considerazioni nella Piramide, ci sovviene una particolarità del condotto discendente, ovvero che nelle pareti laterali ci sono dei graffi longitudinali, probabil-mente, per meglio permettere l’afflusso del “serpente” di energia sottile che deve risalire, attraverso di esso, per guadagnarsi la vetta, la corona… il pyramidion!

“La terza è l'affinità o vicinanza tra l'Elisir e la cosa che deve essere trasmutata, che mantiene una certa collosità o contiguità

nell'incontro del suo simile, poiché in terzo luogo dopo l'ingresso della medicina, la collosità o la contiguità è conveniente e necessaria.”

Manipura è il terzo dei sette vortici energetici. Associato all’elemento fuoco, è idealmente posto sull’ombelico, l’organo che ci rammenta il legame invisibile tra madre e figlio, al quale rimaniamo dipendenti, attraverso il cor-done ombelicale, per nove mesi, prima di vedere la luce.

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L’affinità è una condizione obbligatoria tra “il creante” e la cosa creata, tra la Madre e il Figlio e il mantenimento di una certa collosità, necessario alla sopravvivenza della “cosa che deve essere trasmutata”. Incredibilmente, esiste qualcosa anche nella Grande Piramide, che ci fa pensare subito ad un luogo di contiguità necessaria al completa-mento dell’operazione: questo è il Condotto Ascendente che collega, come un cordone ombelicale, tutti gli am-bienti utilizzati nella produzione di energia. L’associazione al fuoco, al colore giallo e al potere, ci hanno regalato la malìa di essere, ancora una volta, sulla strada giusta… Nel Condotto Ascendente avviene la prima trasmutazione energetica e, dall’oscura energia, dall’incontro di un vuoto con un fotone, avviene il mira-colo del fuoco, della luce, del giallo e del potere che si svilupperà a dismisura, per garantire al serpente, di usci-re in tutta la sua gloriosa potenza, verso il cielo!

“La quarta è l'umore radicale e infiammato che si coagula, e indurisce le parti rifinite con l'aderenza del loro simile e con un'inseparabile unione di tutte le parti simili, poiché in quarto luogo dopo le aderenze o la collosità,

l'indurimento o solidificazione delle parti con il suo umore radicale e unto è conveniente e necessario.”

Al solo leggere questa quarta proprietà, già sapevamo dove ci avrebbe condotti e l’emozione stava risalendo dalle nostre viscere, alla stregua dell’orientale serpente… Quarto chakra, Anahta, la ruota del cuore, dell’amore, associato all’elemento aria e al profumo di rosa… Esso è la magica porta attraverso la quale è possibile, trasforma-ti dall’Amore, lasciare il mondo “sotterraneo”, con i suoi inganni e le sue illusioni e incamminarsi verso lidi di più sottile, fresca e vera Realtà. L’associazione di questo cha-

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kra con la rosa, è splendidamente attinente con la Came-ra, cosiddetta, della Regina, in cui avveniva proprio una solidificazione di tutta l’energia risalente dal basso, pri-ma di essere “pronta” a riassumere la sua serpentina forma, ancora più brillante e purificata dalle scorie – ne sono testimoni macchie di residua nigredo sulle pareti e il soffitto della stanza. E qui dobbiamo fare una precisa-zione, riguardante la costruzione interna della Grande Piramide: l’accesso alla Camera della Regina è possibile attraverso uno svincolo, che dalla Grande Galleria scen-de verso il basso. In questo incrocio costruttivo, un pò come avviene nell’interscambio ferroviario, l’energia più pesante del flusso, che saliva dal basso, si dirigeva verso la Camera della Regina per subire un’ulteriore purifica-zione e il restante flusso, più sottile e leggero, proseguiva lungo la pavimentazione che conduce alla Grande Galle-ria. In quest’ultimo ambiente avveniva quanto segue:

“La quinta è la purezza e disinfettata chiarezza, che conferisce eminente luminosità

e splendore alla presente combustione, non a quelle congiunte dopo l'indurimento delle parti purificate

che sono lasciate, poiché il fuoco agente e attuale può essere sufficiente a bruciare

tutte le superfluità estranee ed indurite, perché la putrefazione

segua immediatamente e sia molto necessaria” Continua il viaggio verso la Luce del nostro “interiore” serpente, attraverso la leggerezza del quinto vortice, chiamato dagli antichi saggi Vishudda, centro della co-municazione tramite la vibrazione delle corde vocali nel corpo fisico e dell’etere negli altri, aurici corpi, più sottili. Immaginiamo la chiarezza riportata nel passo dei filosofi che si fa fine luce, disinfettata dalle scorie attraverso la

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trasformazione e purificazione avvenute nella Camera della Regina, che prosegue il suo cammino, ormai quasi giunto al termine, proprio nella forma a spirale che ab-biamo potuto vedere ovunque, nei più antichi reperti… Immaginiamo l’imponenza della Grande Galleria, la gola della Piramide, con le sue corde vocali laterali in cui, a distanza regolare, sfalsati uno dall’altro, adagiati in nic-chie di circa 15 cm ciascuna, sono sistemati cristalli tra-sparenti, che accolgono, uno dopo l’altro, il flusso lumi-noso. Potenziato grazie alla loro facoltà piezoelettrica, lo reinviano al cristallo direttamente successivo, sì da for-mare un raggio di luce cristallina, avanzante come un serpente sulla sabbia. La perfezione della descrizione del fenomeno che avveniva all’interno della Grande Galleria è disarmante…

“La sesta è la terra fissata, temperata, fine, sottile, fissata, incombustibile,

che conferisce permanenza o fissazione, che si attacca alla soluzione,

e si mantiene da se stessa e persevera contro il fuoco, poiché in sesto luogo, dopo la purificazione,

è necessaria la fissazione”.

Avevamo notato che le parole dei filosofi, dalla prima proprietà avevano, mano mano, assunto dei toni più pa-cati, leggeri, sottili, e ci conducevano nel loro pensiero, attraverso le emozioni, lasciate impresse sulle pagine del testo che stavamo esaminando. Il tutto era avvenuto sen-za che ce ne fossimo resi conto, fino a quel momento. Dalla lettura di quello che avrebbe dovuto essere il corri-spettivo della funzione del sesto chakra, potevamo senti-re tutto il nostro stupore nello scoprire che, anche noi, con l’analisi che stavamo sviluppando, subivamo un processo di alleggerimento dalla materia pesante, quasi

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come se una sacra mano volesse accompagnarci in quel luogo, sapendo che avremmo potuto varcarne la soglia soltanto se purificati e, disinfettati, dalla putredo mon-dana… Ci rendevamo conto, forse per la prima volta da quando avevamo iniziato la ricerca sulla funzione della Grande Piramide, che più ci addentravamo negli am-bienti interni del monumento e ne saggiavamo, meravi-gliati, le antiche fattezze, più ci immergevamo dentro noi stessi, nelle cavità profonde del nostro essere e pareva che seguissimo quel lontano serpente, che illuminava le antiche notti, nella nera terra, delle tre sorelle immorta-li… Nel sesto vortice l’energia viene fissata, così da non poter essere più perduta… Ajna, probabilmente il chakra più conosciuto nel mondo occidentale: il “terzo occhio”. Esso riunisce ogni forma di energia proveniente dall’interno di noi stessi, così come, nella Camera del Re, vengono riunite le energie purificate provenienti dal basso e dalla Camera della Regina e ivi si fissano, si incontrano e uni-scono, per divenire cosa una… E’ qui che avviene l’incontro alchemico tra Osiride e Ra, descritto in manie-ra commovente nel Libro dei Morti:

“Osiride entra in Djedu e ha ivi trovato l’anima di Ra: le due anime si abbracciano reciprocamente

divenendo due anime gemelle”

Il rumore del mondo lascia finalmente spazio al silenzio divino, in cui è un abbraccio infinito a suggellare l’eternità… Ed ora, finalmente, il lungo viaggio è terminato; il nostro serpente può trionfare sulla sommità della montagna e gridare la sua essenza divina…

“La settima è la tintura,

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che dona un colore brillante e perfetto, bianco e rosso cupo,

che conferisce la lunificazione e solificazione delle cose trasmutabili, poiché in settimo luogo

il colore tingente, o tintura, è necessario dopo la fissazione, e muta ogni sostanza convertibile

in vero oro e argento, con tutte le sue differenze certe e conosciute”.

Siamo sulla sommità, sul settimo ed ultimo chakra, l’ultimo gradino prima della libertà. Il suo nome è Saha-srara, il suo colore è la purezza, il luogo in cui si trova nel corpo umano, è stato localizzato nel centro della te-sta, dove c’è la cosiddetta “fontanella”. Curiosamente, i testi orientali associano proprio ad una fontana di luce bianca, la fuoriuscita dell’energia dalla sommità del ca-po! Nel passo è descritto il colore bianco e rosso cupo, perfet-ta unione del settimo e del primo chakra, il cui colore era appunto rosso cupo, quindi l’epilogo dell’unione tra la Terra e il Cielo, nell’uomo e nella Piramide… Probabilmente, tutto ciò avveniva immediatamente sotto o sopra il Pyramidion, che era d’oro, con probabili plac-cature d’argento, perché quello era il punto di salda unione tra il Sole (oro) e la Luna (argento); quella era la vetta da conquistare per la libertà… Non è per nulla facile riuscire a trasferire nel lettore, quello che stavamo sentendo dentro di noi in quel mo-mento; emozioni forti e contrastanti ci rendevano mera-viglia e diffidenza al tempo stesso… Avevamo iniziato il parallelismo alchimia-funzione della Grande Piramide quasi per gioco, sicuramente “per caso”, quando, una se-ra d’inverno, stretti nella coperta e comodamente seduti sul divano, di fronte alla fiamma del caminetto, cerca-vamo di comprendere la funzione, appunto, del fuoco,

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del calore, sulla produzione ed eventualmente sulla vei-colazione dell’energia… Tra l’entropia del secondo prin-cipio della termodinamica e il disordine controllato dell’inizio di un processo alchemico, ci sembrava di scorgere sullo sfondo del discorso, l’immagine sbiadita del più importante monumento della Piana di Giza. Mi sono allora ricordata del vecchio testo che custodivo senza aver mai aperto, se non per ammirarne le miniatu-re e i simboli in esso contenuti e, quella sera, in rituale approvazione di entrambi, abbiamo riesumato l’antico sapere dell’ermetico Rosarium Philosophorum… Ora si prospettava un’altra indagine, meno aulica e pro-babilmente molto più complicata: quella della verifica scientifica, di ciò che ci sembrava aver scoperto nell’Arte alchemica. Fino a quel momento, quello era stato sicura-mente un intrigante gioco di rivelazioni e meraviglie. Adesso si imponeva di ricostruire, anche alla luce della filosofia che ci aveva aperto una porta finora non consi-derata, l’intero processo che avveniva all’interno e all’esterno del monumento maggiore di Giza - partendo dal luogo che noi sospettiamo - sia l’incipit di una storia così antica, che non solo nessuno ricorda o non vuole far-ci ricordare, ma della quale si sono perdute le tracce chis-sà in quale tempo remoto… Una storia che ha assunto i colori del mito, della leggenda, fino a divenire mera su-perstizione e, che può tornare a vivere, soltanto scavando nel passato più oscuro e ad Ovest delle Piramidi…

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Del Leone e dell’Acquario

a ricerca della seconda Sfinge sulla Piana di Giza ha severamente impegnato numerosi egittologi e ricercatori indipendenti. Sono state approntate

periodiche campagne di scavo e di rilevamento nell’intento di svelare l’arcano, eppure, della controparte del monumentale corpo leonino con volto umano, non c’è neppure l’ombra. Ma da cosa è stata alimentata la spasmodica ricerca di una minima traccia che potesse dimostrare l’esistenza di un’altra Sfinge, a guardia del complesso piramidale di Giza? Ebbene, la risposta è scritta nella cosiddetta Quinta Divisione della Duat.

Gli egizi associavano la Duat all’oltretomba, sulla quale dominava Osiride, ed era identificata con una porzione di cielo racchiusa, tra l’altro, tra la Costellazione di Orio-ne e la stella Sirio nel Cane Maggiore, anche se, sull’argomento, ci sono altre ipotesi che tendono ad asso-

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ciare la Regione della Duat alle stelle circumpolari, quali Orsa Maggiore e Drago. In questa immagine, tratta dal Libro dei Morti Egizio - che narra del viaggio notturno del dio Sole e delle innu-merevoli insidie, dovute alla presenza delle forze del ma-le - sono rappresentate, esattamente nei pressi della Grande Piramide, le due Sfingi. La prima, orientata verso Est e l’altra ad Ovest. Questa raffigurazione ha incuriosi-to gli studiosi del settore, i quali si sono cimentati in un’impresa davvero suggestiva: quella di riportare alla luce “l’ultimo tassello” monumentale della grandiosa opera di Giza. Tuttavia, i risultati ottenuti sono stati, semplicemente, deludenti. Ad Ovest delle piramidi, in-fatti, non è stato trovato nessun reperto che potesse giu-stificare l’esistenza del secondo Leone. Quindi?... E’ possibile che gli Egizi si siano sbagliati? In realtà, non sarebbe la prima volta che ci si trova in presenza di “indicazioni”, di epoca Dinastica, che non sembrano precisamente in linea con la realtà dei fatti, vedi ad esempio le disquisizioni relative al Canone Reale o Papiro di Torino. Sappiamo che il Libro dei Morti è sta-to scritto su papiro durante la XVIII Dinastia, ovverosia, circa 1.000 anni dopo il periodo convenzionalmente as-sociato alla realizzazione dei monumenti di Giza. Po-trebbe dunque essere plausibile l’ipotesi, che esso pre-senti qualche lacuna interpretativa. Peraltro, se conside-riamo che il complesso monumentale, è stato costruito in epoche largamente antecedenti la stessa teoria proposta da Bauval, non è fuori luogo ritenere che gli Egizi dina-stici abbiano potuto riproporre una raffigurazione della Piana, con manifesti errori… interpretativi. Il nostro dubbio su un ipotetico “disguido” è giustificato dal fatto che, nonostante gli sforzi profusi, l’Ovest non si è dimostrato terreno fertile per gli speranzosi archeologi.

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Così, in virtù di quanto narrato finora, e nella necessità di avere una mappa completa ed attendibile dell’intero sito archeologico, ci siamo messi alla ricerca di qualche elemento, che potesse ricomporre il mosaico di Giza, nel-la maniera più corretta. Anche in questo caso, abbiamo chiesto ausilio alla scienza, ed in particolare all’astronomia, che ci è stata di grande supporto già nella formulazione della Teoria sulla datazione Storica del Primo Tempo di Osiride. E’ ormai di dominio pubblico che i monumenti di Giza sono intimamente correlati alle stelle e alle costellazioni. Tuttavia, l’attenzione degli studiosi si è concentrata solo ed esclusivamente sulla correlazione tra Sfinge e Pirami-di maggiori, e i loro corrispettivi astronomici, ovvero la Costellazione del Leone e la Costellazione di Orione.

Questa immagine riproduce la porzione di cielo a Sud-Est di Giza, esattamente nel 36.420 a.C., allorquando le costellazioni del Leone e di Orione erano in precisissima correlazione con i monumenti. Il limite delle teorizzazioni sugli allineamenti astronomi-ci, proposti fino ad oggi, ha evidenziato un elemento comune: quello di aver osservato, solo ed esclusivamen-

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te, una porzione di cielo in un determinato periodo stori-co. Quindi, se la Perduta Civiltà delle Piramidi ha realizzato il progetto sforzandosi - fino agli estremi della ragione-volezza - nel mantenere precise le correlazioni tra mo-numenti e stelle, è possibile che abbia disegnato, in Terra, l’intera volta celeste? Si può azzardare che i monumenti interessati all’allineamento astronomico, non siano solo la Sfinge e le Piramidi? Esistono altre costruzioni, sulla Piana, che possano essere parte integrante dell’intero progetto Giza, quale riproduzione dell’ Est e Ovest cele-sti? In questi ultimi decenni, l’archeologia indipendente ha conseguito risultati eccezionali, apportando dei correttivi di rilievo, laddove gli accademici hanno miseramente fal-lito. Grazie alla nuova linfa vitale, quindi, la storia ha as-sunto delle “sfumature” decisamente più lineari rispetto alle astruserie, proposte in ogni salsa, dalle dottrine ge-neralmente associate agli ambienti accademici; ed è evi-dente, quindi, che gli Egizi Dinastici abbiano frainteso, o trascurato, qualche elemento che poteva essere parte in-tegrante di ben altra storia. In sintesi, il nostro ragionevo-le dubbio si era focalizzato sulla possibilità che il Proget-to Originario fosse “globale”, nel senso che, sulla Piana di Giza, fosse riprodotta tutta la Volta Celeste, visibile in quel punto geografico, da Est ad Ovest e che i monumen-ti realizzati per giustificarla, comprendevano i più famo-si e quelli ancora da… individuare e collegare… Del re-sto, nel nostro precedente libro, “Oltre le Nebbie del Tempo”, abbiamo dimostrato la correlazione tra la Tom-ba di Khentkaus e la stella Sirio, evidenziando che Giza è un Progetto molto più complesso di quanto sia stato fi-nora dimostrato!

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Da ciò si può dedurre che la rappresentazione della Quinta Divisione della Duat, con ogni probabilità, con-tiene un errore di memoria! Ad Ovest delle Piramidi, sospettavamo la presenza di qualcosa… e quel qualcosa non era un Leone! Ritorniamo quindi all’astronomia, e cerchiamo di esami-nare, insieme, quale poteva essere la configurazione astronomica del cielo, nel periodo storico considerato: ovvero nel 36.420 a.C. Nell’immagine precedente abbiamo visualizzato la con-figurazione a Est e Sud della Piana di Giza, ed osservato la perfetta correlazione tra il Cielo e la Terra. Ora, vi invi-tiamo a spostare l’attenzione alla sezione Ovest del Cie-lo…

Partiamo dalla posizione della Costellazione di Orione, che prendiamo come punto di riferimento ed osserviamo che, il percorso dell’eclittica si conclude, ovviamente, nel cosiddetto punto equinoziale di autunno, nella porzione Ovest del Cielo. Esattamente in congiunzione con l’Ovest, leggermente sotto l’orizzonte Celeste, si trova la Costellazione dell’Acquario. Questa costellazione è per-fettamente in opposizione a quella del Leone, ed occupa

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la porzione di cielo occidentale della Piana. Ciò significa che, se la Civiltà Perduta di Giza, ha realizzato il Proget-to riproducendo sistematicamente la Volta Celeste sulla Terra, è chiaro che, in opposizione della Sfinge, doveva esserci un… Acquario… E la sua posizione, al di sotto dell’Orizzonte Celeste, giustifica due aspetti fondamen-tali: il primo è che il monumento non poteva essere “vi-sibile” dal luogo delle Piramidi e della Sfinge; secondo, da un punto di vista “esoterico”, la configurazione co-smologica proposta, indicava il punto esatto convenzio-nalmente associato al “luogo della morte”… ovvero, al momento della trasformazione… quindi, all’ultimo sta-dio della Sapienza, prima di entrare nella nuova dimen-sione… Acquario e Sapienza… Acqua e Sale… E’ possibile? All’inizio dello scorso secolo, precisamente nel dicembre del 1929, l’Università di Chicago pubblicò un lavoro di ricerca effettuato nella regione del Fayyum e nel delta del Nilo, dal titolo: “Prehistoric Survey of Egypt and Western Asia- Vol. 1”. Il lavoro, edito da James Henry Breasted, fu materialmente eseguito dai ricercatori Kenneth Stuart Sandford e William Joscelyn Arkell, i quali evidenziaro-no le potenzialità dell’esistenza di un bacino fluviale che aveva interessato l’Egitto in epoche remote. Infatti, du-rante la campagna di scavi nei pressi della sponda medi-terranea dell’Egitto e nella regione del Fayyum, sono sta-ti rinvenuti alcuni reperti e tracce del letto di un fiume, che lasciavano presupporre l’esistenza di antichi e scono-sciuti corsi d’acqua. Essi si addentravano all’interno del territorio egiziano, addirittura per diversi chilometri e ri-salivano ad epoche non ben precisate. La scarsità di fon-

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di, come al solito, ha fatto desistere ogni ulteriore appro-fondimento sulla loro funzione… Qualche anno prima, il paleontologo e scienziato tedesco Max Ludwig Paul Blanckenhorn teorizzò l’ipotesi dell’esistenza di un fiume ad occidente del Nilo, dal no-me Ur Nil. Il fiume – che scorreva nel deserto del Nilo circa 50.000 anni fa - aveva origini non proprio chiare, al punto che è stata proposta, addirittura, un’ipotesi artifi-ciale. L’argomento fu trattato anche dallo studioso Mi-chael A. Hoffman, il quale nel suo libro, dal titolo “Egypt before the pharaohs: the prehistoric foundations of Egyptian ci-vilization”, sostenne la plausibilità delle teorie di Blanc-kenhorn, nonostante la difficoltà di reperire gli elementi per una precisa datazione e disposizione geografica del corso fluviale. “Der Libysche Ur-Nil in Oberägypten” di Ri-chard Uhden, pubblicato dalla Geologische Rundschau nel 1929, è la ciliegina sulla torta. Su questo argomento, ha speso parte delle sue ricerche anche Stephen Mehler, archeologo e studioso di civiltà antiche. Mehler, a propo-sito dell’Ur Nil scrive: “L’Ur-Nil è una teoria proposta dallo scienziato tedesco M.L.P. Blanckenhorn e descrive un’area, no-ta oggi come deserto occidentale dell’Egitto che un tempo era sede di un enorme ed antico fiume che era molto più largo e lungo dell’attuale Nilo. Oltre 50.000 anni fa, l’antico Ur-Nil era la fonte d’acqua e la base dell’antico Khemit (...) Lo scopo originario di questi tunnel (sotto la piana di Giza, N.d.AA.) era di portare l’acqua dell’antico Ur-Nil dalla zona occidentale fino ai monumenti di Giza. L’acqua veniva impiegata per di-versi scopi: ad esempio come carburante per produrre energia attraverso la Grande Piramide”. Insomma, gli elementi ci sono, le tracce anche… manca solo che qualcuno si decida a proseguire la strada della ricerca sul campo, per dare conferma alle ipotesi propo-ste. Esistono degli elementi molto particolari che confer-

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mano tali ipotesi e che cercheremo di analizzare a breve, nei modi e nelle forme più semplici possibili. L’esistenza di questo imponente corso d’acqua, assume una funzione straordinariamente importante, per l’allestimento di tut-to il Progetto Monumentale di Giza, poiché apre una porta verso la scoperta di una delle funzioni a cui le pi-ramidi erano state preposte. Inoltre, la conferma dell’esistenza di un bacino fluviale artificiale, che convo-gliava acqua verso le Piramidi, dimostra che la nostra ipotesi sul Progetto Globale della correlazione astrono-mica, tra monumenti e costellazioni, lungo l’arco Est-Ovest era assolutamente organica al principio: “Come sopra, sotto”. Ma procediamo con ordine… Ammesso che l’Ur-Nil fosse un corso d’acqua artificiale, per quale motivo, gli Egizi dinastici, avrebbero dovuto cimentarsi nella costruzione di condotti talmente impo-nenti per funzione e lunghezza? Tanto più che avevano a disposizione il Nilo, ampiamente navigabile e funzionale a qualsiasi attività commerciale. A cosa serviva un altro canale? Certamente per i dinastici non avrebbe avuto alcun sen-so, soprattutto perché non avevano sicuramente le com-petenze tecniche per realizzarlo e, in ogni caso, non ne avrebbero ricavato alcuna utilità pratica. Ma una civiltà prediluviana, invece, avrebbe avuto tutti i motivi per cimentarsi in questa impresa, soprattutto in ragione della funzione della Grande Piramide. Infatti, il condotto sarebbe servito per convogliare all’interno dell’Egitto… acqua salata! Ma perché questo sforzo immane per condurre acqua sa-lata sulla Piana di Giza? A cosa serviva? Cosa c’era da riempire? E per quale scopo?

