s. castello, milites templi in sardegna tra mito e storia, in «almanacco gallurese», anno...

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295 STORIA Milites Templi in sardegna TRA MITO E STORIA di Stefano Castello Cavalieri di San Giovanni (The History of Costume by Braun & Schneider - c. 1861 - 1880)

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295 S T O R I A

MilitesTempli

in sardegna

TRA

MITO

E STORIA

di Stefano Castello

Cavalieri di San Giovanni(The History of Costume by Braun & Schneider - c. 1861 - 1880)

Se la storia antica della Sardegnaci regala ancora oggi nuove emo-zioni, dovute alle scoperte ar-

cheologiche ma soprattutto ad una piùattenta rilettura dei monumenti e del-le fonti documentali, la storia del Me-dioevo giudicale sardo non è da meno.

E se non fosse per i documenti chegiacciono ancora oggi “ben conserva-ti” nei ripostigli di qualche archiviopubblico o privato, “dimenticati” opiuttosto tenuti “al riparo” dalla vista dei curiosi di scien-za, probabilmente già da parecchi decenni avremo potu-to arricchire il nostro bagaglio di conoscenze ed apprez-zare meglio un periodo affascinante della storia della no-stra isola1.

Il motivo della scarsa conoscenza, anche a livello po-polare, di avvenimenti che riguardano il Medioevo giudicalesardo – un periodo ancora oggi ritenuto a torto buio edoscuro – è dovuto probabilmente alla poca attenzione daparte degli enti di ricerca ad attivare canali di studio perapprofondire le tematiche ancora assai lacunose, in mododa recuperare i tanti documenti inediti ancora dispersi neivari archivi nazionali ed europei, e quindi promuovere unprogramma di attività di studio ed attivare strumenti perla divulgazione a livello popolare dei dati finora raccolti.

Forse anche per tale motivo, nonostante l’impegno dipochi studiosi, ricercatori ed archeologi che si occupanodi Storia della Sardegna giudicale e della cultura Medi-terranea, le vicende legate alla presenza degli Ordini eque-stri ed ospedalieri nei Regni giudicali sardi, pur essendonote da più mezzo secolo2, sono ancora oggi poco studiateed analizzate.

E anche se tanto si è fatto a livello europeo, ancora no-tevole è la carenza della storiografia che riguarda il temadell’architettura assistenziale ed ospedaliera nel Medioe-vo, soprattutto di quella italiana3; né risultano essere di-sponibili repertori che scaturiscano da ricerche su scala ter-ritoriale locale.

E se da una parte, le difficoltà che si incontrano nel-

l’affrontare un filone di ricerca vannodalla penuria delle fonti, alla consape-volezza dell’esistenza di fonti non di-sponibili a tutti, ed ancor di più alle dif-ficoltà sorte dalla cattiva interpretazionedi quelle disponibili. Dall’altra, il fe-nomeno dell’interesse con cui alcunepersone – del tutto prive di metodo, dipreparazione e di strumenti di lavoro– fingono o credono d’indagare sullastoria degli Ordini equestri medioevali

sardi, è diventato ormai così imponente, tanto che in que-sti ultimi anni la letteratura sull’argomento ha dato am-pio spazio ad una produzione parastorica e pseudostori-ca di testi, tale da sorprendere, affascinare, ma anche di-sorientare il vasto pubblico dei fruitori della divulgazio-ne, anche quando si tratta di studiosi di “cose storiche”,abbastanza colti ed attenti.

Un eminente studioso del passato, Luigi Cibrario, nel-la sua “Descrizione storica degli Ordini cavallereschi”, scri-veva: “… V’è poi quella plebe di scrittori che si potrebberoa un certo modo chiamare i retori della storia, i quali, noncontenti di copiare e seguitar ciecamente un solo autore, ag-giungono, onde porvi qualche cosa del proprio, a’ suoi errorie deliramenti, anche i proprii, caricando colori, ed amplifi-cando, senza arretrasi innanzi a qualsivoglia assurdità … Nésono più degni di attenzione quegli scrittori dabbene, i qua-li stabiliscono in astratto certi canoni d’arte critica …”4.

Di nostro potremo aggiungere che tutto ciò che ci av-viene di leggere in certi libri o articoli di riviste che trat-tano degli Ordini equestri in Sardegna, non è altro che unacongestione di parole, di analisi e giudizi tutt’altro che scien-tifici, di dati e date molte volte inventati di sana pianta che,proposti attraverso ipotesi inconsistenti, rischiano di tra-sformarsi in certezze e fissarsi in pochissimo tempo in modoindelebile nella coscienza popolare.

D’altro canto, vogliamo evidenziare che finalmente ilCNR nazionale ha già da tempo attivato una importantee lodevole iniziativa, la Commessa dal tema Alle origini del-l’Europa Mediterranea: Gli Ordini religioso-cavallereschi, che

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In questi ultimi anni la letteratura sull’argomento ha dato ampio spazio aduna produzione parastorica e pseudostorica di testi, tale da sorprendere,affascinare, ma anche disorientare il vasto pubblico...

vede coinvolto in primo piano anche l’Istituto di Storia del-l’Europa Mediterranea del CNR di Cagliari, i cui obietti-vi finali sono: il reperimento e lo studio delle fonti edite edinedite sugli ordini religioso-cavallereschi; lo studio stori-co ed architettonico dei castelli crociati e delle strutture mo-numentali cavalleresche del Mediterraneo; la realizzazionedi un atlante storico delle testimonianze insediative degliOrdini cavallereschi nello spazio del Mediterraneo.

Nell’ambito della suddetta Commessa di studio è natala collaborazione del sottoscritto col CNR, ed in partico-lare con l’ISEM di Cagliari – volta a far si che si possa fi-nalmente realizzare una più giusta e reale ricostruzione del-le vicende degli Ordini equestri nei Regni giudicali sardi– e che ha già visto realizzare una parte progetto di studiosul patrimonio di beni che l’Ordine di San Giovanni di Ge-rusalemme aveva in Sardegna5.

L’auspicio è che in un prossimo futuro, attraverso unamaggiore e sistematica esplorazione degli archivi e all’analisidi diverse discipline di studio, si possa approfondire sem-pre più lo studio sulla presenza degli Ordini equestri neiRegni giudicali sardi, in modo da poter colmare molte la-cune e fungere così da guida per una corretta comprensionedelle cose, per far sì che la storia reale non venga inop-portunamente trasformata in un falso mito.

LA SARDEGNA E LE CROCIATELe fonti documentali riferiscono che la Sardegna giudicalenon rimase estranea a quel grande fermento che furono ipellegrinaggi devozionali e armati in Terrasanta, le cosid-dette “crociate”: ben sette sovrani, appartenenti a tre deiquattro regni nei quali era divisa l’isola in epoca medie-vale risultano impegnati direttamente o indirettamente nelmovimento crociato6:■ nel regno di Torres: Gonnario II de Lacon-Guna-

le7, Comita de Lacon-Gunale, e Mariano II de Lacon-Gu-nale8;

■ nel Regno di Calari: Costantino-Salusio III9 e Gu-glielmo di Massa10

■ nel regno di Arborea: Pietro III de Bas-Serra11 e Ma-riano IV de Bas-Serra12

Il coinvolgimento di un numero così elevato di sovra-ni13, per un arco di tempo che abbraccia quasi due seco-li, rende queste circostanze così dense di significati poli-tici da spingerci a guardare oltre quello che potevano es-

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Complesso ospedaliero di Santa Maria di Seve, presso Banari (SS)

[foto S.Castello]

Cabreo o inventario dei beni che l’Ordine diMalta aveva in Sardegna)

[foto S.Castello]

sere gli interessi personali e privati14 di ognuno di essi. Tan-to più che non furono solo i sovrani sardi ad andare pel-legrini in Terra Santa15, ma sappiamo che fu coinvolta an-che la società giudicale, e rare ma significative testimonianzelo confermano16.

