struttura del fianco occidentale del massiccio del gran sasso d’italia
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Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali
Corso di Laurea Specialistica in Geodinamica, Geofisica e Vulcanologia
Tesi di Laurea in Geodinamica
STRUTTURA DEL FIANCO OCCIDENTALE DEL
MASSICCIO DEL GRAN SASSO D’ITALIA
Relatore
Prof. Carlo Doglioni
Correllatore
Prof. Daniel Bernoulli
Laureando
Giovanni Luca Cardello
Matricola 694550
Anno Accademico 2007/2008
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INDICE
RIASSUNTO pag.5 INTRODUZIONE 6 LOCALIZZAZIONE GEOGRAFICA 6 SCOPI DEL LAVORO E METODOLOGIE 7 1. STUDI PRECEDENTI 9 2. INQUADRAMENTO GEOLOGICO 29 L’APPENNINO CENTRALE NEL QUADRO GEODINAMICO DELLA
PENISOLA ITALIANA 29
L’APPENNINO CENTRALE E IL GRAN SASSO D’ITALIA: GEOLOGIA
REGIONALE 32
3. ASSETTO GEOLOGICO DEL GRAN SASSO D'ITALIA 40 SINTESI DEL QUADRO STRUTTURALE 40 SINTESI DEL QUADRO STRATIGRAFICO 43 4. STRATIGRAFIA DELLE FORMAZIONI RILEVATE 45 FORMAZIONI CARBONATICHE DI PIATTAFORMA 48 DOLOMIA PRINCIPALE 48 CALCARE MASSICCIO 49 FORMAZIONI BACINALI 50 CORNIOLA 51 CONTATTI STRATIGRAFICI TRA C. MASSICCIO E CORNIOLA 56 VERDE AMMONITICO 60 CORNO PICCOLO FM. 64 CALCARI DIASPRIGNI DETRITICI 69 MAIOLICA FM. 71 CEFALONE FM. 74 SCAGLIA BIANCA FM. 77 MONTE CORVO FM. 79 FONTE GELATA FM. 81 VENACQUARO FM. 83 CALCARENITI GLAUCONITICHE 85 MARNE CON CERROGNA 87 MARNE A ORBULINA 89 LAGA FM. 90 CALCIRUDITI QUATERNARIE 92 5. STRUTTURA TETTONICA 95 AREA OCCIDENTALE 95 AREA ORIENTALE 109 7. EVOLUZIONE TETTONO-STRATIGRAFICA 127
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DAL TRIAS SUPERIORE AL LIAS 127 DAL DOGGER AL CRETACEO SUPERIORE 131 DAL CRETACEO SUPERIORE ALL’OLIGOCENE 134 DAL MIOCENE INFERIORE ALL’OROGENESI MESSINIANA 138 DAL PLEISTOCENE AD OGGI 142 CONCLUSIONI 147 RINGRAZIAMENTI 150 BIBLIOGRAFIA 153 ALLEGATO 1 CARTA GEOLOGICA CON SEZIONE II ALLEGATO 2 SEZIONI GEOLOGICHE
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RIASSUNTO Sul fianco occidentale del Gran Sasso è stata condotta una campagna di
rilevamento geologico tra il Luglio 2007 e l’Agosto 2008 su supporto topografico alla
scala 1:10.000. L’adozione di metodi di analisi di facies per lo studio delle successioni
sedimentarie e la caratterizzazione delle strutture, associate ai lineamenti tettonici
principali, hanno permesso di offrire un contributo alla comprensione dei temi
paleogeografici e strutturali, posti dall’area in studio. Il prodotto cartografico del
rilevamento è stata una Carta Geologica in scala 1:10.000, completa di sei transetti
geologici. Il fianco occidentale del Gran Sasso d’Italia è il massiccio montuoso più
elevato dell’Appennino ed è definito da pieghe e sovrascorrimenti, successivamente
dislocati dalla tettonica estensionale quaternaria. Esso è costituito da una successione
sedimentaria meso-cenozoica di piattaforma, base-of-slope, avanfossa silicoclastica,
spessa complessivamente 5000 metri circa. La struttura è interessata da particolari
rapporti tettono-stratigrafici, ereditati dalla tettonica pre-orogenica, che influenzano la
propagazione dei sovrascorrimenti. Particolare attenzione è stata rivolta alla revisione
della stratigrafia, confrontando i dati e le interpretazioni degli Autori con quelli raccolti
in campagna. Nuovi dati sono emersi dallo studio delle formazioni giurassiche.
Nell’area di Acqua San Franco, Versante S di Pizzo Cefalone, è presente un inedito alto
strutturale liassico, delimitato da almeno tre settori ribassati e sigillato dal Verde
Ammonitico. La Corniola ospita una evidente variazione laterale di facies. Il Corno
Grande persiste come alto strutturale per tutto il mesozoico, vincolando la distribuzione
dei risedimenti di piattaforma, che scorrevano sui blocchi ribassati. Un’area
relativamente rialzata corrispondente alla zona di Campo Pericoli ospita una
successione condensata e discontinua durante l’intervallo Cretaceo basale-Paleogene
Medio, evidenziando il persistere di una “zona di alto” sud-orientale. La zona
Venacquaro-Monte Corvo registra sempre caratteri depocentrali. L’attività della Faglia
delle Tre Selle inizia probabilmente già nell’Eocene inf., caratterizzando facies e
spessori dell’hangingwall. I thrusts frontali sono associati a pieghe per propagazione di
faglia e a roto-traslazioni antiorarie. Il plunge della piega immerge verso la zona
depocentrale, dimostrando l’importanza dell’eredità giurassica nella propagazione dei
thrusts. Il basculamento complessivo della struttura Laga-Gran Sasso è legato a
importanti sovrascorrimenti retrovergenti profondi, che definiscono una zona a
triangolo. I sistemi di faglie dirette sono tuttora attivi ed interagiscono tra loro attraverso
il trasferimento del rigetto, operato su faglie transtensionali ad alto angolo.
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INTRODUZIONE
Localizzazione geografica Il Massiccio del Gran Sasso d’Italia è la catena montuosa a massima elevazione
dell’Appennino. Il suo fianco occidentale è localizzato nell’Abruzzo settentrionale tra le
Provincie di L’Aquila e Teramo. L’area di studio, che fa parte del “Parco Nazionale del
Gran Sasso e Monti della Laga”, racchiude ambienti montani diversissimi tra loro,
dotati di una bellezza rara e talora selvaggia.
I centri urbani di Pietracamela e Fonte Cerreto (Assergi, L’Aquila) sono situati
ai margini dell’area di studio e rappresentano assieme ai rifugi del C.A.I. e alle strutture
turistiche di Campo Imperatore gli unici avamposti della società.
L’area rilevata ricade all’interno del Foglio n°140 “Teramo” della Carta
Geologica d’Italia in scala 1:100.000 e copre un’estensione di circa 60 Km².
Essa è geograficamente suddivisibile in una Porzione montuosa meridionale ed
una settentrionale, approssimativamente suddivise in senso WNW-ESE dall’isoipsa di
quota 1800, che costeggia Prati di Tivo e Colle Ceraso (versante settentrionale del
sottogruppo del Pizzo d’Intermesoli).
La Porzione meridionale comprende le vette più alte del gruppo occidentale. Al
suo interno sono riconoscibili due distinti allineamenti montuosi, distanti tra loro circa
2.5 Km., che separano la zona in due settori. Il Settore Nord include Corno Grande
(Vetta occidentale, 2912 m.), Corno Piccolo (2655 m.), Pizzo d’Intermesoli (2635 m.), ,
Val Maone e Valle Venacquaro. Nel Settore Sud vi sono Pizzo Cefalone (2533 m.)
Figura 1 - Localizzazione geografica e illustrazione dei principali toponimi del Fianco occidentale del Gran Sasso d'Italia, visto da oriente. Il Nord è esattamente a destra.
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Monte Portella (2385 m.) Monte Aquila (2495 m.) ed ospita alcune aree
topograficamente più depresse quali la testata di Campo Imperatore, Campo Pericoli ed
il Venacquaro. La morfologia è definita da pareti aspre e scoscese in corrispondenza
delle litologie a stratificazione massiva o delle scarpate tettoniche. I rilievi carbonatici
sono interessati dai processi crionivali e carsici. Ne sono prova le tracce di circhi
glaciali, le morene, i versanti regolarizzati e le falde di detrito ai piedi dei rilievi,
prodotte da fenomeni di gelifrazione sulle dorsali prive di vegetazione.
La porzione settentrionale è costituita dalle alture montuose teramane dei Prati di
Tivo, dell’Arapietra e di Colle dell’Asino, che presentano un profilo relativamente più
dolce con acclività maggiori nella parte medio alta del rilievo in corrispondenza del
passaggio alla porzione meridionale. In queste località le fitte faggete talora si aprono in
ampli spazi aperti quali Prato tondo e gli stessi Prati di Tivo.
Scopi del Lavoro e Metodologie La presente Tesi si propone di comprendere e chiarire i tempi e le modalità di
strutturazione di questo settore chiave dell’Appennino Centrale, partendo da alcune
tematiche, lasciate aperte dagli Autori precedenti, relative all’evoluzione
paleogeografica e tettonica.
La ricerca si è svolta in due fasi:
a) La prima fase ha avuto come obiettivo la definizione dell’assetto stratigrafico
e strutturale come risultato di una campagna di rilevamento geologico.
b) La seconda fase è stata maggiormente mirata alla ricostruzione dei rapporti
tettono-stratigrafici, degli spessori formazionali ed allo studio dei lineamenti tettonici
più importanti, per cercare di comprendere l’evoluzione paleogeografica e tettonica del
settore in studio.
La descrizione e l’interpretazione dei dati raccolti sul terreno è sintetizzata nella
Carta geologica allegata mentre la trattazione delle dinamiche di costruzione della
struttura è argomentata nei capitoli seguenti.
Il rilevamento è stato condotto in scala 1:10.000, utilizzando come supporto
topografico la Tavola Est Foglio 349 della Carta Topografica Regionale dell’Abruzzo in
scala 1:25.000, gentilmente fornita dal Prof. Ernesto Centamore ed opportunamente
ingrandita.
L'area in esame è stata studiata avvalendosi delle metodologie classiche del
rilevamento di campagna, seguendo i criteri litostratigrafici.
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L’adozione di metodi di analisi di facies per lo studio delle successioni
sedimentarie ha permesso di acquisire una serie di dati di terreno indispensabili per la
reinterpretazione di quelli già noti in Letteratura.
Maggior attenzione è stata rivolta ai terreni mesozoico-terziari in quanto sede di
particolari contatti stratigrafici.
Partendo dallo Studio stratigrafico di VAN KONIJNENBURG (1997), che è stato un
il riferimento principale per il riconoscimento e la mappatura dei terreni cretaceo-
oligocenici, il presente Lavoro di Tesi estende le medesime metodologie al resto della
successione affiorante con finalità geologico-strutturali.
La biostratigrafia ha un ruolo di fondamentale importanza per il riconoscimento
delle lacune stratigrafiche e per le correlazioni. Dato l’intento strutturale del
rilevamento lo studio stratigrafico è stato attinto in buona parte dai dati di Letteratura.
Particolare impegno è stato dedicato alla delineazione dell’assetto strutturale, al
fine di ricollocare la struttura del Gran Sasso all’interno di uno discorso geodinamico-
regionale di più ampio respiro. A tal fine, il fianco occidentale del Gran Sasso d’Italia è
stato sezionato longitudinalmente e trasversalmente alle principali direttrici tettoniche.
Sono state prodotte infatti diverse sezioni geologiche al fine di analizzare la complessità
tridimensionale della struttura.
La spettacolare esposizione dei terreni meso-cenozoici ha aiutato a tracciare i
limiti formazionali confrontando i nuovi dati raccolti con quelli pubblicati nella
Letteratura geologica.
È stata prodotta una Carta Geologica in scala 1:10.000, applicando una
metodologia che ha consentito di perseguire i seguenti obiettivi:
1) definire la geologia di superficie, prestando maggior attenzione alle strutture
attraversate dalle sezioni geologiche trasversali;
2) comprendere le strutture profonde delineate sulle sezioni geologiche e i
rapporti esistenti tra le stesse;
3) formulare delle ipotesi interpretative sull’evoluzione tettonico-sedimentaria
della struttura.
La verifica di terreno è stata, dunque, di fondamentale importanza per la
formulazione di nuove interpretazioni sull’assetto strutturale del fianco occidentale del
Massiccio del Gran Sasso e sull’evoluzione spazio-temporale dello stesso.
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1. STUDI PRECEDENTI
Il Gran Sasso d’Italia rappresenta da sempre un punto nodale per la
comprensione delle dinamiche di strutturazione dell’Appennino Centrale. Le sue
caratteristiche aspre e severe, la travagliata evoluzione tettono-stratigrafica e la sua
indomata bellezza, lo rendono una imperdibile occasione di sfida per gli studiosi che sin
dal XVI secolo cercarono di definirne le strutture profonde e la storia geologica.
In questo capitolo sono riassunti i contenuti dei più importanti Lavori della
letteratura geologica, ponendo l’accento sul contributo innovativo di ciascuna
pubblicazione. Nella trattazione, maggiore attenzione è dedicata agli Studi connessi alle
tematiche strutturali o all’evoluzione tettono-sedimentaria del fianco occidentale del
Gran Sasso d’Italia. L’interesse per le zone limitrofe a quella qui in studio è dovuto alle
strette interazioni tettoniche e deposizionali tra i diversi settori della catena. Ogni rientro
del paragrafo segna l’inizio della sintesi di ciascun Lavoro. La ricerca bibliografica è
qui esposta in ordine cronologico al fine di valorizzare il faticoso progresso delle
conoscenze sulla struttura di questo importante settore dell’Appennino abruzzese.
Nel 1573 l’ingegnere militare Francesco de Marchi per primo, a memoria
d’uomo, salì il Corno Grande con l’intento di eseguire delle misure topografiche (LANDI
VITTORJ & PIETROSTEFANI, 1972) e produsse una memoria dell’impresa.
Con lo stesso scopo scientifico, nel 1794 Orazio Delfico ascese alla vetta più alta
del massiccio dal versante teramano compiendo inoltre una serie di interessanti
osservazioni sulla posizione stratigrafica delle rocce incontrate durante la campagna di
misurazioni altimetriche.
Nel corso del XIX secolo iniziarono i primi studi di carattere stratigrafico e
paleontologico. BALDACCI & CANAVARI (1884) pubblicarono le prime sezioni
geologiche longitudinali e trasversali all’asse principale della catena fornendo una
dettagliata descrizione stratigrafica, ricca di spunti di correlazione con altri terreni simili
dell’Appennino Centrale. Numerose sono le osservazioni in merito al rinvenimento di
fossili e alla descrizione di alcuni importanti contatti stratigrafici e tettonici.
ZUFFARDI (1914) compì uno studio dettagliato sulle ammoniti dell’Aquilano
dando così un contributo innovativo alle conoscenze paleontologico-stratigrafiche e
dedicando particolare attenzione alla descrizione delle faune giurassiche del Gran Sasso.
RENZ (1951) condusse le prime indagini micro-paleontologiche sulla scaglia
abruzzese, mettendo in evidenza la trasgressione nell’area meridionale del Gran Sasso
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di terreni dell’eocene medio sui calcari del Cretaceo superiore mentre SCARSELLA
(1953) riconosceva una certa continuità di sedimentazione dal Cretaceo all’Eocene.
I lavori di SCARSELLA (1954, 1955 a, b, c), inseriti all’interno del rilevamento
del Foglio Geologico 140 “Teramo” in scala 1:100.000 della Carta Geologica d’Italia,
migliorano la risoluzione stratigrafica dell’area. La stratigrafia dei terreni giurassici
risultò più accurata ed arricchita di nuovi dati paleontologici e stratigrafici. Particolare
dedizione fu prestata al riconoscimento di alcuni importanti contatti stratigrafici sul
Corno Grande partendo dalla segnalazione di terreni eocenici in contatto sul Calcare
Massiccio effettuate dal SACCO (1907) e dal PRINCIPI (1935) (SCARSELLA 1955 b,
1955c).
Nel periodo compreso tra gli anni ’60 e i primissimi anni ’80 molte energie
furono spese verso il miglioramento delle conoscenze sull’assetto stratigrafico dell’area
centro-occidentale del Gran Sasso d’Italia. Nel 1963 il SERVIZIO GEOLOGICO D’ITALIA,
sotto la direzione del Dott. Ing. Enzo Beneo, pubblicò il Foglio n°140 “Teramo” in scala
1:100.000, all’interno del quale è compresa l’area di studio di questa tesi. Nel Foglio vi
Figura 2 – Sezione Geologica 1 “Pizzo Cefalone-Pizzo d’Intermesoli” (da Foglio 140 “Teramo” della Carta Geologica d’Italia 1:100.000. La raffigurazione non è in scala esatta.
Figura 3 – Parte Nord della Sezione Geologica 2 “Paganica-Fonte Cristiana” (da Foglio 140 “Teramo” della Carta Geologica d’Italia 1.100.000). La raffigurazione non è in scala esatta.
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sono alcune sezioni geologiche strettamente legate ai dati di superficie, sino ad allora a
disposizione dei rilevatori. Nello schema dei rapporti stratigrafici gli Autori evidenziano
una certa differenziazione tra facies di transizione e abruzzesi, mostrando le eteropie di
facies e le variazioni di spessore formazionali dal Giurassico al Miocene. I risultati
ottenuti da questa prima analisi geologica di terreno diedero ampie opportunità di
miglioramento per gli studi successivi, costituendo una pietra miliare nello studio
dell’area.
La stratigrafia del versante meridionale del Pizzo Cefalone fu esaminata
attentamente dai paleontologi partenopei DI NOCERA (1973), BARBERA (1967) e
ZAMPARELLI (1963). Quest’ultima descrisse l’interavallo Cretaceo medio-Eocene medio
nella serie di Rio Arno, riconoscendo l’alternanza di microfacies pelagiche e di origine
neritica soprattutto nel Paleocene (ZAMPARELLI, 1967).
BARBERA (1967) eseguì una nuova attenta analisi paleontologica delle ammoniti
giurassiche rinvenute nella campionatura di 4 serie stratigrafiche nell’aquilano e sul
Gran Sasso (Sella dei due Corni e Sella del Brecciaro) rinvenendo faune liassiche ed
aaleniane. Lo studio di queste faune ha messo in evidenza una notevole diversità nelle
associazioni presenti nell’aquilano e sul Gran Sasso confrontandole con altri siti
dell’area circum-mediterranea. Nel lavoro di BARBERA (1967) sono mostrate le foto di
alcune ammoniti domeriane (Pleinsbachiano sup.), raccolte da SCARSELLA e
ZAMPARELLI sul versante meridionale di Pizzo Cefalone.
ALESSANDRI et Alii nel 1968 studiarono la successione triassica con mezzi e
sistemi alpinistici sulla parete orientale del Corno Grande definendo così per la prima
volta la stratigrafia dei termini più antichi della successione. Nella stessa pubblicazione
ALESSANDRI et Alii (1968) iniziano a delineare l’assetto strutturale del Corno Grande
riconoscendo le superfici di sovrascorrimento quali prodotto dei movimenti traslativi e
rotazionali.
L’interesse per le problematiche di sedimentazione evidenziate dalle lacune,
presenti nelle successioni bacinali giurassiche dell’Appennino Centrale e delle Isole
Ionie (Grecia Orientale), compare in una delle prime pubblicazioni di BERNOULLI
(1967). L’analisi di facies della successione stratigrafica, esposta sul versante
meridionale di Pizzo Cefalone, è inserita all’interno di un modello di evoluzione
paleogeografi0ca dell’Appennino Centrale, per un periodo compreso tra il Lias e il
Cretaceo. La successione studiata al Gran Sasso è presa ad esempio per comprendere le
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modalità di sedimentazione, che interessavano le porzioni del bacino prossime alla
piattaforma.
Figura 4 – Illustrazione schematica dei rapporti stratigrafici tra le formazioni giurassiche dell’Appennino Centrale e Settentrionale (da BERNOULLI, 1967).
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BERNOULLI (1967) mostra nel disegno illustrativo della stratigrafia del versante
meridionale del Pizzo Cefalone la stratigrafia delle formazioni bacinali riconosciute e ne
descrive le facies. Il riconoscimento di bio- e litoclasti di origine alloctona di
piattaforma, intercalati in tempi diversi a calcari e calcari marnosi di origine più
propriamente pelagica, e l’identificazione dei meccanismi di messa in posto di questi
corpi ha aumentato la conoscenza sulle problematiche di sedimentazione nell’area di
raccordo tra il Bacino umbro-marchigiano e la Piattaforma laziale-abruzzese.
CRESCENTI (1969 a) e CRESCENTI et Alii (1969) proseguirono lo studio sulle
sezioni stratigrafiche di Pizzo Cefalone e della Portella, portandole come esempio
dell’area del Gran Sasso. Gli studi furono condotti con impostazione
microbiostratigrafiche al fine di correlare le cenozone riconosciute nelle sezioni
stratigrafiche (CRESCENTI, 1969 b). Gli Autori riconoscono l’incorrere di marcate
influenze pelagiche in tutte le cenozone della sezione di Pizzo Cefalone delle
formazioni sovrastanti le Dolomie di Castel Manfrino, che sono alla base delle serie
studiate. Essi dunque proposero una ricostruzione dell’evoluzione tettonico-
sedimentaria dal Lias al Miocene dell’Appennino centrale marchigiano-abruzzese,
basata sull’analisi di molte altre successioni stratigrafiche. CRESCENTI et Alii (1969)
sostengono che il “rosso ammonitico” non può essere cartografato in qualità di
formazione perché nell’area abruzzese si ripete più volte in più livelli stratigrafici ed è,
a loro avviso, preferibile considerarlo come una litofacies della Corniola.
Gli sforzi congiunti dei ricercatori delle Università di Camerino e Roma
mirarono ad aumentare le conoscenze sul mesozoico del Gran Sasso d’Italia. Più di otto
pubblicazioni in tema apportarono il loro contributo alla risoluzione di diverse questioni
(ADAMOLI et Alii, 1978 e 1981-1982 a e b; CHIOCCHINI & MANCINELLI, 1978).
ADAMOLI et Alii (1978) forniscono in una di queste pubblicazioni alcune importanti
interpretazioni sull’evoluzione paleo ambientale in chiave tettono-stratigrafica di una
vasta area racchiusa tra Pizzo Cefalone, Corno Grande e Monte della Selva.
Quest’ultima dista 13 Km a SE dell’area qui in esame. L’attenta analisi di facies delle
rocce, comprese tra il Trias Superiore e il Cretaceo Inferiore, permise agli Autori di
correlare i diversi corpi sedimentari e di ricostruire le fasi tettoniche che strutturarono la
“scarpata” di raccordo al bacino, del quale gran parte dell’area del Gran Sasso
rappresenta la porzione prossimale. ADAMOLI et Alii (1978) tracciarono a grandi linee
l’articolazione fisiografica della zona riconoscendo le diverse fasi di smembramento ed
annegamento della piattaforma carbonatica del Calcare Massiccio. Lo studio
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preliminare dei contatti stratigrafici e degli spessori formazionali permise di riconoscere
gli alti strutturali del Corno Grande-Monte Rofano e delle porzioni più depresse che li
circondavano. Secondo questi Autori il limite della piattaforma carbonatica del Lias
inferiore si sarebbe delineato, a partire dal Lias medio, in seguito all’attività di faglie
ONO-ESE, disposte a gradinata verso il bacino a Nord, Sud ed Est. In ADAMOLI et Alii
(1981-1982 b) viene affrontato lo studio stratigrafico dell’area immediatamente a Sud
del Corno Grande compresa tra la Valle dell’Inferno, il Duca degli Abruzzi e la Valle
Fredda. Viene descritta la successione stratigrafica ponendo l’accento sui rapporti tra le
varie formazioni. Nella sezione stratigrafica dell’Albergo di Campo Imperatore sono
riconosciute alcune importanti lacune sedimentarie: nel Giurassico, tra i calcari nodulari
liassici e la maiolica titoniana; al passaggio Cretaceo inferiore-Cretaceo superiore;
nell’intervallo Eocene sup.-Oligocene. Gli Autori riconoscono la presenza di due zone a
diversa evoluzione tettonico-sedimentaria: la zona settentrionale (Valle dell’Inferno) ad
elevata componente detritica; e la zona centro-meridionale (M.Aquila-Albergo di
Campo Imperatore), che presenta sequenze giurassiche complete e lacunose simili a
quelle del dominio umbro-marchigiano. ADAMOLI et Alii (1981-1982 b) sostengono che
l’estesa lacuna paleogenica, diffusa soprattutto nell’unità centro-meridionale, è
correlabile con le discontinuità stratigrafiche tipiche della Piattaforma laziale-abruzzese.
Questa ipotesi comporterebbe dunque una stretta connessione tra l’attività di
strutturazione della piattaforma e del bacino antistante.
In CHIOCCHINI & MANCINELLI (1978) sono descritte alcune sezioni
stratigrafiche. Tra queste, cinque ricadono nell’area di studio di questa Tesi di Laurea.
Una di queste è esclusivamente in facies di piattaforma carbonatica (Serie del Corno
Grande), le altre quattro (Serie di Pizzo Cefalone I e II, Serie del Duca degli Abruzzi,
Serie dell’Acquare della Formica) sono in facies pelagico-detritica.
L’interesse verso la comprensione delle tematiche strutturali prese vigore nel
corso dell’ultimo quarto di secolo.
Nel 73° congresso della Società Geologica Italiana del 1986, infatti, alcune note
erano indirizzate alla comprensione dell’assetto strutturale della catena alla luce dei
nuovi dati di pozzo acquisiti e da quelli risultati nello scavo del traforo autostradale
(CATALANO et alii, 1986 a e b; GHISETTI, 1986; GHISETTI & VEZZANI, 1986). Queste
pubblicazioni permisero di vincolare i dati di superficie con quelli profondi. Gli Autori
tracciarono le geometrie che persistono lungo l’autostrada, che passa in corrispondenza
di Monte Aquila.
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In CATALANO et alii (1986 a e b) la struttura traforata è suddivisa in: un blocco
meridionale, rappresentato da una monoclinale, costituita da calcari mesozoici, dislocata
da faglie dirette di rigetto considerevole di età successiva al sovrascorrimento W
immergente di 10-15°; e da un blocco settentrionale, formato da terreni cretacico-
terziari in giacitura di sinclinale rovesciata posta al letto del thrust suddetto, che divide
le due unità ora descritte.
GHISETTI (1986) riconosce nella catena del Gran Sasso otto unità tettoniche che
sovrascorrono sui depositi del Bacino della Laga tra il Messiniano superiore ed il
Pliocene inferiore. L’Autrice suddivide i contatti di thrust in tre gruppi principali: quelli
che si propagano attraverso spesse fasce di gouge incoerente e cataclasiti; quelli
caratterizzati da un piano fragile che tronca le pieghe sviluppate ai limiti di thrust; e
quelli dove le cataclasiti foliate, altamente deformate, sono associate ai piani di
movimento. Le stesse superfici di thrust possono essere marcate da differenti end
members dei tre gruppi in funzione della variazione della litologia sui contatti e di una
disomogenea distribuzione della deformazione. La cataclasi è predominante nelle unità
di tetto mentre le unità poste più in profondità sono interessate da fenomeni di taglio
flessurale lungo le variazioni di competenza della litologia. Il gradiente di deformazione
aumenta avvicinandosi ai piani di sovrascorrimento che sono quasi paralleli ai piani
assiali delle pieghe. GHISETTI (1986) descrive i meccanismi di deformazione (cataclasi,
flusso cataclastico e pressione-soluzione) sulle superfici di thrust identificando nella
cataclasi il meccanismo deformativo principale. L’intensificarsi di quest’ultimo
meccanismo, innesca la riduzione di grana. Tale processo favorisce il movimento di
clasti di dimensioni maggiori nella direzione del movimento sul sovrascorrimento. La
progressiva mobilitazione porta allo sviluppo di bande di flusso dove i microlithons
sono allungati nella direzione del senso di taglio. La deformazione avviene, senza
meccanismi di deformazione intracristallina e dunque per bassi valori di T (<300°C.) e
P (<5-10Km). L’incorrere di fluidi, il contrasto di competenza e la persistenza sui
medesimi piani della cataclasi vincolano l’azione dei meccanismi deformativi. La
presenza di particolari livelli foliati a differenti altezze della successione favorisce la
localizzazione in zone progressivamente più sottili della deformazione, che è
caratterizzata dalla ripetizione pervasiva degli stessi processi.
GHISETTI & VEZZANI (1987; 1990 a, b; 1991), rispettivamente appartenenti alle
Università di Catania e Torino affrontarono in pubblicazioni successive la complessità
delle strutture generate con i sistemi di sovrascorrimento. Gli Studiosi riconobbero ben
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sei superfici principali di sovrascorrimento che si intersecano tra loro in complessi
rapporti di fuori sequenza. Il periodo di attività compressiva è tra il Messiniano e il
Pliocene medio. In questo quadro i piani di thrusts più giovani taglierebbero quelli
generati nelle fasi compressive più antiche, a loro volta dislocati dalle faglie normali del
Pleistocene sup.-Olocene. A causa di queste complicazioni tettoniche e della estrema
variabilità della successione stratigrafica tra i terreni di una medesima formazione, posti
a tetto e a letto dei thrusts, GHISETTI & VEZZANI (1990 b) ritengono inappropriato
continuare a suddividere la struttura in unità tettoniche. Gli Autori, notando una
riduzione dei raccorciamenti da Est verso Ovest (Passo delle Capannelle), suppongono
una rotazione antioraria del fronte del Gran Sasso sulle unità del dominio umbro-
marchigiano, che si erano strutturate durante il Messiniano secondo le direttrici N-S. La
rotazione, comprovata da dati paleo-magnetici allora a disposizione, sembrava essere
accomodata dalla presenza di uno svincolo transpressivo destro lungo il fronte
M.Cappucciata-M.Picca (DELA PIERRE et Alii, 1992), nonostante risulti
cinamaticamente più probabile l’incorrere di una transpressione sinistra. DELA PIERRE et
Alii (1992) ammettono infatti una rotazione omogenea antioraria di circa 90° intorno ad
un polo posizionato nella porzione più occidentale dell’arco (Passo delle Capannelle).
GHISETTI & VEZZANI (1990 b) ammettono l’impossibilità di condurre delle
ricostruzioni palinspastiche in questo settore dell’Appennino Centrale, che tengano in
considerazione una “regolare propagazione dei raccorciamenti”, reputando difficile la
Figura 5 - Sezioni geologiche del Gran Sasso d'Italia in scala 1:25.000 (da GHISETTI & VEZZANI , 1990 a). La faglia normale di Campo Imperatore, suddivide la struttura in un blocco settentrionale ed in uno meridionale ad assetto monoclinalico. La sezione 4 attraversa Pizzo Cefalone-Prati di Tivo. La sezione 5 corre lungo il tracciato autostradale, che passa in corrispondenza di Monte Aquila, e riporta in parte i dati delle perforazioni profonde (Fontari, M.Aquila e Vaduccio). La raffigurazione non è in scala.
17
ricostruzione delle geometrie profonde partendo dai soli dati superficiali e di traforo,
che peraltro sono gli unici sino ad oggi a disposizione. Le pieghe ed i sovrascorrimenti
esposti lungo il fianco E-W mostrano una pura compressione verso Nord senza alcuna
componente strike-slip (GHISETTI, 1987). In GHISETTI & VEZZANI (1991) sono descritte
le caratteristiche geometriche e cinematiche dell’edificio del Gran Sasso legate alla
strutturazione di pieghe asimmetriche orientate E-W decapitate a tetto e a letto da
superfici di sovrascorrimento anch’esse E-W. Tale sistema è definito di frontal ramps
and flats. La direzione di trasporto è generalmente verso Nord. Sul Fianco orientale del
Gran Sasso d’Italia (Monte Camicia) alcune particolari superfici tettoniche permettono
la sovrapposizione di termini più giovani su quelli più antichi. Queste superfici sono
state interpretate da GHISETTI & VEZZANI (1990 a, b; 1991) i quali spiegano queste
apparenti anomalie con il sovrascorrimento di unità tettoniche, attivate da thrusts fuori
sequenza. Gli Autori producono una schematizzazione della successione cronologica
dei diversi piani di sovrascorrimento e dei loro rapporti di taglio reciproco.
In ADAMOLI (1992) lo studio stratigrafico strutturale in scala 1:10.000 dell’area
compresa tra il Corno Grande e il Corno Piccolo, permette di interpretare la funzione di
alcuni importanti lineamenti strutturali, ereditati dalla tettonica distensiva liassica e di
suddividere l’area in unità strutturali. Al letto del piano di scollamento principale α, che
affiora anche sul Paretone, vi è l’unità in successione rovesciata “Prati di Tivo”. L’unità
al tetto del thrust è suddivisa in due sub-unità dalla superficie di faglia normale γ che
separa la sub-unità “Corno Grande-Corno Piccolo” dalla sub-unità “Campo Pericoli-
M.Aquila”. ADAMOLI (1992) suppone la riattivazione compressiva delle faglie bordiere
Figura 6 – Schema di sintesi (non in scala) dei rapporti geometrici tra i piani di sovrascorrimento. 1 Assetto strutturale lungo la trasversale Corno Grande-Corno Piccolo. 2 Assetto strutturale lungo la trasversale Valle dell’inferno-M.Aquila-Pizzo Cefalone. 3 Assetto strutturale di M.Corvo-M.Jenca.
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β dell’alto strutturale identificato nel Corno Grande con meccanismi tipici della
tettonica d’inversione.
Nel corso degli anni novanta l’attenzione di diversi gruppi di ricerca si focalizzò
sulla risoluzione delle problematiche stratigrafiche espresse dalla notevole variabilità
verticale ed orizzontale delle facies nella successione del Gran Sasso d’Italia. Nel lavoro
di CHIOCCHINI et Alii (1994) sono esposti i risultati dello studio micro paleontologico e
biostratigrafico di 22 sezioni localizzate in diversi settori della piattaforma carbonatica
laziale abruzzese. Due di queste sezioni stratigrafiche (Pizzo Cefalone e Duca degli
Abruzzi) ricadono nell’area di studio e sono interpretate appartenere alla facies di
scarpata esterna. La variabilità degli spessori nelle diverse successioni è imputabile a
discontinuità nella sedimentazione, le cui cause sono fondamentalmente eustatiche,
tettoniche e di variazione del tasso di subsidenza. Lo studio di correlazione
biostratigrafica, proposto da CHIOCCHINI et Alii (1994) aggiorna il lavoro di CHIOCCHINI
& MANCINELLI (1978) inserendolo in un contesto più amplio. La scuola camerta pone
l’accento sulla possibilità di correlare gli eventi di oscillazione del livello marino in
piattaforma con gli effetti sulla continuità della sedimentazione in bacino.
DELA PIERRE & BRUZZONE (1991) e DELA PIERRE & CLARI (1994), provenienti
dall’Università di Torino, contribuirono all’ampliamento delle conoscenze
stratigrafiche, focalizzando l’attenzione sull’evoluzione tettono-sedimentaria
paleogenica della Catena del Gran Sasso. In DELA PIERRE & CLARI (1994) l’analisi
stratigrafica di dettaglio di 10 sezioni della Scaglia Rossa e della Scaglia Cinerea
consentì agli Autori di descrivere al loro interno diverse litofacies. Lo studio
biostratigrafico e l’identificazione di alcune apprezzabili superfici di discontinuità
permise di risalire alle cause che hanno innescato le differenziazioni nel contesto
deposizionale. Durante l’intervallo Cretaceo-Paleogene la successione del Gran Sasso è
caratterizzata da brusche variazioni di facies e di potenza che individuano settori
subsidenti, sede di una sedimentazione pelagico detritica e di scarpata, e settori sollevati
sui quali si sedimentavano sottili successioni di alto strutturale. DELA PIERRE & CLARI
(1994) individuarono due settori di alto strutturale al Pizzo di Camarda (poco ad Ovest
dell’area di tesi) e a Fonte Pecchio (versante NE del Gran Sasso) nei quali le
discontinuità sono da ricondursi al regime tettonico transpressivo cretacico-eocenico. Il
primo di questi sembrerebbe mostrare evidenze di emersione all’intervallo K-T seguite
da una sedimentazione lacunosa e che da marne nodulari talora mineralizzate. Altre
zone (Rio Arno ad es.), essendo maggiormente riparate dai flussi provenienti dalle zone
19
di piattaforma, mostrano successioni più continue e con una minore frequenza di
intercalazioni ruditiche e calcarenitiche (DELA PIERRE & CLARI, 1994). Gli Autori
inoltre produssero degli schemi di correlazione e distribuzione delle facies per la
ricostruzione paleogeografica del Paleocene inferiore e dell’Oligocene superiore.
Secondo tali ricercatori le lacune stratigrafiche sarebbero legate allo slittamento dei
sedimenti pelagici lungo la scarpata carbonatica.
BIGOZZI nel 1994 affronta uno studio stratigrafico-sequenziale della successione
compresa tra il Trias superiore e il Lias inferiore dell’area del Gran Sasso, fornendo
elementi utili per la ricostruzione paleoambientale. Il sistema piattaforma carbonatica-
bacino compreso tra il Corno Grande e Ofena è composto da quattro megasequenze
deposizionali del secondo ordine, con durata variabile dai 5 ai 9 Ma. Le superfici che
delimitano le sequenze rappresentano momenti di massima trasgressione, che separano
fasi diverse dell’evoluzione del bacino. Le variazioni del tasso di subsidenza regionale
avrebbe influenzato la ciclicità di secondo ordine. Alla scala del quarto o del quinto
ordine tra le varie cause concomitanti, quali variazioni dei fattori biologici, tettonica
ecc., l’eustatismo sembra aver giocato un ruolo fondamentale nel determinare l’assetto
ciclico alla scala del quarto e del quinto ordine. Secondo BIGOZZI (1994) il bacino intra-
piattaforma, che si era sviluppato in ambiente euxinico nel Norico a seguito dell’azione
della tettonica transtensiva, subì un progressivo ampliamento nel Lias Inferiore quando
avvenne la trasformazione da solco intra-piattaforma a bacino pelagico aperto. Solo nel
Lias medio si registra il definitivo annegamento di tutto l’area del Gran Sasso e la
saldatura del bacino omonimo con quello umbro-marchigiano.
VAN KONIJNENBURG (1997) e VAN KONIJNENBURG et Alii (1998; 1999)
apportano un contributo fondamentale alla comprensione delle dinamiche di
strutturazione e di evoluzione paleogeografica della porzione occidentale Gran Sasso
d’Italia per il periodo compreso tra il Cretaceo inferiore e il Terziario inferiore. Questa
piccola serie di pubblicazioni è il frutto di una tesi di dottorato alla quale hanno
partecipato personalità scientifiche del calibro Daniel Bernoulli, Wolfgang Schlager e
Maria Mutti. Nel mio lavoro di tesi utilizzerò la suddivisione formazionale proposta nei
Lavori di VAN KONIJNENBURG (1997) e VAN KONIJNENBURG et Alii (1998; 1999) nei
quali si applicano i principi della stratigrafia sequenziale. La successione fu suddivisa,
infatti, in corpi sedimentari geneticamente relazionati, delimitati da superfici inconformi
o di conformità relativa secondo il metodo descritto da MITCHUM et Alii (1977) e
SCHLAGER (1992). Gli Autori si proposero di perseguire i seguenti obiettivi:
20
• determinare stratigrafia, sedimentologia e geometrie deposizionali dei
depositi di slope carbonatico nel tempo;
• correlare sequenze e limiti di sequenza noti di piattaforma (Majella) con
quelle poi identificate sul Gran Sasso;
• definire come le variazioni del regime sedimentario influenzino il regime
sedimentario.
I limiti delle unità descritte da VAN KONIJNENBURG (1997) e VAN KONIJNENBURG
et Alii (1998; 1999) non sempre coincidono con quelli degli Autori precedenti. Ciò
potrebbe apparentemente generare confusione ma la revisione dei limiti formazionali e
l’istituzione di nuovi nomi per queste fu necessario al fine di evitare un inadeguato
accostamento con unità riconosciute da altri Autori, che hanno utilizzato differenti
criteri di suddivisione formazionale, chiamando con gli stessi nomi porzioni diverse di
successione e viceversa (RENZ, 1951, SCARSELLA 1954, 1955 a, b, c; SERVIZIO
GEOLOGICO D’ITALIA, 1963; CRESCENTI, 1969 a; CRESCENTI et Alii, 1969; ADAMOLI et
Alii, 1978 e 1981-1982 a e b; CHIOCCHINI & MANCINELLI, 1978; GHISETTI & VEZZANI,
1990 a; DELA PIERRE & CLARI, 1994).
