struttura del fianco occidentale del massiccio del gran sasso d’italia

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1 Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali Corso di Laurea Specialistica in Geodinamica, Geofisica e Vulcanologia Tesi di Laurea in Geodinamica STRUTTURA DEL FIANCO OCCIDENTALE DEL MASSICCIO DEL GRAN SASSO D’ITALIA Relatore Prof. Carlo Doglioni Correllatore Prof. Daniel Bernoulli Laureando Giovanni Luca Cardello Matricola 694550 Anno Accademico 2007/2008

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Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali

Corso di Laurea Specialistica in Geodinamica, Geofisica e Vulcanologia

Tesi di Laurea in Geodinamica

STRUTTURA DEL FIANCO OCCIDENTALE DEL

MASSICCIO DEL GRAN SASSO D’ITALIA

Relatore

Prof. Carlo Doglioni

Correllatore

Prof. Daniel Bernoulli

Laureando

Giovanni Luca Cardello

Matricola 694550

Anno Accademico 2007/2008

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quasi sperso oltre il Cefalone

tutt’intorno l’Abruzzo possente

c’è ancora luce

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INDICE

RIASSUNTO pag.5 INTRODUZIONE 6 LOCALIZZAZIONE GEOGRAFICA 6 SCOPI DEL LAVORO E METODOLOGIE 7 1. STUDI PRECEDENTI 9 2. INQUADRAMENTO GEOLOGICO 29 L’APPENNINO CENTRALE NEL QUADRO GEODINAMICO DELLA

PENISOLA ITALIANA 29

L’APPENNINO CENTRALE E IL GRAN SASSO D’ITALIA: GEOLOGIA

REGIONALE 32

3. ASSETTO GEOLOGICO DEL GRAN SASSO D'ITALIA 40 SINTESI DEL QUADRO STRUTTURALE 40 SINTESI DEL QUADRO STRATIGRAFICO 43 4. STRATIGRAFIA DELLE FORMAZIONI RILEVATE 45 FORMAZIONI CARBONATICHE DI PIATTAFORMA 48 DOLOMIA PRINCIPALE 48 CALCARE MASSICCIO 49 FORMAZIONI BACINALI 50 CORNIOLA 51 CONTATTI STRATIGRAFICI TRA C. MASSICCIO E CORNIOLA 56 VERDE AMMONITICO 60 CORNO PICCOLO FM. 64 CALCARI DIASPRIGNI DETRITICI 69 MAIOLICA FM. 71 CEFALONE FM. 74 SCAGLIA BIANCA FM. 77 MONTE CORVO FM. 79 FONTE GELATA FM. 81 VENACQUARO FM. 83 CALCARENITI GLAUCONITICHE 85 MARNE CON CERROGNA 87 MARNE A ORBULINA 89 LAGA FM. 90 CALCIRUDITI QUATERNARIE 92 5. STRUTTURA TETTONICA 95 AREA OCCIDENTALE 95 AREA ORIENTALE 109 7. EVOLUZIONE TETTONO-STRATIGRAFICA 127

4

DAL TRIAS SUPERIORE AL LIAS 127 DAL DOGGER AL CRETACEO SUPERIORE 131 DAL CRETACEO SUPERIORE ALL’OLIGOCENE 134 DAL MIOCENE INFERIORE ALL’OROGENESI MESSINIANA 138 DAL PLEISTOCENE AD OGGI 142 CONCLUSIONI 147 RINGRAZIAMENTI 150 BIBLIOGRAFIA 153 ALLEGATO 1 CARTA GEOLOGICA CON SEZIONE II ALLEGATO 2 SEZIONI GEOLOGICHE

5

RIASSUNTO Sul fianco occidentale del Gran Sasso è stata condotta una campagna di

rilevamento geologico tra il Luglio 2007 e l’Agosto 2008 su supporto topografico alla

scala 1:10.000. L’adozione di metodi di analisi di facies per lo studio delle successioni

sedimentarie e la caratterizzazione delle strutture, associate ai lineamenti tettonici

principali, hanno permesso di offrire un contributo alla comprensione dei temi

paleogeografici e strutturali, posti dall’area in studio. Il prodotto cartografico del

rilevamento è stata una Carta Geologica in scala 1:10.000, completa di sei transetti

geologici. Il fianco occidentale del Gran Sasso d’Italia è il massiccio montuoso più

elevato dell’Appennino ed è definito da pieghe e sovrascorrimenti, successivamente

dislocati dalla tettonica estensionale quaternaria. Esso è costituito da una successione

sedimentaria meso-cenozoica di piattaforma, base-of-slope, avanfossa silicoclastica,

spessa complessivamente 5000 metri circa. La struttura è interessata da particolari

rapporti tettono-stratigrafici, ereditati dalla tettonica pre-orogenica, che influenzano la

propagazione dei sovrascorrimenti. Particolare attenzione è stata rivolta alla revisione

della stratigrafia, confrontando i dati e le interpretazioni degli Autori con quelli raccolti

in campagna. Nuovi dati sono emersi dallo studio delle formazioni giurassiche.

Nell’area di Acqua San Franco, Versante S di Pizzo Cefalone, è presente un inedito alto

strutturale liassico, delimitato da almeno tre settori ribassati e sigillato dal Verde

Ammonitico. La Corniola ospita una evidente variazione laterale di facies. Il Corno

Grande persiste come alto strutturale per tutto il mesozoico, vincolando la distribuzione

dei risedimenti di piattaforma, che scorrevano sui blocchi ribassati. Un’area

relativamente rialzata corrispondente alla zona di Campo Pericoli ospita una

successione condensata e discontinua durante l’intervallo Cretaceo basale-Paleogene

Medio, evidenziando il persistere di una “zona di alto” sud-orientale. La zona

Venacquaro-Monte Corvo registra sempre caratteri depocentrali. L’attività della Faglia

delle Tre Selle inizia probabilmente già nell’Eocene inf., caratterizzando facies e

spessori dell’hangingwall. I thrusts frontali sono associati a pieghe per propagazione di

faglia e a roto-traslazioni antiorarie. Il plunge della piega immerge verso la zona

depocentrale, dimostrando l’importanza dell’eredità giurassica nella propagazione dei

thrusts. Il basculamento complessivo della struttura Laga-Gran Sasso è legato a

importanti sovrascorrimenti retrovergenti profondi, che definiscono una zona a

triangolo. I sistemi di faglie dirette sono tuttora attivi ed interagiscono tra loro attraverso

il trasferimento del rigetto, operato su faglie transtensionali ad alto angolo.

6

INTRODUZIONE

Localizzazione geografica Il Massiccio del Gran Sasso d’Italia è la catena montuosa a massima elevazione

dell’Appennino. Il suo fianco occidentale è localizzato nell’Abruzzo settentrionale tra le

Provincie di L’Aquila e Teramo. L’area di studio, che fa parte del “Parco Nazionale del

Gran Sasso e Monti della Laga”, racchiude ambienti montani diversissimi tra loro,

dotati di una bellezza rara e talora selvaggia.

I centri urbani di Pietracamela e Fonte Cerreto (Assergi, L’Aquila) sono situati

ai margini dell’area di studio e rappresentano assieme ai rifugi del C.A.I. e alle strutture

turistiche di Campo Imperatore gli unici avamposti della società.

L’area rilevata ricade all’interno del Foglio n°140 “Teramo” della Carta

Geologica d’Italia in scala 1:100.000 e copre un’estensione di circa 60 Km².

Essa è geograficamente suddivisibile in una Porzione montuosa meridionale ed

una settentrionale, approssimativamente suddivise in senso WNW-ESE dall’isoipsa di

quota 1800, che costeggia Prati di Tivo e Colle Ceraso (versante settentrionale del

sottogruppo del Pizzo d’Intermesoli).

La Porzione meridionale comprende le vette più alte del gruppo occidentale. Al

suo interno sono riconoscibili due distinti allineamenti montuosi, distanti tra loro circa

2.5 Km., che separano la zona in due settori. Il Settore Nord include Corno Grande

(Vetta occidentale, 2912 m.), Corno Piccolo (2655 m.), Pizzo d’Intermesoli (2635 m.), ,

Val Maone e Valle Venacquaro. Nel Settore Sud vi sono Pizzo Cefalone (2533 m.)

Figura 1 - Localizzazione geografica e illustrazione dei principali toponimi del Fianco occidentale del Gran Sasso d'Italia, visto da oriente. Il Nord è esattamente a destra.

7

Monte Portella (2385 m.) Monte Aquila (2495 m.) ed ospita alcune aree

topograficamente più depresse quali la testata di Campo Imperatore, Campo Pericoli ed

il Venacquaro. La morfologia è definita da pareti aspre e scoscese in corrispondenza

delle litologie a stratificazione massiva o delle scarpate tettoniche. I rilievi carbonatici

sono interessati dai processi crionivali e carsici. Ne sono prova le tracce di circhi

glaciali, le morene, i versanti regolarizzati e le falde di detrito ai piedi dei rilievi,

prodotte da fenomeni di gelifrazione sulle dorsali prive di vegetazione.

La porzione settentrionale è costituita dalle alture montuose teramane dei Prati di

Tivo, dell’Arapietra e di Colle dell’Asino, che presentano un profilo relativamente più

dolce con acclività maggiori nella parte medio alta del rilievo in corrispondenza del

passaggio alla porzione meridionale. In queste località le fitte faggete talora si aprono in

ampli spazi aperti quali Prato tondo e gli stessi Prati di Tivo.

Scopi del Lavoro e Metodologie La presente Tesi si propone di comprendere e chiarire i tempi e le modalità di

strutturazione di questo settore chiave dell’Appennino Centrale, partendo da alcune

tematiche, lasciate aperte dagli Autori precedenti, relative all’evoluzione

paleogeografica e tettonica.

La ricerca si è svolta in due fasi:

a) La prima fase ha avuto come obiettivo la definizione dell’assetto stratigrafico

e strutturale come risultato di una campagna di rilevamento geologico.

b) La seconda fase è stata maggiormente mirata alla ricostruzione dei rapporti

tettono-stratigrafici, degli spessori formazionali ed allo studio dei lineamenti tettonici

più importanti, per cercare di comprendere l’evoluzione paleogeografica e tettonica del

settore in studio.

La descrizione e l’interpretazione dei dati raccolti sul terreno è sintetizzata nella

Carta geologica allegata mentre la trattazione delle dinamiche di costruzione della

struttura è argomentata nei capitoli seguenti.

Il rilevamento è stato condotto in scala 1:10.000, utilizzando come supporto

topografico la Tavola Est Foglio 349 della Carta Topografica Regionale dell’Abruzzo in

scala 1:25.000, gentilmente fornita dal Prof. Ernesto Centamore ed opportunamente

ingrandita.

L'area in esame è stata studiata avvalendosi delle metodologie classiche del

rilevamento di campagna, seguendo i criteri litostratigrafici.

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L’adozione di metodi di analisi di facies per lo studio delle successioni

sedimentarie ha permesso di acquisire una serie di dati di terreno indispensabili per la

reinterpretazione di quelli già noti in Letteratura.

Maggior attenzione è stata rivolta ai terreni mesozoico-terziari in quanto sede di

particolari contatti stratigrafici.

Partendo dallo Studio stratigrafico di VAN KONIJNENBURG (1997), che è stato un

il riferimento principale per il riconoscimento e la mappatura dei terreni cretaceo-

oligocenici, il presente Lavoro di Tesi estende le medesime metodologie al resto della

successione affiorante con finalità geologico-strutturali.

La biostratigrafia ha un ruolo di fondamentale importanza per il riconoscimento

delle lacune stratigrafiche e per le correlazioni. Dato l’intento strutturale del

rilevamento lo studio stratigrafico è stato attinto in buona parte dai dati di Letteratura.

Particolare impegno è stato dedicato alla delineazione dell’assetto strutturale, al

fine di ricollocare la struttura del Gran Sasso all’interno di uno discorso geodinamico-

regionale di più ampio respiro. A tal fine, il fianco occidentale del Gran Sasso d’Italia è

stato sezionato longitudinalmente e trasversalmente alle principali direttrici tettoniche.

Sono state prodotte infatti diverse sezioni geologiche al fine di analizzare la complessità

tridimensionale della struttura.

La spettacolare esposizione dei terreni meso-cenozoici ha aiutato a tracciare i

limiti formazionali confrontando i nuovi dati raccolti con quelli pubblicati nella

Letteratura geologica.

È stata prodotta una Carta Geologica in scala 1:10.000, applicando una

metodologia che ha consentito di perseguire i seguenti obiettivi:

1) definire la geologia di superficie, prestando maggior attenzione alle strutture

attraversate dalle sezioni geologiche trasversali;

2) comprendere le strutture profonde delineate sulle sezioni geologiche e i

rapporti esistenti tra le stesse;

3) formulare delle ipotesi interpretative sull’evoluzione tettonico-sedimentaria

della struttura.

La verifica di terreno è stata, dunque, di fondamentale importanza per la

formulazione di nuove interpretazioni sull’assetto strutturale del fianco occidentale del

Massiccio del Gran Sasso e sull’evoluzione spazio-temporale dello stesso.

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1. STUDI PRECEDENTI

Il Gran Sasso d’Italia rappresenta da sempre un punto nodale per la

comprensione delle dinamiche di strutturazione dell’Appennino Centrale. Le sue

caratteristiche aspre e severe, la travagliata evoluzione tettono-stratigrafica e la sua

indomata bellezza, lo rendono una imperdibile occasione di sfida per gli studiosi che sin

dal XVI secolo cercarono di definirne le strutture profonde e la storia geologica.

In questo capitolo sono riassunti i contenuti dei più importanti Lavori della

letteratura geologica, ponendo l’accento sul contributo innovativo di ciascuna

pubblicazione. Nella trattazione, maggiore attenzione è dedicata agli Studi connessi alle

tematiche strutturali o all’evoluzione tettono-sedimentaria del fianco occidentale del

Gran Sasso d’Italia. L’interesse per le zone limitrofe a quella qui in studio è dovuto alle

strette interazioni tettoniche e deposizionali tra i diversi settori della catena. Ogni rientro

del paragrafo segna l’inizio della sintesi di ciascun Lavoro. La ricerca bibliografica è

qui esposta in ordine cronologico al fine di valorizzare il faticoso progresso delle

conoscenze sulla struttura di questo importante settore dell’Appennino abruzzese.

Nel 1573 l’ingegnere militare Francesco de Marchi per primo, a memoria

d’uomo, salì il Corno Grande con l’intento di eseguire delle misure topografiche (LANDI

VITTORJ & PIETROSTEFANI, 1972) e produsse una memoria dell’impresa.

Con lo stesso scopo scientifico, nel 1794 Orazio Delfico ascese alla vetta più alta

del massiccio dal versante teramano compiendo inoltre una serie di interessanti

osservazioni sulla posizione stratigrafica delle rocce incontrate durante la campagna di

misurazioni altimetriche.

Nel corso del XIX secolo iniziarono i primi studi di carattere stratigrafico e

paleontologico. BALDACCI & CANAVARI (1884) pubblicarono le prime sezioni

geologiche longitudinali e trasversali all’asse principale della catena fornendo una

dettagliata descrizione stratigrafica, ricca di spunti di correlazione con altri terreni simili

dell’Appennino Centrale. Numerose sono le osservazioni in merito al rinvenimento di

fossili e alla descrizione di alcuni importanti contatti stratigrafici e tettonici.

ZUFFARDI (1914) compì uno studio dettagliato sulle ammoniti dell’Aquilano

dando così un contributo innovativo alle conoscenze paleontologico-stratigrafiche e

dedicando particolare attenzione alla descrizione delle faune giurassiche del Gran Sasso.

RENZ (1951) condusse le prime indagini micro-paleontologiche sulla scaglia

abruzzese, mettendo in evidenza la trasgressione nell’area meridionale del Gran Sasso

10

di terreni dell’eocene medio sui calcari del Cretaceo superiore mentre SCARSELLA

(1953) riconosceva una certa continuità di sedimentazione dal Cretaceo all’Eocene.

I lavori di SCARSELLA (1954, 1955 a, b, c), inseriti all’interno del rilevamento

del Foglio Geologico 140 “Teramo” in scala 1:100.000 della Carta Geologica d’Italia,

migliorano la risoluzione stratigrafica dell’area. La stratigrafia dei terreni giurassici

risultò più accurata ed arricchita di nuovi dati paleontologici e stratigrafici. Particolare

dedizione fu prestata al riconoscimento di alcuni importanti contatti stratigrafici sul

Corno Grande partendo dalla segnalazione di terreni eocenici in contatto sul Calcare

Massiccio effettuate dal SACCO (1907) e dal PRINCIPI (1935) (SCARSELLA 1955 b,

1955c).

Nel periodo compreso tra gli anni ’60 e i primissimi anni ’80 molte energie

furono spese verso il miglioramento delle conoscenze sull’assetto stratigrafico dell’area

centro-occidentale del Gran Sasso d’Italia. Nel 1963 il SERVIZIO GEOLOGICO D’ITALIA,

sotto la direzione del Dott. Ing. Enzo Beneo, pubblicò il Foglio n°140 “Teramo” in scala

1:100.000, all’interno del quale è compresa l’area di studio di questa tesi. Nel Foglio vi

Figura 2 – Sezione Geologica 1 “Pizzo Cefalone-Pizzo d’Intermesoli” (da Foglio 140 “Teramo” della Carta Geologica d’Italia 1:100.000. La raffigurazione non è in scala esatta.

Figura 3 – Parte Nord della Sezione Geologica 2 “Paganica-Fonte Cristiana” (da Foglio 140 “Teramo” della Carta Geologica d’Italia 1.100.000). La raffigurazione non è in scala esatta.

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sono alcune sezioni geologiche strettamente legate ai dati di superficie, sino ad allora a

disposizione dei rilevatori. Nello schema dei rapporti stratigrafici gli Autori evidenziano

una certa differenziazione tra facies di transizione e abruzzesi, mostrando le eteropie di

facies e le variazioni di spessore formazionali dal Giurassico al Miocene. I risultati

ottenuti da questa prima analisi geologica di terreno diedero ampie opportunità di

miglioramento per gli studi successivi, costituendo una pietra miliare nello studio

dell’area.

La stratigrafia del versante meridionale del Pizzo Cefalone fu esaminata

attentamente dai paleontologi partenopei DI NOCERA (1973), BARBERA (1967) e

ZAMPARELLI (1963). Quest’ultima descrisse l’interavallo Cretaceo medio-Eocene medio

nella serie di Rio Arno, riconoscendo l’alternanza di microfacies pelagiche e di origine

neritica soprattutto nel Paleocene (ZAMPARELLI, 1967).

BARBERA (1967) eseguì una nuova attenta analisi paleontologica delle ammoniti

giurassiche rinvenute nella campionatura di 4 serie stratigrafiche nell’aquilano e sul

Gran Sasso (Sella dei due Corni e Sella del Brecciaro) rinvenendo faune liassiche ed

aaleniane. Lo studio di queste faune ha messo in evidenza una notevole diversità nelle

associazioni presenti nell’aquilano e sul Gran Sasso confrontandole con altri siti

dell’area circum-mediterranea. Nel lavoro di BARBERA (1967) sono mostrate le foto di

alcune ammoniti domeriane (Pleinsbachiano sup.), raccolte da SCARSELLA e

ZAMPARELLI sul versante meridionale di Pizzo Cefalone.

ALESSANDRI et Alii nel 1968 studiarono la successione triassica con mezzi e

sistemi alpinistici sulla parete orientale del Corno Grande definendo così per la prima

volta la stratigrafia dei termini più antichi della successione. Nella stessa pubblicazione

ALESSANDRI et Alii (1968) iniziano a delineare l’assetto strutturale del Corno Grande

riconoscendo le superfici di sovrascorrimento quali prodotto dei movimenti traslativi e

rotazionali.

L’interesse per le problematiche di sedimentazione evidenziate dalle lacune,

presenti nelle successioni bacinali giurassiche dell’Appennino Centrale e delle Isole

Ionie (Grecia Orientale), compare in una delle prime pubblicazioni di BERNOULLI

(1967). L’analisi di facies della successione stratigrafica, esposta sul versante

meridionale di Pizzo Cefalone, è inserita all’interno di un modello di evoluzione

paleogeografi0ca dell’Appennino Centrale, per un periodo compreso tra il Lias e il

Cretaceo. La successione studiata al Gran Sasso è presa ad esempio per comprendere le

12

modalità di sedimentazione, che interessavano le porzioni del bacino prossime alla

piattaforma.

Figura 4 – Illustrazione schematica dei rapporti stratigrafici tra le formazioni giurassiche dell’Appennino Centrale e Settentrionale (da BERNOULLI, 1967).

13

BERNOULLI (1967) mostra nel disegno illustrativo della stratigrafia del versante

meridionale del Pizzo Cefalone la stratigrafia delle formazioni bacinali riconosciute e ne

descrive le facies. Il riconoscimento di bio- e litoclasti di origine alloctona di

piattaforma, intercalati in tempi diversi a calcari e calcari marnosi di origine più

propriamente pelagica, e l’identificazione dei meccanismi di messa in posto di questi

corpi ha aumentato la conoscenza sulle problematiche di sedimentazione nell’area di

raccordo tra il Bacino umbro-marchigiano e la Piattaforma laziale-abruzzese.

CRESCENTI (1969 a) e CRESCENTI et Alii (1969) proseguirono lo studio sulle

sezioni stratigrafiche di Pizzo Cefalone e della Portella, portandole come esempio

dell’area del Gran Sasso. Gli studi furono condotti con impostazione

microbiostratigrafiche al fine di correlare le cenozone riconosciute nelle sezioni

stratigrafiche (CRESCENTI, 1969 b). Gli Autori riconoscono l’incorrere di marcate

influenze pelagiche in tutte le cenozone della sezione di Pizzo Cefalone delle

formazioni sovrastanti le Dolomie di Castel Manfrino, che sono alla base delle serie

studiate. Essi dunque proposero una ricostruzione dell’evoluzione tettonico-

sedimentaria dal Lias al Miocene dell’Appennino centrale marchigiano-abruzzese,

basata sull’analisi di molte altre successioni stratigrafiche. CRESCENTI et Alii (1969)

sostengono che il “rosso ammonitico” non può essere cartografato in qualità di

formazione perché nell’area abruzzese si ripete più volte in più livelli stratigrafici ed è,

a loro avviso, preferibile considerarlo come una litofacies della Corniola.

Gli sforzi congiunti dei ricercatori delle Università di Camerino e Roma

mirarono ad aumentare le conoscenze sul mesozoico del Gran Sasso d’Italia. Più di otto

pubblicazioni in tema apportarono il loro contributo alla risoluzione di diverse questioni

(ADAMOLI et Alii, 1978 e 1981-1982 a e b; CHIOCCHINI & MANCINELLI, 1978).

ADAMOLI et Alii (1978) forniscono in una di queste pubblicazioni alcune importanti

interpretazioni sull’evoluzione paleo ambientale in chiave tettono-stratigrafica di una

vasta area racchiusa tra Pizzo Cefalone, Corno Grande e Monte della Selva.

Quest’ultima dista 13 Km a SE dell’area qui in esame. L’attenta analisi di facies delle

rocce, comprese tra il Trias Superiore e il Cretaceo Inferiore, permise agli Autori di

correlare i diversi corpi sedimentari e di ricostruire le fasi tettoniche che strutturarono la

“scarpata” di raccordo al bacino, del quale gran parte dell’area del Gran Sasso

rappresenta la porzione prossimale. ADAMOLI et Alii (1978) tracciarono a grandi linee

l’articolazione fisiografica della zona riconoscendo le diverse fasi di smembramento ed

annegamento della piattaforma carbonatica del Calcare Massiccio. Lo studio

14

preliminare dei contatti stratigrafici e degli spessori formazionali permise di riconoscere

gli alti strutturali del Corno Grande-Monte Rofano e delle porzioni più depresse che li

circondavano. Secondo questi Autori il limite della piattaforma carbonatica del Lias

inferiore si sarebbe delineato, a partire dal Lias medio, in seguito all’attività di faglie

ONO-ESE, disposte a gradinata verso il bacino a Nord, Sud ed Est. In ADAMOLI et Alii

(1981-1982 b) viene affrontato lo studio stratigrafico dell’area immediatamente a Sud

del Corno Grande compresa tra la Valle dell’Inferno, il Duca degli Abruzzi e la Valle

Fredda. Viene descritta la successione stratigrafica ponendo l’accento sui rapporti tra le

varie formazioni. Nella sezione stratigrafica dell’Albergo di Campo Imperatore sono

riconosciute alcune importanti lacune sedimentarie: nel Giurassico, tra i calcari nodulari

liassici e la maiolica titoniana; al passaggio Cretaceo inferiore-Cretaceo superiore;

nell’intervallo Eocene sup.-Oligocene. Gli Autori riconoscono la presenza di due zone a

diversa evoluzione tettonico-sedimentaria: la zona settentrionale (Valle dell’Inferno) ad

elevata componente detritica; e la zona centro-meridionale (M.Aquila-Albergo di

Campo Imperatore), che presenta sequenze giurassiche complete e lacunose simili a

quelle del dominio umbro-marchigiano. ADAMOLI et Alii (1981-1982 b) sostengono che

l’estesa lacuna paleogenica, diffusa soprattutto nell’unità centro-meridionale, è

correlabile con le discontinuità stratigrafiche tipiche della Piattaforma laziale-abruzzese.

Questa ipotesi comporterebbe dunque una stretta connessione tra l’attività di

strutturazione della piattaforma e del bacino antistante.

In CHIOCCHINI & MANCINELLI (1978) sono descritte alcune sezioni

stratigrafiche. Tra queste, cinque ricadono nell’area di studio di questa Tesi di Laurea.

Una di queste è esclusivamente in facies di piattaforma carbonatica (Serie del Corno

Grande), le altre quattro (Serie di Pizzo Cefalone I e II, Serie del Duca degli Abruzzi,

Serie dell’Acquare della Formica) sono in facies pelagico-detritica.

L’interesse verso la comprensione delle tematiche strutturali prese vigore nel

corso dell’ultimo quarto di secolo.

Nel 73° congresso della Società Geologica Italiana del 1986, infatti, alcune note

erano indirizzate alla comprensione dell’assetto strutturale della catena alla luce dei

nuovi dati di pozzo acquisiti e da quelli risultati nello scavo del traforo autostradale

(CATALANO et alii, 1986 a e b; GHISETTI, 1986; GHISETTI & VEZZANI, 1986). Queste

pubblicazioni permisero di vincolare i dati di superficie con quelli profondi. Gli Autori

tracciarono le geometrie che persistono lungo l’autostrada, che passa in corrispondenza

di Monte Aquila.

15

In CATALANO et alii (1986 a e b) la struttura traforata è suddivisa in: un blocco

meridionale, rappresentato da una monoclinale, costituita da calcari mesozoici, dislocata

da faglie dirette di rigetto considerevole di età successiva al sovrascorrimento W

immergente di 10-15°; e da un blocco settentrionale, formato da terreni cretacico-

terziari in giacitura di sinclinale rovesciata posta al letto del thrust suddetto, che divide

le due unità ora descritte.

GHISETTI (1986) riconosce nella catena del Gran Sasso otto unità tettoniche che

sovrascorrono sui depositi del Bacino della Laga tra il Messiniano superiore ed il

Pliocene inferiore. L’Autrice suddivide i contatti di thrust in tre gruppi principali: quelli

che si propagano attraverso spesse fasce di gouge incoerente e cataclasiti; quelli

caratterizzati da un piano fragile che tronca le pieghe sviluppate ai limiti di thrust; e

quelli dove le cataclasiti foliate, altamente deformate, sono associate ai piani di

movimento. Le stesse superfici di thrust possono essere marcate da differenti end

members dei tre gruppi in funzione della variazione della litologia sui contatti e di una

disomogenea distribuzione della deformazione. La cataclasi è predominante nelle unità

di tetto mentre le unità poste più in profondità sono interessate da fenomeni di taglio

flessurale lungo le variazioni di competenza della litologia. Il gradiente di deformazione

aumenta avvicinandosi ai piani di sovrascorrimento che sono quasi paralleli ai piani

assiali delle pieghe. GHISETTI (1986) descrive i meccanismi di deformazione (cataclasi,

flusso cataclastico e pressione-soluzione) sulle superfici di thrust identificando nella

cataclasi il meccanismo deformativo principale. L’intensificarsi di quest’ultimo

meccanismo, innesca la riduzione di grana. Tale processo favorisce il movimento di

clasti di dimensioni maggiori nella direzione del movimento sul sovrascorrimento. La

progressiva mobilitazione porta allo sviluppo di bande di flusso dove i microlithons

sono allungati nella direzione del senso di taglio. La deformazione avviene, senza

meccanismi di deformazione intracristallina e dunque per bassi valori di T (<300°C.) e

P (<5-10Km). L’incorrere di fluidi, il contrasto di competenza e la persistenza sui

medesimi piani della cataclasi vincolano l’azione dei meccanismi deformativi. La

presenza di particolari livelli foliati a differenti altezze della successione favorisce la

localizzazione in zone progressivamente più sottili della deformazione, che è

caratterizzata dalla ripetizione pervasiva degli stessi processi.

GHISETTI & VEZZANI (1987; 1990 a, b; 1991), rispettivamente appartenenti alle

Università di Catania e Torino affrontarono in pubblicazioni successive la complessità

delle strutture generate con i sistemi di sovrascorrimento. Gli Studiosi riconobbero ben

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sei superfici principali di sovrascorrimento che si intersecano tra loro in complessi

rapporti di fuori sequenza. Il periodo di attività compressiva è tra il Messiniano e il

Pliocene medio. In questo quadro i piani di thrusts più giovani taglierebbero quelli

generati nelle fasi compressive più antiche, a loro volta dislocati dalle faglie normali del

Pleistocene sup.-Olocene. A causa di queste complicazioni tettoniche e della estrema

variabilità della successione stratigrafica tra i terreni di una medesima formazione, posti

a tetto e a letto dei thrusts, GHISETTI & VEZZANI (1990 b) ritengono inappropriato

continuare a suddividere la struttura in unità tettoniche. Gli Autori, notando una

riduzione dei raccorciamenti da Est verso Ovest (Passo delle Capannelle), suppongono

una rotazione antioraria del fronte del Gran Sasso sulle unità del dominio umbro-

marchigiano, che si erano strutturate durante il Messiniano secondo le direttrici N-S. La

rotazione, comprovata da dati paleo-magnetici allora a disposizione, sembrava essere

accomodata dalla presenza di uno svincolo transpressivo destro lungo il fronte

M.Cappucciata-M.Picca (DELA PIERRE et Alii, 1992), nonostante risulti

cinamaticamente più probabile l’incorrere di una transpressione sinistra. DELA PIERRE et

Alii (1992) ammettono infatti una rotazione omogenea antioraria di circa 90° intorno ad

un polo posizionato nella porzione più occidentale dell’arco (Passo delle Capannelle).

GHISETTI & VEZZANI (1990 b) ammettono l’impossibilità di condurre delle

ricostruzioni palinspastiche in questo settore dell’Appennino Centrale, che tengano in

considerazione una “regolare propagazione dei raccorciamenti”, reputando difficile la

Figura 5 - Sezioni geologiche del Gran Sasso d'Italia in scala 1:25.000 (da GHISETTI & VEZZANI , 1990 a). La faglia normale di Campo Imperatore, suddivide la struttura in un blocco settentrionale ed in uno meridionale ad assetto monoclinalico. La sezione 4 attraversa Pizzo Cefalone-Prati di Tivo. La sezione 5 corre lungo il tracciato autostradale, che passa in corrispondenza di Monte Aquila, e riporta in parte i dati delle perforazioni profonde (Fontari, M.Aquila e Vaduccio). La raffigurazione non è in scala.

17

ricostruzione delle geometrie profonde partendo dai soli dati superficiali e di traforo,

che peraltro sono gli unici sino ad oggi a disposizione. Le pieghe ed i sovrascorrimenti

esposti lungo il fianco E-W mostrano una pura compressione verso Nord senza alcuna

componente strike-slip (GHISETTI, 1987). In GHISETTI & VEZZANI (1991) sono descritte

le caratteristiche geometriche e cinematiche dell’edificio del Gran Sasso legate alla

strutturazione di pieghe asimmetriche orientate E-W decapitate a tetto e a letto da

superfici di sovrascorrimento anch’esse E-W. Tale sistema è definito di frontal ramps

and flats. La direzione di trasporto è generalmente verso Nord. Sul Fianco orientale del

Gran Sasso d’Italia (Monte Camicia) alcune particolari superfici tettoniche permettono

la sovrapposizione di termini più giovani su quelli più antichi. Queste superfici sono

state interpretate da GHISETTI & VEZZANI (1990 a, b; 1991) i quali spiegano queste

apparenti anomalie con il sovrascorrimento di unità tettoniche, attivate da thrusts fuori

sequenza. Gli Autori producono una schematizzazione della successione cronologica

dei diversi piani di sovrascorrimento e dei loro rapporti di taglio reciproco.

In ADAMOLI (1992) lo studio stratigrafico strutturale in scala 1:10.000 dell’area

compresa tra il Corno Grande e il Corno Piccolo, permette di interpretare la funzione di

alcuni importanti lineamenti strutturali, ereditati dalla tettonica distensiva liassica e di

suddividere l’area in unità strutturali. Al letto del piano di scollamento principale α, che

affiora anche sul Paretone, vi è l’unità in successione rovesciata “Prati di Tivo”. L’unità

al tetto del thrust è suddivisa in due sub-unità dalla superficie di faglia normale γ che

separa la sub-unità “Corno Grande-Corno Piccolo” dalla sub-unità “Campo Pericoli-

M.Aquila”. ADAMOLI (1992) suppone la riattivazione compressiva delle faglie bordiere

Figura 6 – Schema di sintesi (non in scala) dei rapporti geometrici tra i piani di sovrascorrimento. 1 Assetto strutturale lungo la trasversale Corno Grande-Corno Piccolo. 2 Assetto strutturale lungo la trasversale Valle dell’inferno-M.Aquila-Pizzo Cefalone. 3 Assetto strutturale di M.Corvo-M.Jenca.

18

β dell’alto strutturale identificato nel Corno Grande con meccanismi tipici della

tettonica d’inversione.

Nel corso degli anni novanta l’attenzione di diversi gruppi di ricerca si focalizzò

sulla risoluzione delle problematiche stratigrafiche espresse dalla notevole variabilità

verticale ed orizzontale delle facies nella successione del Gran Sasso d’Italia. Nel lavoro

di CHIOCCHINI et Alii (1994) sono esposti i risultati dello studio micro paleontologico e

biostratigrafico di 22 sezioni localizzate in diversi settori della piattaforma carbonatica

laziale abruzzese. Due di queste sezioni stratigrafiche (Pizzo Cefalone e Duca degli

Abruzzi) ricadono nell’area di studio e sono interpretate appartenere alla facies di

scarpata esterna. La variabilità degli spessori nelle diverse successioni è imputabile a

discontinuità nella sedimentazione, le cui cause sono fondamentalmente eustatiche,

tettoniche e di variazione del tasso di subsidenza. Lo studio di correlazione

biostratigrafica, proposto da CHIOCCHINI et Alii (1994) aggiorna il lavoro di CHIOCCHINI

& MANCINELLI (1978) inserendolo in un contesto più amplio. La scuola camerta pone

l’accento sulla possibilità di correlare gli eventi di oscillazione del livello marino in

piattaforma con gli effetti sulla continuità della sedimentazione in bacino.

DELA PIERRE & BRUZZONE (1991) e DELA PIERRE & CLARI (1994), provenienti

dall’Università di Torino, contribuirono all’ampliamento delle conoscenze

stratigrafiche, focalizzando l’attenzione sull’evoluzione tettono-sedimentaria

paleogenica della Catena del Gran Sasso. In DELA PIERRE & CLARI (1994) l’analisi

stratigrafica di dettaglio di 10 sezioni della Scaglia Rossa e della Scaglia Cinerea

consentì agli Autori di descrivere al loro interno diverse litofacies. Lo studio

biostratigrafico e l’identificazione di alcune apprezzabili superfici di discontinuità

permise di risalire alle cause che hanno innescato le differenziazioni nel contesto

deposizionale. Durante l’intervallo Cretaceo-Paleogene la successione del Gran Sasso è

caratterizzata da brusche variazioni di facies e di potenza che individuano settori

subsidenti, sede di una sedimentazione pelagico detritica e di scarpata, e settori sollevati

sui quali si sedimentavano sottili successioni di alto strutturale. DELA PIERRE & CLARI

(1994) individuarono due settori di alto strutturale al Pizzo di Camarda (poco ad Ovest

dell’area di tesi) e a Fonte Pecchio (versante NE del Gran Sasso) nei quali le

discontinuità sono da ricondursi al regime tettonico transpressivo cretacico-eocenico. Il

primo di questi sembrerebbe mostrare evidenze di emersione all’intervallo K-T seguite

da una sedimentazione lacunosa e che da marne nodulari talora mineralizzate. Altre

zone (Rio Arno ad es.), essendo maggiormente riparate dai flussi provenienti dalle zone

19

di piattaforma, mostrano successioni più continue e con una minore frequenza di

intercalazioni ruditiche e calcarenitiche (DELA PIERRE & CLARI, 1994). Gli Autori

inoltre produssero degli schemi di correlazione e distribuzione delle facies per la

ricostruzione paleogeografica del Paleocene inferiore e dell’Oligocene superiore.

Secondo tali ricercatori le lacune stratigrafiche sarebbero legate allo slittamento dei

sedimenti pelagici lungo la scarpata carbonatica.

BIGOZZI nel 1994 affronta uno studio stratigrafico-sequenziale della successione

compresa tra il Trias superiore e il Lias inferiore dell’area del Gran Sasso, fornendo

elementi utili per la ricostruzione paleoambientale. Il sistema piattaforma carbonatica-

bacino compreso tra il Corno Grande e Ofena è composto da quattro megasequenze

deposizionali del secondo ordine, con durata variabile dai 5 ai 9 Ma. Le superfici che

delimitano le sequenze rappresentano momenti di massima trasgressione, che separano

fasi diverse dell’evoluzione del bacino. Le variazioni del tasso di subsidenza regionale

avrebbe influenzato la ciclicità di secondo ordine. Alla scala del quarto o del quinto

ordine tra le varie cause concomitanti, quali variazioni dei fattori biologici, tettonica

ecc., l’eustatismo sembra aver giocato un ruolo fondamentale nel determinare l’assetto

ciclico alla scala del quarto e del quinto ordine. Secondo BIGOZZI (1994) il bacino intra-

piattaforma, che si era sviluppato in ambiente euxinico nel Norico a seguito dell’azione

della tettonica transtensiva, subì un progressivo ampliamento nel Lias Inferiore quando

avvenne la trasformazione da solco intra-piattaforma a bacino pelagico aperto. Solo nel

Lias medio si registra il definitivo annegamento di tutto l’area del Gran Sasso e la

saldatura del bacino omonimo con quello umbro-marchigiano.

VAN KONIJNENBURG (1997) e VAN KONIJNENBURG et Alii (1998; 1999)

apportano un contributo fondamentale alla comprensione delle dinamiche di

strutturazione e di evoluzione paleogeografica della porzione occidentale Gran Sasso

d’Italia per il periodo compreso tra il Cretaceo inferiore e il Terziario inferiore. Questa

piccola serie di pubblicazioni è il frutto di una tesi di dottorato alla quale hanno

partecipato personalità scientifiche del calibro Daniel Bernoulli, Wolfgang Schlager e

Maria Mutti. Nel mio lavoro di tesi utilizzerò la suddivisione formazionale proposta nei

Lavori di VAN KONIJNENBURG (1997) e VAN KONIJNENBURG et Alii (1998; 1999) nei

quali si applicano i principi della stratigrafia sequenziale. La successione fu suddivisa,

infatti, in corpi sedimentari geneticamente relazionati, delimitati da superfici inconformi

o di conformità relativa secondo il metodo descritto da MITCHUM et Alii (1977) e

SCHLAGER (1992). Gli Autori si proposero di perseguire i seguenti obiettivi:

20

• determinare stratigrafia, sedimentologia e geometrie deposizionali dei

depositi di slope carbonatico nel tempo;

• correlare sequenze e limiti di sequenza noti di piattaforma (Majella) con

quelle poi identificate sul Gran Sasso;

• definire come le variazioni del regime sedimentario influenzino il regime

sedimentario.

I limiti delle unità descritte da VAN KONIJNENBURG (1997) e VAN KONIJNENBURG

et Alii (1998; 1999) non sempre coincidono con quelli degli Autori precedenti. Ciò

potrebbe apparentemente generare confusione ma la revisione dei limiti formazionali e

l’istituzione di nuovi nomi per queste fu necessario al fine di evitare un inadeguato

accostamento con unità riconosciute da altri Autori, che hanno utilizzato differenti

criteri di suddivisione formazionale, chiamando con gli stessi nomi porzioni diverse di

successione e viceversa (RENZ, 1951, SCARSELLA 1954, 1955 a, b, c; SERVIZIO

GEOLOGICO D’ITALIA, 1963; CRESCENTI, 1969 a; CRESCENTI et Alii, 1969; ADAMOLI et

Alii, 1978 e 1981-1982 a e b; CHIOCCHINI & MANCINELLI, 1978; GHISETTI & VEZZANI,

1990 a; DELA PIERRE & CLARI, 1994).