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Nel corso degli anni, gli egittologi hanno trovato delle prove, in base alle quali, si è potuto determinare che, in un dato momento storico, il mare è fluito ai piedi delle Piramidi, lasciando nella sabbia alcuni fossili marini, per lo più conchiglie… Quindi, le ipotesi posso essere soltanto due: 1) In epoche remotissime il mare occupava la Piana di Giza; 2) Esisteva un condotto artificiale/naturale proveniente dal Mediterraneo o dalla regione del Fayyum, collegato al Mar Rosso, funzionale ai monumenti costruiti in loco. Accertata, quindi , la plausibilità dell’ipotesi, dovevamo individuare i riferimenti monumentali che confermavano lo sforzo profuso per convogliare acqua dal Mediterra-neo, o dal Fayyum, verso Giza. E l’unica risposta era un… bacino artificiale! Come nel cielo di Giza, nel 36.420 a.C., la Costellazione del Leone è in opposizione a quella dell’Acquario – ri-spettivamente posizionate, con precisione assoluta, all’Est e all’Ovest della Volta Celeste - così la Sfinge do-veva essere in opposizione al Bacino artificiale, costruito per raccogliere l’acqua del mare. Utilizzando una proporzione matematica, possiamo af-fermare che: il Leone sta alla Sfinge come l’Acquario sta al Bacino artificiale… Ecco dov’era l’errore commesso, inconsapevolmente, da-gli Egizi dinastici… un errore di memoria… di cronache tramandate nel corso dei millenni e modificate nel tem-po… Non ci sono due Sfingi sulla Piana di Giza, e non avreb-bero mai potuto esserci, poiché se i costruttori si sono ispirati alla Volta Celeste, riproducendo fedelmente le costellazioni, non avrebbero potuto commettere l’errore di posizionarvi due Leoni!

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Ma dove trovare il bacino artificiale corrispondente alla costellazione dell’acquario? La Sfinge dista circa 663 metri dal vertice e quindi dal centro della Seconda Piramide, con una direzione di circa 277,5° NW. Proseguendo verso Ovest con pari angola-zione e alla stessa distanza dal vertice della Piramide, ci troviamo esattamente su un promontorio roccioso, in prossimità della Tomba degli Uccelli. La Tomba, nota anche con la sigla NC2, è stata oggetto di una controversia dialettica tra Andrew Collins e Zahi Hawass poiché, mentre il primo ritiene che i condotti e le camere all’interno siano di fattura naturale, il secondo, viceversa, ritiene siano state scavate dall’uomo. L’archeologia ufficiale destina questa enigmatica costru-zione a luogo in cui venivano seppellite le mummie degli uccelli sacri agli Egizi, in epoca dinastica. Tuttavia, la struttura esterna e i condotti che da essa derivano, mo-strerebbero che questa tomba, in realtà, sarebbe molto più antica di quanto si possa immaginare e considerando i blocchi presenti all’ingresso, ci sembra quantomeno inevitabile associarli ai megaliti formanti i templi a valle della Sfinge… quindi, risalirebbero esattamente allo stes-so periodo storico. In quel punto esatto, i costruttori di Giza avevano com-piuto la “Quarta Meraviglia” del complesso (dopo la Sfinge, le Piramidi, la parte inferiore della Tomba di Khentkaus), costruendo la costellazione dell’Acquario… ovvero il bacino artificiale contente acqua salata, dispo-sto esattamente in un punto non visibile da Giza, e stabi-lendo il suo centro ad Ovest, con ingresso esattamente a Nord. All’interno della Tomba degli Uccelli, inoltre, sono stati notati una serie di condotti, direzionati in vari punti del-la Piana, fino ai piedi delle Piramidi. Essi non sono stati

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mai esplorati, poiché ancora ostruiti e, in alcuni punti, anche pericolanti. Tuttavia, Andrew Collins, che ha de-dicato molto tempo allo studio della conformazione geo-logica del sito, ha notato alcuni particolari davvero intri-ganti. In primis, le rocce all’interno della Tomba presen-tano ampie tracce di erosione di acqua, la qualcosa con-fermerebbe l’ipotesi che sia servita per contenere il pre-zioso liquido. Ma c’è un elemento che riteniamo assolu-tamente straordinario, ai fini della nostra trattazione. Ad un preciso quesito che abbiamo posto, all’autorevole ri-cercatore britannico - in occasione della Conferenza In-ternazionale di Pescara, nel 2011 – ovvero, se all’interno della Tomba avesse rilevato tracce di calcio e di sodio, Collins ha risposto con un deciso: “Yes”. Questo dato è fondamentale e dimostra, intrinsecamente, che la Tomba degli Uccelli non è altro che l’Acquario, controparte del Leone.

La Quinta Divisione della Duat, quindi, presenta un ele-mento in dissonanza, rispetto a quanto in realtà è stato progettato nell’Epoca d’Oro degli Dèi, che gli studiosi hanno interpretato, successivamente, come espressione

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di “dualità”. Hawass, sostiene che sono stati effettuati degli scavi, nella parte occidentale del complesso mo-numentale, con esiti sostanzialmente negativi ed ha escluso – con assoluta certezza – che ad ovest ci sia una seconda Sfinge. L’inghippo, tuttavia, è determinato pro-prio dal fatto che gli sforzi sono stati diretti a rilevare l’esistenza di un corpo leonino e non di un… recinto… e soprattutto, non hanno scavato lì, dove avrebbero dovu-to! Al momento, gli unici elementi disponibili, fin quan-do non ci sarà la possibilità di eseguire ulteriori appro-fondimenti, sono dati dalla conformazione geologica del-la zona interessata. Ad Ovest delle Piramidi, il sottosuolo conferma che ci sono le condizioni giuste per poter ospi-tare un bacino idrico. Peraltro, dagli scavi effettuati nella zona, nei decenni scorsi, sono emersi alcuni reperti che confermerebbero l’esistenza di condotti sotterranei, col-legati al complesso monumentale! A questo punto, non ci rimaneva che comprendere il mo-tivo di tanto sforzo… perchè un Bacino artificiale… per-ché l’Acquario degli dèi… a cosa serviva? Era solo vezzo estetico? I nostri approfondimenti, ci hanno permesso di indivi-duarne la funzione, che esamineremo da qui a qualche paragrafo. L’opera architettonica di Giza, dunque, si era integrata dell’ultimo tassello che ancora attendeva di es-sere “riportato alla luce” e le tracce della sua esistenza, rappresentavano un indizio determinante, per compren-dere l’intero progetto realizzato dagli uomini-dèi.

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Dell’ermetismo delle tre sorelle

questo punto del nostro lavoro, avevamo con-centrato l’attenzione sulle maestose piramidi di Giza, nessuna esclusa… Si, esattamente su tutte e

tre le costruzioni, poiché riteniamo che in esse siano an-cora custodite, sotto forma di scienza, tutte le informa-zioni necessarie a comprendere gli ermetismi della per-duta Civiltà che le ha edificate. L’attenzione sulla Grande Piramide, nel corso degli ulti-mi due secoli, ha permesso di svelare quasi tutti i suoi segreti. Ciò è stato possibile, grazie e soprattutto, alla scoperta dei suoi interni, poiché in tal modo si è potuto risalire fino al cuore del monumento e verificarne la fat-tura, la disposizione e quant’altro necessario ad apprez-zarne il capolavoro. Gli studi sulle caratteristiche esterne del monumento, invece, sono più che note, e la correla-zione con la geofisica del pianeta, con le distanze dal So-le, con la relazione in base alle funzioni di pi-greco e phi-greco, sono soltanto alcuni degli elementi fondamentali sui quali si sono sviluppate tutte le teorie più importanti. Questo è il motivo per cui abbiamo deciso di spostare il tiro sulle altre due costruzioni - sulla Seconda e Terza Pi-ramide - che custodiscono, ancora integri, i propri am-bienti interni. Esse sono strettamente intercorrelate, nel senso che, il funzionamento dell’intero complesso, da un punto di vista squisitamente scientifico, basato sulla produzione di energia, non può prescindere da nessuna delle costruzioni di Giza. Il pacchetto era completo! E il funzionamento dipendeva esclusivamente dalla perfe-zione tecnica di tutti i monumenti! Purtroppo, la verifica funzionale è praticamente impos-sibile, poiché la ripartizione degli ambienti interni delle

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altre due costruzioni, è completamente sconosciuta. Quindi, gli indizi andavano ricercati all’esterno dei mo-numenti, poiché, se la Grande Piramide ha rivelato al mondo parte dei suoi segreti attraverso i numeri, la stes-sa cosa doveva essere per le altre due… Così, come due emeriti fachiri, in una torrida giornata estiva, con un caldo davvero asfissiante, ci siamo messi a lavorare sulla Seconda e Terza Piramide, alla ricerca di indizi numerici che potessero indicarci la strada da se-guire e, nel contempo, verificare la presenza di qualche celato ermetismo, sul quale lavorare, per raggiungere l’obbiettivo auspicato. Prima di entrare nel merito, ci piace ricordare come, pro-prio in quel periodo, in una delle nostre piacevoli con-versazioni con Jean Paul Bauval, abbiamo discusso pro-prio di un argomento simile, basato sull’analisi delle di-mensioni dei monumenti. Jean Paul sta lavorando ad un progetto particolarmente ambizioso ed importante, che riguarda la Grande Piramide, “leggendo” il monumento in chiave numerica… ed i risultati che sta conseguendo, sono davvero degni di nota. Ed è proprio in seguito alla nostra chiacchierata con JP, che abbiamo gettato le basi per quello che leggerete da qui a qualche momento. La metodologia utilizzata, in questo caso, è basata solo ed esclusivamente sull’acquisizione dei dati relativi alle misure dei monumenti nonché, alle eventuali connessio-ni scientifiche con alcuni aspetti delle loro risultanze proporzionali. Questa procedura ci avrebbe permesso di dimostrare l’eventuale esistenza di un rapporto numeri-co, in grado di svelare misteri ancora ignoti. Così, per da-re un senso concreto alla ricerca, il primo passo che ab-biamo compiuto, è stato quello di riportare tutti i valori numerici, legati alle dimensioni esterne delle piramidi, in cubiti reali.

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“Dobbiamo entrare nella mente del serial killer”… que-sto era il motto che ci animava, in quel preciso momen-to… e per farlo avremmo dovuto cominciare a ragionare allo stesso modo, di chi ha sviluppato quel grandioso progetto! Nella tabella che segue, sono riportate le misure dei tre monumenti espressi in metri (valori inseriti nella colonna b) e in cubiti reali (nella colonna c). Quindi, considerando che il rapporto tra Cubito Egizio e Metro corrisponde ad un valore di 0,523 si ricavano le dimensioni indicate:

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Mt

(b)

Cubito R.

(c)

Base 230,33 440,40

Altezza 146,60 280,31

Chefren Mt Cubito R.

Base 215,25 411,00

Altezza 143,50 274,00

Micerino Mt Cubito R.

Base 103,55 197,99

Altezza 65,50 125,24

Questo primo punto, ci ha permesso di ragionare sulle misure originali, con la prospettiva di compiere un ulte-riore passo in avanti, con la certezza che avremmo scova-to l’indizio che ci avrebbe condotto al cospetto di un se-greto millenario. Eravamo stranamente tranquilli quel giorno e, nonostante il caldo, fortemente motivati a pro-cedere senza indugio… sapevamo che stavamo cercando il classico ago nel pagliaio e, ancor peggio, non ne cono-scevamo neppure… la forma e la fattura! Insomma, era una ricerca al buio, niente aspettative ma solo interessata “curiosità”, per vedere cosa veniva fuori dal semplicis-simo procedimento di semplificazione dei valori. Ecco

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quale sarebbe stato il secondo passo: la semplificazione dei valori numerici dati dalle dimensioni dei monumenti, nonché i rapporti proporzionali tra base ed altezza. Per avere un punto di riferimento, ci siamo inoltrati nel cam-po di ricerca di Jean Paul, che sulla Grande Piramide aveva già ottenuto dati interessanti, rilevando un rappor-to tra base ed altezza, impostato su due numeri primi: il numero 11 per la base ed il numero 7 per l’altezza. Nella tabella che segue, è possibile notare il rapporto proporzionale derivante dalla semplificazione dei valori in cubito reale egizio, relativamente alla Grande Pirami-de:

Cubito R. Proporzioni

Cheope 440,40 11

280,31 7

Questo dato, apparentemente privo di senso, ci stava in-dicando che i costruttori avevano pianificato la realizza-zione dei monumenti, basandosi su principi “esoterica-mente” rilevanti, poiché entrambi i numeri di origine delle dimensioni della Piramide esprimevano, intrinse-camente, significati sufficientemente profondi da pro-spettare un incontro con la sapienza più evoluta. La se-conda operazione di verifica, abbiamo deciso di farla sul-la Terza Piramide. In realtà, non c’era alcun motivo alla base della nostra decisione di saltare la Seconda; siamo stati spinti semplicemente da un impulso inconscio… La Terza Piramide, o di Micerino, è una delle strutture più interessanti del complesso di Giza, poiché, nelle dimen-sioni e nei materiali da costruzione, è assolutamente di-versa dalle altre… decisamente più piccola nelle misure e per giunta, parte della sua struttura esterna è composta da blocchi di granito, materiale che, nelle altre due, è ri-

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servato solo ad alcuni interni. Una particolarità davvero interessante ma, anche in questo caso, funzionale all’intero processo per cui sono state realizzate. Applicando la stessa metodologia descritta per la pira-mide di Cheope, abbiamo ottenuto i seguenti rapporti proporzionali:

Mis. C/R Proporzioni

Micerino 197,99 11

125,24 5

I valori riportati in tabella, indicano dei risultati davvero affascinanti: innanzitutto, il rapporto di base è uguale a quello della Grande Piramide, mentre l’altezza esprime un altro numero primo, il cinque… ancora una volta era-vamo in presenza di un numero che, “esotericamente”, ha un valore particolarmente rilevante e che esaminere-mo da qui a breve… A questo punto, non ci rimaneva che ridimensionare l’ultima piramide rimasta in sospeso. Una struttura mae-stosa quanto la Grande Piramide, che custodisce gli inte-ressantissimi elementi strutturali che l’hanno resa famosa nel tempo. Una delle sue peculiarità, infatti, è la copertu-ra in pietra calcarea che ancora avvolge la punta. Un monumento di circa 143 metri di altezza che custodisce, ancora intatti, i suoi ambienti interni. Dovevamo compiere l’ultimo passo, quindi, per avere una visione d’insieme dei rapporti proporzionali, così da poter procedere ad una comparazione e ad un esame ap-profondito, ormai certi che avremmo ricavato qualche elemento d’interesse, ai fini della nostra ricerca. Nella tabella che segue, i valori restituiti dalla Seconda Piramide:

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Mis. C/R Proporzioni

Chefren 411,00 137

274,00 137

Se avessimo voluto immaginarci in un fumetto, le nostre figure sarebbero state avvolte dalle classiche nuvolette con una decina di punti interrogativi! Il risultato ottenuto dai calcoli proporzionali sulla seconda piramide, non aveva niente a che fare con i precedenti, eppure non ave-vamo sbagliato… Quel numero era sicuramente il “mes-saggio esoterico” da decifrare… cosa ci stava dicendo Chefren? Il nostro entusiasmo stava pian piano lasciando il campo a sensazioni sempre meno esaltanti… avevamo trovato “l’ago”, ma come utilizzarlo per i nostri scopi? Abbiamo trascorso il giorno successivo, in compagnia di due carissimi amici: Eva e Walter. E’ sempre un grande piacere chiacchierare con loro, in particolare perché li sentiamo parte integrante della famiglia. E’ alquanto dif-ficile, di questi tempi, trovare le persone giuste che esprimono energie positive… e loro sono un’eccezione alla regola. Così, tra una battuta e l’altra, ci hanno posto la classica domanda su come procedevano le nostre ri-cerche e quali erano le novità sul sito di Giza. Chi ci co-nosce, sa benissimo che, porci un quesito del genere, può essere molto “pericoloso”, poiché se cominciamo a di-squisire sull’argomento, rischiamo di tirare diritto fino a notte, abbattendo tutte le barriere, compresa quella della noia… Ed è stato proprio quel giorno, mentre si discute-va del “messaggio della Seconda Piramide”, che una luce si è accesa nella nostra mente… La risposta era da ricer-care nella matematica! Senza esitazione alcuna, abbiamo riacceso il nostro computer e riaperto il nostro database, contenente tutti i procedimenti sulla ricostruzione dei

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rapporti proporzionali dei monumenti… e ci siamo mes-si all’opera! La funzione enumerativa dei primi o funzione pi-greco sui positivi, è un semplicissimo procedimento per de-terminare la quantità di numeri primi che precedono un dato valore. Inoltre, a dispetto del nome attribuito alla funzione, il pi-greco non c’entra nulla! Ce ne siamo serviti come intuitivo punto di partenza per decrittare il “messaggio 137”, restituito dalla Seconda Pi-ramide. Le altre, infatti, avevano espresso valori numeri-ci coerenti… legati ai primi quattro numeri primi della Tabella matematica di riferimento. Che la Seconda Pira-mide esprimesse un valore così particolare, apparente-mente in nessuna correlazione con le altre strutture, era sicuramente un controsenso… Eravamo certi che, utiliz-zando quella funzione matematica, avremmo trovato la risposta che ci attendevamo. Come sospettavamo, è bastata una rapida occhiata alla sequenza lineare dei primi ed ecco svelato il mistero di Chefren…! Il valore della funzione enumerativa di 137 è esattamente… 33! Ovvero, tradotto in proporzioni: 11 e 3! Ancora una volta due numeri primi… ancora una vol-ta il rapporto di base 11… ancora un numero primo infe-riore a 11… ancora un numero che, unito agli altri, pro-pone la sequenza: 3 – 5 – 7 – 11…! I primi quattro numeri primi della Tabella venivano riproposti, nelle proporzio-ni delle piramidi, con una costante 11 di base e valori al-ternati nelle altezze, con la particolarità che, Chefren, esprimeva un valore, al medesimo tempo, proporzionale ed inversamente proporzionale, a se stesso! Come se fos-se una struttura, la cui funzione, aveva una duplice dire-zione: “dal basso verso l’alto e dall’alto verso il basso”… “come sopra, sotto”… “lo specchio del cielo”!