E se per un semplice pellegrino poteva essere relativa-mente facile l’incontro con i più importanti Ordini eque-stri ed Ospedalieri medievali, tanto più per un Sovranodi uno dei Regni giudicali sardi il contatto dovette esse-re probabilmente ancora più semplice, se non apposita-mente cercato.

La Sardegna stessa, che era sulla rotta marittima dei pel-legrini che partivano da Marsiglia, non rimase estranea alleoperazioni militari delle crociate, e sappiamo che in alcunelocalità dell’isola fecero sosta vari contingenti militari: nelporto di Cagliari, per esempio, tra l’8 ed il 15 luglio 1270fece sosta la flotta della VII crociata, composta da 55 navigrosse e da alcuni legni minori, condotta verso l’emiratodi Tunisi dal re di Francia Luigi IX, dal re di Sicilia Char-les I d’Anjou e dal re di Navarra Teobaldo IV17.

Questo perché, con la sua posizione centrale nelMediterraneo, l’isola costituì un utile punto di ap-poggio lungo le vie marittime che portavano i pel-legrini ed i militari in Terrasanta; ed aven-do essa stessa una grandetradizione cristiana e ma-riana, ebbe i suoi per-corsi di pellegrinaggiocostellati da una miriadedi piccole chiese, di cat-tedrali con annessi mo-nasteri.

ORDINI EQUESTRI ED OSPEDALIERI IN SARDEGNAEcco quindi che anche in Sardegna, nel periodo che vadalla metà del secolo XII alla fine del secolo XIV, lungogli itinerari di grande percorso o in prossimità di centriurbani, Ordini prettamente militari come quello dei Ca-valieri del Tempio18, ed ospedalieri, come quelli di SanGiovanni di Gerusalemme19, di San Giacomo di Alto-pascio20 e di San Lazzaro di Gerusalemme21, organizza-no nuove strutture di accoglienza, dove viandanti e pel-legrini possono ricevere un’assistenza anche terapeutica.

O addirittura determinano la nascita e lo sviluppo di vil-laggi rurali, come quelli di Bangius presso San Vero Congius,Settefontane presso Santulussurgiu e Seve presso Banari.

Sulla base dei dati storici finora noti possiamo supporre,senza discostarci troppo dalla realtà, che la venuta nell’i-sola di tali Ordini equestri sia stata, se non espressamen-te voluta, di certo appoggiata dalla volontà di qualche so-vrano giudicale, sia per interessi politici ed economici maanche per puro zelo devozionale22.

Possiamo affermare in partico-lare che la presenza dell’Ordine di

San Giovanni di Gerusalemme,dell’Ordine del Tempio e del-

l’Ordine di San Giacomodi Altopascio fu favorita

molto probabilmente da so-vrani sardi filopisani e filo-ca-talani, e principalmente:■ nel Regno di Torres – ol-

tre alla potente famiglia degliAthen – in modo particolareda Costantino I de Lacon conla moglie Marcusa de Guna-le ed in seguito dal figlioGonario II;■ nel Regno d’Arborea, in

modo particolare dalla fa-miglia dei Bas-Serra;

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La presa diDamietta (1249)Histoire de SaintLouis (sec. XIV)

Sulla base dei dati storici finora noti possiamo supporre, senzadiscostarci troppo dalla realtà, che la venuta nell’isola di tali Ordiniequestri sia stata, se non espressamente voluta, di certo appoggiata dallavolontà di qualche sovrano giudicale.

■ nel Regno di Cagliari, in modo particolare proba-bilmente da alcuni esponenti della famiglia degli Obertenghidi Massa-Corsica.

Questi sovrani, oltre a preparare il terreno politico, so-stennero verosimilmente con donazioni gli Ordini citati,già di per sé votati alla povertà, ma che per necessità do-vevano disporre di mezzi non comuni per quell’epoca.

Come attestato anche da alcune bolle pontificie, le casee gli ospedali di alcuni di questi prestigiosi Ordini eque-stri erano dislocate nei Regni di Torres, Arborea e Càlarie dipendevano territorialmente dalle rispettive case madriitaliane: per i Templari il riferimento era la Provincia Ita-lia, che raggruppava le precettorie del centro-nord23; pergli Ospedalieri di San Giovanni, il priorato di Pisa24; la do-mus e ospedale di Altopascio per i Frati Cavalieri di SanGiacomo25.

Questa organizzazione territoriale entrò in crisi, pro-babilmente, già a partire dalla seconda metà del secoloXIII, nel momento in cui i regnanti iberici tentarono dicreare dei maestrats con dei naturals del regno fedeli aglistessi, escludendo tutti coloro che dipendevano gerar-chicamente dalle sedi territoriali italiane, ed in partico-lare toscane26.

E questo divenne evidente tra la fine del secolo XIV ela metà del XV, quando il supporto che Giovanniti ed ex-Templari27 iberici fornirono nelle difficili operazioni mi-litari per la conquista della Sardegna, fu premiato da par-te dei regnanti catalano-aragonesi con la nomina di que-sti in cariche di potere, con l’infeudazione di proprietà nel-l’isola e con la concessione di diritti28.

Un esempio emblematico può essere quello del GranPriore di Catalogna frate Ramon d’Empuries che nel 1339ebbe in affidamento prima il castello di Pedres29 pressoOlbia, che già deteneva da tempo, unitamente alla ca-pitania dell’intera Gallura30 e allo stipendio di tre caval-li armati31.

Questi Ordini regolari, oltre all’attività assistenziale, sidedicarono all’amministrazione dei numerosi beni che pos-sedevano, alla coltivazione delle terre e all’allevamento delbestiame, poiché la loro preoccupazione primaria fuquella di accumulare mezzi da destinare alle rispettive CaseMadri, dalle quali essi dipendevano territorialmente.

Un esempio può essere lo sfruttamento forestale dei Gio-vanniti. È documentato da alcuni contratti stipulati in Spa-gna e Italia, che per aumentare i redditi delle sue proprietà,l’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme si convertì an-

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Scene di vita ospedaliera. Codice di Avicenna.

Biblioteca Laurenziana, Firenze.

Luigi IX parte per la crociataBiblioteca Nazionale di Parigi

Olbia: Castello Pedres [foto S. Castello]

che in produttore di alberi da legna, per poterli venderepoi a mercanti e costruttori, alberi che fece tagliare nei suoigrandi boschi32.

In Sardegna, la precettoria ospedaliera di San Leonardodi Sette Fontane, nel Montiferru, si dedicò molto proba-bilmente a questa attività, essendo proprietaria di numeroseestensioni boschive di alberi da legna e da sughero33.

L’ORDINE DEL TEMPIO NEI REGNI GIUDICALI SARDILe motivazioni politiche e religiose che portarono all’in-sediamento in Sardegna dell’Ordine del Tempio le potre-mo individuare nelle trame dei legami che esistettero siatra i sovrani del Regno di Torres ed i benedettini cistercensi,in particolare tra Gonario II di Torres e San Bernardo diClairvaux; e sia tra la famiglia catalana dei Torroja ed i Vi-sconti di Bas sovrani del Regno d’Arborea, in particolaretra Ramon II de Torroja e Uch Ponçet I de Bas

GONARIO II DI TORRES: DA OBLATO TEMPLARE A BEATO CISTERCENSE?Gonario II de Lacon-Gunale era figlio di Costantino I diTorres, sovrano celebrato da tutto il popolo sardo e dai pi-sani per la vittoriosa partecipazione alla spedizione delle

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Gonario II di Torresquadro su legno anonimo sec XVINuits St Georges_Abbaye N.D. de Citeaux

Capitolo dell’Ordine del Tempio tenutosi a Parigi il 22 Aprile 1147. F. M. Granet (1844)

Baleari contro gli arabi, il quale, alleato con i Conti di Bar-cellona ed i Visconti di Narbona, portò il Regno di Tor-res ad una posizione di rilievo nel Mediterraneo.