VAN KONIJNENBURG (1997) e VAN KONIJNENBURG et Alii (1998; 1999) distinsero

6 diverse formazioni: Maiolica, Cefalone, Scaglia Bianca, Monte Corvo, Fonte Gelata,

Venacquaro. All’interno di ciascuna formazione sono state riconosciute unconformaties

di ordine inferiore che, non avendo una estensione riconoscibile in tutto il Gran Sasso,

non furono utilizzate per la suddivisione formazionale ma per il riconoscimento di

variazioni del contesto deposizionale, come già operato in parte da DELA PIERRE &

CLARI (1994). VAN KONIJNENBURG (1997) e VAN KONIJNENBURG et Alii (1998; 1999)

descrivono l’ambiente deposizionale per i periodi coperti da ciascuna formazione, che è

caratterizzata da una peculiare associazione di facies deposizionale. Tale associazione

cambia drasticamente lungo i limiti formazionali, i quali sono relazionati a variazioni

del regime sedimentario dovute a cicli di piattaforma del 2° ordine (10-20 Ma). Gli

Autori documentano la connessione tra gli eventi registrati nel dominio di piattaforma

della Majella e gli effetti scaturiti nella sedimentazione di base di slope, esposta al Gran

Sasso d’Italia, pur riconoscendo che alcune discontinuità, nella Scaglia Bianca e in

Fonte Gelata, non sono legate alle variazioni eustatiche del livello del mare. La maggior

parte delle unconformities e la rapida variabilità verticale delle facies sono associate alle

variazioni del sistema deposizionale, le quali tracciano gli stessi limiti di sequenza,

ridefiniti da SCHLAGER (1993). La sedimentazione nell’area del Gran Sasso era

21

caratterizzata dalla deposizione di flussi di massa, originati dal collasso dei margini di

piattaforma, e dalla caduta di materiale bioclastico proveniente dalla/e piattaforma/e

circostante/i. Gli Autori suppongono che le correnti conturitiche spazzassero di volta in

volta la base dello slope, depositando i depositi di coda nelle porzioni più interne del

bacino e causando localmente gaps stratigrafici nella successione di base-of-slope. La

comparazione tra le curve geostoriche del margine della piattaforma della Majella e

quelle del bacino Umbro-Marchigiano indica che l’evoluzione sembra aver controllato

la quantità di sedimento accumulato alla base dello slope facendo aumentare

notevolmente i tassi di sedimentazione.

D’AGOSTINO et Alii pubblicarono nel 1998 un importante analisi strutturale

riguardante i rapporti tra le faglie inverse preesistenti, la topografia e gli stili della

tettonica estensionale nella catena del Gran Sasso. Gli obiettivi del Lavoro mirarono a

comprendere: come le faglie preesistenti e la topografia controllano la geometria e la

cinematica delle faglie normali; e come avviene la migrazione verso l’esterno della

tettonica estensionale. Gli Autori mostrano tre sezioni geologiche schematiche dei

rapporti tra le unità strutturali descrivendo lo sviluppo delle strutture tettoniche da Est

(M. Prena-M. Camicia) verso Ovest (Pizzo Intermesoli-Pizzo Cefalone). Particolare

attenzione è dedicata al sistema di faglie di Assergi (Faglia di Assergi e Faglia delle Tre

Selle) del quale sono descritti modi e tempi dell’attività tettonica. D’AGOSTINO et Alii

(1998) suggeriscono che queste faglie hanno geometria planare ad alto angolo (55°-65°)

fino alle profondità dello strato sismogenetico (10-15 Km). Al fine di vincolare

sperimentalmente la geometria delle Faglie di Assergi e delle Tre Selle, gli Autori

testarono un sottile modello di piastra elastico, costituito da uno strato anelastico,

equivalente alla sismogenetica crosta superiore, posto al di sopra di uno strato fluido e

viscoso. Il confronto permette di descrivere i comportamenti di lungo tempo

approssimando la sommatoria delle ripetute deformazioni co-sismiche e post-sismiche

intorno alle maggiori faglie normali. I dati sperimentali hanno tenuto conto di un

modello semplificato della topografia pre-distensione, successivamente interessato

dall’azione delle faglie normali ad alto angolo nella crosta superiore. Nella porzione

orientale (Campo Imperatore e Media Valle dell’Aterno) le faglie normali mostrano

evidenze di riattivazione delle rampe delle faglie inverse per accomodare l’estensione.

La differenza sarebbe legata per D’AGOSTINO et Alii (1998) alle modalità di

propagazione verso l’esterno dell’attività delle faglie normali e al diverso assetto

strutturale delle due aree. Nella porzione orientale la complessità della propagazione dei

22

thrusts, dovuta alla rotazione antioraria di circa 90° della catena del Gran Sasso,

causerebbe un più alto rilievo topografico e dunque lo sviluppo di una zona a maggiore

debolezza. Il campo di sforzo regionale risulterebbe dunque deviato, facendo tagliare i

piani di thrusts nella zona occidentale. Sul fianco orientale gli stessi piani sarebbero

parzialmente riutilizzati dalla tettonica distensiva. La distorsione della direzione della

faglia di Campo Imperatore rispetto al trend NW-SE delle faglie appenniniche è

anch’essa da ricondursi alla riattivazione delle faglie inverse. La notevole articolazione

superficiale dei piani dei thrusts è ripresa nello sviluppo delle faglie normali a basso

angolo (25-35°) della porzione orientale del Gran Sasso d’Italia. L’interpretazione di

D’AGOSTINO et Alii (1998), qui esposta, contraddice la precedente ricostruzione di

GHISETTI (1987) e GHISETTI & VEZZANI (1991) dove gli stessi piani erano definiti come

thrusts fuori sequenza. D’AGOSTINO et Alii (1998) notano, inoltre, l’interazione tra il

sollevamento regionale, che si estende per circa 150 Km, e la lunghezza d’onda delle

principali faglie dirette appenniniche, definite da un’equidistanza approssimativa di

circa 30 Km, che si sviluppa a tergo delle vette più alte. È evidente dunque che

l’evoluzione morfologica è contemporanea alla migrazione del sollevamento regionale e

all’azione delle faglie normali.

SPERANZA (2003) e SPERANZA et Alii (2003) dopo aver raccolto e ricavato nuovi

dati paleomagnetici dai filoni sedimentari e dagli strati affioranti al Corno Grande,

dimostrano che il fronte E-W del saliente del Gran Sasso a loro avviso ha subito una

cinematica differente tra la parte occidentale (Monte Corvo-Corno Grande) e quella

orientale (M.Prena-M.Camicia). Quest’ultima, interessata da particolari contatti

tettonici, già analizzati in D’AGOSTINO et Alii (1998), è sede di grandi raccorciamenti e

di rotazioni antiorarie di circa 90° mentre il Corno Grande risulterebbe non aver subito

significative rotazioni. Il Gran Sasso sarebbe dunque un arco composito (SPERANZA et

Alii, 2003). Gli episodi di raccorciamento del Messiniano sup. e del Pliocene inf. e

medio documentati lungo il fronte del Gran Sasso indicano che la costruzione della

catena e la formazione dell’arco sono avvenuti durante due episodi distinti. Gli Autori

suggeriscono che la parte meridionale del fronte N-S del Messiniano sup. sia stata

riattivata durante il Pliocene inf.-medio formando uno stretto saliente dovuto a rotazioni

antiorarie e a differenti tassi di raccorciamento lungo il fronte. Il paleomagnetismo della

porzione occidentale, ricavato in SPERANZA et Alii (2003), dimostrerebbe che il fronte

E-W è una caratteristica ereditata e che non deriva da rotazioni dovute alle spinte

orogeniche. La particolare orientazione longitudinale sarebbe da ricondursi all’assetto

23

ereditato dalla tettonica liassica, evidente al Corno Grande (SPERANZA, 2003; SPERANZA

et Alii, 2003). La grande rotazione semirigida della parte orientale della catena fu

considerata come uno svincolo laterale verso nord, dovuto alla collisione tra due

differenti piattaforme carbonatiche durante la migrazione verso NE del prisma

appenninico (SPERANZA et Alii, 2003).

In (SPERANZA, 2003) l’Autore dedica una attenta descrizione alla geologia del

Corno Grande ponendo l’accento su alcune evidenze stratigrafiche e sulle analisi

paleomagnetiche. Il Corno Grande, è considerato un seamount persistente

completamente bordato da faglie normali, sviluppatesi nel corso del Lias. La

sedimentazione sull’alto strutturale è supposta nulla o condensata per tutto il periodo

mesozoico-terziario. Secondo SPERANZA (2003) la faglia, che borda il fianco

meridionale della Valle dei Ginepri, ha avuto un ruolo fondamentale nella tettonica

distensiva Liassica ed ha sperimentato una moderata inversione positiva durante

l’orogenesi. L’Autore suppone inoltre l’esistenza di una faglia normale E-immergente,

sepolta al di sotto della Val Maone, e la presenza di un gradino ribassato in

corrispondenza di Monte Aquila. Lo sviluppo di tre diverse generazioni di filoni

sedimentari (Corniola, Verde Ammonitico, Scaglia) dimostra il proseguire della

tettonica disgiuntiva e l’instabilità gravitativa delle pareti del seamount in diversi istanti

geologici. La faglia inversa, che affiora sul “Paretone”, si strutturò nel Messiniano

superiore durante l’incorrere della tettonica compressiva Est-vergente. La compressione

Pliocene inf.-medio, che ha generato i raccorciamenti verso Nord, sarebbe stata dunque

all’origine della struttura E-W attuale della catena del Gran Sasso e dell’inversione

positiva delle strutture suddette.

Gli Studiosi dell’Università di Chieti pubblicarono due interessanti lavori sul

sistema a thrusts del saliente del Gran Sasso nei quali ricostruiscono le geometrie 3D

dei piani di sovrascorrimento e la sequenza delle fasi deformative (CALAMITA et Alii,

2003 e 2004).

In CALAMITA et Alii (2003) gli Autori cercano di valutare il ruolo

dell’architettura del paleomargine mesozoico durante l’evoluzione del sistema

orogenico. L’alto strutturale Corno Grande-Monte Corvo sembra vincolare lo sviluppo

fisiografico del bacino mesozoico e di quello terziario delle Marne con cerrogna, che

doveva essere caratterizzato da alti e bassi strutturali, e dunque anche del Bacino della

Laga. Gli Autori attribuiscono un’attività miocenica alla Faglia Monte Corvo-Corno

Grande (Faglia delle Tre Selle) al fine di spiegare le marcate differenze di spessore tra il

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blocco di letto e quello di tetto nella Formazione delle Marne con Cerrogna. CALAMITA

et Alii (2003) sostengono che le principali tappe dell’evoluzione sono rappresentate:

dalla trascorrenza/transpressione oligo-miocenica d’avanpaese; dalla flessurazione

(buckling/bending), associata allo sviluppo del bacino sin-orogenico messiniano-

infrapliocenico; dal thrusting pliocenico della catena con dislocamento, rotazione e

riutilizzazione delle faglie preesistenti da parte dei piani di sovrascorrimento che

seguono una traiettoria di short-cut. In questo contesto deformativo è netta la

corrispondenza tra la culminazione delle unità carbonatiche e della zona assiale e gli alti

strutturali pre- e sin-orogenici.

CALAMITA et Alii (2004) riconoscono tre tipologie di faglie nell’area di studio:

• faglie normali pre- e sin-orogeniche, dislocate dai thrusts e ruotate

nell’ambito delle pieghe associate al thrusting (Faglia del Passo del Cannone);

• faglie pre- e sin-orogeniche, riutilizzate durante la tettonica estensionale

del Quaternario (Faglia delle Tre Selle);

• faglie a prevalente attività quaternaria (Sistemi di faglia di Assergi e di

Campo Imperatore).

Per gli Autori la corrispondenza tra l’architettura del paleomargine mesozoico e

la geometria a thrust del Gran Sasso documenta il controllo esercitato dalle

discontinuità preesistenti sulla geometria delle strutture della catena, evolute in un

contesto di inversione tettonica e di short-cut. L’architettura del paleo-margine ha

controllato anche la fisiografia dell’avanfossa messiniana, caratterizzata da un alto

strutturale localizzato in corrispondenza della piattaforma carbonatica-zona di

transizione al bacino e un depocentro ubicato al di sopra del bacino pelagico posto

subito a Nord della piattaforma stessa. Tale alto strutturale è in parte ereditato

dall’evoluzione oligo-miocenica di avampaese documentata dalla lacuna paleogenica.

CALAMITA et Alii (2004) ipotizzano, per la prima volta in letteratura, una propagazione

in sequenza dei thrusts con una quantità di deformazione crescente verso SE e una

geometria a saliente dei piani di sovrascorrimento controllata dalle discontinuità

preesistenti.

25

Gli Autori presentano 4 sezioni geologiche (Monte Jenca; Monte Corvo; Monte

Aquila; Monte Camicia) che interpretano le geometrie profonde. Nella sezione di Monte

Corvo si nota la transizione stratigrafica tra la sequenza carbonatica mesozoica e i

depositi silicoclastici della Laga. CALAMITA et Alii (2004) suppongono relazioni en-

echelon tra i thrusts (inferiore e superiore) che si dipartono proprio da Monte Corvo e

quelli che interessano la zona di Monte Jenca-Monte San Franco.

SATOLLI et Alii (2005) affrontano un attento studio di revisione e analisi dei dati

paleomagnetici, già acquisiti e nuovi, al fine di comprendere l’evoluzione del saliente

del Gran Sasso. Secondo gli Autori, tra i quali c’è lo stesso Prof. Calamita, le porzioni

più interne e i punti terminali dell’arco del Gran Sasso non hanno subito rotazioni.

Rotazioni di magnitudo e segno variabile sono osservate invece lungo la curvatura del

fronte di sovrascorrimento. Muovendosi verso l’apice, lungo il fronte E-W le rotazioni

antiorarie diventano progressivamente più grandi. Allo stesso tempo le rotazioni orarie

incrementano la loro grandezza lungo il fronte N-S. Le rotazioni aumentano più che

linearmente, raggiungendo il loro massimo valore (~80° CCW e ~50°CW) in prossimità

dell’apice. I due domini di rotazione sono separati nella zona apicale da un settore

dominato dalla rotazione locale di alcuni blocchi. La disuguaglianza tra i valori massimi

di rotazione oraria ed antioraria è conseguenza dell’asimmetria del verso di spostamento

dell’indenter (=blocco rigido in traslazione su terreni più duttili con effetto simile a

quello di una nave spaccaghiaccio), che è N70°E (come per la struttura Montagna dei

Fiori-Montagnone), rispetto agli andamenti preorogenici dei margini stessi (E-W e N-

S). Gli Autori sostengono che il saliente del Gran Sasso si è generato nell’intervallo

Figura 7 - Assetto paleogeografico del Messiniano. L'alto strutturale corrisponde alla piattaforma carbonatica mesozoica LA e il suo dominio di transizione al bacino, che borda l’avanfossa messiniana a Sud. L’architettura del Paleomargine e la fisiografia dell’avanfossa controllano la localizzazione delle rampe di sovrascorrimento e la loro geometria. La sezione 1, che è circa N-S, attraversa la struttura di Monte Corvo (da CALAMITA et Alii, 2004).

26

Messiniano-Pliocene con una traslazione senza rotazione di un blocco calcareo, non

interessato al suo interno da sovrascorrimenti, su litologie meno competenti. Questa

interpretazione, avvalorata dai dati paleo-magnetici di SATOLLI et Alii (2005), contrasta

nettamente con quella di GHISETTI (1987) e GHISETTI & VEZZANI (1991), che vede

grandi raccorciamenti fuori sequenza, e parzialmente con quella di D’AGOSTINO et Alii

(1998). Quest’ultimi supportano l’ipotesi di una riattivazione distensiva dei vecchi piani

di sovrascorrimento. SATOLLI et Alii (2005) negano invece queste complicazioni della

struttura interna. Per gli Autori della scuola chietina i thrusts sono solo in posizione

marginale. Quelli presenti lungo il fianco longitudinale sono due: Il sovrascorrimento

superiore, in affioramento tra il Corno Grande e Monte Camicia; e il sovrascorrimento

inferiore, chiaramente riconoscibile solo nel traforo autostradale. Quest’ultimo ha un

rigetto minimo calcolato di 8 Km (COSTRUZIONI GENERALI SPA MILANO, 1979). La

rotazione nulla documentata per l’intera zona interna del saliente è in disaccordo con

quanto suggerito da DELA PIERRE (1992) e da SPERANZA et Alii (2003). SATOLLI et Alii

(2005) concludono che le rotazioni avvengono lungo il sovrascorrimento più basso, il

quale fa ruotare passivamente tutta la complessa struttura che lo sovrasta. Tale pattern

di rotazione suppone l’ipotesi di una propagazione temporalmente “in sequenza”

dell’attività dei sovrascorrimenti del Gran Sasso. In quest’ottica, dato che lo

spostamento avviene in direzione N70°E, il fronte N-S sperimenterebbe raccorciamenti

maggiori di quello E-W. A prova di ciò ci sarebbe la sovrapposizione tettonica di unità

in thrust-top diacrone (Messiniano sup. su Pliocene inf.). Il comportamento rotazionale

verso l’apice del saliente del Gran Sasso è complesso e non è comparabile con il

modello di arco non rotazionale e di oroclinale (o con tutti i modelli intermedi). Questo

differisce inoltre dai modelli analogici in scatola di sabbia ad angolo di indenter

controllato (indenter-controlled sandbox). Un arco non rotazionale sarebbe

caratterizzato ovunque da rotazioni nulle mentre in un perfetto arco oroclinale le

rotazioni dovrebbero raggiungere i massimi valori (e segno opposto) ai punti terminali

del saliente e decrescere progressivamente verso l’apice. Invece sul Gran Sasso si

trovano valori nulli di rotazione ai punti terminali e valori progressivamente crescenti

verso l’apice. L’assenza di rotazioni lungo i fianchi, lontano dall’apice, e la presenza di

sovrascorrimenti dip-slip documentati (GHISETTI, 1987; GHISETTI & VEZZANI, 1991),

implica per gli Autori l’esistenza di un pattern radiale di scorrimento lungo direzioni

normali ai margini preesistenti dell’indenter. SATOLLI et Alii (2005) suppongo che

lungo il fronte N-S sia avvenuta una collisione quasi frontale. A questa sarebbero legate

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in zona apicale piccole rotazioni orarie (~50° CW). Un taglio laterale sinistro interessò

invece il margine E-W dell’indenter, inducendo delle grandi rotazioni

antiorarie(~80°CCW). Nel modello tettonico così delineato di un indenter, che funziona

come un bulldozer sulle più deboli successioni sedimentarie esterne, è richiesta

l’esistenza di due faglie strike-slip, sub-parallele ai fianchi. Gli Autori ammettono però

che non c’è, ad oggi, una chiara evidenza di queste faglie trascorrenti di prim’ordine e

che sia i dati paleo-magnetici che quelli geologici talora sono in conflitto.

VIANDANTE et Alii (2006) pubblicano un breve stato dell’arte delle conoscenze

sull’assetto strutturale del Gran Sasso d’Italia. Gli Autori riconoscono due punti di

diramazione del thrust superiore da quello inferiore: il primo si ritrova in prossimità di

Monte Camicia, il secondo è all’altezza del Monte Corvo. VIANDANTE et Alii (2006)

confermano la validità dei dati e delle interpretazioni di SATOLLI et Alii (2005)

supponendo che lo sviluppo in sequenza dei piani di sovrascorrimento, iniziato a partire

dal Messiniano post-evaporitico, abbia subito riattivazioni plioceniche ed attività

sincrona sui piani N-S ed E-W. Questi piani sarebbero dunque delle rampe oblique

rispetto alla principale direzione di trasporto tettonico, che è verso ENE. Contrariamente

a quanto asserito da GHISETTI & VEZZANI (1990 b), VIANDANTE et Alii (2006)

affermano che anche per il Gran Sasso è possibile utilizzare i metodi della retro

deformazione per validare le sezioni geologiche.

In CALAMITA & ESESTIME

(2008) sono mostrate alcune foto

commentate della geologia della Val

Maone e del Monte Prena, al fine di

evidenziare i rapporti esistenti tra le

pieghe e i sovrascorrimenti. Gli Autori

sostengono la riattivazione in senso

diretto delle rampe di

sovrascorrimento mio-plioceniche,

descrivendo inoltre lo sviluppo della

piega per propagazione di faglia

relazionata al thrust superiore.

La più recente Pubblicazione in

merito alla geologia del fianco

occidentale del Gran Sasso d’Italia è di stampo stratigrafico-paleontologico. PASSERI et

Figura 8 – Blocco diagramma del settore centrale del Gran Sasso, che evidenzia le relazioni pieghe-sovrascorrimenti, in funzione della di successione coinvolta (da CALAMITA & ESESTIME, 2008).

28

Alii (2008) mostrano un nuovo studio delle sezioni di Pizzo Cefalone e del Monte

Portella al fine di individuare i vincoli temporali che interessano le formazioni

giurassiche. L’analisi biostratigrafica di ammoniti, foraminiferi bentonici e

nannoplancton calcareo ha permesso di stabilire che la sedimentazione di grandi

quantità di materiale bioclastico, proveniente secondo gli Autori dalla piattaforma

carbonatica centro-appenninica, iniziò nel Toarciano ed ebbe il suo acme tra il

Bathoniano e il Kimmeridgiano. Il trend comune a molti domini bacinali dell’area

italiana indica che il fenomeno avviene in risposta di eventi d’importanza regionale o

globale. PASSERI et Alii (2008) riconoscono inoltre che la presenza della Formazione dei

Calcari Diasprigni Detritici sul Gran Sasso occidentale, inteso paleogeograficamente

come il bordo della “scarpata del bacino”, marca la grande diffusione delle facies

siliceo-radiolaritiche del Giurassico superiore.

29

2. INQUADRAMENTO GEOLOGICO Il Massiccio del Gran Sasso d’Italia è una delle strutture carbonatiche più esterne

dell’Appennino Centrale e rappresenta il prodotto di una complessa storia tettonico-

sedimentaria che ne ha definito l’evoluzione nel tempo degli ambienti deposizionali e

delle unità tettoniche.

L’Appennino centrale nel quadro geodinamico della penisola italiana

L’Appennino Centrale fa parte di una più estesa catena a pieghe e

sovrascorrimenti in progressiva migrazione verso Est, il cui sviluppo orogenico ebbe

inizio durante l’Oligocene, come testimonia l’età dei depositi terrigeni sedimentati sul

dorso delle unità tettoniche in crescita frontale (RICCI LUCCHI, 1986). L’attivazione

delle superfici dei

sovrascorrimenti

principali è gradualmente

più recente nelle porzioni

più esterne ed orientali.

Dall’Oligocene al

Pliocene inferiore lo

spostamento del sistema

di thrust-belt incorpora

progressivamente i

settori più esterni

dell’avampaese. Nel

settore occidentale la

catena include terreni

ofiolitici di crosta

oceanica (unità ad

affinità liguride) e

basamento cristallino. Il

settore orientale, che

comprende l’Appennino

centrale e settentrionale, sembra coinvolgere per la maggior parte le successioni

Figura 9 - Principali elementi strutturali d’Italia (da SCROCCA et Alii, 2007).

30

sedimentarie meso-cenozoiche e risulta interessato localmente dalle unità ofiolitiche

alloctone (Colata della Val Marecchia ad es.). Il generale fenomeno di collisione tra la

Placca Africana e quella Europea innesca lo sviluppo di una complessa tettonica sin-

sedimentaria durante i diversi stadi d’avanfossa. I corpi silicoclastici si depongono sotto

forma di flussi torbiditici in un contesto paleogeografico molto articolato, ereditato dalle

fasi tettoniche precedenti, ed in continua evoluzione (CENTAMORE et Alii, 2002). Si

sviluppano dei sistemi bacinali di “Avanfossa complessa” (sensu RICCI LUCCHI, 1986)

riempite dalle spesse successioni torbiditiche dei bacini del Macigno (Chattiano-

Burdigalliano), del Cervarola (Burdigalliano-Langhiano), della Marnoso-Arenacea

(Lanchiano-Messiniano inf.), della Laga (Tortoniano sup.- Pliocene basale), del Cigno e

del Cellino. I depositi Plio-pleistocenici sono presenti essenzialmente al di sotto della

Piana Padana ed affiorano nel settore costiero delle Marche e dell’Abruzzo.

L’edificio collisionale risulta progressivamente dislocato dallo sviluppo di

un’intensa attività tettonica distensiva, anch’essa in migrazione verso Est, legata

all’apertura del Mar Tirreno e alla continua persistenza di un notevole deficit di massa

connesso con l’arretramento dello slab della placca adriatica in subduzione (DOGLIONI,

1991). Alcuni Autori hanno proposto il meccanismo della subduzione in Appennino

perché è quello che al momento fa meglio convergere tutti i dati a disposizione. La

catena appenninica è, infatti, collocabile in un complicato contesto geodinamico che

vede la subduzione verso occidente della “Microplacca Adria” al di sotto della Placca

europea, come testimonia l’aumento

progressivo dell’angolo di inclinazione

della monoclinale regionale β. Il top

della Piattaforma Apula costituisce un

ottimo riflettore al di sotto della catena.

Anche le indagini tomografiche

supportano l’ipotesi di un slab ad alto

angolo d’immersione in corrispondenza

del margine tirrenico. Il prodotto

geologico di questa subduzione è un

prisma di accrezione costituito quasi esclusivamente dall’impilamento di rocce,

appartenenti alla copertura sedimentaria della Placca apula (MOSTARDINI & MERLINI,

1986), ed è caratterizzato da bassa elevazione strutturale con α piccolo e vergenza

singola.

Figura 10 - Fronte dei sovrascorrimenti idealizzato e monoclinale regionale associata (MARIOTTI & DOGLIONI, 2000).

31

Il sistema catena-avanfossa-avampaese migra verso Est coinvolgendo

progressivamente le zone di avampaese (foreland) nel dominio di avanfossa (foredeep)

e poi nella catena (thrust belt). Nel quadro di questa interpretazione la litosfera in

subduzione subisce una spinta del mantello verso Est determinando l’arretramento per

gradi del piano di subduzione (slab retreat) e della zona di cerniera. Il movimento di

roll-back dello slab attiva la distensione alle spalle della catena innescando la

formazione di un bacino di retro-arco al livello del Mar Tirreno (DOGLIONI, 1991;

SCROCCA et Alii, 2007).

Nonostante i dati geodetici evidenzino una generale contesto di allontamento tra

le stazioni di misura, posizionate sulle diverse placche, la maggiore velocità di

arretramento della cerniera permette di spiegare e comprovare la cinematica

dell’orogenesi Appenninica. È importante notare come la progressiva crescita dei

thrusts utilizzi preferibilmente i livelli a minore competenza, e dunque a maggior

duttilità presenti nelle successioni sedimentarie dei diversi domini (Laziale-Abruzzese;

Umbro-Marchigiano; di transizione). Le eteropie di facies e le caratteristiche, ereditate

dalle fasi tettoniche precedenti, influenzano grandemente la distribuzione locale del

campo di sforzi. Quest’ultima è legata al contesto geodinamico ed alla distribuzione

delle superfici di debolezza. Lo sviluppo di strutture a scala regionale, come molti

salienti recessi, o a scala locale sembra dunque essere legato all’interazione tra

l’eterogeneità delle

strutture, ereditate della

placca in subduzione e la

tettonica compressiva

(DOGLIONI, 1991).

La distensione, che agisce

nelle zone interne della

catena e a tergo del

dominio esterno ancora in

compressione ha un

andamento ben delineato

delle direttrici principali,

che sono NW-SE. Tale

regolarità sarebbe da

ricondursi a piani di scollamento più profondi rispetto a quelli dei sovrascorrimenti.

Figura 11– Profilo schematico attraverso l’Appennino, la Pianura Padana e nell’area veneta che mostra la curvatura della placca adriatica nell’avanfossa dell’Appennino dovuta all’arretramento dello slab. I tassi di subsidenza sono mostrati dalla linea continua del grafico. La regolare subsidenza tettonica è perturbata dalla tettonica dei thrusts (da SCROCCA et Alii, 2007).

32

L’incorrere delle principali faglie dirette taglia l’intero prisma e sembra essere

organizzato in un sistema di faglie antitetiche e sintetiche che si raccorda su una

principale superficie listrica Est immergente.

Gli scorrimenti relativi all’accrezione frontale e quelli legati all’estensione di

retroarco sono separati e indipendenti da tra loro. Il loro verso di moto è opposto. I piani

di overthrusting hanno generalmente immersione occidentale o sud-occidentale in

funzione delle anisotropie stratigrafiche e della distribuzione locale del campo di sforzi

(DOGLIONI, 1991). La variabilità della direzione dei thrusts e la geometria a salienti e

recessi è riconducibile dunque alla posizione più superficiale dei piani di

sovrascorrimento, che è maggiormente condizionata dall’incorrere di eterogeneità

stratigrafiche e strutturali, ereditate dalle fasi precedenti. Le faglie dirette invece sono

meno interessate dalle complicazioni strutturali della crosta superiore.

L’Appennino centrale e il Gran Sasso d’Italia: geologia regionale L’area del Gran Sasso costituisce una

parte importante della catena centro-

appenninica. Prima dell’Orogenesi alpina,

iniziata durante il Cretaceo, quest’area era

parte del margine continentale meridionale del

segmento alpino dell’Oceano Tetide

(BERNOULLI, 2001). Il margine continentale

meridionale tetideo, Adria, si estendeva su

quelle che ora sono le catene a pieghe e

sovrascorrimenti delle Ellenidi, Dinaridi, Alpi

meridionali, dell’Appennino e l’Avampaese

adriatico (VAN KONIJNENBURG, 1997).

In questo sottoparagrafo verranno

discussi la storia geologica e gli elementi

d’importanza regionale che interessano il

settore centrale della catena appenninica e

l’area del Gran Sasso d’Italia in particolare.

Nel corso dell’esposizione crescerà

l’attenzione verso le tematiche più strettamente collegate all’area oggetto di studio.

Figura 12 – Schema tettonico dell’Italia Centrale (da CALAMITA & ESESTIME, 2008).

33

L'Appennino centrale storicamente è considerato dai geologi come delimitato da

alcuni importanti lineamenti tettonici come la "Linea Ancona-Anzio" e la "Linea

Ortona-Roccamonfina" (MIGLIORINI, 1950). Negli anni il significato di tale linee è stato

variamente interpretato e discusso. La Linea Ancona–Anzio ha un’orientazione NNE-

SSW e rappresenta un’importante fascia di deformazione ad attività polibasica

(CASTELLARIN et Alii, 1978). Essa al giorno d’oggi rappresenta, lungo il segmento

Olevano-Antrodoco, il fronte di accavallamento tra le unità del dominio pelagico

Sabino e quelle del dominio neritico Laziale-Abruzzese ed è considerata la rampa

laterale destra del Thrust frontale dei Monti Sabini-Monti Sibillini. Per questa ragione

viene ipotizzato che debba esistere una qualche relazione con il sistema di faglie dirette

liassiche, che doveva separare tali due domini e del quale non vi è tuttavia alcuna

traccia in superficie.

L’arco del Gran Sasso d’Italia rappresenta invece il termine di raccordo

settentrionale tra la Piattaforma laziale-abruzzese ed il bacino marchigiano-abruzzese,

affiorante sulla Dorsale di Acquasanta e sulla Montagna dei Fiori.

Il record geologico dell’Appennino Centrale, esplorato in superficie e tramite

perforazioni profonde, inizia a raccontare la storia evolutiva degli ambienti tettono-

stratigrafici a partire dal Trias superiore, quando i processi di assottigliamento crostale

(fase di rifting) e l’ingressione marina segnano l’allontanamento tra la placca africana e

quella euro-asiatica (BERNOULLI et Alii, 1979). Questa fase precede l’apertura

Figura 13 – Ubicazione dei domini geotettonici dell’Appennino Centrale. Il rettangolo rosso scuro delimita l’area di studio. Da Structural Model of Italy 1990 (modificata).

34

dell’Atlantico centrale e del segmento oceanico Ligure-Piemontese della Tetide

(BERNOULLI, 2001).

Le sequenze carbonatiche mesozoiche si sovrappongono a quelle clastiche di età

triassica. Nel Trias superiore, infatti, gran parte dell’attuale Mediterraneo Centrale

ospitava la deposizione di dolomie, carbonati ed evaporiti di acque basse.

In Italia centrale è ampliamente documentata l’esistenza di alcuni bacini intra-

piattaforma alto triassici (BERNOULLI, 2001). Oltre al bacino in facies bituminose,

affiorante sul Monte Camicia (BIGOZZI, 1994), la tettonica transtensiva norica aveva

creato altri domini bacinali di estensione modesta nel Lazio (Monti Simbruini e

Mainarde) e a largo del Molise (BIGOZZI, 1994; CENTAMORE et Alii, 2002). Una corretta

ricostruzione paleogeografica è difficile perché le fasi tettoniche successive hanno

alterato od obliterato i rapporti che intercorrevano tra i diversi elementi in questione.

L’assetto tettonico era organizzato in faglie normali listriche parallele al margine

continentale (BERNOULLI et Alii, 1979) a componente transtensiva accompagnate da

faglie oblique. Quello che sarà il futuro dominio umbro-marchigiano ospitava nel Trias

superiore la deposizione di potenti spessori di evaporiti. Le Anidridi di Burano

eserciteranno durante le spinte orogeniche neogeniche un’importante funzione di

scollamento, che sarà assente nel dominio laziale-abruzzese. In quest’ultimo dominio

infatti durante il Trias si depositano centinaia di metri di dolomie e calcari ciclotemici.

L’assottigliamento crostale prosegue nel Lias ed è unanimemente ritenuto

responsabile dello smembramento del megabanco carbonatico, documentato dal Calcare

Massiccio, che nell’Hettangiano dominava in gran parte dell’Italia Centrale (PASSERI &

VENTURI, 2005). A seguito di queste prime fasi tettoniche si determinò la netta

individuazione dei domini sopra mensionati. La successione bacinale Sabino-Umbro-

Marchigiana è spessa circa 3000 metri ed è rappresentata da un multi strato composto di

calcari pelagici, marne e rocce silicoclastiche.

Il dominio umbro-marchigiano si struttura in una serie di semi-graben a

subsidenza differenziale (BERNOULLI et Alii, 1979) con alti strutturali meno subsidenti

(Piattaforme Carbonatiche Pelagiche sensu SANTANTONIO, 1993) a sedimentazione

pelagica condensata e lacunosa, e depressioni più subsidenti riempite di successioni

spesse e con notevoli intercalazioni torbiditiche, olistostromi e slumps all’interno della

successione normale pelagica. Il flat delle faglie listriche, che bordano la gran parte

degli alti strutturali umbro-marchigiani, si troverebbe in corrispondenza delle Anidridi

di Burano. La limitata estensione laterale degli stessi, i bassi valori di approfondimento

35

(compresi tra 30 e 150 metri (per SANTANTONIO et Alii, 1993) e la geometria a semi-

graben dei blocchi suggeriscono tale ipotesi. Dal Toarciano alla fine del Giurassico, i

tassi di subsidenza termale post-rift eccedono i tassi di sedimentazione delle aree più

depresse del bacino. Tale evento è da ricondursi per BERNOULLI (2001) al cambio di

deposizione da peri-platform ooze a pelagica biogenica autoctona.

Lungo la Penisola italiana sono stati individuati diversi domini di Piattaforma

(Laziale-Abruzzese, Campana, Majella, Apulia) le cui reciproche interazioni sono da

lungo tempo al centro della discussione degli Autori (ACCORDI & CARBONE, 1988). La

Majella considerata da MOSTARDINI & MERLINI (1986) come Piattaforma Apula esterna

è uno dei pochi siti dove si è conservato il margine di piattaforma.

La Piattaforma laziale-abruzzese è un oggetto geologico complesso

caratterizzato da un certo grado di articolazione strutturale. Essa ospitava una

sedimentazione in forte similitudine con quella ancora oggi attiva nelle Isole Bahamas,

non solo in termini di facies, forma, relazioni spazio-temporali e tassi di subsidenza ma

anche in termini di architettura interna (BERNOULLI, 1972). Il dominio laziale-abruzzese

era attraversato da solchi intra-piattaforma (Solco marsicano e Solco del Fucino-

Sulmona ad es.) a sedimentazione pelagica. Esso è delimitato a Nord dal bacino

marchigiano-abruzzese (Gran Sasso e Montagna dei Fiori), a Ovest (Monti Sibillini,

Monti Sabini) e a Sud (Monte Circeo) dal bacino sabino e umbro-marchigiano e ad Est

da una stretta fascia bacinale che comprende le Mainarde orientali, Monte Genzana, e

parte del Morrone e della Majella). La Piattaforma Laziale-Abruzzese è costituita da

una pil0a di carbonati di acque basse spessa circa 5000 metri, sviluppata su una

piattaforma subsidente dal Trias al Miocene con evidenze di annegamenti ed emersioni

nel Cretaceo medio e superiore e nel Paleocene (ACCORDI et Alii, 1988). Durante il

Giurassico i tassi di subsidenza erano nell’ordine di 50 mm/ka decrescendo a 25mm/ka

nel Cretaceo (BERNOULLI, 2001).

Tutti i domini erano lontani da sorgenti terrigene e dunque virtualmente privi di

ogni input silicoclastico. Una delle zone di raccordo tra questi due domini meglio

preservata è rappresentata nella serie stratigrafica di base-of-slope del Gran Sasso.

Al passaggio tra Giurassico e Cretaceo inizia la fase di convergenza oceanica

durante la quale il drifting tetideo è definitivamente bloccato e i meccanismi

geodinamici a partire dalle posizioni più interne dell’Oceano ligure-piemontese

cominciano a invertirsi. Nel dominio bacinale durante il Titonico superiore si sviluppa

36

una break-up unconformity, marcata dall’incorrere di facies pelagiche (Maiolica Fm.).

Queste tendono a sigillare le strutture sin-sedimentarie giurassiche.

Nel Cretaceo inferiore il dominio di piattaforma è interessato principalmente dai

fenomeni eustatici, che concorrono con la tettonica ad influenzare la tendenza

progradazionale delle facies marginali su quelle di slope. Nei settori più interni la

Piattaforma ospita una sedimentazione ciclotemica. Il Cretaceo superiore è

caratterizzato dalla ripresa dell’attività tettonica sin-sedimentaria, che determinò

un’ulteriore smembramento in blocchi dei settori più esterni della piattaforma. I settori

periferici sono caratterizzati dall’annegamento mentre le porzioni più interne subiscono

fenomeni di esumazione. Per CENTAMORE et Alii (2002) questi fenomeni potrebbero

essere causati da un primo inarcamento delle strutture, che articolate in blocchi,

avrebbero subito una tettonica d’inversione positiva lungo le stesse faglie listriche,

generate nel corso del Giurassico dai fenomeni distensivi.

Sulla Majella durante l’intervallo Campaniano-Maastrichtiano le sabbie

bioclastiche progradarono sui depositi bacinali durante una caduta di lunga durata del

livello del mare. Dopo fasi di emersione, arretramento dei margini (back-stepping) ed

erosione dello slope, nell’intervallo Paleocene-Eocene superiore basale si ha una

seconda fase di progradazione delle sabbie bioclastiche, finché al passaggio Eocene-

Oligocene si avrà la costruzione di una nuova barriera corallina (BERNOULLI, 2001). Un

ruolo fondamentale nella costruzione di un margine progradante è svolto dalla posizione

sottocorrente del margine stesso.

Erosione e non deposizione furono i processi dominanti nel Terziario inferiore di

alcuni settori delle piattaforme carbonatiche. Alla base degli slopes si sedimentavano i

prodotti dello smantellamento dei margini di piattaforma esposti.

È importante annotare che la successione compresa tra il Trias superiore e

l’Oligocene medio si è sedimentata a latitudini tropicali (10-30°) come dimostrato dalle

associazioni chlorozoan, dalla presenza degli ooidi, dalle misure paleo magnetiche e

dalle strette analogie del sistema sedimentario appenninico di piattaforme e bacini con

quello attuale delle Isole Bahamas (BERNOULLI, 2001). Un netto cambiamento delle

condizioni climatiche è registrato nell’Oligocene superiore nei cui terreni briozoi e

alghe rosse sono più abbondanti mentre i coralli scompaiono completamente. Il

cambiamento climatico sarebbe legato ad una migrazione progressiva verso Nord della

Placca apula verso zone più fredde. Questo fenomeno contribuì fortemente alla

generazione di un drastico calo dei tassi di produzione carbonatica (BERNOULLI, 2001).

37

Nel bacino umbro-marchigiano fino alla fine dell’Oligocene dominò la

deposizione di calcari pelagici e occasionalmente di torbiditi carbonatiche distali.

Scivolamenti sin-sedimentari, eventi di slumps e brusche variazioni laterali e verticali di

facies suggeriscono il perdurare di condizioni d’instabilità gravitativa, legata ai

movimenti tettonici.