VAN KONIJNENBURG (1997) e VAN KONIJNENBURG et Alii (1998; 1999) distinsero
6 diverse formazioni: Maiolica, Cefalone, Scaglia Bianca, Monte Corvo, Fonte Gelata,
Venacquaro. All’interno di ciascuna formazione sono state riconosciute unconformaties
di ordine inferiore che, non avendo una estensione riconoscibile in tutto il Gran Sasso,
non furono utilizzate per la suddivisione formazionale ma per il riconoscimento di
variazioni del contesto deposizionale, come già operato in parte da DELA PIERRE &
CLARI (1994). VAN KONIJNENBURG (1997) e VAN KONIJNENBURG et Alii (1998; 1999)
descrivono l’ambiente deposizionale per i periodi coperti da ciascuna formazione, che è
caratterizzata da una peculiare associazione di facies deposizionale. Tale associazione
cambia drasticamente lungo i limiti formazionali, i quali sono relazionati a variazioni
del regime sedimentario dovute a cicli di piattaforma del 2° ordine (10-20 Ma). Gli
Autori documentano la connessione tra gli eventi registrati nel dominio di piattaforma
della Majella e gli effetti scaturiti nella sedimentazione di base di slope, esposta al Gran
Sasso d’Italia, pur riconoscendo che alcune discontinuità, nella Scaglia Bianca e in
Fonte Gelata, non sono legate alle variazioni eustatiche del livello del mare. La maggior
parte delle unconformities e la rapida variabilità verticale delle facies sono associate alle
variazioni del sistema deposizionale, le quali tracciano gli stessi limiti di sequenza,
ridefiniti da SCHLAGER (1993). La sedimentazione nell’area del Gran Sasso era
21
caratterizzata dalla deposizione di flussi di massa, originati dal collasso dei margini di
piattaforma, e dalla caduta di materiale bioclastico proveniente dalla/e piattaforma/e
circostante/i. Gli Autori suppongono che le correnti conturitiche spazzassero di volta in
volta la base dello slope, depositando i depositi di coda nelle porzioni più interne del
bacino e causando localmente gaps stratigrafici nella successione di base-of-slope. La
comparazione tra le curve geostoriche del margine della piattaforma della Majella e
quelle del bacino Umbro-Marchigiano indica che l’evoluzione sembra aver controllato
la quantità di sedimento accumulato alla base dello slope facendo aumentare
notevolmente i tassi di sedimentazione.
D’AGOSTINO et Alii pubblicarono nel 1998 un importante analisi strutturale
riguardante i rapporti tra le faglie inverse preesistenti, la topografia e gli stili della
tettonica estensionale nella catena del Gran Sasso. Gli obiettivi del Lavoro mirarono a
comprendere: come le faglie preesistenti e la topografia controllano la geometria e la
cinematica delle faglie normali; e come avviene la migrazione verso l’esterno della
tettonica estensionale. Gli Autori mostrano tre sezioni geologiche schematiche dei
rapporti tra le unità strutturali descrivendo lo sviluppo delle strutture tettoniche da Est
(M. Prena-M. Camicia) verso Ovest (Pizzo Intermesoli-Pizzo Cefalone). Particolare
attenzione è dedicata al sistema di faglie di Assergi (Faglia di Assergi e Faglia delle Tre
Selle) del quale sono descritti modi e tempi dell’attività tettonica. D’AGOSTINO et Alii
(1998) suggeriscono che queste faglie hanno geometria planare ad alto angolo (55°-65°)
fino alle profondità dello strato sismogenetico (10-15 Km). Al fine di vincolare
sperimentalmente la geometria delle Faglie di Assergi e delle Tre Selle, gli Autori
testarono un sottile modello di piastra elastico, costituito da uno strato anelastico,
equivalente alla sismogenetica crosta superiore, posto al di sopra di uno strato fluido e
viscoso. Il confronto permette di descrivere i comportamenti di lungo tempo
approssimando la sommatoria delle ripetute deformazioni co-sismiche e post-sismiche
intorno alle maggiori faglie normali. I dati sperimentali hanno tenuto conto di un
modello semplificato della topografia pre-distensione, successivamente interessato
dall’azione delle faglie normali ad alto angolo nella crosta superiore. Nella porzione
orientale (Campo Imperatore e Media Valle dell’Aterno) le faglie normali mostrano
evidenze di riattivazione delle rampe delle faglie inverse per accomodare l’estensione.
La differenza sarebbe legata per D’AGOSTINO et Alii (1998) alle modalità di
propagazione verso l’esterno dell’attività delle faglie normali e al diverso assetto
strutturale delle due aree. Nella porzione orientale la complessità della propagazione dei
22
thrusts, dovuta alla rotazione antioraria di circa 90° della catena del Gran Sasso,
causerebbe un più alto rilievo topografico e dunque lo sviluppo di una zona a maggiore
debolezza. Il campo di sforzo regionale risulterebbe dunque deviato, facendo tagliare i
piani di thrusts nella zona occidentale. Sul fianco orientale gli stessi piani sarebbero
parzialmente riutilizzati dalla tettonica distensiva. La distorsione della direzione della
faglia di Campo Imperatore rispetto al trend NW-SE delle faglie appenniniche è
anch’essa da ricondursi alla riattivazione delle faglie inverse. La notevole articolazione
superficiale dei piani dei thrusts è ripresa nello sviluppo delle faglie normali a basso
angolo (25-35°) della porzione orientale del Gran Sasso d’Italia. L’interpretazione di
D’AGOSTINO et Alii (1998), qui esposta, contraddice la precedente ricostruzione di
GHISETTI (1987) e GHISETTI & VEZZANI (1991) dove gli stessi piani erano definiti come
thrusts fuori sequenza. D’AGOSTINO et Alii (1998) notano, inoltre, l’interazione tra il
sollevamento regionale, che si estende per circa 150 Km, e la lunghezza d’onda delle
principali faglie dirette appenniniche, definite da un’equidistanza approssimativa di
circa 30 Km, che si sviluppa a tergo delle vette più alte. È evidente dunque che
l’evoluzione morfologica è contemporanea alla migrazione del sollevamento regionale e
all’azione delle faglie normali.
SPERANZA (2003) e SPERANZA et Alii (2003) dopo aver raccolto e ricavato nuovi
dati paleomagnetici dai filoni sedimentari e dagli strati affioranti al Corno Grande,
dimostrano che il fronte E-W del saliente del Gran Sasso a loro avviso ha subito una
cinematica differente tra la parte occidentale (Monte Corvo-Corno Grande) e quella
orientale (M.Prena-M.Camicia). Quest’ultima, interessata da particolari contatti
tettonici, già analizzati in D’AGOSTINO et Alii (1998), è sede di grandi raccorciamenti e
di rotazioni antiorarie di circa 90° mentre il Corno Grande risulterebbe non aver subito
significative rotazioni. Il Gran Sasso sarebbe dunque un arco composito (SPERANZA et
Alii, 2003). Gli episodi di raccorciamento del Messiniano sup. e del Pliocene inf. e
medio documentati lungo il fronte del Gran Sasso indicano che la costruzione della
catena e la formazione dell’arco sono avvenuti durante due episodi distinti. Gli Autori
suggeriscono che la parte meridionale del fronte N-S del Messiniano sup. sia stata
riattivata durante il Pliocene inf.-medio formando uno stretto saliente dovuto a rotazioni
antiorarie e a differenti tassi di raccorciamento lungo il fronte. Il paleomagnetismo della
porzione occidentale, ricavato in SPERANZA et Alii (2003), dimostrerebbe che il fronte
E-W è una caratteristica ereditata e che non deriva da rotazioni dovute alle spinte
orogeniche. La particolare orientazione longitudinale sarebbe da ricondursi all’assetto
23
ereditato dalla tettonica liassica, evidente al Corno Grande (SPERANZA, 2003; SPERANZA
et Alii, 2003). La grande rotazione semirigida della parte orientale della catena fu
considerata come uno svincolo laterale verso nord, dovuto alla collisione tra due
differenti piattaforme carbonatiche durante la migrazione verso NE del prisma
appenninico (SPERANZA et Alii, 2003).
In (SPERANZA, 2003) l’Autore dedica una attenta descrizione alla geologia del
Corno Grande ponendo l’accento su alcune evidenze stratigrafiche e sulle analisi
paleomagnetiche. Il Corno Grande, è considerato un seamount persistente
completamente bordato da faglie normali, sviluppatesi nel corso del Lias. La
sedimentazione sull’alto strutturale è supposta nulla o condensata per tutto il periodo
mesozoico-terziario. Secondo SPERANZA (2003) la faglia, che borda il fianco
meridionale della Valle dei Ginepri, ha avuto un ruolo fondamentale nella tettonica
distensiva Liassica ed ha sperimentato una moderata inversione positiva durante
l’orogenesi. L’Autore suppone inoltre l’esistenza di una faglia normale E-immergente,
sepolta al di sotto della Val Maone, e la presenza di un gradino ribassato in
corrispondenza di Monte Aquila. Lo sviluppo di tre diverse generazioni di filoni
sedimentari (Corniola, Verde Ammonitico, Scaglia) dimostra il proseguire della
tettonica disgiuntiva e l’instabilità gravitativa delle pareti del seamount in diversi istanti
geologici. La faglia inversa, che affiora sul “Paretone”, si strutturò nel Messiniano
superiore durante l’incorrere della tettonica compressiva Est-vergente. La compressione
Pliocene inf.-medio, che ha generato i raccorciamenti verso Nord, sarebbe stata dunque
all’origine della struttura E-W attuale della catena del Gran Sasso e dell’inversione
positiva delle strutture suddette.
Gli Studiosi dell’Università di Chieti pubblicarono due interessanti lavori sul
sistema a thrusts del saliente del Gran Sasso nei quali ricostruiscono le geometrie 3D
dei piani di sovrascorrimento e la sequenza delle fasi deformative (CALAMITA et Alii,
2003 e 2004).
In CALAMITA et Alii (2003) gli Autori cercano di valutare il ruolo
dell’architettura del paleomargine mesozoico durante l’evoluzione del sistema
orogenico. L’alto strutturale Corno Grande-Monte Corvo sembra vincolare lo sviluppo
fisiografico del bacino mesozoico e di quello terziario delle Marne con cerrogna, che
doveva essere caratterizzato da alti e bassi strutturali, e dunque anche del Bacino della
Laga. Gli Autori attribuiscono un’attività miocenica alla Faglia Monte Corvo-Corno
Grande (Faglia delle Tre Selle) al fine di spiegare le marcate differenze di spessore tra il
24
blocco di letto e quello di tetto nella Formazione delle Marne con Cerrogna. CALAMITA
et Alii (2003) sostengono che le principali tappe dell’evoluzione sono rappresentate:
dalla trascorrenza/transpressione oligo-miocenica d’avanpaese; dalla flessurazione
(buckling/bending), associata allo sviluppo del bacino sin-orogenico messiniano-
infrapliocenico; dal thrusting pliocenico della catena con dislocamento, rotazione e
riutilizzazione delle faglie preesistenti da parte dei piani di sovrascorrimento che
seguono una traiettoria di short-cut. In questo contesto deformativo è netta la
corrispondenza tra la culminazione delle unità carbonatiche e della zona assiale e gli alti
strutturali pre- e sin-orogenici.
CALAMITA et Alii (2004) riconoscono tre tipologie di faglie nell’area di studio:
• faglie normali pre- e sin-orogeniche, dislocate dai thrusts e ruotate
nell’ambito delle pieghe associate al thrusting (Faglia del Passo del Cannone);
• faglie pre- e sin-orogeniche, riutilizzate durante la tettonica estensionale
del Quaternario (Faglia delle Tre Selle);
• faglie a prevalente attività quaternaria (Sistemi di faglia di Assergi e di
Campo Imperatore).
Per gli Autori la corrispondenza tra l’architettura del paleomargine mesozoico e
la geometria a thrust del Gran Sasso documenta il controllo esercitato dalle
discontinuità preesistenti sulla geometria delle strutture della catena, evolute in un
contesto di inversione tettonica e di short-cut. L’architettura del paleo-margine ha
controllato anche la fisiografia dell’avanfossa messiniana, caratterizzata da un alto
strutturale localizzato in corrispondenza della piattaforma carbonatica-zona di
transizione al bacino e un depocentro ubicato al di sopra del bacino pelagico posto
subito a Nord della piattaforma stessa. Tale alto strutturale è in parte ereditato
dall’evoluzione oligo-miocenica di avampaese documentata dalla lacuna paleogenica.
CALAMITA et Alii (2004) ipotizzano, per la prima volta in letteratura, una propagazione
in sequenza dei thrusts con una quantità di deformazione crescente verso SE e una
geometria a saliente dei piani di sovrascorrimento controllata dalle discontinuità
preesistenti.
25
Gli Autori presentano 4 sezioni geologiche (Monte Jenca; Monte Corvo; Monte
Aquila; Monte Camicia) che interpretano le geometrie profonde. Nella sezione di Monte
Corvo si nota la transizione stratigrafica tra la sequenza carbonatica mesozoica e i
depositi silicoclastici della Laga. CALAMITA et Alii (2004) suppongono relazioni en-
echelon tra i thrusts (inferiore e superiore) che si dipartono proprio da Monte Corvo e
quelli che interessano la zona di Monte Jenca-Monte San Franco.
SATOLLI et Alii (2005) affrontano un attento studio di revisione e analisi dei dati
paleomagnetici, già acquisiti e nuovi, al fine di comprendere l’evoluzione del saliente
del Gran Sasso. Secondo gli Autori, tra i quali c’è lo stesso Prof. Calamita, le porzioni
più interne e i punti terminali dell’arco del Gran Sasso non hanno subito rotazioni.
Rotazioni di magnitudo e segno variabile sono osservate invece lungo la curvatura del
fronte di sovrascorrimento. Muovendosi verso l’apice, lungo il fronte E-W le rotazioni
antiorarie diventano progressivamente più grandi. Allo stesso tempo le rotazioni orarie
incrementano la loro grandezza lungo il fronte N-S. Le rotazioni aumentano più che
linearmente, raggiungendo il loro massimo valore (~80° CCW e ~50°CW) in prossimità
dell’apice. I due domini di rotazione sono separati nella zona apicale da un settore
dominato dalla rotazione locale di alcuni blocchi. La disuguaglianza tra i valori massimi
di rotazione oraria ed antioraria è conseguenza dell’asimmetria del verso di spostamento
dell’indenter (=blocco rigido in traslazione su terreni più duttili con effetto simile a
quello di una nave spaccaghiaccio), che è N70°E (come per la struttura Montagna dei
Fiori-Montagnone), rispetto agli andamenti preorogenici dei margini stessi (E-W e N-
S). Gli Autori sostengono che il saliente del Gran Sasso si è generato nell’intervallo
Figura 7 - Assetto paleogeografico del Messiniano. L'alto strutturale corrisponde alla piattaforma carbonatica mesozoica LA e il suo dominio di transizione al bacino, che borda l’avanfossa messiniana a Sud. L’architettura del Paleomargine e la fisiografia dell’avanfossa controllano la localizzazione delle rampe di sovrascorrimento e la loro geometria. La sezione 1, che è circa N-S, attraversa la struttura di Monte Corvo (da CALAMITA et Alii, 2004).
26
Messiniano-Pliocene con una traslazione senza rotazione di un blocco calcareo, non
interessato al suo interno da sovrascorrimenti, su litologie meno competenti. Questa
interpretazione, avvalorata dai dati paleo-magnetici di SATOLLI et Alii (2005), contrasta
nettamente con quella di GHISETTI (1987) e GHISETTI & VEZZANI (1991), che vede
grandi raccorciamenti fuori sequenza, e parzialmente con quella di D’AGOSTINO et Alii
(1998). Quest’ultimi supportano l’ipotesi di una riattivazione distensiva dei vecchi piani
di sovrascorrimento. SATOLLI et Alii (2005) negano invece queste complicazioni della
struttura interna. Per gli Autori della scuola chietina i thrusts sono solo in posizione
marginale. Quelli presenti lungo il fianco longitudinale sono due: Il sovrascorrimento
superiore, in affioramento tra il Corno Grande e Monte Camicia; e il sovrascorrimento
inferiore, chiaramente riconoscibile solo nel traforo autostradale. Quest’ultimo ha un
rigetto minimo calcolato di 8 Km (COSTRUZIONI GENERALI SPA MILANO, 1979). La
rotazione nulla documentata per l’intera zona interna del saliente è in disaccordo con
quanto suggerito da DELA PIERRE (1992) e da SPERANZA et Alii (2003). SATOLLI et Alii
(2005) concludono che le rotazioni avvengono lungo il sovrascorrimento più basso, il
quale fa ruotare passivamente tutta la complessa struttura che lo sovrasta. Tale pattern
di rotazione suppone l’ipotesi di una propagazione temporalmente “in sequenza”
dell’attività dei sovrascorrimenti del Gran Sasso. In quest’ottica, dato che lo
spostamento avviene in direzione N70°E, il fronte N-S sperimenterebbe raccorciamenti
maggiori di quello E-W. A prova di ciò ci sarebbe la sovrapposizione tettonica di unità
in thrust-top diacrone (Messiniano sup. su Pliocene inf.). Il comportamento rotazionale
verso l’apice del saliente del Gran Sasso è complesso e non è comparabile con il
modello di arco non rotazionale e di oroclinale (o con tutti i modelli intermedi). Questo
differisce inoltre dai modelli analogici in scatola di sabbia ad angolo di indenter
controllato (indenter-controlled sandbox). Un arco non rotazionale sarebbe
caratterizzato ovunque da rotazioni nulle mentre in un perfetto arco oroclinale le
rotazioni dovrebbero raggiungere i massimi valori (e segno opposto) ai punti terminali
del saliente e decrescere progressivamente verso l’apice. Invece sul Gran Sasso si
trovano valori nulli di rotazione ai punti terminali e valori progressivamente crescenti
verso l’apice. L’assenza di rotazioni lungo i fianchi, lontano dall’apice, e la presenza di
sovrascorrimenti dip-slip documentati (GHISETTI, 1987; GHISETTI & VEZZANI, 1991),
implica per gli Autori l’esistenza di un pattern radiale di scorrimento lungo direzioni
normali ai margini preesistenti dell’indenter. SATOLLI et Alii (2005) suppongo che
lungo il fronte N-S sia avvenuta una collisione quasi frontale. A questa sarebbero legate
27
in zona apicale piccole rotazioni orarie (~50° CW). Un taglio laterale sinistro interessò
invece il margine E-W dell’indenter, inducendo delle grandi rotazioni
antiorarie(~80°CCW). Nel modello tettonico così delineato di un indenter, che funziona
come un bulldozer sulle più deboli successioni sedimentarie esterne, è richiesta
l’esistenza di due faglie strike-slip, sub-parallele ai fianchi. Gli Autori ammettono però
che non c’è, ad oggi, una chiara evidenza di queste faglie trascorrenti di prim’ordine e
che sia i dati paleo-magnetici che quelli geologici talora sono in conflitto.
VIANDANTE et Alii (2006) pubblicano un breve stato dell’arte delle conoscenze
sull’assetto strutturale del Gran Sasso d’Italia. Gli Autori riconoscono due punti di
diramazione del thrust superiore da quello inferiore: il primo si ritrova in prossimità di
Monte Camicia, il secondo è all’altezza del Monte Corvo. VIANDANTE et Alii (2006)
confermano la validità dei dati e delle interpretazioni di SATOLLI et Alii (2005)
supponendo che lo sviluppo in sequenza dei piani di sovrascorrimento, iniziato a partire
dal Messiniano post-evaporitico, abbia subito riattivazioni plioceniche ed attività
sincrona sui piani N-S ed E-W. Questi piani sarebbero dunque delle rampe oblique
rispetto alla principale direzione di trasporto tettonico, che è verso ENE. Contrariamente
a quanto asserito da GHISETTI & VEZZANI (1990 b), VIANDANTE et Alii (2006)
affermano che anche per il Gran Sasso è possibile utilizzare i metodi della retro
deformazione per validare le sezioni geologiche.
In CALAMITA & ESESTIME
(2008) sono mostrate alcune foto
commentate della geologia della Val
Maone e del Monte Prena, al fine di
evidenziare i rapporti esistenti tra le
pieghe e i sovrascorrimenti. Gli Autori
sostengono la riattivazione in senso
diretto delle rampe di
sovrascorrimento mio-plioceniche,
descrivendo inoltre lo sviluppo della
piega per propagazione di faglia
relazionata al thrust superiore.
La più recente Pubblicazione in
merito alla geologia del fianco
occidentale del Gran Sasso d’Italia è di stampo stratigrafico-paleontologico. PASSERI et
Figura 8 – Blocco diagramma del settore centrale del Gran Sasso, che evidenzia le relazioni pieghe-sovrascorrimenti, in funzione della di successione coinvolta (da CALAMITA & ESESTIME, 2008).
28
Alii (2008) mostrano un nuovo studio delle sezioni di Pizzo Cefalone e del Monte
Portella al fine di individuare i vincoli temporali che interessano le formazioni
giurassiche. L’analisi biostratigrafica di ammoniti, foraminiferi bentonici e
nannoplancton calcareo ha permesso di stabilire che la sedimentazione di grandi
quantità di materiale bioclastico, proveniente secondo gli Autori dalla piattaforma
carbonatica centro-appenninica, iniziò nel Toarciano ed ebbe il suo acme tra il
Bathoniano e il Kimmeridgiano. Il trend comune a molti domini bacinali dell’area
italiana indica che il fenomeno avviene in risposta di eventi d’importanza regionale o
globale. PASSERI et Alii (2008) riconoscono inoltre che la presenza della Formazione dei
Calcari Diasprigni Detritici sul Gran Sasso occidentale, inteso paleogeograficamente
come il bordo della “scarpata del bacino”, marca la grande diffusione delle facies
siliceo-radiolaritiche del Giurassico superiore.
29
2. INQUADRAMENTO GEOLOGICO Il Massiccio del Gran Sasso d’Italia è una delle strutture carbonatiche più esterne
dell’Appennino Centrale e rappresenta il prodotto di una complessa storia tettonico-
sedimentaria che ne ha definito l’evoluzione nel tempo degli ambienti deposizionali e
delle unità tettoniche.
L’Appennino centrale nel quadro geodinamico della penisola italiana
L’Appennino Centrale fa parte di una più estesa catena a pieghe e
sovrascorrimenti in progressiva migrazione verso Est, il cui sviluppo orogenico ebbe
inizio durante l’Oligocene, come testimonia l’età dei depositi terrigeni sedimentati sul
dorso delle unità tettoniche in crescita frontale (RICCI LUCCHI, 1986). L’attivazione
delle superfici dei
sovrascorrimenti
principali è gradualmente
più recente nelle porzioni
più esterne ed orientali.
Dall’Oligocene al
Pliocene inferiore lo
spostamento del sistema
di thrust-belt incorpora
progressivamente i
settori più esterni
dell’avampaese. Nel
settore occidentale la
catena include terreni
ofiolitici di crosta
oceanica (unità ad
affinità liguride) e
basamento cristallino. Il
settore orientale, che
comprende l’Appennino
centrale e settentrionale, sembra coinvolgere per la maggior parte le successioni
Figura 9 - Principali elementi strutturali d’Italia (da SCROCCA et Alii, 2007).
30
sedimentarie meso-cenozoiche e risulta interessato localmente dalle unità ofiolitiche
alloctone (Colata della Val Marecchia ad es.). Il generale fenomeno di collisione tra la
Placca Africana e quella Europea innesca lo sviluppo di una complessa tettonica sin-
sedimentaria durante i diversi stadi d’avanfossa. I corpi silicoclastici si depongono sotto
forma di flussi torbiditici in un contesto paleogeografico molto articolato, ereditato dalle
fasi tettoniche precedenti, ed in continua evoluzione (CENTAMORE et Alii, 2002). Si
sviluppano dei sistemi bacinali di “Avanfossa complessa” (sensu RICCI LUCCHI, 1986)
riempite dalle spesse successioni torbiditiche dei bacini del Macigno (Chattiano-
Burdigalliano), del Cervarola (Burdigalliano-Langhiano), della Marnoso-Arenacea
(Lanchiano-Messiniano inf.), della Laga (Tortoniano sup.- Pliocene basale), del Cigno e
del Cellino. I depositi Plio-pleistocenici sono presenti essenzialmente al di sotto della
Piana Padana ed affiorano nel settore costiero delle Marche e dell’Abruzzo.
L’edificio collisionale risulta progressivamente dislocato dallo sviluppo di
un’intensa attività tettonica distensiva, anch’essa in migrazione verso Est, legata
all’apertura del Mar Tirreno e alla continua persistenza di un notevole deficit di massa
connesso con l’arretramento dello slab della placca adriatica in subduzione (DOGLIONI,
1991). Alcuni Autori hanno proposto il meccanismo della subduzione in Appennino
perché è quello che al momento fa meglio convergere tutti i dati a disposizione. La
catena appenninica è, infatti, collocabile in un complicato contesto geodinamico che
vede la subduzione verso occidente della “Microplacca Adria” al di sotto della Placca
europea, come testimonia l’aumento
progressivo dell’angolo di inclinazione
della monoclinale regionale β. Il top
della Piattaforma Apula costituisce un
ottimo riflettore al di sotto della catena.
Anche le indagini tomografiche
supportano l’ipotesi di un slab ad alto
angolo d’immersione in corrispondenza
del margine tirrenico. Il prodotto
geologico di questa subduzione è un
prisma di accrezione costituito quasi esclusivamente dall’impilamento di rocce,
appartenenti alla copertura sedimentaria della Placca apula (MOSTARDINI & MERLINI,
1986), ed è caratterizzato da bassa elevazione strutturale con α piccolo e vergenza
singola.
Figura 10 - Fronte dei sovrascorrimenti idealizzato e monoclinale regionale associata (MARIOTTI & DOGLIONI, 2000).
31
Il sistema catena-avanfossa-avampaese migra verso Est coinvolgendo
progressivamente le zone di avampaese (foreland) nel dominio di avanfossa (foredeep)
e poi nella catena (thrust belt). Nel quadro di questa interpretazione la litosfera in
subduzione subisce una spinta del mantello verso Est determinando l’arretramento per
gradi del piano di subduzione (slab retreat) e della zona di cerniera. Il movimento di
roll-back dello slab attiva la distensione alle spalle della catena innescando la
formazione di un bacino di retro-arco al livello del Mar Tirreno (DOGLIONI, 1991;
SCROCCA et Alii, 2007).
Nonostante i dati geodetici evidenzino una generale contesto di allontamento tra
le stazioni di misura, posizionate sulle diverse placche, la maggiore velocità di
arretramento della cerniera permette di spiegare e comprovare la cinematica
dell’orogenesi Appenninica. È importante notare come la progressiva crescita dei
thrusts utilizzi preferibilmente i livelli a minore competenza, e dunque a maggior
duttilità presenti nelle successioni sedimentarie dei diversi domini (Laziale-Abruzzese;
Umbro-Marchigiano; di transizione). Le eteropie di facies e le caratteristiche, ereditate
dalle fasi tettoniche precedenti, influenzano grandemente la distribuzione locale del
campo di sforzi. Quest’ultima è legata al contesto geodinamico ed alla distribuzione
delle superfici di debolezza. Lo sviluppo di strutture a scala regionale, come molti
salienti recessi, o a scala locale sembra dunque essere legato all’interazione tra
l’eterogeneità delle
strutture, ereditate della
placca in subduzione e la
tettonica compressiva
(DOGLIONI, 1991).
La distensione, che agisce
nelle zone interne della
catena e a tergo del
dominio esterno ancora in
compressione ha un
andamento ben delineato
delle direttrici principali,
che sono NW-SE. Tale
regolarità sarebbe da
ricondursi a piani di scollamento più profondi rispetto a quelli dei sovrascorrimenti.
Figura 11– Profilo schematico attraverso l’Appennino, la Pianura Padana e nell’area veneta che mostra la curvatura della placca adriatica nell’avanfossa dell’Appennino dovuta all’arretramento dello slab. I tassi di subsidenza sono mostrati dalla linea continua del grafico. La regolare subsidenza tettonica è perturbata dalla tettonica dei thrusts (da SCROCCA et Alii, 2007).
32
L’incorrere delle principali faglie dirette taglia l’intero prisma e sembra essere
organizzato in un sistema di faglie antitetiche e sintetiche che si raccorda su una
principale superficie listrica Est immergente.
Gli scorrimenti relativi all’accrezione frontale e quelli legati all’estensione di
retroarco sono separati e indipendenti da tra loro. Il loro verso di moto è opposto. I piani
di overthrusting hanno generalmente immersione occidentale o sud-occidentale in
funzione delle anisotropie stratigrafiche e della distribuzione locale del campo di sforzi
(DOGLIONI, 1991). La variabilità della direzione dei thrusts e la geometria a salienti e
recessi è riconducibile dunque alla posizione più superficiale dei piani di
sovrascorrimento, che è maggiormente condizionata dall’incorrere di eterogeneità
stratigrafiche e strutturali, ereditate dalle fasi precedenti. Le faglie dirette invece sono
meno interessate dalle complicazioni strutturali della crosta superiore.
L’Appennino centrale e il Gran Sasso d’Italia: geologia regionale L’area del Gran Sasso costituisce una
parte importante della catena centro-
appenninica. Prima dell’Orogenesi alpina,
iniziata durante il Cretaceo, quest’area era
parte del margine continentale meridionale del
segmento alpino dell’Oceano Tetide
(BERNOULLI, 2001). Il margine continentale
meridionale tetideo, Adria, si estendeva su
quelle che ora sono le catene a pieghe e
sovrascorrimenti delle Ellenidi, Dinaridi, Alpi
meridionali, dell’Appennino e l’Avampaese
adriatico (VAN KONIJNENBURG, 1997).
In questo sottoparagrafo verranno
discussi la storia geologica e gli elementi
d’importanza regionale che interessano il
settore centrale della catena appenninica e
l’area del Gran Sasso d’Italia in particolare.
Nel corso dell’esposizione crescerà
l’attenzione verso le tematiche più strettamente collegate all’area oggetto di studio.
Figura 12 – Schema tettonico dell’Italia Centrale (da CALAMITA & ESESTIME, 2008).
33
L'Appennino centrale storicamente è considerato dai geologi come delimitato da
alcuni importanti lineamenti tettonici come la "Linea Ancona-Anzio" e la "Linea
Ortona-Roccamonfina" (MIGLIORINI, 1950). Negli anni il significato di tale linee è stato
variamente interpretato e discusso. La Linea Ancona–Anzio ha un’orientazione NNE-
SSW e rappresenta un’importante fascia di deformazione ad attività polibasica
(CASTELLARIN et Alii, 1978). Essa al giorno d’oggi rappresenta, lungo il segmento
Olevano-Antrodoco, il fronte di accavallamento tra le unità del dominio pelagico
Sabino e quelle del dominio neritico Laziale-Abruzzese ed è considerata la rampa
laterale destra del Thrust frontale dei Monti Sabini-Monti Sibillini. Per questa ragione
viene ipotizzato che debba esistere una qualche relazione con il sistema di faglie dirette
liassiche, che doveva separare tali due domini e del quale non vi è tuttavia alcuna
traccia in superficie.
L’arco del Gran Sasso d’Italia rappresenta invece il termine di raccordo
settentrionale tra la Piattaforma laziale-abruzzese ed il bacino marchigiano-abruzzese,
affiorante sulla Dorsale di Acquasanta e sulla Montagna dei Fiori.
Il record geologico dell’Appennino Centrale, esplorato in superficie e tramite
perforazioni profonde, inizia a raccontare la storia evolutiva degli ambienti tettono-
stratigrafici a partire dal Trias superiore, quando i processi di assottigliamento crostale
(fase di rifting) e l’ingressione marina segnano l’allontanamento tra la placca africana e
quella euro-asiatica (BERNOULLI et Alii, 1979). Questa fase precede l’apertura
Figura 13 – Ubicazione dei domini geotettonici dell’Appennino Centrale. Il rettangolo rosso scuro delimita l’area di studio. Da Structural Model of Italy 1990 (modificata).
34
dell’Atlantico centrale e del segmento oceanico Ligure-Piemontese della Tetide
(BERNOULLI, 2001).
Le sequenze carbonatiche mesozoiche si sovrappongono a quelle clastiche di età
triassica. Nel Trias superiore, infatti, gran parte dell’attuale Mediterraneo Centrale
ospitava la deposizione di dolomie, carbonati ed evaporiti di acque basse.
In Italia centrale è ampliamente documentata l’esistenza di alcuni bacini intra-
piattaforma alto triassici (BERNOULLI, 2001). Oltre al bacino in facies bituminose,
affiorante sul Monte Camicia (BIGOZZI, 1994), la tettonica transtensiva norica aveva
creato altri domini bacinali di estensione modesta nel Lazio (Monti Simbruini e
Mainarde) e a largo del Molise (BIGOZZI, 1994; CENTAMORE et Alii, 2002). Una corretta
ricostruzione paleogeografica è difficile perché le fasi tettoniche successive hanno
alterato od obliterato i rapporti che intercorrevano tra i diversi elementi in questione.
L’assetto tettonico era organizzato in faglie normali listriche parallele al margine
continentale (BERNOULLI et Alii, 1979) a componente transtensiva accompagnate da
faglie oblique. Quello che sarà il futuro dominio umbro-marchigiano ospitava nel Trias
superiore la deposizione di potenti spessori di evaporiti. Le Anidridi di Burano
eserciteranno durante le spinte orogeniche neogeniche un’importante funzione di
scollamento, che sarà assente nel dominio laziale-abruzzese. In quest’ultimo dominio
infatti durante il Trias si depositano centinaia di metri di dolomie e calcari ciclotemici.
L’assottigliamento crostale prosegue nel Lias ed è unanimemente ritenuto
responsabile dello smembramento del megabanco carbonatico, documentato dal Calcare
Massiccio, che nell’Hettangiano dominava in gran parte dell’Italia Centrale (PASSERI &
VENTURI, 2005). A seguito di queste prime fasi tettoniche si determinò la netta
individuazione dei domini sopra mensionati. La successione bacinale Sabino-Umbro-
Marchigiana è spessa circa 3000 metri ed è rappresentata da un multi strato composto di
calcari pelagici, marne e rocce silicoclastiche.
Il dominio umbro-marchigiano si struttura in una serie di semi-graben a
subsidenza differenziale (BERNOULLI et Alii, 1979) con alti strutturali meno subsidenti
(Piattaforme Carbonatiche Pelagiche sensu SANTANTONIO, 1993) a sedimentazione
pelagica condensata e lacunosa, e depressioni più subsidenti riempite di successioni
spesse e con notevoli intercalazioni torbiditiche, olistostromi e slumps all’interno della
successione normale pelagica. Il flat delle faglie listriche, che bordano la gran parte
degli alti strutturali umbro-marchigiani, si troverebbe in corrispondenza delle Anidridi
di Burano. La limitata estensione laterale degli stessi, i bassi valori di approfondimento
35
(compresi tra 30 e 150 metri (per SANTANTONIO et Alii, 1993) e la geometria a semi-
graben dei blocchi suggeriscono tale ipotesi. Dal Toarciano alla fine del Giurassico, i
tassi di subsidenza termale post-rift eccedono i tassi di sedimentazione delle aree più
depresse del bacino. Tale evento è da ricondursi per BERNOULLI (2001) al cambio di
deposizione da peri-platform ooze a pelagica biogenica autoctona.
Lungo la Penisola italiana sono stati individuati diversi domini di Piattaforma
(Laziale-Abruzzese, Campana, Majella, Apulia) le cui reciproche interazioni sono da
lungo tempo al centro della discussione degli Autori (ACCORDI & CARBONE, 1988). La
Majella considerata da MOSTARDINI & MERLINI (1986) come Piattaforma Apula esterna
è uno dei pochi siti dove si è conservato il margine di piattaforma.
La Piattaforma laziale-abruzzese è un oggetto geologico complesso
caratterizzato da un certo grado di articolazione strutturale. Essa ospitava una
sedimentazione in forte similitudine con quella ancora oggi attiva nelle Isole Bahamas,
non solo in termini di facies, forma, relazioni spazio-temporali e tassi di subsidenza ma
anche in termini di architettura interna (BERNOULLI, 1972). Il dominio laziale-abruzzese
era attraversato da solchi intra-piattaforma (Solco marsicano e Solco del Fucino-
Sulmona ad es.) a sedimentazione pelagica. Esso è delimitato a Nord dal bacino
marchigiano-abruzzese (Gran Sasso e Montagna dei Fiori), a Ovest (Monti Sibillini,
Monti Sabini) e a Sud (Monte Circeo) dal bacino sabino e umbro-marchigiano e ad Est
da una stretta fascia bacinale che comprende le Mainarde orientali, Monte Genzana, e
parte del Morrone e della Majella). La Piattaforma Laziale-Abruzzese è costituita da
una pil0a di carbonati di acque basse spessa circa 5000 metri, sviluppata su una
piattaforma subsidente dal Trias al Miocene con evidenze di annegamenti ed emersioni
nel Cretaceo medio e superiore e nel Paleocene (ACCORDI et Alii, 1988). Durante il
Giurassico i tassi di subsidenza erano nell’ordine di 50 mm/ka decrescendo a 25mm/ka
nel Cretaceo (BERNOULLI, 2001).
Tutti i domini erano lontani da sorgenti terrigene e dunque virtualmente privi di
ogni input silicoclastico. Una delle zone di raccordo tra questi due domini meglio
preservata è rappresentata nella serie stratigrafica di base-of-slope del Gran Sasso.
Al passaggio tra Giurassico e Cretaceo inizia la fase di convergenza oceanica
durante la quale il drifting tetideo è definitivamente bloccato e i meccanismi
geodinamici a partire dalle posizioni più interne dell’Oceano ligure-piemontese
cominciano a invertirsi. Nel dominio bacinale durante il Titonico superiore si sviluppa
36
una break-up unconformity, marcata dall’incorrere di facies pelagiche (Maiolica Fm.).
Queste tendono a sigillare le strutture sin-sedimentarie giurassiche.
Nel Cretaceo inferiore il dominio di piattaforma è interessato principalmente dai
fenomeni eustatici, che concorrono con la tettonica ad influenzare la tendenza
progradazionale delle facies marginali su quelle di slope. Nei settori più interni la
Piattaforma ospita una sedimentazione ciclotemica. Il Cretaceo superiore è
caratterizzato dalla ripresa dell’attività tettonica sin-sedimentaria, che determinò
un’ulteriore smembramento in blocchi dei settori più esterni della piattaforma. I settori
periferici sono caratterizzati dall’annegamento mentre le porzioni più interne subiscono
fenomeni di esumazione. Per CENTAMORE et Alii (2002) questi fenomeni potrebbero
essere causati da un primo inarcamento delle strutture, che articolate in blocchi,
avrebbero subito una tettonica d’inversione positiva lungo le stesse faglie listriche,
generate nel corso del Giurassico dai fenomeni distensivi.
Sulla Majella durante l’intervallo Campaniano-Maastrichtiano le sabbie
bioclastiche progradarono sui depositi bacinali durante una caduta di lunga durata del
livello del mare. Dopo fasi di emersione, arretramento dei margini (back-stepping) ed
erosione dello slope, nell’intervallo Paleocene-Eocene superiore basale si ha una
seconda fase di progradazione delle sabbie bioclastiche, finché al passaggio Eocene-
Oligocene si avrà la costruzione di una nuova barriera corallina (BERNOULLI, 2001). Un
ruolo fondamentale nella costruzione di un margine progradante è svolto dalla posizione
sottocorrente del margine stesso.
Erosione e non deposizione furono i processi dominanti nel Terziario inferiore di
alcuni settori delle piattaforme carbonatiche. Alla base degli slopes si sedimentavano i
prodotti dello smantellamento dei margini di piattaforma esposti.
È importante annotare che la successione compresa tra il Trias superiore e
l’Oligocene medio si è sedimentata a latitudini tropicali (10-30°) come dimostrato dalle
associazioni chlorozoan, dalla presenza degli ooidi, dalle misure paleo magnetiche e
dalle strette analogie del sistema sedimentario appenninico di piattaforme e bacini con
quello attuale delle Isole Bahamas (BERNOULLI, 2001). Un netto cambiamento delle
condizioni climatiche è registrato nell’Oligocene superiore nei cui terreni briozoi e
alghe rosse sono più abbondanti mentre i coralli scompaiono completamente. Il
cambiamento climatico sarebbe legato ad una migrazione progressiva verso Nord della
Placca apula verso zone più fredde. Questo fenomeno contribuì fortemente alla
generazione di un drastico calo dei tassi di produzione carbonatica (BERNOULLI, 2001).
37
Nel bacino umbro-marchigiano fino alla fine dell’Oligocene dominò la
deposizione di calcari pelagici e occasionalmente di torbiditi carbonatiche distali.
Scivolamenti sin-sedimentari, eventi di slumps e brusche variazioni laterali e verticali di
facies suggeriscono il perdurare di condizioni d’instabilità gravitativa, legata ai
movimenti tettonici.
Nel corso del Miocene la catena appenninica registra il progressivo mutare del
contesto tettono-stratigrafico.
Nel Miocene inferiore gran parte dell’Appennino Centrale risente della
produzione di rampa carbonatica tipica delle zone interne al dominio laziale-abruzzese,
dalle quali si ha un continuo apporto carbonatico risedimentato nelle zone periferiche.