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Il raggiungimento di questo risultato era assolutamente straordinario, anche se al momento si limitava a chiarire semplicemente i valori proporzionali dei monumenti. Un altro tassello fondamentale era però stato aggiunto; il messaggio cifrato della seconda piramide aveva aperto un’ulteriore campo di studi in cui eravamo costretti a doverci cimentare, per comprendere la complessità del Progetto Giza…La ricerca ci “imponeva” vie a senso unico, in un ordinato amalgama di scienza e magia, dan-doci la possibilità di comprendere quanto la Babele acca-demica sia di misero aiuto alla comprensione della verità storica. Gli dei ci suggerivano, adesso, di volgere il no-stro sguardo nei misteri della Qabalà…

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Della Scienza della Qabalà

rovarsi, profani, di fronte alla sacralità del 137, è stato come per un bambino entrare per la prima volta in un Luna Park… Avidi e stupiti, ci siamo

crogiolati per ore nelle descrizioni di questo numero, che spaziavano dalla Scienza più all’avanguardia alla Qaba-là; dalla spicciola numerologia agli Archetipi; dalla filo-sofia Orientale alle stelle… Abbiamo provato un’intensa emozione leggendo le parole di Leon Lederman riportate nel libro "La particella di Dio". A pagina 32 - l'autore, premio Nobel per la fisica nel 1988 e direttore del Fermi-lab, il più grande acceleratore di particelle degli Stati Uniti - racconta di come, per un certo periodo, avesse abitato in una casa il cui numero civico era 137. In realtà era stato lui stesso a scegliere di mettere quel numero sulla sua casa, dato che si trattava di una fattoria isolata in campagna. Così continua: "Fu Richard Feynman, infatti, a suggerire che tutti i fisici affiggessero una targhetta nei loro uffici e nelle loro abitazioni per ricordarci di quanto poco sap-piamo. Sulla targhetta non ci sarebbe stato altro che questo: 137. Ora, 137 è l'inverso di una cosa chiamata "costante di struttura fine". Questo numero è in relazione con la probabili-tà che un elettrone possa emettere o assorbire un fotone. La co-stante di struttura fine risponde anche al nome di costante alfa, e corrisponde al quadrato della carica dell'elettrone diviso per la velocità della luce moltiplicato per la costante di Planck. L'unico significato di tale sproloquio è che questo numero, 137, contiene l'essenziale dell'elettromagnetismo (l'elettrone), della relatività (la velocità della luce) e della teoria dei quanti (la co-stante di Planck). Sarebbe meno sconvolgente se il rapporto tra tutti questi importanti concetti risultasse pari a 1 o a 3 o, forse, ad un multiplo di pi greco. Ma 137?”

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L’interessantissimo articolo continuava dicendo che il 137 è un numero puro, ciò significa che non ha dimen-sioni e significa anche che, un qualunque essere, in qua-lunque parte dell’Universo, utilizzando proprie unità di misura per l’elettromagnetismo, per la velocità della Lu-ce e per la costante di Planck, otterrebbe sempre e co-munque il numero 137…! Ora, vi chiediamo di accompagnarci all’interno del Luna Park e salire con noi sulle montagne russe, alla ricerca del significato cabalistico-esoterico del numero di Dio… Nella Qabalà esso è la sequenza: Quf-Beit-Lamed-Hey ovvero 100 - 2 - 30 - 5 - Quf o Kaf è la lettera ebraica che negli archetipi ha il significato di “penetrare”, quindi entrare, varca-re.

- Beit o Beth è la casa di Dio. - Lamed è l’archetipo per la funzione “misura”. - Hey o Hè significa Vita…

“Entrare nella casa divina della misura della vita”! Questo c’era scritto nei numeri della Seconda Piramide! Siamo giunti alla cima della “montagna”… il trenino sta avanzando lentamente e la pendenza è vertiginosa… preparatevi alla discesa ad incredibile velocità:

Quello che potete vedere sopra sono le lettere ebraiche che servono per scrivere il significato del numero 137 ed esso è: Qabbalà!!! Questo numero ha in sé la rivelazione intera ed indica, come dice la parola che lo vocalizza, l’atto del ricevere. Chi ha ricevuto la Qabbalà, ha ottenuto la conoscenza dell’Antica Tradizione, da Adamo ad oggi…dell’Albero della Vita.

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Ecco: ancora una volta la nostra sensazione, arrivati a questo punto, era quella di trovarci, spaesati e increduli, alla fine di una folla corsa nel trenino delle montagne russe! Era giunto il momento di esaminare la correlazione delle lettere sopra citate con i numeri corrispondenti e il loro significato cabalistico-esoterico. Il numero 100 è il quadrato del 10, dunque riveste un’importanza particolare nella cultura pitagorica, in cui veniva considerato numero divino proprio per la sua de-rivazione dal 10… è la completezza, l’uno nello zero ov-vero l’unità nell’universo. Cabalisticamente il 100 è asso-ciato alla Santità, all’ideale di essere al di sopra del bene e del male, allo spirito puro che può elevarsi a vertigino-se altezze o scendere nelle più oscure profondità degli in-feri, rimanendo illeso, incondizionabile dagli eventi, pu-ro e libero. Determina quindi il ciclo che si compie per ripetersi… per ricominciare. Nell’11, l’uno dopo il dieci, l’associazione si compie con la stessa lettera dell’alfabeto ebraico: la Kaf. Il secondo numero appartenente alla relazione cabalisti-ca numero-lettera, che compone il valore 137, è il 2. E’ primariamente espressione della dualità, di quegli oppo-sti che, unendosi, formano la triade, il prodotto dell’unità che diviene, in tal modo, manifesta. In lettere ebraiche è la Beth, la seconda nell’alfabeto, che indica la Casa di Dio. E’ il contenitore, la matrice universale che contiene la forma; è l’utero materno che contiene il tre, il figlio dell’unione degli opposti, destinato a manifestare l’unità nella tridimensionalità. Beth è il Graal, il contenitore sa-cro del Sangue di Cristo. Nella cultura orientale è asso-ciato al secondo chakra, quello dell’energia sessuale, del-la creazione materiale, ovvero la matrice dove si forma la vita terrena.

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Proseguendo, ci troviamo di fronte il 30. L’esoterismo non dice granché di questo numero, ma è sicuramente importante rilevare che, nell’ordine seguito finora, a par-te gli zeri, abbiamo il tre nella sua giusta posizione dopo l’uno e il due, quindi potremmo definirlo come il prodot-to, la risultante, dei primi due. Esso diviene così un nu-mero rilevante al pari dei precedenti, in quanto espres-sione della trinità manifesta, associato alla funzione ar-chetipale di rotazione, dunque al ciclo della vita-morte-vita al quale ogni cosa vivente è sottoposta in questa di-mensione. Tre è il numero geometrico del tetraedro, la forma molecolare di base, al quale viene associato il no-me di Dio… Dunque, fin qui abbiamo i primi tre numeri che, con l’eccezione del primo pari a 100 anziché uno, ri-chiamano alla discesa dello Spirito nella terrena dimen-sione e alla sua conseguente manifestazione, attraverso l’unione degli opposti. Vorremmo precisare che, nono-stante la nostra mente sia abituata a pensare agli opposti quasi sempre in termini di maschio-femmina, in questo caso è consigliabile ampliare la veduta e considerare ogni piccola o grande forza o essere facente parte della tridi-mensionalità: esistono, infatti, due forze contrarie e uguali in fisica che si “uniscono” per formare l’equilibrio (immaginiamo ad esempio i due piatti della bilancia con lo stesso peso in entrambi); in chimica il nucleo atomico è formato dallo stesso numero di protoni e neutroni, con cariche opposte, sempre con lo scopo di rendere equili-brio all’atomo stesso; nella lampadina, due filamenti con carica opposta (+ e -) danno origine, unendosi, alla luce elettrica… Leggevamo e silenziosamente commentava-mo, ognuno nel proprio essere interiore, le notizie che bombardavano la nostra mente… entrambi, avvertiva-mo, sempre più forte, la sensazione di trovarci di fronte a qualcosa di straordinario, che non sapevamo come chia-

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mare per dargli il nome giusto, ma che ci conduceva, per mano, fino alle origini del mondo conosciuto… Anche senza parole, potevamo percepire l’uno l’emozione dell’altro, la gravità dettata dall’enorme potere che vede-vamo dischiudersi davanti ai nostri occhi increduli… Il significato dell’ultimo numero identificante, cabalisti-camente, il 137, non poteva che mettere la ciliegina sulla torta alle interpretazioni precedenti; l’ovvio epilogo della rivelazione! Il 5 ha aperto le sue pagine e ci ha raccontato la storia dell’uomo divenuto se stesso, quell’immagine a somi-glianza divina che ha preso forma e si è evoluta fino alla sua massima espressione. Il cinque è l’essere mediano tra la terra e il cielo, non ancora dio ma perfettamente uomo. Nell’archetipo è la E’, l’espressione della vita, grafica-mente simboleggiato dall’ Albero posto al centro dell’universo, tramandato come quell’Albero dal quale Adamo trasse la conoscenza del segreto della vita. E, az-zardando, ci viene spontanea l’associazione con lo Zed della Grande Piramide… Forse l’Adamo aveva scoperto il segreto della Piramide, attraverso il funzionamento di quell’albero, innalzato nell’ombelico del mondo? Tramandato fino a noi come il numero del pentacolo, della geometria sacra che forma la Stella a cinque punte, questo numero-simbolo è stato screditato nel tempo dalla religione, forse proprio perché custode di una verità in-trinseca alla conoscenza e scomoda per chi vuole conti-nuare a detenere il potere sulla creazione. La famosa stel-la era all’origine espressione dell’Amore, della femmini-lità, matrice creativa che unisce i cinque elementi presen-ti nella nostra dimensione. Terra, acqua, fuoco, aria, etere o spirito formano la completezza della vita, l’intero pro-cesso del microcosmo nel macrocosmo. Sono cinque le dita della mano umana, cinque i petali di moltissimi fiori,

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cinque i lobi di molte essenze vegetali, cinque i sensi che ci permettono di interagire nella dimensione fisica… E ancora… è il numero associato alla lettera V, quindi alla costellazione del Toro, quindi alla manifestazione della dea Iside in quanto Hator, madre di Horus, al quale è an-cora associato lo stesso numero. Potremmo continuare con analogie e correlazioni, ma, per la nostra trattazione, l’importanza primaria era che avevamo ottenuto confer-ma a ciò che sospettavamo da sempre: la Piana di Giza, con le sue colossali e misteriose costruzioni, conduce l’uomo alla verità riguardante le proprie origini. Una ve-rità che contiene in sé le fattezze dell’Assoluto, perché unione di Scienza e Fede, di Terra e Cielo… E’ l’apoteosi della conoscenza nella sua interezza! Quando, nel bel mezzo di una ricerca, ci si imbatte in co-sì tante nozioni interessanti tutte insieme, viene fame… letteralmente! Così, per festeggiare rilassandoci, e soprat-tutto per dare ragione al nostro stomaco, che reclamava il suo pane quotidiano, dopo ore di letture e sincronismi, decidemmo di staccare la spina e andare a mangiarci una bella pizza. Chi tra di voi lettori segue un lavoro di ricer-ca, sa che è pressoché impossibile fermare i pensieri, quando hanno iniziato il loro corso in una direzione. Co-sì, tra fili di mozzarella e sorsi di birra schiumante, ab-biamo continuato la nostra conversazione sull’argomento che ci stava così a cuore: il rapporto scienza-filosofia esi-stente tra le megalitiche mura della Piana di Giza. Nei rapporti tra base ed altezza delle tre sorelle, descritti nel paragrafo precedente, oltre al “miracoloso” 137 erano apparsi altri numeri significativi cioè il 3 e il 5, che ab-biamo ampiamente analizzato, il 7 e l’11. Per completez-za d’indagine, anche su questi era necessaria una scan-sione approfondita, sul loro significato filosofico, per da-re corpo unico al vociare degli ambienti di ricerca indi-

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pendente che vogliono, le costruzioni più famose del mondo, una sintesi di scienza e filosofia ermetica. Sulle proprietà del numero 7 si potrebbe scrivere un intero trattato; ci limiteremo qui ad analizzare solo gli aspetti più significativi, relativamente al nostro ambito di ricer-ca. Partendo sempre dalla conoscenza cabalistica, abbia-mo la Zain quale settima lettera dell’alfabeto ebraico. Es-sa indica la funzione di eternità, della vittoria sul tempo e ci fa tornare in mente l’antico detto egiziano che vuole quest’ultimo timoroso delle Piramidi, come se esse rap-presentassero qualcosa in grado di fermare o “giocare” con il concetto di tempo. E 7 è anche l’uomo–dio, che una volta diventato Uomo, prosegue la sua evoluzione nelle dimensioni dello spirito, fino a raggiungere Keter, la sommità dell’umana forma e congiungersi con essa nella dimensione spirituale. Ancora una volta, gli antichi egizi ci suggeriscono un particolare paragone, riportandoci al-la mente il famoso passo del Libro dei Morti in cui Osiri-de e Ra si abbracciano, all’interno della Camera del Re, posta nell’ambiente superiore (Keter) della Grande Pira-mide, e divengono anime gemelle. E proprio nella pro-porzione tra base e altezza del colosso attribuito a Cheo-pe, esiste questo numero… che è in relazione strettissima con i sette chakra del corpo aurico umano, dislocati lun-go la colonna vertebrale. Il suo concetto ermetico si svi-luppa, parallelamente alla denominazione attribuita alla torre Zed, inserita al vertice della Piramide e chiamata fi-losoficamente Colonna vertebrale di Osiride. L’altro nu-mero intrinseco alla stessa costruzione è l’11, di cui, nel bene e nel male, è stato scritto e detto al pari del prece-dente. L’undici è l’uno dopo il dieci, l’Aleph dopo Tau, il Principio dopo il Compimento. E’ il nuovo inizio, quan-do un ciclo è stato compiuto, cioè portato a termine con perizia e il tutto torna nelle acque primordiali

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dell’Oceano del Nun, dal quale, ancora e ancora, può tornare pensiero e forma… Nella Qabbalà incontriamo, ancora una volta, la lettera Kaf associata al numero 11 e ancora una volta dobbiamo pensare a qualcosa che permette di entrare, di varcare una soglia che, considerando insieme i due valori di base e altezza della Grande Piramide, possiamo riassumere come “ingresso nell’eternità”. E’ davvero affascinante il modo in cui i nostri predecessori siano riusciti a “raccon-tare” numeri e loro funzioni, racchiudendoli nelle filoso-fie ermetiche di tutti i tempi e tutti i luoghi della Terra. Ancora più affascinante è l’idea, che prende forma sem-pre più concreta, di trovarsi al cospetto di opere architet-toniche, uniche custodi del sapere originario. Chiunque vede le Piramidi di Giza per la prima volta, dal vero o so-lo in fotografia, ne rimane oltremodo affascinato… e ac-cade che qualcosa viene trasmesso all’ignaro visitatore, poiché, consciamente o meno, non potrà più liberarsi di un’idea: cosa rappresentino, in realtà, quegli incredibili colossi di pietra… Nessun altro sito archeologico sulla faccia della Terra, ha mai suscitato tanta corsa alla ricer-ca, in tutti i campi della scienza, come la sabbiosa Piana di Giza. Noi riteniamo - essendo parte integrante, ormai per obbligata assimilazione, dei megaliti in oggetto - che in esse sia presente da sempre una sorta di energia al di là della scientifica spiegazione. Essa funge da calamita per lo spirito e cattura il cuore e l’Anima dell’uomo, per condurlo alle origini di se stesso… Le tre montagne arti-ficiali, dunque, contengono l’intero Libro della Creazio-ne.

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Della danza del Nilo

ualche tempo fa, avevamo deciso di passare la no-stra serata, guardando un documentario diretto e prodotto da Carmen Boulter, professoressa di

Educazione alla Ricerca, presso l’Università di Calgary, in Canada. Alla trasmissione, interamente realizzata in Egitto, hanno preso parte, tra gli altri, John Burke, Abdel Hakim Awyan e John Anthony West. Il documentario aveva un titolo meravigliosamente eloquente: “The Py-ramid Code: High Level of Technology”, ed era incentra-to sull’ipotesi dell’esistenza di una Civiltà, precedente all’Egitto Dinastico, che aveva realizzato il Progetto Giza, basandosi su processi scientifici e tecnologici sconosciuti. Ovviamente, l’argomento ci aveva colpito in maniera particolare, poiché si avvicinava molto all’esperienza di ricerca che stavamo conducendo, proprio in quel perio-do. In particolare, Hakim Awyan, aveva attirato la nostra at-tenzione, poiché fortemente convinto che, le strutture pi-ramidali, avessero una funzione intimamente collegata all’interazione con le Energie Universali. Hakim, egizia-no di Nazlet El Saman, è scomparso nell’agosto del 2008, ed è stato uno dei più importanti egittologi egiziani indi-pendenti, del nostro recente passato. Fine conoscitore dei luoghi più misteriosi dell’Antico Egitto, ha costantemen-te dedicato la sua attenzione alla reale funzione dei mo-numenti, al di là delle convenzionali posizioni dell’Egittologia ufficiale. Hakim ha sempre sostenuto - sulla base di approfonditi studi, frutto di periodiche ri-cerche sul campo - che l’Antico Egitto era custode di ec-cezionali Saperi, ereditati da Civiltà remote. Secondo Hakim, queste conoscenze furono tramandate oralmente

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per generazioni, fino ad essere definitivamente impresse nelle arti e nelle architetture di epoca dinastica. Ed il filo conduttore di questa eredità ancestrale era costantemen-te condizionato da uno spasmodico richiamo all’Energia, intesa nell’accezione più ampia del termine. Queste considerazioni, per ovvi motivi, non facevano al-tro che confermare l’esattezza della metodologia di ana-lisi che stavamo seguendo. Tuttavia, nonostante l’enorme sforzo profuso dai protagonisti del documentario, era evidente che, le conclusioni, distavano anni luce dalle dinamiche scientifiche, custodite nei monumenti di Giza. In ogni caso, il lavoro presentato dalla professoressa Carmen Boulter, ha contribuito in maniera notevole allo sviluppo delle nostre ricerche… soprattutto, se riferite al-la funzione dei condotti sotterranei che – manifestamente - si congiungono alle Piramidi. Chiarirne l’esatta funzio-ne era un passaggio necessario per la ricostruzione dell’intero processo scientifico a cui ci stavamo accin-gendo. Abdel Hakim Awyan conosceva molto bene la confor-mazione del sottosuolo di Giza e, in particolare, quello nei pressi della Grande Piramide. John Burke, a sua volta, aveva presentato uno studio sul-la funzione del cosiddetto “acquifero”, risultante da una conformazione naturale del sottosuolo. In epoca remota, una Civiltà evoluta aveva sfruttato quelle condizioni na-turali per adeguarle al Progetto, con il chiaro intento di convogliare l’energia del Nilo – grazie al suo ciclico “movimento” delle acque, nelle cavità sotterranee – in direzione delle Piramidi. Entrambi i ricercatori - facendo espresso riferimento ad altri famosi siti archeologici, qua-li Stonehenge, il tempio di Abydos o alcuni siti mesoa-mericani - mettevano in evidenza l’imprescindibile corre-lazione tra monumenti e acqua, soffermandosi sulla par-

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ticolarità degli “acquiferi in pietra calcarea”, presenti nel sottosuolo di Giza. Un acquifero è formato da uno strato sotterraneo di rocce porose, destinato ad essere “allagato” ogni qualvolta ci si trova in presenza di precipitazioni piovose, oppure quando i fiumi sono in piena. In questo caso, l’acqua co-mincia a defluire nel sottosuolo, invadendo tutti gli spazi vuoti e generando un particolare movimento che produ-ce delle cariche elettriche di bassissima tensione. Le cari-che elettriche così prodotte - secondo alcune sperimenta-zioni effettuate da John Burke - finiscono per interagire, in quel dato punto, con il Campo Magnetico Terrestre, con il risultato di definire un’intensità costante. Il parti-colare più interessante è rappresentato dall’effetto pro-dotto dal movimento delle acque nei condotti sotterranei, poiché da esso si produce aria ionizzata, ovvero caratte-rizzata da una specifica carica elettrica. Il Nilo riproduce, armonicamente, questo processo os-servato da Burke in laboratorio, grazie al costante movi-mento, dovuto ai periodici stati di piena. Questo è il mo-tivo per cui, il Sacro Fiume, era funzionale alla Grande Piramide… poiché esercitava un processo fisico che inte-ragiva con gli elementi sotterranei del monumento. Ma in che modo? Immaginiamo di trovarci in presenza di una serie di condotti vuoti, tra loro collegati, i quali, in un dato mo-mento, sono riempiti da un flusso abbondante di acqua. La spinta del liquido genera, ovviamente, una pressione interna che carica elettricamente l’aria, a sua volta spinta verso le parti più estreme dei condotti, fino a raggiunge-re il punto di saturazione. Ora, nel caso in cui non ci sia-no punti di sfogo, il fenomeno fisico è contenuto nei limi-ti del sistema di condotti, viceversa, in presenza di un

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“punto di fuga”, l’aria ionizzata viene spinta violente-mente verso quel punto. Quindi la domanda è: esiste un punto di fuga che possa essere funzionale al fenomeno descritto e sia in intima correlazione con la Grande Piramide? La risposta è… si!!! Il punto di “sfogo” è esattamente nel sottosuolo di Giza tra l’acquifero e la Camera Sotterranea… ovvero, il Poz-zo. Questo condotto è sempre stato un cruccio per gli Egitto-logi che non sono mai riusciti a chiarire, esaustivamente, la reale funzione a cui era stato destinato al momento della realizzazione dell’opera. Sappiamo, infatti, dall’Egittologia Ufficiale, che il condotto sarebbe stato scavato per depositare i detriti di lavorazione della Ca-mera Sotterranea e che, quindi, non avrebbe avuto una funzione “rituale” al complesso monumentale.