Nel corso del Miocene la catena appenninica registra il progressivo mutare del

contesto tettono-stratigrafico.

Nel Miocene inferiore gran parte dell’Appennino Centrale risente della

produzione di rampa carbonatica tipica delle zone interne al dominio laziale-abruzzese,

dalle quali si ha un continuo apporto carbonatico risedimentato nelle zone periferiche.

Quest’ultime sono interessate da una complessa distribuzione delle facies. Frequenti

sono le intercalazioni glauconitiche e quelle sponglitiche.

Nell’area del Gran Sasso e del dominio marchigiano-abruzzese durante il

Miocene Medio si struttura il Bacino delle Marne con cerrogna. Alcuni importanti

sistemi di faglie dirette disarticolano ulteriormente la successione influenzando sia

l’organizzazione tettono-stratigrafica dello stesso Bacino suddetto sia quello della Laga.

Nel Tortoniano superiore si registra la frammentazione della Piattaforma

carbonatica e la formazione di piccoli bacini allungati e confinati, bordati da faglie

normali pre-thrusting (MILLI et Alii, 2007). Queste faglie dislocano la struttura

carbonatica e permettono l’approfondimento dei sub-bacini di avanfossa e

contribuiscono a regolare lo scorrimento dei flussi torbiditici silicoclastici e la

distribuzione delle facies. Questi eventi tettono-stratigrafici influenzarono dunque la

strutturazione successiva della catena.

Il Bacino della Laga ha ospitato la deposizione di avanfossa tra il Tortoniano

superiore e il Pliocene basale. Esso è delimitato ad Ovest dall’unità Monti Sibillini e a

Sud dall’unità Gran Sasso (VIANDANTE, 2006). La struttura del bacino è suddivisa dalla

linea Fiastrone-Fiastrella in un settore settentrionale ed uno meridionale (MILLI, 2007).

Quest’ultimo è organizzato in dorsali ad andamento N-S (Anticlinale di Acquasanta,

Struttura Montagna dei Fiori-Montagnone), nelle quali affiora la successione bacinale

meso-cenozoica. Il complesso bacinale sovrascorre in blocco più a Est lungo il Thrust di

Teramo sui depositi dell’Avanfossa del Cellino, che hanno un’età riferibile al Pliocene

inferiore.

Nel Tortoniano superiore il Bacino della Laga si configurò a seguito della

frammentazione del bacino della Marnoso-Arenacea, il quale venne definitivamente

38

coinvolto in catena durante le fasi tettoniche regionali infra-messiniane (MILLI et Alii,

2007). La fase di flessurazione dell’avampaese che precede la costruzione del Bacino

della Laga è marcata dall’interruzione dell’apporto dei risedimenti carbonatici di rampa,

contenuti nelle formazioni del Bisciaro e delle Marne con Cerrogna, e dall’incorrere di

facies marnoso-argillose a foraminiferi planctonici (Marne a Pteropodi e Marne a

Orbulina Fm.s). Questi ultime precorrono, dunque, l’effettiva “entrata” nel dominio

d’avanfossa a sedimentatazione torbiditico-arenacea.

La Formazione della Laga è stata studiata da molti Autori in passato.

Recentemente MILLI et Alii (2007) hanno condotto un’attenta analisi delle sequenze

deposizionali al fine di riconoscere le tendenze evolutive del bacino e di migliorare le

interpretazioni sismiche. Essi riconoscono 3 membri che corrispondono parzialmente a

quelli di CENTAMORE (1971). Pannello di correlazione.

Durante il periodo pre-evaporitico il depocentro dell’avanfossa è ubicato a tergo

della struttura Montagna dei Fiori-Montagnone a vergenza orientale, che suddivide il

Bacino della Laga in due sottobacini (NISIO, 1997). Nel sottobacino occidentale la Laga

3 non è rappresentata. Il sottobacino orientale, invece, non pone in affioramento la Laga

1 e ciò fa presupporre un ingresso successivo rispetto al precedente nello stadio di

avanfossa e la migrazione verso Est infra-messiniana del depocentro bacinale della

Laga. Anche questo fenomeno è da ricondursi probabilmente a fenomeni generali di

arretramento progressivo dello slab in subduzione.

Nel Pliocene inferiore l’area del Gran Sasso subisce nuove spinte orogeniche. Il

fronte E-W del Gran Sasso sovrascorre parzialmente sulle unità tettoniche N-S del

Bacino della Laga, innescando deviazioni degli assi e sovrapposizioni tettoniche sulle

porzioni più esterne (GHISETTI & VEZZANI, 1990). I depositi continentali carbonatici di

Monte Coppe e Rigopiano, che suturavano i thrust miocenici rappresentano il prodotto

di un’idrografia superficiale articolata, tipica dello stadio di catena emersa. Essi

subiscono deformazioni plicative già nel Pliocene Inferiore. Questo dato geologico

testimonia la riattivazione delle strutture compressive frontali del Gran Sasso e la

definitiva chiusura del Bacino della Laga.

Nel corso del Pliocene anche la Majella inizia a strutturarsi in catena e a

chiudere progressivamente la propria avanfossa.

Durante il periodo Plio-Pleistocenico la strutturazione tettonica è dominata

dall’azione delle faglie dirette ad alto angolo e dall’alternarsi degli effetti di

modellazione geomorfologica tipica dei periodi glaciali ed inter-glaciali. La distensione

39

centro appenninica contribuisce grandemente a determinare la formazione di conche

intramontane (Campo Imperatore, Fucino, Piana dell’Aquila ad es.), interessate da

sedimentazione lacustre, fluvio-glaciale e talora anche morenica. La modellazione del

paesaggio è affidata dunque all’interazione tra la tettonica distensiva e i processi

geomorfologici, legati a loro volta ai cambiamenti climatici.

40

3. ASSETTO GEOLOGICO DEL GRAN SASSO D’ITALIA Il Gran Sasso d’Italia è stato, come precedentemente ricordato, oggetto dello

studio di molti Autori. Gruppi di stratigrafi e strutturalisti, provenienti da diverse

Università italiane e straniere, hanno contribuito in tempi diversi alla conoscenza di

questo importante settore dell’Appennino. Nel presente Capitolo sarà esposto in breve il

quadro delle conoscenze in merito all’assetto stratigrafico e strutturale del Fianco

Occidentale, al fine di poter procedere nei Capitoli successivi alla descrizione dei dati

raccolti sul terreno e alle relative interpretazioni sintetiche.

Sintesi del quadro strutturale Il Gran Sasso d’Italia è un massiccio

montuoso interessato da pieghe e

sovrascorrimenti. Esso è delimitato da alcune

importanti direttrici tettoniche. Il Gruppo è

caratterizzato sul fronte longitudinale da due

piani di sovrascorrimento messiniano-

pliocenici, che delimitano tre diverse unità

tettono-stratigrafiche, sovrapposte tra loro e

successivamente dislocate dall’attività

distensiva quaternaria. Evidenti indicazioni

di tettonica pre-orogenica sono presenti in

tutto l’edificio tettonico, complicando la

ricostruzione delle dinamiche orogeniche.

L’unità strutturalmente più bassa ed

esterna è l’unità Laga (VIANDANTE, 2006).

Si tratta di un’unità complessa in quanto

caratterizzata da numerose complicazioni

strutturali interne. L’unità Laga è

caratterizzata da fronti di accavallamento N-S, riconoscibili nella struttura meridiana

Montagna dei Fiori-Montagnone, che immerge nel suo insieme al di sotto della struttura

carbonatica del Gran Sasso in corrispondenza del thrust inferiore. L’edificio del

Montagnone è una sinclinale-anticlinale, rovesciata in sovrascorrimento sulla sinclinale

Miano-Basciano (NISIO, 1997), a sua volta tagliata da faglie normali. Queste possono

avere orientazione circa appenninica N 40°-60° W immergente a SW, oppure

orientazione circa N±20°, oppure N 60-80° W. Quest’ultimo sistema trasversale alle

Figura 14 - Carta tettonica schematica del Massiccio del Gran Sasso d'Italia. La struttura tettonica evidenzia un arco delimitato da sovrascorrimenti frontali. La sezione A-B passa per il thrust E-W che si diparte dal versante settentrionale di Monte Corvo. CALAMITA et Alii (2004)

41

strutture per Nisio (1997) riattiverebbe in senso normale le antiche tear-faults legate alle

fasi compressive interne all’Unità Laga.

Nell’unità Gran Sasso, si distingue un thrust superiore, ben facilmente

identificabile in affioramento, ed uno inferiore. Quest’ultimo ha una geometria poco

chiara ed è stato riconosciuto nettamente solo nelle indagini eseguite durante la

perforazione del traforo autostradale. Il thrust inferiore risulta difficilmente

individuabile in campagna a causa delle coperture recenti e del cattivo stato di

conservazione delle strutture tettoniche nelle litologie marnose, a spese delle quali esso

si sviluppa.

Il thrust superiore permette la sovrapposizione dell’anticlinale di Corno Grande-

Corno Piccolo sulla successione rovesciata della Val Maone ed è caratterizzato

dall’aumento del rigetto nelle porzioni più orientali. Questa evidenza di terreno

suggerisce la rotazione antioraria dell’unità superiore.

Tra i due thrusts è racchiusa l’unità intermedia (CALAMITA et Alii, 2004;

VIANDANTE, 2006) che ha giacitura rovesciata tra Monte Corvo e il Paretone (Est) del

Corno Grande, dove affiora in spettacolari esposizioni. I due piani di sovrascorrimento

si ricongiungono a Monte Corvo ad Ovest del quale CALAMITA et Alii (2003)

dimostrano la continuità stratigrafica tra la successione carbonatica e i depositi

silicoclastici della formazione della Laga. Secondo GHISETTI & VEZZANI (1990 a, b;

1991) e VIANDANTE (2006) l’unità intermedia sovrascorre sull’unità Laga per mezzo

Figura 15 - Blocco-diagramma del fronte E-W del Gran Sasso d'Italia da Monte Camicia a Monte San Franco (CALAMITA et Alii, 2004). CG (Corno Grande); Mo (Montagnone); MCo (Monte Corvo). L’area di studio della Tesi è al centro della rappresentazione schematica.

42

del thrust inferiore. Come è possibile evincere dal Capitolo “Studi Precedenti” il ruolo

giocato dalle superfici di scorrimento frontale è di fondamentale importanza per

discriminare tra lo sviluppo in- e fuori-sequenza dei thrusts.

Le faglie dirette suddividono il Gran Sasso in un blocco settentrionale, che pone

in affioramento le complesse strutture frontali, e in un blocco meridionale caratterizzato

dall’assetto circa

monoclinalico.

Esistono due

importanti sistemi di

faglie normali

paralleli e

distanziati tra loro

di 2.5 Km circa. Il

sistema meridionale

è riconducibile alla

faglie note in

Letteratura come

Faglia di Assergi e

Faglia di Valle

Fredda. Il sistema più esterno e settentrionale è quello della Faglia delle Tre Selle.

Quest’ultimo sistema sembrerebbe essere collegato alla Faglia di Campo Imperatore.

Entrambi sono stati documentati in Letteratura e mostrano rigetti dell’ordine delle

centinaia di metri (circa 1000 metri il primo, oltre 600 metri il secondo per D’AGOSTINO

et Alii (1998)) e sembrano, come nel caso della Sella di Corno Grande, essere

parzialmente da ricollegare alla tettonica distensiva giurassica, che già nel Lias

evidenziava nel Corno Grande un alto strutturale (ADAMOLI et Alii, 1981-82; CALAMITA

et Alii, 2004).

La struttura del Corno Grande-Primo Scrimone è infatti delimitata a Sud dalla

Faglia delle Tre Selle e a Nord dalla Faglia del Passo del Cannone (sensu CALAMITA et

Alii, 2004). CALAMITA et Alii (2003) attribuiscono la continuità dell’alto strutturale fino

a Monte Corvo.

Conflittualità di interpretazioni vi è sull’assetto stratigrafico-strutturale in

località Acqua San Franco (porzione meridionale, versante Sud di Pizzo Cefalone).

GHISETTI & VEZZANI (1991) interpretano sulla Carta Geologica il contatto Calcare

Figura 16 – Schema strutturale del settore centrale ed occidentale del Gran Sasso d’Italia (da CALAMITA & ESESTIME, 2008)

43

Massiccio – Corniola – Verde Ammonitico come un sovrascorrimento mentre negli

studi stratigrafici di ADAMOLI et Alii (1978) e CHIOCCHINI et Alii (1994) è suggerita la

presenza di un alto strutturale con Massiccio B. Nessuno di questi Autori ha però

argomentato sulla natura dei contatti stratigrafici di questa zona o sulla presenza di

paleoscarpate o faglie sin-rift, che invece questo lavoro si propone di chiarire.

Sintesi del quadro stratigrafico Il Gran Sasso d’Italia ospita una successione meso-cenozoica tipica delle zone di

raccordo tra bacino e piattaforma ed è interessato a tutti i livelli stratigrafici da prodotti

bacinali e alloctoni bio- e lito-clastici. L’evento principale di questa porzione di

successione è l’annegamento dei settori periferici della Piattaforma del Calcare

Massiccio, che nel Sinemuriano inferiore subisce una forte riduzione a seguito dei

fenomeni distensivi liassici. Durante il corso del Giurassico e del Cretaceo inferiore

l’area del Gran Sasso risentirà della costante instabilità tettonica e sedimentaria che

interessa la base dello slope settentrionale della vicina Piattaforma Laziale-Abruzzese.

L’interazione tra tettonica e variazioni eustatiche vincola la sedimentazione e

l’organizzazione delle sequenze deposizionali del Gran Sasso fino al Miocene. Dal

Tortoniano inferiore la sedimentazione carbonatica cessa di essere alimentata dal

sistema carbonatico ed inizia a risentire più marcatamente delle dinamiche di

flessurazione dell’avampaese apulo, che comportano la sedimentazione di emipelagiti

marnoso-argillose.

Il definitivo ingresso dell’area frontale del Gran Sasso in regime di avanfossa a

sedimentazione silicoclastica avviene nel Tortoniano superiore. Mentre il bacino della

Laga si struttura secondo direttrici N-S, il Gran Sasso, che ne rappresenta il limite

meridionale, avanza lungo il thrusts a direzione E-W.

Durante il Pliocene inferiore l’intera area risente del sollevamento regionale e

della riattivazione dei thrusts favorendo la sedimentazione di brecce continentali lungo i

versanti settentrionali di Prati di Tivo (Pietracamela).

44

La tettonica distensiva

quaternaria comporta il sollevamento

e lo smantellamento subaereo della

successione meso-cenozoica in un

clima alternativamente glaciale e

interglaciale, condizionando in

maniera sostanziale lo sviluppo degli

ambienti deposizionali continentali e

l’articolazione del reticolo

idrografico (NISIO, 1997).

Figura 17 - Colonna stratigrafica della successione del Gran Sasso secondo CALAMITA et Alii (2004). 17 Calcari bioclastici superiori; Tra 12a (Marne con Cerrogna-Bisciaro) e 12b (Calcareniti di M.Fiore.) vi è una faglia sin sedimentaria (Faglia delle Tre Selle).

45

4. STRATIGRAFIA DELLE FORMAZIONI RILEVATE In questo Capitolo verrà presentata la stratigrafia dei terreni rilevati.

L’esposizione evidenzierà la descrizione dei dati di campagna e si propone di integrare

le conoscenze fin ora acquisite dagli Autori precedenti. Il metodo litostratigrafico e

l’analisi di facies sono alla base di alcune interpretazioni stratigrafico-sequenziali,

fondate sul riconoscimento delle superfici di inconformità al tetto e al letto delle

sequenze deposizionali, già applicato in parte della successione da VAN KONIJNENBURG

(1997). Tale impostazione è stata estesa in questo Lavoro all’intero intervallo

temporale, registrato dalla successione stratigrafica, esposta sul fianco occidentale del

Massiccio del Gran Sasso d’Italia.

La datazione biostratigrafica dei terreni studiati è fondata prevalentemente sui

dati disponibili in Letteratura (ALESSANDRI et Alii, 1968; ADAMOLI et Alii, 1978;

CHIOCCHINI et Alii, 1994; VAN KONIJNENBURG,1997).

Superfici di inconformità sottomarine, hiatus deposizionali e rapide variazioni

verticali nelle associazioni di facies caratterizzano la deposizione sullo slope e sulla sua

base (BERNOULLI, 2001). Tutte le modificazioni che interessano i margini di piattaforma

influenzano la composizione e la geometria dei risedimenti lungo la base dello slope

perché i cambiamenti nei sistemi deposizionali associati ai limiti di sequenza registrano

le variazioni nel regime sedimentario delle piattaforme adiacenti (BERNOULLI, 2001).

Nella Letteratura geologica sono stati proposti differenti nomi per chiamare le

medesime formazioni. Talora anche i limiti formazionali non trovano un’esatta

corrispondenza tra le suddivisione stratigrafiche utilizzate dai diversi Autori. Per

superare tali difficoltà di nomenclatura e per evitare confusione e fraintendimenti, nel

presente Studio si tiene conto della revisione in chiave toponomastica delle formazioni

operata da VAN KONIJNENBURG (1997) per la successione del Gran Sasso d’Italia.

Quando possibile, è stata preservata la nomenclatura tradizionale unanimemente

riconosciuta.

Sono state distinte 17 differenti unità litostratigrafiche, separate l’una dall’altra

da superfici di inconformità regionali, talora documentate da hiatus deposizionali e/o da

una rapida variazione verticale nell’associazione di facies, che riflette un chiaro

cambiamento nell’input sedimentario e nella sua dispersione. Per l’intervallo Cretaceo-

Terziario inferiore è stata utilizzata la nomenclatura e le dettagliate descrizioni di VAN

KONIJNENBURG (1997), integrate dai dati di rilevamento.

46

La successione è caratterizzata da notevoli variazioni verticali e laterali di facies

e di spessori formazionali, tali da rendere spesso difficoltose ed incerte le correlazioni

tra le differenti zone. Ciononostante è possibile applicare la medesima nomenclatura

stratigrafica all’intera area analizzata.

Le unconformities che bordano le sequenze di secondo ordine (o supersequenze)

riflettono distinti stadi di sviluppo dell’insieme piattaforma-bacino durante il quale il

sistema deposizionale resta invariato. Ogni sequenza di secondo ordine registra dunque

un sistema deposizionale differente. I limiti di supersequenza sono fortemente

controllati dalle variazioni eustatiche di lungo termine (secondo ordine) del livello

marino, per le quali l’interazione tra clima e tettonica influenza durata e magnitudo. Le

variazioni eustatiche di breve durata sono invece definite di terzo ordine. Gli hiati

intraformazionali, riconosciuti dagli Autori all’interno di una sequenza deposizionale

del 2° ordine, sono relazionati a processi di slope quali slumpings e correnti

conturitiche, che causa lacune nella successione pelagica (VAN KONIJNENBURG et Alii,

1999)

Particolare attenzione è stata rivolta alla descrizione di alcuni contatti

stratigrafici perché indicativi della strutturazione meso-cenozoica.

La successione è suddivisibile in:

• Dolomie, calcari-dolomitici e calcari di piattaforma neritica (Trias sup.-Lias

inf.);

• Calcari, calcari-marnosi e marne di base-of-slope, caratterizzati da una

complessa organizzazione stratigrafico-strutturale interna (Lias inf.-Tortoniano

superiore);

• Terreni silicoclastici di avanfossa (Miocene superiore-Pliocene basale);

• Terreni e coperture continentali plio-pleistoceniche ed oloceniche.

47

Tabella 1 - Tabella di confronto sull'interpretazione della suddivisione stratigrafica. La linea zigzagata rappresenta la natura erosiva del contatto stratigrafico (erosional unconformity). La linea tratteggiata segna una collocazione incerta del limite. La X marca l’assenza della formazione in una parte della successione (vedi schema dei rapporti stratigrafici in CRESCENTI (1969)). Nella colonna più a destra e in quella di VAN KONIJNENBUERG et Alii (1998) la Scaglia Bianca ha un limite inferiore eteropico con la Monte Corvo Fm. ed è di impossibile rappresentazione in questa tabella.

Età CRESCENTI (1969)

GHISETTI & VEZZANI (1990)

VAN KONIJNENBURG et Alii (1998); BERNOULLI (2001)

CALAMITA et Alii (2004)

PRESENTE LAVORO

M

IOC

ENE

Messiniano Flysch della

Laga

Flysch della Laga

Depositi miocenici

Laga Laga Fm.

Marne a Orbulina Marne a Orbulina

Marne a Orbulina

Tortoniano

Marne con cerrogna

Marne con Cerrrogna, Bisciaro e Calcareniti di Monte Fiore

Marne con Cerrogna

Serravalliano Langhiano

Bolognano Fm.

Bisciaro Calcareniti

Glauconitiche Burdigalliano Aquitaniano

Calcareniti a glauconite Calcari Glauconitici Calcareniti a spicole di

spugna OLIGOCENE

Sup. Med. Inf.

Alternanze di calcareniti e marne rosse e verdi

Venacquaro Fm.

Scaglia Cinerea

Venacquaro Fm.

Santo Spirito Fm.

Scaglia Cinerea Calciruditi e

calcareniti rosse a

LACUNA LACUNA

EOCENE

Sup. Med. Inf. Fonte Gelata

Fm. Fonte Gelata

Fm.

Scaglia Rossa

Macroforaminiferi Scaglia Rosata

PALEOCENE

Sup. Med. Inf. LACUNA LACUNA

M.Acquaviva Fm.

(Membro Orfento)

Monte Corvo Fm. Scaglia

Rossa

Monte Corvo Fm.

CRETACEO

Sup. Scaglia Scaglia Bianca

Fm. Scaglia

Bianca Fm.

Monte Acquaviva Fm. Calciruditi a Rudiste Cefalone Fm.

Calcari Bioclastici Superiori

Cefalone Fm. Inf.

Maiolica Maiolica LACUNA

Maiolica LACUNA

Maiolica Fm. Maiolica Fm.

GIURASSICO

Sup.

Scisti ad Aptici

Calcareniti ad Entrochi

Calcare ad Entrochi

Calcari Bioclastici Inferiori

Calcari Diasprigni Detritici

Terratta Fm. Terratta Fm

(equivalente)

Corno Piccolo Fm.

Med.

Verde Ammonitico Ammonitico Rosso

Verde Ammonitico

Verde Ammonitico

Inf. LIAS

Corniola Corniola Corniola Corniola Corniola Castelmanfrino

Fm. Calcare Massiccio Calcare Massiccio

Calcare Massiccio

Calcare Massiccio

TRIASSICO Sup. Dolomie Dolomia Principale

Dolomia Principale

48

Formazioni carbonatiche di piattaforma

DOLOMIA PRINCIPALE Fm. (Triassico superiore pp.)

La Formazione della Dolomia Principale affiora in carta sulla parete meridionale

del Corno Grande ed è costituita da dolomie alto triassiche. L’affioramento è delimitato

a Sud dalla Faglia delle Tre Selle e ad Est dal Thrust superiore. La sezione della Valle

dell’Inferno è stata rilevata con osservazioni da lontano e i dati esposti si riferiscono a

quelli riportati da ALESSANDRI et Alii (1968). Gli Autori utilizzando “mezzi e sistemi

alpinistici” hanno descritto accuratamente la stratigrafia del Trias affiorante nella

sezione di Corno Grande. La formazione è qui denominata Dolomia Principale in

accordo con CALAMITA et Alii (2004) ed ha uno spessore minimo di 560 metri.

ALESSANDRI et Alii (1968) suddividono la serie in 3 parti che dal basso verso

l’alto sono: Dolomie stromatolitiche bituminose; Dolomie regolarmente stratificate in

strati e in banchi; Dolomie massicce.

I primi 60 metri sono caratterizzate da dolomie bituminose stromatolitiche

straterellate e fogliettate, alternate a banchi dolomitici bianchi sempre più frequenti

verso l’alto.

La litozona intermedia è composta da un pacco di dolomie a Megalodon sp.,

Worthenia solitaria (BEN.), gasteropodi e coralli solitari, spesso circa 350 metri. Il

limite inferiore con le dolomie bituminose intertidali è graduale mentre quello superiore

è netto ed è sito in

prossimità della cengia a

quota 2300.

L’ultima litozona è

spessa 140 metri. Alla base

vi sono dolomie massicce

non stratificate bianco-

giallastre dall’aspetto

“cariato” o “cavernoso”. Gli

Autori riconoscono tessiture

ruditiche ed ipotizzano Figura 18 – Sella di Corno Grande-Valle dell'Inferno – La linea nera evidenzia il limite superiore della Dolomia Principale.

49

siano dei conglomerati intraformazionali.

Probabilmente si tratta di “pseudo-conglomerati” il cui aspetto ruditico è da

ricondursi alla diagenesi dolomitica. I flussi di dolomitizzazione pervadono con

differente intensità il volume della roccia. Ciò comporterebbe la maggior preservazione

di alcune aree a forma ciottolosa e la completa dolomitizzazione di quelle circostanti.

Al limite superiore con i calcari hettangiani del Calcare Massiccio vi sono 40

metri di dolomie straterellate. La maggiore erodibilità di questi terreni terminali forma

una cengia intorno a quota 2400 aiutando così a tracciare il limite superiore del Trias.

CALCARE MASSICCIO Fm. (Hettangiano?-Sinemuriano inf.?)

Il Calcare Massiccio è costituito da dolomie, calcari a diverso grado di

dolomitizzazione e calcari con caratteristiche tipiche di un ambiente di produzione

neritico di piattaforma carbonatica tropicale. La Formazione affiora diffusamente per un

area di circa 4 Km2 nel settore Corno Grande-Primo Scrimone, e alle pendici

meridionali di Pizzo Cefalone e Monte Aquila. CRESCENTI et Alii (1969) denominano

“Dolomie della formazione Castelmanfrino” i calcari e le dolomie di piattaforma

stratigraficamente sottostanti la Corniola della successione di Pizzo Cefalone. Anche

CHIOCCHINI et Alii (1994) riconoscono l’equivalenza tra il nome “Calcare Massiccio

dolomitizzato” e le “Dolomie di Castelmanfrino”. Molti altri Autori tra cui BERNOULLI

(1967) e PASSERI et Alii (2008) preferiscono l’identificazione nomenclaturale con il più

comune “Calcare Massiccio”. In base alla

nomenclatura formazionale della successione

umbro-marchigiana e ai suoi caratteri

litologici e sedimentologici, la formazione

del Calcare Massiccio è suddivisa in

Letteratura in tre membri (CENTAMORE et

Alii, 1971): Calcare Massiccio A, Calcare

Massiccio B e Calcare Massiccio C. Non è

stato possibile riconoscere sul Gran Sasso i

caratteri identificativi dell’ultimo membro.

ADAMOLI et Alii (1978) riconoscono

Figura 19 – Tra Passo del Cannone e Sella dei due Corni, quota 2650. Calcari subtidali ad oncoidi.

50

litofacies calcaree e litofacies dolomitiche, individuando il Calcare Massiccio B al top

della serie carbonatica di piattaforma del versante meridionale di Pizzo Cefalone.

Nella successione del Corno Grande affiorano 600 m. circa di Calcare Massiccio

ciclotemico in litofacies calcarea. Lo spessore degli strati varia tra 1 e 4-5 metri.

L’analisi di facies delle tessiture e delle strutture deposizionali indica un ambiente di

piattaforma carbonatica che risponde dinamicamente alle variazioni eustatico-tettoniche

e del chimismo delle acque indotte. L’organizzazione ciclotemica della successione

sembra essere legata alla capacità di recupero verticale e laterale della piattaforma. I

ciclotemi più completi presentano facies subtidali alla base, caratterizzate da aspetto

massivo e dalla presenza di oncoidi, gasteropodi, bivalvi e brachiopodi, facies intertidali

a laminiti criptoalgali e facies supratidali al tetto, testimoni dell’emersione periodica di

parte del sistema carbonatico liassico.

Le litofacies dolomitiche prevalgono nella serie del Pizzo Cefalone dove il

Calcare Massiccio affiora con uno spessore di circa 300 metri. Alla base vi sono

dolomie e calcari dolomitici in banchi e strati spessi da 1 a 4 metri intercalate a calcari e

calcari dolomitici più sottili. La dolomitizzazione spesso inibisce il riconoscimento delle

tessiture deposizionali ed oblitera il contenuto fossilifero. Le ultime decine di metri

sono caratterizzate, come già segnalato da ADAMOLI et Alii (1978) in prossimità della

Portella, da litotipi dolomitici e calcareo-dolomitici oolitici sottilmente stratificati.

ADAMOLI et Alii (1978) considerano quest’intervallo, che è al top della formazione,

riferibile al membro B del Calcare Massiccio di Monte Nerone (CENTAMORE et Alii,

1971). Tale considerazione presuppone la sedimentazione tipica delle zone di alto

strutturale isolato dalla tettonica liassica. La mancanza di ulteriori descrizioni

stratigrafiche e tettoniche a riguardo hanno portato l’attenzione di questo lavoro ad

indagare sulla natura dei contatti stratigrafici, che interessano la zona di Acqua San

Franco (versante Sud di Pizzo Cefalone), delineando così con maggior precisione le

strutture affioranti.

Formazioni bacinali La variabilità degli spessori formazionali e delle facies è fortemente connessa al

mutare dell’assetto tettono-stratigrafico.

Tutte le formazioni bacinali sono caratterizzate da 3 tipi di facies dominanti:

51

1. Depositi da Debris Flow: brecce lito- ed intra-clastiche, megabrecce in bancate

amalgamate a clasti alloctoni di piattaforma o generatesi alle spese del substrato

autoctono;

2. Depositi torbiditici da packstones o grainstones composti prevalentemente da

frammenti scheletrici e in minor misura da litoclasti;

3. Depositi calcarei e calcareo-marnosi pelagici con tessitura mudstone o

wackestone.

Sia le calciruditi che le calcareniti torbiditiche più grossolane hanno una limitata

estensione laterale e spesso non posso essere seguiti da una sezione all’altra VAN

KONIJNENBURG (1997). Le brecce sono state depositate principalmente durante i bassi

stazionamenti del livello del mare (LST) mentre le calcareniti torbiditiche, composte di

bioclasti non cementati di acque basse, pellets oppure ooidi, furono deposte durante le

fasi di alto stazionamento (HST), quando le piattaforme carbonatiche erano ancora

attive (BERNOULLI, 2001). Infatti durante le fasi di LST i margini di piattaforma entrano

in erosione, a seguito dell’abbassamento del livello base dell’erosione, incrementando

l’apporto di risedimenti in bacino. In questo modo le facies ruditiche più prossimali

avanzano fino alla base dello slope, proprio come avvenne sulla base-of-slope

mesozoico-terziaria del Gran Sasso d’Italia. Durante l’alto stazionamento (HST) la

sequenza sedimentaria registra facies più prossimali di origine biogena piuttostocchè

litoclastica. Tale fenomeno è connesso alla progradazione della piattaforma sul bacino.

Nel Giurassico inferiore prevale la componete oolitica mentre nel Giurassico superiore e

nel Cretaceo aumenta la componente bioclastica. Le variazioni nelle associazioni di

facies non avvengono solo lungo l’immersione del pendio ma anche lateralmente a

questa. La gran parte dei risedimenti proviene dalle piattaforme adiacenti e fornisce

informazioni sulle dinamiche di avanzamento o arretramento delle medesime sul bacino

del Gran Sasso. Una porzione significativa del materiale risedimentato proviene

dall’erosione e rielaborazione dello stesso slope. I cambiamenti di facies lungo i margini

della piattaforma influenzano la composizione delle calciruditi e delle calcareniti dei

sedimenti di base-of-slope.

CORNIOLA Fm. (Sinemuriano sup.?-Toarciano inf.?)

La Formazione è costituita alla base da doloareniti e doloruditi giallastre o

nocciola, mudstones calcareo-dolomitici grigio-nocciola e al top nelle lolcalità Sella dei

52

Due corni e Acqua San Franco da mudstones calcarei plumbei . La selce si presenta

bianca e giallastra in liste e noduli.

La Corniola affiora sul versante Sud di Pizzo Cefalone, tra il Vallone della

Portella e Acqua San Franco, a Nord di Corno Grande, tra la Valle dei Ginepri e il

Rifugio Franchetti, e in plaghe isolate e discordanti sul Calcare Massiccio del

sottogruppo Corno Grande-Primo Scrimone. Il materiale di riempimento di molti filoni

sedimentari è costituito materiale da mudstones ad Ammoniti (BARBERA, 1967),

correlabile per età alla Formazione della Corniola. L’estensione degli affioramenti

ricopre complessivamente un’area di circa 1 Km2.

L’intera Formazione è caratterizzata da un’associazione di facies pelagica

normale e risedimentata (sensu SANTANTONIO, 1993) definita da un’alternanza di

calcari dolomitizzati pelagici grigi e nocciola a radiolari e spicole di spugna con selce

intercalati da calcareniti fini oolitiche e grossolane in facies torbiditica e talora da lenti

ruditiche.

Le evidenze di terreno mostrano una notevole variazione degli spessori e delle

associazioni di facies nei differenti settori del Gran Sasso d’Italia, che avviene in

risposta alla strutturazione in alti e bassi strutturali del Lias inferiore.

Lungo il versante meridionale di Pizzo Cefalone la Corniola drappeggia il limite

superiore del Calcare Massiccio tramite appoggi in onlap ed è interessata da interessanti

variazioni di facies e spessore.

Figura 20 – Valle dei Ginepri, quota 1800. Corniola dolomitica con selce. Il martello è in basso a destra.

53

ADAMOLI et Alii (1978) segnalano nella sezione più orientale la presenza di una

lacuna al contatto tra il Calcare Massiccio A di piattaforma di età Sinemuriano pp. e i

calcari a radiolari e spicole di spugna Pliesbachiano pp. Nella sezione Pizzo Cefalone I,

sita 0,5 Km più a Est della precedente, gli stessi Autori riconoscono il Calcare

Massiccio B di età Sinemuriano Sup. in contatto con i termini inferiori della Corniola.

Una più completa ed esauriente descrizione del contesto tettono-stratigrafico,

desunto dai dati di rilevamento di quest’area sarà esposto nel capitolo strutturale, perché

sede di nuovi dati ed interpretazioni.

In località Valle dei Ginepri-Val Maone a quota 1700-1800 la successione è

interessata da corpi calciruditici a base discordante, che sono costituiti da litoclasti

calcarei di piattaforma di dimensioni centimetriche. SPERANZA et Alii (2002) ne

segnalano la presenza, lungo il fianco meridionale della Valle dei Ginepri in contatto

con la Faglia del Passo del Cannone. Allo sbocco occidentale della Valle dei Ginepri

nella Val Maone la Corniola, oltre ad ospitare facies di megabreccia raggiunge i

Figura 21 – Illustrazione del contesto tettono-stratigrafico in località Acqua San Franco. La porzione destra non è stata descritta completamente a causa dell’ingannevole visione prospettica. La corniola è interessata dalla tettonica sindeposizionale.

54

massimi spessori che sono di almeno 400 metri. Spostandosi a Est lungo la medesima

struttura, nella serie del Passo del

Cannone-Sella dei due Corni la

formazione è spessa solo 70 metri.

La sezione stratigrafica della

Valle dei Ginepri è caratterizzata alla

base da dolomie grigiastre e giallastre

ricchissime di intercalazioni

doloarenitiche ad ooidi e lito-

bioclastiche calcarenitiche senza selce.

Esse sono gradate e presentano

laminazione piano parallela ed

incrociata tipica delle tessiture

torbiditiche. Le litofacies torbiditiche pocanzi descritte poggiano in onlap sul Calcare

Massiccio dolomitizzato, che è dislocato in blocchi ribassati verso NNE e spaziati tra

loro alcuni metri. Esso è fratturato ed attraversato da filoni sedimentari di corniola con

giacitura subaparallela a quella delle faglie che lo disarticolano. Il limite inferiore della

Formazione, riguardante questo settore, è caratterizzato dunque da particolari contatti

stratigrafici. La serie continua con doloareniti selcifere ben stratificate.

Sulla struttura del Corno

Grande la Corniola affiora con

facies dolomitica, in plaghe

giallastre tendenzialmente

discordanti sul Calcare Massiccio

ed anche in giacitura filoniana.

Verso il top della

formazione lungo la serie della

Sella dei Due Corni la formazione

in esame affiora con una litofacies

calcareo-marnosa plumbea a strati

sottili con selce in noduli e liste. La

formazione in località Sella dei due Corni è fortemente interessata da slumps soprattutto

nei livelli medio alti.

Figura 22 – Valle dei Ginepri, quota 1700. Contesto geologico del blocco ribassato. Onlap di Corniola sul Calcare Massiccio. L’asterisco verde indica la silicizzazione. Per la leggenda si veda Fig.4.

Figura 23 – Valle dei Ginepri, quota 1750. Strato calcarenitico ad ooidi con fitta laminazione piano parallela alla base ed HKS nella porzione superiore.

55

Il limite superiore è ben esposto alla Sella dei due Corni ed è caratterizzato da

una transizione, spessa circa 10 metri, tra i calcari micritici grigio scuri e i calcari

nodulari rosati, in cui BARBERA (1967) descrisse diversi generi e specie di Ammoniti.

Alla testata Sud della Val Maone presso quota 1880 il Calcare Massiccio, che si

presenta fortemente alterato è in contatto direttamente con la Corno Piccolo Fm. Ciò

sembrerebbe marcare una inedita lacuna nella sedimentazione corrispondente

all’intervallo Sinemuriano inf.-Aaleniano pp..

In corrispondenza di Monte Aquila, come segnalato anche da ADAMOLI et Alii

(1981-82), la Corniola ha uno spessore di circa 30 metri. Dai Dati di letteratura

sembrerebbe che essa raggiunga i 400 metri a Vado di Corno, dove affiora con strati

decametrici in facies di megabrecce e olistoliti di Calcare Massiccio, caduti dal vicino

alto strutturale del Corno Grande (ADAMOLI et Alii, 1981-82). La struttura delinea

pertanto un altro blocco “tiltato” con depocentro a Vado di Corno.

56

CONTATTI STRATIGRAFICI TRA CALCARE MASSICCIO E CORNIOLA In questa sezione non si discuterà di una vera e propria successione stratigrafica,

visto che le relazioni esistenti tra roccia e roccia impongono l’utilizzo di un differente

approccio nelle aree caratterizzate da particolari evidenze di terreno. Tali zone ospitano

nel dominio umbro-marchigiano un’associazione di facies pelagica composita

SANTANTONIO (1993). Un’associazione di tal tipo è peculiare delle zone di

paleoscarpata sottomarina, ed è spesso in contatto con l’associazione di facies pelagica

normale e risedimentata e l’associazione di facies pelagica condensata (GALLUZZO &

SANTANTONIO, 1994). Tra queste solo l’associazione di facies normale e risedimentata

è chiaramente esposta sul fianco occidentale del Gran Sasso d’Italia. Sia sul sottogruppo

del Corno Grande che sul versante meridionale di Pizzo Cefalone è evidente l’azione

della tettonica liassica. In questo paragrafo saranno descritti i caratteri distintivi delle

due zone sopramenzionate. La definizione complessiva del contesto tettono-stratigrafico

sarà esposta nel capitolo strutturale.

I rapporti stratigrafici esistenti tra Calcare Massiccio e Corniola nella zona di

studio sono nella maggior parte dei casi in paraconcordanza e il passaggio stratigrafico

avviene in continuità verticale. Fanno però eccezione alcuni corpi sedimentari in

contatto inconforme sul Calcare Massiccio, che sono assimilabili per caratteri litologici

alla Formazione della Corniola ed affiorano sul versante Nord di Corno Grande ed in

prossimità della Conca degli Invalidi.

I rapporti stratigrafici e le altre caratteristiche, appartenenti alle due formazioni

liassiche in contatto tra di loro, saranno di seguito esposte.

Vi sono alcune importanti evidenze di terreno riconoscibili nell’area rilevata:

1) presenza di sferule e piccoli noduli di selce nel Calcare Massiccio;

2) presenza di plaghe più o meno continue di Corniola fortemente dolomitizzata

talora stratificata ed in contatto fortemente irregolare con il Calcare

Massiccio;

3) paleofaglie;

4) fratture con giacitura filoniana riempite di mudstones a rare Ammoniti

(BARBERA, 1967).

1. La presenza di Calcare Massiccio silicizzato al contatto con unità bacinali

selcifere è nota nella zona umbro-marchigiana e sabina (GALLUZZO & SANTANTONIO,

57

2002), ma non è mai stata riportata né cartografata dagli Autori nelle pubblicazioni

relative al Gran Sasso d’Italia.