Fu tra il 1132 ed il 113834, durante una sua permanen-za a Pisa, che Gonario probabilmente conobbe San Bernardodi Clairvaux, che era a Pisa nel 1135 al seguito di papa In-nocenzo II, e molto probabilmente ebbe anche il primo con-tatto con i Templari. Il 30 maggio 1135, infatti, si tenne aPisa un Concilio dell’Ordine del Tempio nel quale venne-ro stabiliti i giorni di festa e di digiuno elencati poi negli ar-ticoli 74, 75, 76 della “Regola”: non dubitiamo che a que-sto Concilio così importante prese parte anche San Bernardo.

Il rapporto di amicizia che si creò tra San Bernardo eGonario II fu tale che in una lettera indirizzata nel 1146a papa Eugenio III, lo stesso santo raccomanda il sovra-no turritano qualificandolo come «bonus princeps»35.

Come riportano le fonti36, all’inizio del 1147 GonarioII intraprende un pellegrinaggio a San Martino di Tours,intenzionato probabilmente ad incontrare San Bernardo aClairvaux, accompagnato da un seguito del quale faceva-no parte tra gli altri il vescovo di Sorres Giovanni, Rober-to curiae Magister ed il nipote Comita de Zori37.

Per poter entrare nella celebre abbazia deve sostare a SanMartino di Tours, a fare penitenza ed a spogliarsi dei pec-cati terreni: tappa questa necessaria anche perchè San Ber-nardo è impegnato a Parigi al Capitolo generale dell’Or-dine del Tempio tenutosi il 27 aprile 1147 alla presenzadi papa Eugenio III, di Luigi VII re di Francia e di re Lu-dovico il Giovane, alla quale parteciparono 150 templarie presieduto dal maestro di Francia Evrard de Barres. Si di-scute sull’organizzazione della seconda crociata, che par-tirà di lì a poco alla guida di re Luigi VII di Francia e diCorrado II° imperatore di Germania38.

Date le circostanze e, soprattutto, tenendo conto degliavvenimenti sino ad ora citati, viene da domandarsi se Go-nario II abbia partecipato anche solo come spettatore allapreparazione della macchina bellica per la crociata e se SanBernardo – prima o dopo il colloquio avvenuto forse a Clair-vaux – gli abbia fatto conoscere gli alti dignitari dell’Or-dine del Tempio: in effetti, non sembra affatto casuale lapresenza di un re-condottiero sardo nel luogo dove si ten-

ne la riunione più importante per l’organizzazione di un’im-presa assai difficile come quella di una crociata, e parreb-be altrettanto riduttivo pensare che l’occasione fosse soloper incontrare San Bernardo, per parlare con lui esclusi-vamente di cose spirituali.

Se essi parlarono anche di politica questo non lo potremodi certo leggere in documenti come l’Exordium MagnumOrdinis Cisterciensis!!

Dopo la parentesi francese ritroviamo Gonario II in Ter-rasanta: le fonti non indicano se egli ci arrivò per terra ovia mare, né con quali mezzi. Di certo, un uomo della sualevatura, un sovrano di un regno anche se assai modesto,si doveva spostare mantenendo una certa sicurezza, in unperiodo come quello dove un viaggio così lungo poteva es-sere di sola andata, soprattutto un viaggio verso una guer-ra internazionale.

Abbiamo ragione di credere che fu lo stesso San Ber-nardo, protettore dell’Ordine del Tempio, a favorire l’in-contro del sovrano turritano con i templari ed a procu-rargli quindi anche una scorta armata per raggiungere laTerra Santa.

I templari, dal canto loro – se così fu – non potevanocerto lasciarsi sfuggire una simile occasione per avere i fa-vori di un sovrano e quindi per porre piede in un’isola si-tuata strategicamente al centro del Mediterraneo, e adat-ta quindi a creare una valida base d’appoggio per i colle-gamenti tra Oriente ed Occidente. Diversamente poi daquello che traspare dalle frammentarie notizie delle fon-ti documentali, più che di un pellegrinaggio quella di Go-nario II ci sembra una partecipazione di fatto agli episo-di bellici della seconda crociata, in quanto morire in bat-taglia significava diventare un martire della fede, e sappiamodalle fonti che egli andò in Terra Santa spinto probabil-mente anche da un profondo motivo interiore di penti-mento.

Il Libellus Judicum Turritanorum non ci parla della pri-ma parte del viaggio ma dice che all’andata arrivò in Ter-rasanta passando per la Puglia o per Messina: qui infuriavala guerra che finì con la disfatta degli eserciti cristiani a Da-masco. Al suo ritorno, avendo saputo Gonario II che SanBernardo era in Puglia, si recò lì per incontrarlo nuova-

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Il rapporto di amicizia che si creò tra San Bernardo e Gonario II fu tale chein una lettera indirizzata nel 1146 a papa Eugenio III, lo stesso santoraccomanda il sovrano turritano qualificandolo come «bonus princeps»

mente: ebbe con lui lunghi colloqui durante i quali rivelòsicuramente al santo il desiderio di fondare in Sardegnaun’abbazia cistercense39.

Questo piacque a San Bernardo il quale, poco dopo lapartenza del sovrano turritano, mandò in Sardegna 150 mo-naci e 50 conversi.

Al suo rientro in Sardegna, il Re di Torres, nel 1149,fonda l’abbazia di Santa Maria di Corte presso Sindia, mol-to probabilmente alla presenza dello stesso S. Bernardo.

Fu forse a seguito di questa circostanza che Gonario IIprobabilmente donò all’Ordine del Tempio delle proprietàterriere o delle domus con annesse chiese per poter fondareuna precettoria e un complesso ospedaliero.

I VISCONTI DI BAS-CERVERA, LA FAMIGLIA TORROJA ED I TEMPLARII rapporti stretti tra la famiglia Torroja e l’Ordine del Tem-

pio si collegano alle vicende politiche della famiglia dei vi-sconti di Bas nel Regno d’Arborea.

Morto Barisone I de Serra, sovrano del Regno d’Ar-borea, alla fine dell’anno 1185, la sua vedova Agalbursade Bas-Cervera (figlia di Poncio de Cervera visconte diBas e della principessa Almodis, sorella di Raimondo-Be-rengario IV, conte di Barcellona e re designato della Co-rona d’Aragona) pretese di aver diritto sul Regno di Ar-borea insieme a suo nipote Uch Ponçet I de Cervera vi-sconte di Bas40.

Seguendo la linea generazionale, la corona de logu ar-borense intronizzò Pietro I, figlio di primo letto di Bari-sone, il quale per mantenere il trono nel confusissimo pe-riodo che seguì pare che si sia alternativamente alleato coiPisani e con i Genovesi, mentre Uch Ponçet I, con la ziaAgalbursa e l’appoggio del re d’Aragona, occupavano par-te del territorio d’Arborea, compreso il castello di Serla pres-so Norbello, aiutati da soldati catalani41.

Morta Agalbursa, dopo il 1186 i diritti di successionericaddero sul nipote Uch Ponçet I de Bas, posto sotto latutela dello zio Ramon II de Torroja. Nel 1192, intitolandosirex et iudex Arborensis egli promette, tramite il suo cura-

Sindia: chiesa di Santa Maria di Corte [foto S. Castello]

tore Ramon de Torroja, di consegna-re al Comune di Genova il castello diSerla che già da tempo era reclamato,e di dare la metà delle rendite che spet-tano al Regno d’Arborea ed al suo pa-trimonio personale.

Ramon de Torroja figura come ca-pitano di una compagnia di cavalieri esoldati catalani al servizio della casa Bas-Cervera. Egli, con gli altri compagni,promise di abbandonare questa forti-ficazione prima del mese di maggio se,prima di questa data, avessero abban-donato l’isola.