(sezione della Camera sotterranea e del Pozzo) Eppure, se volessimo utilizzare un minimo di logica, ci sembra alquanto bizzarro impegnare manodopera nella

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realizzazione di un pozzo di scarico, interamente scavato nella roccia, solo per smaltire i materiali di risulta. A quei tempi, senza utensili adeguati, scavare un buco di due metri di diametro e 18 di profondità (misurazione at-tualmente proposta ufficialmente) sarebbe stata un’impresa improba. Del resto, non sarebbe stato meno faticoso portare pazientemente i detriti all’esterno del monumento, utilizzando il Condotto Discendente? I dubbi, sull’attendibilità delle proposte ufficiali, sono diventati sempre più pressanti, man mano che analizza-vamo alcune caratteristiche del Pozzo e i particolari in esso presenti. Sappiamo che sbuca nel pavimento della Camera Sotter-ranea e - calcolando le distanze dal suo centro - si posi-ziona a circa 2 metri est-ovest e circa 4 metri nord-sud, con un diametro di circa 2,5 metri. Dalla base del pavi-mento, esattamente a circa 3,5 metri di profondità, è stata realizzata un’ampia rientranza, sul cui pavimento è posi-zionato un blocco di granito, perfettamente squadrato. Ora, se il pozzo doveva servire come vano di scarico per detriti, ci sembra strano che gli egizi abbiano realizzato una rientranza, per nulla necessaria alla destinazione d’uso a cui era preposto e - ancora più inutile - è la si-stemazione di un blocco di granito, perfettamente squa-drato, adagiato sulla pavimentazione. Quale altra funzione poteva avere questo complesso così imponente? Attualmente, sappiamo che il pozzo ha una profondità di circa 18 metri, ma alcuni ricercatori ritengono possa con-tinuare ancora più giù nel sottosuolo. Fino a quale profondità? Possiamo solo fare delle supposizioni, ovviamente, ma basate su una logica ben precisa. Tutto il complesso mo-numentale di Giza, ed in particolare la Grande Piramide,

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rispetta le leggi dell’astronomia, ed uno degli elementi di base, è il ciclo della Precessione degli Equinozi. Sappia-mo che l’unità di misura è determinata in base ai gradi di oscillazione dell’asse terrestre che si sposta di un grado ogni 72 anni, per completare un ciclo ogni 26.000 anni circa. Pertanto, nel computo complessivo, l’Uno è rap-presentato dal grado di oscillazione, ovvero dal numero 72. Sappiamo che la Camera Sotterranea si trova esatta-mente a 30 metri di profondità rispetto alla base della Grande Piramide, quindi - conoscendo la maniacale pre-cisione dei costruttori - il Pozzo deve avere una profon-dità di circa 42 metri! Il dato eccezionale è che, dai rile-vamenti effettuati sulla Piana di Giza, l’acquifero si trova esattamente a quella profondità. Pertanto, è evidente che la “valvola di sfogo” di tutto il processo di ionizzazione dell’aria, era esattamente il Pozzo che sbuca nella Camera Sotterranea. L’aria fredda elettrificata, infatti, risaliva su per il Pozzo, spinta dalla pressione dell’acqua – che inondando i con-dotti presenti nel sottosuolo – produceva la giusta ten-sione elettrica, da “inviare” alla Camera Sotterranea. La funzione del blocco di granito, trovato nella rientranza – in realtà, abbiamo seri convincimenti che i blocchi pre-senti fossero in totale tre - è direttamente collegata alle proprietà fisiche della pietra. Conosciamo, infatti, le pro-prietà piezoelettriche del granito ed è noto che la pietra, sottoposta a sollecitazioni costanti di elettricità, assume una funzione simile a quella della “batteria di riserva”, nel caso la ionizzazione dovesse diminuire, a causa degli effetti del moto del Nilo, non sempre regolari. I costruttori avevano trovato un sistema semplice, ma ef-ficace, per mantenere costante il flusso di aria fredda elettrificata, da trasferire all’interno della Camera Sotter-ranea…

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Della stanza dei miracoli

a Camera sotterranea è uno degli ambienti più trascurati dagli egittologi… Essa è stata relegata ad un ruolo sostanzialmente marginale, a causa

del suo apparente stato di abbandono. L’Egittologia uffi-ciale, infatti, ha decretato che la Camera era stata ini-zialmente destinata alla sepoltura del Faraone. Lì, in os-sequio al principio “il corpo alla Terra e l’anima al Cielo”, dovevano essere preservate le spoglie mortali di Cheope. Tuttavia, secondo le teorie ufficiali, il progetto sarebbe stato modificato durante le fasi di edificazione, così da spostare la camera sepolcrale nelle stanze superiori… prima nella cosiddetta Camera della Regina e poi, a se-guito di nuova variante progettuale, nella Camera del Re. Insomma, gli ingegneri hanno avuto proprio un bel da fare, dovendo assecondare le bizzarre fantasie del loro Faraone! E, sicuramente, non doveva esistere l’attuale iter burocratico, altrimenti, con tre varianti in corso d’opera, il povero Cheope avrebbe dovuto attendere - molto oltre i venti anni ufficialmente datati - la propria sepoltura! Ma siamo proprio certi che le cose siano anda-te in questo modo? Prima di rispondere a questa domanda, corre l’obbligo di sottolineare che la versione ufficiale, appena sintetizzata, non si basa su alcuna prova documentale. Non esiste, in-fatti, neanche un reperto che dimostri la validità delle teorie proposte. Ricercare la verità storica è un esercizio di costante ap-plicazione, che prescinde dai luoghi comuni e dagli ste-reotipi a cui siamo stati abituati da sempre. Pertanto, ri-mettere in ordine i tasselli e riproporre una ricostruzione

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oggettiva dei fatti, è il primo dovere per ogni studioso degno di questo nome. E gli Egittologi, in taluni casi, hanno peccato di presunzione, dando per scontate ipote-si prive di ogni fondamento! Noi non siamo assolutamente convinti che la storiella raccontata finora sia effettivamente corretta. Anzi! Rite-niamo sia un puro esercizio di superficialità e di pessima conoscenza degli usi religiosi e funerari dell’Antico Re-gno. Se Cheope avesse deciso di farsi seppellire nelle Camere superiori del monumento, infatti, avrebbe rea-lizzato una delle più grandi rivoluzioni religiose dell’epoca, pari soltanto a quella amarniana di Akhena-ton. Egli avrebbe ridotto a carta straccia almeno cinque-cento anni di concetti religiosi fortemente radicati, rea-lizzando un nuovo corso religioso-cosmologico che apri-rebbe nuove analisi interpretative sull’Antico Regno. E, in ogni caso, se si fosse verificato un tale episodio, ne avremmo avuto certamente testimonianza, così come è accaduto per lo strappo monoteista durante la XVIII Di-nastia. Invece, dolendoci per gli Egittologi oltranzisti, tutto ciò non si è mai verificato. Le uniche testimonianze tralasciate, descrivono il tentati-vo di Cheope di restaurare la Casa di Iside, così come ci viene “ricordato” dalla Stele dell’Inventario. Ma anche su questo argomento manifestiamo tutto il nostro dissenso, così come diffusamente articolato nel precedente lavoro editoriale, “Oltre le Nebbie del Tempo”. In esso, abbiamo analizzato la famosa frase iscritta nella Stele dell’Inventario, esaminando dettagliatamente i geroglifi-ci che fanno riferimento alla ristrutturazione della casa di Iside, rilevando l’ennesimo “orrore” di interpretazione. Riportiamo qui, per completezza, il passo tratto da “Ol-tre le Nebbie del Tempo”:

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“Prima di entrare nel merito dell’analisi ci sembra opportuno richiamare una riflessione di R.A. Schwaller de Lubicz che in un articolo, ripreso da John Anthony West nel suo libro, Il Serpente Celeste, propone quanto segue: “L’immagine non è un rebus e nemmeno un criptogramma, ma evoca semplicemente un’intuizione. Ciò non è trascrivibile in parole (…) senza pericolo di occultarne l’intenzione originaria. (…) Pertan-to, quando Champollion e i filosofi ortodossi affermano che gli anti-chi si servivano di certe immagini per esprimere astrazioni, le loro dichiarazioni non sono precise e non si accordano con la filosofia egizia, che si preoccupava di evocare intuizioni che per noi sono astrazioni, ma per gli antichi erano “stati dell’Essere”. Quindi, partendo da questa premessa, l’iscrizione sottostante che è inserita nella cornice della Stele dell’Inventario, è stata oggetto di notevoli discussioni tra gli addetti ai lavori, riferite alla corretta interpretazione. Ne abbiamo ripreso soltanto la parte inziale, che per la nostra analisi, è la più importante poi-ché è in questi simboli che viene attribuita ad Iside la “proprie-tà” della Piramide…

Ovvero, secondo la “lettura ufficiale”: “Egli [Cheope] trovò che il tempio di Iside, signora della piramide, era pres-so il tempio della Sfinge (…)”

In realtà, se volessimo analizzare il testo nella forma più ovvia, senza lasciarci influenzare da interpretazioni di maniera, ma attenendoci espressamente alla funzione ideografica dell’iscrizione, la traduzione dovrebbe essere la seguente:

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“Egli [Cheope] trovò che il tempio di Iside era accanto la piramide presso il tempio della Sfinge (…)”

Ciò si deduce dalla traduzione di un altro ideogramma, tra-scritto nella stessa frase, che – sempre nella Stele dell’Inventario - è trasposto con il termine “accanto a”…

Quindi, la Piramide di Cheope esisteva già ai tempi della IV Dinastia e, soprattutto, la Piramide non era la Casa di Iside; per conseguenza, essa era la “dimora” di qualcun altro, che aveva realizzato l’opera monumentale e per ben altri motivi. Quali? Nei paragrafi precedenti, abbiamo ridisegnato la mappa di Giza e analizzato la funzione dell’acquifero e del Poz-zo realizzato nella Camera Sotterranea. Ne abbiamo pro-posto la funzione tecnica, cercando di analizzare ogni singolo dettaglio rimasto sul posto, così da renderlo or-ganico all’intero processo funzionale. A questo punto, non ci rimane che ricostruire il cuore pulsante dell’intero monumento. Dai resti della Camera abbiamo potuto rilevare alcuni elementi che ci sembra interessante proporre. Le condizioni strutturali sono molto solide, ma al tempo stesso, particolarmente deturpate. E’ come se, in quell’ambiente, si fosse abbattuto un tornado. Gli esplo-ratori che vi si sono avventurati hanno squassato, a suon di dinamite, le caratteristiche “protuberanze” della stan-za, nella spasmodica ricerca di cimeli mai trovati. Da la sensazione di essere una stanza priva di ogni interesse e

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soprattutto, avara di elementi che potessero giustificare una destinazione d’uso in linea con le ipotesi ufficiali. Questo, naturalmente, ha convinto gli Egittologi a dedi-carsi con maggiore interesse ad altri ambienti, commet-tendo un errore gravissimo! Ci sono molti indizi che giustificano, viceversa, la con-vinzione che, quella stanza, era destinata ad una funzio-ne specifica. Dando un’occhiata al pavimento, infatti, è impossibile non notare le tracce di erosione d’acqua, la cui provenienza - assecondando le teorie ufficiali - è… inspiegabile.

Da dove proveniva l’acqua che ha eroso il pavimento? Non ci sono tracce di infiltrazioni che giustificano un’erosione così marcata. Le fessure formatisi con lo scorrere del prezioso liquido, potevano essere causate so-lo da flussi costanti, seppur di intensità modesta. Quin-di? Un altro elemento che desta curiosità è rappresentato dalla disposizione delle protuberanze. Esse - così come sono state concepite e strutturate - mai avrebbero potuto ospitare un sarcofago e, la presenza del pozzo, avrebbe

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reso ancor più improbabile la comoda collocazione, dell’imponente involucro, delle regali spoglie mortali. Esse presentano delle conformazioni apparentemente bizzarre, con piccole murature rialzate, direzionate verso le pareti Sud e Nord. In quella a Sud, ad esempio, la mu-ratura è stata concepita e distribuita, in modo da formare una specie di contenitore; in quella a Nord, somiglia ad un sistema per il deflusso dell’acqua. I pionieri dell’archeologia le hanno semidistrutte a colpi di polvere da sparo e picconate, pertanto, riproporre una fedele ricostruzione è un compito complesso, tuttavia, fortunatamente, non sono riusciti a distruggere tutte le tracce necessarie alla ricomposizione del puzzle. Intanto, avevamo a disposizione già due indizi di rilievo: la pre-senza di acqua e di un contenitore, che spostavano il no-stro punto di fuga in una direzione ben precisa. L’ingresso alla Camera, posizionato nell’angolo di Nord-Est, misura circa 1 per 1,19 metri ed è posizionato esat-tamente sull’asse Est-Ovest del monumento. Le misure interne della stanza sono: 14 metri Est-Ovest e 8,26 metri Nord-Sud per un’altezza massima di circa 3,51 metri. Ne risulta un volume pari a circa 405,90m3. Dal punto cen-trale della Camera verso il fondo, seguendo l’asse Est-Ovest, si innalzano le strane protuberanze in pietra cal-carea, i cui resti misurano circa 8x8x1,4mt. Esse presen-tano alcuni elementi molto singolari: tre depressioni se-micircolari posizionate sul fondo della pavimentazione. La prima ha una posizione centrale rispetto alla parete, ed è posta sulla pavimentazione; l’altra, è spostata verso Nord, tra la parete e la pavimentazione; l’ultima, infine, è posizionata nella parete Ovest. L’altro elemento che aveva attirato la nostra attenzione, era posizionato nella parete Sud della Camera. La distri-buzione del muro, formante la parete, ci dava la netta

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sensazione che, un tempo, fosse presente un’ipotetica controsoffittatura in pietra (mai rilevata o resa nota dall’archeologia ufficiale), nella quale è stato ricavato - nella parte alta in corrispondenza delle protuberanze - un piccolo foro del diametro di circa phi 10, oggi partico-larmente danneggiato. Sulla stessa parete, ma verso l’angolo di Sud-Est, quasi a livello del pavimento della stanza, i costruttori avevano realizzato un foro di dimen-sioni rettangolari di circa 76cm2, ad ingresso di un con-dotto nella muratura – oggi conosciuto come “condotto cieco”- che si estende in linea retta per circa 16 metri ver-so l’esterno del perimetro della Piramide.

Dulcis in fundo - visto che gli elementi disponibili non sono ancora sufficientemente complicati da assemblare - abbiamo rilevato sulle pareti delle protuberanze, alcuni segni inequivocabili di scanalature – quasi impercettibili - generalmente di forma obliqua, che fanno pensare alla rimozione di un rivestimento. Sulle rovine delle pareti, nelle parti meno danneggiate dai solerti ricercatori, che si sono avventurati nella stanza, ci sono tracce altrettanto eloquenti. Infine, sia sulle pareti che sul soffitto, abbiamo

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rilevato piccolissime tracce di un minerale che ci ha la-sciato semplicemente senza parole: ossidiana! Eravamo attoniti… una miriade di informazioni sbuca-vano da ogni dove lì, dove la scuola accademica aveva sentenziato un perentorio “nulla di fatto”. Quella stanza, che è stata consegnata alla storia come un semplice buco realizzato per errore, era foriera di tracce che annuncia-vano una vitalità semplicemente straordinaria. La presenza di ossidiana aveva acceso la nostra curiosi-tà… la nostra mente viaggiava oltre i confini delle regole conosciute… i nostri pensieri assemblavano informazioni su informazioni, fino a confluire nella razionalizzazione delle forme geometriche, fisiche e metafisiche, che ave-vano caratterizzato quella Camera. Ci siamo, immediatamente, messi alla ricerca delle carat-teristiche chimiche e fisiche dell’ossidiana, poiché a pri-ma vista, il minerale sembrava non avere alcuna attinen-za con il resto degli indizi rinvenuti in quel luogo. Il risultato della ricerca ha prodotto quello che, in realtà, avevamo già ampiamente intuito… l’ossidiana è un po-tentissimo isolante! Il fatto che, anche a Giza, fosse stato utilizzato un mate-riale simile alla mica, rinvenuta nelle piramidi di Teoti-huacan, era quantomeno da indagare approfonditamen-te. Gli Egizi dinastici utilizzavano questo materiale per rea-lizzare gioielli e i preziosi scarabei protettivi, ma non ci risulta utilizzassero - quale laboratorio orafo - la Camera Sotterranea! Pertanto, se il minerale era presente in quell’ambiente, doveva necessariamente servire a qual-cosa… a Giza nulla è stato lasciato al caso… Tra le proprietà dell’ossidiana, abbiamo trovato molto in-teressante ed indicativa, quella di emettere calore. Non a caso, in alcune isole vulcaniche del mediterraneo, le abi-

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tazioni più antiche sono state costruite con questo mate-riale, per mantenere la temperatura accettabile anche du-rante i mesi invernali che, seppur brevi, sono pur sem-pre… invernali! Le due proprietà fondamentali di questo minerale, l’impermeabilità e la conduzione di calore, ci hanno con-vinti che era stato utilizzato perché funzionale alla desti-nazione d’uso della camera stessa, di cui pareti e soffitto erano completamente rivestiti. Questo minerale è, at-tualmente, presente nel deserto libico, dove è stata sco-perta l’esistenza di antichi vulcani ormai completamente sopiti. Ne deduciamo che non sia stato particolarmente arduo trasportare lastre di ossidiana per circa 900 Km, se consi-deriamo che – secondo l’egittologia ufficiale – è stata una “passeggiata” trasportare i monoliti di granito dalla re-gione di Assuan, posizionata esattamente alla stessa di-stanza. Insomma, la Stanza sbrigativamente cestinata dagli eminenti Egittologi, si dimostrava molto più inte-ressante del previsto! Abbiamo trascorso molto del nostro tempo, per cercare di rimettere insieme le tessere, di riportare l’ambiente al suo stato originario. A questo punto, vi proponiamo di immaginare l’opera magnifica dei costruttori, riposizionando – con noi – cia-scun elemento individuato, al proprio posto ed in ragio-ne della propria funzione. Partiamo dal cosiddetto “condotto cieco” che si allunga verso l’esterno del perimetro del monumento. Esso era intimamente collegato al bacino artificiale ad Ovest della Piana di Giza, localizzato, come esaurientemente antici-pato nel corso della presente trattazione, tra i condotti della Tomba degli Uccelli. Il “bacino” era punto di desti-nazione delle acque provenienti dall’Ur-Nil (o dai letti Q

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fluviali artificiali, localizzati tra il Fayyum ed il delta del Nilo). La sua funzione era quella di trasportare acqua sa-lata all’interno della Camera, precisamente nella vasca ricavata nella protuberanza posta sul lato Sud. L’acqua veniva versata, lentamente, dall’alto, attraverso il foro di diametro phi 10. Per dare un senso concreto alle scanala-ture rilevate, immaginiamo le protuberanze interamente rivestite di un apposito metallo: il rame! Perché il rame e non un altro metallo, potrete leggerlo qualche riga più avanti, quando inizieremo a spiegare il funzionamento tecnico di tutte le parti della camera, che ora stiamo ana-lizzando separatamente. Esattamente nelle depressioni notate su di esse e precedentemente descritte, con ogni probabilità erano disposte delle sfere di cristallo, presu-mibilmente di rocca, sicuramente presente nei giacimenti di Gebel el-Asr, Gebel Dukhan, Gebel Fatira. Avevamo, ovviamente, già bene individuato, tutto il processo di produzione di energia che coinvolge l’intera struttura pi-ramidale e l’utilizzo, nelle depressioni, del noto cristallo, ci sembrava un ottimo impiego per raggiungere lo scopo. Il cristallo di rocca, il cui vero nome è quarzo ialino, ha due caratteristiche davvero intriganti: la prima, è che possiede una elevatissima piezoelettricità, cioè la pro-prietà di emettere cariche elettriche e la seconda, è che ha una “memoria”, tale da poter essere utilizzato - nell’era moderna - in computer e generatori di frequenze, poiché - una volta caricate le informazioni - la pietra è in grado di riprodurle all’infinito! A questo punto, ricreato l’ambiente nelle forme più corrette, proviamo a descri-verne la funzione. L’acqua salata, versata all’interno della Vasca nel lato Sud, sollecitando la pannellatura in rame, produceva un primo processo di ossidoriduzione, “colorandosi” di verde, ovvero del “colore dell’Inizio” per gli Alchimisti.

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Si compiva così, il primo processo previsto dalla Scienza dei Filosofi, custodito tra le righe ermetiche del Rosarium Philosophorum”:

“Ma la prima proprietà delle differenze è che l'untuosità determina in proiezione

uno scioglimento universale e l'apertura della medicina.

Per sicuro, l'immediata e conveniente fusione della medicina è principalmente necessaria dopo la proiezione della medicina

che è fatta e miscelata con naturale untuosità” Il processo generava una carica elettrica e soprattutto ca-lore. L’ossidoriduzione è un fenomeno spontaneo, du-rante il quale, tra due elementi chimici, avviene uno scambio di elettroni. Nel nostro caso, l’ossidoriduzione è provocata dal contatto dell’acqua salata con le lastre di rame che, per effetto della differenza di potenziale che si crea, subisce appunto un’ossidazione. Tale reazione pro-duceva calore che si accumulava nella stanza grazie alla presenza dell’ossidiana, della quale abbiamo rilevato precedentemente le interessanti proprietà. A questo pun-to, l’aria fredda ionizzata, proveniente dal fondo del pozzo, entrando in contatto con l’ambiente così surri-scaldato, produceva dei fenomeni elettromagnetici spon-tanei che, con l’ausilio della presenza del rame, venivano oltremodo amplificati. Le sfere di cristallo, posizionate nelle depressioni descritte, avevano la funzione di stabi-lizzatori, così da evitare qualsiasi distorsione nel feno-meno elettromagnetico. Dalla Camera, giunta a saturazione, l’aria così elettrifica-ta, defluiva verso il Condotto Discendente, a sua volta sigillato da una porta posizionata esattamente nove me-tri prima della stanza, proprio nel punto in cui il cunicolo cambia pendenza. Tracce di giunture sono state notate

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già da Sir William Flinders Petrie nella sua prima “visi-ta” agli ambienti inferiori del monumento. Appena all’esterno della camera, infine, è presente una nicchia di 2x2 metri, la cui funzione era ben precisa: pre-servare il calore e la carica elettromagnetica generata nel-la Camera Sotterranea grazie, probabilmente, alla pre-senza di una lastra di rame o al rivestimento di ossidia-na.