Quest’ultime sono interessate da una complessa distribuzione delle facies. Frequenti
sono le intercalazioni glauconitiche e quelle sponglitiche.
Nell’area del Gran Sasso e del dominio marchigiano-abruzzese durante il
Miocene Medio si struttura il Bacino delle Marne con cerrogna. Alcuni importanti
sistemi di faglie dirette disarticolano ulteriormente la successione influenzando sia
l’organizzazione tettono-stratigrafica dello stesso Bacino suddetto sia quello della Laga.
Nel Tortoniano superiore si registra la frammentazione della Piattaforma
carbonatica e la formazione di piccoli bacini allungati e confinati, bordati da faglie
normali pre-thrusting (MILLI et Alii, 2007). Queste faglie dislocano la struttura
carbonatica e permettono l’approfondimento dei sub-bacini di avanfossa e
contribuiscono a regolare lo scorrimento dei flussi torbiditici silicoclastici e la
distribuzione delle facies. Questi eventi tettono-stratigrafici influenzarono dunque la
strutturazione successiva della catena.
Il Bacino della Laga ha ospitato la deposizione di avanfossa tra il Tortoniano
superiore e il Pliocene basale. Esso è delimitato ad Ovest dall’unità Monti Sibillini e a
Sud dall’unità Gran Sasso (VIANDANTE, 2006). La struttura del bacino è suddivisa dalla
linea Fiastrone-Fiastrella in un settore settentrionale ed uno meridionale (MILLI, 2007).
Quest’ultimo è organizzato in dorsali ad andamento N-S (Anticlinale di Acquasanta,
Struttura Montagna dei Fiori-Montagnone), nelle quali affiora la successione bacinale
meso-cenozoica. Il complesso bacinale sovrascorre in blocco più a Est lungo il Thrust di
Teramo sui depositi dell’Avanfossa del Cellino, che hanno un’età riferibile al Pliocene
inferiore.
Nel Tortoniano superiore il Bacino della Laga si configurò a seguito della
frammentazione del bacino della Marnoso-Arenacea, il quale venne definitivamente
38
coinvolto in catena durante le fasi tettoniche regionali infra-messiniane (MILLI et Alii,
2007). La fase di flessurazione dell’avampaese che precede la costruzione del Bacino
della Laga è marcata dall’interruzione dell’apporto dei risedimenti carbonatici di rampa,
contenuti nelle formazioni del Bisciaro e delle Marne con Cerrogna, e dall’incorrere di
facies marnoso-argillose a foraminiferi planctonici (Marne a Pteropodi e Marne a
Orbulina Fm.s). Questi ultime precorrono, dunque, l’effettiva “entrata” nel dominio
d’avanfossa a sedimentatazione torbiditico-arenacea.
La Formazione della Laga è stata studiata da molti Autori in passato.
Recentemente MILLI et Alii (2007) hanno condotto un’attenta analisi delle sequenze
deposizionali al fine di riconoscere le tendenze evolutive del bacino e di migliorare le
interpretazioni sismiche. Essi riconoscono 3 membri che corrispondono parzialmente a
quelli di CENTAMORE (1971). Pannello di correlazione.
Durante il periodo pre-evaporitico il depocentro dell’avanfossa è ubicato a tergo
della struttura Montagna dei Fiori-Montagnone a vergenza orientale, che suddivide il
Bacino della Laga in due sottobacini (NISIO, 1997). Nel sottobacino occidentale la Laga
3 non è rappresentata. Il sottobacino orientale, invece, non pone in affioramento la Laga
1 e ciò fa presupporre un ingresso successivo rispetto al precedente nello stadio di
avanfossa e la migrazione verso Est infra-messiniana del depocentro bacinale della
Laga. Anche questo fenomeno è da ricondursi probabilmente a fenomeni generali di
arretramento progressivo dello slab in subduzione.
Nel Pliocene inferiore l’area del Gran Sasso subisce nuove spinte orogeniche. Il
fronte E-W del Gran Sasso sovrascorre parzialmente sulle unità tettoniche N-S del
Bacino della Laga, innescando deviazioni degli assi e sovrapposizioni tettoniche sulle
porzioni più esterne (GHISETTI & VEZZANI, 1990). I depositi continentali carbonatici di
Monte Coppe e Rigopiano, che suturavano i thrust miocenici rappresentano il prodotto
di un’idrografia superficiale articolata, tipica dello stadio di catena emersa. Essi
subiscono deformazioni plicative già nel Pliocene Inferiore. Questo dato geologico
testimonia la riattivazione delle strutture compressive frontali del Gran Sasso e la
definitiva chiusura del Bacino della Laga.
Nel corso del Pliocene anche la Majella inizia a strutturarsi in catena e a
chiudere progressivamente la propria avanfossa.
Durante il periodo Plio-Pleistocenico la strutturazione tettonica è dominata
dall’azione delle faglie dirette ad alto angolo e dall’alternarsi degli effetti di
modellazione geomorfologica tipica dei periodi glaciali ed inter-glaciali. La distensione
39
centro appenninica contribuisce grandemente a determinare la formazione di conche
intramontane (Campo Imperatore, Fucino, Piana dell’Aquila ad es.), interessate da
sedimentazione lacustre, fluvio-glaciale e talora anche morenica. La modellazione del
paesaggio è affidata dunque all’interazione tra la tettonica distensiva e i processi
geomorfologici, legati a loro volta ai cambiamenti climatici.
40
3. ASSETTO GEOLOGICO DEL GRAN SASSO D’ITALIA Il Gran Sasso d’Italia è stato, come precedentemente ricordato, oggetto dello
studio di molti Autori. Gruppi di stratigrafi e strutturalisti, provenienti da diverse
Università italiane e straniere, hanno contribuito in tempi diversi alla conoscenza di
questo importante settore dell’Appennino. Nel presente Capitolo sarà esposto in breve il
quadro delle conoscenze in merito all’assetto stratigrafico e strutturale del Fianco
Occidentale, al fine di poter procedere nei Capitoli successivi alla descrizione dei dati
raccolti sul terreno e alle relative interpretazioni sintetiche.
Sintesi del quadro strutturale Il Gran Sasso d’Italia è un massiccio
montuoso interessato da pieghe e
sovrascorrimenti. Esso è delimitato da alcune
importanti direttrici tettoniche. Il Gruppo è
caratterizzato sul fronte longitudinale da due
piani di sovrascorrimento messiniano-
pliocenici, che delimitano tre diverse unità
tettono-stratigrafiche, sovrapposte tra loro e
successivamente dislocate dall’attività
distensiva quaternaria. Evidenti indicazioni
di tettonica pre-orogenica sono presenti in
tutto l’edificio tettonico, complicando la
ricostruzione delle dinamiche orogeniche.
L’unità strutturalmente più bassa ed
esterna è l’unità Laga (VIANDANTE, 2006).
Si tratta di un’unità complessa in quanto
caratterizzata da numerose complicazioni
strutturali interne. L’unità Laga è
caratterizzata da fronti di accavallamento N-S, riconoscibili nella struttura meridiana
Montagna dei Fiori-Montagnone, che immerge nel suo insieme al di sotto della struttura
carbonatica del Gran Sasso in corrispondenza del thrust inferiore. L’edificio del
Montagnone è una sinclinale-anticlinale, rovesciata in sovrascorrimento sulla sinclinale
Miano-Basciano (NISIO, 1997), a sua volta tagliata da faglie normali. Queste possono
avere orientazione circa appenninica N 40°-60° W immergente a SW, oppure
orientazione circa N±20°, oppure N 60-80° W. Quest’ultimo sistema trasversale alle
Figura 14 - Carta tettonica schematica del Massiccio del Gran Sasso d'Italia. La struttura tettonica evidenzia un arco delimitato da sovrascorrimenti frontali. La sezione A-B passa per il thrust E-W che si diparte dal versante settentrionale di Monte Corvo. CALAMITA et Alii (2004)
41
strutture per Nisio (1997) riattiverebbe in senso normale le antiche tear-faults legate alle
fasi compressive interne all’Unità Laga.
Nell’unità Gran Sasso, si distingue un thrust superiore, ben facilmente
identificabile in affioramento, ed uno inferiore. Quest’ultimo ha una geometria poco
chiara ed è stato riconosciuto nettamente solo nelle indagini eseguite durante la
perforazione del traforo autostradale. Il thrust inferiore risulta difficilmente
individuabile in campagna a causa delle coperture recenti e del cattivo stato di
conservazione delle strutture tettoniche nelle litologie marnose, a spese delle quali esso
si sviluppa.
Il thrust superiore permette la sovrapposizione dell’anticlinale di Corno Grande-
Corno Piccolo sulla successione rovesciata della Val Maone ed è caratterizzato
dall’aumento del rigetto nelle porzioni più orientali. Questa evidenza di terreno
suggerisce la rotazione antioraria dell’unità superiore.
Tra i due thrusts è racchiusa l’unità intermedia (CALAMITA et Alii, 2004;
VIANDANTE, 2006) che ha giacitura rovesciata tra Monte Corvo e il Paretone (Est) del
Corno Grande, dove affiora in spettacolari esposizioni. I due piani di sovrascorrimento
si ricongiungono a Monte Corvo ad Ovest del quale CALAMITA et Alii (2003)
dimostrano la continuità stratigrafica tra la successione carbonatica e i depositi
silicoclastici della formazione della Laga. Secondo GHISETTI & VEZZANI (1990 a, b;
1991) e VIANDANTE (2006) l’unità intermedia sovrascorre sull’unità Laga per mezzo
Figura 15 - Blocco-diagramma del fronte E-W del Gran Sasso d'Italia da Monte Camicia a Monte San Franco (CALAMITA et Alii, 2004). CG (Corno Grande); Mo (Montagnone); MCo (Monte Corvo). L’area di studio della Tesi è al centro della rappresentazione schematica.
42
del thrust inferiore. Come è possibile evincere dal Capitolo “Studi Precedenti” il ruolo
giocato dalle superfici di scorrimento frontale è di fondamentale importanza per
discriminare tra lo sviluppo in- e fuori-sequenza dei thrusts.
Le faglie dirette suddividono il Gran Sasso in un blocco settentrionale, che pone
in affioramento le complesse strutture frontali, e in un blocco meridionale caratterizzato
dall’assetto circa
monoclinalico.
Esistono due
importanti sistemi di
faglie normali
paralleli e
distanziati tra loro
di 2.5 Km circa. Il
sistema meridionale
è riconducibile alla
faglie note in
Letteratura come
Faglia di Assergi e
Faglia di Valle
Fredda. Il sistema più esterno e settentrionale è quello della Faglia delle Tre Selle.
Quest’ultimo sistema sembrerebbe essere collegato alla Faglia di Campo Imperatore.
Entrambi sono stati documentati in Letteratura e mostrano rigetti dell’ordine delle
centinaia di metri (circa 1000 metri il primo, oltre 600 metri il secondo per D’AGOSTINO
et Alii (1998)) e sembrano, come nel caso della Sella di Corno Grande, essere
parzialmente da ricollegare alla tettonica distensiva giurassica, che già nel Lias
evidenziava nel Corno Grande un alto strutturale (ADAMOLI et Alii, 1981-82; CALAMITA
et Alii, 2004).
La struttura del Corno Grande-Primo Scrimone è infatti delimitata a Sud dalla
Faglia delle Tre Selle e a Nord dalla Faglia del Passo del Cannone (sensu CALAMITA et
Alii, 2004). CALAMITA et Alii (2003) attribuiscono la continuità dell’alto strutturale fino
a Monte Corvo.
Conflittualità di interpretazioni vi è sull’assetto stratigrafico-strutturale in
località Acqua San Franco (porzione meridionale, versante Sud di Pizzo Cefalone).
GHISETTI & VEZZANI (1991) interpretano sulla Carta Geologica il contatto Calcare
Figura 16 – Schema strutturale del settore centrale ed occidentale del Gran Sasso d’Italia (da CALAMITA & ESESTIME, 2008)
43
Massiccio – Corniola – Verde Ammonitico come un sovrascorrimento mentre negli
studi stratigrafici di ADAMOLI et Alii (1978) e CHIOCCHINI et Alii (1994) è suggerita la
presenza di un alto strutturale con Massiccio B. Nessuno di questi Autori ha però
argomentato sulla natura dei contatti stratigrafici di questa zona o sulla presenza di
paleoscarpate o faglie sin-rift, che invece questo lavoro si propone di chiarire.
Sintesi del quadro stratigrafico Il Gran Sasso d’Italia ospita una successione meso-cenozoica tipica delle zone di
raccordo tra bacino e piattaforma ed è interessato a tutti i livelli stratigrafici da prodotti
bacinali e alloctoni bio- e lito-clastici. L’evento principale di questa porzione di
successione è l’annegamento dei settori periferici della Piattaforma del Calcare
Massiccio, che nel Sinemuriano inferiore subisce una forte riduzione a seguito dei
fenomeni distensivi liassici. Durante il corso del Giurassico e del Cretaceo inferiore
l’area del Gran Sasso risentirà della costante instabilità tettonica e sedimentaria che
interessa la base dello slope settentrionale della vicina Piattaforma Laziale-Abruzzese.
L’interazione tra tettonica e variazioni eustatiche vincola la sedimentazione e
l’organizzazione delle sequenze deposizionali del Gran Sasso fino al Miocene. Dal
Tortoniano inferiore la sedimentazione carbonatica cessa di essere alimentata dal
sistema carbonatico ed inizia a risentire più marcatamente delle dinamiche di
flessurazione dell’avampaese apulo, che comportano la sedimentazione di emipelagiti
marnoso-argillose.
Il definitivo ingresso dell’area frontale del Gran Sasso in regime di avanfossa a
sedimentazione silicoclastica avviene nel Tortoniano superiore. Mentre il bacino della
Laga si struttura secondo direttrici N-S, il Gran Sasso, che ne rappresenta il limite
meridionale, avanza lungo il thrusts a direzione E-W.
Durante il Pliocene inferiore l’intera area risente del sollevamento regionale e
della riattivazione dei thrusts favorendo la sedimentazione di brecce continentali lungo i
versanti settentrionali di Prati di Tivo (Pietracamela).
44
La tettonica distensiva
quaternaria comporta il sollevamento
e lo smantellamento subaereo della
successione meso-cenozoica in un
clima alternativamente glaciale e
interglaciale, condizionando in
maniera sostanziale lo sviluppo degli
ambienti deposizionali continentali e
l’articolazione del reticolo
idrografico (NISIO, 1997).
Figura 17 - Colonna stratigrafica della successione del Gran Sasso secondo CALAMITA et Alii (2004). 17 Calcari bioclastici superiori; Tra 12a (Marne con Cerrogna-Bisciaro) e 12b (Calcareniti di M.Fiore.) vi è una faglia sin sedimentaria (Faglia delle Tre Selle).
45
4. STRATIGRAFIA DELLE FORMAZIONI RILEVATE In questo Capitolo verrà presentata la stratigrafia dei terreni rilevati.
L’esposizione evidenzierà la descrizione dei dati di campagna e si propone di integrare
le conoscenze fin ora acquisite dagli Autori precedenti. Il metodo litostratigrafico e
l’analisi di facies sono alla base di alcune interpretazioni stratigrafico-sequenziali,
fondate sul riconoscimento delle superfici di inconformità al tetto e al letto delle
sequenze deposizionali, già applicato in parte della successione da VAN KONIJNENBURG
(1997). Tale impostazione è stata estesa in questo Lavoro all’intero intervallo
temporale, registrato dalla successione stratigrafica, esposta sul fianco occidentale del
Massiccio del Gran Sasso d’Italia.
La datazione biostratigrafica dei terreni studiati è fondata prevalentemente sui
dati disponibili in Letteratura (ALESSANDRI et Alii, 1968; ADAMOLI et Alii, 1978;
CHIOCCHINI et Alii, 1994; VAN KONIJNENBURG,1997).
Superfici di inconformità sottomarine, hiatus deposizionali e rapide variazioni
verticali nelle associazioni di facies caratterizzano la deposizione sullo slope e sulla sua
base (BERNOULLI, 2001). Tutte le modificazioni che interessano i margini di piattaforma
influenzano la composizione e la geometria dei risedimenti lungo la base dello slope
perché i cambiamenti nei sistemi deposizionali associati ai limiti di sequenza registrano
le variazioni nel regime sedimentario delle piattaforme adiacenti (BERNOULLI, 2001).
Nella Letteratura geologica sono stati proposti differenti nomi per chiamare le
medesime formazioni. Talora anche i limiti formazionali non trovano un’esatta
corrispondenza tra le suddivisione stratigrafiche utilizzate dai diversi Autori. Per
superare tali difficoltà di nomenclatura e per evitare confusione e fraintendimenti, nel
presente Studio si tiene conto della revisione in chiave toponomastica delle formazioni
operata da VAN KONIJNENBURG (1997) per la successione del Gran Sasso d’Italia.
Quando possibile, è stata preservata la nomenclatura tradizionale unanimemente
riconosciuta.
Sono state distinte 17 differenti unità litostratigrafiche, separate l’una dall’altra
da superfici di inconformità regionali, talora documentate da hiatus deposizionali e/o da
una rapida variazione verticale nell’associazione di facies, che riflette un chiaro
cambiamento nell’input sedimentario e nella sua dispersione. Per l’intervallo Cretaceo-
Terziario inferiore è stata utilizzata la nomenclatura e le dettagliate descrizioni di VAN
KONIJNENBURG (1997), integrate dai dati di rilevamento.
46
La successione è caratterizzata da notevoli variazioni verticali e laterali di facies
e di spessori formazionali, tali da rendere spesso difficoltose ed incerte le correlazioni
tra le differenti zone. Ciononostante è possibile applicare la medesima nomenclatura
stratigrafica all’intera area analizzata.
Le unconformities che bordano le sequenze di secondo ordine (o supersequenze)
riflettono distinti stadi di sviluppo dell’insieme piattaforma-bacino durante il quale il
sistema deposizionale resta invariato. Ogni sequenza di secondo ordine registra dunque
un sistema deposizionale differente. I limiti di supersequenza sono fortemente
controllati dalle variazioni eustatiche di lungo termine (secondo ordine) del livello
marino, per le quali l’interazione tra clima e tettonica influenza durata e magnitudo. Le
variazioni eustatiche di breve durata sono invece definite di terzo ordine. Gli hiati
intraformazionali, riconosciuti dagli Autori all’interno di una sequenza deposizionale
del 2° ordine, sono relazionati a processi di slope quali slumpings e correnti
conturitiche, che causa lacune nella successione pelagica (VAN KONIJNENBURG et Alii,
1999)
Particolare attenzione è stata rivolta alla descrizione di alcuni contatti
stratigrafici perché indicativi della strutturazione meso-cenozoica.
La successione è suddivisibile in:
• Dolomie, calcari-dolomitici e calcari di piattaforma neritica (Trias sup.-Lias
inf.);
• Calcari, calcari-marnosi e marne di base-of-slope, caratterizzati da una
complessa organizzazione stratigrafico-strutturale interna (Lias inf.-Tortoniano
superiore);
• Terreni silicoclastici di avanfossa (Miocene superiore-Pliocene basale);
• Terreni e coperture continentali plio-pleistoceniche ed oloceniche.
47
Tabella 1 - Tabella di confronto sull'interpretazione della suddivisione stratigrafica. La linea zigzagata rappresenta la natura erosiva del contatto stratigrafico (erosional unconformity). La linea tratteggiata segna una collocazione incerta del limite. La X marca l’assenza della formazione in una parte della successione (vedi schema dei rapporti stratigrafici in CRESCENTI (1969)). Nella colonna più a destra e in quella di VAN KONIJNENBUERG et Alii (1998) la Scaglia Bianca ha un limite inferiore eteropico con la Monte Corvo Fm. ed è di impossibile rappresentazione in questa tabella.
Età CRESCENTI (1969)
GHISETTI & VEZZANI (1990)
VAN KONIJNENBURG et Alii (1998); BERNOULLI (2001)
CALAMITA et Alii (2004)
PRESENTE LAVORO
M
IOC
ENE
Messiniano Flysch della
Laga
Flysch della Laga
Depositi miocenici
Laga Laga Fm.
Marne a Orbulina Marne a Orbulina
Marne a Orbulina
Tortoniano
Marne con cerrogna
Marne con Cerrrogna, Bisciaro e Calcareniti di Monte Fiore
Marne con Cerrogna
Serravalliano Langhiano
Bolognano Fm.
Bisciaro Calcareniti
Glauconitiche Burdigalliano Aquitaniano
Calcareniti a glauconite Calcari Glauconitici Calcareniti a spicole di
spugna OLIGOCENE
Sup. Med. Inf.
Alternanze di calcareniti e marne rosse e verdi
Venacquaro Fm.
Scaglia Cinerea
Venacquaro Fm.
Santo Spirito Fm.
Scaglia Cinerea Calciruditi e
calcareniti rosse a
LACUNA LACUNA
EOCENE
Sup. Med. Inf. Fonte Gelata
Fm. Fonte Gelata
Fm.
Scaglia Rossa
Macroforaminiferi Scaglia Rosata
PALEOCENE
Sup. Med. Inf. LACUNA LACUNA
M.Acquaviva Fm.
(Membro Orfento)
Monte Corvo Fm. Scaglia
Rossa
Monte Corvo Fm.
CRETACEO
Sup. Scaglia Scaglia Bianca
Fm. Scaglia
Bianca Fm.
Monte Acquaviva Fm. Calciruditi a Rudiste Cefalone Fm.
Calcari Bioclastici Superiori
Cefalone Fm. Inf.
Maiolica Maiolica LACUNA
Maiolica LACUNA
Maiolica Fm. Maiolica Fm.
GIURASSICO
Sup.
Scisti ad Aptici
Calcareniti ad Entrochi
Calcare ad Entrochi
Calcari Bioclastici Inferiori
Calcari Diasprigni Detritici
Terratta Fm. Terratta Fm
(equivalente)
Corno Piccolo Fm.
Med.
Verde Ammonitico Ammonitico Rosso
Verde Ammonitico
Verde Ammonitico
Inf. LIAS
Corniola Corniola Corniola Corniola Corniola Castelmanfrino
Fm. Calcare Massiccio Calcare Massiccio
Calcare Massiccio
Calcare Massiccio
TRIASSICO Sup. Dolomie Dolomia Principale
Dolomia Principale
48
Formazioni carbonatiche di piattaforma
DOLOMIA PRINCIPALE Fm. (Triassico superiore pp.)
La Formazione della Dolomia Principale affiora in carta sulla parete meridionale
del Corno Grande ed è costituita da dolomie alto triassiche. L’affioramento è delimitato
a Sud dalla Faglia delle Tre Selle e ad Est dal Thrust superiore. La sezione della Valle
dell’Inferno è stata rilevata con osservazioni da lontano e i dati esposti si riferiscono a
quelli riportati da ALESSANDRI et Alii (1968). Gli Autori utilizzando “mezzi e sistemi
alpinistici” hanno descritto accuratamente la stratigrafia del Trias affiorante nella
sezione di Corno Grande. La formazione è qui denominata Dolomia Principale in
accordo con CALAMITA et Alii (2004) ed ha uno spessore minimo di 560 metri.
ALESSANDRI et Alii (1968) suddividono la serie in 3 parti che dal basso verso
l’alto sono: Dolomie stromatolitiche bituminose; Dolomie regolarmente stratificate in
strati e in banchi; Dolomie massicce.
I primi 60 metri sono caratterizzate da dolomie bituminose stromatolitiche
straterellate e fogliettate, alternate a banchi dolomitici bianchi sempre più frequenti
verso l’alto.
La litozona intermedia è composta da un pacco di dolomie a Megalodon sp.,
Worthenia solitaria (BEN.), gasteropodi e coralli solitari, spesso circa 350 metri. Il
limite inferiore con le dolomie bituminose intertidali è graduale mentre quello superiore
è netto ed è sito in
prossimità della cengia a
quota 2300.
L’ultima litozona è
spessa 140 metri. Alla base
vi sono dolomie massicce
non stratificate bianco-
giallastre dall’aspetto
“cariato” o “cavernoso”. Gli
Autori riconoscono tessiture
ruditiche ed ipotizzano Figura 18 – Sella di Corno Grande-Valle dell'Inferno – La linea nera evidenzia il limite superiore della Dolomia Principale.
49
siano dei conglomerati intraformazionali.
Probabilmente si tratta di “pseudo-conglomerati” il cui aspetto ruditico è da
ricondursi alla diagenesi dolomitica. I flussi di dolomitizzazione pervadono con
differente intensità il volume della roccia. Ciò comporterebbe la maggior preservazione
di alcune aree a forma ciottolosa e la completa dolomitizzazione di quelle circostanti.
Al limite superiore con i calcari hettangiani del Calcare Massiccio vi sono 40
metri di dolomie straterellate. La maggiore erodibilità di questi terreni terminali forma
una cengia intorno a quota 2400 aiutando così a tracciare il limite superiore del Trias.
CALCARE MASSICCIO Fm. (Hettangiano?-Sinemuriano inf.?)
Il Calcare Massiccio è costituito da dolomie, calcari a diverso grado di
dolomitizzazione e calcari con caratteristiche tipiche di un ambiente di produzione
neritico di piattaforma carbonatica tropicale. La Formazione affiora diffusamente per un
area di circa 4 Km2 nel settore Corno Grande-Primo Scrimone, e alle pendici
meridionali di Pizzo Cefalone e Monte Aquila. CRESCENTI et Alii (1969) denominano
“Dolomie della formazione Castelmanfrino” i calcari e le dolomie di piattaforma
stratigraficamente sottostanti la Corniola della successione di Pizzo Cefalone. Anche
CHIOCCHINI et Alii (1994) riconoscono l’equivalenza tra il nome “Calcare Massiccio
dolomitizzato” e le “Dolomie di Castelmanfrino”. Molti altri Autori tra cui BERNOULLI
(1967) e PASSERI et Alii (2008) preferiscono l’identificazione nomenclaturale con il più
comune “Calcare Massiccio”. In base alla
nomenclatura formazionale della successione
umbro-marchigiana e ai suoi caratteri
litologici e sedimentologici, la formazione
del Calcare Massiccio è suddivisa in
Letteratura in tre membri (CENTAMORE et
Alii, 1971): Calcare Massiccio A, Calcare
Massiccio B e Calcare Massiccio C. Non è
stato possibile riconoscere sul Gran Sasso i
caratteri identificativi dell’ultimo membro.
ADAMOLI et Alii (1978) riconoscono
Figura 19 – Tra Passo del Cannone e Sella dei due Corni, quota 2650. Calcari subtidali ad oncoidi.
50
litofacies calcaree e litofacies dolomitiche, individuando il Calcare Massiccio B al top
della serie carbonatica di piattaforma del versante meridionale di Pizzo Cefalone.
Nella successione del Corno Grande affiorano 600 m. circa di Calcare Massiccio
ciclotemico in litofacies calcarea. Lo spessore degli strati varia tra 1 e 4-5 metri.
L’analisi di facies delle tessiture e delle strutture deposizionali indica un ambiente di
piattaforma carbonatica che risponde dinamicamente alle variazioni eustatico-tettoniche
e del chimismo delle acque indotte. L’organizzazione ciclotemica della successione
sembra essere legata alla capacità di recupero verticale e laterale della piattaforma. I
ciclotemi più completi presentano facies subtidali alla base, caratterizzate da aspetto
massivo e dalla presenza di oncoidi, gasteropodi, bivalvi e brachiopodi, facies intertidali
a laminiti criptoalgali e facies supratidali al tetto, testimoni dell’emersione periodica di
parte del sistema carbonatico liassico.
Le litofacies dolomitiche prevalgono nella serie del Pizzo Cefalone dove il
Calcare Massiccio affiora con uno spessore di circa 300 metri. Alla base vi sono
dolomie e calcari dolomitici in banchi e strati spessi da 1 a 4 metri intercalate a calcari e
calcari dolomitici più sottili. La dolomitizzazione spesso inibisce il riconoscimento delle
tessiture deposizionali ed oblitera il contenuto fossilifero. Le ultime decine di metri
sono caratterizzate, come già segnalato da ADAMOLI et Alii (1978) in prossimità della
Portella, da litotipi dolomitici e calcareo-dolomitici oolitici sottilmente stratificati.
ADAMOLI et Alii (1978) considerano quest’intervallo, che è al top della formazione,
riferibile al membro B del Calcare Massiccio di Monte Nerone (CENTAMORE et Alii,
1971). Tale considerazione presuppone la sedimentazione tipica delle zone di alto
strutturale isolato dalla tettonica liassica. La mancanza di ulteriori descrizioni
stratigrafiche e tettoniche a riguardo hanno portato l’attenzione di questo lavoro ad
indagare sulla natura dei contatti stratigrafici, che interessano la zona di Acqua San
Franco (versante Sud di Pizzo Cefalone), delineando così con maggior precisione le
strutture affioranti.
Formazioni bacinali La variabilità degli spessori formazionali e delle facies è fortemente connessa al
mutare dell’assetto tettono-stratigrafico.
Tutte le formazioni bacinali sono caratterizzate da 3 tipi di facies dominanti:
51
1. Depositi da Debris Flow: brecce lito- ed intra-clastiche, megabrecce in bancate
amalgamate a clasti alloctoni di piattaforma o generatesi alle spese del substrato
autoctono;
2. Depositi torbiditici da packstones o grainstones composti prevalentemente da
frammenti scheletrici e in minor misura da litoclasti;
3. Depositi calcarei e calcareo-marnosi pelagici con tessitura mudstone o
wackestone.
Sia le calciruditi che le calcareniti torbiditiche più grossolane hanno una limitata
estensione laterale e spesso non posso essere seguiti da una sezione all’altra VAN
KONIJNENBURG (1997). Le brecce sono state depositate principalmente durante i bassi
stazionamenti del livello del mare (LST) mentre le calcareniti torbiditiche, composte di
bioclasti non cementati di acque basse, pellets oppure ooidi, furono deposte durante le
fasi di alto stazionamento (HST), quando le piattaforme carbonatiche erano ancora
attive (BERNOULLI, 2001). Infatti durante le fasi di LST i margini di piattaforma entrano
in erosione, a seguito dell’abbassamento del livello base dell’erosione, incrementando
l’apporto di risedimenti in bacino. In questo modo le facies ruditiche più prossimali
avanzano fino alla base dello slope, proprio come avvenne sulla base-of-slope
mesozoico-terziaria del Gran Sasso d’Italia. Durante l’alto stazionamento (HST) la
sequenza sedimentaria registra facies più prossimali di origine biogena piuttostocchè
litoclastica. Tale fenomeno è connesso alla progradazione della piattaforma sul bacino.
Nel Giurassico inferiore prevale la componete oolitica mentre nel Giurassico superiore e
nel Cretaceo aumenta la componente bioclastica. Le variazioni nelle associazioni di
facies non avvengono solo lungo l’immersione del pendio ma anche lateralmente a
questa. La gran parte dei risedimenti proviene dalle piattaforme adiacenti e fornisce
informazioni sulle dinamiche di avanzamento o arretramento delle medesime sul bacino
del Gran Sasso. Una porzione significativa del materiale risedimentato proviene
dall’erosione e rielaborazione dello stesso slope. I cambiamenti di facies lungo i margini
della piattaforma influenzano la composizione delle calciruditi e delle calcareniti dei
sedimenti di base-of-slope.
CORNIOLA Fm. (Sinemuriano sup.?-Toarciano inf.?)
La Formazione è costituita alla base da doloareniti e doloruditi giallastre o
nocciola, mudstones calcareo-dolomitici grigio-nocciola e al top nelle lolcalità Sella dei
52
Due corni e Acqua San Franco da mudstones calcarei plumbei . La selce si presenta
bianca e giallastra in liste e noduli.
La Corniola affiora sul versante Sud di Pizzo Cefalone, tra il Vallone della
Portella e Acqua San Franco, a Nord di Corno Grande, tra la Valle dei Ginepri e il
Rifugio Franchetti, e in plaghe isolate e discordanti sul Calcare Massiccio del
sottogruppo Corno Grande-Primo Scrimone. Il materiale di riempimento di molti filoni
sedimentari è costituito materiale da mudstones ad Ammoniti (BARBERA, 1967),
correlabile per età alla Formazione della Corniola. L’estensione degli affioramenti
ricopre complessivamente un’area di circa 1 Km2.
L’intera Formazione è caratterizzata da un’associazione di facies pelagica
normale e risedimentata (sensu SANTANTONIO, 1993) definita da un’alternanza di
calcari dolomitizzati pelagici grigi e nocciola a radiolari e spicole di spugna con selce
intercalati da calcareniti fini oolitiche e grossolane in facies torbiditica e talora da lenti
ruditiche.
Le evidenze di terreno mostrano una notevole variazione degli spessori e delle
associazioni di facies nei differenti settori del Gran Sasso d’Italia, che avviene in
risposta alla strutturazione in alti e bassi strutturali del Lias inferiore.
Lungo il versante meridionale di Pizzo Cefalone la Corniola drappeggia il limite
superiore del Calcare Massiccio tramite appoggi in onlap ed è interessata da interessanti
variazioni di facies e spessore.
Figura 20 – Valle dei Ginepri, quota 1800. Corniola dolomitica con selce. Il martello è in basso a destra.
53
ADAMOLI et Alii (1978) segnalano nella sezione più orientale la presenza di una
lacuna al contatto tra il Calcare Massiccio A di piattaforma di età Sinemuriano pp. e i
calcari a radiolari e spicole di spugna Pliesbachiano pp. Nella sezione Pizzo Cefalone I,
sita 0,5 Km più a Est della precedente, gli stessi Autori riconoscono il Calcare
Massiccio B di età Sinemuriano Sup. in contatto con i termini inferiori della Corniola.
Una più completa ed esauriente descrizione del contesto tettono-stratigrafico,
desunto dai dati di rilevamento di quest’area sarà esposto nel capitolo strutturale, perché
sede di nuovi dati ed interpretazioni.
In località Valle dei Ginepri-Val Maone a quota 1700-1800 la successione è
interessata da corpi calciruditici a base discordante, che sono costituiti da litoclasti
calcarei di piattaforma di dimensioni centimetriche. SPERANZA et Alii (2002) ne
segnalano la presenza, lungo il fianco meridionale della Valle dei Ginepri in contatto
con la Faglia del Passo del Cannone. Allo sbocco occidentale della Valle dei Ginepri
nella Val Maone la Corniola, oltre ad ospitare facies di megabreccia raggiunge i
Figura 21 – Illustrazione del contesto tettono-stratigrafico in località Acqua San Franco. La porzione destra non è stata descritta completamente a causa dell’ingannevole visione prospettica. La corniola è interessata dalla tettonica sindeposizionale.
54
massimi spessori che sono di almeno 400 metri. Spostandosi a Est lungo la medesima
struttura, nella serie del Passo del
Cannone-Sella dei due Corni la
formazione è spessa solo 70 metri.
La sezione stratigrafica della
Valle dei Ginepri è caratterizzata alla
base da dolomie grigiastre e giallastre
ricchissime di intercalazioni
doloarenitiche ad ooidi e lito-
bioclastiche calcarenitiche senza selce.
Esse sono gradate e presentano
laminazione piano parallela ed
incrociata tipica delle tessiture
torbiditiche. Le litofacies torbiditiche pocanzi descritte poggiano in onlap sul Calcare
Massiccio dolomitizzato, che è dislocato in blocchi ribassati verso NNE e spaziati tra
loro alcuni metri. Esso è fratturato ed attraversato da filoni sedimentari di corniola con
giacitura subaparallela a quella delle faglie che lo disarticolano. Il limite inferiore della
Formazione, riguardante questo settore, è caratterizzato dunque da particolari contatti
stratigrafici. La serie continua con doloareniti selcifere ben stratificate.
Sulla struttura del Corno
Grande la Corniola affiora con
facies dolomitica, in plaghe
giallastre tendenzialmente
discordanti sul Calcare Massiccio
ed anche in giacitura filoniana.
Verso il top della
formazione lungo la serie della
Sella dei Due Corni la formazione
in esame affiora con una litofacies
calcareo-marnosa plumbea a strati
sottili con selce in noduli e liste. La
formazione in località Sella dei due Corni è fortemente interessata da slumps soprattutto
nei livelli medio alti.
Figura 22 – Valle dei Ginepri, quota 1700. Contesto geologico del blocco ribassato. Onlap di Corniola sul Calcare Massiccio. L’asterisco verde indica la silicizzazione. Per la leggenda si veda Fig.4.
Figura 23 – Valle dei Ginepri, quota 1750. Strato calcarenitico ad ooidi con fitta laminazione piano parallela alla base ed HKS nella porzione superiore.
55
Il limite superiore è ben esposto alla Sella dei due Corni ed è caratterizzato da
una transizione, spessa circa 10 metri, tra i calcari micritici grigio scuri e i calcari
nodulari rosati, in cui BARBERA (1967) descrisse diversi generi e specie di Ammoniti.
Alla testata Sud della Val Maone presso quota 1880 il Calcare Massiccio, che si
presenta fortemente alterato è in contatto direttamente con la Corno Piccolo Fm. Ciò
sembrerebbe marcare una inedita lacuna nella sedimentazione corrispondente
all’intervallo Sinemuriano inf.-Aaleniano pp..
In corrispondenza di Monte Aquila, come segnalato anche da ADAMOLI et Alii
(1981-82), la Corniola ha uno spessore di circa 30 metri. Dai Dati di letteratura
sembrerebbe che essa raggiunga i 400 metri a Vado di Corno, dove affiora con strati
decametrici in facies di megabrecce e olistoliti di Calcare Massiccio, caduti dal vicino
alto strutturale del Corno Grande (ADAMOLI et Alii, 1981-82). La struttura delinea
pertanto un altro blocco “tiltato” con depocentro a Vado di Corno.
56
CONTATTI STRATIGRAFICI TRA CALCARE MASSICCIO E CORNIOLA In questa sezione non si discuterà di una vera e propria successione stratigrafica,
visto che le relazioni esistenti tra roccia e roccia impongono l’utilizzo di un differente
approccio nelle aree caratterizzate da particolari evidenze di terreno. Tali zone ospitano
nel dominio umbro-marchigiano un’associazione di facies pelagica composita
SANTANTONIO (1993). Un’associazione di tal tipo è peculiare delle zone di
paleoscarpata sottomarina, ed è spesso in contatto con l’associazione di facies pelagica
normale e risedimentata e l’associazione di facies pelagica condensata (GALLUZZO &
SANTANTONIO, 1994). Tra queste solo l’associazione di facies normale e risedimentata
è chiaramente esposta sul fianco occidentale del Gran Sasso d’Italia. Sia sul sottogruppo
del Corno Grande che sul versante meridionale di Pizzo Cefalone è evidente l’azione
della tettonica liassica. In questo paragrafo saranno descritti i caratteri distintivi delle
due zone sopramenzionate. La definizione complessiva del contesto tettono-stratigrafico
sarà esposta nel capitolo strutturale.
I rapporti stratigrafici esistenti tra Calcare Massiccio e Corniola nella zona di
studio sono nella maggior parte dei casi in paraconcordanza e il passaggio stratigrafico
avviene in continuità verticale. Fanno però eccezione alcuni corpi sedimentari in
contatto inconforme sul Calcare Massiccio, che sono assimilabili per caratteri litologici
alla Formazione della Corniola ed affiorano sul versante Nord di Corno Grande ed in
prossimità della Conca degli Invalidi.
I rapporti stratigrafici e le altre caratteristiche, appartenenti alle due formazioni
liassiche in contatto tra di loro, saranno di seguito esposte.
Vi sono alcune importanti evidenze di terreno riconoscibili nell’area rilevata:
1) presenza di sferule e piccoli noduli di selce nel Calcare Massiccio;
2) presenza di plaghe più o meno continue di Corniola fortemente dolomitizzata
talora stratificata ed in contatto fortemente irregolare con il Calcare
Massiccio;
3) paleofaglie;
4) fratture con giacitura filoniana riempite di mudstones a rare Ammoniti
(BARBERA, 1967).
1. La presenza di Calcare Massiccio silicizzato al contatto con unità bacinali
selcifere è nota nella zona umbro-marchigiana e sabina (GALLUZZO & SANTANTONIO,
57
2002), ma non è mai stata riportata né cartografata dagli Autori nelle pubblicazioni
relative al Gran Sasso d’Italia.
Negli ambienti di piana tidale hettangiana non vi erano, eccetto forse casi
sporadici, condizioni tali da supportare la proliferazione di organismi silicei e dunque la
possibile messa in circolo, durante la diagenesi, di fluidi ricchi in silice. La
silicizzazione del Calcare Massiccio è legata nel domino umbro-marchigiano-sabino a
contatti inconformi con unità pelagiche selcifere. SANTANTONIO et Alii (1996) hanno
interpretato questi fenomeni come dovuti al transito di fluidi sovrassaturi di silice,
messa in gioco dalla dissoluzione di scheletri opalini (radiolari, spugne silicee), dalle
unità pelagiche al calcare di
piattaforma che da queste è
ammantato. L’elevata porosità del
Calcare Massiccio ha favorito il
pompaggio dei flussi suddetti. I
tipici siti in cui si realizzano tali
condizioni sono le scarpate
sottomarine di origine tettonica,
in cui il calcare peritidale,
sollevato in blocchi a movimento
differenziale per mezzo di faglie,
viene progressivamente ricoperto
dalle formazioni bacinali.