Negli ambienti di piana tidale hettangiana non vi erano, eccetto forse casi

sporadici, condizioni tali da supportare la proliferazione di organismi silicei e dunque la

possibile messa in circolo, durante la diagenesi, di fluidi ricchi in silice. La

silicizzazione del Calcare Massiccio è legata nel domino umbro-marchigiano-sabino a

contatti inconformi con unità pelagiche selcifere. SANTANTONIO et Alii (1996) hanno

interpretato questi fenomeni come dovuti al transito di fluidi sovrassaturi di silice,

messa in gioco dalla dissoluzione di scheletri opalini (radiolari, spugne silicee), dalle

unità pelagiche al calcare di

piattaforma che da queste è

ammantato. L’elevata porosità del

Calcare Massiccio ha favorito il

pompaggio dei flussi suddetti. I

tipici siti in cui si realizzano tali

condizioni sono le scarpate

sottomarine di origine tettonica,

in cui il calcare peritidale,

sollevato in blocchi a movimento

differenziale per mezzo di faglie,

viene progressivamente ricoperto

dalle formazioni bacinali.

La selce esiste in diverse

forme:

a) sferulette di selce bianca con

diametro inferiore a cm 0.5, disposte

in maniera casuale e indipendente

dalla stratificazione;

b) “nuvolette” nei calcari, definite da

aree a parziale silicizzazione;

c) crostoni fortemente silicizzati e

ossidati.

La quantità di selce e l’ampiezza

della zona silicizzata sono direttamente

Figura 24 - Versante settentrionale di Corno Grande - noduletti e sferule di selce arancioni sull’ultima bancata di Calcare di Massiccio in prossimità del passaggio stratigrafico verticale con le plaghe di Corniola dolomitica.

Figura 25 - Tra Passo del Cannone e Sella dei due Corni, quota 2625 – Sulla superficie di contatto tra Calcare Massiccio a gasteropodi e la Corniola grigio-plumbea è presente un crostone fortemente silicizzato ed ossidato.

58

relazionate al litotipo che drappeggia i calcari peritidali, esposti in ambiente di scarpata

(GALLUZZO & SANTANTONIO, 2002). La sorgente dei fluidi silicizzanti è riconducibile

alla Corniola.

2. Sono stati cartografati

dei corpi sedimentari,

interessati da processi di

intensissima dolomitizzazione,

che hanno portato alla quasi

totale perdita della originaria

organizzazione interna agli

strati e talora tra gli stati stessi.

Questi corpi affiorano sempre

in discordanza sui sottostanti

calcari peritidali. Vi sono

alcune plaghe discordanti sul

Calcare Massiccio, riferibili alla

Corniola di facies dolomitica

con rara selce bianca, sul

versante Nord del Corno Grande tra quota 2475 e quota 2700 metri, che

complessivamente coprono un’area minima di 0,2 Km2.

3. Molte delle faglie esposte sulla struttura mesozoica sono in realtà delle paleo-

faglie perché il loro effetto strutturale raramente si estende alle formazioni che le

sigillano. La Faglia del Passo del Cannone è uno di quegli elementi strutturali che

assieme alla Faglia delle Tre Selle hanno contribuito a generare l’alto Strutturale del

Corno Grande. La Faglia del Passo del Cannone affiora, come sopra detto, lungo il

fianco meridionale della Valle dei Ginepri ed allo stesso Passo del Cannone. Poco a

Nord di questa località a quota di 2625 metri la faglia suddetta è sigillata dal contatto

stratigrafico in onlap della Corniola dolomitica, a quota e grigio-plumbea sul Calcare

Massiccio. La superficie di contatto dei calcari subtidali a gasteropodi è estremamente

silicizzata ed ossidata. La giacitura degli strati di Corniola sperimenta un’evidente

uncinatura, originata probabilmente dall’espulsione differenziale dei fluidi durante la

diagenesi.

Figura 26 - Tra Passo del Cannone e Sella dei due Corni, quota 2625 - La linea gialla marca il contatto iconforme tra Calcare Massiccio e Corniola. Gli asterischi verdi simboleggiano le aree di più intensa silicizzazione. Le altre linee ricalcano la stratificazione. Si noti l’appoggio in onlap dei sottili calcari grigio-plumbei sui calcari di piattaforma.

59

Figura 27 – Valle dei Ginepri, illustrazione contatti tettono-stratigrafici. La paleo-faglia di Passo del Cannone mette a contatto il Calcare Massiccio con la Corniola. La linea gialla segna il limite inconforme tra CM e Corniola. Le linee viola rimarcano la stratificazione dei calcari di piattaforma. Le linee blu evidenziano i limiti dei filoni di Corniola più grandi.

Figura 28 – Illustrazione del contesto tettono-stratigrafico del Versante Sud di Pizzo Cefalone. Solo la parte che ricade in carta è illustrata. Si noti la paleo-faglia diretta liassica “onlappata” da Corniola e Verde Ammonitico (V.A.).

60

4. I filoni sedimentari liassici interessano quasi tutta la struttura del Corno

Grande dal sentiero, che dal Passo delle

Scalette porta al Rifugio Franchetti, sino al

Primo Scrimone. I filoni sedimentari possono

anche essere larghi circa 1,5-2 metri ed il loro

contenuto è litologicamente riferibile alla

Formazione della Corniola e del Verde

Ammonitico. Essi sono associati ad un’intensa

fratturazione della roccia incassante.

Quest’ultima mostra spesso un’aureola di

silicizzazione, intorno ai bordi dei filoni più

grandi ed è caratterizzata da sferule di silice

con concentrazione decrescente distanziandosi

dal filone. I

bordi dei

filoni sono di sovente interessati dai clasti

calcarei provenienti delle pareti incassanti,

che sono costituite di Calcare Massiccio.

La dimensione dei filoni è caratterizzata da un certo grado di variazione di forma e

spessore.

VERDE AMMONITICO Fm. (Toarciano p.p.-Aaleniano p.p.)

Si tratta di una formazione composita, caratterizzata dalla presenza di due strati

oolitici rossastri, intercalati in calcari marnosi nodulari verdi-rossastri o giallastro-

nocciola e da marne argillose verdastre e marroncine.

CRESCENTI (1969) non prende in considerazione la presenza del Verde

Ammonitico perché non è definito, a Suo avviso da caratteristiche tali da poterlo

distinguere dalla formazione delle Corniola, all’interno della quale ne include la

porzione di successione qui descritta.

Il Verde Ammonitico è caratterizzato alla base dal passaggio transizionale con la

sottostante formazione della Corniola. I termini di transizione ben esposti ad Acqua San

Franco (Pizzo Cefalone versante sud), aventi complessivamente uno spessore di 5-10

metri, sono caratterizzati da calcari micritici con selce in noduli e liste, intercalati da

Figura 29 - Sentiero del Versante Settentrionale della Vetta occidentale di Corno Grande, quota 2725. Le linee gialle delimitano i bordi del Filone. Gli asterischi verdi le zone di più intensa silicizzazione.

61

interstrati marnoso-argillosi verdastri. Questa

litozona è inclusa all’interno della Formazione del

Verde Ammonitico. L’oolite rossa, così denominata

da BARBERA (1967), pur non essendo alla base della

formazione, ha la funzione di un ottimo strato guida.

“L’oolite rossa” è caratterizzata da un paio di

strati calcarenitici a base calciruditica, spessi circa

1.5 metri, rossastri e ben cementati, gradati e privi di

matrice. Entrambi poggiano con una superficie

erosiva, marcata da impronte di fondo come flute e

groove marks, su argille marroncine. Al tetto la

tessitura è definita da lamine piano-parallele ed

incrociate. Il materiale più fino al top ha conservato i

ripples. La preservazione di queste strutture ha dato

il verso di movimento del flusso, che era generalmente verso WNW. Ad

un’osservazione più attenta si notano ulteriori superfici inconformi all’interno dei

singoli strati e gradazioni multiple. Si tratterebbe dunque di flussi granulari alimentati

da diversi impulsi, che correvano sul pendio deposizionale dell’intervallo Toarciano-

Aaleniano.

La formazione è delimitata al tetto da una superficie inconforme. Questa ricade

al limite tra le calcareniti oolitiche a selce bianca del membro inferiore della Corno

Piccolo Fm. e i litotipi nodulari rosati “slumpizzati” e non con selce e ossidi di ferro al

top della Verde Ammonitico

Fm..

La migliore

esposizione è alla Sella dei

due Corni dove la formazione

è caratterizzata infatti da

slumps, pieghe legate

all’instabilità sedimentaria del

pendio deposizionale. Qui la

formazione affiora con uno

spessore di circa 60 metri che

Figura 30 – Versante Sud Pizzo Cefalone, quota 2040. Alternanza tra calcareniti con selce e marne verdastre. Porzione medio-alta del Verde Ammonitico.

Figura 31 - Sella dei due Corni – Impronte di fondo alla base del primo strato di “oolite rossa”.

62

aumenta fino a 80 metri verso Ovest lungo la discesa Nord della Valle dei Ginepri, poco

sopra il thrust superiore.

Lungo il sentiero che collega l’Albergo di Campo Imperatore a Monte Aquila,

intorno a quota 2200 il tetto del Verde Ammonitico è caratterizzato da pebbly-

mudstones a clasti micritici

centimetrici di color rossastro,

inseriti in una matrice a grana più

fine. Al top di alcuni di questi strati

sono presenti intervalli centimetrici

a laminazione incrociata, seguiti da

una piccola porzione micritica

nodulare ad ossidi di ferro. Questi

eventi testimoniano l’instabilità di

pendio e l’azione di processi di

trasporto di massa, seguiti da

correnti di torbida a questi

geneticamente riconducibili. La successione sembrerebbe essere localmente lacunosa.

Gli ossidi di ferro concentrati al top degli strati terminali del Verde Ammonitico e

alcuni recenti studi biostratigrafici comproverebbero, infatti, tale ipotesi.

PASSERI et Alii (2008) attribuiscono un’età Toarciano medio-superiore al tetto

del Verde Ammonitico e un’età Toarciano inferiore per i litotipi campionati alla base

della stessa. Gli Autori suppongono dunque la presenza di uno hiatus deposizionale nel

Toarciano inferiore.

Sul Corno Grande sono state cartografate piccole plaghe e filoni di Verde

Ammonitico, già rese note da GHISETTI & VEZZANI

(1990) e SPERANZA (2003). Questi dati

comprovano secondo gli Autori che l’articolazione

liassica proseguiva durante l’intervallo Toarciano-

Aaleniano.

In località Acqua San Franco si può notare

come prevalgano le litofacies marnose su quelle

calcaree. L’affioramento di Verde Ammonitico

Figura 32 - Sentiero Campo Imp.-M.Aquila, quota 2260. Pebbly-mudstone alla base con laminazione incrociata al tetto.

Figura 33 – Acqua S.Franco-Vallone della Portella, quota 2030. Tracce di Zoophycos.

63

corrisponde in gran parte ad una cengia erbosa, posta intorno a quota 2030. Qui ho

riscontrato un livello bioturbato con tracce di Zoophycos, che è facilemente seguibile

alla base della litozona marnosa della Verde Ammonitico Fm.. Lo stesso livello è stato

segnalato nella vicina sezione stratigrafica della Portella da PASSERI et Alii (2008).

Nella sezione di Pizzo Cefalone, pubblicata da CHIOCCHINI et Alii (1994) si

attribuisce alla Formazione un’età aaleniana mentre BARBERA (1967), BERNOULLI

(1967), ADAMOLI et Alii (1978) riconoscono faune appartenenti all’intervallo Toarciano

pp.-Aaleniano. Per PASSERI et Alii (2008) la formazione, studiata in prossimità della

Portella, è pienamente Toarciana. Tutti Autori sopra citati riconoscono l’equivalenza

stratigrafica con il Rosso Ammonitico umbro-marchigiano dal quale il Verde

Ammonitico si discosta per colore e abbondanza di risedimenti calcarenitici.

Lungo la via normale che conduce da Campo pericoli alla Vetta Occidentale di

Corno Grande vi è un affioramento di Verde Ammonitico in facies relativamente

condensata e mineralizzata che sembra poggiare in concordanza sulla Corniola

dolomitizzata. Esso immerge 260°·28°. Si tratta di un mudstone ricchissimo di

lamellibranchi pelagici.

Figura 34 – Via normale alla Vetta Occ., quota 2530. Superficie di strato mineralizzata su un mudstone grigio-rosato a lamellibranchi pelagici.

64

CORNO PICCOLO Fm. (Aaleniano pp.- Kimmeridgiano inf.)

La denominazione “Corno Piccolo Fm.” è adoperata per la prima volta nella

nomenclatura formazionale informale dell’area.

Precedentemente la porzione di successione qui descritta era stata chiamata

Terrratta Fm. da CRESCENTI et Alii (1967), Calcari Bioclastici Inferiori da ADAMOLI et

Alii (1978), Terratta equivalente da VAN KONIJNENBURG (1997). CALAMITA et Alii

(2004) incorporano i Calcari bioclastici inferiori di ADAMOLI (1978) e i Calcari

diasprigni detritici di PASSERI et Alii (2008) sotto la dicitura di Calcari Bioclastici

inferiori. Con lo stesso intento ma con un altro nome, GHISETTI & VEZZANI (1990)

chiamano l’insieme di queste due formazioni Calcareniti ad Entrochi. VAN

KONIJNENBURG (1997) nella figura illustrata della successione del versante sud di Pizzo

Cefalone attribuisce invece il nome di Calcareniti ad Entrochi esclusivamente per i

primi metri di calcari torbiditici a crinoidi a diretto contatto con la Terratta equivalente.

Al fine di evitare incomprensioni e fraintendimenti, il presente Lavoro propone

di attribuire a questa formazione il nome del toponimo dove meglio è esposta questa

parte di successione. La Formazione Corno Piccolo affiora diffusamente nell’unità

Corno Grande-Corno Piccolo e nell’unità intermedia ricoprendo un’area complessiva

di circa 4 Km².

In questo Lavoro è

stata adottata la

suddivisione in due membri,

descritta di recente da

PASSERI et Alii (2008). I

due membri sono separati

da una evidentissima

superficie di inconformità.

Il membro superiore è

facilmente riconoscibile per

le imponenti pareti

subverticali. I ridotti

spessori del membro

inferiore rendono difficoltosa la rappresentazione cartografica e inibiscono l’elevazione

dello stesso al rango di Formazione geologica.

Figura 35 – Sentiero di collegamento tra Campo Imp. e M. Aquila, quota 2250. Il membro inf. della Corno Piccolo Fm. affiora nella sua tipica facies laminata oolitica ben stratificata a sottili liste di selce.

65

Il membro inferiore ha spessore variabile tra 0 e 20 metri ed è contraddistinto da

strati calcarenitici oolitici grigi e grigio-nocciola spessi circa 15 cm. in facies torbiditica

con selce biancastra in liste e noduli, interessati da sottili intervalli calciruditici ed

intercalati a rari wackestones pelagici a lamellibranchi pelagici. CHIOCCHINI et Alii

(1994) riconoscono nelle calcareniti delle associazioni a foraminiferi tipiche

dell’intervallo Aaleniano-Bajociano. PASSERI et Alii (2008) datano il top del membro

inferiore al Bathoniano inferiore.

Sul sentiero che collega l’Albergo di Campo Imperatore a Monte Aquila il

membro inferiore, spesso circa 20 metri, è caratterizzato da una splendida esposizione

di calcareniti ad ooidi gradate e laminate a base erosiva con sottili liste di selce bianca.

Le lamine passano da piano parallele a incrociate. Questi corpi sembrerebbero dunque

messi in posto da correnti di torbida. Lo spessore medio degli strati è di circa 10 cm.. Il

membro inferiore ha anche qualche intercalazione calciruditica lenticolare dello

spessore massimo di 50 cm. con clasti eterometrici ben litificati. La Corno Piccolo Fm.

poggia in leggera discordanza angolare sui pebbly-mudstones ossidati a tetto nodulare

della Verde Ammonitico Fm.. PASSERI et Alii (2008) sembrano includere questi pebbly-

mudstones nel membro inferiore dei Calcari bioclastici inferiori ed attribuiscono al

Verde Ammonitico uno spessore di circa 20-30 metri. Poiché questi corpi, descritti nel

paragrafo precedente,

sono composti da

frammenti di calcari a

radiolari e spicole di

spugna non ancora ben

litificati, essi

risulterebbero alla

formazione del Verde

Ammonitico piuttosto

che a quella del Corno

Piccolo, che è invece

caratterizzata dalla

presenza di apporti

alloctoni di

piattaforma piuttosto che intrabacinali. Tale distinzione riflette l’intento di chiarire le

dinamiche di evoluzione dello slope bacinale.

Figura 36 – Sentiero di collegamento tra Campo Imp. e M.Aquila. La Corno Piccolo Fm. è delimitata al tetto e alla base da unconformities. La base delle calciruditi del membro superiore definisce un contatto erosivo con le calcareniti oolitiche del membro inferiore. Le linee bianche ricalcano la stratificazione e le superfici di amalgamazione.

66

Il membro inferiore è sovrastato da quello superiore a calciruditi bioclastiche

amalgamate mediante una superficie di inconformità, che scava al suo interno per alcuni

metri.

Il membro superiore, separato dal precedente da una evidente superficie erosiva,

costituisce scarpate, spesso inaccessibili al rilevamento diretto. Esso è costituito da

spessi strati calciruditici grigi talora ben amalgamati, contraddistinti da geometrie

subtabulari e lentiformi a base discordante. Questi sono composti da bioclasti

eterometrici arrotondati prevalentemente rappresentati da frammenti di coralli. La

componente litoclastica aumenta

progressivamente verso l’alto facendo diminuire

relativamente quella biogena. La matrice è

scarsa o assente. L’organizzazione interna

caotica suggerisce meccanismi deposizionali

tipo rock-avalanche e debris-flow. PASSERI et

Alii (2008) attribuiscono un’età Bathoniana

inferiore alla base del membro superiore e

Kimmeridgiano inf. al tetto dello stesso.

La selce si presenta in rari noduli

biancastri e sferule giallastre alla base della formazione ed è molto più frequente al

tetto. Essa si mostra con colore giallastro-arancione ed è associata ad una progressiva

diminuzione dello spessore degli strati (circa 10 cm.), che mantengono pur sempre un

elevato grado di amalgamazione. Il membro superiore costituisce infatti le scarpate più

scoscese e compatte del Gran Sasso ed è la roccia preferita degli alpinisti.

Il membro inferiore affiora bene alla Sella dei due Corni (quota 2547) dove è

caratterizzato da un pacco di strati spesso circa 10 metri composto da calcari micritici

grigi scheggiosi a selce bianca intercalati da sottili strati calcarenitici a crinoidi a grana

fine. Come si può ben notare dalla foto illustrata di Corno Piccolo la formazione

presenta corpi calciruditici a geometria tendente al tabulare in prossimità della Sella dei

due Corni.

Il limite superiore della Corno Piccolo Fm. è evidente sul terreno. Esso è

marcato sul versante Sud di Pizzo Cefalone, in prossimità del Passo della Portella dalla

brusca terminazione verticale delle litofacies calciruditiche amalgamate e dal passaggio

Figura 37 – Campo Pericoli. Esemplare di Corallo silicizzato al top del membro sup. della Corno Piccolo Fm.

67

alle calcareniti torbiditiche ad articoli di crinoide della formazione dei Calcari

Diasprigni Detritici.

A Nord di Corno Piccolo il passaggio ai Calcari Diasprigni Detritici è

caratterizzato dal brusco passaggio alle litofacies calcarenitiche stratificate con scarsa

selce dei Calcari diasprigni detritici.

La Prima e la Seconda Spalla, antivette note agli arrampicatori, sono costituite

da corpi tenacemente amalgamati a geometria lentiforme. Tale geometria è legata alla

canalizzazione dei flussi di massa. Le lenti hanno spessori complessivi pluridecametrici

e sono caratterizzate da brusche terminazioni laterali. La tipologia lentiforme prevale

spostandosi sul versante occidentale del Corno Piccolo, suggerendo lo scorrimento

preferenziale dei flussi di massa verso la Val Maone.

Lungo la parete Est di Pizzo d’Intermesoli, che costeggia il fianco sinistro della

Val Maone è esposto un particolare assetto stratigrafico, che vede il limite superiore

della Corno Piccolo Fm., sovrastato da tre diverse formazioni. Calcari Diasprigni

Detritici, Maiolica e Cefalone Fm. appoggiano in onlap sulla Corno Piccolo Fm.,

adattandosi alla paleogeografia del fondale Kimmeridgiano. Tale contatto sembrerebbe

essere generato dall’interazione tra tettonica transtensiva alto giurassica, la

modellazione dello slope e fenomeni deposizionali. Sulla porzione più meridionale

Figura 38 – Foto illustrata del contesto geologico tra la Sella dei Due Corni e il Corno Piccolo, il quale è definito da una geometria sub-tabulare ad Est e da una geometria lenticolare verso la Val Maone. La fratturazione evidenziata in rosso interessa principalmente la Crono Piccolo Fm. in quanto risponde in modo fragile al piegamento dell’anticlinale di Corno Grande-Corno Piccolo.

68

dell’affioramento della Val Maone in corrispondenza di Picco Pio XI è esposto un

secondo altofondo con appoggi stratigrafici in onlap delle stesse formazioni, sopra

menzionate. L’andamento ondulato del tetto della formazione potrebbe, infatti, essere

dovuto in buona parte alla superficie irregolare degli ultimi mass-flows, appartenenti

alla Formazione del Corno Piccolo. Non è da escludere che l’area, a seguito di una fase

deposizionale, fosse interessata successivamente da erosione sottomarina. Le faglie e le

fratture riferibili alla transtensione giurassica, infatti, terminano sull’unconformity al

tetto della Corno Piccolo Fm., vincolando parzialmente la morfologia del top della

formazione. Tale contesto tettono-stratigrafico non è mai stato descritto nelle

Pubblicazioni precedenti.

Anche la Cefalone Fm., altrimenti nota come Calciruditi a Rudiste (GHISETTI &

VEZZANI, 1990) o Calcari bioclastici superiori (ADAMOLI et Alii, 1978)), sembra

poggiare direttamente sulla Corno Piccolo Fm. Il limite è facilmente seguibile

osservandolo da lontano mentre risulta decisamente più arduo rilevarlo da vicino. Come

si può notare dalla figura illustrata l’unconformity sembra essere strettamente legata

all’attività delle faglie transtensive, che interessano la struttura e che probabilmente ne

hanno influenzato la genesi.

Tra Monte Aquila e Le Capanne l’assetto strutturale dell’area suggerisce anche

in questa zona l’attività delle faglie giurassiche è suggerita dall’assetto strutturale

dell’area.

L’aumento dell’apporto in bacino sembra essere legato a una importante fase di

basso stazionamento del livello del mare, che avrebbe comportato l’emersione e lo

smantellamento dei margini di piattaforma e dunque il trasporto e l’elaborazione di

clasti ben litificati. Il prodotto di questo evento è rappresentato dall’ingente aumento di

risedimenti bioclastici sullo slope bacinale.

La caratteristica principale di questa formazione è infatti l’estrema variabilità

degli spessori. Essi cambiano costantemente definendo, come sopra descritto, una

paleogeografia molto articolata, che vincola fortemente la distribuzione dei Calcari

Diasprigni Detritici.

Lungo la parete orientale del Pizzo d’Intermesoli la Corno Piccolo Fm., che

affiora senza il membro inferiore, ha uno spessore variabile tra 400 e 600 metri ed

appoggia, in prossimità della Faglia delle Tre Selle, direttamente sul Calcare Massiccio.

69

Poco a Nord la formazione varia di spessore lateralmente passando in poco più

di 1 Km dai 150 metri di Acqua San Franco ai 100 metri del Vallone della Portella. Lo

spessore complessivo aumenta nuovamente verso ovest misurando 170 metri circa sulla

sezione, che passa per il sentiero di collegamento tra Campo Imperatore e Monte

Aquila. È interessante notare come vari sia lo spessore complessivo della Formazione

sia il rapporto di potenza tra il membro superiore e quello superiore. Quest’ultimo è,

infatti, inversamente proporzionale, perché all’aumentare dello spessore del membro

inferiore diminuisce quello del resto della Formazione e viceversa. Vi è un generale

approfondimento della potenza formazionale verso il depocentro del bacino, cioè verso

la Val Maone, interrotto solo dall’alto strutturale liassico del Corno Grande-Primo

Scrimone. A Sud di quest’elemento lo spessore della Corno Piccolo Fm. passa dai 130

metri di Acqua San Franco ai 200 circa, misurati in prossimità del Rifugio Garibaldi.

Lungo la Val Maone si raggiunge la massima potenza, che è di circa 500 metri, mentre

al Corno Piccolo raggiunge i 370 metri circa, in quanto la distribuzione dei mass-flows

risente ancora parzialmente delle strutture liassiche, che identificavano, come già visto,

un alto strutturale articolato e persistente già nel Sinemuriano.

CALCARI DIASPRIGNI DETRITICI Fm. (Kimmeridgiano pp.- Titonico inf.)

La Formazione è

costituita da strati

calcarenitici grigi

disprigni a tessitura

torbiditica ricchi di

articoli di crinoide alla

base, cha affiorano

diffusamente nell’area

di Campo Pericoli,

lungo il versante Sud di

Pizzo Cefalone, a Nord

di Corno Piccolo e sul

versante Est di Pizzo d’Intermesoli, ricoprendo una superficie di circa 1.5 Km².

Alla base e al tetto della Formazione vi sono intercalazioni calciruditiche a base

discordante e geometria lenticolare e rare intercalazioni calcilutitiche. La selce, presente

Figura 39 – Sentiero di collegamento Campo Imp.-M.Aquila, quota 2300. La silicizzazione è chiaramente post-deposizionale

70

in liste e noduli, è abbondantissima ed ha una colorazione bianco-giallastra

inconfondibile. Le tessiture torbiditiche sono ben preservate ed evidenziate dalla

silicizzazione, che ha rimpiazzato durante la diagenesi, il carbonato di calcio con la

silice, dimostrando così di non essere legata a deposizione primaria.

I Calcari Diasprigni Detritici, come ricordato in PASSERI et Alii (2008), sono

stati già descritti da CRESCENTI et Alii (1969) e da DI NOCERA (1973) sotto il nome di

Scisti ad Aptici ma sono stati ignorati nelle più recenti cartografie geologiche. GHISETTI

& VEZZANI (1990) adoperavano Calcareniti ad Entrochi includendo sia la Corno Piccolo

Fm. che la porzione di successione qui in studio. VAN KONIJNENBURG (1997), come

anticipato nella descrizione della Corno Piccolo Fm., considera Calcari ad Entrochi solo

i primi metri direttamente a contatto con la formazione sottostante. Evitando diciture

come Maiolica Detritica che potrebbe essere confusa con la Maiolica Fm. si preferisce

qui utilizzare il nome di Calcari Diasprigni Detritici di CENTAMORE et Alii (2003),

recentemente utilizzato da PASSERI

at Alii (2008).

Il limite inferiore dei Calcari

Diasprigni Detritici è marcato da

una discordanza angolare,

evidentissima in molte località

come Passo della Portella, Duca

degli Abruzzi versante Sud e Nord,

versante Sud di Pizzo Cefalone,

parete Nord Corno Piccolo ed è

solitamente associato alla comparsa

della selce.

In quest’ultima località il

limite inferiore è netto ed è marcato da una più sottile stratificazione (5-15 cm.) di

packstones a crinoidi intercalati a rari corpi calciruditici a base in conforme e a gemetria

canalizzata. I clasti di queste brecce sono costituiti da coralli in frammenti arrotondati e

grainstones calcarenitici grigio chiari. La selce è insolitamente abbastanza rara. Sul

sentiero di collegamento tra Campo Imperatore e Monte Aquila sono presenti slumps

vergenti a NW.

Figura 40 – Fianco SE di P.zzo Cefalone in prossimità de La Portella, quota 2200. Contesto Geologico commentato. Si noti l’onlap dei Calcari diasprigni detritici sulla fisiografia tormentata al top della Corno Piccolo Fm.

71

Il limite superiore è definito da un breve passaggio transizionale (10-15 metri) ai

mudstones pelagici con selce violacea a noduli della Maiolica Fm.. Lo spessore

complessivo dei Calcari Diasprigni Detritici aumenta dai 40-50 metri misurati poco a

Ovest del Passo delle Scalette (quota 2100) ai 90-100 metri a Nord della Seconda

Spalla.

I Calcari Diasprigni Detritici hanno spessori variabili in funzione della

fisiografia ereditata e della capacità di dispersione dei flussi che hanno interessato

l’area, configurando lo slope di raccordo tra bacino e piattaforma. Nell’area della

Portella la formazione raggiunge spessori medi di 120-140 metri ed è caratterizzata alla

base da due orizzonti calciruditici continui a geometria subtabulare spessi circa 1.5

metri con frammenti di Ellipsactinia. PASSERI et Alii (2008) segnalano un livello a

Saccocoma nella parte intermedia e un livello Titonico inferiore calcilutitico a

nannoplankton nella parte più alta della formazione.

Tra Campo Pericoli e le Capanne i Calcari Diasprigni Detritici misurano circa

110-120 metri e sono coperti di sovente dalle coltri moreniche tardo pleistoceniche.

Lungo il ripidissimo versante orientale del Pizzo d’Intermesoli i Calcari

Diasprigni Detritici e la Maiolica Fm. appoggiano in onlap sulla Corno Piccolo Fm

intorno a quota 2265. In questa località lo spessore della Calcari Diasprigni Detritici è al

limite della cartografabilità, essendo di circa 15 metri. Più a Nord entrambe le

Formazioni sembrano sparire rivelando un’importante lacuna stratigrafica medio-alto

giurassica, probabilmente associata al basso stazionamento del livello marino e

all’attività tettonica transtensiva.

MAIOLICA Fm. (Titonico sup.- Barremiano Sup.)

La Maiolica Fm. è caratteristicamente rappresentata da litotipi calcilutitici

bianchi o grigio chiari a frattura concoide con selce violacea o biancastra in noduli. La

stratificazione è regolare (20-30 cm) ed è talora eccezionalmente interrotta da corpi

calciruditici lenticolari massivi spessi pochi metri. Le calcilutiti sono dei mudstones a

radiolari ricchi alla base in calpionellidi e con rari Aptici (PASSERI et Alii, 2008; VAN

KONIJNENBURG, 1997).

72

L’estensione degli

affioramenti ricopre un’area

complessiva poco più grande di 0.5

Km². Le migliori esposizioni sono

lungo il versante Sud di Pizzo

Cefalone, in località Le Capanne

(quota 1957), e al footwall del

thrust superiore sul fianco

occidentale della Val Maone.

La Maiolica affiora inoltre

sulla parete Est del Pizzo

d’Intermesoli dove, appoggia in onlap assieme ai Calcari Diasprigni Detritici sulla

Corno Piccolo Fm. Lo spessore della Maiolica Fm in questa località nella porzione più

esterna, prossima alla Faglia delle Tre Selle, è inferiore a 50 metri. In questa località

l’osservazione diretta è molto rischiosa a causa delle irte scarpate della Val Maone.

Il limite inferiore è segnato sul versante Sud di Pizzo Cefalone da una rapida

transizione a giacitura conforme dalle calcareniti torbiditiche bioclastiche dei Calcari

Diasprigni Detritici ai calcari pelagici della Maiolica. La successione è dominata da una

monotona successione di calcari pelagici. Al top della successione affiorano sottili

intercalazioni di marne e calcari marnosi scuri, litologicamente simili alle Marne a

Fucoidi della Serie Umbro-Marchigiana, la cui età è riferita in letteratura all’Aptiano

inf.-Albiano superiore. Secondo i dati microbiostratigrafici di VAN KONIJNENBURG

(1997) tali litotipi, affioranti alla base della piramide di Pizzo Cefalone (quota 2475),

sono di età Barremiano inf.. Comune è la presenza di stiloliti sub-parallele alla

stratificazione.

C’è un piccola differenza interpretativa del posizionamento del limite inferiore

della Maiolica rispetto al lavoro di VAN KONIJNENBURG (1997), il Quale concentrava la

Sua attenzione sui termini appartenenti all’intervallo Cretaceo inferiore-Terziario

inferiore. Egli trascurò, infatti, lo studio del limite inferiore della Maiolica Fm., che

ricade nel Giurassico superiore. VAN KONIJNENBURG (1997) riporta perciò spessori della

Maiolica variabili tra 260 e 300 metri, che sono decisamente maggiori di quelli

osservati in campagna. Il posizionamento del limite inferiore adottato in questo Lavoro

Figura 41 – Maiolica ben stratificata alla base di Pizzo Cefalone, quota 2370.

73

è posto in corrispondenza del rapido passaggio transizionale da una formazione ricca di

risedimenti (Calcari Diasprigni Detritici) ad una più schiettamente pelagica (Maiolica).

Il limite superiore è marcato da una netta superficie di inconformità, facilmente

riconoscibile in tutta l’area con la sovrastante Pizzo Cefalone Fm.. Il contatto è infatti

fortemente erosivo.

Dai dati di rilevamento ricavati sul versante sud di Pizzo Cefalone la Maiolica

Fm. ha uno spessore di circa 200 metri. In prossimità de “Le Capanne” a quota 1950 sul

sentiero, che dal Rifugio Garibaldi conduce alla Val Maone, gli spessori si riducono a

70 metri circa.

La Maiolica è presente anche a Campo Pericoli in un particolare affioramento

alla base meridionale della collina di quota 2244. Questa località è sede di particolari

contatti stratigrafici. Il limite inferiore poggia in continuità stratigrafica con i Calcari

Diasprigni Detritici sottostanti. Lo spessore complessivo non supera i 20-25 metri. La

formazione è qui caratterizzata da calcilutiti bianche a calpionellidi ricche in noduli di

ossidi di ferro grandi fino a 2-3 mm circa e stiloliti con selce bianca in noduli. La

stratificazione, che è nell’ordine del decimetro, ha giacitura sub-concordante con quella

della Formazione sottostante. Il colore di queste calcilutiti tende all’arancione. Non

mancano tessiture fluidali e brecciate, sub verticali e a direzione circa meridiana,

associate all’attività tettonica sin- o di poco post-deposizionale. La loro presenza

potrebbe essere associata all’esistenza di filoni intraformazionali. Il limite superiore è

sede di un’importante lacuna stratigrafica, estesa dal Cretaceo basale all’Oligocene

medio. Essa è interrotta da uno spessore di calcareniti e calciruditi cretaciche di circa 2

metri, sovrastate da calciruditi e marne a Nummuliti mal stratificate e fortemente

discordanti.

VAN KONIJNENBURG (1997) distingue nella Maiolica due tipi di brecce

intercalate alle pelagiti: Brecce intraclastiche e clastosostenute; Brecce bioclastiche a

gusci silicizzati. Quest’ultime sono spesse da 5 a 20 metri ed hanno un’estensione

laterale variabile tra 60 e 600 metri con terminazioni laterali nette a base erosiva. La

tessitura è gradata ed è variabile da grano- a fango-sostenuto di piattaforma. Sia i

litoclasti che i bioclasti, composti da rudiste giurassiche e altri frammenti di molluschi,

hanno origine dai margini della piattaforma.

74

Le brecce intraclastiche, che sono pebbly-mudstones a clasti intrabacinali di

Maiolica, sono presenti nella parte alta della formazione. Esse hanno uno spessore

minore di 30 cm, sono discontinui e la loro continuità laterale varia tra 1 e 5 metri.

Lungo la sezione del Rio Arno le intercalazioni calciruditiche e calcarenitiche

sono praticamente assenti.

La Maiolica è presente anche a Campo Pericoli sulla collina di quota 2244. La

descrizione dell’affioramento, sede di particolari contatti stratigrafici, è all’interno della

spiegazione

geologico

strutturale

dell’area

orientale.

CEFALONE Fm. (Albiano medio- Cenomaniano Sup.)

La Formazione Cefalone è costituita da una gran varietà di corpi risedimentati

VAN KONIJNENBURG (1997). Questi si presentano sotto forma di brecce e calcareniti

torbiditiche a composizione da bioclastica a litoclastica, intercalate a rare calcilutiti

marnose pelagiche e discontinue.

La Formazione ricopre un’area complessiva di circa 3.5 Km² ed affiora sul

versante meridionale ed orientale (Conca del Sambuco) del Pizzo d’Intermesoli,

Figura 42 – Campo Pericoli, collina di quota 224. Breccia al top della Maiolica.

75

all’ingresso Sud della Valle Venacquaro, sulle pareti della Val Maone in prossimità

delle Sorgenti del Rio Arno, lungo la parte più bassa della Valle della Funivia, poco a

Sud del Duca degli Abruzzi, e tra Le Capanne e la Vetta di Pizzo Cefalone. In

quest’ultima località essa mostra la sua sezione tipo.

La Formazione Cefalone è tra quelle che hanno sperimentato la massima fantasia

nomenclaturale degli Autori. CRESCENTI et

Alii (1969) chiamavano Formazione Monte

Acquaviva la porzione inferiore

dell’intervallo qui descritto. Per GHISETTI

& VEZZANI (1990) sono “Calciruditi a

Rudiste” mentre per ADAMOLI (1992) e

CALAMITA et Alii (2004) sono “Calcari

Bioclastici Superiori”. VAN KONIJNENBURG

(1997) rinomina in chiave toponomastica la

porzione di successione compresa tra le

calcilutiti pelagiche a calpionellidi della

Maiolica e quelle a Globotruncanidi e planomalinidi della Scaglia Bianca.

La Cefalone Fm. varia costantemente di spessore in funzione della fisiografia del

fondale, della tettonica distensiva intra-cretacea e della direzione di smistamento dei

flussi detritici, provenienti dai vicini margini di piattaforma.

Il miglior sito di studio della Formazione è in corrispondenza del Pizzo

Cefalone, dove raggiunge uno spessore complessivo di circa 250 metri. A Nord e ad Est

della località tipo lo spessore tende ad aumentare sensibilmente fino a 350 metri

rispettivamente in prossimità

della zona dei Tre Valloni e sul

versante meridionale

dell’Intermesoli. In prossimità

della zona Conca del Sambuco-

Picco Pio XI raggiunge infatti la

potenza formazionale di 350

metri circa al di sopra del thrust

superiore. Lo spessore non supera

i 220 al footwall dello stesso, in

Figura 43 – Pizzo Cefalone, versante Sud quota 2375. Breccia basale in contatto erosivo su calciluti bianche Maiolica e marne scure assimilabili alle Marne a Fucoidi.

Figura 44 – Pizzo Cefalone sentiero Sud, quota 2475. Calcirudite a Rudiste.

76

riva destra del Rio Arno. La mappatura delle isopache sembra dunque suggerire un

progressivo approfondimento verso NE dello slope di raccordo al bacino, che nelle

porzioni più esterne garantiva la deposizione con tendenza progradante della gran parte

dei risedimenti.

Il limite inferiore permette la sovrapposizione dei termini dell’Albiano medio

della Cefalone Fm. sulle calcilutiti di età Barremiano inferiore della Maiolica. La natura

del contatto è fortemente erosiva e scava per alcuni metri all’interno della Formazione

sottostante. VAN KONIJNENBURG (1997) suppone che la troncatura erosiva giustifichi lo

hiatus temporale, che si estende dal Barremiano superiore all’Albiano medio, registrato

in corrispondenza del limite inferiore.

La formazione è stata suddivisa da VAN KONIJNENBURG (1997) in tre parti

caratterizzate da diverse associazioni di facies.

La porzione inferiore in località Pizzo Cefalone, che è spessa circa 30-40 metri,

è costituita da calciruditi molto grossolane a base discordante e geometria da lenticolare

a subtabulare e da scivolamenti (glides). Sebbene lo spessore degli strati raggiunge

anche i 15 metri, la loro estensione laterale è inferiore a 700 metri, impedendo la

correlazione degli stessi tra le diverse sezioni stratigrafiche VAN KONIJNENBURG (1997).

Le brecce che sono relativamente ricche in matrice ma tendenti al grano-sostenuto

hanno sempre una base erosiva e sono costituite da elementi alloctoni biogeni,

Figura 45 – Foto Panoramica di Pizzo Cefalone. La porzione inferiore, che poggia in discordanza sulla Maiolica è caratterizzata da evidenti glides e megabrecce.

77

provenienti dai margini di piattaforma (frammenti di rudiste e coralli), mentre quelle

fango sostenute tendono ad amalgamarsi maggiormente. La matrice è un packstone

bioclastico ricco di Orbitolinidi (VAN KONIJNENBURG, 1997). La tessitura di questi corpi

lentiformi è tendenzialmente caotica alla base. Al top di alcuni di questi strati si può

notare anche una certa gradazione e laminazione parallela. I bioclasti delle calciruditi di

questo intervallo sono fortemente silicizzate in prossimità del footwall del Thrust

superiore sulla parete occidentale della Val Maone.

Nella porzione intermedia le brecce tendono a sparire e gli strati di packstones

diminuiscono di spessore e la granulometria dei clasti si fa più minuta. Sul sentiero che

sale il Pizzo Cefalone gli strati calciruditici a rudiste e calcarentici della porzione

intermedia poggiano con contatto angolare sulle brecce basali amalgamate.

Verso il tetto della Formazione affiorano prevalentemente strati torbiditici. Nel

complesso si riconosce una tendenza Fining Upward & Thining Upward (VAN

KONIJNENBURG, 1997), che dimostrerebbe un arretramento progressivo del sistema di

alimentazione carbonatico.