Alla luce dei fatti, era evidente che oltre alla Scienza Al-chemica, veniva soddisfatta anche la prima matrice del numero 137. Il primo processo contemplato all’interno della Grande Piramide, infatti, era proprio quello di crea-re le condizioni per lo sviluppo di un sistema energetico, intimamente collegato con la fisica elettromagnetica. La disposizione degli indizi rinvenuti e la formulazione del-la produzione di energia, secondo il processo descritto, ci lasciava ben sperare… A questo punto non rimaneva che volgere lo sguardo al prossimo “livello” e cercare di ca-

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pire come, fisica quantistica e Teoria della Relatività, po-tevano conciliarsi. Intanto, gli uomini-dèi di Giza, avevano sviluppato poco più di 400m3 di energia elettromagnetica, pronta ad esse-re “sparata” lungo il Condotto Discendente.

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Del Secondo Principio della Scienza

uanto analizzato nel paragrafo precedente, ci sta-va confermando che le ipotesi, circa il funziona-mento della Grande Piramide, secondo il princi-

pio scientifico individuato, non erano assolutamente da cestinare… viceversa, rafforzava, passo dopo passo, la nostra teorizzazione, al punto da renderla compatibile con un trittico niente male: scienza-alchimia-archeologia. Avevamo lavorato moltissimo sullo sviluppo della fun-zione della Camera Sotterranea e sentivamo il bisogno di un po’ di meritato riposo. Ci attendeva una settimana di relax in campagna, durante la quale ci eravamo ripro-messi di non accennare, neppure per errore, alle temati-che oggetto delle nostre ricerche. Volevamo staccare la spina e ricaricare le batterie in vista del prossimo obbiet-tivo: il Condotto Discendente. A dire il vero, abbiamo trascorso delle giornate meravi-gliose, suddivise – a nostro piacere – tra lunghe ed este-nuanti passeggiate per sentieri di campagna, qualche tuf-fetto in piscina e un pò di sano riposo in amaca, sotto gli alti fusti davanti casa. Questo era l’unico modo per tro-vare la giusta concentrazione, prima di affrontare uno degli ostacoli più ardui di tutta la teoria riguardante il funzionamento della maestosa, in tutti i sensi, piramide delle meraviglie. Il rientro a casa, al termine di un periodo di vacanza, è sempre traumatico… nel senso che, per cercare di trovare il giusto equilibrio, tra un periodo di svago ed il ritorno al lavoro, sarebbe necessario trascorrere altrettanto lun-ghi momenti di “astensione” tra le mura domestiche… ma è pura utopia! Soprattutto, quando senti il dovere e la necessità di riordinare, ripulire, cucinare e badare alla

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famiglia. Insomma, per dirla in breve, ci siamo calati immediatamente nel ruolo che avevamo trascurato per un’intera settimana, scaraventati nella realtà più inesora-bile: casa e lavoro! Eppure, sentivamo di aver accumulato le giuste energie, rimesso in ordine i pensieri e, soprattutto, entrambi era-vamo pronti per cimentarci nella risalita del Condotto Discendente, come quel vortice di forza energetica che lo attraversava, quando la “macchina” era ancora piena-mente funzionante! Così, prima di riprendere l’analisi del processo di produ-zione di energia e capire quali meccanismi si erano in-ventati i costruttori di Giza, abbiamo rispolverato alcune questioni tecniche legate alle caratteristiche del condotto. Quando abbiamo visitato quel cunicolo, la prima sensa-zione ricevuta è stata che si trattasse di qualcosa di straordinario… e in più di un’occasione, durante l’escursione nelle viscere della Piramide, ci siamo chiesti come abbiano potuto realizzarlo. La domanda, ovvia-mente, era condizionata dalla formazione culturale sull’argomento, poiché l’egittologia accademica ha sem-pre sostenuto che, quel cunicolo, fosse stato ricavato a forza di braccia… Non abbiamo mai capito, se gli egitto-logi ne sono veramente convinti oppure hanno sparato questa astruseria in piena inconsapevolezza! Perché, a nostro parere, neppure uno sprovveduto potrebbe pren-dere in seria considerazione un’ipotesi del genere… e cerchiamo di capire il perché! Tra tutte le realizzazioni di interni, il Condotto Discen-dente è una delle meraviglie mai realizzate nell’antichità. Esso si diparte dall’ingresso originario della Grande Pi-ramide e, in picchiata, conduce diritto alla Camera Sot-terranea. Ha una lunghezza di circa 109 metri e per ben 75 è scavato nella roccia viva! Lungo la sua corsa verso il

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basso, il condotto mantiene un’inclinazione costante di 26°34’ e una misura pressoché costante di 1x1,19 metri. Il margine di errore nello scostamento, dal punto iniziale a quello finale, è contenuto in appena un centimetro. Que-sto significa che è perfettamente diritto, perfettamente inclinato e perfettamente costante nelle dimensioni! Tra-dotto dall’ermetismo, si tratta di un vero e proprio mira-colo di ingegneria, se rapportiamo la sua costruzione al periodo dinastico! Questa era la domanda: quali stru-menti e competenze possedevano gli Egizi dinastici, per poter realizzare un’opera così perfetta? Nessuna! Le nostre considerazioni non si soffermavano tanto sulla perfezione dell’angolazione del condotto o sulla preci-sione del suo allineamento, quanto sulle potenzialità di polverizzare la roccia con il solo uso di uno scalpellino di rame ed un martelletto rudimentale in legno. Peraltro, non bisogna dimenticare che le dimensioni del condotto avrebbero consentito l’accesso ad un solo operaio e non di più, il quale avrebbe dovuto lavorare in condizioni, ovviamente, estreme. Nelle viscere della terra, infatti, in quasi totale assenza di luce e di ossigeno, l’operaio di turno avrebbe dovuto confrontarsi con un’opera impro-ba! Se volessimo prendere seriamente in considerazione le ipotesi fantascientifiche, trapassate alla storia dagli ar-cheologi, potremmo dire che con gli utensili a sua dispo-sizione il povero operaio, nonostante il suo zelo, a quest’ora sarebbe appena a metà del suo percorso di sca-vo! Allora? Quale altra spiegazione si poteva offrire per giustificare un’opera così perfetta? A volte, i lettori più severi, ritengono che ipotizzare l’esistenza di una Civiltà altamente progredita, in epoca remota, è come voler forzatamente credere alla possibili-tà che gli asini volino! E’ possibile che non sia esistita una Civiltà così evoluta, ma è ugualmente impossibile – sulla

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base di quanto finora rinvenuto nella terra d’Egitto sotto forma di reperti – che i dinastici abbiano potuto realizza-re un’opera ingegneristica di quelle proporzioni… quin-di, noi proseguiamo sulla nostra strada fino a prova pro-vata del contrario, fermamente convinti che Giza è di ben altri autori, con buona pace di chi si ostina a voler ritene-re il contrario. Quando agli inizi del secolo scorso, Sir William Flienders Petrie ispezionò il condotto, notò alcuni particolari che sono stati ripresi da un altro ricercatore inglese, Alan Al-ford, e che ci sono apparsi, immediatamente, molto signi-ficativi. Petrie scoprì che in due punti precisi, a monte e a valle del condotto, vi erano tracce sui soffitti che lascia-vano presumere l’esistenza di due porte basculanti. Gli archeologi hanno immediatamente ricondotto questi elementi, alla possibilità che gli Egizi avessero posto lì le due porte per “nascondere” la Camera sepolcrale, ini-zialmente progettata nella parte inferiore del monumen-to. Questa ipotesi nasce, ovviamente, dallo studio di altre tombe rinvenute in Egitto, che presentano caratteristiche analoghe, nel senso che, questa strategia di difesa anti-tombaroli, veniva ampiamente usata nella Valle dei Re a Luxor. In realtà, fermamente convinti delle nostre ipote-si, la dottrina ufficiale – ovviamente collegata al Condot-to Discendente – non era per nulla persuasiva. Ci spin-geva, viceversa, ad approfondire e comprendere le moti-vazioni per cui i costruttori avevano deciso di creare due porte, così disposte come descritto in precedenza, mani-festando la volontà di isolare la parte centrale del cunico-lo. Apparentemente, sembrava una scelta priva di senso, ma… ragionando in funzione dell’ipotesi del 137 e della possibile produzione di energia, quella scelta risultava più che motivata.

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Ma c’è un altro aspetto, particolarmente interessante. Lungo tutte le pareti del condotto, nonché sul soffitto, sono evidenti tracce, appena visibili, di scanalature… Anche qui, come sulle protuberanze della Camera Sotter-ranea, queste impercettibili righe incise, facevano da filo conduttore partendo dal punto immediatamente succes-sivo alla prima porta, a monte del condotto, fino alla se-conda porta, che sigillava il cunicolo. Le righe erano evi-denti soltanto in quella porzione di Condotto… perché? Perché prendersi la briga di rigare le pareti ed il soffitto, in maniera tanto precisa quanto perfettamente alternata, seguendo una direzione ora verticale ora orizzontale, lungo tutto il tratto tra le due aperture? Ci è balzato alla mente che, con ogni probabilità, quelle striature non erano altro che le ultime tracce di una pos-sibile pannellatura! Anche in quel condotto erano stati inseriti dei minerali, che potessero assecondare il proces-so a cui sarebbe stato sottoposto l’ambiente. E quale mi-nerale poteva essere stato disposto nel tunnel se non l’ossidiana? Per le sue proprietà, come già chiarito pre-cedentemente, essa è un isolante e avrebbe perfettamente contenuto l’energia che altrimenti si sarebbe annichilita, e nel contempo – da un punto di vista esoterico – avreb-be oltremodo assicurato il processo di sviluppo di ener-gia, nella Nigredo. Non a caso, i due ambienti “neri” del-la Grande Piramide, sono appunto la Camera Sotterranea ed il Condotto Discendente, entrambi realizzati nelle vi-scere della Terra, in perfetta applicazione del principio ermetico “dell’Opera al Nero”, della putrefazione della materia, prima della fissazione e trasformazione nella Rubedo. Uno dei nodi di maggiore interesse e di dibattito nella fi-sica moderna, è collegato al concetto di “Vuoto”. In real-tà, un vuoto non è mai… vuoto, soprattutto se riferito ad

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ambienti circoscritti, come nel caso specifico. In esso vi è sempre una fluttuazione di particelle, emesse dal corpo nero, che mantengono un inevitabile equilibrio termodi-namico nell’ambiente. In questo tipo di vuoto, inoltre, si verificano fluttuazioni quanto-meccaniche che rendono il condotto un ribollire di coppie di particelle, che nascono e si annichiliscono in continuazione e che, in ogni caso, in uno spazio limitato, sono ampiamente misurabili. Per renderci conto di cosa possa essere il Condotto Discen-dente, basta pensare ai moderni acceleratori di particelle, utilizzati nelle sperimentazioni più complesse della fisi-ca. Questo, ovviamente, non significa che i costruttori avevano realizzato quel condotto per fare sperimenta-zioni, ma per creare le condizioni per un’espansione del volume di energia, prodotto nella Camera Sotterranea. Per un attimo, siamo tornati indietro con la memoria, esattamente al momento in cui, i concetti tratti dal libro della Scienza dei Filosofi, invadevano prepotentemente la nostra mente, esaltando il secondo concetto ermetico:

“La seconda è la finezza della materia o la sottigliezza spirituale,

per cui, fine e fluente nella fusione, penetra come acqua nel fondo di un oggetto graffiato, poiché secondariamente dopo la fusione della medicina,

l'ingresso è immediatamente necessario”

“La seconda è la finezza della materia”… era proprio su questo concetto che stavamo spendendo le nostre risorse mentali, per escludere le ipotesi irragionevoli e concen-trarci, solo ed esclusivamente, su quelle più consoni alle parole “finezza, sottigliezza spirituale, fine e fluente”. Quale altra forma di materia poteva essere così rispon-dente a queste caratteristiche se non l’energia?

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“Essa penetra come acqua (…) poiché dopo la fusione della medicina, l’ingresso è necessario”… L’energia, infatti, dopo la fusione della “medicina” - formatasi dall’abbraccio tra gli elementi risultanti dal processo di ossidoriduzione e i flussi di aria ionizzata, che danno vita alla carica elettromagnetica – penetra “necessariamente” nel Condotto Discendente. Il Segreto della Scienza Alchemica era stupefacente e la risultante di tale processo, non poteva che assecondare le nostre ec-citate aspettative. In noi scorreva la medesima energia che si era accumula-ta nella Camera Sotterranea… ci sentivamo come un fiume in piena… come un vulcano pronto ad esplode-re… ma dovevamo ritornare alla nostra razionalità, per affrontare uno dei momenti cruciali, in cui si compie il destino del futuro Serpente di Luce… Ci rendevamo conto che, uno degli ostacoli maggiori, era strettamente connesso alla particolarità delle argomenta-zioni trattate, poiché molto complesse e, soprattutto, di difficile digestione. Quindi, la fatica maggiore, è stata quella di rendere la spiegazione del processo, che avve-niva all’interno del Condotto, nelle forme più semplici così da renderlo accessibile anche a coloro i quali non hanno particolare dimestichezza con le nozioni trattate. Cercheremo, quindi, di evitare arzigogoli formali, poiché l’esercizio intellettuale non ci appartiene… lo scopo è so-lo ed esclusivamente, quello di veicolare gli aspetti sa-lienti della teoria, evitando giochi di prestigio e finezze linguistiche. Immaginiamo di trovarci, quali invisibili testimoni, nel punto di intersezione tra l’Anticamera e il Condotto Di-scendente. Esattamente lì, la concentrazione di energia elettromagnetica ha raggiunto il punto massimo di satu-razione. La porta basculante, che divide le due sezioni,

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per effetto della pressione generata, tende a schiudersi verso l’oscuro cunicolo, permettendo il deflusso della “medicina”, pronta a scontrarsi con la condizione di vuo-to. Quello che accade, è la medesima reazione che avvie-ne per un superconduttore. In un vuoto, la determinante non è la temperatura, bensì il campo elettromagnetico che, portato ad un certo valore, trasforma il vuoto, ap-punto, in un superconduttore. La reazione che si verifica nell’abbraccio tra 430m3 di energia elettromagnetica ad alta temperatura, lungo i 100 m3 di vuoto del Condotto Discendente, è un fenomeno talmente violento da rima-nere impresso, in maniera indelebile, nella mente degli Egizi dinastici. Erodoto, ancora nel suo tempo, narra dei “tuoni spaventosi” provenienti dalla Piramide. Gli effetti generati dalla violenta esplosione, giustificano la necessi-tà, per i costruttori, di realizzare il Condotto Discendente nelle viscere della terra. Se quel corridoio, infatti, fosse stato costruito in qualsiasi altro punto del monumento e sottoposto a quella specifica funzione, probabilmente della Grande Piramide, non sarebbe rimasto neppure un ricordo sbiadito! Il flusso di energia così combinato, dunque, risaliva il Condotto Discendente fino al punto di intersezione con il Condotto Ascendente, fino a deviare verso la parte supe-riore della Grande Piramide. La propagazione dell’Energia lungo il condotto, rag-giungeva la parte superiore, producendo effetti deva-stanti, sia sulla porta basculante a monte che sulla porta d’ingresso della Piramide. La violenza era tale da spinge-re entrambe verso l’esterno. A questo punto, per logica e deduttiva conseguenza, una volta espulsa la quantità di carica elettromagnetica for-matasi nella Camera Sotterranea, la porta a valle del Condotto Discendente si richiudeva, mentre, quella a

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monte, per l’effetto aspirante prodotto dall’apertura della Porta d’ingresso della Piramide, continuava a rimanere aperta come se fosse risucchiata verso l’esterno. Questo processo permetteva il deflusso di tutta la quantità di energia in eccesso e, al tempo stesso, ripuliva il condotto, riportandolo in condizione di vuoto. Una volta compiuto il processo di svuotamento, la Porta d’ingresso della Pi-ramide ritornava nella sua posizione originaria, così co-me quella a monte del Condotto, ripristinando l’ordine iniziale. La combinazione tra la Porta d’ingresso della Piramide ed il Condotto Discendente riproduceva la tipica funzio-ne di una Pompa ad Aspirazione: riportare il condotto in condizione asettica, pronto per essere violentato da un’altra scarica di onda elettromagnetica. Era questo il chiaro intento dei costruttori di Giza. Se la Grande Piramide era stata destinata a produrre la quantità di energia sufficiente per raggiungere la Porta del Cielo, era necessario creare un sistema che portasse la giusta quantità di energia nella parte superiore della struttura. Le teorizzazioni finora proposte, sull’ipotetico funzio-namento della Grande Piramide, sono decisamente lacu-nose e prive di organicità. Le stesse conclusioni di Burke, richiamate nei paragrafi precedenti, prestano il fianco a non poche perplessità poiché, solo una violenta e con-trollata propagazione di energia, avrebbe potuto far vi-brare i blocchi di granito che compongono la Camera del Re e lo Zed. Questa Energia poteva formarsi solo ed esclusivamente assecondando i principi ermetici del 137, ovvero attra-verso l’integrazione dell’elettromagnetismo e della fisica quantistica… e, come vedremo tra breve, della relatività.

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La loro perfetta interazione, sconvolge le regole dello scibile e dischiude le porte all’Eternità.

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Della Via della Luce

na mattina di metà settembre, avevamo deciso di dedicarci al giardino della nostra casa. Ora-mai, l’estate era in procinto di passare il testi-

mone all’incombente autunno. Gli scrosci d’acqua ed il forte vento dei giorni precedenti, avevano lasciato il pas-so ad un tiepido sole che riscaldava appena le ore medie della giornata. Questo atteso ritorno aveva sollecitato la nostra volontà di rimettere ordine. L’inconscio ci spinge-va verso il contatto con la terra. C’erano due motivi di fondo: il primo, era intrinsecamente collegato alla que-stione estetica, poiché un giardino in ordine e ben curato è sempre un buon biglietto da visita e soprattutto asse-condava la nostra, a volte, esasperata ricerca della perfe-zione a tutti i costi; il secondo, forse più interiore, era le-gato all’esigenza di avere un contatto diretto con Madre Natura. Le filosofie orientali suggeriscono di non perde-re mai di vista, in nessun momento della propria esisten-za, il rapporto con la terra, poiché è un sistema per scari-care le tensioni accumulate e trovare una via per riconci-liarsi con se stessi e con il mondo che ci circonda. Così, armati di tutto punto, ci siamo diretti nel giardino di ca-sa, con lo spirito di chi si approssima ad un rituale bina-rio: ripulire e scaricare. Due concetti intimamente corre-lati, finalizzati al ripristino interiore e all’esaltazione di poter condividere, con la Natura, parte del nostro tempo. Abbiamo sempre trovato molto complicato, per noi che non siamo esperti di giardinaggio, sistemare la siepe nei modi e nelle forme più corrette. Allinearla e squadrarla così come si conviene, è sempre stato un esercizio parti-colarmente laborioso, nonostante il grande impegno e l’ausilio dei giusti strumenti di lavoro. Eppure c’era

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sempre un particolare poco soddisfacente… un rametto più lungo, una foglia di troppo… insomma, l’allineamento preciso sembrava essere una chimera! Quello sforzo ci ha portati alla mente, quasi in un’esclamazione congiunta, l’opera compiuta dai co-struttori della Grande Piramide, quando si sono trovati ad affrontare l’allineamento del monumento e dei suoi interni. La precisione con la quale avevano sistemato il Condotto Discendente, ad esempio, era incredibile e, per noi che eravamo semplicemente impegnati con la siepe, un profondo motivo di frustrazione. Anche con i giusti strumenti a disposizione, trovavamo sempre una sbava-tura nel nostro lavoro… per gli antichi costruttori, inve-ce, la parola “imperfezione” era stata completamente cancellata dal vocabolario! E allora, ci è tornata alla mente la solita sfiancante pole-mica sugli autori di Giza, sul disperato tentativo degli studiosi di attribuire ai dinastici le maestose opere egizie, sulle tecniche utilizzate, sugli strumenti necessari per la-vorare con estenuante precisione… sulle reali capacità, di un popolo dedito esclusivamente all’agricoltura e all’allevamento, di affrontare tutto ciò… E più si ragio-nava su questa possibilità, più eravamo convinti che questa ipotesi fosse pura fantasia. Nel corso degli anni, la nostra ricerca su quel complesso monumentale – nel bene o nel male – aveva fissato dei punti dai quali non potevamo e neppure volevamo, pre-scindere. Il complesso di Giza proveniva da altri mittenti e gli Egizi dinastici c’entravano come il cavolo a meren-da. Lo Zep Tepi, la Tomba di Khentkaus, la Tomba degli Uccelli erano parte integrante di un solo obbiettivo: ri-produrre la Volta Celeste trasferendola nell’ombelico del Mondo, tramandare un ricordo della Civiltà che l’ha co-struita, restituire alle Civiltà che si sono susseguite, pro-