Il successore di Agalbursa, UchPonçet I de Bas, grazie al suo curato-re Ramon de Torroja ed ai cavalieri ca-talani delegati del re Alfonso, ottennealla fine un buon risultato obbligandoil giudice legittimo di Arborea, PietroI de Serra, ad accettare un patto, peravere uguali diritti ed autorità nel Re-gno senza che uno fosse superiore al-l’altro. È una vera vittoria dei catalanied in particolare di Ramon de Torroja,uomo di straordinaria abilità, tenacia,energia e buona sorte, aver ottenutoquesta uguaglianza.

Ma chi erano effettivamente questicavalieri catalani, di cui Ramon de Tor-roja poteva disporre prontamente e confacilità? Occorre faredelle precisazioni.

La vera istituzionedell’Ordine del Tempioin Catalogna non siverificò fino al tempodi Ramon BerenguerIV, zio di Agalbursa: ilconte donò loro gran-di proprietà sia in Ca-talogna che in Aragona,e molti privilegi edesenzioni, tanto cheegli si obbligò a nonfare mai pace con i

mori senza il consenso dei Templari.Con 24 suoi cavalieri, il Conte si im-pegnò a servire l’Ordine per un annocome “associato” del Tempio, promi-se di dare al momento della propriamorte tutto il suo abbigliamento diguerra e, fintanto che viveva, una pen-sione annuale di 20 morabatini e 2 lired’argento42.

Tra le tante famiglie notabili cata-lane, quella dei Torroja fu tra le più ge-nerose sia nei confronti degli Ospeda-lieri di San Giovanni, ma soprattuttonei confronti dell’Ordine del Tempio.

In particolare risalta la figura di Ra-mon II de Torroja: zio e tutore di UchPonçet I, fu marito di Gaia de Cer-vera43; padre di Arnau de Torroja, ilquale nel 1156-66 fu Maestro tem-plare in Catalogna e Aragona, nel1167-80 Maestro in Spagna e Pro-venza, e nel 1181-84 Maestro Gene-rale dell’Ordine del Tempio; fratellodi Ramon de Golf o Gurb che nel1200-01 fu Maestro templare di Pro-venza e Spagna.

Insieme alla moglie Gaia ed ai fi-gli, Ramon II fece importanti dona-zioni alla commanderia templare diBarbens e allo stabilimento dell’Es-pluga de Francolì, e in due suoi tes-

tamenti espresse lavolontà di essere se-polto negli stabili-menti templari e difare dono all’Ordinedei cavalli ed armatu-re44.

Riguardo la con-temporanea presenzanei Regni giudicali sar-di della famiglia Torrojae dei Templari nellostesso periodo, nono-stante finora non siastato rinvenuto alcun

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Araldica dei Visconti Bas

Araldica di Arnau de Torroja

Norbello: chiesa di N.S. della Mercede – interno [foto S. Castello]

documento che ne accomuni le vicende, i fatti finora elen-cati ci consentono di ipotizzare un forte legame tra loro,soprattutto attraverso l’azione di Ramon II de Torroja: cre-diamo che tutto ciò ebbe un inevitabile riflesso nella po-litica e negli avvenimenti che occorsero nel Regno d’Ar-borea.

LA STORIA NEI DOCUMENTII pochi i documenti arrivati fino a noi attestano inequivo-cabilmente la presenza dell’Ordine del Tempio nei Regni giu-dicali sardi:

una lettera del 1198 di papa Onorio III, stilata in oc-casione di una controversia tra l’arcivescovo d’ArboreaGiusto ed il suo capitolo di canonici, indica indirettamentela possibile presenza ad Oristano o nell’Arborea dei Tem-plari45;

Con la bolla Inter cetera del 21 novembre 1216, papaOnorio III si rivolge anche ai Magistris (Militiae Templi etHospitalis gerosolimitani) delle Province ecclesiastiche di Tor-res, Arborea e Cagliari46.

In una serie di brevi del 1249, il pontefice InnocenzoIV nomina come legato Apostolico di Sardegna e Corsi-ca l’eletto turritano Gregorio di Montelongo. Rivolgendosipoi a tutti gli ecclesiastici e laici di Sardegna e Corsica, or-dina loro di ubbidire umilmente e de votamente all’elet-to turritano, suo legato. In particolare, col breve FratribusMilitiate Templi per Sardiniam constitutis raccomanda aiTemplari di prestare il loro appoggio militare ed il loro con-siglio all’eletto turritano47: questo documento ci permet-te di intuire quanto l’Ordine del Tempio, già da tempo pre-sente in Sar degna, fosse organizzato al punto da avere pro-babilmente a disposizione strutture difensive tali da potergarantire l’impegno richiesto.

Con la bolla Dura Nimis del 1291, papa Nicolò IV dàmandato a Princivalle, arcivescovo di Cagliari, di riunirein Concilio provinciale i vescovi suffraganei per discute-re sull’unione dell’Ordine del Tempio con quello di SanGiovanni di Gerusalemme48.

Con una serie di bolle datate 12 agosto 1308, papaClemente V dà mandato all’arcivescovo arborense e aifrati predicatori, di inquisire contro l’Ordine del Tem-pio in ciascuna delle tre province ecclesiastiche di Tor-res, Arborea e Cagliari49, col concorso degli arcivescovie dei vescovi suffraganei50. Affida all’arcivescovo d’Ar-borea ed a Nicolò vescovo di Bosa l’amministrazione deibeni mobili ed immobili che appartennero ai Templaridi Sardegna. Convoca poi al concilio di Vienne l’Arci-vescovo di Torres con il vescovo di Bosa, l’Arcivescovod’Arborea Santa Giusta e Civita, l’Arcivescovo Calari-tano ed il vescovo di Dolia.

Tutti questi documenti attestano dunque la presen-za dell’Ordine del Tempio nei Regni di Torres, Arboreae Calari e l’esistenza nell’isola di un patrimonio templare,senza fornire però ulteriori particolari sulla esatta ubi-cazione delle mansioni ed ospedali che probabilmenteesistettero e furono operativi in prossimità dei centri ur-bani più importanti, dei porti marittimi più frequentati,o nei punti strategici lungo le principali vie di comu-nicazione.

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Una lettera del 1198 di papa Onorio III, stilata in occasione di unacontroversia tra l’arcivescovo d’Arborea Giusto ed il suo capitolo dicanonici, indica indirettamente la possibile presenza ad Oristano onell’Arborea dei Templari

Concilio Vienne (1311)

Secondo alcune nostre accurate ipotesi, sia il castello diGirapala (prov. Oristano) che il complesso di Santa Ma-ria ad Uta susu (prov. Cagliari) potrebbero essere stati inuso dei cavalieri Templari.

LA PRECETTORIA DI SANTA MARIA DI UTA.Costruito in stile romanico e risalente ad un’epoca che puòessere compresa tra la metà del XII e gli inizi del XIII secolo,il complesso di edifici di Santa Maria di Uta costituirebbeprobabilmente una precettoria o domus attribuibile all’Ordinedel Tempio, comprendente la chiesa con annessi i resti diun edificio di tipo monastico con chiostro e pozzo.

Situato nella curadoria di Decimo, il complesso di edi-fici che costituivano la «domus Sancte Marie d’Uta», puressendo attestati di proprietà dell’Ordine di San Giovan-ni di Gerusalemme in un documento del 1363 indirizza-to dal re catalano-aragonese Pietro IV a Berengario Car-roz, conte di Quirra, risultano deserti «propter malam ad-ministrationem suorum dominorum»51.

Nel 1365, probabilmente a causa di questo motivo, ladomus entrò a far parte delle proprietà della Mensa arci-vescovile di Cagliari, affidata per la cura delle anime al ret-tore Paolo della Pergola52.

Questa particolare situazione, verificatasi anche in tan-te altre località europee, potrebbe essere giustificata dalfatto che quando i Giovanniti ricevettero le proprietà ap-partenute all’Ordine del Tempio, in seguito alla bolla pa-pale Ad providam Christi vi-cari del 1312, non solonon furono in grado diprovvedere al loro mante-nimento, ma in molti casinon riuscirono neppure aentrarne in possesso, datasoprattutto la loro inade-guata organizzazione in-terna.