Il limite superiore con la Formazione Scaglia Bianca è definito da una rapida

transizione gradazionale dalle calcareniti torbiditiche ai wackestones pelagici della

Scaglia Bianca. Il limite è ben osservabile in prossimità delle sorgenti del Rio Arno

sulla parete del sottogruppo del Pizzo d’Intermesoli.

SCAGLIA BIANCA Fm. (Cenomaniano Sup.-Campaniano inf./Maastrichtiano

inf.)

La Scaglia Bianca Fm. è

composta da una successione

continua di calcilutiti pelagiche

bianco-giallastre con tessitura

mudstone e wackestone a

mircoforaminiferi planctonici con

selce in noduli e liste e.

La Formazione è ben esposta

alle Sorgenti del Rio Arno, ed affiora

in vetta e sul fianco occidentale del Figura 46 – Cresta di collegamento tra Pizzo Cefalone e Pizzo d’Intermesoli, quota 2330. Si noti la fitta stratificazione delle calcilutite binche e rosate della Scaglia Bianca.

78

Pizzo d’Intermesoli, sul fianco orientale di Monte Corvo, a Nord di Pizzo Cefalone,

sulle Malecoste e sul sentiero che segue la Funivia in località Vena Rossa, ricoprendo

complessivamente un’area di circa 1 Km².

GHISETTI & VEZZANI (1990) hanno utilizzato il nome di Scaglia per tutte le

facies pelagiche della Scaglia Bianca Fm., Monte Corvo Fm. e parte della Formazione

di Fonte Gelata di VAN KONIJNENBURG (1997). Gli Autori hanno tentato di preservare di

preservare la nomenclatura tradizionale della serie umbro-marchigiana, applicandola in

un contesto stratigrafico-strutturale, nel quale era necessario affrontare una più attenta

analisi stratigrafico-sequenziale, al fine di definire le superfici correlabili. VAN

KONIJNENBURG (1997) attribuisce il nome di Scaglia Bianca all’unica porzione di

successione del Gran Sasso d’Italia che non ha risedimenti al suo interno ed è dominata

da pelagiti di base-of-slope, sebbene nella Letteratura geologica la Scaglia Bianca abbia

nel dominio umbro-marchigiano una collocazione temporale ristretta all’intervallo

Cenomaniano medio-Turoniano inferiore.

Il limite inferiore è marcato, come poc’anzi descritto, dall’ultimo significativo

strato torbiditico (>1 m.) della sottile transizione con la Cefalone Fm. La transizione

prende luogo all’interno della Biozona a Rotalipora cushmani del Cenomaniano sup.

VAN KONIJNENBURG (1997). Tale contatto non è facilmente seguibile orizzontalmente

perché nascosto dal detrito lungo la Valle Venacquaro e lungo la parete orientale della

cresta di collegamento Pizzo Cefalone-Sella dei Grilli. Nelle porzioni inferiori potrebbe

essere presente il livello anossico Bonarelli.

Il limite superiore è marcato da una transizione molto rapida ai packstones

calcarenitici della Formazione di Monte Corvo. Come riportato da VAN KONIJNENBURG

(1997), Tale limite è diacrono nel tempo e segna il termine della semplice deposizione

pelagica a favore della ripresa di quella torbiditica. Questo evento avviene in tempi

diversi. Nelle zone più occidentali il top è datato al Maastrichtiano inf., mentre in quelle

centrali ed orientali esso ha un’età ascrivibile al Campaniano inferiore. In carta il limite

superiore è stato spesso marcato da un’eteropia laterale. Gli ultimi dieci metri della

Scaglia Bianca Fm., infatti, sono interessati da sottili intercalazioni di strati torbiditici,

isolati e non amalgamati, composti di elementi alloctoni di piattaforma. Questi sono

rappresentati prevalentemente da frammenti di rudiste.

La Formazione è caratterizzata da una fitta stratificazione e localmente da

slumpings e strati finemente gradati. L’origine di quest’ultimi è da ricondursi alle

79

correnti conturitiche. La Scaglia Bianca sperimenta una notevole variazione degli

spessori formazionali. Essa ha infatti una potenza di circa 220 metri sulla cresta di

collegamento tra Pizzo Cefalone e la Sella dei Grilli, mentre non raggiunge i 90 metri

circa sulla vetta dell’Intermesoli. Per VAN KONIJNENBURG et Alii (1999) tali differenze

sono attribuibili alla presenza degli scivolamenti gravitativi ed all’azione, inibitrice

della sedimentazione pelagica, esercitata delle correnti conturitiche. A tali fenomeni

potrebbe affiancarsi l’effetto della tettonica sin-sedimentaria, evidente nel Settore Sud.

MONTE CORVO Fm. (Campaniano inf./Maastrichtiano inf.- Daniano Inf.)

La Formazione è costituita da una successione ritmica di strati torbiditici

calcarenitici bianco-beidge e rosati a tessitura packstone-grainstone, soventemente

amalgamati, spessi da 20 a 100 cm. e da brecce, intercalati a mudstone-wackestone,

pelagici rosati e biancastri con selce rosata o rossastra, raramente giallastra.

Gli affioramenti sono distribuiti tra la Valle Venacquaro e i Prati di Tivo, dove

costituisce parte della Vetta settentrionale d’Intermesoli (2483 metri s.l.m.). Essa è

presente inoltre sul contrafforte di collegamento tra Pizzo Cefalone e la Sella dei Grilli a

Est del Venacquaro, sul sentiero che costeggia la Funivia Fonte Cerreto-Campo

Imperatore e a Nord di Celluccio.

La superficie complessiva coperta della Monte Corvo Fm. è di circa 2.5 Km².

Figura 47 - Fianco occidentale del Pizzo d’Intermesoli alla Valle Venacquaro. Il Sud è a destra. La parete è alta circa 40 metri. Si può ben notare l’appoggio in onlap delle calcareniti e calciruditi della Monte Corvo Fm. sulle calcilutiti esposte sulla parete, che è costituita dalla porzione superiore di Scaglia Bianca.

80

CRESCENTI et Alii (1969) considerano la Monte Corvo Fm. parte (Membro

Orfento) della Formazione Monteacquaviva. Anche se l’intervallo temporale coincide,

l’architettura interna delle facies e le caratteristiche sedimentologiche differiscono di

molto rispetto a quelle dell’area tipo, che è sita sulla Majella.

Come tutte le Formazioni del Gran Sasso d’Italia anche questa è caratterizzata

da notevoli variazioni di potenza. Dallo studio degli spessori si può descrivere una

paleogeografia abbastanza articolata. La potenza formazionale registra le misure

minime fuori carta a Pizzo Camarda (54 metri), e si approfondisce in località Rio Arno

(222 metri) fino a diminuire nuovamente nella zona della Funivia, dove misura circa

100 metri e dell’Acquare della Formica (150 metri).

VAN KONIJNENBURG (1997) nota che laddove lo spessore della Monte Corvo Fm.

è maggiore, il limite inferiore è più antico (Campaniano inf.).

I corpi risedimentati mostrano geometrie lenticolari ed evidenti segni di

canalizzazione ed amalgamazione. VAN KONIJNENBURG (1997) riconosce una serie di

discontinuità stratigrafiche associate a questi corpi, che talora sono sovrapposti tra loro

con geometrie di onlap e offap.

La Formazione ospita il limite K/T, attraverso il quale si registra il passaggio tra

l’associazione faunistica a microforaminiferi planctonici tardo maastrichtiana con

Globotruncanita stuarti, G. angulata e G. conica, e le faune del Daniano basale a

Globigerina eugubina e Heterohelix globuolosa VAN KONIJNENBURG (1997).

Quest’ultimo livello affiora esclusivamente tra la Valle Venacquaro e Rio Arno in

facies prevalentemente pelagiche. Quando presente, questo risulta parzialmente eroso

dal contatto con le brecce paleoceniche della Fonte Gelata Fm.. Il limite superiore è

facilmente seguibile in riva destra del Rio Arno, in quanto marcato dal forte contrasto

litologico pocanzi descritto.

L’ambiente deposizionale, in cui si depositano i terreni ascrivibili a questa

formazione, è tipico di un sistema di conoide torbiditica, caratterizzato da un complesso

a canali ed argini. Questo modello spiega le forti variazioni di spessore formazionale

verso NW, cioè nella direzione di approfondimento del bacino. L’incremento di depositi

da debris-flow nella parte centrale così come la diacronia del limite inferiore, potrebbero

essere spiegati dalla progradazione del sistema precedentemente definito. Tale evento

segue la stasi dei fenomeni di risedimentatazione, caratterizzante la Scaglia Bianca, ed

avviene in concomitanza della nuova progradazione dei margini di piattaforma. Tale

81

evento rende disponibile nuovo materiale al rimaneggiamento sottomarino delle correnti

di torbida, principali alimentatrici del sistema di base-of-slope alto cretacico. L’attività

tettonica sembra essere stata praticamente nulla su tutto il Fianco occidentale del Gran

Sasso d’Italia, durante l’intervallo di tempo coperto della Monte Corvo Fm..

FONTE GELATA Fm. (Thanetiano inf.- Bartoniano sup/Priaboniano Inf.)

La Formazione Fonte Gelata racchiude quasi tutti i terreni paleocenici ed

eocenici del Gran Sasso (VAN KONIJNENBURG, 1997).

Si tratta di una formazione composta da una porzione inferiore paleocenica,

caratterizzata alla base da un potente strato di breccia litoclastica e da una porzione

superiore eocenica, costituita da una diversa composizione lito-bio-clastica e di

associazione tridimensionale delle facies. Talora la Fonte Gelata Fm. è interessata

localmente da intensi fenomeni di silicizzazione.

La Formazione affiora tra la Sella dei Grilli e il Venacquaro, a Nord di

Celluccio, e tra la Val Maone e Fonte Gelata (quota 1633), costituendo il Picco dei

Caprai (1947 m. s.l.m.) e la Vetta settentrionale d’Intermesoli (2341 m. s.l.m.). L’area

occupata supera 1 Km².

Molti Autori (RENZ,

1936; SCARSELLA, 1957;

ZAMPARELLI, 1966;

CRESCENTI 1969; GHISETTI

& VEZZANI, 1990;

CALAMITA et Alii2004), che

hanno segnalato la presenza

di terreni Paleogenici

nell’area del Gran Sasso,

hanno chiamato in vario

modo le formazioni

paleogeniche, senza mai

trovare un’unanime

collocazione dei limiti stratigrafici. Probabilmente la presenza di lacune ed

unconformities potrebbe essere la causa principale delle diverse interpretazioni.

Figura 48 – Sentiero Val Maone-Sella dei Grilli, quota 2100. Unconformity intraformazionale. Le calciruditi del membro superiore ben stratificate sono spesse mediamente 25-30 cm.

82

Tre importanti discontinuità stratigrafiche interessano la Fonte Gelata Fm.

Il limite inferiore, che è la più bassa di queste discontinuità, è un contatto

decisamente erosivo con le sottostanti pelagiti a planctonici e le calcareniti

Maastrichtiano inf.-Daniano inf. della Formazione Monte Corvo e corrisponde secondo

a VAN KONIJNENBURG (1997) ad una lacuna stratigrafica paleocenica estesa dal Daniano

basale al Thanetiano inferiore.

La porzione paleocenica della Formazione è definita alla base da uno strato

calciruditico rosato di spessore variabile da 2 a 25 metri, costituito da clasti eterometrici

e polimittici con scarsa matrice paleocenica VAN KONIJNENBURG (1997). La tessitura

varia da caotica a gradata. I clasti provengono dalla rielaborazione dei margini di

piattaforma, anche cretacei, e dello slope stesso. La calcirudite basale è sovrastata da

brecce a geometria canalizzata e base erosiva, spesse ognuna da 1 a 4 metri, il cui

meccanismo di messa in posto è stato interpretato da debris-flow (VAN KONIJNENBURG,

1997). Alla Sella dei Grilli si può notare una evidente unconformity a basso angolo tra

la calcirudite basale e le brecce sovrastanti. Altre inconformità angolari vi sono tra gli

strati sovrastanti, senza che nessuna evidente discontinuità nella sedimentazione si

possa ricondurre a tali contatti. Intercalati a questi corpi risedimentati, vi sono le tipiche

pelagiti rosate mudstone-wackestone a foraminiferi planctonici in facies di scaglia ben

stratificate, spesse da pochi centimetri a 30 cm. VAN KONIJNENBURG (1997) ha eseguito

una importante indagine biostratigrafica sui foraminiferi planctonici e sui bentonici

della porzione inferiore. I planctonici, che incorrono abbondanti nelle pelagiti mentre i

bentonici formano un importante costituente dei depositi risedimentati. L’associazione

bentonica è costituita da Discocyclina sp., Alveolina spp. e Rotaliidae, associati a

Operculina sp., Ammonia sp.. Nummulites spp. e Heterostegina spp, Quest’associazione

appare per la prima volta nella parte alta della porzione inferiore.

Le importanti analisi biostratigrafiche di DELA PIERRE (1992) e VAN

KONIJNENBURG (1997) documentano un’importante lacuna stratigrafica riferibile alle

biozone comprese tra la P6b e la P8. Sebbene lo hiatus sia stato identificato chiaramente

sull’intera area, esso non ha una chiara espressione litologica o sedimentologica. I

depositi sottostanti tale discontinuità non possono essere distinti litologicamente da

quelli sovrastanti. Per tale motivo VAN KONIJNENBURG (1997) ha deciso di includere

entrambe le serie in un’unica formazione, la Fonte Gelata Fm.

83

La porzione superiore affiora, come sopra mensionato, con litofacies del tutto

simili a quelle della porzione inferiore, pur presentando un contenuto in litoclasti e in

foraminiferi diverso. I clasti sono ben smussati, hanno dimensioni variabili tra 2 e 20

cm e sono: grainstones a Miliolidae e packstones bioclatici di piattaforma, alghe rosse e

wackestones pelagici di slope. Il materiale bioclastico ha dimensioni che variano tra 0.3

e 4 mm ed è costituito da echinodermi, coralli, briozoi e da una gran quantità di

foraminiferi bentonici grandi, tra i quali vi sono Nummulites spp., Dyscoclina sp.,

Rotaliidae, Operculina sp., Heterostegina sp., Assilina. sp., Miliolidae, Amphistegina ed

altri.

Il limite superiore della porzione superiore e dunque della Formazione Fonte

Gelata è un contatto netto in paraconcordanza con i calcari marnoso-pelagici

wackestone/packstone medio oligocenici della Formazione Venacquaro. Tale passaggio

formazionale segna la terza importante superficie di inconformità associata alla Fonte

Gelata Fm..

Lo spessore complessivo della Fonte Gelata Fm. varia tra 50 e 370 metri,

evidenziando un’attività di strutturazione distensiva intraformazionale, localizzata tra il

Venacquaro e la Sella dei Grilli ed in località Tre Valloni. La conca del Venacquaro

sperimenta durante il Paleogene l’approfondimento differenziale del blocco a meridione

della Faglia delle Tre Selle. Questo fenomeno persisterà interessando anche la storia

carbonatica miocenica, evidenziando un’attività sin-sedimentaria, che vincolerà gli

spessori complessivi delle formazioni sovrastanti e la complessa distribuzione delle

facies calciruditiche.

VENACQUARO Fm. (Rupelliano sup.- Chattiano Sup.)

La Venacquaro Fm. è definita alla base da calcari marnosi emipelagici

verdastro-cinerei e violacei, intercalati da calcareniti grigie o verdestre

grainstone/packstone a geometria tabulare, ricche in Lepidocyclina spp. Gli

affioramenti sono distribuiti nel settore settentrionale tra Fonte Gelata, le Cascate del

Rio Arno e Prati di Tivo, tra la Sella dei Grilli e il Venacquaro, a Fonte Pratoriscio e a

Ovest de Le Chiuse. L’estensione areale complessiva è di circa 0.5 Km². La Venacquaro

Fm. svolge un particolare ruolo nell’idrogeologia del Massiccio del Gran Sasso in

quanto ha la funzione di ritardare l’infiltrazione dei fluidi e permette spesso la

84

risorgenza delle acque, appartenenti a piccole falde sospese. Tale fenomeno ne favorisce

l’individuazione sul terreno.

Lo hiatus deposizionale, associato al limite inferiore della Formazione, copre un

intervallo Bartoniano sup./Priaboniano sup.–Oligocene medio ed è espresso sul terreno

da una paraconformity. Tale limite non mostra caratteri erosivi o i crostoni ferro-

manganesiferi tipici degli hardgrounds, come invece segnalato da DELA PIERRE &

CLARI (1994) per lo stesso livello stratigrafico, esposto al Passo delle Capannelle. In

località Forchetta della Falasca, che è sita poco ad Ovest del bordo occidentale della

Carta, ho trovato un dente di squalo, incastonato su una superficie di strato di un blocco

caduto, riferibile alla Venacquaro Fm. Gli stessi Autori riconoscevano a Nord di Monte

Corvo una superficie erosiva, associata alle base delle calcareniti medio oligoceniche,

della Venacquaro Fm.. Per VAN KONIJNENBURG (1997) il limite inferiore è più basso

stratigraficamente in quanto i primi 5 metri della formazione sono composti da marne

oligoceniche in concordanza con i corpi risedimentati della Fonte Gelata Fm..

La Venacquaro Fm. è ricca di episodi di bioturbazione ad opera di Zoophycos e

Condrites nei litotipi marnosi.

Lo spessore

della formazione

varia tra 45 e 210

metri e gli ultimi

50 metri sono

quasi sempre

coperti da prati

erbosi, fatta

eccezione per la

sezione della

Funivia VAN

KONIJNENBURG (1997).

La Faglia delle tre Selle continuò la propria attività, ribassando nell’Oligocene il

blocco meridionale e favorendo la deposizione di spessori doppi rispetto a quelli

accumulati sul blocco di tetto. Le calciruditi a Lepidocyclinae che affiorano a Sud delle

Case Venacquaro (quota 2001), inoltre, furono intercettati in gran parte dall’ostacolo

strutturale. In questa località si registrano i massimi spessori e la Venacquaro Fm.

Figura 49 – Sentiero Funivia Fonte Cerreto-Camp.Imp., quota 1950. Calcarenite laminata a Lepidocyclinae.

85

misura circa 210 metri, fortemente caratterizzate alla base da spessi banchi calciruditici.

Sulla Sella dei Grilli essa raggiunge i 170 metri, evidenziando probabilmente l’esistenza

di un blocco ribassato, appartenente al sistema di faglie suddetto.

Poco a Sud della Stazione superiore della Funivia in corrispondenza di Fonte

Pratoriscio (quota 1958) la Venacquaro Fm misura 50 metri circa di spessore. In questa

località il limite superiore con la Formazione delle Calcareniti Glauconitiche è

nettamente discordante sulle emipelagiti della Venacquaro Fm.. La tipologia erosiva del

contatto è facilmente riconoscibile anche a Sud dell’Albergo di Campo Imperatore, in

prossimità de Le Chiuse.

Terreni ascrivibili all’intervallo di tempo coperto dalla Venacquaro Fm. sono

presenti sulla collina di quota 2244 orientata circa N-S in località Campo Pericoli. Si

tratta di corpi calciruditici mal stratificati spesso fango-sostenuti, ricchi di

macroforaminiferi, nummuliti in particolare Lepidocyclinae, e di abbondante selce

rossastro-marrone in noduli centimetrici. Tali terreni poggiano in notevole discordanza

sopra corpi calcarenitici cretacei, difficilmente cartografabili a causa del loro

modestissimo spessore, che è di circa 2 metri. Questi a loro volta poggiano in para-

concordanza sulle calcilutiti ad ossidi di ferro, tipiche della Maiolica “di alto”. La

lacuna stratigrafica che ne risulta è notevole e copre un intervallo di tempo compreso tra

il Cretaceo inferiore e l’Oligocene Medio.

CALCARENITI GLAUCONITICHE Fm. (Aquitaniano pp.- Burdigalliano pp.)

La Formazione delle Calcareniti Glauconitiche è caratterizzata alla base

dall’incursione di facies quasi esclusivamente calcaree risedimentate, provenienti dalle

rampe carbonatiche mioceniche del dominio laziale-abruzzese. Verso il top della

Formazione si registra un aumento progressivo della componente glauconitica e della

selce, organizzata in tipiche sottilissime liste marroni.

In questo Lavoro è adottata la denominazione Calcareniti Glauconitiche,

pubblicata da ADAMOLI (1992). Altri Autori quali GHISETTI & VEZZANI (1990) e

CALAMITA et Alii (2004) utilizzano nomi simili, che sono rispettivamente Calcareniti a

glauconite e Calcari Glauconitici, attribuendo generalmente un’età basso miocenica,

data la presenza di Myogipsinoides ed Heterosteginae nelle litofacies più glauconitifere

(GHISETTI & VEZZANI, 1990).

86

La formazione affiora sui versanti settentrionali del Gran Sasso, sul versante Sud

di Monte Portella (località Fonte Pratoriscio, quota 1958) in prossimità della località

Case Venacquaro (quota 2001) e sul versante nord-occidentale del Monte Scidarella. In

quest’ultima località le litofacies ricche di selce, che sono presenti nella porzione

superiore delle Calcareniti Glauconitiche dei versanti settentrionali del Gran Sasso, sono

qui praticamente assenti.

Le migliori esposizioni sono site lungo i “canaloni” dei Prati di Tivo, dove è più

facile seguire la continuità stratigrafica.

Il limite inferiore è caratterizzato dal contatto netto delle calcareniti packstone-

grainstone grigiastro-nocciola a stratificazione compresa tra 20 e 60 cm., con la litozona

marnosa della Venacquaro Fm.. Questo passaggio è rimarcato dunque da un evidente

contrasto morfologico.

La Formazione è interessata, come poc’anzi accennato, da un progressivo

aumento di glauconite e selce verso l’alto

della successione, così da rendere

impossibile una netta suddivisione in un

membro superiore ed uno inferiore, senza

selce. La porzione superiore è stata

probabilmente riferita da GHISETTI &

VEZZANI (1990) alla Formazione Bisciaro.

Data l’evidente continuità tra l’end-member

povero in glauconite e senza selce, e quello

ricco in glauconite e in sottili e numerose

lamine di selce, un’ulteriore suddivisione

formazionale è parsa di difficile attuazione e

superflua.

L’abbondanza della selce è direttamente proporzionale a quella delle spicole di

spugna. La stratificazione si fa più sottile

(10-20 cm.) negli intervalli superiori. Le

intercalazioni centimetriche di marne

verdastre sono rare ma sempre più

abbondanti negli ultimi 20 metri della Formazione delle Calcareniti Glauconitiche.

Figura 50 – Prati di Tivo, primo canalone, quota 1950. Porzione end-member silicizzato La laminazione è intensamente sottolineata dalla silicizzazione.

87

Il limite superiore è infatti transizionale. Gli ultimi 10 metri sperimentano la

pressoché totale scomparsa della selce e una intercalazione tra strati decimetrici

calcarenitici a glauconite e packstones calcarei grigio-nocciola, ricchi di pallini

arancione-rossastro. Tale passaggio transizionale è notevolmente più spesso sul versante

occidentale della Scindarella.

Lo spessore complessivo delle Calcareniti Glauconitiche sembra aumentare

lievemente verso Nord, passando da 45 metri circa sul versante Sud del Monte Portella

a 80 metri di media registrati sui versanti settentrionali. Poco a Nord di Picco dei Caprai

la Formazione supera i 110 metri per poi tornare, a Nord di Fonte Gelata sui valori medi

sopra mensionati.

MARNE CON CERROGNA Fm. (Langhiano pp.- Tortoniano pp.)

Le Marne con Cerrogna rappresentano l’ultima formazione carbonatica marina

della successione meso-cenozoica. Si tratta di una Formazione complessa in termini di

organizzazione stratigrafica interna e di distribuzione degli spessori complessivi, che

affiora diffusamente soprattutto nella porzione geografica settentrionale, tra Cima Alta e

Pietracamela (unità Laga-Montagnone) e sui versanti settentrionali del Gran Sasso

(Prati di Tivo-Prato Tondo). Essa è presente inoltre in prossimità dell’Albergo di

Campo Imperatore e nel blocco di tetto del sistema di faglie delle Tre Selle, poco a Nord

della località Case Venacquaro. L’estensione complessiva degli affioramenti è di circa 5

Km².

Gli spessori formazionali complessivi

sono caratterizzati da un netto approfondimento

verso Nord oltre la ristretta fascia dei

sovrascorrimenti, insistente sui Prati di Tivo.

Pressocchè ovunque è possibile distinguere una

litozona calcarea inferiore ed una marnosa

superiore a foraminiferi planctonici e spicole di

spugna.

Sull’unità Laga-Montagnone, che

rappresenta il blocco di tetto dei thrusts le

Marne con Cerrogna hanno uno spessore complessivo minimo di 760 metri, calcolato

Figura 51 – Cima Alta. Pecten nei litotipi marnosi al top della formazione.

88

sulla Carta Geologica del Gran Sasso d’Italia di GHISETTI & VEZZANI (1990). Il limite

inferiore non affiora nell’area rilevata in questa Tesi ed è eliso dalla tettonica nella

Carta degli Autori sopracitati. Nell’unità Montagnone le litofacies calcarenitico-

calciruditiche a geometria canalizzata sono prevalenti e gli strati lentiformi sono tra loro

tenacemente amalgamati fino a raggiungere spessori plurimetrici. Le litofacies marnose

aumentano relativamente verso il top della formazione in prossimità di Cima Alta. Le

intercalzioni calcarenitiche includono qui anche dei Pecten intatti di medie dimensioni.

Il limite superiore con le Marne ad Orbulina è presente e mal esposto poco a

Ovest della mulattiera che scende dal parcheggio a Sud di Cima Alta.

L’unità intermedia, posta tra il sovrascorrimento inferiore e quello superiore,

anche se disturbata da superfici tettoniche di minore importanza, ospita la successione

completa delle Marne con Cerrogna. La Formazione, che ha uno spessore di circa 240

metri è definita nelle esposizioni di Prati di Tivo alla base da packstones calcarei

risedimentati a punti rossi intercalati da marne e calcari marnosi grigio-verdastri,

organizzati in strati dallo spessore variabile tra 20 e 50 cm.. Verso l’alto della litozona

calcarea si ritrovano calcari a Pectinidi.

Gli ultimi 50-60 metri della formazione sono definiti, lungo la strada di

brecciolino degli Acquedotti Ruzzo Reti S.p.A., che passa ad Ovest di Prati di Tivo, da

una litozona prevalentemente marnosa caratterizzata da wackestones a Globigerinoides

e spicole di spugna. Al contatto tra le due litozone sono presenti anche pebbly-

Figura 52 – Prati di Tivo terzo canalone, quota 1835. L’alto della successione è a destra. Si noti la fitta alternanza di marne e calcareniti di spessore metrico.

89

mudstones. Litologie calcareo-marnose con selce in piccoli noduli, riferibili alla

litozona superiore, affiorano in prossimità di Prato Tondo. Le complicazioni tettoniche,

che interessano l’area e la cattiva esposizione degli affioramenti, non sono sufficienti a

nascondere la variazione laterale di facies e l’aumento complessivo di spessore verso W

della litozona superiore delle Marne con Cerrogna. Questa diversificazione è ancor più

chiara, spostandosi verso i versanti nord-orientali di Monte Corvo.

Anche l’unità Gran Sasso è interessata da variazioni di facies e di spessore,

legate all’attività sin-sedimentaria contemporanea alla deposizione delle Marne con

Cerrogna. Queste infatti registrano al blocco di tetto della Faglia delle Tre Selle uno

spessore minimo di circa 440 metri, calcolato anch’esso sulla Carta Geologica del Gran

Sasso d’Italia di GHISETTI & VEZZANI (1990). Gli Affioramenti posti sulla sella di

Monte Corvo sono caratterizzati dall’intercalazione di calciruditi e calcareniti in strati

metrici a geometria canalizzata. Lo spessore complessivo raggiunge valori più bassi a

SE in prossimità dell’Albergo di Campo imperatore, dove le Marne con Cerrogna

affiorano con uno spessore minimo complessivo di circa 300 metri. Anche in questa

zona affiora la litozona superiore caratterizzata da marne bioturbate e calcari marnosi

grigio verdi wackestone a Globigerinodes trlobus e spicole di spugna. L’associazione

potrebbe essere dunque di età Serravalliano pp.- Tortoniano pp.. In quest’area il limite

inferiore è definito da una rapida transizione, molto simile a quella affiorante ai Prati di

Tivo.

Un chilometro più a Sud, tra Fonte Scontrone e Le Chiuse, lo stesso limite è

marcato dal passaggio passaggio transizionale tra i litotipi glauconitici e quelli a “punti

rossi”, tipici delle Marne con Cerrogna, è più spesso e supera i 40 metri.

MARNE A ORBULINA Fm. (Tortoniano pp. - Messiniano inf.)

La Formazione delle Marne ad Orbulina sebbene sia al limite della risoluzione

stratigrafica, avendo uno spessore inferiore di circa 10-15 metri, conserva un ruolo geo-

tettonico di fondamentale importanza. Essa segna intatti la cessazione definitiva della

sedimentazione carbonatica e marca la flessurazione dell’avampaese. La

sedimentazione emipelagica da luogo alla deposizione di marne-argillose e argille

marnose laminate grigio-marroni talora anossiche, ricche in Orbulinae. L’affioramento

migliore, sito a quota 1460 lungo la strada di brecciolino degli Acquedotti Ruzzo Reti

90

S.p.A., che passa ad Ovest di Prati di Tivo, espone solo pochi metri dell’intera

formazione.

Un secondo affioramento, in

pessimo stato di esposizione, è

situato poco a Sud del parcheggio

in prossimità di Cima Alta. Il

livello dato il forte contrasto

litologico ha la funzione di

acquicloud e l’evento deposizionale

delle Marne ad Orbulina precede la

sedimentazione silicoclastica della

Laga Fm.

Le proprietà decisamente

plastiche delle Marne ad Orbulina

attribuiscono ad esse un ruolo preferenziale nella delineazione dei livelli di scollamento,

contribuendo così se possibile a impossibilitarne l’affioramento.

LAGA Fm. (Messiniano pp.)

La Laga Fm. rappresenta un importantissimo complesso a sedimentazione

torbiditica e silicoclastica del Messiniano superiore, il cui limite geografico meridionale

impatta contro la catena del Gran

Sasso.

La formazione affiora per 12

Km² circa, ricoprendo gran parte della

porzione geografica settentrionale ed è

interessata da un contesto

deposizionale sin-orogenico, segnato in

primis dalla flessurazione

dell’avampaese e in secundis dalla

progressiva crescita delle strutture

frontali del Gran Sasso. Quest’ultime

infatti sono definite da pieghe e

Figura 53 – Affioramento di quota 1460. Argille marnose laminate ricche in Orbulina.

Figura 54 – Veduta panoramica sul bacino della Laga. Sullo sfonfo vi è la Montagna dei Fiori a destra la struttura del Montagnone, costituita dalle Marne con Cerrogna, sulla quale poggia in onlap il complesso torbiditico silicoclastico della Laga.

91

sovrascorrimenti, che produssero una barriera ai flussi torbiditici. A Nord di Monte

Corvo, ove è possibile notare l’appoggio in onlap delle facies pelitico-arenacee.

L’attività di propagazione dei sovrascorrimenti coinvolgerà successivamente anche la

stessa Laga, definendo una struttura di crescita ritagliata dai sovrascorrimenti entità di

raccorciamento crescente verso Est.

L’appoggio in onlap della Laga sulla struttura del Montagnone, sebbene sia stato

parzialmente mascherato dalla presunta presenza di faglie sin-sedimentarie, è resa ben

evidente dai dati di campagna raccolti.

La Formazione della Laga è stata suddivisa durante i primi anni ‘80 in tre

membri (CANTALAMESSA et Alii, 1980): membro pre-evaporitico, membro evaporitico,

membro post-evaporitico. Secondo

più moderne analisi

sedimentologiche e di stratigrafia

fisica (MILLI et Alii, 2007) lo

stesso complesso torbiditico può

essere suddiviso in Laga 1, Laga 2,

Laga 3 che solo parzialmente

corrispondono alla suddivisione

della scuola camerte. MILLI et Alii

(2007) riconoscono infatti la

presenza di strutture di crescita sul

Gran Sasso durante la sedimentazione della Laga 1, che individua il suo depocentro

assiale proprio nell’antistante Valle del Vomano (fuori carta), dove raggiunge uno

spessore misurato dagli Autori di

2650 metri.

Lo spessore minimo della

Laga Fm., ricavato in questo

Lavoro è di circa 1150 metri.

Nell’area rilevata in questa

Tesi non affiora mai il membro

evaporitico né quello post-

evaporitico con le gesso-areniti

risedimentate.

Figura 56 – Località Pilone, quota 1300. Banchi arenacei sub-orizzonatali spessi fino a 2 metri.

Figura 55 – Località Giunchiera, quota 1270. Esempio di associazione di facies pelitico-arenacea.

92

Data la finalità strutturale di questo Lavoro e l’evidente difficoltà correlativa

nella presente descrizione stratigrafica si provvederà ad un riconoscimento delle

associazioni di facies, che evada nuove interpretazioni paleogeografiche.

L’associazione di facies arenaceo-pelitica in località Pilone-Colle Pagliaro

sembra caratterizzare le porzioni inferiori della Laga che diventa superiormente pelitico-

arenacea. In località Pilone è affiorano banchi arenacei amalgamati spessi fino a 2 metri

con geometria debolmente tabulare.

L’associazione pelitico-arenacea è prevalente lungo le strutture frontali di

crescita del Gran Sasso, nella zona Giunchete-Colle dell’Asino e nell’area tessete Colle

Cepito. Tale associazione domina infatti la successione a Nord di Monte Corvo.

Il limite superiore della formazione è delimitato dal contatto erosivo con le

Calciruditi Quaternarie.

CALCIRUDITI QUATERNARIE (Pliocene sup. (?)-Pleistocene pp.)

Le Calciruditi quaternarie affiorano diffusamente nella Porzione geografica

settentrionale, ricoprendo un’area di circa 2,5 Km². Esse sono costituite da depositi

continentali calciruditici sedimentate su paleo-superfici erosive. Quest’ultime sono

spianate simili ad altopiani facilmente riconoscibili. Esse sono presenti a Nord di Colle

dell’Asino-Prati Cantiere, in località Pilone-Macchia Pidocchio e alla base degli

affioramenti delle Calciruditi Quaternarie dell’Arapietra.

Le due principali unità stratigrafiche sono l’unità di Arapietra e l’unità di

Pietracamela, già riconosciute da

NISIO (1997), che denominava

quest’ultima unità San Pietro-

Pietracamela.

Altri due modesti

affioramenti sono disposti sulla

Sella dei Grilli e in corrispondenza

dell’Albergo di Campo Imperatore.

L’unità di Arapietra affiora

tra quota 2100 (località la

Madonnina) e quota 1400 (Fonte

Figura 57 – Località Arapietra. Le calciruditi appoggiano in discordanza sulla struttura frontale compressiva del Gran Sasso.

93

Tassete). Essa consiste di brecce continentali variamente stratificate, eterometriche,

cementate e granosostenute, che nelle porzioni prossimali, cioè verso monte, mostrano

facies molto porose. I clasti hanno dimensioni varabili da centimetriche a metriche,

sono a spigoli vivi. Essi sono costituiti da frammenti calcarei e selciferi appartenenti

alle medesime rocce in affioramento sul sottogruppo Corno Grande-Corno Piccolo. La

tessitura in località Arapietra non mostra particolare organizzazione interna nella

distribuzione della granulometria. La matrice è assente. Lo spessore degli strati varia da

0,2 m a 2-3 metri. Sulla strada che conduce da Prati di Tivo al parcheggio a Sud di

Cima Alta è ben esposta la paleo-superficie erosiva sulla quale si è deposta l’unità di

Arapietra.

L’unità di Pietracamela è

allungata in senso N-S sul crinale

che collega Pietracamela ai prati di

Tivo. In quest’unità i clasti

presentano scarsa elaborazione con

dimensioni variabili dal centimetro

al metro. La matrice è scarsa e di

color rossastro. La composizione

dei clasti non si discosta molto da

quella dell’unità precedente. Lungo

la strada di brecciolino degli

Acquedotti Ruzzo Reti S.p.A. è

possibile notare tipologia di evento deposizionale di queste brecce continentali. Si può

notare infatti in un medesimo strato una rapida gradazione inversa al letto ed una rude

gradazione diretta nella porzione superiore. Tale meccanismo tipico dei flussi di massa

e la forma dei clasti fa dedurre che la deposizione sia avvenuta dopo un breve e veloce

trasporto collegato con l’azione fluvio-glaciale.

La presenza di numerosi blocchi metrici rovinati sui versanti tra Fonte Barile e

Salse (riva sinistra del Rio Arno) di composizione del tutto simile a quella dell’unità di

Pietracamela, e di una paleo-superficie erosiva a Nord di Colle dell’Asino lascia

supporre che anche il crinale in riva destra al Rio Arno fosse sovrastato in tempi recenti

dalle Calciruditi Quaternarie.

Figura 58 – Periferia dell’abitato di Pietracamela. Calciruditi continentali poggiano in discordanza sulle arenarie della Laga.

94

NISIO (1997) suppone che questa paleo-superficie erosiva si sia formata in

condizioni climatiche sub-aride di clima temperato-caldo, modellandosi su un substrato

strutturato costituito da termini sia del Gran Sasso che da quelli delle unità tettoniche

inferiori. Le Calciruditi Quaternarie sono infatti post-orogeniche perché suturano il

thrust superiore con certezza in prossimità dell’affioramento della Madonnina-Pietra

della Luna (quota 2028).

95

5. STRUTTURA TETTONICA

In questo Capitolo si cercherà di rappresentare dettagliatamente la struttura

tettonica dell’area rilevata, riportando i dati ottenuti dal lavoro di campagna, mediante

la descrizione di sette transetti geologici caratteristici. Le sezioni geologiche I, II e IV

sono disposte circa N-S ed attraversano completamente la struttura del Fianco

occidentale del Gran Sasso d’Italia. Le altre sono ad esse trasversali e sono servite per

ricavare informazioni precise sugli spessori formazionali, sulla natura dei contatti e su

alcune geometrie, determinate dalla tettonica. La descrizione della geologia affiorante,

attraversata dai transetti sarà allargata ai settori da essi attraversati ed alla

identificazione degli oggetti geologici coinvolti nella strutturazione. L’illustrazione

analitica delle magnifiche esposizioni naturali del Gran Sasso sarà suddivisa in due aree

di lavoro. La sezione geologica di riferimento è sita nell’area occidentale della carta in

corrispondenza della congiungente Pizzo

Cefalone-Pizzo d’Itermesoli. La sintesi

di riferimento del quadro strutturale è

esposta nel Capitolo 3 “Assetto

Geologico del Gran Sasso d’Italia”.

AREA OCCIDENTALE L’area occidentale include il

sottogruppo del Pizzo Cefalone, il

sottogruppo del Pizzo d’Intermesoli e la

Pozione geografica settentrionale ad

ovest del Rio Arno.

L’area è attraversata dalle sezioni

longitudinali I e II. Queste s’intersecano

in corrispondenza di Pizzo Cefalone. La

sezione III, che è più corta delle

precedenti aiuta a meglio definire la

geologia della zona frontale dei thrusts.

La sezione I, che ha direzione N10°W ed è disposta perpendicolarmente alla

direzione media degli strati, attraversa contesti geologici differenti. Essa corre lungo le

magnifiche esposizioni della parete occidentale del Pizzo d’Intermesoli, passando

Figura 59 – Carta illustrativa dell’ubicazione delle Sezioni Geologiche in scala 1:90.000 circa. In verde è marcata la Provincia de L’Aquila.

96

rasente alla Valle Venacquaro e raggiunge nella Porzione geografica settentrionale la

Laga.

Il Sottogruppo del Pizzo Cefalone, che è in posizione più interna, è oggetto di

interesse paleogeografico e strutturale. L’assetto del Settore Sud, all’interno del quale è

incluso il sottogruppo del Pizzo Cefalone, è circa monoclinalico ed è definito da

variazioni della direzione degli strati e degli spessori formazionali. Sul versante

meridionale, visibile da Assergi vi sono numerose evidenze tettono-stratigrafiche di un

alto giurassico, allungato per circa 800 metri lungo la direzione N100-110°E e

delimitato a Nord, Est e Ovest da settori relativamente più depressi. Quest’ultimi

ospitano successioni più spesse ed interessate da un’associazione di facies ricche di

risedimenti e pebbly-mudstones.

La descrizione del contesto geologico-strutturale di questa zona sarà ricca di

particolari stratigrafici inediti, che sono di fondamentale importanza nel quadro della

ricostruzione tettono-stratigrafica e paleogeografica dello stesso.

Il fianco orientale di questo alto strutturale liassico è quello relativamente più

accessibile. Esso mostra, muovendosi verso occidente, un progressivo innalzamento del

top del Calcare Massiccio.

In località Acqua San Franco, infatti, si nota una progressiva riduzione dello

spessore della Corniola verso WNW. Una serie di controbalze erbose, definite da

pendenze all’orlo dell’accessibilità, permette di seguire a mezzacosta del versante

meridionale del Pizzo Cefalone la geometria di chiusura a “becco di flauto” verso

occidente della Corniola sul Calcare Massiccio.