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fonde conoscenze scientifiche e… un sistema per produr-re energia in simbiosi con la Natura, la cui potenza è tale da far semplicemente rabbrividire! Quanto avevamo esaminato nel processo produttivo, che interessava la parte esterna ed inferiore della Grande Pi-ramide, aveva lasciato il campo alla consapevolezza che l’opera, appena iniziata, avrebbe dovuto trovare il pro-prio compimento nella sua parte superiore. I risultati re-stituiti dalle prime due fasi, erano molto convincenti e si-curamente uno stimolo a proseguire su questa strada… Ci era venuto alla mente uno sketch del grande Totò, il partenopeo principe de Curtis, con il compianto Alberto Lupo, in una storica trasmissione degli anni ’60. Vessato da un cinico che continuava a schiaffeggiarlo – avendolo scambiato per “Pasquale” – Totò continua a sorridere e a buscarle… fino alla conclusione della gag dove, rispon-dendo al conduttore della trasmissione che lo sollecitava a reagire, dice: “E che sono Pasquale io… volevo vedere questo stupido fin dove arrivava!” E noi ci sentivamo proprio come lo stupido di Totò… eravamo curiosi di vedere fin dove si arrivava con la no-stra ipotesi, con leggerezza e con il sorriso sulle labbra. Ci eravamo lasciati alle spalle il Condotto Discendente, con la sua funzione di amplificazione del processo di produzione di energia… avevamo descritto la contestua-le funzione di pompa di aspirazione della porta d’ingresso della Piramide, che avrebbe restituito al Con-dotto Discendente la sua condizione di “vuoto”… a que-sto punto, dovevamo verificare cosa accadeva nel conti-guo Condotto Ascendente: il primo sistema di trasporto verso la parte superiore del monumento. I due condotti si incontrano a circa 29 metri prima dell’entrata principale, in un punto di intersezione carat-terizzato da un elemento che ha attirato immediatamente

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la nostra attenzione. Proprio in quel punto, infatti, si tro-vava una pietra pluriangolare. Alan Alford sostiene si trattasse di una pietra prismatica che formava parte del soffitto del Condotto Discendente, la cui funzione era quella di camuffare l’ingresso al Condotto Ascendente. Oltre quella cavità, erano disposti i tre blocchi di granito che ostruiscono il passaggio verso la Grande Galleria. I tre “tappi” hanno una dimensione di circa 1,68x1metro e soltanto l’ultimo è particolarmente rovinato nella sua parte posteriore, quasi come se fosse stato violentato nel tentativo di rimuoverlo dalla sua antica posizione. Molto probabilmente, “l’opera ottusa”, era stata compiuta da uno degli sgherri di Al Momu’n che, per primo, si intro-dusse nella Piramide, dopo la definitiva sigillatura del monumento. Un particolare decisamente interessate della conforma-zione strutturale del condotto, è che nei tre punti di rife-rimento - ovvero quello iniziale, quello centrale e quello finale – presentava diverse variazioni di misura: - ingresso: 1,20hx0,98b - centro: 1,22hx1,05 - uscita: 1,35hx1,07b - pendenza: 26°20’ - Lunghezza: 38 metri

La sensazione ricevuta era che quelle misure non sem-bravano per nulla casuali, nel senso che i costruttori ave-vano intenzionalmente deciso di realizzare il Condotto Ascendente con quella specifica caratteristica, così da conferire una forma ad “espansione”… Compresso nella parte inziale, si allargava mano a mano che procedeva la sua corsa verso la Grande Galleria. Perché? La spiega-zione più ovvia è che nel punto di intersezione tra i due condotti, la quantità di energia sviluppatasi, subiva una concentrazione/compressione a ridosso della pietra pri-

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smatica, prima di fluire in fase di espansione controllata. Questo era un sistema per aumentare la portata di ener-gia e, per concentrare al massimo, in un punto preciso, la necessità di assecondare la trasformazione. Inutile sotto-lineare che il conforto del terzo principio descritto nel Rosarium Philosophorum, sembrava calzare a meravi-glia:

“La terza è l'affinità o vicinanza tra l'Elisir e la cosa che deve essere trasmutata, che mantiene una certa collosità o contiguità

nell'incontro del suo simile, poiché in terzo luogo dopo l'ingresso della medicina, la collosità o la contiguità è conveniente e necessaria.”

C’erano delle profonde congruità tra quanto descritto in questo passo e quanto avveniva nell’incrocio tra i due condotti. “la vicinanza tra l’Elisir e la cosa che deve esse-re trasmutata… nell’incontro con il suo simile”… Vi dice nulla questa descrizione? Abbiamo due strutture che sono assolutamente simili: il Condotto Discendente e quello Ascendente; abbiamo un Elisir/Energia che è pronto per essere trasmutato nell’incontro con il Condot-to Ascendente. Ma trasmutato in che modo? Anche in questo caso, è stato necessario un passo indie-tro per avere un suggerimento scientifico che potesse chiarire questo passaggio miracoloso, e la risposta era, ancora una volta, impressa nel numero 137. Come ab-biamo potuto osservare nei paragrafi precedenti, infatti, la Fisica Elettromagnetica e la Fisica Quantistica avevano restituito, plausibilmente, i processi descritti nei primi ambienti sotterranei del monumento. All’appello, ades-so, mancava soltanto la Teoria della Relatività con la tra-sformazione dell’energia dalla sua forma caotica e oscu-

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ra… in Luce, con la distribuzione omogenea dei suoi raggi! Eravamo eccitati al solo pensiero di trovarci davanti alla soluzione del terzo mistero dell’Alchimia, quello della trasformazione della sostanza in qualcosa di nuovo… Nel corso dei nostri studi e delle nostre ricerche, ci siamo imbattuti in un passaggio riportato da Zecharia Sitchin nel suo lavoro editoriale “Il Libro Perduto del Dio Enki”. Tra qualche imperfezione nelle traduzioni e un po’ di romanzo di episodi non del tutto confermati, ci siamo soffermati sullo scontro tra Marduk e Ninurta. Nella de-scrizione del conflitto, si narra della devastazione della Piramide e la successiva distruzione e asportazione si-stematica dei “cristalli” in essa inseriti. Ci siamo trovati in presenza, quindi, di un ostacolo ampiamente previsto, ovvero dover accettare la traduzione di Sitchin e, di con-seguenza, ipotizzare qualcosa che ad oggi non trova ri-spondenza nei reperti rinvenuti all’interno del monu-mento. D’altra parte, l’unico reperto che in qualche modo potesse essere utilizzato, per capire come era strutturata, originariamente, la parte interna del monumento, era proprio questo brevissimo passaggio trascritto nelle fa-mose e discusse Tavolette Sumere. Così abbiamo deciso di assecondare la traduzione di Sitchin senza prescindere dal seguire il nostro intuito. Il cristallo, infatti, era l’unico elemento che potesse sod-disfare la forma prismatica e pluriangolare, inserita nel punto di congiunzione dei due condotti; soprattutto, era l’unico elemento che potesse “trasmutare” l’Elisir prove-niente dal Condotto Discendente, soddisfacendo il tritti-co scientifico contenuto nel 137. Quindi, se tre indizi formano una prova… allora… prova sia! Rimboccarsi le maniche e pedalare… Questo era l’obbiettivo primario al quale facevamo riferimento, in

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quel preciso istante… scorrere il Condotto Ascendente analizzandolo fino ai suoi più reconditi anfratti. Aveva-mo notato, ma anche letto da altri autori che prima di noi si sono immersi nello studio del condotto, che la sua struttura era molto particolare. Spesso, gli archeologi, quando si cimentano nelle analisi strutturali della Pira-mide, tendono sempre a sorvolare sui dettagli… eppure essi sono i migliori indicatori che possono aprire squarci nel mistero del monumento principale di Giza. Il condotto è stato realizzato con l’ausilio di monoliti a forma di U, lungo tutto il suo percorso. Già questo sem-bra essere un fatto straordinario. La tecnica utilizzata dimostra che, anche in quel punto, era necessario realiz-zare una struttura robusta, tale da soddisfare il passaggio di energia senza causare danni alla struttura. Inoltre, così come sulle protuberanze all’interno della Camera Sotter-ranea e sulle pareti del Condotto Discendente, abbiamo notato il medesimo particolare: impercettibili striature caratterizzavano le pareti e il soffitto del Condotto Ascendente. Anche in questo caso, dunque, era evidente la preesistenza di pannellature. Questo particolare, ovviamente, ci ha lasciato stupiti, poiché, la presenza di qualcosa che ricopriva il condotto, non faceva altro che confermare saldamente le nostre ipotesi. Il problema è che non potremmo mai sapere da che tipo di materiale fosse ricoperto in origine. Possiamo solo fare delle supposizioni, ma senza certezza alcuna. Ciononostante, non ci siamo persi d’animo e abbiamo ti-rato diritto fino a ipotizzare che il Condotto Ascendente fosse ricoperto interamente, lungo le pareti ed il soffitto, di cristalli. Ebbene si, cari lettori, la nostra ipotesi è pro-prio questa ed è perfettamente ipotizzabile, in base alle considerazioni finora proposte. Se il 137 ed il Rosarium Philosophurum avevano ragione… allora l’unica spiega-

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zione plausibile per conferire “contiguità e collosità al suo simile”, era solo la presenza di cristalli. Del resto, se non fosse stato così, tutta la quantità di energia, faticosamente prodotta nelle parti inferiori della Piramide, si sarebbe vanificata sotto la spinta di un pro-cedimento che, in fisica, risponde al nome di annichili-mento delle particelle. Viceversa, la presenza dei cristalli, non solo avrebbe permesso la continuità della funzione maturata, ma anche soddisfatto il principio di trasforma-re il caos in ordine e l’Elisir in Luce, dando origine agli effetti della Teoria della Relatività, nella sua forma gene-rale. Proviamo, solo per un attimo, a chiudere gli occhi (ma-gari voi lettori chiudetene uno solo altrimenti non potete proseguire nella lettura) e immaginiamo la violenta forza energetica, proveniente dal basso, che incontra il Cristal-lo Prismatico nell’incrocio dei condotti. Proprio in quel punto, l’Elisir si trasforma in Luce e comincia a invadere l’intero Condotto Ascendente. Un fascio di fotoni della dimensione e del volume del condotto, che si spinge con violenza ordinata verso l’alto, prima di dar vita al Ser-pente di Luce della Grande Galleria. Eravamo assolutamente impassibili, poiché, quanto sta-vamo “osservando”, appariva totalmente ovvio ai nostri sensi. In altre circostanze, saremmo stati pervasi da un senso di esaltazione ed eccitazione, che ci avrebbe portati sulla strada meno consigliata. Forse, l’esperienza maturata in tutti questi anni dedicati alla ricerca “border-line”, ci aveva forgiati al punto di non stupirci più di nulla. Spin-gersi agli estremi è sempre molto pericoloso e forse, nel nostro inconscio, ne avvertivamo tutta la responsabilità. Non volevamo stupirci… seppur stupiti. Non volevamo esaltarci… seppur esaltati.

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Non volevamo emozionarci… seppur emozionati fino al midollo nel vedere che, le nebbie del mistero, si alzavano all’incessante avanzata delle nostre intuizioni.

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Della Regina e del Serpente

na domanda… forse, ancor peggio, un dubbio serpeggiava nella nostra mente e, nel corso dello sviluppo della nostra teoria sulla funzione della

Grande Piramide, ci siamo più volte scontrati con esso. Ci chiedevamo, infatti, come sarebbe stata accolta un’ipotesi così complessa dal lettore o dalla comunità di ricercatori che, sulla Piana di Giza e sulle stesse piramidi, hanno manifestato pensieri assolutamente in controten-denza rispetto ai nostri. Il dubbio era ancor più lecito, considerando il polverone che si solleva ogni qualvolta viene ipotizzata una corre-lazione dei monumenti con le stelle… oppure che le pi-ramidi sono più antiche dell’Egitto dinastico… o ancora, che i blocchi per l’edificazione sono stati trasportati a mano nel deserto… o che i cartigli scoperti da Vyse sono originali e non manomessi… Tutte questioni che hanno fortemente alimentato il confronto tra studiosi e appas-sionati e che, nonostante siano trascorsi due secoli dall’origine del tutto, ancora infiammano il dibattito. Quindi, se a tutt’oggi si discute di questi argomenti basi-lari, figuriamoci come potrebbe essere accolta la teoria che stiamo proponendo in questo saggio! Davanti alla possibilità di essere tacciati di “follia” e di essere messi alla berlina vita natural durante, il primo istinto ci induceva a riporre tutto nel cassetto e a dedi-carci a ben altri argomenti… Tuttavia, ogni qualvolta as-secondavamo l’idea di ritirarci dal campo di battaglia, emergeva, nel nostro io, un senso di profonda ribellione. Perché fare un passo indietro? Perché farci condizionare dal “modus operandi” di un contesto di ricerca fossiliz-zato su posizioni, ormai superate, dalle nuove scoperte?

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Perché assecondare il timore di sentirsi giudicati e, molto probabilmente, derisi? Spesso, soprattutto nei momenti più difficili e oscuri del nostro lavoro, quando ci rendevamo conto di essere nei panni di don Chisciotte lanciato al galoppo contro i mu-lini a vento, avvertivamo un profondo senso di solitudi-ne, di tristezza, di rammarico… Ci siamo sovente inter-rogati sulle origini di queste sensazioni, che nel lungo tempo, ci hanno segnati profondamente, facendo appari-re la dimensione in cui viviamo, come un concentrato di frustrazioni. E la risposta che ci siamo dati è una sola: aspettative! Il nostro problema era proprio quello di vivere in fun-zione del giudizio altrui, della preoccupazione di essere banditi come appestati per le eresie narrate, quale frutto della nostra passione per la ricostruzione della Verità Storica! Era come un tarlo che consumava la nostra men-te e la nostra anima… E c’era un solo modo per stanarlo: vivere e ricercare per noi stessi… poiché il peggiore egoi-sta è il più grande altruista! Ci siamo spinti, quindi, oltre le barriere della nostra ra-zionalità che ostruiva, come un ingorgo, la miriade di in-formazioni provenienti dal nostro più recondito angolo dell’inconscio. Sentivamo, dentro di noi, che ogni virgola dell’ipotesi finora proposta, appariva più che plausibile. Probabilmente, era necessario integrarla con qualche det-taglio in più, o forse, con qualche cosa in meno… ma non era una questione determinante, poiché certi che, il tem-po e la sperimentazione, ci avrebbero dato ragione. Contro tutto e contro tutti, avevamo deciso di proseguire la nostra strada, fino all’incontro con i misteri che ci at-tendevano nella Camera del Re. Dovevamo superare un altro ostacolo particolarmente ostico: la funzione della Grande Galleria e della Camera della Regina.

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Prima di entrare nel merito del funzionamento dei due ambienti, ci è sembrato opportuno dare un’occhiata alla loro disposizione e alle relative caratteristiche. La Grande Galleria è stata definita un’opera gigantesca, nel senso che rappresenta un’enormità, da un punto di vista architettonico ed ingegneristico. Le sue dimensioni sono semplicemente imponenti: ha una lunghezza di 47 metri ed un’altezza di circa 8,50 metri. Tuttavia, al di là delle dimensioni che sono già straordinarie, per il perio-do a cui gli egittologi ascrivono quest’opera d’arte, quel-lo che ha attirato la nostra attenzione, sono i particolari che si rilevano dall’analisi strutturale. Innanzitutto, la sua angolazione è uguale a quella del Condotto Ascen-dente, ovvero 26°20’, risultando praticamente come un prolungamento dello stesso. E’ come se i costruttori avessero realizzato un unico ambiente avente particolari-tà diverse. Procedendo nell’analisi della Grande Galleria, risalta, agli occhi del visitatore, la sua originale conformazione. Il pavimento, infatti, è disposto tra due rampe per tutto il percorso fino al suo punto finale, ed ha una larghezza di circa 1,06 metri, concludendosi “contro” il Grande Gra-dino dal quale si accede all’anticamera della Camera del Re. Nella congiunzione tra il Condotto Ascendente e la Grande Galleria, si diparte il corridoio che porta alla co-siddetta Camera della Regina. Il punto di intersezione tra i tre elementi in esame è, assolutamente, fondamentale per lo sviluppo della seconda fase del processo. Particolare non trascurabile, peraltro, è la convinzione, generalmente accettata, che il corridoio - che conduce al-la Camera della Regina - era “nascosto” da una massiccia lastra di granito e quindi, teoricamente, inaccessibile da quel punto.

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Ma, originariamente, era proprio così? E’ possibile che il corridoio sia stato ostruito in un secondo momento, pro-prio come i tappi di granito sono stati disposti per bloc-care l’accesso alla parte superiore della Piramide? La nostra convinzione è che, alcuni degli elementi che sono stati scoperti nella Grande Piramide, siano stati rea-lizzati in un secondo momento, per cancellare “prove” che, l’Antichissima Civiltà di Giza, non intendeva tra-mandare... Pertanto, così come per il Corridoio Ascen-dente, libero dai “tappi”, anche l’accesso al corridoio del-la Camera della Regina, originariamente, non era ostrui-to! La deduzione deriva dal fatto che, l’ambiente in con-siderazione, presenta delle tracce sui muri e sul soffitto che dimostrano il coinvolgimento attivo della camera nel processo di produzione di energia. Le macchie rilevate, testimoniano residui di combustione che altrimenti non avrebbero alcun senso. Un altro particolare interessante, è rappresentato dalle tracce, infinitesime, di cristallo di rocca, presenti sulla pavimentazione. Gli archeologi han-no sempre sostenuto l’ipotesi che quella camera, in real-tà, sia incompiuta… ma l’evidenza della nostra ricerca, viceversa, va esattamente nella direzione opposta. Quella camera è stata sistematicamente smantellata, a partire proprio dal pavimento! Il cristallo di rocca a contatto con fonti di energia partico-larmente sostenute, entra efficacemente in frequenza, cominciando a vibrare, così da produrre, come reazione scatenante, una variazione nella modulazione delle onde. Inoltre, all’interno della Camera, la presenza della cosid-detta “Nicchia” non è assolutamente casuale, così come non è casuale il fatto che, alle spalle, ci sia un “pozzetto” che conduce in chissà quale anfratto della Piramide stes-sa. Non abbiamo prove, naturalmente, poiché non c’è traccia di nulla, in quella camera, ma siamo fermamente

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convinti che, all’interno della Nicchia, ci fosse uno stru-mento che possiamo catalogare come “Processore Ra-diante”, formato da cristalli. La sua funzione era di permettere un costante assorbimento e rilascio di onde modulate, “sparate” all’esterno attraverso i condotti del-la Camera (originariamente non ostruiti), o reimmessi nel sistema di convogliamento (attraverso il pozzetto della Nicchia), nel circuito che riporta verso il Condotto Discendente - ovvero nella parte più oscura della costru-zione piramidale - per essere “ripulito”. Nei principi alchemici del Rosarium, è chiaramente de-scritta tutta la fase appena indicata, a partire da quanto accade all’intersezione tra i condotti:

“La quarta è l'umore radicale e infiammato che si coagula, e indurisce le parti rifinite con l'aderenza del loro simile

e con un'inseparabile unione di tutte le parti simili, poiché in quarto luogo dopo le aderenze o la collosità,

l'indurimento o solidificazione delle parti con il suo umore radicale e unto è conveniente e necessario”

Nell’unione di tutte le parti simili (Condotto Ascendente, Grande Galleria e Corridoio che conduce alla Camera della Regina) si compie il processo di indurimento e soli-dificazione delle pannellature di cristalli con l’Energia proveniente dal basso, affinché tutto segua il proprio corso, fino al raggiungimento degli ambienti preposti al-la funzione finale. La Grande Galleria rappresenta un altro passaggio de-terminante, per il compimento dell’opera. Vogliamo sol-lecitare la vostra attenzione su un particolare di cui si parla sempre troppo poco, probabilmente perché ancora nessuno ne ha compreso la reale portata. Lungo tutto il corso della Grande Galleria, infatti, insistono ben 54 nic-chiette, 27 per lato, disposte in sequenza pressoché co-

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stante e sfalsate l’una dall’altra, all’interno delle quali erano sistemati dei cristalli che si attivavano, dando vita al Serpente di Luce, quando sollecitati dalla fascia di fo-toni provenienti dal Condotto Ascendente. E' qui che si compie il miracolo della trasformazione, della trasmuta-zione dell’Elisir… “La sesta è la terra fissata, temperata, fine, sottile, fissata, incombustibile, che conferisce permanenza o fissazione, che si attacca alla soluzione,

e si mantiene da se stessa e persevera contro il fuoco, poiché in sesto luogo, dopo la purificazione,

è necessaria la fissazione”

L’Elisir/Energia acquisisce, nella sua violenta propaga-zione, la sottigliezza e la finezza conferita dai cristalli, di-sposti lungo il corso della Grande Galleria e si sviluppa così, come un serpente intrecciato, a richiamare l’antico simbolo del Caduceo! Questo è il momento topico in cui si compie il terzo pro-cesso della fisica che confluisce nella Teoria della Relati-vità… La Luce, che agisce nel ventre della Piramide, par-torirà, di lì a poco, il miracolo della trasformazione dell’Essere materiale in Essere di Luce… L’illuminazione della trasformazione dell’Essenza, rappresenta il punto finale in cui, Materia e Spirito, si fondono in una trascen-denza quasi annunciata. E qui che trovano giustificazio-ne alcuni frammenti del più famoso Libro dei Morti Egi-zio e specificamente quando si fa riferimento all’incontro tra le anime dell’uomo Osiride e del divino Ra… Il Ser-pente di Luce, che si origina alla base della Grande Gal-leria, viaggia verso il Grande Gradino che fa da spartiac-que tra la fase intermedia e quella finale, tra la sezione centrale della Grande Piramide e la Parte Superiore del monumento.