La selce esiste in diverse
forme:
a) sferulette di selce bianca con
diametro inferiore a cm 0.5, disposte
in maniera casuale e indipendente
dalla stratificazione;
b) “nuvolette” nei calcari, definite da
aree a parziale silicizzazione;
c) crostoni fortemente silicizzati e
ossidati.
La quantità di selce e l’ampiezza
della zona silicizzata sono direttamente
Figura 24 - Versante settentrionale di Corno Grande - noduletti e sferule di selce arancioni sull’ultima bancata di Calcare di Massiccio in prossimità del passaggio stratigrafico verticale con le plaghe di Corniola dolomitica.
Figura 25 - Tra Passo del Cannone e Sella dei due Corni, quota 2625 – Sulla superficie di contatto tra Calcare Massiccio a gasteropodi e la Corniola grigio-plumbea è presente un crostone fortemente silicizzato ed ossidato.
58
relazionate al litotipo che drappeggia i calcari peritidali, esposti in ambiente di scarpata
(GALLUZZO & SANTANTONIO, 2002). La sorgente dei fluidi silicizzanti è riconducibile
alla Corniola.
2. Sono stati cartografati
dei corpi sedimentari,
interessati da processi di
intensissima dolomitizzazione,
che hanno portato alla quasi
totale perdita della originaria
organizzazione interna agli
strati e talora tra gli stati stessi.
Questi corpi affiorano sempre
in discordanza sui sottostanti
calcari peritidali. Vi sono
alcune plaghe discordanti sul
Calcare Massiccio, riferibili alla
Corniola di facies dolomitica
con rara selce bianca, sul
versante Nord del Corno Grande tra quota 2475 e quota 2700 metri, che
complessivamente coprono un’area minima di 0,2 Km2.
3. Molte delle faglie esposte sulla struttura mesozoica sono in realtà delle paleo-
faglie perché il loro effetto strutturale raramente si estende alle formazioni che le
sigillano. La Faglia del Passo del Cannone è uno di quegli elementi strutturali che
assieme alla Faglia delle Tre Selle hanno contribuito a generare l’alto Strutturale del
Corno Grande. La Faglia del Passo del Cannone affiora, come sopra detto, lungo il
fianco meridionale della Valle dei Ginepri ed allo stesso Passo del Cannone. Poco a
Nord di questa località a quota di 2625 metri la faglia suddetta è sigillata dal contatto
stratigrafico in onlap della Corniola dolomitica, a quota e grigio-plumbea sul Calcare
Massiccio. La superficie di contatto dei calcari subtidali a gasteropodi è estremamente
silicizzata ed ossidata. La giacitura degli strati di Corniola sperimenta un’evidente
uncinatura, originata probabilmente dall’espulsione differenziale dei fluidi durante la
diagenesi.
Figura 26 - Tra Passo del Cannone e Sella dei due Corni, quota 2625 - La linea gialla marca il contatto iconforme tra Calcare Massiccio e Corniola. Gli asterischi verdi simboleggiano le aree di più intensa silicizzazione. Le altre linee ricalcano la stratificazione. Si noti l’appoggio in onlap dei sottili calcari grigio-plumbei sui calcari di piattaforma.
59
Figura 27 – Valle dei Ginepri, illustrazione contatti tettono-stratigrafici. La paleo-faglia di Passo del Cannone mette a contatto il Calcare Massiccio con la Corniola. La linea gialla segna il limite inconforme tra CM e Corniola. Le linee viola rimarcano la stratificazione dei calcari di piattaforma. Le linee blu evidenziano i limiti dei filoni di Corniola più grandi.
Figura 28 – Illustrazione del contesto tettono-stratigrafico del Versante Sud di Pizzo Cefalone. Solo la parte che ricade in carta è illustrata. Si noti la paleo-faglia diretta liassica “onlappata” da Corniola e Verde Ammonitico (V.A.).
60
4. I filoni sedimentari liassici interessano quasi tutta la struttura del Corno
Grande dal sentiero, che dal Passo delle
Scalette porta al Rifugio Franchetti, sino al
Primo Scrimone. I filoni sedimentari possono
anche essere larghi circa 1,5-2 metri ed il loro
contenuto è litologicamente riferibile alla
Formazione della Corniola e del Verde
Ammonitico. Essi sono associati ad un’intensa
fratturazione della roccia incassante.
Quest’ultima mostra spesso un’aureola di
silicizzazione, intorno ai bordi dei filoni più
grandi ed è caratterizzata da sferule di silice
con concentrazione decrescente distanziandosi
dal filone. I
bordi dei
filoni sono di sovente interessati dai clasti
calcarei provenienti delle pareti incassanti,
che sono costituite di Calcare Massiccio.
La dimensione dei filoni è caratterizzata da un certo grado di variazione di forma e
spessore.
VERDE AMMONITICO Fm. (Toarciano p.p.-Aaleniano p.p.)
Si tratta di una formazione composita, caratterizzata dalla presenza di due strati
oolitici rossastri, intercalati in calcari marnosi nodulari verdi-rossastri o giallastro-
nocciola e da marne argillose verdastre e marroncine.
CRESCENTI (1969) non prende in considerazione la presenza del Verde
Ammonitico perché non è definito, a Suo avviso da caratteristiche tali da poterlo
distinguere dalla formazione delle Corniola, all’interno della quale ne include la
porzione di successione qui descritta.
Il Verde Ammonitico è caratterizzato alla base dal passaggio transizionale con la
sottostante formazione della Corniola. I termini di transizione ben esposti ad Acqua San
Franco (Pizzo Cefalone versante sud), aventi complessivamente uno spessore di 5-10
metri, sono caratterizzati da calcari micritici con selce in noduli e liste, intercalati da
Figura 29 - Sentiero del Versante Settentrionale della Vetta occidentale di Corno Grande, quota 2725. Le linee gialle delimitano i bordi del Filone. Gli asterischi verdi le zone di più intensa silicizzazione.
61
interstrati marnoso-argillosi verdastri. Questa
litozona è inclusa all’interno della Formazione del
Verde Ammonitico. L’oolite rossa, così denominata
da BARBERA (1967), pur non essendo alla base della
formazione, ha la funzione di un ottimo strato guida.
“L’oolite rossa” è caratterizzata da un paio di
strati calcarenitici a base calciruditica, spessi circa
1.5 metri, rossastri e ben cementati, gradati e privi di
matrice. Entrambi poggiano con una superficie
erosiva, marcata da impronte di fondo come flute e
groove marks, su argille marroncine. Al tetto la
tessitura è definita da lamine piano-parallele ed
incrociate. Il materiale più fino al top ha conservato i
ripples. La preservazione di queste strutture ha dato
il verso di movimento del flusso, che era generalmente verso WNW. Ad
un’osservazione più attenta si notano ulteriori superfici inconformi all’interno dei
singoli strati e gradazioni multiple. Si tratterebbe dunque di flussi granulari alimentati
da diversi impulsi, che correvano sul pendio deposizionale dell’intervallo Toarciano-
Aaleniano.
La formazione è delimitata al tetto da una superficie inconforme. Questa ricade
al limite tra le calcareniti oolitiche a selce bianca del membro inferiore della Corno
Piccolo Fm. e i litotipi nodulari rosati “slumpizzati” e non con selce e ossidi di ferro al
top della Verde Ammonitico
Fm..
La migliore
esposizione è alla Sella dei
due Corni dove la formazione
è caratterizzata infatti da
slumps, pieghe legate
all’instabilità sedimentaria del
pendio deposizionale. Qui la
formazione affiora con uno
spessore di circa 60 metri che
Figura 30 – Versante Sud Pizzo Cefalone, quota 2040. Alternanza tra calcareniti con selce e marne verdastre. Porzione medio-alta del Verde Ammonitico.
Figura 31 - Sella dei due Corni – Impronte di fondo alla base del primo strato di “oolite rossa”.
62
aumenta fino a 80 metri verso Ovest lungo la discesa Nord della Valle dei Ginepri, poco
sopra il thrust superiore.
Lungo il sentiero che collega l’Albergo di Campo Imperatore a Monte Aquila,
intorno a quota 2200 il tetto del Verde Ammonitico è caratterizzato da pebbly-
mudstones a clasti micritici
centimetrici di color rossastro,
inseriti in una matrice a grana più
fine. Al top di alcuni di questi strati
sono presenti intervalli centimetrici
a laminazione incrociata, seguiti da
una piccola porzione micritica
nodulare ad ossidi di ferro. Questi
eventi testimoniano l’instabilità di
pendio e l’azione di processi di
trasporto di massa, seguiti da
correnti di torbida a questi
geneticamente riconducibili. La successione sembrerebbe essere localmente lacunosa.
Gli ossidi di ferro concentrati al top degli strati terminali del Verde Ammonitico e
alcuni recenti studi biostratigrafici comproverebbero, infatti, tale ipotesi.
PASSERI et Alii (2008) attribuiscono un’età Toarciano medio-superiore al tetto
del Verde Ammonitico e un’età Toarciano inferiore per i litotipi campionati alla base
della stessa. Gli Autori suppongono dunque la presenza di uno hiatus deposizionale nel
Toarciano inferiore.
Sul Corno Grande sono state cartografate piccole plaghe e filoni di Verde
Ammonitico, già rese note da GHISETTI & VEZZANI
(1990) e SPERANZA (2003). Questi dati
comprovano secondo gli Autori che l’articolazione
liassica proseguiva durante l’intervallo Toarciano-
Aaleniano.
In località Acqua San Franco si può notare
come prevalgano le litofacies marnose su quelle
calcaree. L’affioramento di Verde Ammonitico
Figura 32 - Sentiero Campo Imp.-M.Aquila, quota 2260. Pebbly-mudstone alla base con laminazione incrociata al tetto.
Figura 33 – Acqua S.Franco-Vallone della Portella, quota 2030. Tracce di Zoophycos.
63
corrisponde in gran parte ad una cengia erbosa, posta intorno a quota 2030. Qui ho
riscontrato un livello bioturbato con tracce di Zoophycos, che è facilemente seguibile
alla base della litozona marnosa della Verde Ammonitico Fm.. Lo stesso livello è stato
segnalato nella vicina sezione stratigrafica della Portella da PASSERI et Alii (2008).
Nella sezione di Pizzo Cefalone, pubblicata da CHIOCCHINI et Alii (1994) si
attribuisce alla Formazione un’età aaleniana mentre BARBERA (1967), BERNOULLI
(1967), ADAMOLI et Alii (1978) riconoscono faune appartenenti all’intervallo Toarciano
pp.-Aaleniano. Per PASSERI et Alii (2008) la formazione, studiata in prossimità della
Portella, è pienamente Toarciana. Tutti Autori sopra citati riconoscono l’equivalenza
stratigrafica con il Rosso Ammonitico umbro-marchigiano dal quale il Verde
Ammonitico si discosta per colore e abbondanza di risedimenti calcarenitici.
Lungo la via normale che conduce da Campo pericoli alla Vetta Occidentale di
Corno Grande vi è un affioramento di Verde Ammonitico in facies relativamente
condensata e mineralizzata che sembra poggiare in concordanza sulla Corniola
dolomitizzata. Esso immerge 260°·28°. Si tratta di un mudstone ricchissimo di
lamellibranchi pelagici.
Figura 34 – Via normale alla Vetta Occ., quota 2530. Superficie di strato mineralizzata su un mudstone grigio-rosato a lamellibranchi pelagici.
64
CORNO PICCOLO Fm. (Aaleniano pp.- Kimmeridgiano inf.)
La denominazione “Corno Piccolo Fm.” è adoperata per la prima volta nella
nomenclatura formazionale informale dell’area.
Precedentemente la porzione di successione qui descritta era stata chiamata
Terrratta Fm. da CRESCENTI et Alii (1967), Calcari Bioclastici Inferiori da ADAMOLI et
Alii (1978), Terratta equivalente da VAN KONIJNENBURG (1997). CALAMITA et Alii
(2004) incorporano i Calcari bioclastici inferiori di ADAMOLI (1978) e i Calcari
diasprigni detritici di PASSERI et Alii (2008) sotto la dicitura di Calcari Bioclastici
inferiori. Con lo stesso intento ma con un altro nome, GHISETTI & VEZZANI (1990)
chiamano l’insieme di queste due formazioni Calcareniti ad Entrochi. VAN
KONIJNENBURG (1997) nella figura illustrata della successione del versante sud di Pizzo
Cefalone attribuisce invece il nome di Calcareniti ad Entrochi esclusivamente per i
primi metri di calcari torbiditici a crinoidi a diretto contatto con la Terratta equivalente.
Al fine di evitare incomprensioni e fraintendimenti, il presente Lavoro propone
di attribuire a questa formazione il nome del toponimo dove meglio è esposta questa
parte di successione. La Formazione Corno Piccolo affiora diffusamente nell’unità
Corno Grande-Corno Piccolo e nell’unità intermedia ricoprendo un’area complessiva
di circa 4 Km².
In questo Lavoro è
stata adottata la
suddivisione in due membri,
descritta di recente da
PASSERI et Alii (2008). I
due membri sono separati
da una evidentissima
superficie di inconformità.
Il membro superiore è
facilmente riconoscibile per
le imponenti pareti
subverticali. I ridotti
spessori del membro
inferiore rendono difficoltosa la rappresentazione cartografica e inibiscono l’elevazione
dello stesso al rango di Formazione geologica.
Figura 35 – Sentiero di collegamento tra Campo Imp. e M. Aquila, quota 2250. Il membro inf. della Corno Piccolo Fm. affiora nella sua tipica facies laminata oolitica ben stratificata a sottili liste di selce.
65
Il membro inferiore ha spessore variabile tra 0 e 20 metri ed è contraddistinto da
strati calcarenitici oolitici grigi e grigio-nocciola spessi circa 15 cm. in facies torbiditica
con selce biancastra in liste e noduli, interessati da sottili intervalli calciruditici ed
intercalati a rari wackestones pelagici a lamellibranchi pelagici. CHIOCCHINI et Alii
(1994) riconoscono nelle calcareniti delle associazioni a foraminiferi tipiche
dell’intervallo Aaleniano-Bajociano. PASSERI et Alii (2008) datano il top del membro
inferiore al Bathoniano inferiore.
Sul sentiero che collega l’Albergo di Campo Imperatore a Monte Aquila il
membro inferiore, spesso circa 20 metri, è caratterizzato da una splendida esposizione
di calcareniti ad ooidi gradate e laminate a base erosiva con sottili liste di selce bianca.
Le lamine passano da piano parallele a incrociate. Questi corpi sembrerebbero dunque
messi in posto da correnti di torbida. Lo spessore medio degli strati è di circa 10 cm.. Il
membro inferiore ha anche qualche intercalazione calciruditica lenticolare dello
spessore massimo di 50 cm. con clasti eterometrici ben litificati. La Corno Piccolo Fm.
poggia in leggera discordanza angolare sui pebbly-mudstones ossidati a tetto nodulare
della Verde Ammonitico Fm.. PASSERI et Alii (2008) sembrano includere questi pebbly-
mudstones nel membro inferiore dei Calcari bioclastici inferiori ed attribuiscono al
Verde Ammonitico uno spessore di circa 20-30 metri. Poiché questi corpi, descritti nel
paragrafo precedente,
sono composti da
frammenti di calcari a
radiolari e spicole di
spugna non ancora ben
litificati, essi
risulterebbero alla
formazione del Verde
Ammonitico piuttosto
che a quella del Corno
Piccolo, che è invece
caratterizzata dalla
presenza di apporti
alloctoni di
piattaforma piuttosto che intrabacinali. Tale distinzione riflette l’intento di chiarire le
dinamiche di evoluzione dello slope bacinale.
Figura 36 – Sentiero di collegamento tra Campo Imp. e M.Aquila. La Corno Piccolo Fm. è delimitata al tetto e alla base da unconformities. La base delle calciruditi del membro superiore definisce un contatto erosivo con le calcareniti oolitiche del membro inferiore. Le linee bianche ricalcano la stratificazione e le superfici di amalgamazione.
66
Il membro inferiore è sovrastato da quello superiore a calciruditi bioclastiche
amalgamate mediante una superficie di inconformità, che scava al suo interno per alcuni
metri.
Il membro superiore, separato dal precedente da una evidente superficie erosiva,
costituisce scarpate, spesso inaccessibili al rilevamento diretto. Esso è costituito da
spessi strati calciruditici grigi talora ben amalgamati, contraddistinti da geometrie
subtabulari e lentiformi a base discordante. Questi sono composti da bioclasti
eterometrici arrotondati prevalentemente rappresentati da frammenti di coralli. La
componente litoclastica aumenta
progressivamente verso l’alto facendo diminuire
relativamente quella biogena. La matrice è
scarsa o assente. L’organizzazione interna
caotica suggerisce meccanismi deposizionali
tipo rock-avalanche e debris-flow. PASSERI et
Alii (2008) attribuiscono un’età Bathoniana
inferiore alla base del membro superiore e
Kimmeridgiano inf. al tetto dello stesso.
La selce si presenta in rari noduli
biancastri e sferule giallastre alla base della formazione ed è molto più frequente al
tetto. Essa si mostra con colore giallastro-arancione ed è associata ad una progressiva
diminuzione dello spessore degli strati (circa 10 cm.), che mantengono pur sempre un
elevato grado di amalgamazione. Il membro superiore costituisce infatti le scarpate più
scoscese e compatte del Gran Sasso ed è la roccia preferita degli alpinisti.
Il membro inferiore affiora bene alla Sella dei due Corni (quota 2547) dove è
caratterizzato da un pacco di strati spesso circa 10 metri composto da calcari micritici
grigi scheggiosi a selce bianca intercalati da sottili strati calcarenitici a crinoidi a grana
fine. Come si può ben notare dalla foto illustrata di Corno Piccolo la formazione
presenta corpi calciruditici a geometria tendente al tabulare in prossimità della Sella dei
due Corni.
Il limite superiore della Corno Piccolo Fm. è evidente sul terreno. Esso è
marcato sul versante Sud di Pizzo Cefalone, in prossimità del Passo della Portella dalla
brusca terminazione verticale delle litofacies calciruditiche amalgamate e dal passaggio
Figura 37 – Campo Pericoli. Esemplare di Corallo silicizzato al top del membro sup. della Corno Piccolo Fm.
67
alle calcareniti torbiditiche ad articoli di crinoide della formazione dei Calcari
Diasprigni Detritici.
A Nord di Corno Piccolo il passaggio ai Calcari Diasprigni Detritici è
caratterizzato dal brusco passaggio alle litofacies calcarenitiche stratificate con scarsa
selce dei Calcari diasprigni detritici.
La Prima e la Seconda Spalla, antivette note agli arrampicatori, sono costituite
da corpi tenacemente amalgamati a geometria lentiforme. Tale geometria è legata alla
canalizzazione dei flussi di massa. Le lenti hanno spessori complessivi pluridecametrici
e sono caratterizzate da brusche terminazioni laterali. La tipologia lentiforme prevale
spostandosi sul versante occidentale del Corno Piccolo, suggerendo lo scorrimento
preferenziale dei flussi di massa verso la Val Maone.
Lungo la parete Est di Pizzo d’Intermesoli, che costeggia il fianco sinistro della
Val Maone è esposto un particolare assetto stratigrafico, che vede il limite superiore
della Corno Piccolo Fm., sovrastato da tre diverse formazioni. Calcari Diasprigni
Detritici, Maiolica e Cefalone Fm. appoggiano in onlap sulla Corno Piccolo Fm.,
adattandosi alla paleogeografia del fondale Kimmeridgiano. Tale contatto sembrerebbe
essere generato dall’interazione tra tettonica transtensiva alto giurassica, la
modellazione dello slope e fenomeni deposizionali. Sulla porzione più meridionale
Figura 38 – Foto illustrata del contesto geologico tra la Sella dei Due Corni e il Corno Piccolo, il quale è definito da una geometria sub-tabulare ad Est e da una geometria lenticolare verso la Val Maone. La fratturazione evidenziata in rosso interessa principalmente la Crono Piccolo Fm. in quanto risponde in modo fragile al piegamento dell’anticlinale di Corno Grande-Corno Piccolo.
68
dell’affioramento della Val Maone in corrispondenza di Picco Pio XI è esposto un
secondo altofondo con appoggi stratigrafici in onlap delle stesse formazioni, sopra
menzionate. L’andamento ondulato del tetto della formazione potrebbe, infatti, essere
dovuto in buona parte alla superficie irregolare degli ultimi mass-flows, appartenenti
alla Formazione del Corno Piccolo. Non è da escludere che l’area, a seguito di una fase
deposizionale, fosse interessata successivamente da erosione sottomarina. Le faglie e le
fratture riferibili alla transtensione giurassica, infatti, terminano sull’unconformity al
tetto della Corno Piccolo Fm., vincolando parzialmente la morfologia del top della
formazione. Tale contesto tettono-stratigrafico non è mai stato descritto nelle
Pubblicazioni precedenti.
Anche la Cefalone Fm., altrimenti nota come Calciruditi a Rudiste (GHISETTI &
VEZZANI, 1990) o Calcari bioclastici superiori (ADAMOLI et Alii, 1978)), sembra
poggiare direttamente sulla Corno Piccolo Fm. Il limite è facilmente seguibile
osservandolo da lontano mentre risulta decisamente più arduo rilevarlo da vicino. Come
si può notare dalla figura illustrata l’unconformity sembra essere strettamente legata
all’attività delle faglie transtensive, che interessano la struttura e che probabilmente ne
hanno influenzato la genesi.
Tra Monte Aquila e Le Capanne l’assetto strutturale dell’area suggerisce anche
in questa zona l’attività delle faglie giurassiche è suggerita dall’assetto strutturale
dell’area.
L’aumento dell’apporto in bacino sembra essere legato a una importante fase di
basso stazionamento del livello del mare, che avrebbe comportato l’emersione e lo
smantellamento dei margini di piattaforma e dunque il trasporto e l’elaborazione di
clasti ben litificati. Il prodotto di questo evento è rappresentato dall’ingente aumento di
risedimenti bioclastici sullo slope bacinale.
La caratteristica principale di questa formazione è infatti l’estrema variabilità
degli spessori. Essi cambiano costantemente definendo, come sopra descritto, una
paleogeografia molto articolata, che vincola fortemente la distribuzione dei Calcari
Diasprigni Detritici.
Lungo la parete orientale del Pizzo d’Intermesoli la Corno Piccolo Fm., che
affiora senza il membro inferiore, ha uno spessore variabile tra 400 e 600 metri ed
appoggia, in prossimità della Faglia delle Tre Selle, direttamente sul Calcare Massiccio.
69
Poco a Nord la formazione varia di spessore lateralmente passando in poco più
di 1 Km dai 150 metri di Acqua San Franco ai 100 metri del Vallone della Portella. Lo
spessore complessivo aumenta nuovamente verso ovest misurando 170 metri circa sulla
sezione, che passa per il sentiero di collegamento tra Campo Imperatore e Monte
Aquila. È interessante notare come vari sia lo spessore complessivo della Formazione
sia il rapporto di potenza tra il membro superiore e quello superiore. Quest’ultimo è,
infatti, inversamente proporzionale, perché all’aumentare dello spessore del membro
inferiore diminuisce quello del resto della Formazione e viceversa. Vi è un generale
approfondimento della potenza formazionale verso il depocentro del bacino, cioè verso
la Val Maone, interrotto solo dall’alto strutturale liassico del Corno Grande-Primo
Scrimone. A Sud di quest’elemento lo spessore della Corno Piccolo Fm. passa dai 130
metri di Acqua San Franco ai 200 circa, misurati in prossimità del Rifugio Garibaldi.
Lungo la Val Maone si raggiunge la massima potenza, che è di circa 500 metri, mentre
al Corno Piccolo raggiunge i 370 metri circa, in quanto la distribuzione dei mass-flows
risente ancora parzialmente delle strutture liassiche, che identificavano, come già visto,
un alto strutturale articolato e persistente già nel Sinemuriano.
CALCARI DIASPRIGNI DETRITICI Fm. (Kimmeridgiano pp.- Titonico inf.)
La Formazione è
costituita da strati
calcarenitici grigi
disprigni a tessitura
torbiditica ricchi di
articoli di crinoide alla
base, cha affiorano
diffusamente nell’area
di Campo Pericoli,
lungo il versante Sud di
Pizzo Cefalone, a Nord
di Corno Piccolo e sul
versante Est di Pizzo d’Intermesoli, ricoprendo una superficie di circa 1.5 Km².
Alla base e al tetto della Formazione vi sono intercalazioni calciruditiche a base
discordante e geometria lenticolare e rare intercalazioni calcilutitiche. La selce, presente
Figura 39 – Sentiero di collegamento Campo Imp.-M.Aquila, quota 2300. La silicizzazione è chiaramente post-deposizionale
70
in liste e noduli, è abbondantissima ed ha una colorazione bianco-giallastra
inconfondibile. Le tessiture torbiditiche sono ben preservate ed evidenziate dalla
silicizzazione, che ha rimpiazzato durante la diagenesi, il carbonato di calcio con la
silice, dimostrando così di non essere legata a deposizione primaria.
I Calcari Diasprigni Detritici, come ricordato in PASSERI et Alii (2008), sono
stati già descritti da CRESCENTI et Alii (1969) e da DI NOCERA (1973) sotto il nome di
Scisti ad Aptici ma sono stati ignorati nelle più recenti cartografie geologiche. GHISETTI
& VEZZANI (1990) adoperavano Calcareniti ad Entrochi includendo sia la Corno Piccolo
Fm. che la porzione di successione qui in studio. VAN KONIJNENBURG (1997), come
anticipato nella descrizione della Corno Piccolo Fm., considera Calcari ad Entrochi solo
i primi metri direttamente a contatto con la formazione sottostante. Evitando diciture
come Maiolica Detritica che potrebbe essere confusa con la Maiolica Fm. si preferisce
qui utilizzare il nome di Calcari Diasprigni Detritici di CENTAMORE et Alii (2003),
recentemente utilizzato da PASSERI
at Alii (2008).
Il limite inferiore dei Calcari
Diasprigni Detritici è marcato da
una discordanza angolare,
evidentissima in molte località
come Passo della Portella, Duca
degli Abruzzi versante Sud e Nord,
versante Sud di Pizzo Cefalone,
parete Nord Corno Piccolo ed è
solitamente associato alla comparsa
della selce.
In quest’ultima località il
limite inferiore è netto ed è marcato da una più sottile stratificazione (5-15 cm.) di
packstones a crinoidi intercalati a rari corpi calciruditici a base in conforme e a gemetria
canalizzata. I clasti di queste brecce sono costituiti da coralli in frammenti arrotondati e
grainstones calcarenitici grigio chiari. La selce è insolitamente abbastanza rara. Sul
sentiero di collegamento tra Campo Imperatore e Monte Aquila sono presenti slumps
vergenti a NW.
Figura 40 – Fianco SE di P.zzo Cefalone in prossimità de La Portella, quota 2200. Contesto Geologico commentato. Si noti l’onlap dei Calcari diasprigni detritici sulla fisiografia tormentata al top della Corno Piccolo Fm.
71
Il limite superiore è definito da un breve passaggio transizionale (10-15 metri) ai
mudstones pelagici con selce violacea a noduli della Maiolica Fm.. Lo spessore
complessivo dei Calcari Diasprigni Detritici aumenta dai 40-50 metri misurati poco a
Ovest del Passo delle Scalette (quota 2100) ai 90-100 metri a Nord della Seconda
Spalla.
I Calcari Diasprigni Detritici hanno spessori variabili in funzione della
fisiografia ereditata e della capacità di dispersione dei flussi che hanno interessato
l’area, configurando lo slope di raccordo tra bacino e piattaforma. Nell’area della
Portella la formazione raggiunge spessori medi di 120-140 metri ed è caratterizzata alla
base da due orizzonti calciruditici continui a geometria subtabulare spessi circa 1.5
metri con frammenti di Ellipsactinia. PASSERI et Alii (2008) segnalano un livello a
Saccocoma nella parte intermedia e un livello Titonico inferiore calcilutitico a
nannoplankton nella parte più alta della formazione.
Tra Campo Pericoli e le Capanne i Calcari Diasprigni Detritici misurano circa
110-120 metri e sono coperti di sovente dalle coltri moreniche tardo pleistoceniche.
Lungo il ripidissimo versante orientale del Pizzo d’Intermesoli i Calcari
Diasprigni Detritici e la Maiolica Fm. appoggiano in onlap sulla Corno Piccolo Fm
intorno a quota 2265. In questa località lo spessore della Calcari Diasprigni Detritici è al
limite della cartografabilità, essendo di circa 15 metri. Più a Nord entrambe le
Formazioni sembrano sparire rivelando un’importante lacuna stratigrafica medio-alto
giurassica, probabilmente associata al basso stazionamento del livello marino e
all’attività tettonica transtensiva.
MAIOLICA Fm. (Titonico sup.- Barremiano Sup.)
La Maiolica Fm. è caratteristicamente rappresentata da litotipi calcilutitici
bianchi o grigio chiari a frattura concoide con selce violacea o biancastra in noduli. La
stratificazione è regolare (20-30 cm) ed è talora eccezionalmente interrotta da corpi
calciruditici lenticolari massivi spessi pochi metri. Le calcilutiti sono dei mudstones a
radiolari ricchi alla base in calpionellidi e con rari Aptici (PASSERI et Alii, 2008; VAN
KONIJNENBURG, 1997).
72
L’estensione degli
affioramenti ricopre un’area
complessiva poco più grande di 0.5
Km². Le migliori esposizioni sono
lungo il versante Sud di Pizzo
Cefalone, in località Le Capanne
(quota 1957), e al footwall del
thrust superiore sul fianco
occidentale della Val Maone.
La Maiolica affiora inoltre
sulla parete Est del Pizzo
d’Intermesoli dove, appoggia in onlap assieme ai Calcari Diasprigni Detritici sulla
Corno Piccolo Fm. Lo spessore della Maiolica Fm in questa località nella porzione più
esterna, prossima alla Faglia delle Tre Selle, è inferiore a 50 metri. In questa località
l’osservazione diretta è molto rischiosa a causa delle irte scarpate della Val Maone.
Il limite inferiore è segnato sul versante Sud di Pizzo Cefalone da una rapida
transizione a giacitura conforme dalle calcareniti torbiditiche bioclastiche dei Calcari
Diasprigni Detritici ai calcari pelagici della Maiolica. La successione è dominata da una
monotona successione di calcari pelagici. Al top della successione affiorano sottili
intercalazioni di marne e calcari marnosi scuri, litologicamente simili alle Marne a
Fucoidi della Serie Umbro-Marchigiana, la cui età è riferita in letteratura all’Aptiano
inf.-Albiano superiore. Secondo i dati microbiostratigrafici di VAN KONIJNENBURG
(1997) tali litotipi, affioranti alla base della piramide di Pizzo Cefalone (quota 2475),
sono di età Barremiano inf.. Comune è la presenza di stiloliti sub-parallele alla
stratificazione.
C’è un piccola differenza interpretativa del posizionamento del limite inferiore
della Maiolica rispetto al lavoro di VAN KONIJNENBURG (1997), il Quale concentrava la
Sua attenzione sui termini appartenenti all’intervallo Cretaceo inferiore-Terziario
inferiore. Egli trascurò, infatti, lo studio del limite inferiore della Maiolica Fm., che
ricade nel Giurassico superiore. VAN KONIJNENBURG (1997) riporta perciò spessori della
Maiolica variabili tra 260 e 300 metri, che sono decisamente maggiori di quelli
osservati in campagna. Il posizionamento del limite inferiore adottato in questo Lavoro
Figura 41 – Maiolica ben stratificata alla base di Pizzo Cefalone, quota 2370.
73
è posto in corrispondenza del rapido passaggio transizionale da una formazione ricca di
risedimenti (Calcari Diasprigni Detritici) ad una più schiettamente pelagica (Maiolica).
Il limite superiore è marcato da una netta superficie di inconformità, facilmente
riconoscibile in tutta l’area con la sovrastante Pizzo Cefalone Fm.. Il contatto è infatti
fortemente erosivo.
Dai dati di rilevamento ricavati sul versante sud di Pizzo Cefalone la Maiolica
Fm. ha uno spessore di circa 200 metri. In prossimità de “Le Capanne” a quota 1950 sul
sentiero, che dal Rifugio Garibaldi conduce alla Val Maone, gli spessori si riducono a
70 metri circa.
La Maiolica è presente anche a Campo Pericoli in un particolare affioramento
alla base meridionale della collina di quota 2244. Questa località è sede di particolari
contatti stratigrafici. Il limite inferiore poggia in continuità stratigrafica con i Calcari
Diasprigni Detritici sottostanti. Lo spessore complessivo non supera i 20-25 metri. La
formazione è qui caratterizzata da calcilutiti bianche a calpionellidi ricche in noduli di
ossidi di ferro grandi fino a 2-3 mm circa e stiloliti con selce bianca in noduli. La
stratificazione, che è nell’ordine del decimetro, ha giacitura sub-concordante con quella
della Formazione sottostante. Il colore di queste calcilutiti tende all’arancione. Non
mancano tessiture fluidali e brecciate, sub verticali e a direzione circa meridiana,
associate all’attività tettonica sin- o di poco post-deposizionale. La loro presenza
potrebbe essere associata all’esistenza di filoni intraformazionali. Il limite superiore è
sede di un’importante lacuna stratigrafica, estesa dal Cretaceo basale all’Oligocene
medio. Essa è interrotta da uno spessore di calcareniti e calciruditi cretaciche di circa 2
metri, sovrastate da calciruditi e marne a Nummuliti mal stratificate e fortemente
discordanti.
VAN KONIJNENBURG (1997) distingue nella Maiolica due tipi di brecce
intercalate alle pelagiti: Brecce intraclastiche e clastosostenute; Brecce bioclastiche a
gusci silicizzati. Quest’ultime sono spesse da 5 a 20 metri ed hanno un’estensione
laterale variabile tra 60 e 600 metri con terminazioni laterali nette a base erosiva. La
tessitura è gradata ed è variabile da grano- a fango-sostenuto di piattaforma. Sia i
litoclasti che i bioclasti, composti da rudiste giurassiche e altri frammenti di molluschi,
hanno origine dai margini della piattaforma.
74
Le brecce intraclastiche, che sono pebbly-mudstones a clasti intrabacinali di
Maiolica, sono presenti nella parte alta della formazione. Esse hanno uno spessore
minore di 30 cm, sono discontinui e la loro continuità laterale varia tra 1 e 5 metri.
Lungo la sezione del Rio Arno le intercalazioni calciruditiche e calcarenitiche
sono praticamente assenti.
La Maiolica è presente anche a Campo Pericoli sulla collina di quota 2244. La
descrizione dell’affioramento, sede di particolari contatti stratigrafici, è all’interno della
spiegazione
geologico
strutturale
dell’area
orientale.
CEFALONE Fm. (Albiano medio- Cenomaniano Sup.)
La Formazione Cefalone è costituita da una gran varietà di corpi risedimentati
VAN KONIJNENBURG (1997). Questi si presentano sotto forma di brecce e calcareniti
torbiditiche a composizione da bioclastica a litoclastica, intercalate a rare calcilutiti
marnose pelagiche e discontinue.
La Formazione ricopre un’area complessiva di circa 3.5 Km² ed affiora sul
versante meridionale ed orientale (Conca del Sambuco) del Pizzo d’Intermesoli,
Figura 42 – Campo Pericoli, collina di quota 224. Breccia al top della Maiolica.
75
all’ingresso Sud della Valle Venacquaro, sulle pareti della Val Maone in prossimità
delle Sorgenti del Rio Arno, lungo la parte più bassa della Valle della Funivia, poco a
Sud del Duca degli Abruzzi, e tra Le Capanne e la Vetta di Pizzo Cefalone. In
quest’ultima località essa mostra la sua sezione tipo.
La Formazione Cefalone è tra quelle che hanno sperimentato la massima fantasia
nomenclaturale degli Autori. CRESCENTI et
Alii (1969) chiamavano Formazione Monte
Acquaviva la porzione inferiore
dell’intervallo qui descritto. Per GHISETTI
& VEZZANI (1990) sono “Calciruditi a
Rudiste” mentre per ADAMOLI (1992) e
CALAMITA et Alii (2004) sono “Calcari
Bioclastici Superiori”. VAN KONIJNENBURG
(1997) rinomina in chiave toponomastica la
porzione di successione compresa tra le
calcilutiti pelagiche a calpionellidi della
Maiolica e quelle a Globotruncanidi e planomalinidi della Scaglia Bianca.
La Cefalone Fm. varia costantemente di spessore in funzione della fisiografia del
fondale, della tettonica distensiva intra-cretacea e della direzione di smistamento dei
flussi detritici, provenienti dai vicini margini di piattaforma.
Il miglior sito di studio della Formazione è in corrispondenza del Pizzo
Cefalone, dove raggiunge uno spessore complessivo di circa 250 metri. A Nord e ad Est
della località tipo lo spessore tende ad aumentare sensibilmente fino a 350 metri
rispettivamente in prossimità
della zona dei Tre Valloni e sul
versante meridionale
dell’Intermesoli. In prossimità
della zona Conca del Sambuco-
Picco Pio XI raggiunge infatti la
potenza formazionale di 350
metri circa al di sopra del thrust
superiore. Lo spessore non supera
i 220 al footwall dello stesso, in
Figura 43 – Pizzo Cefalone, versante Sud quota 2375. Breccia basale in contatto erosivo su calciluti bianche Maiolica e marne scure assimilabili alle Marne a Fucoidi.
Figura 44 – Pizzo Cefalone sentiero Sud, quota 2475. Calcirudite a Rudiste.
76
riva destra del Rio Arno. La mappatura delle isopache sembra dunque suggerire un
progressivo approfondimento verso NE dello slope di raccordo al bacino, che nelle
porzioni più esterne garantiva la deposizione con tendenza progradante della gran parte
dei risedimenti.
Il limite inferiore permette la sovrapposizione dei termini dell’Albiano medio
della Cefalone Fm. sulle calcilutiti di età Barremiano inferiore della Maiolica. La natura
del contatto è fortemente erosiva e scava per alcuni metri all’interno della Formazione
sottostante. VAN KONIJNENBURG (1997) suppone che la troncatura erosiva giustifichi lo
hiatus temporale, che si estende dal Barremiano superiore all’Albiano medio, registrato
in corrispondenza del limite inferiore.
La formazione è stata suddivisa da VAN KONIJNENBURG (1997) in tre parti
caratterizzate da diverse associazioni di facies.
La porzione inferiore in località Pizzo Cefalone, che è spessa circa 30-40 metri,
è costituita da calciruditi molto grossolane a base discordante e geometria da lenticolare
a subtabulare e da scivolamenti (glides). Sebbene lo spessore degli strati raggiunge
anche i 15 metri, la loro estensione laterale è inferiore a 700 metri, impedendo la
correlazione degli stessi tra le diverse sezioni stratigrafiche VAN KONIJNENBURG (1997).
Le brecce che sono relativamente ricche in matrice ma tendenti al grano-sostenuto
hanno sempre una base erosiva e sono costituite da elementi alloctoni biogeni,
Figura 45 – Foto Panoramica di Pizzo Cefalone. La porzione inferiore, che poggia in discordanza sulla Maiolica è caratterizzata da evidenti glides e megabrecce.
77
provenienti dai margini di piattaforma (frammenti di rudiste e coralli), mentre quelle
fango sostenute tendono ad amalgamarsi maggiormente. La matrice è un packstone
bioclastico ricco di Orbitolinidi (VAN KONIJNENBURG, 1997). La tessitura di questi corpi
lentiformi è tendenzialmente caotica alla base. Al top di alcuni di questi strati si può
notare anche una certa gradazione e laminazione parallela. I bioclasti delle calciruditi di
questo intervallo sono fortemente silicizzate in prossimità del footwall del Thrust
superiore sulla parete occidentale della Val Maone.
Nella porzione intermedia le brecce tendono a sparire e gli strati di packstones
diminuiscono di spessore e la granulometria dei clasti si fa più minuta. Sul sentiero che
sale il Pizzo Cefalone gli strati calciruditici a rudiste e calcarentici della porzione
intermedia poggiano con contatto angolare sulle brecce basali amalgamate.
Verso il tetto della Formazione affiorano prevalentemente strati torbiditici. Nel
complesso si riconosce una tendenza Fining Upward & Thining Upward (VAN
KONIJNENBURG, 1997), che dimostrerebbe un arretramento progressivo del sistema di
alimentazione carbonatico.
Il limite superiore con la Formazione Scaglia Bianca è definito da una rapida
transizione gradazionale dalle calcareniti torbiditiche ai wackestones pelagici della
Scaglia Bianca. Il limite è ben osservabile in prossimità delle sorgenti del Rio Arno
sulla parete del sottogruppo del Pizzo d’Intermesoli.