La Corniola, sulla

controbalza di quota 2036, è ridotta

a 1,5 metri mentre in prossimità

della controbalza di quota 2033,

raggiunge uno spessore inferiore ai

15 metri. In questa località è

evidente la presenza di inediti

livelli condensati ad Ammoniti e

Brachiopodi, contenuti all’interno

di packstones biancastri mal

stratificati. Tali livelli sono

riferibili per età e facies alla

Figura 60 – Versante Sud Pizzo Cefalone. Contesto geologcio ad Est della Controbalza di quota 2036. Si noti l’onlap della Corniola sul Calcare Massiccio.

97

Formazione della Corniola ed appartengono

paleogeograficamente ad un contesto

deposizionale di alto strutturale a

sedimentazione ridotta. L’analisi delle sezioni

sottili ha permesso di riconoscere la Trocholina

sp., fossile guida del Carixiano medio,

all’interno di packstones oolitici parzialmente

dolomitizzati.

Il limite inferiore sembra poggiare in

discordanza inconforme sul Massiccio A

ciclotemico ben stratificato. Il limite superiore è

definito invece dal passaggio netto alle litofacies

marnose grigio-verdastre, rese ben evidenti dalla presenza di una cengia erbosa

continua, impostatasi in corrispondenza del Verde Ammonitico. L’“oolite rossa”, che è

lo strato guida di questa formazione, affiora in paraconcordanza 4 metri sopra il limite

con la Corniola.

Sulla controbalza, che precede (ad Est) l’affioramento di Corniola condensata ad

Ammoniti e Brachiopodi, la Corniola è già definita da una sedimentazione ricca di

risedimenti ma il suo spessore non supera i 50 metri. Il limite inferiore è in questo caso

difficilmente raggiungibile al rilevamento diretto. Il limite superiore è invece marcato

dalla presenza di tre strati di dolomie dall’aspetto “cariato” ricchissime in ossidi di ferro

e crostoni centimetrici. Dopo questi litotipi, che testimoniano un lungo periodo di non

sedimentazione in ambiente riducente, seguono in paraconcordanza le marne verdastre

del Verde Ammonitico.

Già in Località Acqua San Franco gli spessori della Corniola raggiungono i 100

metri circa e superano 160 metri poco ad Est della medesima località, avvicinandosi al

Vallone della Portella. In quest’ultima zona la Corniola, ricchissima di selce, è

interessata da pebbly-mustones, intercalazioni calcarenitiche e da calcilutiti di color

grigio-plumbeo. Le litofacies dolomitico-giallastre sembrano essere presenti nella

porzione intermedia della successione ed abbondano poco ad Est sul Vallone della

Portella. In quest’ultima località il limite inferiore della Corniola non è in affioramento

e lo spessore supera i 500 metri. I litotipi più bassi in successione sono definiti da

bancate doloruditiche talora mal stratificate alternate a strati più sottili, a tessitura

Figura 61 – Controbalza di quota 2033. Particolare del Calcare ad ammoniti e brachiopodi mal stratificato sovrastante lo strato a Trocholina sp..

98

saccaroide probabilmente doloarenitica. Si tratta nel complesso di dolomie grigiastro-

biancastre con selce bianca in noduli decimetrici mal definiti, all’interno delle quali non

è agevolmente distinguibile la tessitura pre-dolomitizzazione.

Il fianco settentrionale dell’alto strutturale è quasi completamente incluso

all’interno della montagna. La presenza di un’ulteriore settore ribassato è desumibile dal

ben evidente andamento del sistema di faglie e fratture a direzione WNW-ESE.

La Corniola ad Acqua San Franco appoggia in onlap sull’unconformity, marcata

dal limite superiore del Calcare Massiccio.

Figura 62 – Foto panoramica del Versante Sud di Pizzo Cefalone. La geometria a becco di flauto, definita dalla variazione di spessore e di facies della Corniola è associata al sistema di paleofaglie liassiche. In prossimità di Acqua San Franco il blocco settentrionale è ribassato da faglie a giacitura 10°·75° e 15°·73° e faglie immergenti 220°·80°. Il sistema sembra essere definito da cinematiche transtensive, che garantiscono dei blocchi ribassati.

Figura 63 – Versante Sud di Pizzo Cefalone visto da Assergi. La controbalza di quota 2036 è sita poco sopra la scritta Calcare Massiccio dell’alto strutturale. La visione prospettica può rende difficile la comprensione delle geometrie tettono-stratigrafiche. Il simbolo del verso di movimento di faglia indica il blocco ribassato. Dalla foto non si può risalire alla giacitura della paleofaglia liassica, che immerge 180°·50°, cioè verso l’osservatore. Essa si verticalizza rapidamente intorno a quota 1600.

99

Il fianco occidentale dell’alto strutturale in questione è sito ad Ovest della contro

balza di quota 2036 ed è delimitato dalla traccia superficiale della paleofaglia diretta

liassica, che immerge circa a 200°·450°. Tale superficie tettonica mostra un rigetto di

poco più di 300 metri, in prossimità della faglia suddetta, ed è sigillata dalla formazione

del Verde Ammonitico. Essendo questo di età toarciana l’attività della paleo-faglia è

compresa tra il Sinemuriano inferiore e il Toarciano stesso.

Sembra evidente dunque che l’alto strutturale qui esaminato sia delimitato

almeno su 3 fronti. A Sud dallo stesso infatti la struttura liassica è ritagliata da un

elemento distensivo nettamente più recente, noto come Faglia di Assergi-Valle Fredda.

Il blocco a letto di questa faglia non affiora, perché nascosto da imponenti spessori di

detrito.

Le depressioni bacinali, che circondano l’alto strutturale liassico erano

caratterizzate da una sedimentazione pelagica normale e risedimentata (sensu

SANTANTONIO, 1996). Esse erano probabilmente interconnesse tra di loro, definendo

un’articolata paleogeografia intraliassica, che vede un fianco occidentale e settentrionale

ripido ed uno orientale definito da una più dolce chiusura in pinch-out verso Ovest.

Nelle zone a questa più

distali, ad est di Acqua San

Franco, aumenta la componente

risedimentata su quella pelagica

normale. La Corniola infatti è

ricchissima soprattutto alla base

di doloruditi e calciruditi

dolomitizzate in banchi anche

molto spessi (2 metri circa).

Nella zona del Vallone

della Portella, attraversata dalla

Sezione V, la Corniola

raggiunge uno spessore minimo

di 550 metri, non affiorando il

limite del Calcare Massiccio.

Anche il Verde ammonitico

sperimenta una variazione di facies simile. Il Verde Ammonitico, che mostra facies

Figura 64 – Successione bacinale di Corniola al Vallone della Portella. Si notino le spesse intercalazioni doloruditiche alla base della successione. Le pareti sub-verticali in secondo piano sono calciruditi a coralli della Corno Piccolo Fm..

100

prevalentemente pelitiche bioturbate con rare intercalazioni calcarenitiche, come

l’“oolite rossa”, in corrispondenza della zona di alto, sigilla le strutture liassiche. Gli

spessori aumentano leggermente nelle zone bacinali.

L’analisi della distribuzione degli spessori, dei contatti stratigrafici e delle

strutture affioranti ha permesso di ricostruire un’ipotesi di struttura geologica profonda,

che interessa il fianco settentrionale dell’alto strutturale osservabile, ora descritto. Alla

Corniola è stato attribuito uno spessore di circa 300 metri, in approfondimento fino ad

un valore medio di 450-500 metri verso la Sella dei Grilli. Al Verde Ammonitico è stata

attribuita una variazione dello spessore minima, esattamente come osservato sul

versante meridionale di Pizzo Cefalone.

Le variazioni di spessore interessano con diversa entità tutte le formazioni

bacinali non solo parallelamente ai transetti geologici ma anche trasversalmente agli

stessi.

Analizzando le variazioni lungo l’immersione è possibile notare come la Corno

Piccolo Fm., che misura circa 130-170 metri sul versante Sud di Pizzo Cefalone, si

inspessisca dapprima dolcemente verso Nord (2°) poi più bruscamente (5°) sino a

superare i 500 metri alla Val Maone, dove erode il suo membro inferiore. Tale

formazione è fortemente fratturata e fagliata da faglie transtensive ad altissimo angolo

precedenti l’unconformity, che marca il limite superiore della Corno Piccolo Fm..

I Calcari Diasprigni Detritici (CDD) e la Maiolica sono soggetti

complessivamente ad una progressiva riduzione di spessore, fino alla chiusura in pinch-

out verso Nord.

Questo aspetto tettono-stratigrafico è reso ben evidente dalla Sezione II. La

geometria dell’appoggio stratigrafico, determinata dalla rastremazione di CDD e

Maiolica sulla Corno Piccolo, si estende tridimensionalmente anche verso Ovest. Alle

testate dei ghiaioni occidentali del fianco occidentale del Pizzo d’intermesoli,

attraversato dal Transetto I, affiorano infatti, i Calcari Diasprigni Detritici con uno

spessore minimo di circa 80 metri e la Maiolica con una potenza di circa 100 metri. La

struttura di appoggio tridimensionale in onlap da Sud e da Ovest sembra essere infatti

quella più ragionevole. Lo spessore complessivo di Maiolica e CDD, che non supera i

180 metri, suggerisce un approfondimento del top della Corno Piccolo Fm. verso Ovest.

Come evidente dalle magnifiche esposizioni della parete orientale del Pizzo

d’Intermesoli, attraversate dalla Sezione III, le geometrie di appoggio in onlap sulla

Corno Piccolo Fm. sono presenti anche in corrispondenza di Picco Pio XI, dove le

101

formazioni giurassico-cretaciche sembrano adattarsi in geometria, spessore e facies alla

fisiografia del fondale. In quest’ultima località sono completamente assenti le facies

calciruditiche, intercalate invece nella più spessa serie della Maiolica e Calcari

Diasprigni Detritici, esposta sul versante sud di Pizzo Cefalone.

La complessa fisiografia sopra descritta per il top della Corno Piccolo Fm.

sembrerebbe essere in gran parte determinata dalle geometrie deposizionali, connesse

alla direzione principale di scorrimento dei flussi. La presenza di vicini alti strutturali

persistenti nell’Area Orientale, riferibili alla struttura Corno Grande-Primo Scrimone,

vincolava certamente la distribuzione dei flussi di massa e dunque gli spessori

formazionali complessivi. Come già discusso nel Capitolo stratigrafico, non è da

escludere l’incorrere della tettonica transtensiva nella strutturazione del fondale medio

giurassico.

Anche la Cefalone Fm. s’inspessisce, passando dai 240 metri del Pizzo Cefalone

ai 400 metri misurati alla Conca del Sambuco. Le facies ruditiche e i depositi da glides,

sono concentrati nel Settore Sud mentre sul Sottogruppo del Pizzo d’Intermesoli

prevalgono le facies torbiditiche. Le calciruditi di spessore maggiore sono infatti più

prossime all’area sorgente, sita ai margini settentrionali della Piattaforma laziale-

abruzzese.

La Scaglia Bianca mostra i massimi spessori (200 metri circa) lungo la cresta di

collegamento Pizzo Cefalone-Sella dei Grilli e sulla testata meridionale del Venacquaro.

La stessa formazione, come già segnalato da VAN KONIJNENBURG (1997), perde

spessore poco prima del contatto tettonico con la Faglia delle Tre Selle, essendo in

eteropia con la Monte Corvo Fm.. Tale caratteristica è evidente poco a Sud della Sella

dei Grilli.

Una faglia

inversa di rigetto

cartografabile, 30 metri

circa in prossimità delle

Capanne, immerge

205°·50° ed è ben

esposta sulla parete

orientale del Pizzo

Cefalone. Questa è la

faglia inversa più Figura 65 – Forchetta della Falasca. Calciruditi della Fonte Gelata Fm. in sovrascorrimento sulla Venacquaro Fm. in successione diritta.

102

interna dell’area rilevata e permette la sovrapposizione della Cefalone Fm. sulla Scaglia

Bianca. Ad essa è collegato un sistema di fratture a basso angolo che si dirama verso

Nord. Dato l’aumento del rigetto verso occidente si può dedurre una componente

rotazionale oraria di questa faglia inversa. Più ad Ovest, infatti, la stessa faglia si

sviluppa fuori carta nei pressi della Forchetta della Falasca nel sovrascorrimento del

fianco rovescio di un’anticlinale sulla sinclinale antistante.

Accenni di tettonica distensiva intra-cretacica interessano la Cefalone Fm. in

prossimità delle Capanne. Tali faglie terminano all’interno della Scaglia Bianca, senza

propagare il loro rigetto nei livelli stratigrafici superiori. I rigetti non superano i 20-30

metri e si smorzano notevolmente al top della Cefalone Fm.. Si tratta di faglie dirette ad

altissimo angolo antitetiche tra loro, probabilmente sin-sedimentarie, ruotate dalla

tettonica cenozoica successiva. L’immersione attuale è 200°·65° per la più meridionale

delle due e 195°·70° per la seconda. Esse sono molto ben evidenti a causa del pattern di

fratturazione ad esse connesso. Questo piccolo sistema di faglie non è di importanza

trascurabile perché contribuirebbe a spiegare la rotazione, 5° circa, del blocco di

footwall rispetto alla faglia con immersione 195°·70°. Tale rotazione è da attribuire in

parte all’attività della Faglia delle Tre Selle, che sarà descritta più avanti.

Lungo il versante orientale del Pizzo d’Intermesoli è possibile notare che le

faglie intra-cretaciche riutilizzano alcune delle faglie medio-giurassiche, ben esposte

sulla pareti della Corno Piccolo Fm. alla Val Maone.

Le differenze di spessore che intercorrono tra le formazioni esposte lungo il

tracciato della Sezione I, che attraversa fianco orientale del Venacquaro e le formazioni

affioranti sul tracciato della Sezione II, passante sulla cresta di collegamento Pizzo

Cefalone-Sella dei Grilli, sono dovute a motivi sin-sedimentari e non ad eventuali

problemi di rappresentazione stratimetrica.

Si può notare, infatti, un progressivo aumento degli spessori formazionali verso

Ovest. Questo fenomeno è evidente anche nel Settore Nord della Porzione geografica

Meridionale.

Le facies dominanti nell’area del Venacquaro sono calciruditi amalgamate,

organizzate in spessi banchi. Le stesse facies sono presenti a più livelli stratigrafici,

interessando le formazioni comprese tra la Monte Corvo Fm. e le Marne con Cerrogna.

Insolitamente anche la Venacquaro Fm. mostra litologie ruditiche di questa entità. Ciò

dimostra che i tassi di subsidenza dovevano essere certamente maggiori per le zone più

occidentali. Non è da escludere l’attivazione precoce del sistema di faglie delle Tre

103

Selle già prima dell’intervallo Oligocene-Miocene medio, al fine di spiegare il rapido

inspessimento di Fonte Gelata Fm. sul blocco di tetto.

Ulteriori complicazioni tettono-stratigrafiche sono presenti tra la Sella dei Grilli

e il Venacquaro dove è stata tracciata in carta una faglia sin-sedimentaria intra-eocenica.

Si tratta di una faglia presunta, con un’immersione 220°·80°, che spiegherebbe il

repentino approfondimento in termini di facies e spessori dell’Area del Venacquaro.

Tale faglia potrebbe essere antitetica a quella dip-slip ad immersione 40°·80°, che

affiora a quota 2100 sul sentiero che sale dalla Val Maone alla Sella dei Grilli.

Come descritto nel capitolo stratigrafico, all’interno della Fonte Gelata Fm. è

presente un’importante unconformity, che suddivide le brecce basali da quelle a più

sottile stratificazione della litozona superiore. L’attività della faglia presunta potrebbe

aver contribuito all’articolazione del fondale eocenico, individuando un alto strutturale

in corrispondenza della Sella dei Grilli e inibendo così la deposizione delle brecce più

spesse sulla sua sommità.

La Faglia delle Tre Selle è intercettata dalla Sezione I e II alla Sella dei Grilli

(quota 2162) ed è definita da una faglia principale dip-slip a geometria sub-planare

immergente 200-210º·50º, associata ad un sistema di faglie lievemente transtensivo.

Tale fenomeno, che è necessario al fine di accomodare il movimento del blocco di tetto

sulla stessa. Ciò genera blocchi ribassati, che assorbono il rigetto complessivo. Il

sistema di faglie subalterno è caratterizzato da faglie transtensive destre immergenti

170°·80° e 180°·75°, diramatesi dal piano di faglia principale, che è a più basso angolo.

Alla Sella dei Grilli una piega sinclinale, dell’ordine di grandezza del centinaio di metri,

coinvolge le Formazioni comprese tra la Monte Corvo Fm. e la Venacquaro Fm..

L’origine sembrerebbe riconducibile alla roto-traslazione del blocco di tetto sulla

superficie principale della Faglia delle Tre Selle. Questa piccola sinclinale è fagliata

lungo il piano assiale, determinando un rigetto nell’ordine dei dieci metri.

La Faglia delle Tre Selle ha dislocato i depositi morenici dell’ultimo periodo

tardo glaciale, dimostrando così di essere probabilmente un elemento sismogenetico.

Poco a Sud dell’ingresso della Val Maone vi sono, infatti, dei gradini tettonici

nelle morene glaciali alti 1,5 metri circa. La giacitura del piano di faglia è 198°·72° ed è

associata ad altri gradini tettonici, appartenenti a faglie minori, che dislocano il Calcare

Massiccio con giaciture 210°·60° e 190°·75°. Poco più a Est di questa località la

direzione principale del piano di faglia varia da 200-210º·50º a 165-155°·70º nell’area

orientale.

104

Altre evidenze di tettonica

distensiva attiva connessa alla faglia delle

Tre Selle sono presenti al Venacquaro tra

quota 1950 e 1975 lungo il sentiero, non

segnato in carta, che dalla Sella dei Grilli

conduce alla piccola piana alla base di

Monte Corvo.

Il Settore Nord dell’area

occidentale è dominato dalla geometria

tipica di una piega per propagazione di

faglia, magnificamente esposta sulla

parete orientale di Picco Pio XI.

La piega principale è

un’anticlinale asimmetrica, sub-

cilindrica, rovesciata, con un leggero

angolo di plunge 5-10° verso WSW

nell’area Monte Corvo-Valle

Venacquaro. La direzione dell’asse della piega varia da N75°E in località Fonte Gelata

a N80°W in prossimità del Picco dei Caprai.

L’immersione del piano assiale, ricavato dal clivaggio di piano assiale, è 195-

175°·30° nella zona di Picco dei Caprai mentre è di 150°·30° in corrispondenza della

Vetta settentrionale d’Intermesoli (quota 2483). Questa differenza potrebbe ricondursi

alle ben note roto-traslazioni antiorarie, connesse alla propagazione del thrust superiore,

già proposte e riconosciute da diversi Autori (GHISETTI & VEZZANI, 1991; CALAMITA et

Alii, 2004). Le anisotropie meso-cenozoiche ed in particolare quelle eoceniche hanno

probabilmente contribuito alla variazione dell’asse della piega.

La piega ha una continuità di circa 9 km, terminando fuori carta ad Ovest di

Monte Corvo.

La faglia inversa ad essa associata, cartografata a Nord della Grotta dell’Oro

(quota 1700), nota come thrust superiore, è il sovrascorrimento strutturalmente più alto

tra quelli del fronte compressivo ed è definito da una brusca terminazione del rigetto a

quota 2000 circa sulla parete Orientale del Picco Pio XI. Si tratta pertanto di un

sovrascorrimento ceco dal quale si diparte un sistema di fratture e faglie, evidenziato

nella foto panoramica commentata del Settore Nord. Nella zona del Picco dei Caprai

Figura 66 – Val Maone Sud. Evidente Gradino morfologico della Faglia delle Tre Selle, che in questa località immerge 198°·72°, dislocando depositi morenici tardo glaciali.

105

(quota 1947) vi sono dei piani di thrust minori, che accomodano il pieagamento della

struttura anticlinalica. I rigetti da essi determinati sono inferiori ai 20 metri.

Si tratta di una piega, dunque, interessata da thrusts minori, connessi in parte al

tentativo di propagazione verso livelli più superficiali delle superfici di dislocazione

compressiva.

Come si può notare dalla foto panoramica commentata della parete orientale del

sottogruppo del Pizzo d’Intermesoli, sembra evidente che un sistema di fratture più

antico, connesso a fenomeni plicativi incipienti con vergenza antitetica sia stato piegato

dalla più giovane piega Monte Corvo-Corno Grande.

Lungo le pareti della Valle Venacquaro la Scaglia Bianca, a causa della buona

plasticità della litologia calcilutitica, ospita pieghe parassite tipo-Z, tipiche del fianco

diritto della piega anticlinale principale. Si tratta per la gran parte dei casi di pieghe

chevron inclinate o roveciate, aperte. Talora è possibile notare una transizione da pieghe

chevron a parallele in funzione del contrasto litologico tra i diversi strati.

Nella Sezioni II e III si può riconoscere la complessa struttura di accavallamento

che interessa la zona compresa tra Colle Ceraso e Prato Tondo-Colle dell’Asino.

Figura 67 – Valle Venacquaro. Pieghe parassite di tipo-Z all’interno della Scaglia Bianca sulla parete Orientale di Monte Corvo. Le Pieghe sono anticlinali inclinate asimmetriche con geometria da angolare parallela a curva. Talora si costituiscono dei mini-thrust sul fianco frontale immergenti 160°·25°

106

In questa zona vi è una sinclinale, antistante l’anticlinale rovesciata sopra

descritta. La piega è molto stretta e sovrascorre col fianco di ritto sulla successione

diritta della Laga per mezzo del thrust inferiore.

La sinclinale è dislocata in prossimità della zona di cerniera da una faglia

transpressiva immergente circa-Sud, che fa sovrapporre il fianco rovescio su quello

diritto. Questa faglia si raccorderebbe al thrust inferiore aumentando di inclinazione.

Essa passa infatti da 35° a 50°.

Il fianco diritto della sinclinale, che sovrascorre sulle arenarie della Laga, è

interessato da pieghe per propagazione di faglia, che si dipartono dal thrust inferiore.

Un piano dei piani di faglia ad esse collegate ha un rigetto minimo in senso dip-slip di

400 metri circa. Il Fianco diritto è costituito prevalentemente da terreni miocenici.

L’unità Laga è caratterizzata nella zona di Perlepara-Salse, che è 1 Km a Nord

di Colle dell’Asino, da una piega anticlinale asimmetrica retrovergente, che coinvolge le

arenarie della Laga. L’asse della piega passa a Sud di Pilone. La direzione dell’asse è

circa N70°E . L’anticlinale ha il fianco meridionale che immerge 170°·30° a Nord di

Colle Secco e 190°·60° a Colle dell’Asino.

L’unità Laga è interessata al suo interno da almeno due piani di faglia strike-slip

a cinematica trascorrente sinistra e da piani minori di sovrascorrimento orientati

longitudinalmente.

Molto probabilmente la struttura retrovergente è successiva alla struttura

anticlinale-sinclinale dell’unità Gran Sasso. Attraverso le ricostruzioni geometriche,

effettuate durante lo studio della sezione, si è concluso che il thrust inferiore è ripiegato

in prossimità di Prati Cantiere.

In caso contrario se esso avesse proseguito verso Nord con la giacitura sub-

orizzontale ricavata a Prati Cantiere, avrebbe tagliato down-section la Laga, immergente

195°·25°, in prossimità di Colle Secco. Tale condizione violerebbe i principi di

propagazione dei sovrascorrimenti.

Il thrust inferiore ha una geometria molto irregolare, definita da rampe e piani

poco inclinati. Questo piano tettonico concentra gran parte delle spinte compressive,

accomodando un rigetto di circa 2 Km.

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l letto di questo sovrascorrimento la Laga assorbe parte della deformazione attraverso la

formazione di strette pieghe anticlinali e sinclinali alla scala dell’affioramento. Tale

fenomeno è evidente in riva sinistra del Rio Arno tra il Monumento Cicchetti e il

Monumento Cambi. Gli assi di queste pieghe non sono mai paralleli tra loro,

suggerendo un trasporto tettonico a componente trascorrente.

Il contesto geologico attraversato dalla Sezione I tra Fonte Gelata e Piana

Grande, a Sud-Est di Prato Selva, sembra essere definito esclusivamente dal passaggio

anticlinale-sinclinale. Non pare esservi, infatti, alcuna interruzione tettonica da parte dei

sovrascorrimenti, che interessano la zona Colle dell’Asino-Pizzo d’Intermesoli.

Gli spessori per formazioni tra loro omologhe sono notevolmente maggiori di

quelli registrati ai Prati di Tivo. Essi raggiungevano spessori intermedi nell’area di

Colle dell’asino ma le notevoli complicazioni tettoniche sopra descritte non

permettevano di descrivere correttamente i caratteri stratigrafici delle Marne con

Cerrogna di quell’area. Lo spessore complessivo delle Marne con Cerrogna è di circa

700 metri nella zona del Rifugio del Monte (Rifugio del C.A.I. sito poco ad Ovest del

bordo occidentale della Carta Geologica rilevata).

Figura 69 – Visione tridimensionale della cartografia geologica della zona frontale. Il thrust superiore aumenta di rigetto verso Est. Il thrust inferiore ha la medesima funzione di rototraslazione antioraria, accomodando rigetti maggiori. Entrambi i sovrascorrimenti terminano ai bordi occidentali della carta.

109

AREA ORIENTALE L’area orientale è attraversata da quattro differenti transetti geologici.

La Sezione longitudinale VI ha orientazione N2°W e percorre contesti geologici

differenti tra loro, mettendo in luce il pattern di fagliazione transetensiva nel Settore

Sud, le complicazioni paleogeografiche liassiche e le geometrie compressive del Settore

Nord e della Porzione geografica settentrionale.

Il sistema di faglie normali, compreso tra il Rifugio Duca degli Abruzzi (quota

2338) e Acquare della Formica, è definito da tre faglie dirette ad angolo di immersione

relativamente più basso delle faglie a cinematica chiaramente transtensiva, che su di

esse si radicano.

La più esterna di queste affiora in prossimità del Rifugio sopramenzionato ed è

stata denominata Faglia Duca degli Abruzzi. Essa risalta facilmente all’occhio perché

marcata da un’evidente gradino morfologico che espone il piano di faglia, localmente

immergente 170°·65°. Il rigetto in questa località non supera i 70 metri. Poco più a Sud

gran parte dell’entità di dislocazione è assorbita dal sistema di faglie transtensionali ad

alto angolo, che insistono sulla faglia principale. Vi sono due faglie in particolare che

hanno accomodato il movimento. La prima, nascosta parzialmente dal detrito e sita

poco a sud del Duca degli Abruzzi, permette la sovrapposizione di Scaglia Bianca e

Cefalone Fm. sui terreni giurassici della Corno Piccolo Fm. Il rigetto è dunque di circa

850 metri. Essa affiora a Passo del Lupo (quota 2156) con giacitura 150°·75° ed

immerge 120°·80° a quota 2300 sul sentiero che sale al Duca degli Abruzzi da Campo

Figura 70 – Faglia Duca degli Abruzzi, quota 2338. Il Sud è a sinistra. È evidente il gradino morfologico in prossimità della plaga effimera di neve, appoggiata al piano di faglia, che immerge 170°·65°. Al tetto vi sono i Calcari Diasprigni Detritici. Al footwall affiora la Corno Piccolo Fm.

110

Imperatore. La seconda affiora a Fonte Pratoriscio, dove mette a contatto i terreni

miocenici delle Marne con Cerrogna e Calcareniti Glauconitiche con le calciruditi a

rudiste della Cefalone Fm.. Il rigetto è qui di circa 700 metri. La Faglia Duca degli

Abruzzi raggiunge così a causa del trasferimento del rigetto una dislocazione

complessiva di circa 1600 metri.

Come evidente dalla Carta Geologica e dalla Sezione VI anche in questa zona

esistono complicazioni strutturali, probabilmente ereditate dalla tettonica mesozoica.

Durante la costruzione delle sezioni sono state ipotizzate riattivazioni parziali di piani di

faglia più antichi e terminazioni del rigetto.

Nel complicato contesto tettonico che interessa l’area a Nord dei Tre Valloni

alcune di queste superfici tettoniche ad alto angolo sono sta interpretate come faglie

antitetiche, i cui rigetti sono compresi tra 40 e 100 metri circa.

La faglia centrale tra quelle a più basso angolo è quella che passa per i Tre

Valloni. Il rigetto ad essa connesso è di 300 metri circa nella Sezione VI mentre tende a

diminuire in prossimità della ex Stazione intermedia della Funivia, dov’è di circa 90

metri nella Sezione IV. Anch’essa è dunque connessa alla tettonica transtensiva.

La Faglia Assergi-Valle Fredda è quella più interna e meridionale tra quelle ad

angolo relativamente più basso ed è fortemente suddivisa in più segmenti. Uno di questi

affiora in un canalone sito a 500 metri circa ad Ovest della ex Stazione intermedia della

Funivia con giacitura 195·65°. Essa è preceduta da una fascia di rocce fortemente

fratturate, spessa circa 100 metri. Il blocco di tetto è completamente sepolto al di sotto

del detrito ed il rigetto non è di conseguenza esattamente calcolabile con i dati di

rilevamento. Secondo D’AGOSTINO et Alii (1998) l’entità di dislocazione è di circa 1000

metri.

È interessante notare l’equidistanza tra i tre sistemi di faglia, che definisce

blocchi spaziati di circa 1,5-2 Km.

Per completare la descrizione delle zone più meridionali in carta è indispensabile

lo studio della Sezione V, che è perpendicolare alla direzione media degli strati, essendo

orientata N30°W. Questo piccolo transetto ha la funzione di raccordare la descrizione

delle strutture dell’area occidentale con quelle descritte in questo paragrafo. L’elemento

tettonico principale è rappresentato dalla monoclinale del sottogruppo del Pizzo

Cefalone, dislocata lungo il Vallone della Portella dalla Faglia Duca degli Abruzzi

170°·55°

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Un secondo sistema di faglie, riconducibile a quello di Fonte Pratoriscio, è

definito da due differenti set di faglie, quelle immergenti circa 190°·75° e quelle a forte

componente strike-slip con immersione 105°·75°. Queste ultime sono sottolineate a Sud

di Fonte Portella tra quota 1900 e quota 1800 da gradini di faglia alti anche 1,5 metri,

associati a forte fratturazione. L’insieme dei dati suggerisce un’attività tettonica recente.

Il sistema di Fonte Pratoriscio sembra dipartirsi dalla Faglia Duca degli Abruzzi

intorno a quota 400, accumulando un rigetto di circa 1000 metri. Esso rappresenterebbe

dunque uno splay della faglia principale.

Una seconda faglia, immergente 170°·55°, è connessa al sistema di Fonte

Pratoriscio. Essa disloca 500 metri circa di successione, facendo sovrapporre la Scaglia

Bianca alla Maiolica. La Faglia dei Tre Valloni si radica su di essa. A Sud della

Stazione intermedia della vecchia funivia quest’ultima registra un rigetto di circa 90

metri.

Ad una prima osservazione le faglie dirette sembrano faglie inverse ad altissimo

angolo. La rotazione degli strati del blocco di tetto favorisce quest’effetto. Numerose

Figura 72 – Visione tridimensionale del sistema di faglie transtensive riconducibili alla Faglia di Campo Imperatore. Il sistema di faglia più esterno è la Faglia Duca degli Abruzzi. Quello intermedio, che fa sovrapporre le Marne con Cerrogna alla Cefalone Fm. è il sistema di Fonte Pratoriscio. Il sistema più interno è quello dei Tre Valloni. La Faglia di Assergi-Valle Fredda borda la struttura a SSW.

113

evidenze cinematiche e morfologiche dimostrano invece che si tratta di un sistema di

faglie transtensionali ad alto angolo, radicate su faglie dirette ad angolo relativamente

più basso e cinematica tendenzialmente dip-slip. Le maggiori entità di dislocazione si

esercitano sulle faglie ad alto angolo. Il trasferimento del rigetto avviene lungo il

contatto con le faglie, dalle quali esse si dipartono.

Per descrivere la geologia di Campo Pericoli è necessario seguire il tracciato

della Sezione VI. Tra la Faglia Duca Degli Abruzzi e la Faglia delle Tre Selle affiorano

quasi esclusivamente terreni giurassici, alle spese dei quali si articola un’interessante

sistema di faglie sintetiche ed antitetiche ad alto angolo. I rigetti sono solitamente

inferiori a 30 metri. Fa eccezione un piccolo graben, morfologicamente evidente,

leggermente asimmetrico, largo 400 metri, sviluppatosi alla base dei contrafforti

meridionali di Campo Pericoli. Le faglie ad esso bordiere hanno infatti rigetti

nell’ordine dei 100 metri. Questo graben fu riempito parzialmente alla fine dell’ultima

glaciazione da coltri moreniche spesse fino a 30 metri. È questa la zona in cui i depositi

tardo-glaciali sono più importanti.

Campo Pericoli è interessato da due principali sistemi di faglie ad alto angolo,

che definiscono una struttura a domino. Un primo con direzione N55-70°E ed un

secondo N35-60°W. A questi si aggiungono alcune faglie ad orientazione 5-15°E.

La Sezione VI interseca la Sezione IV a Campo Pericoli. Quest’ultima ha

orientazione N55°W. Essa è stata tracciata per cercare di definire il top del Calcare

Massiccio. In corrispondenza del punto d’intersezione è stata effettuata la contro-

verifica dei dati acquisiti, confrontando i dati dei due transetti geologici.

L’analisi di facies e il riconoscimento delle strutture tettoniche aiutano a

vincolare l’ipotesi di struttura tettonica, che descriva sinteticamente l’area di Campo

Pericoli e le località circostanti. Diversi dati geologici raccolti, spessori e facies in

primo luogo, e di letteratura concorrono a delineare una struttura rialzata liassica in

corrispondenza di Monte Aquila.

A NW di località Fontari (quota 2200 circa) Corniola e Verde Ammonitico, a

causa degli spessori ridotti e delle facies presenti, rivelano caratteristiche intermedie tra

quelle pienamente “bacinali” e quelle di alto strutturale.

Risedimenti calcarenitici e pebbly-mudstones dimostrano l’instabilità del pendio

e l’esposizione a sedimentazione torbiditica. Tali condizioni non sono tipiche di un’alto

strutturale.

114

Il top del Verde Ammonitico è interessato però da lacune nella sedimentazione,

testimoniate dai noduli di limonite centimetrici e dalle tracce di bioturbazione.

L’insieme dei dati sovraesposti dimostrerebbero la persistenza dell’area

meridionale di Campo Pericoli in condizioni batimetriche rialzate, rispetto a quelle che

caratterizzano le spesse successioni liassiche, ricche in risedimenti calciruditici,

affioranti per esempio lungo il Vallone della Portella, dove lo spessore della Corniola è

di circa 600 metri o alla Valle dei Ginepri dov’è di 400 metri minimo.

Al fine di far concordare i dati ricavati nelle sezioni I e II dell’area occidentale

con quelli della sezione IV e VI dell’area orientale, è stata attribuita alla Corniola una

potenza di 450 metri circa per l’area poco a Nord delle Capanne. Si tratta di uno

spessore pienamente bacinale.

Nella sezione IV è stata tracciata una paleo-faglia giurassica tra la zona a Nord

delle Capanne e Campo Pericoli. Quest’elemento tettonico è strutturalmente correlabile

con la Faglia del Passo del Cannone (sensu CALAMITA et Alii, 2004), che come già

accennato nel Capitolo 3 “Assetto Geologico del Gran Sasso d’Italia”, separa il settore

Figura 73 – Foto panoramica commentata dell’assetto geologico del Corno Grande-Corno Piccolo. Sono ben evidenti le eredità strutturali liassiche soprattutto nella porzione settentrionale del sottogruppo. La Faglia delle Tre Selle ribassa il blocco meridionale durante il pleistocene.

115

bacinale della Valle dei Ginepri-Val Maone da quello rialzato Corno Grande-Primo

Scrimone

La Faglia del Passo del Cannone costeggia infatti la Valle dei Ginepri

permettendo l’approfondimento bacinale intra-liassico del blocco settentrionale. La

faglia prosegue al di sotto della Val Maone. Essa è presente nuovamente a quota 1880

poco a Nord della Faglia delle Tre Selle, dalla quale è troncata e rigettata. La Faglia del

Passo del Cannone è un elemento tettonico ereditato, che non affiora in questa zona con

un chiaro piano di faglia. La sua esistenza è però fortemente suggerita dall’intensità

della fratturazione e dall’orientazione del pattern di fratturazione, nonché dall’analisi di

spessori e facies, che differenziano il “blocco di alto” del Primo Scrimone-Corno

Grande da quello bacinale della Valle dei Ginepri-Val Maone.

L’esistenza di quest’ultimo blocco bacinale ha vincolato con molta probabilità la

diffusione dei flussi di massa giurassici, permettendo la deposizione di potenti spessori

di calciruditi a coralli. La Corno Piccolo Fm., come visto nel paragrafo riguardante

l’area occidentale articola il fondale medio giurassico in funzione della paleogeografia

ereditata e della distribuzione dei flussi. Le medesime variazioni di spessore interessano

anche l’area orientale. La Formazione ha una potenza di 180 metri circa ai limiti

occidentali della Sezione IV. L’approfondimento verso NW è lievemente graduale a

Campo Pericoli mentre aumenta bruscamente verso la Val Maone dove supera

probabilmente i 550 metri. Il rigetto transtensivo del sistema di faglie delle Tre Selle ha

dislocato dunque la Faglia di Passo del Cannone in corrispondenza di Campo Pericoli,

dove è sepolta al di sotto delle formazioni medio giurassiche.

La geometria desunta avvalora ipotesi della interazione persistente tra le

strutture liassiche e quelle successive. I valori di subsidenza dovevano essere, infatti,

nettamente inferiori nella zona di Campo Pericoli rispetto a quelli del Venacquaro.

La collina di 2244 metri, sita in Campo Pericoli poco a lato delle sezioni IV e

VI, ospita, come già esposto nel Capitolo stratigrafico, particolari contatti stratigrafici,

indicativi di una sedimentazione ridotta e soprattutto lacunosa fino al Paleogene medio.

La Maiolica immerge 10°·40°. Essa affiora ben stratificata e ricca di ossidi di

ferro, concentrati in noduli e diffusi, che le conferiscono una colorazione arancione. Tali

caratteristiche sono riconducibili anche a fenomeni diagenetici di dolomitizzazione in

condizioni riducenti. Ha uno spessore ridotto inferiore a 25 metri. Queste sono alcune

delle condizioni tipiche della Maiolica che sigilla gli alti strutturali umbro-marchiggiani.

116

A Campo Pericoli tra la Maiolica e le calciruditi a macroforaminiferi, riferibili

alla Fonte Gelata Fm., anch’esse mal stratificate ed immergenti circa N·35°, sono

frapposti circa 2 metri di calcareniti e calciruditi cretaciche mal stratificate.

La descrizione di quest’affioramento è inedita. Data la sua importanza sarebbe

necessario uno studio paleontologico di dettaglio, che vincoli con certezza i limiti delle

lacune sedimentarie, qui sommariamente riconosciute e cartografate.

Dopo aver ricostruito ed interpolato tutti i dati geologici a disposizione nella

Sezione IV, si può evincere la chiusura geometrica in pinch-out verso Sud-Est delle

formazioni bacinali. Tale chiusura è estremamente pronunciata per le formazioni ricche

in facies calciruditiche ed in particolar modo per le formazioni cretaciche post-Maiolica.

La sezione VI intercetta la Faglia delle Tre Selle alla base del ripidissimo

versante meridionale del Primo Scrimone. In prossimità della Sella di Corno Grande la

Faglia delle Tre Selle si dirama in tre superfici tettoniche, creando due blocchi ribassati.

Quello più interno tra questi è costituito da Calcare Massiccio estremamente fratturato

Figura 74 – Campo Pericoli. In primo piano vi è la collina di quota 2224, che ospita una successione lacunosa. La Maiolica dolomitizzata e ad ossidi di ferro, poggia in discordanza su i Calcari Diasprigni Detritici. Tra le calciruditi oligoceniche e le calcilutiti della Maiolica vi è un sottile spessore di calcareniti cretaciche, attribuite alla Cefalone Fm.. Sulla vetta occidentale del Corno Grande affiora il riempimento del filone sedimentario costituito da termini, riferibili alla Monte Corvo Fm.. Il sistema di faglia delle Tre Selle genera un piccolo blocco ribassato di Corniola e Calcare Massiccio.

117

ricoperto da sottili plaghe di Corniola giallastra, estremamente dolomitizzata. Esso

affiora a Nord della Sella di Corno Grande. Non è da escludere che l’origine di questo

“gradino tettonico” sia da ricondurre alla strutturazione liassica piuttosto che a quella

pleisto-olocenica. La faglia che lo delimita a Sud è sub verticale. Il rigetto alla base del

Primo Scrimone, dove il blocco ribassato più interno non esiste è di circa 900 metri

mentre è di circa 650 metri poco più a Est in prossimità della Sella di Corno Grande.