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Alcuni ricercatori, nel corso dell’esplorazione degli am-bienti interni, hanno raccontato dell’accanimento dei primi “tombaroli” intrufolatisi nella parte superiore della Grande Galleria, al confine con l’Anticamera. Si racconta - ed in realtà si può anche osservare - come le parti estreme del Grande Gradino, siano state completamente distrutte. Perché tanto accanimento su un blocco di pie-tra? E’ solo un atto di vandalismo, oppure c’era da aspor-tare qualcosa di molto importante? Nel corso della ricostruzione del funzionamento della macchina piramidale, ci siamo accorti che, seguendo le traiettorie del “Serpente di Luce”, esse si sarebbero “per-dute” nella parte superiore, se non avessero avuto un ca-talizzatore che le ricevesse e le convogliasse all’interno della cosiddetta Camera del Re! Quindi, con ogni proba-bilità, il Grande Gradino ospitava due Enormi Cristalli, disposti uno su ciascun lato, così da concentrare su di es-si, tutta l’Energia che nel frattempo defluiva lungo la Galleria. Solo la presenza di qualcosa di prezioso, infatti, avrebbe potuto giustificare la violenza e l’accanimento dei tombaroli, su pietre apparentemente insignificanti. Ed è proprio al confine tra le due sezioni della Piramide, che si apre la strada verso l’ultimo processo, che si verifi-ca all’interno della Camera del Re. E lì che si compie il momento più alto della trasformazione della Materia… In questo preciso punto, infatti, le tre forze generatrici, che hanno dato vita all’Elisir/Energia, si trasformano in una nuova Essenza Vitale, in una nuova fonte di Energia completamente diversa dalle precedenti, oggi definita “provvisoriamente”, Emergia. In fisica, questo processo prende il nome di “Quarto Principio della Termodinami-ca”… Ufficialmente ancora allo stato sperimentale, esso trova la sua sostanza nell’ultimo stadio del Serpente di Luce.

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Della Porta del Cielo

l motivo per cui questo libro non ha rispettato i tempi di pubblicazione programmati, è stretta-mente legato ai contenuti di questo paragrafo. Noi

siamo venuti a conoscenza di un Sapere che va oltre l’umana logica, poiché, per comprenderne il reale signifi-cato, bisogna aprire la propria mente a 360°. Ci siamo chiesti, in più di un’occasione, se questa umanità è pron-ta a ricevere una Rivelazione di questa portata. Quello che accade nella Camera del Re, infatti, sulla base dei ri-sultati ottenuti dall’elaborazione dei dati, elude la Scien-za conosciuta, mettendone in dubbio i dogmi sui quali essa si basa. Ma la stessa cosa può dirsi delle Filosofie e delle Teologie che, oggi più che mai, condizionano – nel bene e nel male – la vita quotidiana di ciascuno di noi. Eppure, nei testi antichi rinvenuti in Egitto, ma anche in altre parti del mondo, si trova traccia di questo ancestrale Sapere che metteva in comunicazione gli uomini con gli dèi… La nostra sensazione è che si sia fatto di tutto per celarlo, per occultarlo… per nascondere ad ogni costo l’esistenza di una strada che permette all’Uomo, nella sua essenza Materiale e Spirituale, di elevarsi a nuove forme di con-tatto, con realtà extradimensionali. Questo è quanto ac-cade nella Camera del Re… questo è ciò che gli Egizi hanno tramandato ai posteri, tra le pagine del Libro dei Morti… questo è il senso della frase “Osiride entra in Djedu e lì incontra Ra…” e nel loro abbraccio “diventano anime gemelle”! Abbiamo fatto una valutazione molto attenta sull’opportunità di proporre il processo scientifico che coinvolge gli ultimi ambienti della Grande Piramide, e

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alla fine abbiamo deciso di non pubblicarlo… ci scuserete voi lettori e appassionati della Verità Storica ma, credete-ci, questo non è il momento. Questa ricerca è partita molti anni fa, quando ancora, in-consapevolmente, non sapevamo a cosa stessimo andan-do incontro. Abbiamo cominciato ad averne una piccola idea quando, dopo aver contattato alcune università, sia italiane che statunitensi, siamo stati invitati ad occuparci di altre questioni. Dopo un primo momento di entusia-smante interesse, siamo stati messi alla porta senza nep-pure ricevere una telefonata di chiarimento! E’ in quel momento che abbiamo compreso.. Il lavoro che avevamo deciso di intraprendere avrebbe dato troppo “fastidio” a qualcuno! Eravamo un po’ scettici sull’opportunità di raccontare due episodi che hanno contraddistinto la nostra recentis-sima storia personale, ma abbiamo deciso di farlo, perché la nostra etica interiore ci impone la dovuta onestà intel-lettuale. La sera del 13 ottobre del 2011, eravamo intenti nel pre-parare la cena, al termine di una lunga ed estenuante giornata di lavoro. Intorno alle 20.00, abbiamo ricevuto entrambi tre squilli sul cellulare da numero anonimo… e pochi minuti dopo, tre colpi alla porta, annunciavano l’arrivo di “ospiti” inattesi… Tre signori dalla robusta corporatura, senza neppure varcare la soglia di casa e tantomeno presentarsi, ci hanno “consigliato”, dopo un lungo panegirico, di porre maggiore attenzione agli aspetti archeologici della nostra ricerca, senza perderci in argomentazioni “senza costrutto” che avrebbero potuto diventare pericolose, se percepite come “realtà stori-ca!”… Insomma, un invito a chiudere la bocca e girare lo sguardo da un’altra parte! Avevamo capito l’antifona e, in realtà, quella “visita” ci ha dato maggior vigore nel

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proseguire nella nostra ricerca sulle verità di Giza… Co-sì, ci siamo decisi a pubblicare qualche pillola dei nostri studi, anche per capire fino a che punto l’attenzione “al-trui” si concentrava sul nostro operato. La risposta non si è fatta attendere, poiché, dopo circa un mese, sono spariti due computer nei quali erano custoditi parte dei nostri studi sulla funzione delle Piramidi di Giza. Poiché non siamo completamente sprovveduti, una copia di questo libro e i dati sensibili della ricerca, li avevamo custoditi su un hard-disk esterno, segretamente riposto in luogo sicuro. Da allora, siamo stati molto attenti… Trascorrere le giornate con la sensazione di essere costantemente sot-to osservazione, non è assolutamente piacevole… Nonostante tutto, abbiamo deciso di seguire la nostra strada, incuranti dei rischi a cui andavamo incontro e, nel silenzio più assoluto, portato a termine il nostro lavo-ro che, in parte, abbiamo racchiuso tra le pagine di que-sto libro. Quello che non abbiamo ancora raccontato… lo narrere-mo in pochissime righe… Abbiamo scoperto che la quan-tità di energia che le Piramidi, nel loro insieme, possono produrre, è pari a quella generata da 18 milioni di centra-li atomiche a pieno regime!!! Basterebbe una frazione di questa energia, per illuminare tutto il pianeta e preser-varsi delle scorte per tempi peggiori. E quello che è più importante… è che non servono multinazionali per avere la quantità giusta per far funzionare gli elettrodomestici di casa, ma un piccolo marchingegno che può essere ri-prodotto con materiali semplicissimi, rinvenibili in natu-ra! Ecco da cosa hanno cercato di dissuaderci! Lo studio sulla funzione delle Piramidi ci ha portato alla scoperta di un sistema di Energia assolutamente eco-compatibile, utilizzabile in ogni angolo del pianeta senza la necessità di dover dipendere da nessuno. In più, ci ha

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dimostrato che le Piramidi di Giza non sono opera di questa Civiltà Terrestre, avvalorando le ipotesi di Sitchin ampiamente descritte nei suoi libri tratti dalle “tavolette sumere”, rinvenute nel secolo scorso. La Piana di Giza era una stazione dalla quale era possibile aprire varchi spaziotemporali, esattamente nei modi e nelle forme teo-rizzate da Einstein-Rosen, a ridosso della metà del secolo scorso. Questa realtà è avvalorata da alcuni dati che ab-biamo rilevato nel corso dei nostri studi e che ci hanno portato, passo dopo passo, a ricostruire tutto il funzio-namento della Grande Piramide. La Seconda Piramide di Giza, associata al faraone Che-fren, contiene in se un valore proporzionale basato sul numero 137 il quale, sia da un punto di vista scientifico che esoterico, ha una rilevanza straordinaria. Il 137 è la sintesi dell’equilibrio dei tre principi di base della fisica; mette in correlazione l’elettromagnetismo, la fisica quan-tistica e la relatività… tre principi custoditi nei processi di produzione di energia che si sviluppa nella Piramide. Inoltre, i valori proporzionali delle tre sorelle di Giza, trasformati in numeri binari, hanno riprodotto dati asso-lutamente incredibili. Dalla loro trasformazione, infatti, con l’aiuto di un collaboratore esterno del Tau-T Project, Ivan Malcic Shordinger, giovanissimo genio della fisica quantistica, abbiamo sviluppato 256 circuiti elettrici, di cui 253 funzionanti e tre in stand by, quando una delle tre piramidi non era in funzione. Insomma, quello che racconta la storia ufficiale è un af-fronto alla realtà dell’evoluzione di questo pianeta e all’intelletto umano… e chi oggi persegue questa falsari-ga non produce altro che terrorismo. In conclusione, del processo che avviene nella parte su-periore della Piramide - che coinvolge l’Anticamera, la Camera del Re e lo Zed – vi enunciamo il settimo princi-

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pio alchemico, dal quale l’attento lettore potrà ricavare una risposta alla propria legittima curiosità.

“La settima è la tintura, che dona un colore brillante e perfetto, bianco e rosso cupo,

che conferisce la lunificazione e solificazione delle cose trasmutabili, poiché in settimo luogo il colore tingente, o tintura,

è necessario dopo la fissazione, e muta ogni sostanza convertibile in vero oro e argento,

con tutte le sue differenze certe e conosciute”

Un giorno, quando l’oppressione dei popoli sarà al suo epilogo, la Porta del Cielo si aprirà… e ci sarà posto solo per chi è pronto per un nuovo programma di evoluzione, ovvero quando avrà realmente compreso cosa significa che nel Passato è contenuto il Seme del Futuro!

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PARTE QUARTA CONCLUSIONI

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“Quatemus nobis denegatur diu vivere Reliquamus aliquid

Quo nos vixisse testemur”

Plinio il Vecchio

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Un mondo di ricerca senza dignità

on siamo mai stati abituati ai panegirici, alle parole dette o non dette… Anche questa volta, senza nessuna remora, vogliamo manifestare il

nostro pensiero su come viene costantemente manipolata la Verità Storica. In realtà, su questo argomento, ci siamo confrontati spesso anche con esponenti della ricerca in-ternazionale e tutti - per quanto manifestino convinci-menti sempre più evidenti sui risultati da noi conseguiti – si rintanano in obsoleti schemi, ormai abbondantemen-te sorpassati dall’evidenza archeologica. Non riusciamo a capire se si tratta di un limite del pensiero, oppure di un “abito scomodo” da indossare pur di rimanere in auge. Esistono troppi elementi, testimoni di un passato deci-samente diverso da quanto ci viene continuamente rac-contato “dall’intellighenzia” moderna, eppure, nessuno – tra i personaggi più autorevoli, ampiamente consapevoli dell’esistenza di un’altra Verità Storica - ha mai preso il coraggio a due mani, opponendosi al progressivo massa-cro scientifico del nostro Passato Remoto. Noi ci siamo voluti ispirare alla saggezza di Plinio il Vec-chio, allorquando sollecita a “vivere la vita sino in fondo, realizzando i propri progetti, affinché rimanga testimo-nianza del proprio passaggio in questa dimensione”… E’ uno sforzo che stiamo compiendo – non certo per noi stessi – ma per manifestare alle menti più sensibili, che questa umanità proviene da un retaggio ancora in parte sconosciuto. In questo libro, abbiamo esaminato alcune vicende - compatibilmente all’esigenza di non tediare il lettore in sproloqui monotematici – che hanno riguardato alcuni risultati di ricerche, particolarmente significative e, so-

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prattutto, episodi che hanno condizionato la vita di ar-cheologi impegnati nella ricostruzione storica delle Anti-che Civiltà. Quando lo scorso anno, per puro caso, ci siamo imbattuti nei risultati pubblicati nel 1929 dall’Università di Chicago sulle regioni del Fayyum e del Nilo, siamo rimasti profondamente colpiti dal fatto che mai nessuno - in questi ultimi ottanta anni - abbia fatto riferimento a questi dati straordinariamente importanti. Quasi come se la ricerca scientifica si alimentasse a cor-rente alternata… ai momenti di buio assoluto, si susse-guono improvvisi sussulti che, al termine del loro brevis-simo ciclo di vita, ritornano nell’oblio. E se la prassi non è rispettata, allora c’è sempre qualcuno che impone una visione del tutto in antitesi, seppellendo la chiarezza che traspare dai reperti rinvenuti, sovvertendo – in tal modo – la corretta informazione sui fatti accaduti. Ci sembra il caso di proporre un esempio sul quale, in passato, ci si è già confrontati in autorevoli consessi: l’Osireion. Si tratta di un monumento rinvenuto ad Abydos, proprio a ridosso del Tempio dedicato a Seti I e a Ramesse II. L’egittologia ufficiale si è pronunciata in maniera decisa e perentoria, attribuendo la costruzione al periodo ramesside. Eppure, se analizziamo con un mi-nimo di attenzione la foto sottostante – mi raccomando, senza eccedere nell’attenzione – è impossibile non rileva-re la similitudine tra l’Osireion ed i templi a valle della Sfinge! Quindi? Come possiamo interpretare le imposizioni della scuola accademica? Sono davvero così stolti, oppure stanno disperatamente nascondendo la Verità? E in quest’ultimo caso… perché? Non riusciamo a comprendere il senso di tanto impegno nell’occultare la vera dinamica storica che ha interessato questo pianeta e questa umanità!

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Osireion Tempio della Valle

Sia chiaro che non vogliamo cimentarci in filosofie die-trologiche e neppure esercitare convinzioni esopolitiche, poiché questi argomenti non ci appartengono! Vogliamo semplicemente stimolare la vostra riflessione su argo-mentazioni che non hanno una loro logica! Rileggendo le vicende di Peter Ehlebracht, ad esempio, ci siamo inizialmente convinti che, probabilmente, poteva trattarsi di un’astuta mossa pubblicitaria, per attirare l’attenzione su un personaggio poco conosciuto… ma quando abbiamo vissuto, in prima persona, la medesima esperienza, ci siamo dovuti ricredere e, inevitabilmente convincere, che esiste davvero un mondo sommerso che sta facendo l’impossibile per dirigere la storia (con la “s” minuscola) lungo un percorso diverso da quello reale. Quando Robert Bauval – nel corso della Conferenza in-ternazionale di Pescara - ci sussurra all’orecchio che le nostre teorie sono corrette, ovvero che le piramidi hanno circa 40.000 anni e, successivamente, in pubblico sostiene esattamente il contrario, vuol dire che c’è qualcosa che non quadra! Prima di iniziare i nostri studi sulla funzione delle Pira-midi di Giza, potevamo contare sul supporto e sull’amicizia di molti personaggi noti della ricerca ar-cheologica indipendente… pian piano… ci siamo resi

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conto, invece, che i nostri studi ci stavano creando il de-serto tutto intorno. Siamo rimasti soli… con il nostro ves-sillo della Verità Storica, ormai sdrucito e consunto dalle intemperie! Ci siamo trovati al classico bivio… proseguire nella no-stra folle corsa verso la Verità, oppure accodarci al bran-co ed abbaiare alla luna. Abbiamo scelto la prima strada, con la stessa determinazione che anima la nostra esisten-za da sempre. Le conseguenze le potete immaginare… ma le viviamo con estrema tranquillità, essenzialmente partendo dal presupposto che non esistono martiri! Il Progetto Tau-T è formato da uomini liberi, trasparenti e con la giusta voglia di comprendere in ragione della Scienza. Niente forzature, poiché non servono, ma solo passione e amore per la Storia e per la Verità.

* * * a Trilogia editoriale che abbiamo pubblicato in questi anni, è il frutto di un lavoro duro, compli-cato e, per certi versi… entusiasmante. Abbiamo

iniziato il percorso cercando di seguire una logica rico-struzione dei fatti e, in questo caso, era inevitabile pro-porre uno studio più approfondito sulle origine della Ci-viltà che ha edificato Giza. Nel nostro lavoro “36.420 AC – Rivelazioni dal Tempo”, non abbiamo fatto altro che incasellare le tessere di un puzzle nelle forme più corret-te, prescindendo da quanto imponevano le teorie di quel momento. Ne è venuto fuori un lavoro molto apprezzato, visti i risultati editoriali e l’attenzione dei colleghi di ri-cerca. Questo ci ha, ulteriormente, spronato ad appro-fondire le tematiche, proponendo un progetto di ricom-posizione dell’intera Piana di Giza che rispondesse alle linee guida indicate dagli antichi costruttori, attraverso l’edificazione dei monumenti più conosciuti. Così, ap-

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profondendo la correlazione astronomica, ci siamo im-battuti nella stella Sirio e nel suo corrispondente terre-stre: la dimenticata Tomba di Khentkaus, scoperta della quale narriamo nel secondo saggio della trilogia “Oltre le nebbie del Tempo”. Infine, non rimaneva altro che com-prendere le ragioni più profonde per cui Giza è stata rea-lizzata. “La Porta del Cielo” non è altro che la dimostra-zione scientifica dell’esistenza di una Civiltà che aveva compreso i segreti più profondi della Scienza. Il sistema di funzionamento delle Piramidi, non può prescindere dalla grande opera architettonica che è a monte dell’edificazione dei monumenti. Basti solo pensare all’immane impegno di realizzare condotti ad hoc per trasportare l’acqua salata dal Mediterraneo (secondo le ipotesi di Max Ludwig Paul Blanckenhorn) oppure dal Fayyum… Solo questo scenario, dovrebbe indurci a ri-flettere seriamente su quanto è accaduto nel Passato. Molti si sono accaniti sulle proposte di Sitchin e, in veri-tà, non completamente a torto, poiché si è cimentato in “abbellimenti” ed interpretazioni, non completamente in linea con quanto riportato nelle tavolette sumere. Tutta-via, non si può prescindere dagli innumerevoli indizi in-cisi in cuneiforme e neppure dai bassorilievi che descri-vono forme ed elementi che non potevano certo essere noti alle civiltà post-diluviane. Così come, le ricerche di Klaus Dona, ad esempio, che evidenziano reperti assolu-tamente “improponibili” per fattezze, alle popolazioni del nostro tempo. Di esempi se ne potrebbero fare a iosa; resta sempre il le-gittimo dubbio che quelli che vengono definiti Anunna-ki, oppure Uomini delle Stelle, siano realmente esistiti ed abbiamo lasciato abbondanti tracce nella mitologia, ad ogni latitudine.

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E, quindi, permetteteci di chiarire la nostra posizione sull’argomento, in maniera definitiva: le Piramidi di Giza sono opera di questa civiltà! Anunnaki, Uomini delle Stelle o qualsiasi attribuzione vogliate dare… sono stati loro a realizzare questi monumenti. Cheope, Chefren e Micerino, nonché Khentkaus… con l’edificazione di Gi-za, non hanno nulla a che fare! Su questo argomento, insistiamo in maniera decisa, poi-ché quanto emerge dalla nostra analisi dei fatti, non ha altra risposta se non nell’accettare, coscientemente, che i testi antichi, relegati al mito, raccontano invece un fatto storico! Quando abbiamo letto e approfondito i principi della scienza alchemica, trascritti nel Rosarium Philosopho-rum, e ne abbiamo decriptato i principi, associandoli alla funzione della Grande Piramide, ci siamo resi conto che essi sono stati custoditi e tramandati per millenni in for-ma codificata, affinché la conoscenza non fosse dispersa per sempre. Nei principi alchemici, dunque, si riassume il Sapere più antico ed oscuro… il Sapere che risale a quegli uomini che, sbarcando su questo pianeta, hanno contribuito all’evoluzione di questa civiltà. Un’evoluzione che ha trovato intoppi, allorquando, qual-cuno ha deciso di porre dei limiti al Sapere Collettivo… ma questa è un’altra Storia.