Nel caso specifico, alcuni indizi che legano in modo par-ticolare un vescovo di Dolia con Uta ci portano all’Ordi-ne del Tempio.

Riguardo la citata bolla Dura Nimis del 1291, dobbia-mo credere che il papa Nicolò IV tenesse in particolar modoa conoscere il parere dei prelati della provincia cagliarita-na sull’unione dell’Ordine del Tempio con quello degli

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chiesa di Santa MariaFacciata [foto S. Castello]

Uta:chiesa di SantaMaria – peducci configure dinodi [foto S. Castello]

Ospedalieri di San Giovanni, perché nelle fonti si fa men-zione di una precedente lettera sullo stesso argomento, cer-tamente più personale, indirizzata sempre allo stesso ar-civescovo di Cagliari53. Tra i suffraganei che parteciparo-no a questo Concilio provinciale, ci fu sicuramente ancheil vescovo di Dolia, Gonario de Milli54.

Con bolla del 12 agosto 1308 papa Clemente V dà man-dato all’arcivescovo arborense e ai frati predicatori Petrel-la di Nepi e Bertrando de Roccavilla, di inquisire control’Ordine del Tempio in ciascuna delle tre province eccle-siastiche di Torres, Arborea e Cagliari55, col concorso de-gli arcivescovi e dei vescovi suffraganei56, compreso quin-di anche il vescovo di Dolia.

Anche la citata bolla del 1308, riguardo la convocazionedel concilio di Vienne per l’abolizione dell’Ordine del Tem-pio, è diretta oltre che all’arcivescovo di Cagliari anche alvescovo di Dolia, non nominato, che regge l’episcopato dal1308 al 1317 e che interviene nel 1311 al concilio di Vien-ne insieme, appunto, all’arcivescovo di Cagliari Ranuccioe a numerosi vescovi sardi57.

Durante il periodo della cattura e delle fasi processua-li, i beni sardi dell’Ordine del Tempio furono affidati al-l’arcivescovo di Arborea ed al vescovo di Bosa58: dopo ilconcilio di Vienne non si ha però alcuna notizia riguar-do la loro amministrazione, poiché le fonti tacciono sul-la destinazione di tali proprietà.

Se con la bolla Ad providam Christi vicari del 1312, papaClemente V destinava i beni templari all’Ordine di San Gio-vanni, con l’altra bolla Nuper in generali sempre del 1312,dichiarava che in Catalogna, Aragona, Rossellò, Valencia,Castiglia e Portogallo la destinazione dei beni del Tempioera sospesa e riservata alla Sede Apostolica. In virtù di ciòiniziarono nuovi negoziati tra la Santa Sede ed i re iberi-ci per accordare la destinazione di tali beni59.

Ciò che spinse il Papa a “congelare” questi beni piutto-sto che attribuirli ai Giovanniti fu, probabilmente, da unaparte il risultato delle inquisizioni che dimostrarono l’in-nocenza degli accusati, e dall’altra l’occasione per far con-tinuare a vivere l’Ordine del Tempio sotto nuovo nome perpoterne utilizzare ricchezze e forze per una giusta causa, qua-

Uta: chiesa di Santa Maria – croci sovrapposte[foto S. Castello]

le la difesa delle nazioni iberiche dalla presenza saracena.D’altro canto, Giacomo II d’Aragona avrebbe preferi-

to acquisire tutto il patrimonio templare poiché il tesoropubblico era molto debilitato60: ma non essendo possibi-le ciò almeno per quanto riguardava i castelli, i luoghi ele terre, e non gradendo che gli Ospedalieri di San Gio-vanni potessero accrescere la loro influenza e potenza conl’acquisizione di tale patrimonio, egli propose al papa Gio-vanni XXII di concedere questi beni al nuovo Ordine diNostra Signora di Montesa, riconosciuto come tale con labolla Ad fructus uberes del 131761.

Nonostante questi fatti, per quanto riguarda i beni sar-di le fonti tacciono, e per capire cosa realmente può esse-re successo dobbiamo utilizzare altri dati forniti dalle fon-ti disponibili.

Nel 1341-42, il vescovo di Dolia, Saladino, versa le de-cime come rectore ecclesie de Uta62: la chiesa di Santa Ma-ria non è nominata espressamente, ma se facciamo riferi-mento alle bolle papali ed ai concili provinciali citati in pre-cedenza, sembra che non sia una casualità il fatto che pro-prio il vescovo di Dolia avesse in custodia la presunta do-mus templare di Santa Maria di Uta. L’ipotesi è che il ve-scovato di Dolia, presente e partecipe con un suo rappre-sentante nei procedimenti per l’estinzione dell’Ordine delTempio, abbia avuto in affidamento la ex proprietà tem-plare di Santa Maria di Uta per tenerla “congelata” nellesue mani, in nome e per conto della Chiesa di Roma, inattesa di ulteriori disposizioni.

Nella maggior parte dei casi, questi beni “congelati” fi-nirono successivamente per passare comunque nelle manidegli Ospedalieri di San Giovanni.

Ebbene, due lettere del 23 gennaio e 15 febbraio 1355di convocazione al Parlamento di Cagliari indetto dal rePietro IV d’Aragona, vengono indirizzate al «Venerabili etreligioso .. Priori Sancte Marie d’Uta e Pixanurri»63: anchein questo caso non è citato l’Ordine di appartenenza delpriore, ma possiamo pensare che egli fosse un ospedalie-re di San Giovanni, in quanto le due proprietà di Uta e diPittinuri sono citate successivamente dalle fonti come ap-partenenti proprio a questa Istituzione64.

Ed è proprio l’accorpamento di queste due domus e laloro supposta indipendenza dal priorato di Sette Fontane

che ci portano ad ipotizzare l’originaria aggregazione adaltro diverso Ordine equestre: potremo supporre quindiche le domus di Uta e Pittinuri siano appartenute inizial-mente all’Ordine del Tempio, e che dopo la soppressionedi questo siano passate in mano ai Giovanniti iberici. Nonessendo questi ultimi in grado di amministrarle poiché nonresidenti nell’isola, la mansione di Uta si trovò ben prestodeserta, finendo successivamente tra i beni della Mensa ar-civescovile di Cagliari, così come attestato dalle fonti.

Gli esiti di studio su alcuni elementi architettonici dellachiesa, sembrano poter rafforzare l’ipotesi che la domus di Utapossa essere stata una proprietà dell’Ordine del Tempio.

La ricca e originale iconografia lapidaria, presente nel-le mensole all’esterno della chiesa di Santa Maria ci of-fre ancora oggi una moltitudine di sculture con rappre-sentazioni di figure vegetali e animali, motivi geometri-ci – tra cui alcuni a forma di nodo – e persino una fac-cia barbuta e capelluta, che potrebbero trovare riscontroin una simbologia esoterica perpetuata da maestranze diconfraternite di costruttori strettamente collegate al-l’Ordine del Tempio.

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Banari: chiesa di Santa Maria di Sevecroce a tau [foto S. Castello]

In particolare, alcuni conci – posti in opera nel para-mento murario sinistro – portano scolpite una serie di cro-ci biforcate che, più che un’iconografia religiosa, possonorappresentare una simbologia di tipo araldico: queste cro-ci si possono verosimilmente accostare a quelle presenti nel-le insegne rappresentative dell’Ordine di San Giovanni, ilquale adottò il tipo di croce biforcata con i bracci ugua-li, però, solo dopo il 131065.

Un esame più attento di tali segni lapidari rivela l’esi-stenza di alcuni particolari finora trascurati: la lunghezzadei due bracci non è uguale, e la croce quindi non è di tipogreco66, bensì di tipo latino; in alcuni bracci si può nota-re ancora una riga più tenue che unisce le punte a due adue, le quali punte sono invece scolpite in modo più profon-do e chiaro. Tutto ciò sembra indicarci la probabile esistenzadi un’araldica sottostante, verosimilmente una croce pa-tente, se di questo si tratta, a cui poi è stata sovrappostala croce con le punte bifide, che si dovette probabilmen-te adattare alla prima per potersi sovrapporre.