Il versante Nord del Primo Scrimone ospita un sottile velo di Corniola

dolomitizzata, discordante sul Calcare Massiccio. Un sistema di faglie dirette

immergenti 170°·70° e 165·65° passa lungo la Sella del Brecciaio, ribassando il blocco

del Primo Scrimone e raccordandosi in profondità con la Faglia delle Tre Selle. Questa

superficie tettonica è la più esterna e suddivide il Primo Scrimone in due blocchi. Essa è

definita da un evidente gradino morfologico, suggerendo l’interazione con la Faglia

delle Tre Selle, che è un sistema unanimemente riconosciuto come attivo. La superficie

di faglia è continua su tutto il versante Nord di Corno Grande. Il rigetto ad essa

connesso decresce verso Est, contribuendo a comprovare la cinematica transtensiva

dello stesso. La transtensione è collegata con la variazione di direzione della sezione e

con le anisotropie ereditate dalla tettonica liassica.

La struttura

Corno Grande-Primo

Scrimone è

evidentemente un

alto strutturale

giurassico, articolato

da sistemi di faglie

orientate E-W e

N75°E. La gran parte

di queste faglie ha

un’origine

chiaramente

mesozoica che

disarticola la struttura

impedendo la

formazione di una zona pianeggiante sommitale tipica delle Piattaforme Carbonatiche

Pelagiche (sensu SANTANTONIO, 1993).

Figura 75 – Ghiacciaio del Calderone, quota 2850. Sulla destra, poco sopra il ghiaccio vi è il filone paleocenico in facies tipica della Scaglia Rossa pelagica. Esso è spesso circa 2 metri ed incassato con geometria anastomosata nel Calcare Massiccio, fratturato e trasversalmente attraversato da sottili (20 cm.) filoni di Corniola in facies dolomitica.

118

Il blocco di footwall è attraversato da filoni di Corniola dolomitizzata giallastra,

ampli anche 1,5 metri. Essi registrano una continuità variabile tra 100 e 300 metri.

Spiccano per il contrasto litologico e di colore. La loro orientazione è sub-parallela a

quella della Faglia di Passo del Cannone. Lungo il sentiero “normale” che conduce alla

Vetta Occidentale affiorano anche filoni di Verde Ammonitico, molto meno spessi

(massimo 20-30 cm) di quelli di Corniola.

Il Corno Grande persiste in una condizione di alto strutturale probabilmente fino

al Paleocene quando il Calcare Massiccio del Corno Grande, sottoposto a tettonica

tensionale, si apre con delle fratture beanti, che permettono l’infiltrazione di marne a

micro-foraminiferi planctonici e brecce di riempimento. Il filone più facilmente

accessibile è quello esposto tra la Vetta Occidentale (2912 m.) e la testata del

Ghiacciaio del Calderone. Esso è orientato circa NNE-SSW. In quest’ultima località il

filone ha un aspetto rosato-versastro, mostrando una componente marnosa più elevata.

Lo spessore è di circa 2 metri ed ha una geometria anastomosata.

Sulla Vetta Occidentale lo stesso filone è in facies conglomeratica. La distanza

tra le due pareti del filone qui è di 10-12 metri circa. Si tratta di un filone strato a

Figura 76 – Vetta occidentale del Corno Grande quota 2914 (secondo moderne misure topografiche). Il martello è posizionato nella parte centrale del filone di color rosa. È evidente la stratificazione interna del filone che presenta colore e caratteri geologici simili ai due lati. La vetta e la porzione giallastra a sinistra della foto sono costituite da brecce tendenzialmente grano sostenute. Le porzioni verdastro rosate in posizione centrale sono caratterizzate da tessiture tendenzialmente fango sostenute ad intraclasti bacinali arrotondati. La quasi totalità dell’affioramento è inclusa in questa foto.

119

composizione simmetrica. La composizione infatti varia allo stesso modo lungo i due

bordi, muovendosi verso il centro del filone, che è composto da marne verdi e rosate a

clasti arrotondati. La tessitura nella parte centrale del filone è simile a quella di un

pebbly-mudstone, essendo i clasti di composizione simile a quella della matrice.

Spostandosi verso i bordi del filone, aumenta la componente clastica e la spigolosità dei

clasti stessi. Si tratta in questo caso di una breccia poligenica ed eterometrica. I clasti

sono composti di frammenti di calcare ad oncoidi, riferibili al Calcare Massiccio delle

pareti incassanti, di calcare con selce, e di mudstones violacei arrotondati. La matrice di

questa zona intermedia è ricca di foraminiferi planctonici indicativi della transizione

K/T. Dall’analisi di alcune sezioni sottili si è provata la compresenza di globotruncanidi

e planctonici paleocenici.

La matrice delle parti più esterne del filone è invece dolomitizzata e

relativamente più scarsa, rispetto a quella marnosa delle porzioni più interne fango-

sostenute. Le pareti incassanti sono costituite da calcari a bird-eyes fortemente fratturati.

La congiungente Corno Grande-Corno Piccolo è attraversata dalla Sezione VII,

ed è orientata N 20°W perpendicolarmente alla direzione media della successione

stratigrafica dell’unità Gran Sasso (sensu CALAMITA et Alii, 2004).

Si tratta della sezione più orientale dell’area di studio. Essa descrive la geologia

del sotto-gruppo Corno Grande-Corno Piccolo e dei Prati di Tivo.

Gli elementi tettonici principali sono strettamente connessi alla migrazione verso

NE della piega sulla rampa transpressiva di sovrascorrimento, nota come thrust

superiore, che permette la roto-traslazione dell’anticlinale del Corno Grande-Corno

Piccolo sulla successione rovesciata dell’unità intermedia (sensu CALAMITA et Alii,

2004), il cui rigetto è crescente nelle zone orientali.

Nell’unità di footwall a contatto con il thrust superiore le litologie marnose delle

formazioni di Fonte Gelata e Venacquaro hanno risposto all’evento tettonico, generando

strutture S/C molto strette. A quota 2050 poco sotto il thrust i piani C sono paralleli a

quelli di stratificazione ed immergono 175°·41° mentre i piani S immergono 230°·55°.

A quota 2030 all’interno dei mudstones marnosi della Venacquaro Fm. i piani C

immergono 180°·45° ed i piani S 215°·60°.

120

Il thrust superiore immerge 260°·50° nell’esposizione di Valle dell’Inferno, una

delle zone più orientali in carta. In questa località la Dolomia Principale sovrascorre

sulla Corniola ed il Verde

Ammonitico che immergono

280°·30°.

L’unità di tetto (unità

Gran Sasso) ospita la parte più

antica della successione, che è

costituita quasi esclusivamente da

terreni triassici e giurassici,

fortemente interessati dagli effetti

della strutturazione liassica. I

filoni sedimentari di Corniola

dolomitizzata e Verde

Ammonitico sono tra gli effetti

secondari, legati alla distensione

Figura 77 – Prati di Tivo 3° Canalone da destra guardando da Nord, quota 2050. La Venacquaro fm. appartiene alla successione rovesciata dell’unità intermedia ed è fortemente disturbata dalla propagazione del thrust superiore. Sono evidenti le strutture sigmoidali generate dal flexural slip delle litologie marnose. I piani S immergono verso destra cioè a 215°·60°.

Figura 78 – Vista del Corno Grande da Vaduccio (Sud). Il thrust superiore è sulla seconda cengia da destra, in corrispondenza della quale affiora il Verde Ammonitico.

121

liassica. Essi hanno due set principali di giacitura: un primo a direzione E-W, insiste

soprattutto nell’area compresa tra Conca degli invalidi e Passo del Cannone dove

immerge 180-190°·60-75°; un secondo trasversale ha giacitura 110-120°·70-85° ed è

stato rilevato sulla via normale per la Vetta Occidentale tra quota 2450 e 2650.

Tra la Faglia delle Tre

Selle e la Sella dei Due Corni la

successione è circa

monoclinalica. La sezione VII

intercetta la Faglia di Passo del

Cannone a quota 2679. Essa ha

giacitura sub verticale 185°·85°,

dislocando il blocco

settentrionale. Si tratta di una

paleo-faglia liassica ruotata dalla

tettonica cenozoica, che ribassa il

blocco settentrionale, sul quale gli

spesso di Corniola sono maggiori.

Essa appoggia in onlap sul

Calcare Massiccio a tetto e al letto della faglia stessa, sigillando così la struttura. Il

contatto è, come argomentato nel capitolo stratigrafico, tipico delle paleo-scarpate

giurassiche dell’Appennino centro-settentrionale. Non è da escludere una riattivazione

della stessa durante il Toarciano. Poco a Sud di Passo del Cannone sono presenti,

infatti, filoni di Verde Ammonitico immergenti 195°·60°. Questo dato potrebbe indicare

una prosecuzione delle ultime fasi di strutturazione del bacino fino al Lias superiore.

Nel dominio umbro-marchigiano esse invece terminano nel Carixiano Medio

(SANTANTONIO, 1996).

La Sezione VI intercetta la Faglia di Passo del Cannone alla Valle dei Ginepri.

In questa località la Corniola raggiunge uno spessore minimo di circa 400 metri ed è

ricchissima di risedimenti dolo-ruditici.

Nel capitolo stratigrafico è menzionato il contatto in onlap che permette la

sovrapposizione della Corniola bacinale sul Calcare Massiccio, appartenente al blocco

ribassato Val Maone-Valle dei Ginepri. Il Calcare Massiccio immerge circa 20°·15°.

Esso è fratturato ed attraversato da filoni sottili e a geometria anastomosata. Essi sono

sub paralleli alle faglie in affioramento, che immergono 30°·75° e 60°·82°. La Corniola

Figura 79 – Località poco a Nord di Passo del Cannone, quota 2650. Contesto di paleo scarpata liassica. Onlap di Corniola dolomitizzata sul Calcare Massiccio silicizzato.

122

immerge 25°·48°. È importante notare che non è comune ritrovare in Appennino

l’esposizione del “basso strutturale”.

Sullo stesso blocco ribassato, in corrispondenza della Sella dei Due Corni vi è

una successione di Corniola a sedimentazione normale pelagica, povera di risedimenti e

con uno spessore totale inferiore ai 100 metri.

Anche il Verde Ammonitico presenta in questa località anche facies nodulari e

spessori ridotti rispetto a quelli mostrati alla Valle dei Ginepri.

L’insieme dei dati geologici suggerisce dunque un approfondimento

differenziale in corrispondenza della Valle dei Ginepri con una chiusura in pinch-out

verso oriente delle formazioni bacinali liassiche.

Sul fianco settentrionale della Valle dei Ginepri è ben esposto il thrust superiore,

che ha una geometria a rampe e piani meno inclinati ed un rigetto di 550 metri circa.

Esso immerge 170°·30° in prossimità dei Prati di Tivo, 170°·20° a mezzacosta e

170°·35° verso la Grotta dell’Oro. In questa zona non vi sono evidenze cinematiche sul

piano di sovrascorrimento, che aiutino a comprendere la direzione di trasporto tettonico.

L’unità intermedia, al letto del thrust superiore, è interessata da complicazioni

tettoniche e stratigrafiche. Le prime tra queste sono ben esposte sulla parete in riva

destra del Rio Arno poco a Nord delle Coste del Calderone.

In questa località infatti l’attività del thrust superiore ha generato un “truciolo

tettonico” di Corno Piccolo, rimasto indietro durante il sovrascorrimento. Altre strutture

secondarie sono rappresentate da thrusts a basso angolo, che interessano la successione

rovesciata.

È evidente inoltre la presenza di un horse definito dal sovrascorrimento in flat

della Cefalone Fm., sulla Scaglia Bianca, che resta in giacitura sub-verticale.

Alcuni retro-scorrimenti, di entità non cartografabile, sono presenti in prossimità

delle Cascate del Rio Arno. Essi aiutano a ricostruire la cinematica di azione ed

interazione tra i thrusts.

La serie rovesciata, anche se tettonicamente disturbata in piccola scala, è

praticamente continua dalla Maiolica Fm. alla Laga Fm., che appoggia con discordanza

angolare sulle Marne ad Orbulina.

123

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124

Il verso della successione

è opportunamente suggerito

anche da alcune evidenze

tettoniche di minor importanza,

quali sono le strutture S/C,

incluse all’interno delle Marne

con Cerrogna. I piani C sono

paralleli a quelli di stratificazione

ed immergono 180-190°·50°. I

piani S invece immergono

210°·25°. Nello stesso

affioramento vi sono anche pieghe decimetriche parassite del tipo S molto strette.

Le complicazioni stratigrafiche dell’unità intermedia sono abbastanza evidenti

in carta. Alcune formazioni bacinali come la Fonte Gelata Fm., infatti , si rastremano

verso Est, variando di facies e spessore. Le calciruditi caratterizzano con continuità la

Formazione nella località tipo di Fonte Gelata, sulle esposizioni in riva destra della

Valle del Rio Arno e all’altezza del secondo canalone dei Prati di Tivo. In

corrispondenza del Terzo Canalone da Ovest, i litotipi dominanti sono rappresentati da

mudstones pelagici sottilmente stratificati a microforaminiferi planctonici paleogenici.

L’unità intermedia è disturbata in prossimità del passaggio stratigrafico Marne

ad Orbulina-Laga, ed in particolar modo all’interno delle Marne con Cerrogna Fm. da

un piccolo thrust, che immerge 212°·27°. In corrispondenza di questa località i rigetti

sono nell’ordine dei 20-30 metri e tendono ad aumentare verso Est.

Il thrust inferiore, è il più esterno e strutturalmente più basso tra quelli in

affioramento. Esso mette a contatto la successione rovesciata dell’unità intermedia con

quella diritta dell’unità Laga. Non esiste un affioramento indicativo per questa

superficie tettonica nell’area orientale, perché è sepolta in gran parte dal detrito e dalle

Calciruditi Quaternarie, che lo suturano. Essa permette la sovrapposizione delle arenarie

della Laga appartenenti a due diverse unità tettoniche. Il ruolo di questo piano di

sovrascorrimento è di fondamentale importanza per spiegare l’overthrusting della

struttura meso-cenozoica sull’unità Laga. L’unità di tetto (unità intermedia) sovrascorre

utilizzando una rampa a basso angolo (10° circa). Le arenarie dell’unità intermedia

Figura 81 – Sentiero Prati di Tivo-Sorgenti del Rio Arno, quota 1450. Strutture S/C nelle Marne con Cerrogna.

125

immergono 195°·65° a S-E di Fonte Cristiania e 205°·55° ad Ovest di Bosco San

Nicola. Le arenarie al letto del thrust inferiore, in successione normale, immergono

210°·45° in prossimità dell’Albergo Diruto a quota 1830. Si può supporre dunque che il

sovrascorrimento immerga 205°·50°, utilizzando il piano assiale della sinclinale.

Nella descrizione strutturale dell’area occidentale abbiamo visto come il thrust

inferiore permette la sovrapposizione del fianco diritto della sinclinale di ritorno

dell’unità Gran Sasso sull’unità Laga. In quel contesto l’unità intermedia è inclusa

all’interno dell’unità Gran Sasso, perché a causa della terminazione del rigetto del

thrust superiore a Nord di Grotta dell’Oro, non è definibile come unità tettonica, non

essendo integralmente delimitata a tetto e a letto da superfici tettoniche..

Nell’area orientale invece la sinclinale è sopravanzata dall’anticlinale per mezzo

del thrust inferiore, facendo così sovra scorrere il fianco rovescio dell’anticlinale sulla

successione diritta dell’unità Laga. La successione rovesciata rappresenta il fianco

frontale della piega anticlinale Corno Grande-Monte Corvo. Dato che il thrust superiore

taglia completamente la successione rovesciata affiorante, è possibile definire un’unità

intermedia in sovrascorrimento sull’unità Laga.

L’area compresa tra Pietracamela e i Prati di Tivo è dominata da una spessa

successione miocenica, interessata da faglie strike-slip e dirette, legate alla

strutturazione rispettivamente orogenica e post-orogenica del Montagnone e del Gran

Sasso. L’intera successione è ricoperta da imponenti coltri detritiche e dalle Calciruditi

Quaternarie dell’Arapietra e di Pietracamela.

Il contatto tra Laga e Marne con Cerrogna, presente lungo la strada che conduce

ai Prati di Tivo, sembra essere tettonicamente disturbato e sede di intensa

sedimentazione detritica. Dall’analisi delle giaciture è confermata la discordanza

angolare, che vede le arenarie delle Laga Fm. poggiare in onlap sulle Marne ad

Orbulina. La giacitura della Laga è infatti sub-orizzontale mentre le Marne con

Cerrogna immergono mediamente 320°·25°.

L’ipotesi del disturbo tettonico è riconducibile alla presenza di una faglia,

immergente 215°·75° caratterizzata da lineazioni transtesive destre sullo specchio di

faglia, a quota 1575 lungo la strada che conduce al parcheggio di Cima Alta ed alla

mancanza di affioramenti di Marne ad Orbulina. Non è da escludere la presenza di

queste al di sotto delle coperture più recenti.

126

In corrispondenza del parcheggio di Cima Alta il disturbo tettonico è reso

evidente dalla deviazione sub parallela alla faglia della direzione degli strati al top delle

Marne con Cerrogna.

Poco a Sud l’unità Laga s’immerge al di sotto dell’unità intermedia. Il top delle

Marne con Cerrogna, che costituisce l’ultimo affioramento, generatore di un buon dato

di giacitura, segna un’immersione di 165°·30°.

In prossimità di Fonte Tassete a quota 1375 una faglia mette a contatto il blocco

settentrionale in associazione di facies pelitico arenacea con il blocco meridionale

prevalentemente arenaceo. Non vi sono indicatori cinematici di rilievo. Potrebbe

trattarsi di una faglia diretta ad alto angolo intraformazionale, che abbia riutilizzato le

faglie trascorrenti sin-orogeniche (tear faults) orientate N70-80°E.

127

5. EVOLUZIONE TETTONO-STRATIGRAFICA

In questo Capitolo sarà proposta una spiegazione sintetica dell’evoluzione

tettono-stratigrafica del Fianco occidentale del Gran Sasso d’Italia, formulata sia sulla

base dei dati strutturali e sedimentologici raccolti sul terreno, sia tenendo in conto gli

Studi preesistenti.

La successione sedimentaria del Gran Sasso d’Italia mostra evidenti affinità con

quella umbro-marchigiana, pur essendo fortemente influenzata in termini di proprietà

litologiche, paleontologiche, sedimentologiche e geometriche dai risedimenti

provenienti dai margini della piattaforma laziale-abruzzese.

Lo spessore complessivo medio della serie meso-cenozoica, esposta nell’area

rilevata, supera 3500 metri esclusa la Laga, di cui circa 1200 metri sono caratterizzati da

terreni triassico-liassici di piattaforma. Il tasso di sedimentazione medio, calcolato per le

formazioni bacinali presenti nel blocco di hangingwall della Faglia delle Tre Selle, è di

1,23 cm/Ka circa. Tale dato è da correggere per il tasso medio di compattazione dei

depositi di base-of-slope.

DAL TRIAS SUPERIORE AL LIAS Dall’Hettangiano superiore, secondo PASSERI & VENTURI (2005), le porzioni

occidentali e settentrionali della piattaforma del Calcare Massiccio dell’area toscana e

umbro-marchigiana, iniziano ad annegare progressivamente.

Il medesimo evento interessa evidentemente il dominio marchigiano-abruzzese.

Il passaggio dalla monotona successione di grainstone–packstone dolo–arenitici

ai calcari, organizzati in ripetizioni ritmiche di cicli peritidali del Calcare Massiccio,

dimostra che la produzione carbonatica nell’Hettangiano superiore riusciva a

compensare il tasso di subsidenza. Il tasso di sedimentazione medio calcolato, riferibile

alle formazioni della Dolomia Principale e del Calcare Massiccio è di 26 cm./Ka circa.

L’ambiente di sedimentazione resta in regime neritico di piattaforma sino al

Sinemuriano inferiore. Durante quest’arco di tempo si registra una sedimentazione

ciclotemica tipica dei tidal flat di stampo bahamiano. Non sono state rinvenute chiare

facies di soglia, che potessero indicare ambienti aperti a scambi d’acqua con differenti

caratteri chimico-fisici (basse temperature, bassa salinità, maggiori quantità di nutrienti,

ecc.).

128

Nel Sinemuriano inferiore ebbe luogo l’annegamento, probabilmente rapido,

della piattaforma carbonatica affiorante al Gran Sasso d’Italia. I terreni interessati da

questo importantissimo evento affiorano sul sottogruppo Corno Grande-Primo

Scrimone, a Monte Aquila e sul versante Sud di Pizzo Cefalone.

Le cause dell’annegamento delle piattaforme carbonatiche sembrano determinate

da una multifattorialità. SCHLAGER (1981) afferma che la prevalente componente

tettonica locale è amplificata da variazioni, talora brusche, delle condizioni ambientali,

come l’ingressione di acque con diversi parametri chimico-fisici, ed ecologiche, come

ad esempio l’assenza di organismi costruttori di reefs. Tali sconvolgimenti comportano

il blocco definitivo della produzione carbonatica neritica in situ. L’annegamento è

testimoniato dal passaggio da litofacies neritiche di piattaforma del Calcare Massiccio

alle litofacies pelagiche e risedimentate della Corniola.

L’assetto strutturale Sinemuriano superiore era organizzato in blocchi basculati

da faglie rotazionali, orientate attualmente E-W. Un sistema minore era orientato circa

N-S. La fisiografia del fondale liassico inferiore era definita da almeno tre zone rialzate.

Tra queste vi è la zona di Monte Aquila, che è ai bordi dell’area di studio e quindi sarà

soltanto mesionata; l’alto strutturale di Acqua San Franco, che sarà sigillato

completamente già nel Toarciano; il Corno Grande che resta un “alto persistente” a

sedimentazione nulla o condensata verosimilmente per tutto il mesozoico. Il blocco

rialzato Corno Grande-Primo Scrimone è delimitato a Nord dalla Faglia del Passo del

Cannone, che costeggia la Valle dei Ginepri, permettendo l’approfondimento bacinale

intra-liassico del blocco settentrionale.

Una delle novità desunte dal lavoro di campagna consiste nel riconoscimento

della prosecuzione della Faglia sopranominata al di sotto della Val Maone. Essa è

presente nuovamente a quota 1880 poco a Nord della Faglia delle Tre Selle dalla quale

è troncata. La Faglia del Passo del Cannone è un elemento tettonico ereditato che non

affiora in questa zona con un chiaro piano di faglia. La sua esistenza è però fortemente

suggerita dall’intensità della fratturazione e dall’orientazione del pattern di

fratturazione, nonché dall’analisi di spessori e facies, che differenziano il “blocco di

alto” del Primo Scrimone-Corno Grande da quello bacinale della Valle dei Ginepri-Val

Maone.

I filoni sedimentari medio-liassici, presenti fino a quota 2850 sul Corno Grande

dimostrano che gran parte dell’alto doveva essere ricoperto almeno da un sottile

spessore di Corniola. Le classiche successioni condensate d’alto strutturale non

129

affiorano in alcun luogo durante l’intervallo Lias inferiore-Lias medio nonostante i bassi

tassi di sedimentazione, ricavabili dagli spessori esigui della Corniola dolomitica, che

poggia inconforme sul Calcare Massiccio.

Il rinvenimento di facies pelagiche condensate e mineralizzate a quota 2530 ad

Ovest di Corno Grande, riferibili al Verde Ammonitico o ai Calcari e Marne a

Posidonia della serie umbro-marchigiana, suggerisce l’ipotesi di una sedimentazione

condensata e lacunosa sul Corno Grande per un periodo compreso tra il Toarciano e la

base del Paleogene. L’insieme di queste caratteristiche appartiene ad una successione

pelagica composita, definita da un’associazione di scarpata in cui sono compresenti

depositi risedimentati e pelagico condensati.

Evidenze sedimentologiche e paleontologiche di produzione neritica di

piattaforma di età successiva al Sinemuriano inferiore, potrebbero esservi nella zona

delle controbalze ad Ovest di Acqua San Franco (Versante Sud di Pizzo Cefalone).

Attraverso l’uso di sistemi di imbracatura alpinistici si potrebbe approfondire

l’argomento effettuando uno studio stratigrafico più accurato della successione liassica,

che secondo ADAMOLI et Alii (1978) include il Calcare Massiccio B al top della serie di

piattaforma. Il membro B del Calcare Massiccio infatti si sviluppa sugli alti strutturali,

che persistono in una produzione carbonatica di piattaforma sino al Carixiano Medio.

Dai dati, che ho potuto ricavare durante la fase di rilevamento, si evinta la

progressiva variazione laterale di facies della Corniola lungo il settore ribassato

orientale e settentrionale.

L’assetto strutturale dell’alto di Acqua San Franco è stato definito con maggior

certezza rispetto a quanto pubblicato sulla carta geologica di GHISETTI & VEZZANI

(1991). Gli Autori ipotizzavano la presenza di un thrust ad alto angolo, senza annotare

le complicazioni paleogeografiche espresse anche dalle variazioni di facies dei depositi

medio-liassici della Corniola. La stessa superficie tettonica ha dimostrato di essere in

realtà una paleo faglia liassica ruotata. Il contesto tettono-stratigrafico proposto in

questo Lavoro concorda invece con la stratigrafia pubblicata da ADAMOLI et Alii

(1978). In Carta non è stato cartografato il Calcare Massiccio B in quanto non

direttamente osservato ma la sua presenza è fortemente suggerita dal contesto paleo-

strutturale, qui delineato per la prima volta.

L’alto di Acqua San Franco era definito da almeno tre settori depressi.

L’approfondimento del settore settentrionale è avvenuto mediante l’interazione tra

faglie dirette angolo relativamente più basso (65°) e faglie transtensive sub-verticali

130

radicate sulla prima, che ha creato una serie di gradini ribassati. Nella parte più

occidentale il rigetto sembra concentrarsi completamente su un unico piano di faglia,

permettendo la deposizione di circa 300 metri di Corniola a ridosso della paleo-

scarpata/paleo-faglia.

Le depressioni tettoniche liassiche sono caratterizzate da una associazione di

facies pelagica normale e risedimentata (SANTANTONIO, 1993), che si imposta su un

fondale articolato in un sistema di faglie dirette sintetiche. Questo contesto è ben

esposto alla Valle dei Ginepri ed in parte al Vallone della Portella. Un’altra area

pienamente bacinale, estrapolata dai dati raccolti in questo lavoro è sita ad Ovest delle

Capanne. Settori bacinali con caratteristiche intermedie tra i due end-members sono

esposti tra la Sella dei Due Corni e il Passo delle Scalette, e in corrispondenza di Campo

Pericoli. I bacini liassici tendono ad approfondirsi verso l’attuale NW.

La repentinità dell’annegamento dei blocchi ribassati dalla tettonica liassica

sarebbe comprovata dal carattere immediatamente pelagico della Corniola, in termini di

spessori e facies. Le litofacies dolo-calciruditiche e dolo-calcarenitiche sono infatti

intensamente dominanti ed poggiano in onlap sulla superficie di inconformità al tetto

del Calcare Massiccio anche nei “bassi strutturali”.

L’analisi di facies del contatto tra Corniola e Calcare Massiccio delle aree

ribassatte dimostra che anche gli ultimi strati del Calcare Massiccio sono in facies sub-

e inter-tidale. Questo contatto si qualifica come una drowning unconformity

(SCHLAGER, 1989).

La sorgente di alimentazione dell’apporto torbiditico può essere identificata in

un alto strutturale intra-bacinale, avente una produzione neritica di piattaforma o molto

più probabilmente nella vicina Piattaforma laziale-abruzzese.

Per la prima volta sono stati cartografati elementi descrittivi della paleo-scarpata

giurassica del Corno Grande e di Pizzo Cefalone identificate dai contatti inconformi tra

formazioni bacinali e di piattaforma, dalla silicizzazione del Calcare Massiccio, dalla

differenziazione deposizionale tra gli ambienti di alto e le corrispettive depressioni

bacinali.

Durante il Toarciano mentre l’alto di Acqua San Franco è definitivamente

sigillato, il Corno Grande sperimenta ancora una certa instabilità tettonica, suggerita dal

riempimento, riferibile al Verde Ammonitico, di molte fratture beanti. Si tratta di filoni

originatisi a seguito di una nuova attività tensionale.

131

L’area compresa tra Campo Pericoli e Monte Aquila è interessata

sporadicamente dall’instabilità gravitativa, che ha prodotto alcuni pebbly-mudstones

nella Corniola e nel Verde Ammonitico. Le fasi di sedimentazione sono alternate nel

Toarciano a quelle di scarsa o nulla sedimentazione, marcate dalla bioturbazione e dalla

produzione di noduli e croste di ossidi, limonite e pirite sulle superfici di strato in facies

nodulare.

L’analisi strutturale dell’area ha permesso di riconoscere un approfondimento

tettonico differenziale intraliassico tra l’area delle Capanne e Campo Pericoli.

L’interpretazione tettonica, esposta nella sezione 4, prevede dunque la prosecuzione

della Faglia del Passo del Cannone, troncata in corrispondenza della Faglia delle Tre

Selle alla Val Maone, e al di sotto delle porzioni più occidentali di Campo Pericoli.

La definizione di un contesto rialzato in corrispondenza di quest’ultima località è

in accordo con i dati raccolti nell’area occidentale della Carta Geologica e con le

interpretazioni strutturale su di essi elaborate.

La geometria desunta avvalora ipotesi della interazione persistente tra le

strutture liassiche e quelle successive. I valori di subsidenza dovevano essere

probabilmente inferiori nella zona di Campo Pericoli rispetto a quelli delle zone nord-

occidentali più ribassate.

DAL DOGGER AL CRETACEO INFERIORE La quasi totalità dell’area studiata è interessata dalla deposizione di calciruditi a

coralli, provenienti dai margini di piattaforma. Il contesto deposizionale, sul quale va a

depositarsi la Corno Piccolo Fm., è caratterizzato da una fisiografia dolcemente

articolata, dalla quale emerge esclusivamente il Corno Grande. I settori rialzati nel resto

dell’area sono riconoscibili in corrispondenza di Campo Pericoli, del Rifugio Duca

degli Abruzzi e di Pizzo Cefalone.

L’area del Corno Piccolo è relativamente rialzata rispetto a quella depocentrale,

sita in corrispondenza della Val Maone-Grotta dell’Oro-Pizzo d’Intermesoli.

Il membro inferiore della Corno Piccolo ha sempre uno spessore minore di 20

metri ed affiora solo laddove gli spessori della Corno Grande Fm. sono compresi tra 130

e 170 metri. Esso ha un’età Aaleniano pp.-Bathoniano pp.. Molto probabilmente le

calcareniti che lo costituiscono, rappresentano la coda torbiditica dei primi flussi di

massa, depositatisi nelle zone depocentrali. Il membro inferiore è in contatto fortemente

erosivo con quello superiore calciruditico e tende a scomparire verso Nord.

132

In questo caso è estremamente evidente la progradazione del sistema di

piattaforma su quello bacinale. L’aumento dell’apporto in bacino potrebbe essere legato

a una fase di demolizione dei margini di piattaforma, connessa all’attività tettonica

medio giurassica, che avrebbe comportato l’emersione e lo smantellamento degli stessi,

determinando il trasporto e dunque il trasporto e l’elaborazione di clasti ben litificati e

arrotondati. Il prodotto di questo evento è rappresentato dall’ingente aumento di

risedimenti bioclastici sullo slope bacinale e l’instabilità tettonica sarebbe compovata

dalla presenza delle faglie transtensive che interessano la Corno Piccolo Fm.

La fisiografia ereditata vincolò la distribuzione dei flussi calciruditici del

membro superiore, che probabilmente aggirarono l’ostacolo del Corno Grande, per

concentrarsi nella zona depocentrale della Val Maone.

La compattazione differenziale di Corniola e Verde Ammonitico contribuì a

generare un valore di subsidenza maggiore nelle aree di basso strutturale liassico

(Vallone della Portella-Le Capanne-Val Maone-Valle dei Ginepri), rispetto a quelle aree

aventi caratteristiche intermedie, come in corrispondenza di Campo Pericoli o a Passo

del Cannone-Sella dei due Corni, garantendo così un maggior spazio d’accomodamento

e lo scorrimento e l’accumolo preferenziale dei flussi di massa.

Il tetto della Corno Piccolo Fm. è datato da PASSERI et Alii (2008) al

Kimmeridgiano superiore ed è, come dimostrato nel capitolo stratigrafico, fortemente

irregolare. Tale irregolarità potrebbe essere stata guidata dalla tettonica transtensionale

alto giurassica, che ha probabilmente contribuito alla strutturazione del tetto della

Formazione.

Lungo la parete Est di Pizzo d’Intermesoli, che costeggia il fianco sinistro della

Val Maone è esposto un particolare assetto stratigrafico, che vede il limite superiore

della Corno Piccolo Fm., sovrastato da tre diverse formazioni. Calcari Diasprigni

Detritici, Maiolica e Cefalone Fm., infatti, appoggiano in onlap sulla Corno Piccolo

Fm., adattandosi alla paleogeografia del fondale Kimmeridgiano. Tale contatto

sembrerebbe essere generato dall’interazione tra tettonica transtensiva alto giurassica, la

modellazione dello slope e fenomeni deposizionali. L’andamento ondulato del tetto

della formazione potrebbe, infatti, essere dovuto in buona parte alla superficie irregolare

degli ultimi mass-flows, appartenenti alla Corno Piccolo Fm.. Non è da escludere che

l’area del Gran Sasso, a seguito di una fase deposizionale, sia stata interessata

successivamente da erosione sottomarina, legata all’erosione del fondale da parte di

133

flussi di massa, che andavano a deporsi in zone nord-occidentali più distali. Le faglie e

le fratture riferibili alla transtensione giurassica, infatti, terminano sull’unconformity al

tetto della Corno Piccolo Fm., vincolando parzialmente la morfologia del top della

formazione. Tale contesto tettono-stratigrafico non è mai stato descritto nelle

Pubblicazioni precedenti.

I Calcari Diasprigi Detritici rappresentano l’inizio dell’arretramento del sistema

di produzione carbonatico di piattaforma su quello bacinale lungo il base-of- slope

corrispondente alla successione esposta sul Gran Sasso. Questo processo culminerà

nella produzione pelagica della Maiolica.

La distribuzione degli spessori di queste due formazioni alto giurassiche varia in

funzione della paleo-fisiografia ereditata dal fondale Kimmeridgiano. Le differenze di

spessore di CDD e Maiolica smorzano così le differenze paleo-batimetriche.

Il sistema deposizionale dei Calcari Diasprigni Detritici era dominato dalla

sedimentazione carbonatica torbiditica, con una forte componente di sedimentazione

bio-silicea, contemporanea a quella dei Calcari Diasprigni del dominio umbro-

marchigiano.

Secondo PASSERI et Alii (2008) il medesimo trend di sedimentazione oolitco-

bioclastica è presente nelle facies prossimali del Bacino di Lagonegro nello stesso

intervallo temporale del Gran Sasso, suggerendo che l’alto tasso di riversamento

(shedding) in bacino del materiale risedimentato, proveniente dalle piattaforme

Figura 82 – Parete Est del sottogruppo del Pizzo d’Intermesoli. Si noti l’estrema irregolarità del tetto della Corno Piccolo Fm., sul quale poggiano in onlap Calcari Diasprigni Detritici, Maiolica e Cefalone Fm.. In violetto sono tracciate le faglie transtensionali medio-giurassiche. In rosso acceso le faglie cenozoiche legate alla strutturazione del massiccio montuoso del Gran Sasso d’Italia.

134

carbonatiche appenniniche, fosse un evento generale sia ai margini sud-orientali che a

quelli nord-occidentali della Piattaforma L-A. Medesime indicazioni geologiche, riferite

alla medesima età, provengono dalla deposizione oolitico-bioclastica riversata nel

Bacino di Belluno.

La Maiolica rappresenta un tipico di un sistema deposizionale bacinale, che nel

caso del Gran Sasso è interessato solo sporadicamente dall’ingresso di flussi di massa,

originatisi prevalentemente dall’instabilità gravitativa e franamento dei margini di

piattaforma.

Gli spessori della Maiolica variano anch’essi in funzione della fisiografia

ereditata dalla Corno Piccolo Fm. e dei Calcari Diasprigni Detritici. Il contesto tettono-

stratigrafico dell’area di Campo Pericoli, descritto nel Capitolo 5 “Struttura Tettonica”

Sezione 4, definisce una zona rialzata persistente dal Giurassico terminale all’Oligocene

medio, definita da una lacuna di sedimentazione e/o erosiva, interrotta solo dalla sottile

intercalazione di facies risedimentate cretaciche calcarenitiche e calciruditiche.

Attraverso l’interpolazione dei dati geologici a disposizione per l’area di Campo

Pericoli, si può evincere la chiusura geometrica in pinch-out verso Sud-Est delle

formazioni bacinali. Questo contesto è reso abbastanza chiaro dall’osservazione della

Sezione IV, nella quale la geometria di rastremazione degli spessori verso S-E è

estremamente pronunciata soprattutto per la Corno Piccolo Fm. e per le formazioni

cretaciche post-Maiolica.

La Maiolica stessa mostra a Campo pericoli proprietà stratigrafiche tipiche di un

alto strutturale. Esse sono descritti a più riprese nel capitolo stratigrafico e in quello

strutturale.

DAL CRETACEO SUPERIORE ALL’OLIGOCENE Secondo VAN KONIJNENBURG (1997) il limite inferiore della Cefalone Fm.

definisce un troncatura erosiva, associata ad una lacuna nella sedimentazione, estesa dal

Barremiano inferiore all’Albiano Medio.

Nell’Albiano gran parte della Piattaforma Laziale-Abruzzese è esumata. La

deposizione di megabrecce e debris-flows litoclastici, che caratterizza la base della

Cefalone Fm., potrebbe essere connessa con il parziale collasso dei margini di

piattaforma. L’evento è associato ad una nuova fase di smantellamento dei margini di

piattaforma. La transizione progressiva da brecce litoclastiche a torbiditi carbonatiche

nella parte superiore poterebbe riflettere invece la progressiva trasgressione marina sulle

piattaforme appenniniche (VAN KONIJNENBURG, 1997).

135

Il periodo di tempo rappresentato dalla Cefalone Fm. è sede di una debole

attività transtensiva sin-sedimentaria, che sembra aver influenzato solo marginalmente

lo sviluppo del contesto deposizionale. Durante questa fase tettonica alcune faglie alto-

giurassiche sono parzialmente riattivate e riutilizzate, senza comportare rigetti di

rimarchevole importanza. L’inspessimento complessivo è legato alla distribuzione

preferenziale del sistema deposizionale calciruditico-torbiditico. L’ispessimento

formazionale è verso NNW. In corrispondenza di Picco Pio XI sono registrati gli

spessori massimi (350 metri circa). La zona dei Tre Valloni presenta spessori e facies

paragonabili con quelli della località sopramenzionata, indicando condizioni di

approfondimento simili anche per il Settore Sud dell’Area Orientale. Spessori

relativamente ridotti, circa 250 metri, sono evidenti sul fianco occidentale

dell’Intermesoli, dove è ipotizzabile una variazione fisiografica del fondale giurassico,

che permette il mantenimento pressoché costante dello spessore della Cefalone Fm.

lungo il tracciato della Sezione I, mentre nella vicina Sezione II l’approfondimento è

molto più netto. Non è da escludere dunque l’esistenza di faglie dirette giurassiche a

sviluppo meridiano, che abbiano influenzato la distribuzione degli spessori formazionali

giurassico-cretacei. Nessun elemento tettonico, riferibile a questo sistema di faglie,

affiora tra l’area occidentale e quella orientale, anche se la sua esistenza è fortemente

suggerita dai dati geologici sopra esposti.

Le torbiditi calcaree della Cefalone Fm. terminano circa 10 metri sotto il limite

inferiore della Scaglia Bianca. Le facies pelagiche tornano a dominare l’area del Gran

Sasso fino al Campaniano inferiore e localmente al Maastrichtiano superiore. Il limite

tra Scaglia Bianca e Monte Corvo Fm., formazione caratterizzata dalla fitta

intercalazione tra pelagiti e calcareniti torbiditiche, infatti, è diacrono nel tempo ed è

marcato sul terreno dall’eteropia di facies.

Durante il periodo compreso tra il Campaniano inferiore e il Maastrichtiano

superiore la progradazione del complesso torbiditico a canali ed argini, costitutivo della

Monte Corvo Fm., ha favorito lo spostamento del limite superiore della Scaglia Bianca.

L’effetto principale di questo contesto deposizionale consiste nella variazione

reciproca degli spessori di Scaglia Bianca Fm. e Monte Corvo Fm., dove all’aumentare

di spessore della prima diminuisce quello della seconda e viceversa.

Evidenze geologiche della progradazione del sistema torbiditico ad argini e

canali, connesse ad un marcato aumento di spessore della Monte Corvo Fm. sono

esposte lungo la parete occidentale del Pizzo d’Interemesoli, dove la Monte Corvo Fm.