* * * el settembre del 2012, abbiamo predisposto un lavoro di ricerca per la Bosnian Foundation. Il lavoro consisteva nell’esaminare la disposizio-

ne delle strutture individuate da Semir Osmanagich e trovare un’eventuale correlazione astronomica. I risultati della ricerca sono stati pubblicati, ufficialmente, a feb-braio del 2013, sul sito della Fondazione. Sono sempli-

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cemente straordinari, poiché il sito archeologico è dispo-sto così come l’Arco di Orione e si allinea alla costella-zione, in modo precisissimo, solo nel 36.420 AC. Questo risultato, oltre a confermare le nostre convinzio-ni, apriva un nuovo scenario nel nostro campo di ricer-ca… Visoko come Giza? L’eccellente lavoro archeologico che sta svolgendo Semir, nell’ostracismo più totale, sta riportando alla luce un sito che ha molte affinità strutturali con la Piana di Giza: Pi-ramidi, tunnel sotterranei, acqua nelle vicinanze del si-to… insomma, ci sono tutti gli elementi per considerare Visoko in un’ottica completamente innovativa. Peraltro, dato non trascurabile, le analisi al radiocarbonio effettua-te su alcuni reperti, rinvenuti nei tunnel della Piramide del Sole, riportano la costruzione del sito, indietro nel tempo fino a circa 30-32.000 anni fa. Il sito è antichissimo e le tecniche di costruzione non si discostano molto dall’impostazione di Giza. Peraltro, la ricerca di Semir si sviluppa su più direttrici, e l’approccio ai monumenti – sviluppata sul piano della correlazione tra strutture ed elettromagnetismo – dimostra chiaramente che quelle “macchine” sono ancora parzialmente funzionanti! Questi elementi dimostrano che la Civiltà delle Piramidi ha, chiaramente, edificato ovunque, su questo pianeta e avvalorano la tesi secondo la quale, gli Uomini delle Stel-le, si sono divisi i territori, così da crearsi proprie sfere d’influenza, esattamente come riportato dalla traduzione delle tavolette sumere. La funzione delle piramidi, dunque, non può essere più sottaciuta… tuttavia, non bisogna neppure limitarla alla semplice propagazione nello spazio circostante di quan-tità di energie utili ad aprire un varco spaziotemporale. Uno dei presupposti del Tau-T Project è quello di com-prendere quanto, i bassorilievi egizi o le raffigurazioni

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pittoriche rinvenute nelle tombe, siano in linea con le an-tiche conoscenze di questa Civiltà Avanzata. In particola-re, ci riferiamo alle rappresentazioni dei Faraoni – ancora in vita - intenti a “ricevere” all’altezza della bocca, l’imposizione del bastone Uas sormontato dalla Chiave della Vita-Ankh e dallo Zed. Noi siamo assolutamente convinti che la tipologia di energia sviluppata, era in grado di ripristinare l’assetto biomolecolare dell’uomo. Del resto, i riferimenti rinvenuti nel Libro dei Morti non fanno altro che confermare l’ipotesi che – il ripristino ma-teriale del corpo umano – era possibile solo attraverso l’utilizzo delle giuste frequenze energetiche. Da questo punto di vista, però, siamo ancora nella fase di progetta-zione… presto sarà approntato un protocollo scientifico di ricerca per verificare – sulla base degli elementi finora elaborati – quale può essere la reazione molecolare sotto l’influenza di determinate frequenze. Finora, lo sviluppo delle tecnologie moderne è totalmen-te incentrato sulle Alte Frequenze… noi riteniamo che sia possibile invertire la rotta, propendendo per una via più semplice e meno articolata: entrare in frequenza con la Natura di cui siamo parte integrante.

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questo punto della nostra trattazione, non ci re-sta che lasciare, a voi lettori, un opportuno mo-mento di riflessione sulle tematiche trattate in

questo saggio. Siamo convinti che quanto riportato non è facilmente di-geribile ma siamo, altrettanto convinti che, quanto de-scritto, risuoni fortemente nella vostra coscienza, nel vo-stro essere interiore. Quando ci siamo resi conto che i ri-sultati scientifici producevano dati sempre più convin-

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centi ed in linea con la scienza, non abbiamo fatto altro che raccogliere i frutti del nostro lavoro e metterli a di-sposizione di tutti coloro i quali, ancora credono nella Verità. Noi siamo convinti che una nuova coscienza sta maturando in ciascuno di noi… e non grazie al 2012, sul quale sono state vergate pagine di cavolate senza ritegno, solo ed esclusivamente per scopi commerciali. Mai una riga è stata espressa in controtendenza o, per meglio di-re, in linea con il reale contenuto della mitologia Maya. Fortunatamente, noi siamo al di sopra di ogni sospetto, poiché mai convinti – così come abbiamo più volte di-chiarato – dei presagi catastrofisti della meravigliosa ci-viltà mesoamericana. L’uomo è al suo bivio! C’è un mondo nuovo da ricostrui-re… c’è una nuova consapevolezza da interiorizzare. I nostri figli attendono un atto di coraggio che distrugga, per sempre, l’oppressione culturale che annebbia il no-stro cervello. Saperaude… suggeriva Emmanuel Kant… con le sue pa-role abbiamo aperto questa trilogia… con le sue parole la chiudiamo… Abbi il coraggio di esprimere i tuoi giudizi!

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Bibliografia BAUVAL ROBERT E GILBERT ADRIAN – Il Mistero di Orione, Corbaccio Editore, anno 1996 BAUVAL ROBERT E HANCOCK GRAHAM - Custode della Genesi, Cor-baccio Editore, 1997 BURKE JOHN – Seed of knowledge, Stone of Plenty - Oaks Books 2005 DONADONI SERGIO - Testi religiosi egiziani, Roma, 1970 DUNN CHRISTOPHER – The Giza Power Plant – Amazon 1998 DUNN CHRISTOPHER – The Lost Technologies of Ancient Egypt – Ama-zon 2010 EHLEBRACHT PETER – Haltet die Pyramiden Fest - Amazon 1986 ERMAN A. - Il mondo del Nilo. Civiltà e religione dell'antico Egitto, Roma - Bari 1982. GARDINER ALAN - The Royal Canon of Turìn, Griffith Institute, Ox-ford GARDINER ALAN - La Civiltà Egizia, Torino, 1971. GRAVES ROBERT – La Dea Bianca, Adelphi, Milano 1992 GUÉNON RENÉ – Simboli della Scienza Sacra, Adelphi, Milano 1990 HAPGOOD CHARLES - Lo scorrimento della crosta terrestre, trad. di Pao-lo Ga-jani, Einaudi, Torino 1965 HANCOCK GRAHAM - Impronte degli dèi, Corbaccio Editore, 1996 HANCOCK GRAHAM - Lo specchio del cielo, Corbaccio Editore 1999 HART GEORGE - Miti egizi, Mondadori, Milano 1994

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KOLPAKTCHY G. E PIANTANIDA D. - Il libro dei morti degli antichi Egi-ziani, Brancato Edizioni LEWIN ROGER - Human Evolution, Blackwell Scientifk, Oxford, 1984 LORELLA CECILIA - I costruttori delle Piramidi, Riv. n° 164 Archeo 1998, MASPERO GASTON - The Dawn of Civilisation, 1901 MEI ARMANDO E NICO MORETTO – Le Piramidi Satellite ed il Codice Segreto, MJM Editore 2010 MEI ARMANDO E BENEDETTI MONICA – Oltre le Nebbie del Tempo – Amazon 2012 PETRIE FLINDERS - Seventy Years in Archaeology, Sampson & Low, Marston & Co. Ltd., London PINCHERLE MARIO - Archetipi, Macro Edizioni 2001 RACHEWILTZ BORIS DE - I miti egizi, Milano 1983. SANTILLANA GIORGIO DE E DECHEND HERTA VON - Il mulino di Amle-to, Adelphi 1983 SHORTER, A.W. - Gli dei dell'Egitto, Roma 1980. SITCHIN ZECHARIA – Il Libro Perduto del Dio Enki, RCS, Milano 2005 SMYTH PIAZZI CHARLES - The Great Pyramid: Its Secrets and Mysteries Revealed, Bell Publishing Co., New York, 1990 TERSILLA GATTO CHANU - Miti e leggende della creazione delle origini, Newton e Compton Editore, 1999 UNIVERSITY OF CHICAGO, ORIENTAL INSTITUTE PUBLICATION – PRE-HISTORIC SURVEY OF EGYPT AND WESTERN ASIA – Paleolithic Man and the Nile-Faiyum Divide – Chicago 1929 WALLIS BUDGE - Magia egiziana - Milano 1982.

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WILSON HILARY – I Segreti dei Geroglifici, Newton & Compton, Roma 1998

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Indice dei Nomi ABD’EL HAKIM AWYAN, è considerato un saggio custode dei misteri dell’Antico Egitto. Nato e cresciuto in un villaggio nei pressi della Piana di Giza, Awyan ha speso gran parte della sua vita nella ricerca archeologica. Appartenente alla “Scuola Khemitiana”, nei suoi studi ha approfondito le tematiche relative alla correlazione tra monu-menti e fonti di energia. Awyan si è spento nel 2008, lasciando una grande eredita culturale. BAUVAL JEAN PAUL, nato in Egitto ha completato i suoi studi lau-reandosi in Architettura. La sua passione per lo studio architettonico di antichi monumenti lo ha condotto sulla Piana di Giza dove ha svi-luppato interessantissime teorie sulle caratteristiche strutturali della Grande Piramide. Ha partecipato come relatore a numerose Confe-renze Internazionali, dove ha esposto i principi cardine delle sue Teorie. BAUVAL ROBERT, nato ad Alessandria d'Egitto è uno scrittore e in-gegnere britannico. Appassionato di egittologia deve la sua notorie-tà ad un libro, Il mistero di Orione (The Orion Mystery), edito nel 1994 e scritto con Adrian Gilbert. Questo best seller cerca di dimostrare che le tre principali piramidi della piana di Giza sono accuratamente al-lineate come le stelle che formano la "cintura" della costellazione di Orione. Nel libro in questione, i due autori, studiando in particolare la piramide di Cheope, avanzano anche l'ipotesi che gli antichi egizi conoscessero bene il fenomeno astronomico chiamato precessione degli equinozi. MAX LUDWIG PAUL BLANCKENHORN, NATO IL 16 aprile 1861 a Siegen (Germania) è stato un importante geologo. Ha studiato a Göttingen e Bonn , dove si è laureato nel 1885. Negli anni 1888-1931, ha intrapreso diversi viaggi in Oriente e in Nord Africa. Sulla base di questa esperienza, ha scritto una serie di articoli sulla geolo-gia dell’Egitto (dove ha scoperto le tracce di un antico letto di fiume battezzato Ur-Nil), Siria e Palestina. E’ morto il 13 gennaio 1947 a Marburg.

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BREASTED JAMES HENRY, nato a Rockford nel 1865, è stato uno degli archeologi statunitensi più famosi. E’ stato il primo cittadino ameri-cano ad ottenere un PhD in egittologia. Breasted faceva parte dell'a-vanguardia di archeologi e storici che estesero l'idea di "civiltà occi-dentale" includendo tutto il Medio Oriente nelle radici culturali eu-ropee. Nel 1894 divenne un docente dell'università di Chicago e nel 1905 venne nominato professore di egittologia e di storia orienta-le. Nel 1901 venne nominato direttore del museo orientale Haskell; anche se tale museo conteneva opere sia del Medio Oriente che dell'Estremo Oriente il suo interesse fu indirizzato verso l'Egitto. Nel 1919 John D. Rockefeller versò dei fondi all'istituto orientale di Chicago che permisero a Breasted di effettuare, tramite l'università, la prima indagine archeologica in Egitto. Breasted partecipò alla spedizione Carter - Carnarvon, che nel 1922 scoprì la Tomba di Tu-tankhamon. Morì nel 1935 mentre ritornava da un viaggio in Egitto. Breasted è ora attualmente maggiormente conosciuto per aver conia-to il termine "la mezzaluna fertile" per descrivere l'area tra l'Egitto e la Mesopotamia. BURKE JOHN, fisico della Stony Brook University, nel 2006, ha pub-blicato un saggio dal titolo “Seeds of knowledge, Stone of Plentry”, ba-sato sullo studio geofisico delle aree in cui sorgono una sessantina di siti megalitici: dal Sud America all’Europa, fino al deserto africa-no. Egli ha rilevato che la quasi totalità dei siti sorgono in aree dove il magnetismo terrestre è particolarmente elevato. Ritiene che il campo magnetico terrestre sia addirittura amplificato, grazie alle co-struzioni realizzate dalle antiche popolazioni che hanno abitato quei luoghi. Studioso semisconosciuto in Italia. COLLINS ANDREW, studioso di origini britanniche è tra i più famosi ricercatori di frontiera. Molto apprezzate sono le sue ricerche sulla Piana di Giza, in particolare sui cunicoli che insistono nell’area del complesso piramidale. Ha scritto numerosi articoli e libri sull’argomento non ultimo un complesso ed articolato studio sulla correlazione tra la Costellazione del Cigno e le Piramidi dal titolo “Il Mistero del Cigno”. DANLEY TOM, ingegnere acustico, ha lavorato per diversi anni alla Nasa sviluppando progetti collegati alla dinamica aerospaziale. Ha partecipato ad una spedizione a Giza, negli anni ’90. Nel corso della sperimentazione acustica sulla Grande Piramide, ha dimostrato una

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profonda correlazione tra le frequenze rilevate nella Camera del Re e quelle emessa dal Pianeta. Autore completamente sconosciuto in Ita-lia. DE LUBICZ SCHWALLER RENÉ ADOLPHE, nato ad Asniéres il 30 di-cembre 1887, è stato un egittologo e esoterista francese. Nel 1939 si reca in Egitto e dà alle stampe: Le Temple dans l'homme (1949); Du Symbole et de la Symbolique (1951); Propos sur Esoterisme et Sym-bole (1960); Le Roi de la Teocratie Pharaonique (1958); Le miracle egyptien (1963); Les Temples de Karnak e infine Le Temple de l'homme (1957). Scompare nel 1961. DUNN CHRISTOPHER, nato a Manchester nel 1946, è un ricercatore indipendente. Autore di interessantissimi saggi, tra i quali “The Giza Power Plant: Technologies of Ancient Egypt”, nel quale evidenzia l’utilizzo di tecnologie avanzate per il taglio dei blocchi utilizzati per la costruzione di alcune strutture nell’Antico Egitto. Autore di nu-merosi articoli sull’argomento, ha riscosso un notevole apprezza-mento dalla comunità scientifica indipendente. Nel 2010 ha pubbli-cato il libro "Lost Technologies of Ancient Egypt: Advanced Engi-neering in the Temples of the Pharaoh EHLEBRACHT PETER, ricercatore di origini tedesche, ha trascorso mol-to della sua vita tra le sabbie del deserto egizio alla ricerca delle ori-gini di questa misteriosa civiltà E’ stato protagonista di un intrigo internazionale, allorquando denunciò il sistematico smantellamento delle cripte di Dendera. E’ autore di diversi libri sull’Antico Egitto. In Italia è praticamente sconosciuto pur avendo maturato esperienze di ricerca notevoli. ERODOTO è ritenuto il "padre della storia" in quanto, nella sua opera delle "Storie" che in greco significa inchiesta/ricerca, cerca di indivi-duare le cause che hanno portato alla guerra fra le poleis unite della Grecia e l'impero persiano ponendosi in una prospettiva storica, uti-lizzando l'inchiesta e diffidando degli incerti resoconti dei suoi pre-decessori. Effettuò molti viaggi che gli permisero di visitare gran parte dei luoghi toccati dal Mediterraneo orientale, in particolar mo-do l'Egitto dove, affascinato da quella civiltà, rimase per quattro me-si. A lui si deve l’attribuzione Piramidi di Giza ai tre Faraoni Cheo-pe, Chefren e Micerino. (da Wikipedia.org)

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HANCOCK GRAHAM è un giornalista, sociologo e scrittore scozzese. Ha curato numerose pubblicazioni di carattere naturalistico e scien-tifico. Dopo una serie di libri sulla storia del medioriente nel 1992 pubblica Il mistero del Sacro Graal, un diario di 9 anni di ricerche tra Etiopia, Egitto ed Israele sulle tracce dell'Arca dell'alleanza e del Sa-cro Graal. Hanno fatto seguito Impronte degli dei, Custode della Genesi e L'enigma di Marte questi due in collaborazione con Robert Bauval. La serie è continuata con Lo specchio del cielo assieme alla fotografa Santha Faiia sua moglie, Civiltà sommerse e, nel 2004, sempre con Bauval, ha pubblicato Talismano (le città sacre e la fede segreta). HAWASS ZAHI è un archeologo ed egittologo egiziano. Ex Segretario generale del Consiglio supremo delle antichità egizie, negli ultimi anni è divenuto una figura nota a livello internazionale per le sue frequenti apparizioni in documentari televisivi sulla primitiva civiltà egizia. Dal 1987 al 1997 è stato direttore generale delle piramidi di Giza, Saqqara e Bahria Oasis. Dal 1998 al 2002 è stato sottosegretario di stato per i monumenti di Giza. Dal 2002 è segretario generale del Consiglio supremo delle antichità egizie. Si è più volte dichiarato avverso alle teorie sulla presunta civilizzazione terrestre della Terra da parte di precedenti extraterrestri (teoria degli antichi astronauti). È apparso nello spettacolo televisivo History Channel con l'intento di smentire le teorie e di dimostrare che furono gli Egizi a costruire le Piramidi egiziane e che mai sono state base d'atterraggio per mezzi spaziali extraterrestri come si vede nel film di fantascienza Stargate. Rimosso dal suo incarico e coinvolto in alcuni scandali legati alle sue attività “archeologiche”, è in attesa della decisione della Giustizia per confermare o meno il suo effettivo coinvolgimento. KNUTSON LLOYD V. entomologo, uno dei maggiori esperti del setto-re, specializzato nello studio della specie Diptera. Riconosciuto dalla comunità internazionale per le sue ricerche e per le sue numerose pubblicazioni scientifiche è stato – tra l’altro – Presidente della “In-sect Identification and Beneficial Insect Introduction Institute, USDA”. I suoi suggerimenti – pur non essendo del settore - ci hanno permesso di comprendere e sviluppare meglio gli argomenti trattati in questo volume. MANETONE scrisse, in greco, attingendo a fonti locali, una storia dell'Egitto (Aigyptiaká) di cui ci sono giunti estratti in opere posterio-

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ri di Giuseppe Flavio, Sesto Africano, Eusebio di Cesarea. ossia una lista di sovrani dell'Antico Egitto, in cui suddivide tutti i sovrani tra trenta dinastie assegnando a ciascuno di essi una durata del regno. Non sempre è stato possibile associare ai nomi forniti da Manetone un sovrano conosciuto attraverso altre fonti sia epigrafiche che ar-cheologiche. Il suo Elenco dei Re è giudicato inaffidabile dalla co-munità accademica salvo poi essere “interpellato” quando c’è da colmare una lacuna. Secondo Manetone le trenta dinastie avrebbero governato l'Egitto per oltre 5000 anni. Estremamente interessante è la lunga cronologia dei Re che conducono al mistero dello Zep Tepi. Secondo Manetone al 39.000 a.C. (da Wikipedia.org) PETRIE SIR WILLIAM MATTHEW FLINDERS è stato un egittologo e ar-cheologo britannico. Sir Flinders Petrie si occupò dei siti archeologici nazionali, incluso Stonehenge, fra il 1875 ed il 1880. La sua imponente carriera di archeologo si è sviluppata grazie agli scavi eseguiti in Egitto ed in Palestina supportati da numerosi vo-lumi sulle scoperte effettuate. Fra i grandi meriti di Flinders Petrie vi è quello di aver messo a pun-to una propria tecnica di seriazione dei reperti archeologici che gli permise di stabilire una successione cronologica di 2200 tombe a fos-sa della necropoli di Naqada nell'Alto Egitto. (da Wikipedia.org) SCHOCH ROBERT M. professore associato di Scienze Naturali al Col-lege of General Studies. Geologia di fama internazionale e famoso per i suoi studi sulla Sfinge di Giza. Secondo Schoch la Sfinge è mol-to più antica di quanto si possa immaginare. Inoltre, ritiene che una catastrofe di dimensioni straordinarie abbia estinto alter tracce di una civiltà remota. Nel 1991, ha datato il famoso monumento al 7000-5000 aC. Le sue argomentazioni sono basate sull’analisi delle tracce di erosione provocata dall’acqua presenti sulla struttura mo-numentale. VYSE SIR HOWARD RICHARD WILLIAM antropologo ed egittologo. Lavorò in particolare a Giza ed in particolare nella Camera del Re. Fu Vyse che “scoprì” i discussi marchi di fabbrica risalenti al regno di Khufu nelle cosiddette camere di scarico dello Zed. L’egittologia ufficiale ritiene attendibili, nonché straordinarie, la scoperta di Vyse. L’egittologia indipendente, la giudica la miglior truffa nella storia dell’Egittologia. (da Wikipedia.org)

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WEST JOHN ANTHONY, con Bauval ed Hancock è sicuramente tra I più famosi studiosi di Civiltà Antiche. Con Robert Schoch ha dato un contributo importantissimo retrodatando la costruzione della Sfinge all’8.000 aC circa. Queste conclusioni hanno creato una gran-de lacerazione tra la scuola accademica e quella indipendente. Di ri-lievo il suo libro “Serpent in the Sky”

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Indice

INTRODUZIONE 7 PARTE PRIMA ECHI LONTANO

Gli dèi decidono 14 Echi di Civiltà remote 18 In giro per il mercatino 27 Di nuovo in trincea 32 L’orto degli dèi 37 Il canto delle Piramidi 42 Il mistero si infittisce 47

PARTE SECONDA ANTICHE CIVILTÀ TRA MITI E SIMBOLOGIE

Il Simbolismo occulto 56 La Storia celata dal Mito 61 Gli utensili degli dèi 65 Il Segreto di Dendera 75 Un mosaico da ricostruire 84

PARTE TERZA LA GRANDE PIRAMIDE NON È PIÙ UN MISTERO

Dell’arte della Pura Scienza 90 Del Leone e dell’Acquario 100 Dell’ermetismo delle tre Sorelle 112 Della Scienza e della Qabalà 120 Della danza del Nilo 128 Della stanza dei Miracoli 134 Del secondo Principio della Scienza 147 Della Via della Luce 157 Della Regina e del Serpente 166 Della Porta del Cielo 173

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PARTE QUARTA CONCLUSIONI

Una ricerca senza dignità 180

Bibliografia 190

Indice dei nomi 194

Indice 200

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