SCAGLIA BIANCA Fm. (Cenomaniano Sup.-Campaniano inf./Maastrichtiano
inf.)
La Scaglia Bianca Fm. è
composta da una successione
continua di calcilutiti pelagiche
bianco-giallastre con tessitura
mudstone e wackestone a
mircoforaminiferi planctonici con
selce in noduli e liste e.
La Formazione è ben esposta
alle Sorgenti del Rio Arno, ed affiora
in vetta e sul fianco occidentale del Figura 46 – Cresta di collegamento tra Pizzo Cefalone e Pizzo d’Intermesoli, quota 2330. Si noti la fitta stratificazione delle calcilutite binche e rosate della Scaglia Bianca.
78
Pizzo d’Intermesoli, sul fianco orientale di Monte Corvo, a Nord di Pizzo Cefalone,
sulle Malecoste e sul sentiero che segue la Funivia in località Vena Rossa, ricoprendo
complessivamente un’area di circa 1 Km².
GHISETTI & VEZZANI (1990) hanno utilizzato il nome di Scaglia per tutte le
facies pelagiche della Scaglia Bianca Fm., Monte Corvo Fm. e parte della Formazione
di Fonte Gelata di VAN KONIJNENBURG (1997). Gli Autori hanno tentato di preservare di
preservare la nomenclatura tradizionale della serie umbro-marchigiana, applicandola in
un contesto stratigrafico-strutturale, nel quale era necessario affrontare una più attenta
analisi stratigrafico-sequenziale, al fine di definire le superfici correlabili. VAN
KONIJNENBURG (1997) attribuisce il nome di Scaglia Bianca all’unica porzione di
successione del Gran Sasso d’Italia che non ha risedimenti al suo interno ed è dominata
da pelagiti di base-of-slope, sebbene nella Letteratura geologica la Scaglia Bianca abbia
nel dominio umbro-marchigiano una collocazione temporale ristretta all’intervallo
Cenomaniano medio-Turoniano inferiore.
Il limite inferiore è marcato, come poc’anzi descritto, dall’ultimo significativo
strato torbiditico (>1 m.) della sottile transizione con la Cefalone Fm. La transizione
prende luogo all’interno della Biozona a Rotalipora cushmani del Cenomaniano sup.
VAN KONIJNENBURG (1997). Tale contatto non è facilmente seguibile orizzontalmente
perché nascosto dal detrito lungo la Valle Venacquaro e lungo la parete orientale della
cresta di collegamento Pizzo Cefalone-Sella dei Grilli. Nelle porzioni inferiori potrebbe
essere presente il livello anossico Bonarelli.
Il limite superiore è marcato da una transizione molto rapida ai packstones
calcarenitici della Formazione di Monte Corvo. Come riportato da VAN KONIJNENBURG
(1997), Tale limite è diacrono nel tempo e segna il termine della semplice deposizione
pelagica a favore della ripresa di quella torbiditica. Questo evento avviene in tempi
diversi. Nelle zone più occidentali il top è datato al Maastrichtiano inf., mentre in quelle
centrali ed orientali esso ha un’età ascrivibile al Campaniano inferiore. In carta il limite
superiore è stato spesso marcato da un’eteropia laterale. Gli ultimi dieci metri della
Scaglia Bianca Fm., infatti, sono interessati da sottili intercalazioni di strati torbiditici,
isolati e non amalgamati, composti di elementi alloctoni di piattaforma. Questi sono
rappresentati prevalentemente da frammenti di rudiste.
La Formazione è caratterizzata da una fitta stratificazione e localmente da
slumpings e strati finemente gradati. L’origine di quest’ultimi è da ricondursi alle
79
correnti conturitiche. La Scaglia Bianca sperimenta una notevole variazione degli
spessori formazionali. Essa ha infatti una potenza di circa 220 metri sulla cresta di
collegamento tra Pizzo Cefalone e la Sella dei Grilli, mentre non raggiunge i 90 metri
circa sulla vetta dell’Intermesoli. Per VAN KONIJNENBURG et Alii (1999) tali differenze
sono attribuibili alla presenza degli scivolamenti gravitativi ed all’azione, inibitrice
della sedimentazione pelagica, esercitata delle correnti conturitiche. A tali fenomeni
potrebbe affiancarsi l’effetto della tettonica sin-sedimentaria, evidente nel Settore Sud.
MONTE CORVO Fm. (Campaniano inf./Maastrichtiano inf.- Daniano Inf.)
La Formazione è costituita da una successione ritmica di strati torbiditici
calcarenitici bianco-beidge e rosati a tessitura packstone-grainstone, soventemente
amalgamati, spessi da 20 a 100 cm. e da brecce, intercalati a mudstone-wackestone,
pelagici rosati e biancastri con selce rosata o rossastra, raramente giallastra.
Gli affioramenti sono distribuiti tra la Valle Venacquaro e i Prati di Tivo, dove
costituisce parte della Vetta settentrionale d’Intermesoli (2483 metri s.l.m.). Essa è
presente inoltre sul contrafforte di collegamento tra Pizzo Cefalone e la Sella dei Grilli a
Est del Venacquaro, sul sentiero che costeggia la Funivia Fonte Cerreto-Campo
Imperatore e a Nord di Celluccio.
La superficie complessiva coperta della Monte Corvo Fm. è di circa 2.5 Km².
Figura 47 - Fianco occidentale del Pizzo d’Intermesoli alla Valle Venacquaro. Il Sud è a destra. La parete è alta circa 40 metri. Si può ben notare l’appoggio in onlap delle calcareniti e calciruditi della Monte Corvo Fm. sulle calcilutiti esposte sulla parete, che è costituita dalla porzione superiore di Scaglia Bianca.
80
CRESCENTI et Alii (1969) considerano la Monte Corvo Fm. parte (Membro
Orfento) della Formazione Monteacquaviva. Anche se l’intervallo temporale coincide,
l’architettura interna delle facies e le caratteristiche sedimentologiche differiscono di
molto rispetto a quelle dell’area tipo, che è sita sulla Majella.
Come tutte le Formazioni del Gran Sasso d’Italia anche questa è caratterizzata
da notevoli variazioni di potenza. Dallo studio degli spessori si può descrivere una
paleogeografia abbastanza articolata. La potenza formazionale registra le misure
minime fuori carta a Pizzo Camarda (54 metri), e si approfondisce in località Rio Arno
(222 metri) fino a diminuire nuovamente nella zona della Funivia, dove misura circa
100 metri e dell’Acquare della Formica (150 metri).
VAN KONIJNENBURG (1997) nota che laddove lo spessore della Monte Corvo Fm.
è maggiore, il limite inferiore è più antico (Campaniano inf.).
I corpi risedimentati mostrano geometrie lenticolari ed evidenti segni di
canalizzazione ed amalgamazione. VAN KONIJNENBURG (1997) riconosce una serie di
discontinuità stratigrafiche associate a questi corpi, che talora sono sovrapposti tra loro
con geometrie di onlap e offap.
La Formazione ospita il limite K/T, attraverso il quale si registra il passaggio tra
l’associazione faunistica a microforaminiferi planctonici tardo maastrichtiana con
Globotruncanita stuarti, G. angulata e G. conica, e le faune del Daniano basale a
Globigerina eugubina e Heterohelix globuolosa VAN KONIJNENBURG (1997).
Quest’ultimo livello affiora esclusivamente tra la Valle Venacquaro e Rio Arno in
facies prevalentemente pelagiche. Quando presente, questo risulta parzialmente eroso
dal contatto con le brecce paleoceniche della Fonte Gelata Fm.. Il limite superiore è
facilmente seguibile in riva destra del Rio Arno, in quanto marcato dal forte contrasto
litologico pocanzi descritto.
L’ambiente deposizionale, in cui si depositano i terreni ascrivibili a questa
formazione, è tipico di un sistema di conoide torbiditica, caratterizzato da un complesso
a canali ed argini. Questo modello spiega le forti variazioni di spessore formazionale
verso NW, cioè nella direzione di approfondimento del bacino. L’incremento di depositi
da debris-flow nella parte centrale così come la diacronia del limite inferiore, potrebbero
essere spiegati dalla progradazione del sistema precedentemente definito. Tale evento
segue la stasi dei fenomeni di risedimentatazione, caratterizzante la Scaglia Bianca, ed
avviene in concomitanza della nuova progradazione dei margini di piattaforma. Tale
81
evento rende disponibile nuovo materiale al rimaneggiamento sottomarino delle correnti
di torbida, principali alimentatrici del sistema di base-of-slope alto cretacico. L’attività
tettonica sembra essere stata praticamente nulla su tutto il Fianco occidentale del Gran
Sasso d’Italia, durante l’intervallo di tempo coperto della Monte Corvo Fm..
FONTE GELATA Fm. (Thanetiano inf.- Bartoniano sup/Priaboniano Inf.)
La Formazione Fonte Gelata racchiude quasi tutti i terreni paleocenici ed
eocenici del Gran Sasso (VAN KONIJNENBURG, 1997).
Si tratta di una formazione composta da una porzione inferiore paleocenica,
caratterizzata alla base da un potente strato di breccia litoclastica e da una porzione
superiore eocenica, costituita da una diversa composizione lito-bio-clastica e di
associazione tridimensionale delle facies. Talora la Fonte Gelata Fm. è interessata
localmente da intensi fenomeni di silicizzazione.
La Formazione affiora tra la Sella dei Grilli e il Venacquaro, a Nord di
Celluccio, e tra la Val Maone e Fonte Gelata (quota 1633), costituendo il Picco dei
Caprai (1947 m. s.l.m.) e la Vetta settentrionale d’Intermesoli (2341 m. s.l.m.). L’area
occupata supera 1 Km².
Molti Autori (RENZ,
1936; SCARSELLA, 1957;
ZAMPARELLI, 1966;
CRESCENTI 1969; GHISETTI
& VEZZANI, 1990;
CALAMITA et Alii2004), che
hanno segnalato la presenza
di terreni Paleogenici
nell’area del Gran Sasso,
hanno chiamato in vario
modo le formazioni
paleogeniche, senza mai
trovare un’unanime
collocazione dei limiti stratigrafici. Probabilmente la presenza di lacune ed
unconformities potrebbe essere la causa principale delle diverse interpretazioni.
Figura 48 – Sentiero Val Maone-Sella dei Grilli, quota 2100. Unconformity intraformazionale. Le calciruditi del membro superiore ben stratificate sono spesse mediamente 25-30 cm.
82
Tre importanti discontinuità stratigrafiche interessano la Fonte Gelata Fm.
Il limite inferiore, che è la più bassa di queste discontinuità, è un contatto
decisamente erosivo con le sottostanti pelagiti a planctonici e le calcareniti
Maastrichtiano inf.-Daniano inf. della Formazione Monte Corvo e corrisponde secondo
a VAN KONIJNENBURG (1997) ad una lacuna stratigrafica paleocenica estesa dal Daniano
basale al Thanetiano inferiore.
La porzione paleocenica della Formazione è definita alla base da uno strato
calciruditico rosato di spessore variabile da 2 a 25 metri, costituito da clasti eterometrici
e polimittici con scarsa matrice paleocenica VAN KONIJNENBURG (1997). La tessitura
varia da caotica a gradata. I clasti provengono dalla rielaborazione dei margini di
piattaforma, anche cretacei, e dello slope stesso. La calcirudite basale è sovrastata da
brecce a geometria canalizzata e base erosiva, spesse ognuna da 1 a 4 metri, il cui
meccanismo di messa in posto è stato interpretato da debris-flow (VAN KONIJNENBURG,
1997). Alla Sella dei Grilli si può notare una evidente unconformity a basso angolo tra
la calcirudite basale e le brecce sovrastanti. Altre inconformità angolari vi sono tra gli
strati sovrastanti, senza che nessuna evidente discontinuità nella sedimentazione si
possa ricondurre a tali contatti. Intercalati a questi corpi risedimentati, vi sono le tipiche
pelagiti rosate mudstone-wackestone a foraminiferi planctonici in facies di scaglia ben
stratificate, spesse da pochi centimetri a 30 cm. VAN KONIJNENBURG (1997) ha eseguito
una importante indagine biostratigrafica sui foraminiferi planctonici e sui bentonici
della porzione inferiore. I planctonici, che incorrono abbondanti nelle pelagiti mentre i
bentonici formano un importante costituente dei depositi risedimentati. L’associazione
bentonica è costituita da Discocyclina sp., Alveolina spp. e Rotaliidae, associati a
Operculina sp., Ammonia sp.. Nummulites spp. e Heterostegina spp, Quest’associazione
appare per la prima volta nella parte alta della porzione inferiore.
Le importanti analisi biostratigrafiche di DELA PIERRE (1992) e VAN
KONIJNENBURG (1997) documentano un’importante lacuna stratigrafica riferibile alle
biozone comprese tra la P6b e la P8. Sebbene lo hiatus sia stato identificato chiaramente
sull’intera area, esso non ha una chiara espressione litologica o sedimentologica. I
depositi sottostanti tale discontinuità non possono essere distinti litologicamente da
quelli sovrastanti. Per tale motivo VAN KONIJNENBURG (1997) ha deciso di includere
entrambe le serie in un’unica formazione, la Fonte Gelata Fm.
83
La porzione superiore affiora, come sopra mensionato, con litofacies del tutto
simili a quelle della porzione inferiore, pur presentando un contenuto in litoclasti e in
foraminiferi diverso. I clasti sono ben smussati, hanno dimensioni variabili tra 2 e 20
cm e sono: grainstones a Miliolidae e packstones bioclatici di piattaforma, alghe rosse e
wackestones pelagici di slope. Il materiale bioclastico ha dimensioni che variano tra 0.3
e 4 mm ed è costituito da echinodermi, coralli, briozoi e da una gran quantità di
foraminiferi bentonici grandi, tra i quali vi sono Nummulites spp., Dyscoclina sp.,
Rotaliidae, Operculina sp., Heterostegina sp., Assilina. sp., Miliolidae, Amphistegina ed
altri.
Il limite superiore della porzione superiore e dunque della Formazione Fonte
Gelata è un contatto netto in paraconcordanza con i calcari marnoso-pelagici
wackestone/packstone medio oligocenici della Formazione Venacquaro. Tale passaggio
formazionale segna la terza importante superficie di inconformità associata alla Fonte
Gelata Fm..
Lo spessore complessivo della Fonte Gelata Fm. varia tra 50 e 370 metri,
evidenziando un’attività di strutturazione distensiva intraformazionale, localizzata tra il
Venacquaro e la Sella dei Grilli ed in località Tre Valloni. La conca del Venacquaro
sperimenta durante il Paleogene l’approfondimento differenziale del blocco a meridione
della Faglia delle Tre Selle. Questo fenomeno persisterà interessando anche la storia
carbonatica miocenica, evidenziando un’attività sin-sedimentaria, che vincolerà gli
spessori complessivi delle formazioni sovrastanti e la complessa distribuzione delle
facies calciruditiche.
VENACQUARO Fm. (Rupelliano sup.- Chattiano Sup.)
La Venacquaro Fm. è definita alla base da calcari marnosi emipelagici
verdastro-cinerei e violacei, intercalati da calcareniti grigie o verdestre
grainstone/packstone a geometria tabulare, ricche in Lepidocyclina spp. Gli
affioramenti sono distribuiti nel settore settentrionale tra Fonte Gelata, le Cascate del
Rio Arno e Prati di Tivo, tra la Sella dei Grilli e il Venacquaro, a Fonte Pratoriscio e a
Ovest de Le Chiuse. L’estensione areale complessiva è di circa 0.5 Km². La Venacquaro
Fm. svolge un particolare ruolo nell’idrogeologia del Massiccio del Gran Sasso in
quanto ha la funzione di ritardare l’infiltrazione dei fluidi e permette spesso la
84
risorgenza delle acque, appartenenti a piccole falde sospese. Tale fenomeno ne favorisce
l’individuazione sul terreno.
Lo hiatus deposizionale, associato al limite inferiore della Formazione, copre un
intervallo Bartoniano sup./Priaboniano sup.–Oligocene medio ed è espresso sul terreno
da una paraconformity. Tale limite non mostra caratteri erosivi o i crostoni ferro-
manganesiferi tipici degli hardgrounds, come invece segnalato da DELA PIERRE &
CLARI (1994) per lo stesso livello stratigrafico, esposto al Passo delle Capannelle. In
località Forchetta della Falasca, che è sita poco ad Ovest del bordo occidentale della
Carta, ho trovato un dente di squalo, incastonato su una superficie di strato di un blocco
caduto, riferibile alla Venacquaro Fm. Gli stessi Autori riconoscevano a Nord di Monte
Corvo una superficie erosiva, associata alle base delle calcareniti medio oligoceniche,
della Venacquaro Fm.. Per VAN KONIJNENBURG (1997) il limite inferiore è più basso
stratigraficamente in quanto i primi 5 metri della formazione sono composti da marne
oligoceniche in concordanza con i corpi risedimentati della Fonte Gelata Fm..
La Venacquaro Fm. è ricca di episodi di bioturbazione ad opera di Zoophycos e
Condrites nei litotipi marnosi.
Lo spessore
della formazione
varia tra 45 e 210
metri e gli ultimi
50 metri sono
quasi sempre
coperti da prati
erbosi, fatta
eccezione per la
sezione della
Funivia VAN
KONIJNENBURG (1997).
La Faglia delle tre Selle continuò la propria attività, ribassando nell’Oligocene il
blocco meridionale e favorendo la deposizione di spessori doppi rispetto a quelli
accumulati sul blocco di tetto. Le calciruditi a Lepidocyclinae che affiorano a Sud delle
Case Venacquaro (quota 2001), inoltre, furono intercettati in gran parte dall’ostacolo
strutturale. In questa località si registrano i massimi spessori e la Venacquaro Fm.
Figura 49 – Sentiero Funivia Fonte Cerreto-Camp.Imp., quota 1950. Calcarenite laminata a Lepidocyclinae.
85
misura circa 210 metri, fortemente caratterizzate alla base da spessi banchi calciruditici.
Sulla Sella dei Grilli essa raggiunge i 170 metri, evidenziando probabilmente l’esistenza
di un blocco ribassato, appartenente al sistema di faglie suddetto.
Poco a Sud della Stazione superiore della Funivia in corrispondenza di Fonte
Pratoriscio (quota 1958) la Venacquaro Fm misura 50 metri circa di spessore. In questa
località il limite superiore con la Formazione delle Calcareniti Glauconitiche è
nettamente discordante sulle emipelagiti della Venacquaro Fm.. La tipologia erosiva del
contatto è facilmente riconoscibile anche a Sud dell’Albergo di Campo Imperatore, in
prossimità de Le Chiuse.
Terreni ascrivibili all’intervallo di tempo coperto dalla Venacquaro Fm. sono
presenti sulla collina di quota 2244 orientata circa N-S in località Campo Pericoli. Si
tratta di corpi calciruditici mal stratificati spesso fango-sostenuti, ricchi di
macroforaminiferi, nummuliti in particolare Lepidocyclinae, e di abbondante selce
rossastro-marrone in noduli centimetrici. Tali terreni poggiano in notevole discordanza
sopra corpi calcarenitici cretacei, difficilmente cartografabili a causa del loro
modestissimo spessore, che è di circa 2 metri. Questi a loro volta poggiano in para-
concordanza sulle calcilutiti ad ossidi di ferro, tipiche della Maiolica “di alto”. La
lacuna stratigrafica che ne risulta è notevole e copre un intervallo di tempo compreso tra
il Cretaceo inferiore e l’Oligocene Medio.
CALCARENITI GLAUCONITICHE Fm. (Aquitaniano pp.- Burdigalliano pp.)
La Formazione delle Calcareniti Glauconitiche è caratterizzata alla base
dall’incursione di facies quasi esclusivamente calcaree risedimentate, provenienti dalle
rampe carbonatiche mioceniche del dominio laziale-abruzzese. Verso il top della
Formazione si registra un aumento progressivo della componente glauconitica e della
selce, organizzata in tipiche sottilissime liste marroni.
In questo Lavoro è adottata la denominazione Calcareniti Glauconitiche,
pubblicata da ADAMOLI (1992). Altri Autori quali GHISETTI & VEZZANI (1990) e
CALAMITA et Alii (2004) utilizzano nomi simili, che sono rispettivamente Calcareniti a
glauconite e Calcari Glauconitici, attribuendo generalmente un’età basso miocenica,
data la presenza di Myogipsinoides ed Heterosteginae nelle litofacies più glauconitifere
(GHISETTI & VEZZANI, 1990).
86
La formazione affiora sui versanti settentrionali del Gran Sasso, sul versante Sud
di Monte Portella (località Fonte Pratoriscio, quota 1958) in prossimità della località
Case Venacquaro (quota 2001) e sul versante nord-occidentale del Monte Scidarella. In
quest’ultima località le litofacies ricche di selce, che sono presenti nella porzione
superiore delle Calcareniti Glauconitiche dei versanti settentrionali del Gran Sasso, sono
qui praticamente assenti.
Le migliori esposizioni sono site lungo i “canaloni” dei Prati di Tivo, dove è più
facile seguire la continuità stratigrafica.
Il limite inferiore è caratterizzato dal contatto netto delle calcareniti packstone-
grainstone grigiastro-nocciola a stratificazione compresa tra 20 e 60 cm., con la litozona
marnosa della Venacquaro Fm.. Questo passaggio è rimarcato dunque da un evidente
contrasto morfologico.
La Formazione è interessata, come poc’anzi accennato, da un progressivo
aumento di glauconite e selce verso l’alto
della successione, così da rendere
impossibile una netta suddivisione in un
membro superiore ed uno inferiore, senza
selce. La porzione superiore è stata
probabilmente riferita da GHISETTI &
VEZZANI (1990) alla Formazione Bisciaro.
Data l’evidente continuità tra l’end-member
povero in glauconite e senza selce, e quello
ricco in glauconite e in sottili e numerose
lamine di selce, un’ulteriore suddivisione
formazionale è parsa di difficile attuazione e
superflua.
L’abbondanza della selce è direttamente proporzionale a quella delle spicole di
spugna. La stratificazione si fa più sottile
(10-20 cm.) negli intervalli superiori. Le
intercalazioni centimetriche di marne
verdastre sono rare ma sempre più
abbondanti negli ultimi 20 metri della Formazione delle Calcareniti Glauconitiche.
Figura 50 – Prati di Tivo, primo canalone, quota 1950. Porzione end-member silicizzato La laminazione è intensamente sottolineata dalla silicizzazione.
87
Il limite superiore è infatti transizionale. Gli ultimi 10 metri sperimentano la
pressoché totale scomparsa della selce e una intercalazione tra strati decimetrici
calcarenitici a glauconite e packstones calcarei grigio-nocciola, ricchi di pallini
arancione-rossastro. Tale passaggio transizionale è notevolmente più spesso sul versante
occidentale della Scindarella.
Lo spessore complessivo delle Calcareniti Glauconitiche sembra aumentare
lievemente verso Nord, passando da 45 metri circa sul versante Sud del Monte Portella
a 80 metri di media registrati sui versanti settentrionali. Poco a Nord di Picco dei Caprai
la Formazione supera i 110 metri per poi tornare, a Nord di Fonte Gelata sui valori medi
sopra mensionati.
MARNE CON CERROGNA Fm. (Langhiano pp.- Tortoniano pp.)
Le Marne con Cerrogna rappresentano l’ultima formazione carbonatica marina
della successione meso-cenozoica. Si tratta di una Formazione complessa in termini di
organizzazione stratigrafica interna e di distribuzione degli spessori complessivi, che
affiora diffusamente soprattutto nella porzione geografica settentrionale, tra Cima Alta e
Pietracamela (unità Laga-Montagnone) e sui versanti settentrionali del Gran Sasso
(Prati di Tivo-Prato Tondo). Essa è presente inoltre in prossimità dell’Albergo di
Campo Imperatore e nel blocco di tetto del sistema di faglie delle Tre Selle, poco a Nord
della località Case Venacquaro. L’estensione complessiva degli affioramenti è di circa 5
Km².
Gli spessori formazionali complessivi
sono caratterizzati da un netto approfondimento
verso Nord oltre la ristretta fascia dei
sovrascorrimenti, insistente sui Prati di Tivo.
Pressocchè ovunque è possibile distinguere una
litozona calcarea inferiore ed una marnosa
superiore a foraminiferi planctonici e spicole di
spugna.
Sull’unità Laga-Montagnone, che
rappresenta il blocco di tetto dei thrusts le
Marne con Cerrogna hanno uno spessore complessivo minimo di 760 metri, calcolato
Figura 51 – Cima Alta. Pecten nei litotipi marnosi al top della formazione.
88
sulla Carta Geologica del Gran Sasso d’Italia di GHISETTI & VEZZANI (1990). Il limite
inferiore non affiora nell’area rilevata in questa Tesi ed è eliso dalla tettonica nella
Carta degli Autori sopracitati. Nell’unità Montagnone le litofacies calcarenitico-
calciruditiche a geometria canalizzata sono prevalenti e gli strati lentiformi sono tra loro
tenacemente amalgamati fino a raggiungere spessori plurimetrici. Le litofacies marnose
aumentano relativamente verso il top della formazione in prossimità di Cima Alta. Le
intercalzioni calcarenitiche includono qui anche dei Pecten intatti di medie dimensioni.
Il limite superiore con le Marne ad Orbulina è presente e mal esposto poco a
Ovest della mulattiera che scende dal parcheggio a Sud di Cima Alta.
L’unità intermedia, posta tra il sovrascorrimento inferiore e quello superiore,
anche se disturbata da superfici tettoniche di minore importanza, ospita la successione
completa delle Marne con Cerrogna. La Formazione, che ha uno spessore di circa 240
metri è definita nelle esposizioni di Prati di Tivo alla base da packstones calcarei
risedimentati a punti rossi intercalati da marne e calcari marnosi grigio-verdastri,
organizzati in strati dallo spessore variabile tra 20 e 50 cm.. Verso l’alto della litozona
calcarea si ritrovano calcari a Pectinidi.
Gli ultimi 50-60 metri della formazione sono definiti, lungo la strada di
brecciolino degli Acquedotti Ruzzo Reti S.p.A., che passa ad Ovest di Prati di Tivo, da
una litozona prevalentemente marnosa caratterizzata da wackestones a Globigerinoides
e spicole di spugna. Al contatto tra le due litozone sono presenti anche pebbly-
Figura 52 – Prati di Tivo terzo canalone, quota 1835. L’alto della successione è a destra. Si noti la fitta alternanza di marne e calcareniti di spessore metrico.
89
mudstones. Litologie calcareo-marnose con selce in piccoli noduli, riferibili alla
litozona superiore, affiorano in prossimità di Prato Tondo. Le complicazioni tettoniche,
che interessano l’area e la cattiva esposizione degli affioramenti, non sono sufficienti a
nascondere la variazione laterale di facies e l’aumento complessivo di spessore verso W
della litozona superiore delle Marne con Cerrogna. Questa diversificazione è ancor più
chiara, spostandosi verso i versanti nord-orientali di Monte Corvo.
Anche l’unità Gran Sasso è interessata da variazioni di facies e di spessore,
legate all’attività sin-sedimentaria contemporanea alla deposizione delle Marne con
Cerrogna. Queste infatti registrano al blocco di tetto della Faglia delle Tre Selle uno
spessore minimo di circa 440 metri, calcolato anch’esso sulla Carta Geologica del Gran
Sasso d’Italia di GHISETTI & VEZZANI (1990). Gli Affioramenti posti sulla sella di
Monte Corvo sono caratterizzati dall’intercalazione di calciruditi e calcareniti in strati
metrici a geometria canalizzata. Lo spessore complessivo raggiunge valori più bassi a
SE in prossimità dell’Albergo di Campo imperatore, dove le Marne con Cerrogna
affiorano con uno spessore minimo complessivo di circa 300 metri. Anche in questa
zona affiora la litozona superiore caratterizzata da marne bioturbate e calcari marnosi
grigio verdi wackestone a Globigerinodes trlobus e spicole di spugna. L’associazione
potrebbe essere dunque di età Serravalliano pp.- Tortoniano pp.. In quest’area il limite
inferiore è definito da una rapida transizione, molto simile a quella affiorante ai Prati di
Tivo.
Un chilometro più a Sud, tra Fonte Scontrone e Le Chiuse, lo stesso limite è
marcato dal passaggio passaggio transizionale tra i litotipi glauconitici e quelli a “punti
rossi”, tipici delle Marne con Cerrogna, è più spesso e supera i 40 metri.
MARNE A ORBULINA Fm. (Tortoniano pp. - Messiniano inf.)
La Formazione delle Marne ad Orbulina sebbene sia al limite della risoluzione
stratigrafica, avendo uno spessore inferiore di circa 10-15 metri, conserva un ruolo geo-
tettonico di fondamentale importanza. Essa segna intatti la cessazione definitiva della
sedimentazione carbonatica e marca la flessurazione dell’avampaese. La
sedimentazione emipelagica da luogo alla deposizione di marne-argillose e argille
marnose laminate grigio-marroni talora anossiche, ricche in Orbulinae. L’affioramento
migliore, sito a quota 1460 lungo la strada di brecciolino degli Acquedotti Ruzzo Reti
90
S.p.A., che passa ad Ovest di Prati di Tivo, espone solo pochi metri dell’intera
formazione.
Un secondo affioramento, in
pessimo stato di esposizione, è
situato poco a Sud del parcheggio
in prossimità di Cima Alta. Il
livello dato il forte contrasto
litologico ha la funzione di
acquicloud e l’evento deposizionale
delle Marne ad Orbulina precede la
sedimentazione silicoclastica della
Laga Fm.
Le proprietà decisamente
plastiche delle Marne ad Orbulina
attribuiscono ad esse un ruolo preferenziale nella delineazione dei livelli di scollamento,
contribuendo così se possibile a impossibilitarne l’affioramento.
LAGA Fm. (Messiniano pp.)
La Laga Fm. rappresenta un importantissimo complesso a sedimentazione
torbiditica e silicoclastica del Messiniano superiore, il cui limite geografico meridionale
impatta contro la catena del Gran
Sasso.
La formazione affiora per 12
Km² circa, ricoprendo gran parte della
porzione geografica settentrionale ed è
interessata da un contesto
deposizionale sin-orogenico, segnato in
primis dalla flessurazione
dell’avampaese e in secundis dalla
progressiva crescita delle strutture
frontali del Gran Sasso. Quest’ultime
infatti sono definite da pieghe e
Figura 53 – Affioramento di quota 1460. Argille marnose laminate ricche in Orbulina.
Figura 54 – Veduta panoramica sul bacino della Laga. Sullo sfonfo vi è la Montagna dei Fiori a destra la struttura del Montagnone, costituita dalle Marne con Cerrogna, sulla quale poggia in onlap il complesso torbiditico silicoclastico della Laga.
91
sovrascorrimenti, che produssero una barriera ai flussi torbiditici. A Nord di Monte
Corvo, ove è possibile notare l’appoggio in onlap delle facies pelitico-arenacee.
L’attività di propagazione dei sovrascorrimenti coinvolgerà successivamente anche la
stessa Laga, definendo una struttura di crescita ritagliata dai sovrascorrimenti entità di
raccorciamento crescente verso Est.
L’appoggio in onlap della Laga sulla struttura del Montagnone, sebbene sia stato
parzialmente mascherato dalla presunta presenza di faglie sin-sedimentarie, è resa ben
evidente dai dati di campagna raccolti.
La Formazione della Laga è stata suddivisa durante i primi anni ‘80 in tre
membri (CANTALAMESSA et Alii, 1980): membro pre-evaporitico, membro evaporitico,
membro post-evaporitico. Secondo
più moderne analisi
sedimentologiche e di stratigrafia
fisica (MILLI et Alii, 2007) lo
stesso complesso torbiditico può
essere suddiviso in Laga 1, Laga 2,
Laga 3 che solo parzialmente
corrispondono alla suddivisione
della scuola camerte. MILLI et Alii
(2007) riconoscono infatti la
presenza di strutture di crescita sul
Gran Sasso durante la sedimentazione della Laga 1, che individua il suo depocentro
assiale proprio nell’antistante Valle del Vomano (fuori carta), dove raggiunge uno
spessore misurato dagli Autori di
2650 metri.
Lo spessore minimo della
Laga Fm., ricavato in questo
Lavoro è di circa 1150 metri.
Nell’area rilevata in questa
Tesi non affiora mai il membro
evaporitico né quello post-
evaporitico con le gesso-areniti
risedimentate.
Figura 56 – Località Pilone, quota 1300. Banchi arenacei sub-orizzonatali spessi fino a 2 metri.
Figura 55 – Località Giunchiera, quota 1270. Esempio di associazione di facies pelitico-arenacea.
92
Data la finalità strutturale di questo Lavoro e l’evidente difficoltà correlativa
nella presente descrizione stratigrafica si provvederà ad un riconoscimento delle
associazioni di facies, che evada nuove interpretazioni paleogeografiche.
L’associazione di facies arenaceo-pelitica in località Pilone-Colle Pagliaro
sembra caratterizzare le porzioni inferiori della Laga che diventa superiormente pelitico-
arenacea. In località Pilone è affiorano banchi arenacei amalgamati spessi fino a 2 metri
con geometria debolmente tabulare.
L’associazione pelitico-arenacea è prevalente lungo le strutture frontali di
crescita del Gran Sasso, nella zona Giunchete-Colle dell’Asino e nell’area tessete Colle
Cepito. Tale associazione domina infatti la successione a Nord di Monte Corvo.
Il limite superiore della formazione è delimitato dal contatto erosivo con le
Calciruditi Quaternarie.
CALCIRUDITI QUATERNARIE (Pliocene sup. (?)-Pleistocene pp.)
Le Calciruditi quaternarie affiorano diffusamente nella Porzione geografica
settentrionale, ricoprendo un’area di circa 2,5 Km². Esse sono costituite da depositi
continentali calciruditici sedimentate su paleo-superfici erosive. Quest’ultime sono
spianate simili ad altopiani facilmente riconoscibili. Esse sono presenti a Nord di Colle
dell’Asino-Prati Cantiere, in località Pilone-Macchia Pidocchio e alla base degli
affioramenti delle Calciruditi Quaternarie dell’Arapietra.
Le due principali unità stratigrafiche sono l’unità di Arapietra e l’unità di
Pietracamela, già riconosciute da
NISIO (1997), che denominava
quest’ultima unità San Pietro-
Pietracamela.
Altri due modesti
affioramenti sono disposti sulla
Sella dei Grilli e in corrispondenza
dell’Albergo di Campo Imperatore.
L’unità di Arapietra affiora
tra quota 2100 (località la
Madonnina) e quota 1400 (Fonte
Figura 57 – Località Arapietra. Le calciruditi appoggiano in discordanza sulla struttura frontale compressiva del Gran Sasso.
93
Tassete). Essa consiste di brecce continentali variamente stratificate, eterometriche,
cementate e granosostenute, che nelle porzioni prossimali, cioè verso monte, mostrano
facies molto porose. I clasti hanno dimensioni varabili da centimetriche a metriche,
sono a spigoli vivi. Essi sono costituiti da frammenti calcarei e selciferi appartenenti
alle medesime rocce in affioramento sul sottogruppo Corno Grande-Corno Piccolo. La
tessitura in località Arapietra non mostra particolare organizzazione interna nella
distribuzione della granulometria. La matrice è assente. Lo spessore degli strati varia da
0,2 m a 2-3 metri. Sulla strada che conduce da Prati di Tivo al parcheggio a Sud di
Cima Alta è ben esposta la paleo-superficie erosiva sulla quale si è deposta l’unità di
Arapietra.
L’unità di Pietracamela è
allungata in senso N-S sul crinale
che collega Pietracamela ai prati di
Tivo. In quest’unità i clasti
presentano scarsa elaborazione con
dimensioni variabili dal centimetro
al metro. La matrice è scarsa e di
color rossastro. La composizione
dei clasti non si discosta molto da
quella dell’unità precedente. Lungo
la strada di brecciolino degli
Acquedotti Ruzzo Reti S.p.A. è
possibile notare tipologia di evento deposizionale di queste brecce continentali. Si può
notare infatti in un medesimo strato una rapida gradazione inversa al letto ed una rude
gradazione diretta nella porzione superiore. Tale meccanismo tipico dei flussi di massa
e la forma dei clasti fa dedurre che la deposizione sia avvenuta dopo un breve e veloce
trasporto collegato con l’azione fluvio-glaciale.
La presenza di numerosi blocchi metrici rovinati sui versanti tra Fonte Barile e
Salse (riva sinistra del Rio Arno) di composizione del tutto simile a quella dell’unità di
Pietracamela, e di una paleo-superficie erosiva a Nord di Colle dell’Asino lascia
supporre che anche il crinale in riva destra al Rio Arno fosse sovrastato in tempi recenti
dalle Calciruditi Quaternarie.
Figura 58 – Periferia dell’abitato di Pietracamela. Calciruditi continentali poggiano in discordanza sulle arenarie della Laga.
94
NISIO (1997) suppone che questa paleo-superficie erosiva si sia formata in
condizioni climatiche sub-aride di clima temperato-caldo, modellandosi su un substrato
strutturato costituito da termini sia del Gran Sasso che da quelli delle unità tettoniche
inferiori. Le Calciruditi Quaternarie sono infatti post-orogeniche perché suturano il
thrust superiore con certezza in prossimità dell’affioramento della Madonnina-Pietra
della Luna (quota 2028).
95
5. STRUTTURA TETTONICA
In questo Capitolo si cercherà di rappresentare dettagliatamente la struttura
tettonica dell’area rilevata, riportando i dati ottenuti dal lavoro di campagna, mediante
la descrizione di sette transetti geologici caratteristici. Le sezioni geologiche I, II e IV
sono disposte circa N-S ed attraversano completamente la struttura del Fianco
occidentale del Gran Sasso d’Italia. Le altre sono ad esse trasversali e sono servite per
ricavare informazioni precise sugli spessori formazionali, sulla natura dei contatti e su
alcune geometrie, determinate dalla tettonica. La descrizione della geologia affiorante,
attraversata dai transetti sarà allargata ai settori da essi attraversati ed alla
identificazione degli oggetti geologici coinvolti nella strutturazione. L’illustrazione
analitica delle magnifiche esposizioni naturali del Gran Sasso sarà suddivisa in due aree
di lavoro. La sezione geologica di riferimento è sita nell’area occidentale della carta in
corrispondenza della congiungente Pizzo
Cefalone-Pizzo d’Itermesoli. La sintesi
di riferimento del quadro strutturale è
esposta nel Capitolo 3 “Assetto
Geologico del Gran Sasso d’Italia”.
AREA OCCIDENTALE L’area occidentale include il
sottogruppo del Pizzo Cefalone, il
sottogruppo del Pizzo d’Intermesoli e la
Pozione geografica settentrionale ad
ovest del Rio Arno.
L’area è attraversata dalle sezioni
longitudinali I e II. Queste s’intersecano
in corrispondenza di Pizzo Cefalone. La
sezione III, che è più corta delle
precedenti aiuta a meglio definire la
geologia della zona frontale dei thrusts.
La sezione I, che ha direzione N10°W ed è disposta perpendicolarmente alla
direzione media degli strati, attraversa contesti geologici differenti. Essa corre lungo le
magnifiche esposizioni della parete occidentale del Pizzo d’Intermesoli, passando
Figura 59 – Carta illustrativa dell’ubicazione delle Sezioni Geologiche in scala 1:90.000 circa. In verde è marcata la Provincia de L’Aquila.
96
rasente alla Valle Venacquaro e raggiunge nella Porzione geografica settentrionale la
Laga.
Il Sottogruppo del Pizzo Cefalone, che è in posizione più interna, è oggetto di
interesse paleogeografico e strutturale. L’assetto del Settore Sud, all’interno del quale è
incluso il sottogruppo del Pizzo Cefalone, è circa monoclinalico ed è definito da
variazioni della direzione degli strati e degli spessori formazionali. Sul versante
meridionale, visibile da Assergi vi sono numerose evidenze tettono-stratigrafiche di un
alto giurassico, allungato per circa 800 metri lungo la direzione N100-110°E e
delimitato a Nord, Est e Ovest da settori relativamente più depressi. Quest’ultimi
ospitano successioni più spesse ed interessate da un’associazione di facies ricche di
risedimenti e pebbly-mudstones.
La descrizione del contesto geologico-strutturale di questa zona sarà ricca di
particolari stratigrafici inediti, che sono di fondamentale importanza nel quadro della
ricostruzione tettono-stratigrafica e paleogeografica dello stesso.
Il fianco orientale di questo alto strutturale liassico è quello relativamente più
accessibile. Esso mostra, muovendosi verso occidente, un progressivo innalzamento del
top del Calcare Massiccio.
In località Acqua San Franco, infatti, si nota una progressiva riduzione dello
spessore della Corniola verso WNW. Una serie di controbalze erbose, definite da
pendenze all’orlo dell’accessibilità, permette di seguire a mezzacosta del versante
meridionale del Pizzo Cefalone la geometria di chiusura a “becco di flauto” verso
occidente della Corniola sul Calcare Massiccio.