136

ha una potenza di 400 metri circa e facies canalizzate, e in prossimità della Sella dei

Grilli. La progradazione sembra generalmente dirigersi verso NW, in accordo con la

posizione persistente dell’area depocentrale mesozoica, che nonostante l’esistenza di

eventuali ostacoli tettonico-stratigrafici trasversali, resta il centro di attrazione dei flussi

torbiditici e calciruditici.

Alla fine del Mesozoico l’alto strutturale giurassico del Corno Grande è

definitivamente sigillato dalle pelagiti e dai pebbly-mudstones Maastrichtiano-Daniani,

che ricoprono le zone sommitali e s’infiltrano nelle fratture. Gli affioramenti compresi

tra il Calderone, la Vetta Orientale ed il Torrione Cambi, sono gli unici testimoni di

questa trasgressione. Tali pelagiti sono correlabili con quelle affioranti nell’unità

intermedia ai Prati di Tivo.

Il sistema deposizionale prevalentemente calciruditico, che definisce la

Formazione di Fonte Gelata, è stato suddiviso da VAN KONIJNENBURG (1997) in due

parti distinte, separate da uno hiatus deposizionale, riferibile all’Eocene inferiore.

Dopo la deposizione del sistema torbiditico della Monte Corvo Fm., l’area di

base-of-slope del Gran Sasso è sottoposta ad erosione marina nel Paleocene inferiore.

Successivamente i debris-flows, originatisi a causa della nuova erosione subaerea di

parte delle piattaforme appenniniche, si depositavano generando la breccia basale della

Formazione di Fonte Gelata.

Secondo VAN KONIJNENBURG (1997) lo hiatus deposizionale intraformazionale,

che riguarda l’Eocene Inferiore, potrebbe essere spiegato dall’erosione dei primi

depositi eocenici o dalla mancata deposizione degli stessi, causata da un’ipotetica

variazione e ridistribuzione della direzione dei flussi.

Dai dati raccolti durante il rilevamento di terreno, è possibile riscontrare

un’estrema variabilità degli spessori eocenici, in un contesto deposizionale di slope-

apron, caratterizzato dalla deposizione di calciruditi a macroforaminiferi e litoclasti di

piattaforma, intercalati talora da marne rosse.

La zona a Nord della Vetta Settentrionale d’Intermesoli è caratterizzata dai

massimi spessori con facies grossolane, ed è ipotizzata essere la zona depocentrale. Non

vi sono studi stratigrafici di dettaglio su questa zona in particolare. L’insieme delle

caratteristiche geologiche suggerisce una continuità di sedimentazione maggiore per

questi depositi.

L’ipotesi di un’attività tettonica, riconducibile all’Eocene inferiore, ipotizzata

nel capitolo strutturale, potrebbe spiegare non solo la genesi dell’unconformity, che

137

separa le due porzioni della Formazione di Fonte Gelata, ma anche la canalizzazione dei

flussi.

L’inconformità angolare sarebbe connessa a fenomeni di basculamento

tettonico-distensivo. La canalizzazione dei flussi di massa e delle torbiditi potrebbe

essere stata guidata dall’incorrere dell’articolazione tettonica, che ha interessato la

fisiografia del fondale nel corso dell’Eocene inferiore.

Tale ipotesi è supportata: dall’attività incipiente di un sistema di faglie NW-SE

normali, riconducibile in parte a quello della Faglia delle Tre Selle; dall’esistenza di

faglie dirette intra-formazionali affioranti e non in prossimità della Sella dei Grilli; e

dalla distribuzione degli spessori dei terreni eocenici.

Tra l’Eocene Superiore e l’Oligocene inferiore l’area del Gran Sasso è soggetta a

non deposizione o ad erosione (VAN KONIJNENBURG, 1997). Durante questo periodo, che

non è registrato dalla serie stratigrafica, è probabile che la Faglia delle Tre Selle abbia

proseguito la sua attività distensiva, senza generare tuttavia grandi evidenze

morfologiche. Nell’Oligocene medio e superiore la ripresa della sedimentazione

avviene in un contesto paleogeografico, definito dall’approfondimento del blocco

meridionale di hangingwall. L’ostacolo morfologico, corrispondente all’asse Monte

Corvo-Pizzo d’Intermesoli-Corno Grande, non è sufficientemente pronunciato da

impedire ai flussi di massa e alle torbiditi di sedimentarsi sul blocco di letto, dove la

sedimentazione emipelagica a marne verdi, è frequentemente interrotta da risedimenti.

La granulometria è relativamente più fine rispetto a quella del blocco ribassato del

Venacquaro. Nella zona del Sottogruppo del Corno Grande la sedimentazione è

esclusivamente pelagica. Quest’area ritorna probabilmente ad essere una zona esente dal

passaggio dei debris-flows, che sono assenti nell’antistante successione eocenico-

oligocenica dell’unità intermedia. Gran parte dei depositi calciruditici a Lepidocyclinae

è intercettato nell’area del Venacquaro. In questa zona la Venacquaro Fm. raggiunge i

massimi spessori (220 metri circa) e le facies più grossolane. In corrispondenza di Fonte

Pratoriscio le facies sono calcarenitiche e marnose e lo spessore è di circa 35 metri. La

parte terminale dell’Oligocene è caratterizzata dalla produzione di marne, indicando un

nuovo arretramento del sistema di alimentazione.

La Faglia delle Tre Selle ha avuto un ruolo fondamentale nella storia della

tettonica sin-sedimentaria terziaria. È infatti una struttura ereditata in parte dalla

tettonica mesozoica, che svolge un ruolo determinante anche nelle fasi tettoniche

successive.

138

DAL MIOCENE INFERIORE ALL’OROGENESI MESSINIANA Il Miocene è l’Epoca più travagliata della storia geologica del Gran Sasso

d’Italia poiché racchiude in un breve tempo geologico diversi eventi geo-tettonici,

connessi alla strutturazione del Bacino della Marne con Cerrogna e all’orogenesi della

catena appenninica esterna e del Bacino della Laga.

Il Miocene inferiore è definito dalla deposizione delle Calcareniti Glauconitiche,

il cui ambiente deposizionale era connesso alle rampe carbonatiche mioceniche del

dominio laziale-abruzzese. La formazione è caratterizzata da un aumento progressivo

della glauconite, in concomitanza con l’incremento della selce. Le facies laminate e

gradate, talora amalgamate indicano una chiara origine torbiditica. L’insieme dei dati

geologici suggerisce la sottoalimentazione di un sistema carbonatico-torbiditico distale,

interessato dalla produzione di spugne silicee lungo le zone più distali della scarpata.

Durante quest’intervallo di tempo l’attività tettonica sembra smorzarsi, garantendo la

deposizione di spessori più o meno costanti di Calcareniti Glauconitiche. Si può

supporre dunque che il fondale Burdigalliano fosse abbastanza dolce e privo di grandi

ostacoli morfologici rilevanti e tettonicamente controllati.

L’intervallo Langhiano-Serravalliano è ancora fortemente influenzato dalla

produzione carbonatica delle rampe mioceniche laziali-abruzzesi. Le facies a “punti

rossi”, sono correlabili alle calcareniti a punti rossi di rampa distale, descritte nel

Foglio 359 “L’Aquila” in scala 1:50.000 e riferite all’intervallo Langhiano-

Serravalliano. Durante il Miocene medio l’attività distensiva sin-sedimentaria,

connessa alla Faglia delle Tre Selle, reinnesca l’approfondimento dell’area Solagne-

Venacquaro-Campo Imperatore. Il Bacino delle Marne con Cerrogna è caratterizzato

infatti dall’attività di faglie dirette mioceniche, che garantiscono l’approfondimento

differenziale dei diversi blocchi. L’unità intermedia ospita una successione di circa 240

metri in facies calcarenitico-marnose, mentre l’unità laga-montagnone ha uno spessore

minimo di circa 760 metri. In quest’ultima unità la stratificazione è meno sottile e le

facies sono più grossolane. È evidente la presenza di faglie dirette sin-sedimentarie,

probabilmente Nord-immergenti di entità considerevole, che sono state probabilmente

riutilizzate dalla tettonica compressiva mio-pliocenica.

Lo spessore delle Marne con Cerrogna varia lateralmente approfondendosi verso

NW. Tale fenomeno è reso evidente dall’inspessimento della litozona superiore delle

Marne con Cerrogna in facies calcareo-marnosa a spicole di spugna e Globigerinoides

trilobus. La litozona superiore delle Marne con Cerrogna è riferibile all’intervallo

139

Serravalliano pp.-Tortoniano pp. in analogia con le marne calcaree dell’unità argilloso

marnosa, descritte nel Foglio 359 “L’Aquila” in scala 1:50.000.

Tra il Tortoniano pp. ed il Messiniano inferiore tutta l’area del Gran Sasso e

della Laga, come del resto larga parte dell’Appennino abruzzese, sperimenta l’arresto

della sedimentazione carbonatica, marcato dalla flessurazione dell’avampaese e dal

drappeggio argilloso-marnoso sulle strutture meso-cenozoiche.

Nel corso del Messiniano ha origine l’attività orogenetica. Essa avviene in

concomitanza con la sedimentazione del complesso torbiditico silicoclastico della Laga.

La zona frontale del Gran Sasso è fortemente interessata da pieghe e

sovrascorrimenti ad attivazione progressivamente più profonda ed esterna e con entità di

deformazione crescente verso Est. Sistemi di faglie inverse minori sono posizionati

lungo l’allineamento Pizzo Cefalone- Le Malecoste-Forchetta della Falasca-Pizzo

Camarda. Essi interessano solo marginalmente l’area di studio e sono dunque solo

mensionate.

La geometria frontale più evidente è definita da una piega anticlinale

asimmetrica, sub-cilindrica, rovesciata, con un leggero angolo di plunge 5-10° verso

WSW nell’area Monte Corvo-Valle Venacquaro.

La direzione dell’asse della piega varia da N75°E in località Fonte Gelata a

N80°W in prossimità del Picco dei Caprai. La piega ha una continuità di circa 9 km,

terminando fuori carta ad Ovest di Monte Corvo.

Il plunge della piega immerge più o meno nella stessa direzione di

approfondimento bacinale. In tal modo risulta evidente che l’assetto deposizionale

meso-cenozoico vincola le modalità di crescita delle pieghe e la propagazione dei

sovrascorrimenti. La zona di basso strutturale meso-cenozoico coincide infatti con la

zona di enucleazione dei sovrascorrimenti, mentre la zona di alto (Corno Grande), che

ospita una successione più sottile, riesce a sovrascorrere molto più facilmente,

sperimentando raccorciamenti maggiori. Questo fenomeno avviene tramite la rottura

della piega dell’area orientale per mezzo di una struttura, nota come piega per

propagazione di faglia.

L’immersione del piano assiale varia da 195-175°·30° nella zona di Picco dei

Caprai a 150°·30° in corrispondenza della Vetta settentrionale d’Intermesoli. Questa

differenza potrebbe ricondursi alle ben note roto-traslazioni antiorarie, connesse alla

140

propagazione del thrust superiore, già proposte e riconosciute da diversi Autori

(GHISETTI & VEZZANI, 1991; CALAMITA et Alii, 2004). Le anisotropie meso-cenozoiche

ed in particolare quelle eoceniche hanno probabilmente contribuito alla variazione

dell’asse della piega.

La faglia inversa ad essa associata, nota come thrust superiore (sensu CALAMITA

et Alii, 2004), è un sovrascorrimento ceco. Esso è quello strutturalmente più alto tra

quelli del fronte compressivo. Un sistema di fratture e faglie, evidenziato nella foto

panoramica commentata del Settore Nord e nelle Sezioni II e III, accomoda il

rovesciamento della piega, generando rigetti di qualche decina di metri nelle porzioni

più orientali del Pizzo d’Intermesoli.

Si tratta, dunque, di una piega per propagazione di faglia interessata da thrusts

minori, connessi in parte al tentativo di propagazione verso livelli più superficiali delle

superfici di dislocazione compressiva.

Un sistema di fratture più antico e di secondaria importanza, connesso a

fenomeni plicativi incipienti con vergenza antitetica, è stato piegato dalla più giovane

piega Monte Corvo-Corno Grande.

Sul fianco settentrionale della Valle dei Ginepri il thrust superiore ha una

geometria flat-ramp-flat ed un rigetto di circa 550 metri. In questa zona non vi sono

evidenze cinematiche sul piano di sovrascorrimento, che aiutino a comprendere

chiaramente la direzione di trasporto tettonico. Per comprenderle si è reso necessario

studiarlo laddove incontra litologie marnose in grado di registrare più precisamente la

direzione di trasporto tettonico. Nell’unità intermedia in prossimità del contatto con il

thrust superiore i litotipi marnosi delle formazioni di Fonte Gelata e Venacquaro hanno

registrato l’evento tettonico, generando strutture S/C molto strette. Il verso del

movimento ricavato è circa N45°E, in pieno accordo con le spinte compressive

appenniniche.

Il thrust inferiore, è il più esterno e strutturalmente più basso tra quelli in

affioramento. Esso mette a contatto la successione rovesciata dell’unità intermedia con

quella diritta dell’unità Laga, trasportando passivamente le strutture compressive

precedenti. Nell’area orientale non esiste un affioramento indicativo per questa

superficie tettonica, che permette la sovrapposizione delle arenarie della Laga

appartenenti a due diverse unità tettoniche. Il ruolo di questo piano di sovrascorrimento

141

è di fondamentale importanza per spiegare l’overthrusting della struttura meso-

cenozoica sull’unità Laga.

Nella descrizione strutturale dell’area occidentale abbiamo visto come il thrust

inferiore permette la sovrapposizione del fianco diritto della sinclinale di ritorno

dell’unità Gran Sasso sull’unità Laga. In quel contesto l’unità intermedia era inclusa

all’interno dell’unità Gran Sasso a causa della terminazione del rigetto del thrust

superiore a Nord di Grotta dell’Oro. La sinclinale è molto stretta e sovrascorre col

fianco di ritto sulla successione diritta della Laga per mezzo del thrust inferiore. Il

thrust inferiore ha una geometria molto irregolare, definita da rampe e piani poco

inclinati. Questo piano tettonico concentra gran parte delle spinte compressive,

accomodando un rigetto di circa 2 Km. La sinclinale è dislocata in prossimità della zona

di cerniera da una faglia transpressiva immergente circa-Sud, che fa sovrapporre il

fianco rovescio su quello diritto. Questa faglia si raccorderebbe al thrust inferiore. Il

fianco diritto della sinclinale, che sovrascorre sulle arenarie della Laga, è interessato da

pieghe per propagazione di faglia, che si dipartono dal thrust inferiore.

Nell’area orientale invece la sinclinale è sopravanzata dall’anticlinale per mezzo

del thrust inferiore. La successione rovesciata rappresenta il fianco frontale della piega

anticlinale Corno Grande-Monte Corvo. Dato che il thrust superiore taglia

completamente la successione rovesciata affiorante, è possibile definire un’unità

intermedia in sovrascorrimento sull’unità Laga.

L’unità Laga è caratterizzata nella zona di Perlepara-Salse, che è 1 Km a Nord

di Colle dell’Asino, da una piega anticlinale asimmetrica retrovergente, che coinvolge

l’intera struttura, ripiegando anche il thrust inferiore in prossimità di Prati Cantiere,

come dimostrato nel capitolo strutturale. L’unità Laga è inoltre interessata da piani di

faglia strike-slip a cinematica trascorrente sinistra e da piani minori di sovrascorrimento

orientati longitudinalmente. La direzione della trascorrenza concorda con le

deformazioni esercitate dalla crescita della struttura orogenica del Gran Sasso e dalla

rotazione antioraria.

L’anticlinale retrovergente ben riconoscibile nella zona di Perlepara-Salse, è

probabilmente relazionata ad una superficie di sovrascorrimento, connessa ad un

sistema di thrusts retrovergenti, la cui superficie tettonica principale, legata al sistema

142

sopra ipotizzato, è posizionata probabilmente in corrispondenza di un livello di

scollamento più profondo nella serie sedimentaria.

La struttura principale non affiora in nessun luogo ma manifesta apertamente la

sua presenza, determinando il basculamento verso NNW dell’intera struttura Laga-Gran

Sasso. Si tratterebbe dunque di una inedita struttura compressiva. Essa sarebbe la più

giovane dell’intera area.

Il basculamento ha comportato la rotazione dei piani di sovrascorrimento e delle

pieghe associate, riducendo le inclinazioni originali e predisponendo la struttura

carbonatica a particolari geometrie durante la tettonica distensiva, che saranno descritte

nel paragrafo successivo.

DAL PLEISTOCENE AD OGGI A seguito del sollevamento complessivo dell’area avvenuto nel corso del

Pliocene, come testimoniato dalla composizione dei Conglomerati di Rigopiano e

Monte Coppe, l’attività estensionale ha registrato la sua massima espressione nel corso

del Pleistocene, continuando ad interessare fortemente l’area meridionale del Gran

Sasso fino al giorno d’oggi.

Le faglie dirette dislocano la struttura compressiva miocenica nella sua struttura

più interna, determinando geometrie differenti in funzione delle strutture ereditate dalle

fasi tettoniche estensionali e compressive precedenti, dell’interazione tra diversi sistemi

di faglia e dell’angolo creato tra la direzione dei piani di faglia e la direzione dello

sforzo estensionale regionale.

Tre principali sistemi di faglie dirette sono presenti nell’area rilevata. Il sistema

di Faglia delle Tre Selle e quello riferibile alla Faglia Assergi-Valle Fredda sono tra

loro sub-paralleli ed immergenti entrambi circa 200°·60°. Il terzo sistema, trasversale ai

primi due è collegato alla Faglia di Campo Imperatore, che cinge fuori carta i versanti

meridionali del sottogruppo Brancastello-Monte Prena e del Monte Camicia,

immergendo 160°·65°.

La Faglia di Campo Imperatore si dirama nell’area rilevata in un sistema di

faglie circa dip-slip ad angolo relativamente più basso e transtensionali ad alto angolo,

radicate sulle prime. Il sistema di faglie caratterizzato da una distribuzione en-echelon

delle faglie, ha la funzione di trasferire il rigetto tra i tre principali sistemi distensivi

sopra mensionati cioè tra la Faglia delle Tre Selle, la Faglia Assergi-Valle Fredda e la

143

stessa Faglia di Campo Imperatore. Tra questi i primi due rivesto un ruolo importante

nella storia sin-sedimentaria del Gran Sasso.

Il sistema di Campo Imperatore si dirama in tre faglie dirette principali ad

angolo relativamente più basso di quelle sulle quali transtensive ad altissimo angolo.

La Faglia Duca degli Abruzzi è la più esterna di questo sistema ed è connessa ad

una serie di faglie transtensionali minori, che accomodano gran parte del rigetto. Essa è

marcata da un gradino morfologico in prossimità del Rifugio Duca degli Abruzzi, che

espone il piano di faglia, localmente immergente 170°·65°. In realtà anche questa faglia,

come le altre è definito da diversi piani tettonici. La Faglia Duca degli Abruzzi a causa

del trasferimento del rigetto delle faglie transtensive su di essa insistenti, raggiunge in

profondità una dislocazione complessiva di circa 1600 metri.

La Faglia Fonte Pratoriscio si raccorda alla prima in prossimità del Vallone

della Portella attraverso un complesso sistema di faglie a forte componente strike-slip

con immersione 105°·75°. Queste ultime sono sottolineate a Sud di Fonte Portella da

gradini di faglia alti anche 1,5 metri, associati ad una forte fratturazione, determinata

dall’attività tettonica recente. Il sistema di Fonte Pratoriscio sembra dipartirsi dalla

Figura 83 – Visione3D della Porzione Meridionale della carta geologica. Sulla destra è riconoscibile il Corno Grande. Il sistema di Campo Imperatore, del quale è chiara la distribuzione en-echelon delle faglie trastensionali, permette il trasferimento del rigetto tra la Faglia delle Tre Selle e la Faglia di Assergi-Valle Fredda. Quest’ulitma è ai margini meridionali della carta.

144

Faglia Duca degli Abruzzi, accumulando un rigetto di circa 1000 metri. Esso

rappresenterebbe dunque uno splay della faglia principale.

La Faglia dei Tre Valloni, di è caratterizzata da un forte trasferimento del

rigetto, in relazione all’interazione con un complesso sistema di faglie transtensionali ad

angolo e direzione variabile.

In corrispondenza della Sezione VI è interessante notare l’equidistanza tra le tre

faglie ora descritte appartenenti al Sistema di Faglie di Campo Imperatore, che definisce

blocchi spaziati di circa 1,5-2 Km.

La Faglia Assergi-Valle Fredda è quella più interna e meridionale tra quelle ad

angolo relativamente più basso ed è fortemente suddivisa in più segmenti. Uno di questi

affiora in un canalone sito a 500 metri circa ad Ovest della ex Stazione intermedia della

Funivia con giacitura 195·65°. Essa è preceduta da una fascia di rocce fortemente

fratturate, spessa circa 100 metri. Il blocco di tetto è completamente sepolto al di sotto

del detrito ed il rigetto non è di conseguenza esattamente calcolabile con i dati di

rilevamento. Secondo D’AGOSTINO et Alii (1998) l’entità di dislocazione è di circa 1000

metri.

La Faglia delle Tre Selle è così chiamata perché affiora sulle selle meridionali

dei tre Monti principali del Settore Nord, che in ordine decrescente di altezza sono il

Corno Grande, il Pizzo d’Intermesoli e Monte Corvo.

Alla Sella dei Grilli (quota 2162) essa è definita da una faglia principale dip-slip

a geometria sub-planare immergente 200-210º·50º, associata ad un sistema di faglie

trans tensivo, che accomoda il movimento del blocco di tetto sulla stessa. Il sistema

definisce blocchi ribassati, che assorbono il rigetto complessivo. Il sistema di faglie

subalterno è caratterizzato da faglie transtensive destre immergenti 170°·80° e

180°·75°, diramatesi dal piano di faglia principale, che è a più basso angolo. Alla Sella

dei Grilli una piega sinclinale, dell’ordine di grandezza del centinaio di metri, coinvolge

le Formazioni comprese tra la Monte Corvo Fm. e la Venacquaro Fm.. L’origine

sembrerebbe riconducibile alla roto-traslazione del blocco di tetto sulla superficie

principale della Faglia delle Tre Selle. Questa piccola sinclinale è fagliata lungo il piano

assiale, determinando un rigetto nell’ordine dei dieci metri.

La Faglia delle Tre Selle ha dislocato i depositi morenici dell’ultimo periodo

tardo glaciale, dimostrando così di essere probabilmente un elemento sismogenetico.

Poco a Sud dell’ingresso della Val Maone vi sono, infatti, dei gradini tettonici

nelle morene glaciali alti 1,5 metri circa. La giacitura del piano di faglia è 198°·72° ed è

145

associata ad altri gradini tettonici, appartenenti a faglie minori, che dislocano il Calcare

Massiccio con giaciture 210°·60° e 190°·75°. Poco più a Est di questa località la

direzione principale del piano di faglia varia da 200-210º·50º a 165-155°·70º nell’area

orientale, determinando transtensioni, connesse a diramazioni dal piano di faglia

principale.

Altre evidenze di tettonica distensiva attiva connessa alla faglia delle Tre Selle

sono presenti al Venacquaro tra quota 1950 e 1975 lungo il sentiero, non segnato in

carta, che dalla Sella dei Grilli conduce alla piccola piana alla base di Monte Corvo.

In prossimità della Sella di Corno Grande la Faglia delle Tre Selle si dirama in

tre superfici tettoniche, creando due blocchi ribassati. Quello più interno affiora a Nord

della Sella di Corno Grande. Non è da escludere che l’origine di questo “gradino

tettonico” sia da ricondurre alla strutturazione liassica piuttosto che a quella pleisto-

olocenica. La faglia che lo delimita a Sud è sub verticale. Il rigetto alla base del Primo

Scrimone, dove il blocco ribassato più interno non esiste è di circa 900 metri mentre è di

circa 650 metri poco più a Est in prossimità della Sella di Corno Grande.

Un sistema di faglie dirette immergenti 170°·70° e 165·65° passa lungo la Sella

del Brecciaio, ribassando il blocco del Primo Scrimone e raccordandosi in profondità

con la Faglia delle Tre Selle. Questa superficie tettonica è la più esterna e suddivide il

Primo Scrimone in due blocchi. Essa è definita da un evidente gradino morfologico,

suggerendo l’interazione con la Faglia delle Tre Selle, che è un sistema unanimemente

riconosciuto come attivo. La superficie di faglia è continua su tutto il versante Nord di

Corno Grande. Il rigetto ad essa connesso decresce verso Est, contribuendo a

comprovare la cinematica transtensiva dello stesso. La transtensione è collegata con la

variazione di direzione della sezione e con le anisotropie ereditate dalla tettonica

liassica.

Tra La Faglia delle Tre Selle e il Sistema di Campo Imperatore l’area di Campo

Pericoli è definita da una geometria a domino, caratterizzata da faglie dirette antitetiche

e sintetiche.

Il complesso di dati a disposizione indica con maggior dettaglio la relazione

intercorrente i diversi sistemi di faglie dirette nell’area orientale, che ritagliano la

struttura meso-cenozoica del Gran Sasso e l’attività recente del sistema estensionale

stesso nel suo complesso.

Una delle novità emerse durante l’elaborazione dei dati di rilevamento dell’area

sud-orientale, consiste non solo in una definizione più precisa dell’assetto strutturale e

146

nella comprensione delle relazioni sopradescritte, ma anche nell’identificazione di

elementi tipici di faglie attive in tempi recenti nel sistema di Campo Imperatore. Dato

che tale sistema ha la funzione di trasferire il rigetto tra la Faglia delle Tre Selle-Campo

Imperatore e la Faglia di Assergi-Valle Fredda, l’insieme dei dati suggerisce che anche

la stessa faglia di Assergi continui ad essere un importante sistema di faglie attivo fino a

tempi recenti. Il presente lavoro identifica i presupposti per attribuire all’intero

complesso di faglie un certo potenziale sismogenetico. D’AGOSTINO et Alii (1998)

supponevano invece il trasferimento dell’attività tettonica alla sola Faglia delle Tre

Selle.

L’area occidentale invece non è interessata dall’interazione tettonica tra i tre

diversi sistemi di faglia e la deformazione estensionale è concentrata lungo i piani

distensivi principali, che sono equidistanti circa 3.5 Km e continui per circa 10 Km.

147

CONCLUSIONI Il fianco occidentale del Gran Sasso d’Italia è il massiccio montuoso più elevato

dell’Appennino. Esso è definito da una struttura a pieghe e sovrascorrimenti,

successivamente dislocati dalla tettonica estensionale quaternaria. La successione

sedimentaria meso-cenozoica di piattaforma, base-of-slope, avanfossa silicoclastica,

spessa complessivamente 5000 metri circa, ospita particolari rapporti tettono-

stratigrafici, ereditati dalla tettonica pre-orogenica.

Dopo aver confrontato i dati disponibili in Letteratura e cercato di trovare un

nesso tra le numerose suddivisioni ed interpretazioni stratigrafiche e tettoniche proposte

dai diversi Autori, ho raccolto e rielaborato i miei dati al fine di produrre

un’interpretazione sintetica dell’assetto geo-tettonico.

Nella costruzione dell’interpretazione geologica sono emerse diverse novità in

merito all’assetto attuale della struttura e all’evoluzione tettono-stratigrafica dell’area

rilevata. Sono qui esposte i dati di maggior importanza e le nuove interpretazioni.

I terreni giurassici sono stati rilevati con attenzione al fine di riconoscere i

rapporti stratigrafici e le geometrie associate alla strutturazione liassica, che aveva

suddiviso l’area del Gran Sasso in blocchi basculati da faglie rotazionali, orientate

attualmente E-W. Un sistema minore era orientato circa N-S. La fisiografia del fondale

liassico inferiore era definita da almeno tre zone rialzate, tra le quali vi era il Corno

Grande e l’area di Acqua San Franco. Quest’ultima località è stata sede di un’attenta

revisione paleo-geografica, supportata dal riconoscimento di un sistema transtensionale

di paleo-faglie liassiche, che delimitava almeno tre diversi settori ribassati,

interconnessi tra loro e caratterizzati da un’associazione di facies pelagica normale e

risedimentata (sensu SANTANTONIO, 1996). Sono state riconosciute inoltre inedite

variazioni laterali di facies nella Corniola del fianco orientale dell’alto di Acqua San

Franco, che sarà completamente sigillato nel corso del Toarciano.

Il Corno Grande, invece, resta un “alto persistente” a sedimentazione nulla o

condensata verosimilmente per tutto il mesozoico. Evidenze di paleo scarpata affiorano

nell’area di Passo del Cannone. Il blocco rialzato Corno Grande-Primo Scrimone è

delimitato a Nord dalla Faglia del Passo del Cannone. Una delle novità desunte dal

lavoro di campagna consiste nel riconoscimento della prosecuzione della Faglia

sopranominata al di sotto della Val Maone. Essa è presente nuovamente a quota 1880

poco a Nord della Faglia delle Tre Selle dalla quale è troncata.

148

La revisione stratigrafica in chiave toponomastica delle formazioni di base-of-

slope è stata effettuata seguendo la stratigrafia di VAN KONIJNENBURG (1997),

aggiornata con i dati di rilevamento. La nomenclatura tradizionale è stata preservata

laddove non presentava problemi interpretativi. La Corno Piccolo Fm. è una dicitura

inedita per le calciruditi a coralli medio giurassiche. La formazione si rastrema in

spessore verso Sud e SE. La fisiografia ereditata vincolò la distribuzione dei flussi di

massa, che probabilmente aggirarono l’ostacolo del Corno Grande, per sfociare nella

zona depocentrale della Val Maone. Il top della Corno Piccolo Fm. lascia una fisiografia

molto articolata sulla quale Calcari Diasprigni Detritici, Maiolica e Cefalone Fm.

poggiano in onlap.

Tutte le formazioni bacinali variano di facies e spessore complessivo nella zona

più occidentale, definendo una zona depocentrale occidentale, riferibile all’area di

Monte Corvo ed una zona di alto orientale corrispondente all’area del Corno Grande-

Campo Pericoli. Quest’ultima località è sede di sedimentazione condensata e lacunosa

dal Cretaceo basale all’Oligocene medio.

Tracce di strutturazione eocenica inferiore sono emerse dall’interpretazione dei

dati di rilevamento dimostrando un’attività tensionale precoce rispetto a quella oligo-

miocenica.

La Faglia delle Tre Selle ha avuto un ruolo fondamentale nella storia della

tettonica sin-sedimentaria terziaria. È infatti una struttura ereditata in parte dalla

tettonica mesozoica, che svolge un ruolo determinante anche nelle fasi tettoniche

successive. La Faglia delle Tre Selle è già attiva nel corso dell’oligocene e si riattiva nel

Miocene medio, garantendo l’inspessimento delle formazioni e l’intercettazione della

gran parte dei flussi di massa sul hangingwall.

A seguito della strutturazione del Bacino delle Marne con Cerrogna, alla quale

contribuisce la stessa Faglia delle Tre Selle. L’area sperimenta l’arresto della

sedimentazione carbonatica, la flessurazione ed infine l’orogenesi.

Il Gran Sasso d’Italia è attraversato sul fronte longitudinale da due importanti

direttrici tettoniche messiniane, identificabili in un thrust superiore, in posizione più

interna, associato ad una struttura tipica di una piega per propagazione di faglia, e in un

thrust inferiore entrambi a forte componente rotativa antioraria. Il plunge della piega

immerge più o meno nella stessa direzione di approfondimento bacinale. In tal modo

risulta evidente che l’assetto deposizionale meso-cenozoico vincola le modalità di

crescita delle pieghe e la propagazione dei sovrascorrimenti. La zona di basso strutturale

149

meso-cenozoico coincide infatti con la zona di enucleazione dei sovrascorrimenti,

mentre la zona di alto (Corno Grande), che ospita una successione più sottile,

sovrascorre molto più facilmente.

Tra i due sovrascorrimenti è riconoscibile nell’area orientale un’unità intermedia

a successione rovescia, sovrastata dall’unità Gran Sasso. L’unità strutturalmente più

bassa ed esterna è l’unità Laga. Nell’area occidentale dove i raccorciamenti sono minori

la sinclinale di ritorno sovrascorre col fianco diritto sull’unità Laga per mezzo del thrust

inferiore. Nell’area Orientale la sinclinale è sopravanzata dall’unità intermedia.

Una novità fondamentale è il riconoscimento di strutture retrovergenti a grande e

piccola scala. Un’anticlinale asimmetrica retrovergente infatti ripiega palesemente il

thrust inferiore, dimostrando così di essergli più giovane. L’intera struttura Laga-Gran

Sasso è coinvolta nel medesimo evento compressivo retrovergente, che genera il

basculamento verso NNW della struttura, definendo una zona a triangolo di rilevante

importanza geodinamica nel quadro della strutturazione mio-pliocenica del prisma

d’accrezione appenninico.

Per quanto riguarda la tettonica estensionale è stata fornita una definizione più

precisa dell’assetto strutturale, che vede l’interazione tra tre differenti sistemi di faglia

normali, riconducibili alla Faglia delle Tre Selle, la Faglia Assergi Valle Fredda e la

Faglia di Campo Imperatore. Quest’ultima è definita da un complesso sistema di faglie

transtensionali, che ha la funzione di trasferire il rigetto tra la Faglia delle Tre Selle-

Campo Imperatore e la Faglia di Assergi-Valle Fredda. L’insieme dei dati suggerisce

che anche la stessa Faglia di Assergi continui ad essere un importante sistema di faglie

attivo fino a tempi recenti. Il presente lavoro identifica i presupposti per attribuire

all’intero complesso di faglie un certo potenziale sismogenetico. D’AGOSTINO et Alii

(1998) supponevano invece il trasferimento dell’attività tettonica alla sola Faglia delle

Tre Selle. L’area occidentale invece non sembra sperimentare l’interazione tettonica tra

i tre diversi sistemi di faglia e la deformazione estensionale è concentrata lungo i piani

distensivi principali, che sono equidistanti circa 3.5 Km e continui per circa 10 Km.

150

RINGRAZIAMENTI

Ringrazio di Cuore tutte le amiche e gli amici che mi hanno supportato, aiutato

ed accompagnato in questo bellissimo viaggio all’interno della conoscenza. È stata una

strada tutta in salita, che mi ha dato la possibilità di vedere molto più di quanto potevo

immaginare all’inizio e che ci ha unito in esperienze sempre meno comuni da

condividere insieme.

In questi ringraziamenti sono presenti persone diversissime tra loro ma unite da

uno spirito di passione e rispetto per la natura magnifica del nostro Paese. Ringrazio

ogniuno per l’amicizia ricambiatami.

Caro Prof. Carlo Doglioni la ringrazio per aver dedicato con impegno e

gentilezza la sua persona a questo lavoro. Mi ha lasciato libero di fare come volevo,

assecondandomi e fidandosi del lavoro svolto. Grazie per aver risposto al mio timore di

continuar a rilevare solo “non dobbiamo aver paura…è il nostro lavoro. Avanti tutta!”.

Un riconoscimento particolare lo devo al contributo scientifico del Prof. Daniel

Bernoulli, che mi ha sempre donato uno stimolo genuino ad innovare la conoscenza,

cercando la soluzione più semplice. Le devo molto per questo. La ringrazio per le

splendide giornate trascorse insieme sul nostro caro Appennino e sulla carta.

Un ringraziamento va al Prof. Johannes Pignatti per l’amicizia e per l’analisi di

quelle poche sezioni sottili, che le ristrettezze economiche del dipartimento hanno

permesso di fare. Non dimentico inoltre le meravigliose discussioni e i confronti con il

Prof. Ernesto Centamore, al Prof. Salvatore Milli e in particolare alla Professoressa

Sabina Bigi, profondi conoscitori del Gran Sasso. Grazie per il tempo e la disponibilità

accoratami.

Grazie alla Sapienza…niente male! Sei stata un’università G A G L I A R D A!

GRAZIEE a Daniele Girasoli….ricordi ??? “San Franco aiutaci tu!”…ci si

arrampicava con i ciuffi d’erba…e sotto il burrone! Grazie per l’amicizia e per la

spensieratezza dosata… a modo tuo, davvero “a modo tuo” sei stato un punto di

riferimento; a Cristian Montanaro “bella eh??” maledettissimo e carissimo, sei

semrpe stato un GROSSO, mantenendo la calma e la gentilezza anche in mezzo a 40

cinghiali “eh va bene…va bene”…anche questa è andata!; a Francois David de

Villemagne (scrittore-camminatore arrivato a Gerusalemme da Parigi a

piedi…infortunato sul Gran Sasso)… grazie per la chiacchierate intorno al fuoco acceso

151

al Garibaldi…faceva un freddo che solo Dio lo sa; a proposito grazie alla compagnia e

al supporto dei ragazzi del Rifugio Garibaldi e a tutte le magnifiche persone che lì ho

conosciuto; Grazie a Danilo Seccia…se non era per te non sarei mai entrato in questa

avventura sul Gran Sasso…mi sarebbe piaciuto condividerla insieme fino alla

fine…vabbè tanto oggi ti laurei anche tu! Grazie amico mio!; alla dolce temeraria

Federica Marano grande compagna d’escursione…ti sei fidata di me e dei 5 autostop

in 2 giorni che ci anno letteralmente salvato! Ti ricorderò sempre con stima e affetto!;

grazie stoico Simone Arragoni amico e compagno di studi! ti dedico un grazie speciale

per tutto quello che ha fatto in questi anni oltrecchè per la passione comune verso la

montagna ed in particolare per il Gran Sasso; ad Alessandro dell’Aquila…senza di te si

stava mettendo davvero male…notte imminente con pioggia a secchi e 12° ventosi …io

e Federica ti ringraziamo infinitamente per averci ospitato in casa tua senza conoscerci,

salvandoci da una nottataccia nei boschi di Pietracamela; grazie alla mia cara amica

Greca Melas! grazie anche perché non ti sei fatta prendere dal panico quando eravamo

circondati da una mandria di mucche inbufalite ai piedi della salita, e da un branco di

cinghiali sopra la collina!!! Sei stata fenomenale sempre!; il mitico Andrea

Grammegna si merita un abbraccio ed un enocomio ufficiale per la tenacia persistente

nel raccogliere l’acqua facendosi chilometri per permettere al gruppo di sopravvivere

sotto al sole di agosto; grazie ad Alessandro Loreti e Alessio Mele montanari di

pianura come me sul Gran Sasso…trovati per caso con gran piacere sulle alture

abruzzesi…grazie per il passaggio fino a Latina!!; GRAZIE a Riccardo, Benedetta e

Giovanni de Ghantuz Cubbe…famiglia eroica che ha condiviso con me il sogno di

raggiungere la vetta meridionale dell’Intermesoli (mi mancano gli ultimi venti

metri…ma quando ci andiamo???); ad Andrea compagno di una gran due giorni di

rilevamento ad agosto…siamo riusciti a fare quasi l’impossibile…grandioso!; grazie a

Ruggero per la pazienza allo scanner e a Massimo di Carlo per avermi aiutato alle

sezioni sottili; a Juan (il montanaro dei pirenei catalani...ma dove sei finito???); grazie

laboratorio laureandi, sede di tempo da perdere e non solo!!!; grazie ai grandiosi agenti

della forestale del Parco del Gran Sasso e Monti della Laga di Pietracamela, che ci

hanno accolto nel giardino, per montar la tenda nel loro giardino ed accompagnato ed

aiutato in diverse occasioni; un Grazie speciale ai taglia legna che ci hanno risparmiato

altri interminabili chilometri dandoci un passaggio sopra il camion che scendeva a valle;

Grazie alla signora del rifugio Duca degli Abruzzi perché è stata davvero gentile a

ospitarci quando fuori faceva 3° (a fine giugno) e non c’era nulla di funzionante; grazie

152

ai lavoratori e al direttore della Funivia del lato aquilano per il passaggio a Campo

Imperatore e la salita gratuita, che tante volte mi avete concesso; agli albergatori di

Fonte Cerreto…se non era per voi….; grazie ai due lupacchiotti solitari nel bosco

della notte e a tutti gli animali…proprio tutti, che hanno deciso di non attaccarmi

quando lo potevano fare…belli i camosci!!!; Grazie a Dio e/o alla fortuna

…chiamatelo/a come volete, che mi hanno assistito sempre in montagna; Gran Sasso

sei stato un bell’amico di pietra…ti sei lasciato esplorare senza chiedere nulla in cambio

se non tanto, tanto, tanto, sano sacrificio…insomma ti fai desiderare eh?!?; un Grazie

speciale a mia mamma per la pazienza accordatami questi giorni…ero davvero

irritante…e per tutto quello che con amore ha fatto per me ogni giorno della mia vita.

Grazie anche a tutti quelli che sono stati dimenticati in questi ringraziamenti e

che si sono guadagnati il rispetto e l’amicizia, che qui non ho avuto l’accortezza di

ricordare. Grazie a tutti tutti per avermi onorato di essere vostro compagno di viaggio in

questo splendido lasso di tempo, che abbiamo modo di vivere insieme.

153

BIBLIOGRAFIA

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