L’uso di contrassegnare tutte le proprietà mobili ed im-mobili con dei simboli identificativi era comune a tutti gli

Ordini religiosi ed equestri medievali, ed è rilevante no-tare che per soddisfare a questo scopo ognuno di essi adottò,come segno distintivo, proprio il simbolo della croce67.

Croci di diverso tipo e colore, oltre essere presenti neigonfaloni e sigilli dei vari Ordini, contrassegnavano anchegli abiti dei frati e dei cavalieri, gli utensili di uso comune– come tegole, piatti e stoviglie –, gli animali e gli edificidi loro pertinenza: nella facciata della chiesa di Santa Ma-ria di Seve, presso Banari, si possono infatti notare delle cro-ci a Tau, tipiche dell’Ordine ospedaliero di San Giacomodi Altopascio, scolpite in alcuni conci calcarei insieme aduna epigrafe medievale68; e all’esterno della chiesa di SanLeonardo di Sette Fontane, presso Santulussurgiu, anticopossedimento dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme,ai lati di una porta laterale – oggi murata – che anticamentesi apriva nella corte dell’edificio ospedaliero, due dadi di mar-mo portano scolpite due croci biforcate, chiamate dagli stes-si Giovanniti: «le arme della Religione»69.

Se, contrariamente a questa nostra ipotesi, la mansio-ne di Uta fosse stata fin dall’origine pertinenza dei Gio-vanniti, e se questi avessero contrassegnato la proprietà conla loro araldica – come era uso e consuetudine – credia-mo non dovettero avere altra motivazione nel bisogno disovrapporre un’altra croce diversa dalla prima, se non peril fatto che probabilmente la stessa proprietà appartenneinizialmente ad altro diverso Ordine.

In conclusione, potremo quindi ipotizzare che prima de-gli Ospedalieri furono probabilmente i Templari a dete-nere ed amministrare la domus di Uta, la quale potrebbeessere stata una vera e propria precettoria, cioè un com-plesso fortificato con la sua chiesa, visti i resti presso la chie-sa di un edificio “a corte” ed il vicino toponimo di sa tur-ri (la torre) che farebbe pensare ad opere di difesa70.

CASTELLI GIUDICALI E ORDINI EQUESTRI: IL CASTELLO DI GIRAPALAAlcune bolle papali che hanno come oggetto il castello diGirapala71, suggeriscono l’ipotesi che tale fortificazione pro-babilmente costituì in quel momento storico la sede rap-presentativa della Chiesa di Roma, e per questo motivo af-fidata in custodia probabilmente agli Ordini equestri pre-senti nella regione, votati maggiormente a tali compiti.

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Settefontane: chiesa di San Leonardocroce di Malta[foto S. Castello]

Donato a titolo di pegno nel 1237 dal re d’Ar -borea Pietro II de Bas-Cervera al Papa Grego-rio IX, in segno di fedeltà e vassallaggio alla SedeApostolica, il castello di Girapala fu affidato al-l’arcivescovo arborense Torgotorio de Muro colcompi to di amministrarlo e custodirlo, e quin-di di dotarlo di ogni cosa necessaria e sufficiente.

Lo stesso Pontefice nel 1238 in una letteraindirizzata a Pietro II re d’Arborea, oltre a ri-badire che il “castro Gerapolis” è dato in custo-dia al citato arcivescovo d’Arborea, precisa chequest’ultimo doveva “in eo custodes fideles et ido-neos deputari”72.

E’ fuor di dubbio che tale l’arcivescovo ebbebisogno di gente d’armi esperta nella gestionedi fortificazioni, guerrieri in grado di saper accudire ed uti-lizzare al meglio, in nome del Papa, il castrum: le fonti at-testano la presenza dei Giovanniti e dei Templari accan-to alla sede vescovile arborense già consolidata dal 119873,e se è vera l’ipotesi che furono proprio i visconti di Bas-Cervera, tramite Ramon de Torroja, che facilitarono il loroinsediamento in Sardegna nella seconda metà del sec. XII,possiamo ragionevolmente ipotizzare che probabilmentequesto castello fosse fino ad allora già amministrato pro-prio dai Milites Templi, ve ro braccio armato della Chiesadi Roma.

Una possibile conferma che i custodi fedeli e idonei chedi fatto ebbero in detenzione il castello fossero proprio iTemplari, la potremo trovare nel breve del giugno 1249,Fratribus Militiate Templi per Sardiniam constitutis, col qua-le papa Innocenzo IV raccomanda ai Cavalieri del Tem-pio di prestare il loro appoggio militare ed il loro consi-glio all’eletto turritano74: questo documento ci permettedi intuire quanto l’Ordine del Tempio, già da tempo pre-sente in Sar degna, fosse diventato potente ed influente nel-l’isola tanto da spingere il pontefice a formulare una similerichiesta per forni re un valido appoggio militare e tattico;

Il castello di Girapala, poi, non dovette essere sempli-cemente un piccolo baluardo per la sorveglianza e la di-fesa di territori o vie di comunicazione, bensì un castrumpoderoso ben dislocato e ben fornito tanto da richiedereper il suo mantenimento ingenti spese, quantificate comeun terzo dei proventi della diocesi arborense, così come at-testato da altra bolla papale del 125575.

Quest’ultima fonte documentale ci permette di intui-re l’importanza di tale fortificazione, eretta a probabile sim-

bolo della presenza della Chiesa di Roma nell’isola, tale dasuscitare l’interesse di due papi che – per cercare di man-tenere in vita tale fulcro difensivo in crisi per gravi problemifinanziari intervenuti – non esitarono a caricare la provinciaecclesiastica sarda delle spese affidate in passato all’arci-vescovo di Arborea, esentando l’Ordine monastico ci-stercense e gli Ordini equestri dei cavalieri del Tempio edegli ospedalieri di San Giovanni e di Altopascio, tutti evi-dentemente stanziati da tempo nel territorio.

In conclusione, quindi, è logico pensare che i Templa-ri avessero probabilmente a disposizione costruzioni di tipomilitare con cui garantire una presenza simbolica dello Sta-to Pontificio in Sardegna ed al tempo stesso una certa si-curezza e difesa contro coloro che attentavano ai disegnidella Chiesa, e che una di queste fu probabilmente pro-prio il castello di Girapala.

CONCLUSIONII vari conflitti bellici tra pisani, sardi e iberici, i periodi dicarestia ed il dilagare della peste decimarono la popolazione,riducendo forzatamente le rendite e causando conse-guentemente il crollo dei prezzi delle coltivazioni76.

Tutto ciò contribuì sicuramente a determinare una cri-si anche nell’amministrazione dei beni degli Ordini eque-stri, con il conseguente abbandono delle “ville” da partedegli abitanti ed il progressivo decadimento degli edificireligiosi, civili e militari.

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Particolare della carta di A. Ortelius"Insulaum Aliquot Maris Mediterranei

Descriptio" (1598).

Al contrario del castello di Girapala, scomparso dallecartine geografiche già da qualche secolo, la frequentazionedella chiesa di Santa Maria di Uta – probabilmente maiinterrotta da parte delle popolazioni locali – ha permes-so a questo importante esempio dell’arte romanica in Sar-degna di giungere pressoché intatto fino ai giorni nostri,ma non ha impedito all’inesorabile azione del tempo di can-cellare dalla memoria dei popoli il ricordo delle opera so-ciale e militare di quegli Ordini equestri, che molto pro-babilmente non furono solo uno dei principali motori del-l’economia rurale dei suddetti centri abitati, ma in alcu-ni casi determinarono probabilmente l’aggregazione e lanascita degli stessi.

Della presenza di quei coraggiosi cavalieri non rimaneoggi che qualche povera chiesa rurale: solo in rari casi, dal-le fonti traspare il senso e la finalità dei loro gesti. Infat-ti, i documenti conservati ancora nei vari archivi europeidescrivono in gran parte l’acquisizione di beni e privile-gi, ma non raccontano quasi mai le gesta, la loro azionesociale, la coerenza permanente nell’attuazione delle lorofinalità.