La Corniola, sulla
controbalza di quota 2036, è ridotta
a 1,5 metri mentre in prossimità
della controbalza di quota 2033,
raggiunge uno spessore inferiore ai
15 metri. In questa località è
evidente la presenza di inediti
livelli condensati ad Ammoniti e
Brachiopodi, contenuti all’interno
di packstones biancastri mal
stratificati. Tali livelli sono
riferibili per età e facies alla
Figura 60 – Versante Sud Pizzo Cefalone. Contesto geologcio ad Est della Controbalza di quota 2036. Si noti l’onlap della Corniola sul Calcare Massiccio.
97
Formazione della Corniola ed appartengono
paleogeograficamente ad un contesto
deposizionale di alto strutturale a
sedimentazione ridotta. L’analisi delle sezioni
sottili ha permesso di riconoscere la Trocholina
sp., fossile guida del Carixiano medio,
all’interno di packstones oolitici parzialmente
dolomitizzati.
Il limite inferiore sembra poggiare in
discordanza inconforme sul Massiccio A
ciclotemico ben stratificato. Il limite superiore è
definito invece dal passaggio netto alle litofacies
marnose grigio-verdastre, rese ben evidenti dalla presenza di una cengia erbosa
continua, impostatasi in corrispondenza del Verde Ammonitico. L’“oolite rossa”, che è
lo strato guida di questa formazione, affiora in paraconcordanza 4 metri sopra il limite
con la Corniola.
Sulla controbalza, che precede (ad Est) l’affioramento di Corniola condensata ad
Ammoniti e Brachiopodi, la Corniola è già definita da una sedimentazione ricca di
risedimenti ma il suo spessore non supera i 50 metri. Il limite inferiore è in questo caso
difficilmente raggiungibile al rilevamento diretto. Il limite superiore è invece marcato
dalla presenza di tre strati di dolomie dall’aspetto “cariato” ricchissime in ossidi di ferro
e crostoni centimetrici. Dopo questi litotipi, che testimoniano un lungo periodo di non
sedimentazione in ambiente riducente, seguono in paraconcordanza le marne verdastre
del Verde Ammonitico.
Già in Località Acqua San Franco gli spessori della Corniola raggiungono i 100
metri circa e superano 160 metri poco ad Est della medesima località, avvicinandosi al
Vallone della Portella. In quest’ultima zona la Corniola, ricchissima di selce, è
interessata da pebbly-mustones, intercalazioni calcarenitiche e da calcilutiti di color
grigio-plumbeo. Le litofacies dolomitico-giallastre sembrano essere presenti nella
porzione intermedia della successione ed abbondano poco ad Est sul Vallone della
Portella. In quest’ultima località il limite inferiore della Corniola non è in affioramento
e lo spessore supera i 500 metri. I litotipi più bassi in successione sono definiti da
bancate doloruditiche talora mal stratificate alternate a strati più sottili, a tessitura
Figura 61 – Controbalza di quota 2033. Particolare del Calcare ad ammoniti e brachiopodi mal stratificato sovrastante lo strato a Trocholina sp..
98
saccaroide probabilmente doloarenitica. Si tratta nel complesso di dolomie grigiastro-
biancastre con selce bianca in noduli decimetrici mal definiti, all’interno delle quali non
è agevolmente distinguibile la tessitura pre-dolomitizzazione.
Il fianco settentrionale dell’alto strutturale è quasi completamente incluso
all’interno della montagna. La presenza di un’ulteriore settore ribassato è desumibile dal
ben evidente andamento del sistema di faglie e fratture a direzione WNW-ESE.
La Corniola ad Acqua San Franco appoggia in onlap sull’unconformity, marcata
dal limite superiore del Calcare Massiccio.
Figura 62 – Foto panoramica del Versante Sud di Pizzo Cefalone. La geometria a becco di flauto, definita dalla variazione di spessore e di facies della Corniola è associata al sistema di paleofaglie liassiche. In prossimità di Acqua San Franco il blocco settentrionale è ribassato da faglie a giacitura 10°·75° e 15°·73° e faglie immergenti 220°·80°. Il sistema sembra essere definito da cinematiche transtensive, che garantiscono dei blocchi ribassati.
Figura 63 – Versante Sud di Pizzo Cefalone visto da Assergi. La controbalza di quota 2036 è sita poco sopra la scritta Calcare Massiccio dell’alto strutturale. La visione prospettica può rende difficile la comprensione delle geometrie tettono-stratigrafiche. Il simbolo del verso di movimento di faglia indica il blocco ribassato. Dalla foto non si può risalire alla giacitura della paleofaglia liassica, che immerge 180°·50°, cioè verso l’osservatore. Essa si verticalizza rapidamente intorno a quota 1600.
99
Il fianco occidentale dell’alto strutturale in questione è sito ad Ovest della contro
balza di quota 2036 ed è delimitato dalla traccia superficiale della paleofaglia diretta
liassica, che immerge circa a 200°·450°. Tale superficie tettonica mostra un rigetto di
poco più di 300 metri, in prossimità della faglia suddetta, ed è sigillata dalla formazione
del Verde Ammonitico. Essendo questo di età toarciana l’attività della paleo-faglia è
compresa tra il Sinemuriano inferiore e il Toarciano stesso.
Sembra evidente dunque che l’alto strutturale qui esaminato sia delimitato
almeno su 3 fronti. A Sud dallo stesso infatti la struttura liassica è ritagliata da un
elemento distensivo nettamente più recente, noto come Faglia di Assergi-Valle Fredda.
Il blocco a letto di questa faglia non affiora, perché nascosto da imponenti spessori di
detrito.
Le depressioni bacinali, che circondano l’alto strutturale liassico erano
caratterizzate da una sedimentazione pelagica normale e risedimentata (sensu
SANTANTONIO, 1996). Esse erano probabilmente interconnesse tra di loro, definendo
un’articolata paleogeografia intraliassica, che vede un fianco occidentale e settentrionale
ripido ed uno orientale definito da una più dolce chiusura in pinch-out verso Ovest.
Nelle zone a questa più
distali, ad est di Acqua San
Franco, aumenta la componente
risedimentata su quella pelagica
normale. La Corniola infatti è
ricchissima soprattutto alla base
di doloruditi e calciruditi
dolomitizzate in banchi anche
molto spessi (2 metri circa).
Nella zona del Vallone
della Portella, attraversata dalla
Sezione V, la Corniola
raggiunge uno spessore minimo
di 550 metri, non affiorando il
limite del Calcare Massiccio.
Anche il Verde ammonitico
sperimenta una variazione di facies simile. Il Verde Ammonitico, che mostra facies
Figura 64 – Successione bacinale di Corniola al Vallone della Portella. Si notino le spesse intercalazioni doloruditiche alla base della successione. Le pareti sub-verticali in secondo piano sono calciruditi a coralli della Corno Piccolo Fm..
100
prevalentemente pelitiche bioturbate con rare intercalazioni calcarenitiche, come
l’“oolite rossa”, in corrispondenza della zona di alto, sigilla le strutture liassiche. Gli
spessori aumentano leggermente nelle zone bacinali.
L’analisi della distribuzione degli spessori, dei contatti stratigrafici e delle
strutture affioranti ha permesso di ricostruire un’ipotesi di struttura geologica profonda,
che interessa il fianco settentrionale dell’alto strutturale osservabile, ora descritto. Alla
Corniola è stato attribuito uno spessore di circa 300 metri, in approfondimento fino ad
un valore medio di 450-500 metri verso la Sella dei Grilli. Al Verde Ammonitico è stata
attribuita una variazione dello spessore minima, esattamente come osservato sul
versante meridionale di Pizzo Cefalone.
Le variazioni di spessore interessano con diversa entità tutte le formazioni
bacinali non solo parallelamente ai transetti geologici ma anche trasversalmente agli
stessi.
Analizzando le variazioni lungo l’immersione è possibile notare come la Corno
Piccolo Fm., che misura circa 130-170 metri sul versante Sud di Pizzo Cefalone, si
inspessisca dapprima dolcemente verso Nord (2°) poi più bruscamente (5°) sino a
superare i 500 metri alla Val Maone, dove erode il suo membro inferiore. Tale
formazione è fortemente fratturata e fagliata da faglie transtensive ad altissimo angolo
precedenti l’unconformity, che marca il limite superiore della Corno Piccolo Fm..
I Calcari Diasprigni Detritici (CDD) e la Maiolica sono soggetti
complessivamente ad una progressiva riduzione di spessore, fino alla chiusura in pinch-
out verso Nord.
Questo aspetto tettono-stratigrafico è reso ben evidente dalla Sezione II. La
geometria dell’appoggio stratigrafico, determinata dalla rastremazione di CDD e
Maiolica sulla Corno Piccolo, si estende tridimensionalmente anche verso Ovest. Alle
testate dei ghiaioni occidentali del fianco occidentale del Pizzo d’intermesoli,
attraversato dal Transetto I, affiorano infatti, i Calcari Diasprigni Detritici con uno
spessore minimo di circa 80 metri e la Maiolica con una potenza di circa 100 metri. La
struttura di appoggio tridimensionale in onlap da Sud e da Ovest sembra essere infatti
quella più ragionevole. Lo spessore complessivo di Maiolica e CDD, che non supera i
180 metri, suggerisce un approfondimento del top della Corno Piccolo Fm. verso Ovest.
Come evidente dalle magnifiche esposizioni della parete orientale del Pizzo
d’Intermesoli, attraversate dalla Sezione III, le geometrie di appoggio in onlap sulla
Corno Piccolo Fm. sono presenti anche in corrispondenza di Picco Pio XI, dove le
101
formazioni giurassico-cretaciche sembrano adattarsi in geometria, spessore e facies alla
fisiografia del fondale. In quest’ultima località sono completamente assenti le facies
calciruditiche, intercalate invece nella più spessa serie della Maiolica e Calcari
Diasprigni Detritici, esposta sul versante sud di Pizzo Cefalone.
La complessa fisiografia sopra descritta per il top della Corno Piccolo Fm.
sembrerebbe essere in gran parte determinata dalle geometrie deposizionali, connesse
alla direzione principale di scorrimento dei flussi. La presenza di vicini alti strutturali
persistenti nell’Area Orientale, riferibili alla struttura Corno Grande-Primo Scrimone,
vincolava certamente la distribuzione dei flussi di massa e dunque gli spessori
formazionali complessivi. Come già discusso nel Capitolo stratigrafico, non è da
escludere l’incorrere della tettonica transtensiva nella strutturazione del fondale medio
giurassico.
Anche la Cefalone Fm. s’inspessisce, passando dai 240 metri del Pizzo Cefalone
ai 400 metri misurati alla Conca del Sambuco. Le facies ruditiche e i depositi da glides,
sono concentrati nel Settore Sud mentre sul Sottogruppo del Pizzo d’Intermesoli
prevalgono le facies torbiditiche. Le calciruditi di spessore maggiore sono infatti più
prossime all’area sorgente, sita ai margini settentrionali della Piattaforma laziale-
abruzzese.
La Scaglia Bianca mostra i massimi spessori (200 metri circa) lungo la cresta di
collegamento Pizzo Cefalone-Sella dei Grilli e sulla testata meridionale del Venacquaro.
La stessa formazione, come già segnalato da VAN KONIJNENBURG (1997), perde
spessore poco prima del contatto tettonico con la Faglia delle Tre Selle, essendo in
eteropia con la Monte Corvo Fm.. Tale caratteristica è evidente poco a Sud della Sella
dei Grilli.
Una faglia
inversa di rigetto
cartografabile, 30 metri
circa in prossimità delle
Capanne, immerge
205°·50° ed è ben
esposta sulla parete
orientale del Pizzo
Cefalone. Questa è la
faglia inversa più Figura 65 – Forchetta della Falasca. Calciruditi della Fonte Gelata Fm. in sovrascorrimento sulla Venacquaro Fm. in successione diritta.
102
interna dell’area rilevata e permette la sovrapposizione della Cefalone Fm. sulla Scaglia
Bianca. Ad essa è collegato un sistema di fratture a basso angolo che si dirama verso
Nord. Dato l’aumento del rigetto verso occidente si può dedurre una componente
rotazionale oraria di questa faglia inversa. Più ad Ovest, infatti, la stessa faglia si
sviluppa fuori carta nei pressi della Forchetta della Falasca nel sovrascorrimento del
fianco rovescio di un’anticlinale sulla sinclinale antistante.
Accenni di tettonica distensiva intra-cretacica interessano la Cefalone Fm. in
prossimità delle Capanne. Tali faglie terminano all’interno della Scaglia Bianca, senza
propagare il loro rigetto nei livelli stratigrafici superiori. I rigetti non superano i 20-30
metri e si smorzano notevolmente al top della Cefalone Fm.. Si tratta di faglie dirette ad
altissimo angolo antitetiche tra loro, probabilmente sin-sedimentarie, ruotate dalla
tettonica cenozoica successiva. L’immersione attuale è 200°·65° per la più meridionale
delle due e 195°·70° per la seconda. Esse sono molto ben evidenti a causa del pattern di
fratturazione ad esse connesso. Questo piccolo sistema di faglie non è di importanza
trascurabile perché contribuirebbe a spiegare la rotazione, 5° circa, del blocco di
footwall rispetto alla faglia con immersione 195°·70°. Tale rotazione è da attribuire in
parte all’attività della Faglia delle Tre Selle, che sarà descritta più avanti.
Lungo il versante orientale del Pizzo d’Intermesoli è possibile notare che le
faglie intra-cretaciche riutilizzano alcune delle faglie medio-giurassiche, ben esposte
sulla pareti della Corno Piccolo Fm. alla Val Maone.
Le differenze di spessore che intercorrono tra le formazioni esposte lungo il
tracciato della Sezione I, che attraversa fianco orientale del Venacquaro e le formazioni
affioranti sul tracciato della Sezione II, passante sulla cresta di collegamento Pizzo
Cefalone-Sella dei Grilli, sono dovute a motivi sin-sedimentari e non ad eventuali
problemi di rappresentazione stratimetrica.
Si può notare, infatti, un progressivo aumento degli spessori formazionali verso
Ovest. Questo fenomeno è evidente anche nel Settore Nord della Porzione geografica
Meridionale.
Le facies dominanti nell’area del Venacquaro sono calciruditi amalgamate,
organizzate in spessi banchi. Le stesse facies sono presenti a più livelli stratigrafici,
interessando le formazioni comprese tra la Monte Corvo Fm. e le Marne con Cerrogna.
Insolitamente anche la Venacquaro Fm. mostra litologie ruditiche di questa entità. Ciò
dimostra che i tassi di subsidenza dovevano essere certamente maggiori per le zone più
occidentali. Non è da escludere l’attivazione precoce del sistema di faglie delle Tre
103
Selle già prima dell’intervallo Oligocene-Miocene medio, al fine di spiegare il rapido
inspessimento di Fonte Gelata Fm. sul blocco di tetto.
Ulteriori complicazioni tettono-stratigrafiche sono presenti tra la Sella dei Grilli
e il Venacquaro dove è stata tracciata in carta una faglia sin-sedimentaria intra-eocenica.
Si tratta di una faglia presunta, con un’immersione 220°·80°, che spiegherebbe il
repentino approfondimento in termini di facies e spessori dell’Area del Venacquaro.
Tale faglia potrebbe essere antitetica a quella dip-slip ad immersione 40°·80°, che
affiora a quota 2100 sul sentiero che sale dalla Val Maone alla Sella dei Grilli.
Come descritto nel capitolo stratigrafico, all’interno della Fonte Gelata Fm. è
presente un’importante unconformity, che suddivide le brecce basali da quelle a più
sottile stratificazione della litozona superiore. L’attività della faglia presunta potrebbe
aver contribuito all’articolazione del fondale eocenico, individuando un alto strutturale
in corrispondenza della Sella dei Grilli e inibendo così la deposizione delle brecce più
spesse sulla sua sommità.
La Faglia delle Tre Selle è intercettata dalla Sezione I e II alla Sella dei Grilli
(quota 2162) ed è definita da una faglia principale dip-slip a geometria sub-planare
immergente 200-210º·50º, associata ad un sistema di faglie lievemente transtensivo.
Tale fenomeno, che è necessario al fine di accomodare il movimento del blocco di tetto
sulla stessa. Ciò genera blocchi ribassati, che assorbono il rigetto complessivo. Il
sistema di faglie subalterno è caratterizzato da faglie transtensive destre immergenti
170°·80° e 180°·75°, diramatesi dal piano di faglia principale, che è a più basso angolo.
Alla Sella dei Grilli una piega sinclinale, dell’ordine di grandezza del centinaio di metri,
coinvolge le Formazioni comprese tra la Monte Corvo Fm. e la Venacquaro Fm..
L’origine sembrerebbe riconducibile alla roto-traslazione del blocco di tetto sulla
superficie principale della Faglia delle Tre Selle. Questa piccola sinclinale è fagliata
lungo il piano assiale, determinando un rigetto nell’ordine dei dieci metri.
La Faglia delle Tre Selle ha dislocato i depositi morenici dell’ultimo periodo
tardo glaciale, dimostrando così di essere probabilmente un elemento sismogenetico.
Poco a Sud dell’ingresso della Val Maone vi sono, infatti, dei gradini tettonici
nelle morene glaciali alti 1,5 metri circa. La giacitura del piano di faglia è 198°·72° ed è
associata ad altri gradini tettonici, appartenenti a faglie minori, che dislocano il Calcare
Massiccio con giaciture 210°·60° e 190°·75°. Poco più a Est di questa località la
direzione principale del piano di faglia varia da 200-210º·50º a 165-155°·70º nell’area
orientale.
104
Altre evidenze di tettonica
distensiva attiva connessa alla faglia delle
Tre Selle sono presenti al Venacquaro tra
quota 1950 e 1975 lungo il sentiero, non
segnato in carta, che dalla Sella dei Grilli
conduce alla piccola piana alla base di
Monte Corvo.
Il Settore Nord dell’area
occidentale è dominato dalla geometria
tipica di una piega per propagazione di
faglia, magnificamente esposta sulla
parete orientale di Picco Pio XI.
La piega principale è
un’anticlinale asimmetrica, sub-
cilindrica, rovesciata, con un leggero
angolo di plunge 5-10° verso WSW
nell’area Monte Corvo-Valle
Venacquaro. La direzione dell’asse della piega varia da N75°E in località Fonte Gelata
a N80°W in prossimità del Picco dei Caprai.
L’immersione del piano assiale, ricavato dal clivaggio di piano assiale, è 195-
175°·30° nella zona di Picco dei Caprai mentre è di 150°·30° in corrispondenza della
Vetta settentrionale d’Intermesoli (quota 2483). Questa differenza potrebbe ricondursi
alle ben note roto-traslazioni antiorarie, connesse alla propagazione del thrust superiore,
già proposte e riconosciute da diversi Autori (GHISETTI & VEZZANI, 1991; CALAMITA et
Alii, 2004). Le anisotropie meso-cenozoiche ed in particolare quelle eoceniche hanno
probabilmente contribuito alla variazione dell’asse della piega.
La piega ha una continuità di circa 9 km, terminando fuori carta ad Ovest di
Monte Corvo.
La faglia inversa ad essa associata, cartografata a Nord della Grotta dell’Oro
(quota 1700), nota come thrust superiore, è il sovrascorrimento strutturalmente più alto
tra quelli del fronte compressivo ed è definito da una brusca terminazione del rigetto a
quota 2000 circa sulla parete Orientale del Picco Pio XI. Si tratta pertanto di un
sovrascorrimento ceco dal quale si diparte un sistema di fratture e faglie, evidenziato
nella foto panoramica commentata del Settore Nord. Nella zona del Picco dei Caprai
Figura 66 – Val Maone Sud. Evidente Gradino morfologico della Faglia delle Tre Selle, che in questa località immerge 198°·72°, dislocando depositi morenici tardo glaciali.
105
(quota 1947) vi sono dei piani di thrust minori, che accomodano il pieagamento della
struttura anticlinalica. I rigetti da essi determinati sono inferiori ai 20 metri.
Si tratta di una piega, dunque, interessata da thrusts minori, connessi in parte al
tentativo di propagazione verso livelli più superficiali delle superfici di dislocazione
compressiva.
Come si può notare dalla foto panoramica commentata della parete orientale del
sottogruppo del Pizzo d’Intermesoli, sembra evidente che un sistema di fratture più
antico, connesso a fenomeni plicativi incipienti con vergenza antitetica sia stato piegato
dalla più giovane piega Monte Corvo-Corno Grande.
Lungo le pareti della Valle Venacquaro la Scaglia Bianca, a causa della buona
plasticità della litologia calcilutitica, ospita pieghe parassite tipo-Z, tipiche del fianco
diritto della piega anticlinale principale. Si tratta per la gran parte dei casi di pieghe
chevron inclinate o roveciate, aperte. Talora è possibile notare una transizione da pieghe
chevron a parallele in funzione del contrasto litologico tra i diversi strati.
Nella Sezioni II e III si può riconoscere la complessa struttura di accavallamento
che interessa la zona compresa tra Colle Ceraso e Prato Tondo-Colle dell’Asino.
Figura 67 – Valle Venacquaro. Pieghe parassite di tipo-Z all’interno della Scaglia Bianca sulla parete Orientale di Monte Corvo. Le Pieghe sono anticlinali inclinate asimmetriche con geometria da angolare parallela a curva. Talora si costituiscono dei mini-thrust sul fianco frontale immergenti 160°·25°
106
In questa zona vi è una sinclinale, antistante l’anticlinale rovesciata sopra
descritta. La piega è molto stretta e sovrascorre col fianco di ritto sulla successione
diritta della Laga per mezzo del thrust inferiore.
La sinclinale è dislocata in prossimità della zona di cerniera da una faglia
transpressiva immergente circa-Sud, che fa sovrapporre il fianco rovescio su quello
diritto. Questa faglia si raccorderebbe al thrust inferiore aumentando di inclinazione.
Essa passa infatti da 35° a 50°.
Il fianco diritto della sinclinale, che sovrascorre sulle arenarie della Laga, è
interessato da pieghe per propagazione di faglia, che si dipartono dal thrust inferiore.
Un piano dei piani di faglia ad esse collegate ha un rigetto minimo in senso dip-slip di
400 metri circa. Il Fianco diritto è costituito prevalentemente da terreni miocenici.
L’unità Laga è caratterizzata nella zona di Perlepara-Salse, che è 1 Km a Nord
di Colle dell’Asino, da una piega anticlinale asimmetrica retrovergente, che coinvolge le
arenarie della Laga. L’asse della piega passa a Sud di Pilone. La direzione dell’asse è
circa N70°E . L’anticlinale ha il fianco meridionale che immerge 170°·30° a Nord di
Colle Secco e 190°·60° a Colle dell’Asino.
L’unità Laga è interessata al suo interno da almeno due piani di faglia strike-slip
a cinematica trascorrente sinistra e da piani minori di sovrascorrimento orientati
longitudinalmente.
Molto probabilmente la struttura retrovergente è successiva alla struttura
anticlinale-sinclinale dell’unità Gran Sasso. Attraverso le ricostruzioni geometriche,
effettuate durante lo studio della sezione, si è concluso che il thrust inferiore è ripiegato
in prossimità di Prati Cantiere.
In caso contrario se esso avesse proseguito verso Nord con la giacitura sub-
orizzontale ricavata a Prati Cantiere, avrebbe tagliato down-section la Laga, immergente
195°·25°, in prossimità di Colle Secco. Tale condizione violerebbe i principi di
propagazione dei sovrascorrimenti.
Il thrust inferiore ha una geometria molto irregolare, definita da rampe e piani
poco inclinati. Questo piano tettonico concentra gran parte delle spinte compressive,
accomodando un rigetto di circa 2 Km.
107
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108
l letto di questo sovrascorrimento la Laga assorbe parte della deformazione attraverso la
formazione di strette pieghe anticlinali e sinclinali alla scala dell’affioramento. Tale
fenomeno è evidente in riva sinistra del Rio Arno tra il Monumento Cicchetti e il
Monumento Cambi. Gli assi di queste pieghe non sono mai paralleli tra loro,
suggerendo un trasporto tettonico a componente trascorrente.
Il contesto geologico attraversato dalla Sezione I tra Fonte Gelata e Piana
Grande, a Sud-Est di Prato Selva, sembra essere definito esclusivamente dal passaggio
anticlinale-sinclinale. Non pare esservi, infatti, alcuna interruzione tettonica da parte dei
sovrascorrimenti, che interessano la zona Colle dell’Asino-Pizzo d’Intermesoli.
Gli spessori per formazioni tra loro omologhe sono notevolmente maggiori di
quelli registrati ai Prati di Tivo. Essi raggiungevano spessori intermedi nell’area di
Colle dell’asino ma le notevoli complicazioni tettoniche sopra descritte non
permettevano di descrivere correttamente i caratteri stratigrafici delle Marne con
Cerrogna di quell’area. Lo spessore complessivo delle Marne con Cerrogna è di circa
700 metri nella zona del Rifugio del Monte (Rifugio del C.A.I. sito poco ad Ovest del
bordo occidentale della Carta Geologica rilevata).
Figura 69 – Visione tridimensionale della cartografia geologica della zona frontale. Il thrust superiore aumenta di rigetto verso Est. Il thrust inferiore ha la medesima funzione di rototraslazione antioraria, accomodando rigetti maggiori. Entrambi i sovrascorrimenti terminano ai bordi occidentali della carta.
109
AREA ORIENTALE L’area orientale è attraversata da quattro differenti transetti geologici.
La Sezione longitudinale VI ha orientazione N2°W e percorre contesti geologici
differenti tra loro, mettendo in luce il pattern di fagliazione transetensiva nel Settore
Sud, le complicazioni paleogeografiche liassiche e le geometrie compressive del Settore
Nord e della Porzione geografica settentrionale.
Il sistema di faglie normali, compreso tra il Rifugio Duca degli Abruzzi (quota
2338) e Acquare della Formica, è definito da tre faglie dirette ad angolo di immersione
relativamente più basso delle faglie a cinematica chiaramente transtensiva, che su di
esse si radicano.
La più esterna di queste affiora in prossimità del Rifugio sopramenzionato ed è
stata denominata Faglia Duca degli Abruzzi. Essa risalta facilmente all’occhio perché
marcata da un’evidente gradino morfologico che espone il piano di faglia, localmente
immergente 170°·65°. Il rigetto in questa località non supera i 70 metri. Poco più a Sud
gran parte dell’entità di dislocazione è assorbita dal sistema di faglie transtensionali ad
alto angolo, che insistono sulla faglia principale. Vi sono due faglie in particolare che
hanno accomodato il movimento. La prima, nascosta parzialmente dal detrito e sita
poco a sud del Duca degli Abruzzi, permette la sovrapposizione di Scaglia Bianca e
Cefalone Fm. sui terreni giurassici della Corno Piccolo Fm. Il rigetto è dunque di circa
850 metri. Essa affiora a Passo del Lupo (quota 2156) con giacitura 150°·75° ed
immerge 120°·80° a quota 2300 sul sentiero che sale al Duca degli Abruzzi da Campo
Figura 70 – Faglia Duca degli Abruzzi, quota 2338. Il Sud è a sinistra. È evidente il gradino morfologico in prossimità della plaga effimera di neve, appoggiata al piano di faglia, che immerge 170°·65°. Al tetto vi sono i Calcari Diasprigni Detritici. Al footwall affiora la Corno Piccolo Fm.
110
Imperatore. La seconda affiora a Fonte Pratoriscio, dove mette a contatto i terreni
miocenici delle Marne con Cerrogna e Calcareniti Glauconitiche con le calciruditi a
rudiste della Cefalone Fm.. Il rigetto è qui di circa 700 metri. La Faglia Duca degli
Abruzzi raggiunge così a causa del trasferimento del rigetto una dislocazione
complessiva di circa 1600 metri.
Come evidente dalla Carta Geologica e dalla Sezione VI anche in questa zona
esistono complicazioni strutturali, probabilmente ereditate dalla tettonica mesozoica.
Durante la costruzione delle sezioni sono state ipotizzate riattivazioni parziali di piani di
faglia più antichi e terminazioni del rigetto.
Nel complicato contesto tettonico che interessa l’area a Nord dei Tre Valloni
alcune di queste superfici tettoniche ad alto angolo sono sta interpretate come faglie
antitetiche, i cui rigetti sono compresi tra 40 e 100 metri circa.
La faglia centrale tra quelle a più basso angolo è quella che passa per i Tre
Valloni. Il rigetto ad essa connesso è di 300 metri circa nella Sezione VI mentre tende a
diminuire in prossimità della ex Stazione intermedia della Funivia, dov’è di circa 90
metri nella Sezione IV. Anch’essa è dunque connessa alla tettonica transtensiva.
La Faglia Assergi-Valle Fredda è quella più interna e meridionale tra quelle ad
angolo relativamente più basso ed è fortemente suddivisa in più segmenti. Uno di questi
affiora in un canalone sito a 500 metri circa ad Ovest della ex Stazione intermedia della
Funivia con giacitura 195·65°. Essa è preceduta da una fascia di rocce fortemente
fratturate, spessa circa 100 metri. Il blocco di tetto è completamente sepolto al di sotto
del detrito ed il rigetto non è di conseguenza esattamente calcolabile con i dati di
rilevamento. Secondo D’AGOSTINO et Alii (1998) l’entità di dislocazione è di circa 1000
metri.
È interessante notare l’equidistanza tra i tre sistemi di faglia, che definisce
blocchi spaziati di circa 1,5-2 Km.
Per completare la descrizione delle zone più meridionali in carta è indispensabile
lo studio della Sezione V, che è perpendicolare alla direzione media degli strati, essendo
orientata N30°W. Questo piccolo transetto ha la funzione di raccordare la descrizione
delle strutture dell’area occidentale con quelle descritte in questo paragrafo. L’elemento
tettonico principale è rappresentato dalla monoclinale del sottogruppo del Pizzo
Cefalone, dislocata lungo il Vallone della Portella dalla Faglia Duca degli Abruzzi
170°·55°
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112
Un secondo sistema di faglie, riconducibile a quello di Fonte Pratoriscio, è
definito da due differenti set di faglie, quelle immergenti circa 190°·75° e quelle a forte
componente strike-slip con immersione 105°·75°. Queste ultime sono sottolineate a Sud
di Fonte Portella tra quota 1900 e quota 1800 da gradini di faglia alti anche 1,5 metri,
associati a forte fratturazione. L’insieme dei dati suggerisce un’attività tettonica recente.
Il sistema di Fonte Pratoriscio sembra dipartirsi dalla Faglia Duca degli Abruzzi
intorno a quota 400, accumulando un rigetto di circa 1000 metri. Esso rappresenterebbe
dunque uno splay della faglia principale.
Una seconda faglia, immergente 170°·55°, è connessa al sistema di Fonte
Pratoriscio. Essa disloca 500 metri circa di successione, facendo sovrapporre la Scaglia
Bianca alla Maiolica. La Faglia dei Tre Valloni si radica su di essa. A Sud della
Stazione intermedia della vecchia funivia quest’ultima registra un rigetto di circa 90
metri.
Ad una prima osservazione le faglie dirette sembrano faglie inverse ad altissimo
angolo. La rotazione degli strati del blocco di tetto favorisce quest’effetto. Numerose
Figura 72 – Visione tridimensionale del sistema di faglie transtensive riconducibili alla Faglia di Campo Imperatore. Il sistema di faglia più esterno è la Faglia Duca degli Abruzzi. Quello intermedio, che fa sovrapporre le Marne con Cerrogna alla Cefalone Fm. è il sistema di Fonte Pratoriscio. Il sistema più interno è quello dei Tre Valloni. La Faglia di Assergi-Valle Fredda borda la struttura a SSW.
113
evidenze cinematiche e morfologiche dimostrano invece che si tratta di un sistema di
faglie transtensionali ad alto angolo, radicate su faglie dirette ad angolo relativamente
più basso e cinematica tendenzialmente dip-slip. Le maggiori entità di dislocazione si
esercitano sulle faglie ad alto angolo. Il trasferimento del rigetto avviene lungo il
contatto con le faglie, dalle quali esse si dipartono.
Per descrivere la geologia di Campo Pericoli è necessario seguire il tracciato
della Sezione VI. Tra la Faglia Duca Degli Abruzzi e la Faglia delle Tre Selle affiorano
quasi esclusivamente terreni giurassici, alle spese dei quali si articola un’interessante
sistema di faglie sintetiche ed antitetiche ad alto angolo. I rigetti sono solitamente
inferiori a 30 metri. Fa eccezione un piccolo graben, morfologicamente evidente,
leggermente asimmetrico, largo 400 metri, sviluppatosi alla base dei contrafforti
meridionali di Campo Pericoli. Le faglie ad esso bordiere hanno infatti rigetti
nell’ordine dei 100 metri. Questo graben fu riempito parzialmente alla fine dell’ultima
glaciazione da coltri moreniche spesse fino a 30 metri. È questa la zona in cui i depositi
tardo-glaciali sono più importanti.
Campo Pericoli è interessato da due principali sistemi di faglie ad alto angolo,
che definiscono una struttura a domino. Un primo con direzione N55-70°E ed un
secondo N35-60°W. A questi si aggiungono alcune faglie ad orientazione 5-15°E.
La Sezione VI interseca la Sezione IV a Campo Pericoli. Quest’ultima ha
orientazione N55°W. Essa è stata tracciata per cercare di definire il top del Calcare
Massiccio. In corrispondenza del punto d’intersezione è stata effettuata la contro-
verifica dei dati acquisiti, confrontando i dati dei due transetti geologici.
L’analisi di facies e il riconoscimento delle strutture tettoniche aiutano a
vincolare l’ipotesi di struttura tettonica, che descriva sinteticamente l’area di Campo
Pericoli e le località circostanti. Diversi dati geologici raccolti, spessori e facies in
primo luogo, e di letteratura concorrono a delineare una struttura rialzata liassica in
corrispondenza di Monte Aquila.
A NW di località Fontari (quota 2200 circa) Corniola e Verde Ammonitico, a
causa degli spessori ridotti e delle facies presenti, rivelano caratteristiche intermedie tra
quelle pienamente “bacinali” e quelle di alto strutturale.
Risedimenti calcarenitici e pebbly-mudstones dimostrano l’instabilità del pendio
e l’esposizione a sedimentazione torbiditica. Tali condizioni non sono tipiche di un’alto
strutturale.
114
Il top del Verde Ammonitico è interessato però da lacune nella sedimentazione,
testimoniate dai noduli di limonite centimetrici e dalle tracce di bioturbazione.
L’insieme dei dati sovraesposti dimostrerebbero la persistenza dell’area
meridionale di Campo Pericoli in condizioni batimetriche rialzate, rispetto a quelle che
caratterizzano le spesse successioni liassiche, ricche in risedimenti calciruditici,
affioranti per esempio lungo il Vallone della Portella, dove lo spessore della Corniola è
di circa 600 metri o alla Valle dei Ginepri dov’è di 400 metri minimo.
Al fine di far concordare i dati ricavati nelle sezioni I e II dell’area occidentale
con quelli della sezione IV e VI dell’area orientale, è stata attribuita alla Corniola una
potenza di 450 metri circa per l’area poco a Nord delle Capanne. Si tratta di uno
spessore pienamente bacinale.
Nella sezione IV è stata tracciata una paleo-faglia giurassica tra la zona a Nord
delle Capanne e Campo Pericoli. Quest’elemento tettonico è strutturalmente correlabile
con la Faglia del Passo del Cannone (sensu CALAMITA et Alii, 2004), che come già
accennato nel Capitolo 3 “Assetto Geologico del Gran Sasso d’Italia”, separa il settore
Figura 73 – Foto panoramica commentata dell’assetto geologico del Corno Grande-Corno Piccolo. Sono ben evidenti le eredità strutturali liassiche soprattutto nella porzione settentrionale del sottogruppo. La Faglia delle Tre Selle ribassa il blocco meridionale durante il pleistocene.
115
bacinale della Valle dei Ginepri-Val Maone da quello rialzato Corno Grande-Primo
Scrimone
La Faglia del Passo del Cannone costeggia infatti la Valle dei Ginepri
permettendo l’approfondimento bacinale intra-liassico del blocco settentrionale. La
faglia prosegue al di sotto della Val Maone. Essa è presente nuovamente a quota 1880
poco a Nord della Faglia delle Tre Selle, dalla quale è troncata e rigettata. La Faglia del
Passo del Cannone è un elemento tettonico ereditato, che non affiora in questa zona con
un chiaro piano di faglia. La sua esistenza è però fortemente suggerita dall’intensità
della fratturazione e dall’orientazione del pattern di fratturazione, nonché dall’analisi di
spessori e facies, che differenziano il “blocco di alto” del Primo Scrimone-Corno
Grande da quello bacinale della Valle dei Ginepri-Val Maone.
L’esistenza di quest’ultimo blocco bacinale ha vincolato con molta probabilità la
diffusione dei flussi di massa giurassici, permettendo la deposizione di potenti spessori
di calciruditi a coralli. La Corno Piccolo Fm., come visto nel paragrafo riguardante
l’area occidentale articola il fondale medio giurassico in funzione della paleogeografia
ereditata e della distribuzione dei flussi. Le medesime variazioni di spessore interessano
anche l’area orientale. La Formazione ha una potenza di 180 metri circa ai limiti
occidentali della Sezione IV. L’approfondimento verso NW è lievemente graduale a
Campo Pericoli mentre aumenta bruscamente verso la Val Maone dove supera
probabilmente i 550 metri. Il rigetto transtensivo del sistema di faglie delle Tre Selle ha
dislocato dunque la Faglia di Passo del Cannone in corrispondenza di Campo Pericoli,
dove è sepolta al di sotto delle formazioni medio giurassiche.
La geometria desunta avvalora ipotesi della interazione persistente tra le
strutture liassiche e quelle successive. I valori di subsidenza dovevano essere, infatti,
nettamente inferiori nella zona di Campo Pericoli rispetto a quelli del Venacquaro.
La collina di 2244 metri, sita in Campo Pericoli poco a lato delle sezioni IV e
VI, ospita, come già esposto nel Capitolo stratigrafico, particolari contatti stratigrafici,
indicativi di una sedimentazione ridotta e soprattutto lacunosa fino al Paleogene medio.
La Maiolica immerge 10°·40°. Essa affiora ben stratificata e ricca di ossidi di
ferro, concentrati in noduli e diffusi, che le conferiscono una colorazione arancione. Tali
caratteristiche sono riconducibili anche a fenomeni diagenetici di dolomitizzazione in
condizioni riducenti. Ha uno spessore ridotto inferiore a 25 metri. Queste sono alcune
delle condizioni tipiche della Maiolica che sigilla gli alti strutturali umbro-marchiggiani.
116
A Campo Pericoli tra la Maiolica e le calciruditi a macroforaminiferi, riferibili
alla Fonte Gelata Fm., anch’esse mal stratificate ed immergenti circa N·35°, sono
frapposti circa 2 metri di calcareniti e calciruditi cretaciche mal stratificate.
La descrizione di quest’affioramento è inedita. Data la sua importanza sarebbe
necessario uno studio paleontologico di dettaglio, che vincoli con certezza i limiti delle
lacune sedimentarie, qui sommariamente riconosciute e cartografate.
Dopo aver ricostruito ed interpolato tutti i dati geologici a disposizione nella
Sezione IV, si può evincere la chiusura geometrica in pinch-out verso Sud-Est delle
formazioni bacinali. Tale chiusura è estremamente pronunciata per le formazioni ricche
in facies calciruditiche ed in particolar modo per le formazioni cretaciche post-Maiolica.
La sezione VI intercetta la Faglia delle Tre Selle alla base del ripidissimo
versante meridionale del Primo Scrimone. In prossimità della Sella di Corno Grande la
Faglia delle Tre Selle si dirama in tre superfici tettoniche, creando due blocchi ribassati.
Quello più interno tra questi è costituito da Calcare Massiccio estremamente fratturato
Figura 74 – Campo Pericoli. In primo piano vi è la collina di quota 2224, che ospita una successione lacunosa. La Maiolica dolomitizzata e ad ossidi di ferro, poggia in discordanza su i Calcari Diasprigni Detritici. Tra le calciruditi oligoceniche e le calcilutiti della Maiolica vi è un sottile spessore di calcareniti cretaciche, attribuite alla Cefalone Fm.. Sulla vetta occidentale del Corno Grande affiora il riempimento del filone sedimentario costituito da termini, riferibili alla Monte Corvo Fm.. Il sistema di faglia delle Tre Selle genera un piccolo blocco ribassato di Corniola e Calcare Massiccio.
117
ricoperto da sottili plaghe di Corniola giallastra, estremamente dolomitizzata. Esso
affiora a Nord della Sella di Corno Grande. Non è da escludere che l’origine di questo
“gradino tettonico” sia da ricondurre alla strutturazione liassica piuttosto che a quella
pleisto-olocenica. La faglia che lo delimita a Sud è sub verticale. Il rigetto alla base del
Primo Scrimone, dove il blocco ribassato più interno non esiste è di circa 900 metri
mentre è di circa 650 metri poco più a Est in prossimità della Sella di Corno Grande.
Il versante Nord del Primo Scrimone ospita un sottile velo di Corniola
dolomitizzata, discordante sul Calcare Massiccio. Un sistema di faglie dirette
immergenti 170°·70° e 165·65° passa lungo la Sella del Brecciaio, ribassando il blocco
del Primo Scrimone e raccordandosi in profondità con la Faglia delle Tre Selle. Questa
superficie tettonica è la più esterna e suddivide il Primo Scrimone in due blocchi. Essa è
definita da un evidente gradino morfologico, suggerendo l’interazione con la Faglia
delle Tre Selle, che è un sistema unanimemente riconosciuto come attivo. La superficie
di faglia è continua su tutto il versante Nord di Corno Grande. Il rigetto ad essa
connesso decresce verso Est, contribuendo a comprovare la cinematica transtensiva
dello stesso. La transtensione è collegata con la variazione di direzione della sezione e
con le anisotropie ereditate dalla tettonica liassica.
La struttura
Corno Grande-Primo
Scrimone è
evidentemente un
alto strutturale
giurassico, articolato
da sistemi di faglie
orientate E-W e
N75°E. La gran parte
di queste faglie ha
un’origine
chiaramente
mesozoica che
disarticola la struttura
impedendo la
formazione di una zona pianeggiante sommitale tipica delle Piattaforme Carbonatiche
Pelagiche (sensu SANTANTONIO, 1993).
Figura 75 – Ghiacciaio del Calderone, quota 2850. Sulla destra, poco sopra il ghiaccio vi è il filone paleocenico in facies tipica della Scaglia Rossa pelagica. Esso è spesso circa 2 metri ed incassato con geometria anastomosata nel Calcare Massiccio, fratturato e trasversalmente attraversato da sottili (20 cm.) filoni di Corniola in facies dolomitica.
118
Il blocco di footwall è attraversato da filoni di Corniola dolomitizzata giallastra,
ampli anche 1,5 metri. Essi registrano una continuità variabile tra 100 e 300 metri.
Spiccano per il contrasto litologico e di colore. La loro orientazione è sub-parallela a
quella della Faglia di Passo del Cannone. Lungo il sentiero “normale” che conduce alla
Vetta Occidentale affiorano anche filoni di Verde Ammonitico, molto meno spessi
(massimo 20-30 cm) di quelli di Corniola.
Il Corno Grande persiste in una condizione di alto strutturale probabilmente fino
al Paleocene quando il Calcare Massiccio del Corno Grande, sottoposto a tettonica
tensionale, si apre con delle fratture beanti, che permettono l’infiltrazione di marne a
micro-foraminiferi planctonici e brecce di riempimento. Il filone più facilmente
accessibile è quello esposto tra la Vetta Occidentale (2912 m.) e la testata del
Ghiacciaio del Calderone. Esso è orientato circa NNE-SSW. In quest’ultima località il
filone ha un aspetto rosato-versastro, mostrando una componente marnosa più elevata.
Lo spessore è di circa 2 metri ed ha una geometria anastomosata.
Sulla Vetta Occidentale lo stesso filone è in facies conglomeratica. La distanza
tra le due pareti del filone qui è di 10-12 metri circa. Si tratta di un filone strato a
Figura 76 – Vetta occidentale del Corno Grande quota 2914 (secondo moderne misure topografiche). Il martello è posizionato nella parte centrale del filone di color rosa. È evidente la stratificazione interna del filone che presenta colore e caratteri geologici simili ai due lati. La vetta e la porzione giallastra a sinistra della foto sono costituite da brecce tendenzialmente grano sostenute. Le porzioni verdastro rosate in posizione centrale sono caratterizzate da tessiture tendenzialmente fango sostenute ad intraclasti bacinali arrotondati. La quasi totalità dell’affioramento è inclusa in questa foto.
119
composizione simmetrica. La composizione infatti varia allo stesso modo lungo i due
bordi, muovendosi verso il centro del filone, che è composto da marne verdi e rosate a
clasti arrotondati. La tessitura nella parte centrale del filone è simile a quella di un
pebbly-mudstone, essendo i clasti di composizione simile a quella della matrice.
Spostandosi verso i bordi del filone, aumenta la componente clastica e la spigolosità dei
clasti stessi. Si tratta in questo caso di una breccia poligenica ed eterometrica. I clasti
sono composti di frammenti di calcare ad oncoidi, riferibili al Calcare Massiccio delle
pareti incassanti, di calcare con selce, e di mudstones violacei arrotondati. La matrice di
questa zona intermedia è ricca di foraminiferi planctonici indicativi della transizione
K/T. Dall’analisi di alcune sezioni sottili si è provata la compresenza di globotruncanidi
e planctonici paleocenici.
La matrice delle parti più esterne del filone è invece dolomitizzata e
relativamente più scarsa, rispetto a quella marnosa delle porzioni più interne fango-
sostenute. Le pareti incassanti sono costituite da calcari a bird-eyes fortemente fratturati.
La congiungente Corno Grande-Corno Piccolo è attraversata dalla Sezione VII,
ed è orientata N 20°W perpendicolarmente alla direzione media della successione
stratigrafica dell’unità Gran Sasso (sensu CALAMITA et Alii, 2004).
Si tratta della sezione più orientale dell’area di studio. Essa descrive la geologia
del sotto-gruppo Corno Grande-Corno Piccolo e dei Prati di Tivo.
Gli elementi tettonici principali sono strettamente connessi alla migrazione verso
NE della piega sulla rampa transpressiva di sovrascorrimento, nota come thrust
superiore, che permette la roto-traslazione dell’anticlinale del Corno Grande-Corno
Piccolo sulla successione rovesciata dell’unità intermedia (sensu CALAMITA et Alii,
2004), il cui rigetto è crescente nelle zone orientali.
Nell’unità di footwall a contatto con il thrust superiore le litologie marnose delle
formazioni di Fonte Gelata e Venacquaro hanno risposto all’evento tettonico, generando
strutture S/C molto strette. A quota 2050 poco sotto il thrust i piani C sono paralleli a
quelli di stratificazione ed immergono 175°·41° mentre i piani S immergono 230°·55°.
A quota 2030 all’interno dei mudstones marnosi della Venacquaro Fm. i piani C
immergono 180°·45° ed i piani S 215°·60°.
120
Il thrust superiore immerge 260°·50° nell’esposizione di Valle dell’Inferno, una
delle zone più orientali in carta. In questa località la Dolomia Principale sovrascorre
sulla Corniola ed il Verde
Ammonitico che immergono
280°·30°.
L’unità di tetto (unità
Gran Sasso) ospita la parte più
antica della successione, che è
costituita quasi esclusivamente da
terreni triassici e giurassici,
fortemente interessati dagli effetti
della strutturazione liassica. I
filoni sedimentari di Corniola
dolomitizzata e Verde
Ammonitico sono tra gli effetti
secondari, legati alla distensione
Figura 77 – Prati di Tivo 3° Canalone da destra guardando da Nord, quota 2050. La Venacquaro fm. appartiene alla successione rovesciata dell’unità intermedia ed è fortemente disturbata dalla propagazione del thrust superiore. Sono evidenti le strutture sigmoidali generate dal flexural slip delle litologie marnose. I piani S immergono verso destra cioè a 215°·60°.
Figura 78 – Vista del Corno Grande da Vaduccio (Sud). Il thrust superiore è sulla seconda cengia da destra, in corrispondenza della quale affiora il Verde Ammonitico.
121
liassica. Essi hanno due set principali di giacitura: un primo a direzione E-W, insiste
soprattutto nell’area compresa tra Conca degli invalidi e Passo del Cannone dove
immerge 180-190°·60-75°; un secondo trasversale ha giacitura 110-120°·70-85° ed è
stato rilevato sulla via normale per la Vetta Occidentale tra quota 2450 e 2650.
Tra la Faglia delle Tre
Selle e la Sella dei Due Corni la
successione è circa
monoclinalica. La sezione VII
intercetta la Faglia di Passo del
Cannone a quota 2679. Essa ha
giacitura sub verticale 185°·85°,
dislocando il blocco
settentrionale. Si tratta di una
paleo-faglia liassica ruotata dalla
tettonica cenozoica, che ribassa il
blocco settentrionale, sul quale gli
spesso di Corniola sono maggiori.
Essa appoggia in onlap sul
Calcare Massiccio a tetto e al letto della faglia stessa, sigillando così la struttura. Il
contatto è, come argomentato nel capitolo stratigrafico, tipico delle paleo-scarpate
giurassiche dell’Appennino centro-settentrionale. Non è da escludere una riattivazione
della stessa durante il Toarciano. Poco a Sud di Passo del Cannone sono presenti,
infatti, filoni di Verde Ammonitico immergenti 195°·60°. Questo dato potrebbe indicare
una prosecuzione delle ultime fasi di strutturazione del bacino fino al Lias superiore.
Nel dominio umbro-marchigiano esse invece terminano nel Carixiano Medio
(SANTANTONIO, 1996).
La Sezione VI intercetta la Faglia di Passo del Cannone alla Valle dei Ginepri.
In questa località la Corniola raggiunge uno spessore minimo di circa 400 metri ed è
ricchissima di risedimenti dolo-ruditici.
Nel capitolo stratigrafico è menzionato il contatto in onlap che permette la
sovrapposizione della Corniola bacinale sul Calcare Massiccio, appartenente al blocco
ribassato Val Maone-Valle dei Ginepri. Il Calcare Massiccio immerge circa 20°·15°.
Esso è fratturato ed attraversato da filoni sottili e a geometria anastomosata. Essi sono
sub paralleli alle faglie in affioramento, che immergono 30°·75° e 60°·82°. La Corniola
Figura 79 – Località poco a Nord di Passo del Cannone, quota 2650. Contesto di paleo scarpata liassica. Onlap di Corniola dolomitizzata sul Calcare Massiccio silicizzato.
122
immerge 25°·48°. È importante notare che non è comune ritrovare in Appennino
l’esposizione del “basso strutturale”.
Sullo stesso blocco ribassato, in corrispondenza della Sella dei Due Corni vi è
una successione di Corniola a sedimentazione normale pelagica, povera di risedimenti e
con uno spessore totale inferiore ai 100 metri.
Anche il Verde Ammonitico presenta in questa località anche facies nodulari e
spessori ridotti rispetto a quelli mostrati alla Valle dei Ginepri.
L’insieme dei dati geologici suggerisce dunque un approfondimento
differenziale in corrispondenza della Valle dei Ginepri con una chiusura in pinch-out
verso oriente delle formazioni bacinali liassiche.
Sul fianco settentrionale della Valle dei Ginepri è ben esposto il thrust superiore,
che ha una geometria a rampe e piani meno inclinati ed un rigetto di 550 metri circa.
Esso immerge 170°·30° in prossimità dei Prati di Tivo, 170°·20° a mezzacosta e
170°·35° verso la Grotta dell’Oro. In questa zona non vi sono evidenze cinematiche sul
piano di sovrascorrimento, che aiutino a comprendere la direzione di trasporto tettonico.
L’unità intermedia, al letto del thrust superiore, è interessata da complicazioni
tettoniche e stratigrafiche. Le prime tra queste sono ben esposte sulla parete in riva
destra del Rio Arno poco a Nord delle Coste del Calderone.
In questa località infatti l’attività del thrust superiore ha generato un “truciolo
tettonico” di Corno Piccolo, rimasto indietro durante il sovrascorrimento. Altre strutture
secondarie sono rappresentate da thrusts a basso angolo, che interessano la successione
rovesciata.
È evidente inoltre la presenza di un horse definito dal sovrascorrimento in flat
della Cefalone Fm., sulla Scaglia Bianca, che resta in giacitura sub-verticale.
Alcuni retro-scorrimenti, di entità non cartografabile, sono presenti in prossimità
delle Cascate del Rio Arno. Essi aiutano a ricostruire la cinematica di azione ed
interazione tra i thrusts.
La serie rovesciata, anche se tettonicamente disturbata in piccola scala, è
praticamente continua dalla Maiolica Fm. alla Laga Fm., che appoggia con discordanza
angolare sulle Marne ad Orbulina.
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124
Il verso della successione
è opportunamente suggerito
anche da alcune evidenze
tettoniche di minor importanza,
quali sono le strutture S/C,
incluse all’interno delle Marne
con Cerrogna. I piani C sono
paralleli a quelli di stratificazione
ed immergono 180-190°·50°. I
piani S invece immergono
210°·25°. Nello stesso
affioramento vi sono anche pieghe decimetriche parassite del tipo S molto strette.
Le complicazioni stratigrafiche dell’unità intermedia sono abbastanza evidenti
in carta. Alcune formazioni bacinali come la Fonte Gelata Fm., infatti , si rastremano
verso Est, variando di facies e spessore. Le calciruditi caratterizzano con continuità la
Formazione nella località tipo di Fonte Gelata, sulle esposizioni in riva destra della
Valle del Rio Arno e all’altezza del secondo canalone dei Prati di Tivo. In
corrispondenza del Terzo Canalone da Ovest, i litotipi dominanti sono rappresentati da
mudstones pelagici sottilmente stratificati a microforaminiferi planctonici paleogenici.
L’unità intermedia è disturbata in prossimità del passaggio stratigrafico Marne
ad Orbulina-Laga, ed in particolar modo all’interno delle Marne con Cerrogna Fm. da
un piccolo thrust, che immerge 212°·27°. In corrispondenza di questa località i rigetti
sono nell’ordine dei 20-30 metri e tendono ad aumentare verso Est.
Il thrust inferiore, è il più esterno e strutturalmente più basso tra quelli in
affioramento. Esso mette a contatto la successione rovesciata dell’unità intermedia con
quella diritta dell’unità Laga. Non esiste un affioramento indicativo per questa
superficie tettonica nell’area orientale, perché è sepolta in gran parte dal detrito e dalle
Calciruditi Quaternarie, che lo suturano. Essa permette la sovrapposizione delle arenarie
della Laga appartenenti a due diverse unità tettoniche. Il ruolo di questo piano di
sovrascorrimento è di fondamentale importanza per spiegare l’overthrusting della
struttura meso-cenozoica sull’unità Laga. L’unità di tetto (unità intermedia) sovrascorre
utilizzando una rampa a basso angolo (10° circa). Le arenarie dell’unità intermedia
Figura 81 – Sentiero Prati di Tivo-Sorgenti del Rio Arno, quota 1450. Strutture S/C nelle Marne con Cerrogna.
125
immergono 195°·65° a S-E di Fonte Cristiania e 205°·55° ad Ovest di Bosco San
Nicola. Le arenarie al letto del thrust inferiore, in successione normale, immergono
210°·45° in prossimità dell’Albergo Diruto a quota 1830. Si può supporre dunque che il
sovrascorrimento immerga 205°·50°, utilizzando il piano assiale della sinclinale.
Nella descrizione strutturale dell’area occidentale abbiamo visto come il thrust
inferiore permette la sovrapposizione del fianco diritto della sinclinale di ritorno
dell’unità Gran Sasso sull’unità Laga. In quel contesto l’unità intermedia è inclusa
all’interno dell’unità Gran Sasso, perché a causa della terminazione del rigetto del
thrust superiore a Nord di Grotta dell’Oro, non è definibile come unità tettonica, non
essendo integralmente delimitata a tetto e a letto da superfici tettoniche..
Nell’area orientale invece la sinclinale è sopravanzata dall’anticlinale per mezzo
del thrust inferiore, facendo così sovra scorrere il fianco rovescio dell’anticlinale sulla
successione diritta dell’unità Laga. La successione rovesciata rappresenta il fianco
frontale della piega anticlinale Corno Grande-Monte Corvo. Dato che il thrust superiore
taglia completamente la successione rovesciata affiorante, è possibile definire un’unità
intermedia in sovrascorrimento sull’unità Laga.
L’area compresa tra Pietracamela e i Prati di Tivo è dominata da una spessa
successione miocenica, interessata da faglie strike-slip e dirette, legate alla
strutturazione rispettivamente orogenica e post-orogenica del Montagnone e del Gran
Sasso. L’intera successione è ricoperta da imponenti coltri detritiche e dalle Calciruditi
Quaternarie dell’Arapietra e di Pietracamela.
Il contatto tra Laga e Marne con Cerrogna, presente lungo la strada che conduce
ai Prati di Tivo, sembra essere tettonicamente disturbato e sede di intensa
sedimentazione detritica. Dall’analisi delle giaciture è confermata la discordanza
angolare, che vede le arenarie delle Laga Fm. poggiare in onlap sulle Marne ad
Orbulina. La giacitura della Laga è infatti sub-orizzontale mentre le Marne con
Cerrogna immergono mediamente 320°·25°.
L’ipotesi del disturbo tettonico è riconducibile alla presenza di una faglia,
immergente 215°·75° caratterizzata da lineazioni transtesive destre sullo specchio di
faglia, a quota 1575 lungo la strada che conduce al parcheggio di Cima Alta ed alla
mancanza di affioramenti di Marne ad Orbulina. Non è da escludere la presenza di
queste al di sotto delle coperture più recenti.
126
In corrispondenza del parcheggio di Cima Alta il disturbo tettonico è reso
evidente dalla deviazione sub parallela alla faglia della direzione degli strati al top delle
Marne con Cerrogna.
Poco a Sud l’unità Laga s’immerge al di sotto dell’unità intermedia. Il top delle
Marne con Cerrogna, che costituisce l’ultimo affioramento, generatore di un buon dato
di giacitura, segna un’immersione di 165°·30°.
In prossimità di Fonte Tassete a quota 1375 una faglia mette a contatto il blocco
settentrionale in associazione di facies pelitico arenacea con il blocco meridionale
prevalentemente arenaceo. Non vi sono indicatori cinematici di rilievo. Potrebbe
trattarsi di una faglia diretta ad alto angolo intraformazionale, che abbia riutilizzato le
faglie trascorrenti sin-orogeniche (tear faults) orientate N70-80°E.
127
5. EVOLUZIONE TETTONO-STRATIGRAFICA
In questo Capitolo sarà proposta una spiegazione sintetica dell’evoluzione
tettono-stratigrafica del Fianco occidentale del Gran Sasso d’Italia, formulata sia sulla
base dei dati strutturali e sedimentologici raccolti sul terreno, sia tenendo in conto gli
Studi preesistenti.
La successione sedimentaria del Gran Sasso d’Italia mostra evidenti affinità con
quella umbro-marchigiana, pur essendo fortemente influenzata in termini di proprietà
litologiche, paleontologiche, sedimentologiche e geometriche dai risedimenti
provenienti dai margini della piattaforma laziale-abruzzese.
Lo spessore complessivo medio della serie meso-cenozoica, esposta nell’area
rilevata, supera 3500 metri esclusa la Laga, di cui circa 1200 metri sono caratterizzati da
terreni triassico-liassici di piattaforma. Il tasso di sedimentazione medio, calcolato per le
formazioni bacinali presenti nel blocco di hangingwall della Faglia delle Tre Selle, è di
1,23 cm/Ka circa. Tale dato è da correggere per il tasso medio di compattazione dei
depositi di base-of-slope.
DAL TRIAS SUPERIORE AL LIAS Dall’Hettangiano superiore, secondo PASSERI & VENTURI (2005), le porzioni
occidentali e settentrionali della piattaforma del Calcare Massiccio dell’area toscana e
umbro-marchigiana, iniziano ad annegare progressivamente.
Il medesimo evento interessa evidentemente il dominio marchigiano-abruzzese.
Il passaggio dalla monotona successione di grainstone–packstone dolo–arenitici
ai calcari, organizzati in ripetizioni ritmiche di cicli peritidali del Calcare Massiccio,
dimostra che la produzione carbonatica nell’Hettangiano superiore riusciva a
compensare il tasso di subsidenza. Il tasso di sedimentazione medio calcolato, riferibile
alle formazioni della Dolomia Principale e del Calcare Massiccio è di 26 cm./Ka circa.
L’ambiente di sedimentazione resta in regime neritico di piattaforma sino al
Sinemuriano inferiore. Durante quest’arco di tempo si registra una sedimentazione
ciclotemica tipica dei tidal flat di stampo bahamiano. Non sono state rinvenute chiare
facies di soglia, che potessero indicare ambienti aperti a scambi d’acqua con differenti
caratteri chimico-fisici (basse temperature, bassa salinità, maggiori quantità di nutrienti,
ecc.).
128
Nel Sinemuriano inferiore ebbe luogo l’annegamento, probabilmente rapido,
della piattaforma carbonatica affiorante al Gran Sasso d’Italia. I terreni interessati da
questo importantissimo evento affiorano sul sottogruppo Corno Grande-Primo
Scrimone, a Monte Aquila e sul versante Sud di Pizzo Cefalone.
Le cause dell’annegamento delle piattaforme carbonatiche sembrano determinate
da una multifattorialità. SCHLAGER (1981) afferma che la prevalente componente
tettonica locale è amplificata da variazioni, talora brusche, delle condizioni ambientali,
come l’ingressione di acque con diversi parametri chimico-fisici, ed ecologiche, come
ad esempio l’assenza di organismi costruttori di reefs. Tali sconvolgimenti comportano
il blocco definitivo della produzione carbonatica neritica in situ. L’annegamento è
testimoniato dal passaggio da litofacies neritiche di piattaforma del Calcare Massiccio
alle litofacies pelagiche e risedimentate della Corniola.
L’assetto strutturale Sinemuriano superiore era organizzato in blocchi basculati
da faglie rotazionali, orientate attualmente E-W. Un sistema minore era orientato circa
N-S. La fisiografia del fondale liassico inferiore era definita da almeno tre zone rialzate.
Tra queste vi è la zona di Monte Aquila, che è ai bordi dell’area di studio e quindi sarà
soltanto mesionata; l’alto strutturale di Acqua San Franco, che sarà sigillato
completamente già nel Toarciano; il Corno Grande che resta un “alto persistente” a
sedimentazione nulla o condensata verosimilmente per tutto il mesozoico. Il blocco
rialzato Corno Grande-Primo Scrimone è delimitato a Nord dalla Faglia del Passo del
Cannone, che costeggia la Valle dei Ginepri, permettendo l’approfondimento bacinale
intra-liassico del blocco settentrionale.
Una delle novità desunte dal lavoro di campagna consiste nel riconoscimento
della prosecuzione della Faglia sopranominata al di sotto della Val Maone. Essa è
presente nuovamente a quota 1880 poco a Nord della Faglia delle Tre Selle dalla quale
è troncata. La Faglia del Passo del Cannone è un elemento tettonico ereditato che non
affiora in questa zona con un chiaro piano di faglia. La sua esistenza è però fortemente
suggerita dall’intensità della fratturazione e dall’orientazione del pattern di
fratturazione, nonché dall’analisi di spessori e facies, che differenziano il “blocco di
alto” del Primo Scrimone-Corno Grande da quello bacinale della Valle dei Ginepri-Val
Maone.
I filoni sedimentari medio-liassici, presenti fino a quota 2850 sul Corno Grande
dimostrano che gran parte dell’alto doveva essere ricoperto almeno da un sottile
spessore di Corniola. Le classiche successioni condensate d’alto strutturale non
129
affiorano in alcun luogo durante l’intervallo Lias inferiore-Lias medio nonostante i bassi
tassi di sedimentazione, ricavabili dagli spessori esigui della Corniola dolomitica, che
poggia inconforme sul Calcare Massiccio.
Il rinvenimento di facies pelagiche condensate e mineralizzate a quota 2530 ad
Ovest di Corno Grande, riferibili al Verde Ammonitico o ai Calcari e Marne a
Posidonia della serie umbro-marchigiana, suggerisce l’ipotesi di una sedimentazione
condensata e lacunosa sul Corno Grande per un periodo compreso tra il Toarciano e la
base del Paleogene. L’insieme di queste caratteristiche appartiene ad una successione
pelagica composita, definita da un’associazione di scarpata in cui sono compresenti
depositi risedimentati e pelagico condensati.
Evidenze sedimentologiche e paleontologiche di produzione neritica di
piattaforma di età successiva al Sinemuriano inferiore, potrebbero esservi nella zona
delle controbalze ad Ovest di Acqua San Franco (Versante Sud di Pizzo Cefalone).
Attraverso l’uso di sistemi di imbracatura alpinistici si potrebbe approfondire
l’argomento effettuando uno studio stratigrafico più accurato della successione liassica,
che secondo ADAMOLI et Alii (1978) include il Calcare Massiccio B al top della serie di
piattaforma. Il membro B del Calcare Massiccio infatti si sviluppa sugli alti strutturali,
che persistono in una produzione carbonatica di piattaforma sino al Carixiano Medio.
Dai dati, che ho potuto ricavare durante la fase di rilevamento, si evinta la
progressiva variazione laterale di facies della Corniola lungo il settore ribassato
orientale e settentrionale.
L’assetto strutturale dell’alto di Acqua San Franco è stato definito con maggior
certezza rispetto a quanto pubblicato sulla carta geologica di GHISETTI & VEZZANI
(1991). Gli Autori ipotizzavano la presenza di un thrust ad alto angolo, senza annotare
le complicazioni paleogeografiche espresse anche dalle variazioni di facies dei depositi
medio-liassici della Corniola. La stessa superficie tettonica ha dimostrato di essere in
realtà una paleo faglia liassica ruotata. Il contesto tettono-stratigrafico proposto in
questo Lavoro concorda invece con la stratigrafia pubblicata da ADAMOLI et Alii
(1978). In Carta non è stato cartografato il Calcare Massiccio B in quanto non
direttamente osservato ma la sua presenza è fortemente suggerita dal contesto paleo-
strutturale, qui delineato per la prima volta.
L’alto di Acqua San Franco era definito da almeno tre settori depressi.
L’approfondimento del settore settentrionale è avvenuto mediante l’interazione tra
faglie dirette angolo relativamente più basso (65°) e faglie transtensive sub-verticali
130
radicate sulla prima, che ha creato una serie di gradini ribassati. Nella parte più
occidentale il rigetto sembra concentrarsi completamente su un unico piano di faglia,
permettendo la deposizione di circa 300 metri di Corniola a ridosso della paleo-
scarpata/paleo-faglia.
Le depressioni tettoniche liassiche sono caratterizzate da una associazione di
facies pelagica normale e risedimentata (SANTANTONIO, 1993), che si imposta su un
fondale articolato in un sistema di faglie dirette sintetiche. Questo contesto è ben
esposto alla Valle dei Ginepri ed in parte al Vallone della Portella. Un’altra area
pienamente bacinale, estrapolata dai dati raccolti in questo lavoro è sita ad Ovest delle
Capanne. Settori bacinali con caratteristiche intermedie tra i due end-members sono
esposti tra la Sella dei Due Corni e il Passo delle Scalette, e in corrispondenza di Campo
Pericoli. I bacini liassici tendono ad approfondirsi verso l’attuale NW.
La repentinità dell’annegamento dei blocchi ribassati dalla tettonica liassica
sarebbe comprovata dal carattere immediatamente pelagico della Corniola, in termini di
spessori e facies. Le litofacies dolo-calciruditiche e dolo-calcarenitiche sono infatti
intensamente dominanti ed poggiano in onlap sulla superficie di inconformità al tetto
del Calcare Massiccio anche nei “bassi strutturali”.
L’analisi di facies del contatto tra Corniola e Calcare Massiccio delle aree
ribassatte dimostra che anche gli ultimi strati del Calcare Massiccio sono in facies sub-
e inter-tidale. Questo contatto si qualifica come una drowning unconformity
(SCHLAGER, 1989).
La sorgente di alimentazione dell’apporto torbiditico può essere identificata in
un alto strutturale intra-bacinale, avente una produzione neritica di piattaforma o molto
più probabilmente nella vicina Piattaforma laziale-abruzzese.
Per la prima volta sono stati cartografati elementi descrittivi della paleo-scarpata
giurassica del Corno Grande e di Pizzo Cefalone identificate dai contatti inconformi tra
formazioni bacinali e di piattaforma, dalla silicizzazione del Calcare Massiccio, dalla
differenziazione deposizionale tra gli ambienti di alto e le corrispettive depressioni
bacinali.
Durante il Toarciano mentre l’alto di Acqua San Franco è definitivamente
sigillato, il Corno Grande sperimenta ancora una certa instabilità tettonica, suggerita dal
riempimento, riferibile al Verde Ammonitico, di molte fratture beanti. Si tratta di filoni
originatisi a seguito di una nuova attività tensionale.
131
L’area compresa tra Campo Pericoli e Monte Aquila è interessata
sporadicamente dall’instabilità gravitativa, che ha prodotto alcuni pebbly-mudstones
nella Corniola e nel Verde Ammonitico. Le fasi di sedimentazione sono alternate nel
Toarciano a quelle di scarsa o nulla sedimentazione, marcate dalla bioturbazione e dalla
produzione di noduli e croste di ossidi, limonite e pirite sulle superfici di strato in facies
nodulare.
L’analisi strutturale dell’area ha permesso di riconoscere un approfondimento
tettonico differenziale intraliassico tra l’area delle Capanne e Campo Pericoli.
L’interpretazione tettonica, esposta nella sezione 4, prevede dunque la prosecuzione
della Faglia del Passo del Cannone, troncata in corrispondenza della Faglia delle Tre
Selle alla Val Maone, e al di sotto delle porzioni più occidentali di Campo Pericoli.
La definizione di un contesto rialzato in corrispondenza di quest’ultima località è
in accordo con i dati raccolti nell’area occidentale della Carta Geologica e con le
interpretazioni strutturale su di essi elaborate.
La geometria desunta avvalora ipotesi della interazione persistente tra le
strutture liassiche e quelle successive. I valori di subsidenza dovevano essere
probabilmente inferiori nella zona di Campo Pericoli rispetto a quelli delle zone nord-
occidentali più ribassate.
DAL DOGGER AL CRETACEO INFERIORE La quasi totalità dell’area studiata è interessata dalla deposizione di calciruditi a
coralli, provenienti dai margini di piattaforma. Il contesto deposizionale, sul quale va a
depositarsi la Corno Piccolo Fm., è caratterizzato da una fisiografia dolcemente
articolata, dalla quale emerge esclusivamente il Corno Grande. I settori rialzati nel resto
dell’area sono riconoscibili in corrispondenza di Campo Pericoli, del Rifugio Duca
degli Abruzzi e di Pizzo Cefalone.
L’area del Corno Piccolo è relativamente rialzata rispetto a quella depocentrale,
sita in corrispondenza della Val Maone-Grotta dell’Oro-Pizzo d’Intermesoli.
Il membro inferiore della Corno Piccolo ha sempre uno spessore minore di 20
metri ed affiora solo laddove gli spessori della Corno Grande Fm. sono compresi tra 130
e 170 metri. Esso ha un’età Aaleniano pp.-Bathoniano pp.. Molto probabilmente le
calcareniti che lo costituiscono, rappresentano la coda torbiditica dei primi flussi di
massa, depositatisi nelle zone depocentrali. Il membro inferiore è in contatto fortemente
erosivo con quello superiore calciruditico e tende a scomparire verso Nord.
132
In questo caso è estremamente evidente la progradazione del sistema di
piattaforma su quello bacinale. L’aumento dell’apporto in bacino potrebbe essere legato
a una fase di demolizione dei margini di piattaforma, connessa all’attività tettonica
medio giurassica, che avrebbe comportato l’emersione e lo smantellamento degli stessi,
determinando il trasporto e dunque il trasporto e l’elaborazione di clasti ben litificati e
arrotondati. Il prodotto di questo evento è rappresentato dall’ingente aumento di
risedimenti bioclastici sullo slope bacinale e l’instabilità tettonica sarebbe compovata
dalla presenza delle faglie transtensive che interessano la Corno Piccolo Fm.
La fisiografia ereditata vincolò la distribuzione dei flussi calciruditici del
membro superiore, che probabilmente aggirarono l’ostacolo del Corno Grande, per
concentrarsi nella zona depocentrale della Val Maone.
La compattazione differenziale di Corniola e Verde Ammonitico contribuì a
generare un valore di subsidenza maggiore nelle aree di basso strutturale liassico
(Vallone della Portella-Le Capanne-Val Maone-Valle dei Ginepri), rispetto a quelle aree
aventi caratteristiche intermedie, come in corrispondenza di Campo Pericoli o a Passo
del Cannone-Sella dei due Corni, garantendo così un maggior spazio d’accomodamento
e lo scorrimento e l’accumolo preferenziale dei flussi di massa.
Il tetto della Corno Piccolo Fm. è datato da PASSERI et Alii (2008) al
Kimmeridgiano superiore ed è, come dimostrato nel capitolo stratigrafico, fortemente
irregolare. Tale irregolarità potrebbe essere stata guidata dalla tettonica transtensionale
alto giurassica, che ha probabilmente contribuito alla strutturazione del tetto della
Formazione.
Lungo la parete Est di Pizzo d’Intermesoli, che costeggia il fianco sinistro della
Val Maone è esposto un particolare assetto stratigrafico, che vede il limite superiore
della Corno Piccolo Fm., sovrastato da tre diverse formazioni. Calcari Diasprigni
Detritici, Maiolica e Cefalone Fm., infatti, appoggiano in onlap sulla Corno Piccolo
Fm., adattandosi alla paleogeografia del fondale Kimmeridgiano. Tale contatto
sembrerebbe essere generato dall’interazione tra tettonica transtensiva alto giurassica, la
modellazione dello slope e fenomeni deposizionali. L’andamento ondulato del tetto
della formazione potrebbe, infatti, essere dovuto in buona parte alla superficie irregolare
degli ultimi mass-flows, appartenenti alla Corno Piccolo Fm.. Non è da escludere che
l’area del Gran Sasso, a seguito di una fase deposizionale, sia stata interessata
successivamente da erosione sottomarina, legata all’erosione del fondale da parte di
133
flussi di massa, che andavano a deporsi in zone nord-occidentali più distali. Le faglie e
le fratture riferibili alla transtensione giurassica, infatti, terminano sull’unconformity al
tetto della Corno Piccolo Fm., vincolando parzialmente la morfologia del top della
formazione. Tale contesto tettono-stratigrafico non è mai stato descritto nelle
Pubblicazioni precedenti.
I Calcari Diasprigi Detritici rappresentano l’inizio dell’arretramento del sistema
di produzione carbonatico di piattaforma su quello bacinale lungo il base-of- slope
corrispondente alla successione esposta sul Gran Sasso. Questo processo culminerà
nella produzione pelagica della Maiolica.
La distribuzione degli spessori di queste due formazioni alto giurassiche varia in
funzione della paleo-fisiografia ereditata dal fondale Kimmeridgiano. Le differenze di
spessore di CDD e Maiolica smorzano così le differenze paleo-batimetriche.
Il sistema deposizionale dei Calcari Diasprigni Detritici era dominato dalla
sedimentazione carbonatica torbiditica, con una forte componente di sedimentazione
bio-silicea, contemporanea a quella dei Calcari Diasprigni del dominio umbro-
marchigiano.
Secondo PASSERI et Alii (2008) il medesimo trend di sedimentazione oolitco-
bioclastica è presente nelle facies prossimali del Bacino di Lagonegro nello stesso
intervallo temporale del Gran Sasso, suggerendo che l’alto tasso di riversamento
(shedding) in bacino del materiale risedimentato, proveniente dalle piattaforme
Figura 82 – Parete Est del sottogruppo del Pizzo d’Intermesoli. Si noti l’estrema irregolarità del tetto della Corno Piccolo Fm., sul quale poggiano in onlap Calcari Diasprigni Detritici, Maiolica e Cefalone Fm.. In violetto sono tracciate le faglie transtensionali medio-giurassiche. In rosso acceso le faglie cenozoiche legate alla strutturazione del massiccio montuoso del Gran Sasso d’Italia.
134
carbonatiche appenniniche, fosse un evento generale sia ai margini sud-orientali che a
quelli nord-occidentali della Piattaforma L-A. Medesime indicazioni geologiche, riferite
alla medesima età, provengono dalla deposizione oolitico-bioclastica riversata nel
Bacino di Belluno.
La Maiolica rappresenta un tipico di un sistema deposizionale bacinale, che nel
caso del Gran Sasso è interessato solo sporadicamente dall’ingresso di flussi di massa,
originatisi prevalentemente dall’instabilità gravitativa e franamento dei margini di
piattaforma.
Gli spessori della Maiolica variano anch’essi in funzione della fisiografia
ereditata dalla Corno Piccolo Fm. e dei Calcari Diasprigni Detritici. Il contesto tettono-
stratigrafico dell’area di Campo Pericoli, descritto nel Capitolo 5 “Struttura Tettonica”
Sezione 4, definisce una zona rialzata persistente dal Giurassico terminale all’Oligocene
medio, definita da una lacuna di sedimentazione e/o erosiva, interrotta solo dalla sottile
intercalazione di facies risedimentate cretaciche calcarenitiche e calciruditiche.
Attraverso l’interpolazione dei dati geologici a disposizione per l’area di Campo
Pericoli, si può evincere la chiusura geometrica in pinch-out verso Sud-Est delle
formazioni bacinali. Questo contesto è reso abbastanza chiaro dall’osservazione della
Sezione IV, nella quale la geometria di rastremazione degli spessori verso S-E è
estremamente pronunciata soprattutto per la Corno Piccolo Fm. e per le formazioni
cretaciche post-Maiolica.
La Maiolica stessa mostra a Campo pericoli proprietà stratigrafiche tipiche di un
alto strutturale. Esse sono descritti a più riprese nel capitolo stratigrafico e in quello
strutturale.
DAL CRETACEO SUPERIORE ALL’OLIGOCENE Secondo VAN KONIJNENBURG (1997) il limite inferiore della Cefalone Fm.
definisce un troncatura erosiva, associata ad una lacuna nella sedimentazione, estesa dal
Barremiano inferiore all’Albiano Medio.
Nell’Albiano gran parte della Piattaforma Laziale-Abruzzese è esumata. La
deposizione di megabrecce e debris-flows litoclastici, che caratterizza la base della
Cefalone Fm., potrebbe essere connessa con il parziale collasso dei margini di
piattaforma. L’evento è associato ad una nuova fase di smantellamento dei margini di
piattaforma. La transizione progressiva da brecce litoclastiche a torbiditi carbonatiche
nella parte superiore poterebbe riflettere invece la progressiva trasgressione marina sulle
piattaforme appenniniche (VAN KONIJNENBURG, 1997).
135
Il periodo di tempo rappresentato dalla Cefalone Fm. è sede di una debole
attività transtensiva sin-sedimentaria, che sembra aver influenzato solo marginalmente
lo sviluppo del contesto deposizionale. Durante questa fase tettonica alcune faglie alto-
giurassiche sono parzialmente riattivate e riutilizzate, senza comportare rigetti di
rimarchevole importanza. L’inspessimento complessivo è legato alla distribuzione
preferenziale del sistema deposizionale calciruditico-torbiditico. L’ispessimento
formazionale è verso NNW. In corrispondenza di Picco Pio XI sono registrati gli
spessori massimi (350 metri circa). La zona dei Tre Valloni presenta spessori e facies
paragonabili con quelli della località sopramenzionata, indicando condizioni di
approfondimento simili anche per il Settore Sud dell’Area Orientale. Spessori
relativamente ridotti, circa 250 metri, sono evidenti sul fianco occidentale
dell’Intermesoli, dove è ipotizzabile una variazione fisiografica del fondale giurassico,
che permette il mantenimento pressoché costante dello spessore della Cefalone Fm.
lungo il tracciato della Sezione I, mentre nella vicina Sezione II l’approfondimento è
molto più netto. Non è da escludere dunque l’esistenza di faglie dirette giurassiche a
sviluppo meridiano, che abbiano influenzato la distribuzione degli spessori formazionali
giurassico-cretacei. Nessun elemento tettonico, riferibile a questo sistema di faglie,
affiora tra l’area occidentale e quella orientale, anche se la sua esistenza è fortemente
suggerita dai dati geologici sopra esposti.
Le torbiditi calcaree della Cefalone Fm. terminano circa 10 metri sotto il limite
inferiore della Scaglia Bianca. Le facies pelagiche tornano a dominare l’area del Gran
Sasso fino al Campaniano inferiore e localmente al Maastrichtiano superiore. Il limite
tra Scaglia Bianca e Monte Corvo Fm., formazione caratterizzata dalla fitta
intercalazione tra pelagiti e calcareniti torbiditiche, infatti, è diacrono nel tempo ed è
marcato sul terreno dall’eteropia di facies.
Durante il periodo compreso tra il Campaniano inferiore e il Maastrichtiano
superiore la progradazione del complesso torbiditico a canali ed argini, costitutivo della
Monte Corvo Fm., ha favorito lo spostamento del limite superiore della Scaglia Bianca.
L’effetto principale di questo contesto deposizionale consiste nella variazione
reciproca degli spessori di Scaglia Bianca Fm. e Monte Corvo Fm., dove all’aumentare
di spessore della prima diminuisce quello della seconda e viceversa.
Evidenze geologiche della progradazione del sistema torbiditico ad argini e
canali, connesse ad un marcato aumento di spessore della Monte Corvo Fm. sono
esposte lungo la parete occidentale del Pizzo d’Interemesoli, dove la Monte Corvo Fm.