Furono proprio gli Ordini equestri medievali, presen-ti anche in Sardegna grazie alla munificenza dei sovrani giu-dicali, a portare in Europa nuove tecniche di combattimentoe di addestramento militare, ponendo a disposizione del-le popolazioni locali la loro esperienza ed abilità matura-ta in Oriente nel corso dei conflitti contro i musulmani.

Ma nonostante l’ideale cavalleresco si sia oscurato so-prattutto con la loro scomparsa, la tradizione equestre sar-da è tutt’oggi ancora viva e pulsa ogni anno in tanti cen-tri isolani, e si manifesta con le corse a “palio” e le “ardie”,e con le varie giostre all’anello o alla stella.

Crediamo sia molto importante recuperare la storia ele vicende del Medioevo sardo ed in particolare le vicen-de legate alla presenza degli Ordini equestri nei Regni giu-dicali sardi.

Ma siamo convinti sia ancor più importante divulgare tut-to ciò in modo corretto e scientifico, e rigettare senza esi-tazione tutte quelle false informazioni che hanno l’unico evi-dente scopo di creare falsi miti per la propria vanagloria.

In questo senso, il compito di recuperare e salva-guardare le testimonianze che segnarono in modo in-delebile la storia della nostra Isola crediamo spetti adognuno di noi, al fine di perpetuare così nel modo mi-gliore la vitalità di questa originale identità sociale cheè la Sardegna. S.Castello

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Particolare della carta di A. Ortelius"Insulaum Aliquot Maris Mediterranei De-scriptio" (1598).

Settefontane: complesso ospedaliero di SanLeonardo [foto S. Castello]

NOTE

1 CASTELLO 2007a, pp. 3-202 ATZENI 1960; MELONI 1981; CHERCHI PABA 1956; AMAT DI S. FI-LIPPO 1959; LUTRELL 1994; ALBERTI 1994; MASSIDDA 19...?;CRUDELI 1952; TODDE 1950.3 Dagli esisti delle nostre ricerche, le quali sono solamente ad un pri-mo stadio avanzato, è possibile confermare la ripetitività dei modulicostruttivi architettonici secondo i dettami delle Regole proprie aciascun Ordine equestre: in particolare, la planimetria delle man-sioni rispetta infatti, in modo puntuale, i moduli costruttivi ed or-ganizzativi dei principali stabilimenti di riferimento, le cosiddette“case madri”. Fatto questo di rilevante importanza anche per tuttociò che riguarda le relazioni politiche, culturali e commerciali chela nostra isola ebbe con l’oltremare. Cfr.: CASTELLO 2000; CASTELLO

2000-2001, pp. 257-261.4 CIBRARIO 1846, I, p.114.5 CASTELLO 2007b; CASTELLO 2007d; CASTELLO-CADEDDU-SERRELI

2008; 6 Sul tema delle crociate, tra la ricca bibliografia, cfr. CARDINI 1971;CARDINI 1972; CARILE 1971; RUNCIMAN 1994; MAALOUF 2001.7 SANNA 1958, pp. 46-47; ORUNESU - PUSCEDDU 1993.8 OLIVA 1999, pp. 91-92, nota 34.9 BESTA 1908-1909, p. 116, nota 61.10 OLIVA 1999, pp. 92-93.11 D’ARIENZO 2000, p. 189, doc. 16;12 CASULA 1990, pp. 346-347.13 La storia del regno di Gallura è la più oscura e frammentaria traquelle dei giudicati sardi. Non sorprende quindi l’assenza di testi-monianze relative ai pellegrinaggi devozionali ed armati di quei so-vrani.14 OLIVA – MELE 2000, p. 888.15 La Sardegna era sulla rotta marittima dei pellegrini che partiva-no da Marsiglia, cfr. LONDONIENSI 1885, p. 209. Su questo aspet-to cfr. STOPPANI 1995, in partic. pp. 30, 103-104.16 E’ attestato dalle fonti un «Petru de Serra» con l’appellativo «deJerusale». Vedi: BONAZZI 1900, doc. 96, p. 28, e doc. 302, p. 78.– «Furatu de Varca», invece, fece una donazione alla chiesa quan-do andò a Gerusalemme: vedi BONAZZI 1900, doc. 263, p. 67.17 COSSU 2001, p. 13; Cfr.: BOSCOLO 1978.18 CASTELLO 2005, pp. 377-382; CASTELLO 1995; CASTELLO

2001.19 CASTELLO 2007a; CRUDELI 1952; CHERCHI PABA 1956; MIGHELI

1950; MASSIDDA 19..?; CORONEO 2005, II, pp. 45-58; ATZENI 1960;ATZENI 1950.20 CASTELLO 2000; CASTELLO 2000-2001, pp. 257-261; CASTEL-LO 2004.21 SPANO 1852, pp. 1-8; TOLA 1861, I, parte seconda, doc. XLVIII,p. 701; BONU 1973, p. 43.22 In un documento del 1363, emesso dalla cancelleria giudicale ar-borense, è lo stesso sovrano Mariano IV d’Arborea che afferma «nosqui sumus de genere fundatorum et dotatorum ipsius curie et aliorummembrorum suorum», attribuendo a se stesso ed alla propria fami-

glia dei Bas-Serra la paternità della fondazione della curia Giovan-nita di San Leonardo di Sette Fontane – per lo zelo devozionale ver-so questa istituzione – comprovata anche dalla presenza di «antiquosquaternos composicionum nostre curie» che ne attestavano la sussistenzada vecchia data. Vedi: CASTELLO 2007a, p. 9.23 Per quanto riguarda l’organizzazione amministrativo-territorialedell’Ordine del Tempio in Italia, vedi: TOMMASI 1981; CAPONE 1981;GILMOUR-BRYSON 1982; CAPONE-IMPERIO-VALENTINI 1989; AA.VV.1989; BRAMATO 1991.24 Cfr..: DELAVILLE LE ROULX 1894-1906, I, n.627, pp. 425 – 429,a p. 427 ; CECCARELLI LEMUT 2002, p. 125.25 CENCI 1996; DEL CANTO 1995; BIAGIOTTI - COTURRI 1991; BER-TELLI 1995.26 Cfr.: LUTTRELL 1994, I, p. 505 – 507.27 Il nuovo Ordine iberico di Nostra Signora di Montesa, creato ap-positamente per accogliere uomini e proprietà appartenuti all’Or-dine del Tempio nella Corona d’Aragona, fu presente al fianco deisovrani iberici nelle campagne militari per la conquista della Sardegna.Cfr.: JAVIERRE MUR 1959, pp. 571 – 578.28 Anche altri Ordini equestri iberici, come quelli di Calatrava e Al-fama, erano presenti in Sardegna per partecipare alle varie operazionimilitari. Cfr.: ARMANGUÉ I HERRERO - CIREDDU ASTE - CUBONI