136
ha una potenza di 400 metri circa e facies canalizzate, e in prossimità della Sella dei
Grilli. La progradazione sembra generalmente dirigersi verso NW, in accordo con la
posizione persistente dell’area depocentrale mesozoica, che nonostante l’esistenza di
eventuali ostacoli tettonico-stratigrafici trasversali, resta il centro di attrazione dei flussi
torbiditici e calciruditici.
Alla fine del Mesozoico l’alto strutturale giurassico del Corno Grande è
definitivamente sigillato dalle pelagiti e dai pebbly-mudstones Maastrichtiano-Daniani,
che ricoprono le zone sommitali e s’infiltrano nelle fratture. Gli affioramenti compresi
tra il Calderone, la Vetta Orientale ed il Torrione Cambi, sono gli unici testimoni di
questa trasgressione. Tali pelagiti sono correlabili con quelle affioranti nell’unità
intermedia ai Prati di Tivo.
Il sistema deposizionale prevalentemente calciruditico, che definisce la
Formazione di Fonte Gelata, è stato suddiviso da VAN KONIJNENBURG (1997) in due
parti distinte, separate da uno hiatus deposizionale, riferibile all’Eocene inferiore.
Dopo la deposizione del sistema torbiditico della Monte Corvo Fm., l’area di
base-of-slope del Gran Sasso è sottoposta ad erosione marina nel Paleocene inferiore.
Successivamente i debris-flows, originatisi a causa della nuova erosione subaerea di
parte delle piattaforme appenniniche, si depositavano generando la breccia basale della
Formazione di Fonte Gelata.
Secondo VAN KONIJNENBURG (1997) lo hiatus deposizionale intraformazionale,
che riguarda l’Eocene Inferiore, potrebbe essere spiegato dall’erosione dei primi
depositi eocenici o dalla mancata deposizione degli stessi, causata da un’ipotetica
variazione e ridistribuzione della direzione dei flussi.
Dai dati raccolti durante il rilevamento di terreno, è possibile riscontrare
un’estrema variabilità degli spessori eocenici, in un contesto deposizionale di slope-
apron, caratterizzato dalla deposizione di calciruditi a macroforaminiferi e litoclasti di
piattaforma, intercalati talora da marne rosse.
La zona a Nord della Vetta Settentrionale d’Intermesoli è caratterizzata dai
massimi spessori con facies grossolane, ed è ipotizzata essere la zona depocentrale. Non
vi sono studi stratigrafici di dettaglio su questa zona in particolare. L’insieme delle
caratteristiche geologiche suggerisce una continuità di sedimentazione maggiore per
questi depositi.
L’ipotesi di un’attività tettonica, riconducibile all’Eocene inferiore, ipotizzata
nel capitolo strutturale, potrebbe spiegare non solo la genesi dell’unconformity, che
137
separa le due porzioni della Formazione di Fonte Gelata, ma anche la canalizzazione dei
flussi.
L’inconformità angolare sarebbe connessa a fenomeni di basculamento
tettonico-distensivo. La canalizzazione dei flussi di massa e delle torbiditi potrebbe
essere stata guidata dall’incorrere dell’articolazione tettonica, che ha interessato la
fisiografia del fondale nel corso dell’Eocene inferiore.
Tale ipotesi è supportata: dall’attività incipiente di un sistema di faglie NW-SE
normali, riconducibile in parte a quello della Faglia delle Tre Selle; dall’esistenza di
faglie dirette intra-formazionali affioranti e non in prossimità della Sella dei Grilli; e
dalla distribuzione degli spessori dei terreni eocenici.
Tra l’Eocene Superiore e l’Oligocene inferiore l’area del Gran Sasso è soggetta a
non deposizione o ad erosione (VAN KONIJNENBURG, 1997). Durante questo periodo, che
non è registrato dalla serie stratigrafica, è probabile che la Faglia delle Tre Selle abbia
proseguito la sua attività distensiva, senza generare tuttavia grandi evidenze
morfologiche. Nell’Oligocene medio e superiore la ripresa della sedimentazione
avviene in un contesto paleogeografico, definito dall’approfondimento del blocco
meridionale di hangingwall. L’ostacolo morfologico, corrispondente all’asse Monte
Corvo-Pizzo d’Intermesoli-Corno Grande, non è sufficientemente pronunciato da
impedire ai flussi di massa e alle torbiditi di sedimentarsi sul blocco di letto, dove la
sedimentazione emipelagica a marne verdi, è frequentemente interrotta da risedimenti.
La granulometria è relativamente più fine rispetto a quella del blocco ribassato del
Venacquaro. Nella zona del Sottogruppo del Corno Grande la sedimentazione è
esclusivamente pelagica. Quest’area ritorna probabilmente ad essere una zona esente dal
passaggio dei debris-flows, che sono assenti nell’antistante successione eocenico-
oligocenica dell’unità intermedia. Gran parte dei depositi calciruditici a Lepidocyclinae
è intercettato nell’area del Venacquaro. In questa zona la Venacquaro Fm. raggiunge i
massimi spessori (220 metri circa) e le facies più grossolane. In corrispondenza di Fonte
Pratoriscio le facies sono calcarenitiche e marnose e lo spessore è di circa 35 metri. La
parte terminale dell’Oligocene è caratterizzata dalla produzione di marne, indicando un
nuovo arretramento del sistema di alimentazione.
La Faglia delle Tre Selle ha avuto un ruolo fondamentale nella storia della
tettonica sin-sedimentaria terziaria. È infatti una struttura ereditata in parte dalla
tettonica mesozoica, che svolge un ruolo determinante anche nelle fasi tettoniche
successive.
138
DAL MIOCENE INFERIORE ALL’OROGENESI MESSINIANA Il Miocene è l’Epoca più travagliata della storia geologica del Gran Sasso
d’Italia poiché racchiude in un breve tempo geologico diversi eventi geo-tettonici,
connessi alla strutturazione del Bacino della Marne con Cerrogna e all’orogenesi della
catena appenninica esterna e del Bacino della Laga.
Il Miocene inferiore è definito dalla deposizione delle Calcareniti Glauconitiche,
il cui ambiente deposizionale era connesso alle rampe carbonatiche mioceniche del
dominio laziale-abruzzese. La formazione è caratterizzata da un aumento progressivo
della glauconite, in concomitanza con l’incremento della selce. Le facies laminate e
gradate, talora amalgamate indicano una chiara origine torbiditica. L’insieme dei dati
geologici suggerisce la sottoalimentazione di un sistema carbonatico-torbiditico distale,
interessato dalla produzione di spugne silicee lungo le zone più distali della scarpata.
Durante quest’intervallo di tempo l’attività tettonica sembra smorzarsi, garantendo la
deposizione di spessori più o meno costanti di Calcareniti Glauconitiche. Si può
supporre dunque che il fondale Burdigalliano fosse abbastanza dolce e privo di grandi
ostacoli morfologici rilevanti e tettonicamente controllati.
L’intervallo Langhiano-Serravalliano è ancora fortemente influenzato dalla
produzione carbonatica delle rampe mioceniche laziali-abruzzesi. Le facies a “punti
rossi”, sono correlabili alle calcareniti a punti rossi di rampa distale, descritte nel
Foglio 359 “L’Aquila” in scala 1:50.000 e riferite all’intervallo Langhiano-
Serravalliano. Durante il Miocene medio l’attività distensiva sin-sedimentaria,
connessa alla Faglia delle Tre Selle, reinnesca l’approfondimento dell’area Solagne-
Venacquaro-Campo Imperatore. Il Bacino delle Marne con Cerrogna è caratterizzato
infatti dall’attività di faglie dirette mioceniche, che garantiscono l’approfondimento
differenziale dei diversi blocchi. L’unità intermedia ospita una successione di circa 240
metri in facies calcarenitico-marnose, mentre l’unità laga-montagnone ha uno spessore
minimo di circa 760 metri. In quest’ultima unità la stratificazione è meno sottile e le
facies sono più grossolane. È evidente la presenza di faglie dirette sin-sedimentarie,
probabilmente Nord-immergenti di entità considerevole, che sono state probabilmente
riutilizzate dalla tettonica compressiva mio-pliocenica.
Lo spessore delle Marne con Cerrogna varia lateralmente approfondendosi verso
NW. Tale fenomeno è reso evidente dall’inspessimento della litozona superiore delle
Marne con Cerrogna in facies calcareo-marnosa a spicole di spugna e Globigerinoides
trilobus. La litozona superiore delle Marne con Cerrogna è riferibile all’intervallo
139
Serravalliano pp.-Tortoniano pp. in analogia con le marne calcaree dell’unità argilloso
marnosa, descritte nel Foglio 359 “L’Aquila” in scala 1:50.000.
Tra il Tortoniano pp. ed il Messiniano inferiore tutta l’area del Gran Sasso e
della Laga, come del resto larga parte dell’Appennino abruzzese, sperimenta l’arresto
della sedimentazione carbonatica, marcato dalla flessurazione dell’avampaese e dal
drappeggio argilloso-marnoso sulle strutture meso-cenozoiche.
Nel corso del Messiniano ha origine l’attività orogenetica. Essa avviene in
concomitanza con la sedimentazione del complesso torbiditico silicoclastico della Laga.
La zona frontale del Gran Sasso è fortemente interessata da pieghe e
sovrascorrimenti ad attivazione progressivamente più profonda ed esterna e con entità di
deformazione crescente verso Est. Sistemi di faglie inverse minori sono posizionati
lungo l’allineamento Pizzo Cefalone- Le Malecoste-Forchetta della Falasca-Pizzo
Camarda. Essi interessano solo marginalmente l’area di studio e sono dunque solo
mensionate.
La geometria frontale più evidente è definita da una piega anticlinale
asimmetrica, sub-cilindrica, rovesciata, con un leggero angolo di plunge 5-10° verso
WSW nell’area Monte Corvo-Valle Venacquaro.
La direzione dell’asse della piega varia da N75°E in località Fonte Gelata a
N80°W in prossimità del Picco dei Caprai. La piega ha una continuità di circa 9 km,
terminando fuori carta ad Ovest di Monte Corvo.
Il plunge della piega immerge più o meno nella stessa direzione di
approfondimento bacinale. In tal modo risulta evidente che l’assetto deposizionale
meso-cenozoico vincola le modalità di crescita delle pieghe e la propagazione dei
sovrascorrimenti. La zona di basso strutturale meso-cenozoico coincide infatti con la
zona di enucleazione dei sovrascorrimenti, mentre la zona di alto (Corno Grande), che
ospita una successione più sottile, riesce a sovrascorrere molto più facilmente,
sperimentando raccorciamenti maggiori. Questo fenomeno avviene tramite la rottura
della piega dell’area orientale per mezzo di una struttura, nota come piega per
propagazione di faglia.
L’immersione del piano assiale varia da 195-175°·30° nella zona di Picco dei
Caprai a 150°·30° in corrispondenza della Vetta settentrionale d’Intermesoli. Questa
differenza potrebbe ricondursi alle ben note roto-traslazioni antiorarie, connesse alla
140
propagazione del thrust superiore, già proposte e riconosciute da diversi Autori
(GHISETTI & VEZZANI, 1991; CALAMITA et Alii, 2004). Le anisotropie meso-cenozoiche
ed in particolare quelle eoceniche hanno probabilmente contribuito alla variazione
dell’asse della piega.
La faglia inversa ad essa associata, nota come thrust superiore (sensu CALAMITA
et Alii, 2004), è un sovrascorrimento ceco. Esso è quello strutturalmente più alto tra
quelli del fronte compressivo. Un sistema di fratture e faglie, evidenziato nella foto
panoramica commentata del Settore Nord e nelle Sezioni II e III, accomoda il
rovesciamento della piega, generando rigetti di qualche decina di metri nelle porzioni
più orientali del Pizzo d’Intermesoli.
Si tratta, dunque, di una piega per propagazione di faglia interessata da thrusts
minori, connessi in parte al tentativo di propagazione verso livelli più superficiali delle
superfici di dislocazione compressiva.
Un sistema di fratture più antico e di secondaria importanza, connesso a
fenomeni plicativi incipienti con vergenza antitetica, è stato piegato dalla più giovane
piega Monte Corvo-Corno Grande.
Sul fianco settentrionale della Valle dei Ginepri il thrust superiore ha una
geometria flat-ramp-flat ed un rigetto di circa 550 metri. In questa zona non vi sono
evidenze cinematiche sul piano di sovrascorrimento, che aiutino a comprendere
chiaramente la direzione di trasporto tettonico. Per comprenderle si è reso necessario
studiarlo laddove incontra litologie marnose in grado di registrare più precisamente la
direzione di trasporto tettonico. Nell’unità intermedia in prossimità del contatto con il
thrust superiore i litotipi marnosi delle formazioni di Fonte Gelata e Venacquaro hanno
registrato l’evento tettonico, generando strutture S/C molto strette. Il verso del
movimento ricavato è circa N45°E, in pieno accordo con le spinte compressive
appenniniche.
Il thrust inferiore, è il più esterno e strutturalmente più basso tra quelli in
affioramento. Esso mette a contatto la successione rovesciata dell’unità intermedia con
quella diritta dell’unità Laga, trasportando passivamente le strutture compressive
precedenti. Nell’area orientale non esiste un affioramento indicativo per questa
superficie tettonica, che permette la sovrapposizione delle arenarie della Laga
appartenenti a due diverse unità tettoniche. Il ruolo di questo piano di sovrascorrimento
141
è di fondamentale importanza per spiegare l’overthrusting della struttura meso-
cenozoica sull’unità Laga.
Nella descrizione strutturale dell’area occidentale abbiamo visto come il thrust
inferiore permette la sovrapposizione del fianco diritto della sinclinale di ritorno
dell’unità Gran Sasso sull’unità Laga. In quel contesto l’unità intermedia era inclusa
all’interno dell’unità Gran Sasso a causa della terminazione del rigetto del thrust
superiore a Nord di Grotta dell’Oro. La sinclinale è molto stretta e sovrascorre col
fianco di ritto sulla successione diritta della Laga per mezzo del thrust inferiore. Il
thrust inferiore ha una geometria molto irregolare, definita da rampe e piani poco
inclinati. Questo piano tettonico concentra gran parte delle spinte compressive,
accomodando un rigetto di circa 2 Km. La sinclinale è dislocata in prossimità della zona
di cerniera da una faglia transpressiva immergente circa-Sud, che fa sovrapporre il
fianco rovescio su quello diritto. Questa faglia si raccorderebbe al thrust inferiore. Il
fianco diritto della sinclinale, che sovrascorre sulle arenarie della Laga, è interessato da
pieghe per propagazione di faglia, che si dipartono dal thrust inferiore.
Nell’area orientale invece la sinclinale è sopravanzata dall’anticlinale per mezzo
del thrust inferiore. La successione rovesciata rappresenta il fianco frontale della piega
anticlinale Corno Grande-Monte Corvo. Dato che il thrust superiore taglia
completamente la successione rovesciata affiorante, è possibile definire un’unità
intermedia in sovrascorrimento sull’unità Laga.
L’unità Laga è caratterizzata nella zona di Perlepara-Salse, che è 1 Km a Nord
di Colle dell’Asino, da una piega anticlinale asimmetrica retrovergente, che coinvolge
l’intera struttura, ripiegando anche il thrust inferiore in prossimità di Prati Cantiere,
come dimostrato nel capitolo strutturale. L’unità Laga è inoltre interessata da piani di
faglia strike-slip a cinematica trascorrente sinistra e da piani minori di sovrascorrimento
orientati longitudinalmente. La direzione della trascorrenza concorda con le
deformazioni esercitate dalla crescita della struttura orogenica del Gran Sasso e dalla
rotazione antioraria.
L’anticlinale retrovergente ben riconoscibile nella zona di Perlepara-Salse, è
probabilmente relazionata ad una superficie di sovrascorrimento, connessa ad un
sistema di thrusts retrovergenti, la cui superficie tettonica principale, legata al sistema
142
sopra ipotizzato, è posizionata probabilmente in corrispondenza di un livello di
scollamento più profondo nella serie sedimentaria.
La struttura principale non affiora in nessun luogo ma manifesta apertamente la
sua presenza, determinando il basculamento verso NNW dell’intera struttura Laga-Gran
Sasso. Si tratterebbe dunque di una inedita struttura compressiva. Essa sarebbe la più
giovane dell’intera area.
Il basculamento ha comportato la rotazione dei piani di sovrascorrimento e delle
pieghe associate, riducendo le inclinazioni originali e predisponendo la struttura
carbonatica a particolari geometrie durante la tettonica distensiva, che saranno descritte
nel paragrafo successivo.
DAL PLEISTOCENE AD OGGI A seguito del sollevamento complessivo dell’area avvenuto nel corso del
Pliocene, come testimoniato dalla composizione dei Conglomerati di Rigopiano e
Monte Coppe, l’attività estensionale ha registrato la sua massima espressione nel corso
del Pleistocene, continuando ad interessare fortemente l’area meridionale del Gran
Sasso fino al giorno d’oggi.
Le faglie dirette dislocano la struttura compressiva miocenica nella sua struttura
più interna, determinando geometrie differenti in funzione delle strutture ereditate dalle
fasi tettoniche estensionali e compressive precedenti, dell’interazione tra diversi sistemi
di faglia e dell’angolo creato tra la direzione dei piani di faglia e la direzione dello
sforzo estensionale regionale.
Tre principali sistemi di faglie dirette sono presenti nell’area rilevata. Il sistema
di Faglia delle Tre Selle e quello riferibile alla Faglia Assergi-Valle Fredda sono tra
loro sub-paralleli ed immergenti entrambi circa 200°·60°. Il terzo sistema, trasversale ai
primi due è collegato alla Faglia di Campo Imperatore, che cinge fuori carta i versanti
meridionali del sottogruppo Brancastello-Monte Prena e del Monte Camicia,
immergendo 160°·65°.
La Faglia di Campo Imperatore si dirama nell’area rilevata in un sistema di
faglie circa dip-slip ad angolo relativamente più basso e transtensionali ad alto angolo,
radicate sulle prime. Il sistema di faglie caratterizzato da una distribuzione en-echelon
delle faglie, ha la funzione di trasferire il rigetto tra i tre principali sistemi distensivi
sopra mensionati cioè tra la Faglia delle Tre Selle, la Faglia Assergi-Valle Fredda e la
143
stessa Faglia di Campo Imperatore. Tra questi i primi due rivesto un ruolo importante
nella storia sin-sedimentaria del Gran Sasso.
Il sistema di Campo Imperatore si dirama in tre faglie dirette principali ad
angolo relativamente più basso di quelle sulle quali transtensive ad altissimo angolo.
La Faglia Duca degli Abruzzi è la più esterna di questo sistema ed è connessa ad
una serie di faglie transtensionali minori, che accomodano gran parte del rigetto. Essa è
marcata da un gradino morfologico in prossimità del Rifugio Duca degli Abruzzi, che
espone il piano di faglia, localmente immergente 170°·65°. In realtà anche questa faglia,
come le altre è definito da diversi piani tettonici. La Faglia Duca degli Abruzzi a causa
del trasferimento del rigetto delle faglie transtensive su di essa insistenti, raggiunge in
profondità una dislocazione complessiva di circa 1600 metri.
La Faglia Fonte Pratoriscio si raccorda alla prima in prossimità del Vallone
della Portella attraverso un complesso sistema di faglie a forte componente strike-slip
con immersione 105°·75°. Queste ultime sono sottolineate a Sud di Fonte Portella da
gradini di faglia alti anche 1,5 metri, associati ad una forte fratturazione, determinata
dall’attività tettonica recente. Il sistema di Fonte Pratoriscio sembra dipartirsi dalla
Figura 83 – Visione3D della Porzione Meridionale della carta geologica. Sulla destra è riconoscibile il Corno Grande. Il sistema di Campo Imperatore, del quale è chiara la distribuzione en-echelon delle faglie trastensionali, permette il trasferimento del rigetto tra la Faglia delle Tre Selle e la Faglia di Assergi-Valle Fredda. Quest’ulitma è ai margini meridionali della carta.
144
Faglia Duca degli Abruzzi, accumulando un rigetto di circa 1000 metri. Esso
rappresenterebbe dunque uno splay della faglia principale.
La Faglia dei Tre Valloni, di è caratterizzata da un forte trasferimento del
rigetto, in relazione all’interazione con un complesso sistema di faglie transtensionali ad
angolo e direzione variabile.
In corrispondenza della Sezione VI è interessante notare l’equidistanza tra le tre
faglie ora descritte appartenenti al Sistema di Faglie di Campo Imperatore, che definisce
blocchi spaziati di circa 1,5-2 Km.
La Faglia Assergi-Valle Fredda è quella più interna e meridionale tra quelle ad
angolo relativamente più basso ed è fortemente suddivisa in più segmenti. Uno di questi
affiora in un canalone sito a 500 metri circa ad Ovest della ex Stazione intermedia della
Funivia con giacitura 195·65°. Essa è preceduta da una fascia di rocce fortemente
fratturate, spessa circa 100 metri. Il blocco di tetto è completamente sepolto al di sotto
del detrito ed il rigetto non è di conseguenza esattamente calcolabile con i dati di
rilevamento. Secondo D’AGOSTINO et Alii (1998) l’entità di dislocazione è di circa 1000
metri.
La Faglia delle Tre Selle è così chiamata perché affiora sulle selle meridionali
dei tre Monti principali del Settore Nord, che in ordine decrescente di altezza sono il
Corno Grande, il Pizzo d’Intermesoli e Monte Corvo.
Alla Sella dei Grilli (quota 2162) essa è definita da una faglia principale dip-slip
a geometria sub-planare immergente 200-210º·50º, associata ad un sistema di faglie
trans tensivo, che accomoda il movimento del blocco di tetto sulla stessa. Il sistema
definisce blocchi ribassati, che assorbono il rigetto complessivo. Il sistema di faglie
subalterno è caratterizzato da faglie transtensive destre immergenti 170°·80° e
180°·75°, diramatesi dal piano di faglia principale, che è a più basso angolo. Alla Sella
dei Grilli una piega sinclinale, dell’ordine di grandezza del centinaio di metri, coinvolge
le Formazioni comprese tra la Monte Corvo Fm. e la Venacquaro Fm.. L’origine
sembrerebbe riconducibile alla roto-traslazione del blocco di tetto sulla superficie
principale della Faglia delle Tre Selle. Questa piccola sinclinale è fagliata lungo il piano
assiale, determinando un rigetto nell’ordine dei dieci metri.
La Faglia delle Tre Selle ha dislocato i depositi morenici dell’ultimo periodo
tardo glaciale, dimostrando così di essere probabilmente un elemento sismogenetico.
Poco a Sud dell’ingresso della Val Maone vi sono, infatti, dei gradini tettonici
nelle morene glaciali alti 1,5 metri circa. La giacitura del piano di faglia è 198°·72° ed è
145
associata ad altri gradini tettonici, appartenenti a faglie minori, che dislocano il Calcare
Massiccio con giaciture 210°·60° e 190°·75°. Poco più a Est di questa località la
direzione principale del piano di faglia varia da 200-210º·50º a 165-155°·70º nell’area
orientale, determinando transtensioni, connesse a diramazioni dal piano di faglia
principale.
Altre evidenze di tettonica distensiva attiva connessa alla faglia delle Tre Selle
sono presenti al Venacquaro tra quota 1950 e 1975 lungo il sentiero, non segnato in
carta, che dalla Sella dei Grilli conduce alla piccola piana alla base di Monte Corvo.
In prossimità della Sella di Corno Grande la Faglia delle Tre Selle si dirama in
tre superfici tettoniche, creando due blocchi ribassati. Quello più interno affiora a Nord
della Sella di Corno Grande. Non è da escludere che l’origine di questo “gradino
tettonico” sia da ricondurre alla strutturazione liassica piuttosto che a quella pleisto-
olocenica. La faglia che lo delimita a Sud è sub verticale. Il rigetto alla base del Primo
Scrimone, dove il blocco ribassato più interno non esiste è di circa 900 metri mentre è di
circa 650 metri poco più a Est in prossimità della Sella di Corno Grande.
Un sistema di faglie dirette immergenti 170°·70° e 165·65° passa lungo la Sella
del Brecciaio, ribassando il blocco del Primo Scrimone e raccordandosi in profondità
con la Faglia delle Tre Selle. Questa superficie tettonica è la più esterna e suddivide il
Primo Scrimone in due blocchi. Essa è definita da un evidente gradino morfologico,
suggerendo l’interazione con la Faglia delle Tre Selle, che è un sistema unanimemente
riconosciuto come attivo. La superficie di faglia è continua su tutto il versante Nord di
Corno Grande. Il rigetto ad essa connesso decresce verso Est, contribuendo a
comprovare la cinematica transtensiva dello stesso. La transtensione è collegata con la
variazione di direzione della sezione e con le anisotropie ereditate dalla tettonica
liassica.
Tra La Faglia delle Tre Selle e il Sistema di Campo Imperatore l’area di Campo
Pericoli è definita da una geometria a domino, caratterizzata da faglie dirette antitetiche
e sintetiche.
Il complesso di dati a disposizione indica con maggior dettaglio la relazione
intercorrente i diversi sistemi di faglie dirette nell’area orientale, che ritagliano la
struttura meso-cenozoica del Gran Sasso e l’attività recente del sistema estensionale
stesso nel suo complesso.
Una delle novità emerse durante l’elaborazione dei dati di rilevamento dell’area
sud-orientale, consiste non solo in una definizione più precisa dell’assetto strutturale e
146
nella comprensione delle relazioni sopradescritte, ma anche nell’identificazione di
elementi tipici di faglie attive in tempi recenti nel sistema di Campo Imperatore. Dato
che tale sistema ha la funzione di trasferire il rigetto tra la Faglia delle Tre Selle-Campo
Imperatore e la Faglia di Assergi-Valle Fredda, l’insieme dei dati suggerisce che anche
la stessa faglia di Assergi continui ad essere un importante sistema di faglie attivo fino a
tempi recenti. Il presente lavoro identifica i presupposti per attribuire all’intero
complesso di faglie un certo potenziale sismogenetico. D’AGOSTINO et Alii (1998)
supponevano invece il trasferimento dell’attività tettonica alla sola Faglia delle Tre
Selle.
L’area occidentale invece non è interessata dall’interazione tettonica tra i tre
diversi sistemi di faglia e la deformazione estensionale è concentrata lungo i piani
distensivi principali, che sono equidistanti circa 3.5 Km e continui per circa 10 Km.
147
CONCLUSIONI Il fianco occidentale del Gran Sasso d’Italia è il massiccio montuoso più elevato
dell’Appennino. Esso è definito da una struttura a pieghe e sovrascorrimenti,
successivamente dislocati dalla tettonica estensionale quaternaria. La successione
sedimentaria meso-cenozoica di piattaforma, base-of-slope, avanfossa silicoclastica,
spessa complessivamente 5000 metri circa, ospita particolari rapporti tettono-
stratigrafici, ereditati dalla tettonica pre-orogenica.
Dopo aver confrontato i dati disponibili in Letteratura e cercato di trovare un
nesso tra le numerose suddivisioni ed interpretazioni stratigrafiche e tettoniche proposte
dai diversi Autori, ho raccolto e rielaborato i miei dati al fine di produrre
un’interpretazione sintetica dell’assetto geo-tettonico.
Nella costruzione dell’interpretazione geologica sono emerse diverse novità in
merito all’assetto attuale della struttura e all’evoluzione tettono-stratigrafica dell’area
rilevata. Sono qui esposte i dati di maggior importanza e le nuove interpretazioni.
I terreni giurassici sono stati rilevati con attenzione al fine di riconoscere i
rapporti stratigrafici e le geometrie associate alla strutturazione liassica, che aveva
suddiviso l’area del Gran Sasso in blocchi basculati da faglie rotazionali, orientate
attualmente E-W. Un sistema minore era orientato circa N-S. La fisiografia del fondale
liassico inferiore era definita da almeno tre zone rialzate, tra le quali vi era il Corno
Grande e l’area di Acqua San Franco. Quest’ultima località è stata sede di un’attenta
revisione paleo-geografica, supportata dal riconoscimento di un sistema transtensionale
di paleo-faglie liassiche, che delimitava almeno tre diversi settori ribassati,
interconnessi tra loro e caratterizzati da un’associazione di facies pelagica normale e
risedimentata (sensu SANTANTONIO, 1996). Sono state riconosciute inoltre inedite
variazioni laterali di facies nella Corniola del fianco orientale dell’alto di Acqua San
Franco, che sarà completamente sigillato nel corso del Toarciano.
Il Corno Grande, invece, resta un “alto persistente” a sedimentazione nulla o
condensata verosimilmente per tutto il mesozoico. Evidenze di paleo scarpata affiorano
nell’area di Passo del Cannone. Il blocco rialzato Corno Grande-Primo Scrimone è
delimitato a Nord dalla Faglia del Passo del Cannone. Una delle novità desunte dal
lavoro di campagna consiste nel riconoscimento della prosecuzione della Faglia
sopranominata al di sotto della Val Maone. Essa è presente nuovamente a quota 1880
poco a Nord della Faglia delle Tre Selle dalla quale è troncata.
148
La revisione stratigrafica in chiave toponomastica delle formazioni di base-of-
slope è stata effettuata seguendo la stratigrafia di VAN KONIJNENBURG (1997),
aggiornata con i dati di rilevamento. La nomenclatura tradizionale è stata preservata
laddove non presentava problemi interpretativi. La Corno Piccolo Fm. è una dicitura
inedita per le calciruditi a coralli medio giurassiche. La formazione si rastrema in
spessore verso Sud e SE. La fisiografia ereditata vincolò la distribuzione dei flussi di
massa, che probabilmente aggirarono l’ostacolo del Corno Grande, per sfociare nella
zona depocentrale della Val Maone. Il top della Corno Piccolo Fm. lascia una fisiografia
molto articolata sulla quale Calcari Diasprigni Detritici, Maiolica e Cefalone Fm.
poggiano in onlap.
Tutte le formazioni bacinali variano di facies e spessore complessivo nella zona
più occidentale, definendo una zona depocentrale occidentale, riferibile all’area di
Monte Corvo ed una zona di alto orientale corrispondente all’area del Corno Grande-
Campo Pericoli. Quest’ultima località è sede di sedimentazione condensata e lacunosa
dal Cretaceo basale all’Oligocene medio.
Tracce di strutturazione eocenica inferiore sono emerse dall’interpretazione dei
dati di rilevamento dimostrando un’attività tensionale precoce rispetto a quella oligo-
miocenica.
La Faglia delle Tre Selle ha avuto un ruolo fondamentale nella storia della
tettonica sin-sedimentaria terziaria. È infatti una struttura ereditata in parte dalla
tettonica mesozoica, che svolge un ruolo determinante anche nelle fasi tettoniche
successive. La Faglia delle Tre Selle è già attiva nel corso dell’oligocene e si riattiva nel
Miocene medio, garantendo l’inspessimento delle formazioni e l’intercettazione della
gran parte dei flussi di massa sul hangingwall.
A seguito della strutturazione del Bacino delle Marne con Cerrogna, alla quale
contribuisce la stessa Faglia delle Tre Selle. L’area sperimenta l’arresto della
sedimentazione carbonatica, la flessurazione ed infine l’orogenesi.
Il Gran Sasso d’Italia è attraversato sul fronte longitudinale da due importanti
direttrici tettoniche messiniane, identificabili in un thrust superiore, in posizione più
interna, associato ad una struttura tipica di una piega per propagazione di faglia, e in un
thrust inferiore entrambi a forte componente rotativa antioraria. Il plunge della piega
immerge più o meno nella stessa direzione di approfondimento bacinale. In tal modo
risulta evidente che l’assetto deposizionale meso-cenozoico vincola le modalità di
crescita delle pieghe e la propagazione dei sovrascorrimenti. La zona di basso strutturale
149
meso-cenozoico coincide infatti con la zona di enucleazione dei sovrascorrimenti,
mentre la zona di alto (Corno Grande), che ospita una successione più sottile,
sovrascorre molto più facilmente.
Tra i due sovrascorrimenti è riconoscibile nell’area orientale un’unità intermedia
a successione rovescia, sovrastata dall’unità Gran Sasso. L’unità strutturalmente più
bassa ed esterna è l’unità Laga. Nell’area occidentale dove i raccorciamenti sono minori
la sinclinale di ritorno sovrascorre col fianco diritto sull’unità Laga per mezzo del thrust
inferiore. Nell’area Orientale la sinclinale è sopravanzata dall’unità intermedia.
Una novità fondamentale è il riconoscimento di strutture retrovergenti a grande e
piccola scala. Un’anticlinale asimmetrica retrovergente infatti ripiega palesemente il
thrust inferiore, dimostrando così di essergli più giovane. L’intera struttura Laga-Gran
Sasso è coinvolta nel medesimo evento compressivo retrovergente, che genera il
basculamento verso NNW della struttura, definendo una zona a triangolo di rilevante
importanza geodinamica nel quadro della strutturazione mio-pliocenica del prisma
d’accrezione appenninico.
Per quanto riguarda la tettonica estensionale è stata fornita una definizione più
precisa dell’assetto strutturale, che vede l’interazione tra tre differenti sistemi di faglia
normali, riconducibili alla Faglia delle Tre Selle, la Faglia Assergi Valle Fredda e la
Faglia di Campo Imperatore. Quest’ultima è definita da un complesso sistema di faglie
transtensionali, che ha la funzione di trasferire il rigetto tra la Faglia delle Tre Selle-
Campo Imperatore e la Faglia di Assergi-Valle Fredda. L’insieme dei dati suggerisce
che anche la stessa Faglia di Assergi continui ad essere un importante sistema di faglie
attivo fino a tempi recenti. Il presente lavoro identifica i presupposti per attribuire
all’intero complesso di faglie un certo potenziale sismogenetico. D’AGOSTINO et Alii
(1998) supponevano invece il trasferimento dell’attività tettonica alla sola Faglia delle
Tre Selle. L’area occidentale invece non sembra sperimentare l’interazione tettonica tra
i tre diversi sistemi di faglia e la deformazione estensionale è concentrata lungo i piani
distensivi principali, che sono equidistanti circa 3.5 Km e continui per circa 10 Km.
150
RINGRAZIAMENTI
Ringrazio di Cuore tutte le amiche e gli amici che mi hanno supportato, aiutato
ed accompagnato in questo bellissimo viaggio all’interno della conoscenza. È stata una
strada tutta in salita, che mi ha dato la possibilità di vedere molto più di quanto potevo
immaginare all’inizio e che ci ha unito in esperienze sempre meno comuni da
condividere insieme.
In questi ringraziamenti sono presenti persone diversissime tra loro ma unite da
uno spirito di passione e rispetto per la natura magnifica del nostro Paese. Ringrazio
ogniuno per l’amicizia ricambiatami.
Caro Prof. Carlo Doglioni la ringrazio per aver dedicato con impegno e
gentilezza la sua persona a questo lavoro. Mi ha lasciato libero di fare come volevo,
assecondandomi e fidandosi del lavoro svolto. Grazie per aver risposto al mio timore di
continuar a rilevare solo “non dobbiamo aver paura…è il nostro lavoro. Avanti tutta!”.
Un riconoscimento particolare lo devo al contributo scientifico del Prof. Daniel
Bernoulli, che mi ha sempre donato uno stimolo genuino ad innovare la conoscenza,
cercando la soluzione più semplice. Le devo molto per questo. La ringrazio per le
splendide giornate trascorse insieme sul nostro caro Appennino e sulla carta.
Un ringraziamento va al Prof. Johannes Pignatti per l’amicizia e per l’analisi di
quelle poche sezioni sottili, che le ristrettezze economiche del dipartimento hanno
permesso di fare. Non dimentico inoltre le meravigliose discussioni e i confronti con il
Prof. Ernesto Centamore, al Prof. Salvatore Milli e in particolare alla Professoressa
Sabina Bigi, profondi conoscitori del Gran Sasso. Grazie per il tempo e la disponibilità
accoratami.
Grazie alla Sapienza…niente male! Sei stata un’università G A G L I A R D A!
GRAZIEE a Daniele Girasoli….ricordi ??? “San Franco aiutaci tu!”…ci si
arrampicava con i ciuffi d’erba…e sotto il burrone! Grazie per l’amicizia e per la
spensieratezza dosata… a modo tuo, davvero “a modo tuo” sei stato un punto di
riferimento; a Cristian Montanaro “bella eh??” maledettissimo e carissimo, sei
semrpe stato un GROSSO, mantenendo la calma e la gentilezza anche in mezzo a 40
cinghiali “eh va bene…va bene”…anche questa è andata!; a Francois David de
Villemagne (scrittore-camminatore arrivato a Gerusalemme da Parigi a
piedi…infortunato sul Gran Sasso)… grazie per la chiacchierate intorno al fuoco acceso
151
al Garibaldi…faceva un freddo che solo Dio lo sa; a proposito grazie alla compagnia e
al supporto dei ragazzi del Rifugio Garibaldi e a tutte le magnifiche persone che lì ho
conosciuto; Grazie a Danilo Seccia…se non era per te non sarei mai entrato in questa
avventura sul Gran Sasso…mi sarebbe piaciuto condividerla insieme fino alla
fine…vabbè tanto oggi ti laurei anche tu! Grazie amico mio!; alla dolce temeraria
Federica Marano grande compagna d’escursione…ti sei fidata di me e dei 5 autostop
in 2 giorni che ci anno letteralmente salvato! Ti ricorderò sempre con stima e affetto!;
grazie stoico Simone Arragoni amico e compagno di studi! ti dedico un grazie speciale
per tutto quello che ha fatto in questi anni oltrecchè per la passione comune verso la
montagna ed in particolare per il Gran Sasso; ad Alessandro dell’Aquila…senza di te si
stava mettendo davvero male…notte imminente con pioggia a secchi e 12° ventosi …io
e Federica ti ringraziamo infinitamente per averci ospitato in casa tua senza conoscerci,
salvandoci da una nottataccia nei boschi di Pietracamela; grazie alla mia cara amica
Greca Melas! grazie anche perché non ti sei fatta prendere dal panico quando eravamo
circondati da una mandria di mucche inbufalite ai piedi della salita, e da un branco di
cinghiali sopra la collina!!! Sei stata fenomenale sempre!; il mitico Andrea
Grammegna si merita un abbraccio ed un enocomio ufficiale per la tenacia persistente
nel raccogliere l’acqua facendosi chilometri per permettere al gruppo di sopravvivere
sotto al sole di agosto; grazie ad Alessandro Loreti e Alessio Mele montanari di
pianura come me sul Gran Sasso…trovati per caso con gran piacere sulle alture
abruzzesi…grazie per il passaggio fino a Latina!!; GRAZIE a Riccardo, Benedetta e
Giovanni de Ghantuz Cubbe…famiglia eroica che ha condiviso con me il sogno di
raggiungere la vetta meridionale dell’Intermesoli (mi mancano gli ultimi venti
metri…ma quando ci andiamo???); ad Andrea compagno di una gran due giorni di
rilevamento ad agosto…siamo riusciti a fare quasi l’impossibile…grandioso!; grazie a
Ruggero per la pazienza allo scanner e a Massimo di Carlo per avermi aiutato alle
sezioni sottili; a Juan (il montanaro dei pirenei catalani...ma dove sei finito???); grazie
laboratorio laureandi, sede di tempo da perdere e non solo!!!; grazie ai grandiosi agenti
della forestale del Parco del Gran Sasso e Monti della Laga di Pietracamela, che ci
hanno accolto nel giardino, per montar la tenda nel loro giardino ed accompagnato ed
aiutato in diverse occasioni; un Grazie speciale ai taglia legna che ci hanno risparmiato
altri interminabili chilometri dandoci un passaggio sopra il camion che scendeva a valle;
Grazie alla signora del rifugio Duca degli Abruzzi perché è stata davvero gentile a
ospitarci quando fuori faceva 3° (a fine giugno) e non c’era nulla di funzionante; grazie
152
ai lavoratori e al direttore della Funivia del lato aquilano per il passaggio a Campo
Imperatore e la salita gratuita, che tante volte mi avete concesso; agli albergatori di
Fonte Cerreto…se non era per voi….; grazie ai due lupacchiotti solitari nel bosco
della notte e a tutti gli animali…proprio tutti, che hanno deciso di non attaccarmi
quando lo potevano fare…belli i camosci!!!; Grazie a Dio e/o alla fortuna
…chiamatelo/a come volete, che mi hanno assistito sempre in montagna; Gran Sasso
sei stato un bell’amico di pietra…ti sei lasciato esplorare senza chiedere nulla in cambio
se non tanto, tanto, tanto, sano sacrificio…insomma ti fai desiderare eh?!?; un Grazie
speciale a mia mamma per la pazienza accordatami questi giorni…ero davvero
irritante…e per tutto quello che con amore ha fatto per me ogni giorno della mia vita.
Grazie anche a tutti quelli che sono stati dimenticati in questi ringraziamenti e
che si sono guadagnati il rispetto e l’amicizia, che qui non ho avuto l’accortezza di
ricordare. Grazie a tutti tutti per avermi onorato di essere vostro compagno di viaggio in
questo splendido lasso di tempo, che abbiamo modo di vivere insieme.
153
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