2001, doc. 5, p. 57; Cfr.: D’ARIENZO 1983, p. 43–80.29 A.C.A., Cancilleria, C.R.D., cassa 7, carta 895, regestata da D’A-RIENZO 1970, n. 57, p. 28; cfr.: MELONI 1981, pp. 549 – 558.30 ACA, Canc., C.R.D., cassa 7, carta 896, regestata da D’ARIEN-ZO 1970, n. 58, p. 28; cfr.: MELONI 1981, pp. 549 – 558.31 ACA, Canc., C.R.D., cassa 7, carta 897, regestata da D’ARIEN-ZO 1970, n. 59, p. 29; cfr.: MELONI 1981, pp. 549 – 558.32 Cfr. MYRET Y SANS 1910, p. 405.33 Cfr: CASTELLO 2007c. Elemento basilare per l’allevamento di di-versi animali e, quindi, per la sopravvivenza delle varie comunità,le boscaglie, oltre a costituire l’unica fonte energetica di cui le po-polazioni locali disponevano, fornivano la legna ed il carbone pergli impieghi domestici e per le piccole attività artigianali ed in granparte il legname per travi e assiti delle abitazioni e per la costruzionedi mobili, di botti per il vino, attrezzi agricoli, carri e molini. Cfr.:BECCU 2005, p. 243 e ss..34 Da una carta del condaghe di San Nicola di Trullas, redatta trail 1132 ed il 1138, si ha notizia della partenza del giudice del Lo-gudoro dal porto di Torres per il continente, in una giornata di mag-gio e precisamente «sa die de Santu Michal de maiu»: questo nonfu l’unico viaggio compiuto da Gonario su navi pisane, per moti-vi sentimentali, religiosi o politici verso le rive dell’Arno. Cfr.: MER-CI 1992, doc. 179, p. 132 e doc. 330, p. 202.35 «...Porro turritanus iudex, quia bonus dicitur esse princeps, sit vo-bis maxime commendatus et a vobis manuteneatur...». Vedi: TOLA

1984-85, I, sec. XII, doc. LV, p. 215.36 SANNA 1958 - MIGNE 1878-1969, CLXXXV bis, coll. 995-1198.37 Vedi: TOLA 1984-85, I, sec. XII, doc. LVI, p. 216;38 CIBRARIO 1846, I, p. 126; BORDONOVE 1963, p. 73.39 SANNA 1958, p. 49.40 MIRET Y SANS 1901, p. 72

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41 MIRET Y SANS 1901, p. 7842 MYRET Y SANS 1910, p. 16.43 Gaia de Cervera era sorella di Agalbursa, figlia di Ponç de Cer-vera e di Adalmús contessa di Barcellona, nipote quindi di RamónBerenguer III conte di Barcellona e Provenza: quest’ultimo diven-ne cavaliere Templare nel 1130 facendo la prima donazione all’Ordinedel Tempio col castello di Granyena. Cfr. MYRET Y SANS 1910, p.16.44 Cfr. MYRET Y SANS 1910, pp. 104, 161.45 MIGNE 1878–1969a, vol. 214, lib. I, ep. CCXXIX, col. 294/7,p. 294.46 A.S.V., Reg. Vat. n.9, “Inter Cetera”; cfr.: PRESSUTTI 1888-95, I,reg. 111, p. 19.47 A.S.V., Reg. Vat. n.21ª, f.387r-v.48 A.S.V., Reg. Vat. 46; Cfr.: LANGLOIS 1886-1905, p. 903, n. 6793– 6795.49 A.S.V., Reg. Vat. 55, f. 205v; cfr.: SCANO 1940, parte prima, doc.CCCXXV, p. 230.50 A.S.V., Reg. Vat. 55, f. 206v; cfr.: SCANO 1940, parte prima, doc.CCCXXVI, p. 230.51 A.C.A., Canc., reg. 1036, ff. 134r e 135v; Cfr: D’ARIENZO 1983,p. 43–80.52 BOSCOLO 1958, p. 85 – BOSCOLO 1961, p. 17, nota 17 e p. 56.53 Cfr. PINTUS 1904, p. 33.54 SERRA 1992, p. 86 e sgg.55 A.S.V., Reg. Vat. 55, f. 205v; cfr.: SCANO 1940, parte prima, doc.CCCXXV, p. 230.56 A.S.V., Reg. Vat. 55, f. 206v; cfr.: SCANO 1940, parte prima, doc.CCCXXVI, p. 230.57 A.S.V., Reg. Vat. 55, f. 238-240; cfr.: SCANO 1940, parte prima,doc. CCCXXVIII, p. 231.58 A.S.V., Reg. Vat. 55, f. 212rv; cfr.: SCANO 1940, parte prima, doc.CCCXXVII, p. 230.59 Cfr.: SANS Y TRAVE’ 1991, p. 274 e ss. ; MIRET Y SANS 1910, p.380 e ss.60 Cfr.: SANS Y TRAVE’ 1991, p. 285 e ss.; MIRET Y SANS 1910, p.381.61 Cfr. MIRET Y SANS 1910, p. 380.62 SELLA 1945: p. 57, n. 529; pag. 66, n. 612; pag. 116, n. 1104.63 A.C.A., Canc., reg. 1025, c. 15v; cfr.: MELONI 1993, doc. 2, p.165 – A.C.A., Cancilleria, Papeles por incorporar, caja 22, n.484, c.3; cfr.: MELONI 1993, doc. 60, p. 257.64 Cfr.: CASTELLO 2007c.: Il locus de Pitxinurri fu devastato da unincendio il 16 agosto 1353, e fu forse a causa anche di questo mo-tivo che tale mansione gerosolimitana fu aggregata a quella di Uta,vista la convocazione agli Stati Generali di Cagliari del 1355 di unnon identificato priore di Sancte Marie d’Uta e Pixanurri. Cfr.: AR-MANGUÉ I HERRERO - CIREDDU ASTE - CUBONI 2001, II, doc. 19,p. 107 e sgg.; cfr.: MELONI 1993, p. 80, p. 165 doc. 2 e p. 257 doc.60; A.C.A., Canc., Sardinie, reg. 1025, c. 15v; A.C.A., Canc., Pa-peles por incorporar, cassa 22, n. 484, c. 3.In seguito, pur essendo stata concessa in feudo a privati, Pittinur-ri restò in mano agli Arborea sino alla fine del Giudicato: nonostante

ciò l’Ordine Giovannita non perse mai i diritti sui suoi territori, comerisulta da notizie risalenti al 1560 contenute in un cabreo del 1627.Cfr.: N.L.M., AOM 5969, carta 4 e ss.; ALBERTI 1994, pp. 105-108e 525-526.65 Cfr.: MIRET Y SANS 1910, p. 362 e ss. : In quell’anno l’Ordine,sotto la guida del Gran Maestro frà Foulques de Villaret, si stabilìnell’isola di Rodi dove visse uno dei periodi di maggior splendoredella sua storia, e dove creò la potente flotta che cominciò a solca-re i mari sempre in difesa della cristianità, fregiandosi nelle sue ban-diere delle croci ad otto punte così come oggi le conosciamo.66 Cfr.: SERRA 1989, p. 75.67 Nei primi ‘pellegrinaggi devozionali e armati’ in Terrasanta, tut-ti i vessilli dei vari Ordini equestri portavano la croce rossa, simbolodel sangue di Cristo sparso sulla croce. Ma prima della terza Cro-ciata «intervenne fra i Crociati delle diverse provenienze un accordo percui, pur rimanendo la croce il loro comune vessillo, ne furono cambiatii colori a seconda della provenienza dei guerrieri»: in MANARESI 1929,III, p. 966. Cfr.: BASCAPE’ - DEL PIAZZO 1983, p. 189, nota 1. Laconsuetudine di distinguere le milizie feudali attraverso l’uso di dif-ferenti colori è documentata nell’Alexiadis di Anna Comnena, lib.X, in SIEGENFELD 1900, p. 13: «Anno 1188 … Rex Franciae et genssua susceperunt cruces rubeas et rex Angliae cum gente sua suscepit cru-ces albas et Philippus come Flandriae suscepit cruces virides». Cfr.: BA-SCAPE’ - DEL PIAZZO 1983, p. 10.68 CASTELLO 2000, pp. 257-261.69 N.L.M., AOM 5969, carte 5 e 6.70 CASTELLO 2005a.71 Da noi identificato con la roccaforte di Casteddu Becciu di For-dongianus: cfr. CASTELLO 2005, p. 382.72A.S.V., Reg. Vat. n.19, f.39r., anno XII, c.190 – SCANO 1940, p.99, doc. CXLVI.73 In Sardegna, la presenza dell’Ordine Gerosolimitano è attestataper la prima volta nel 1198 in una lettera di papa Onorio III, in oc-casione di una controversia tra l’arcivescovo d’Arborea Giusto ed ilsuo capitolo di canonici, rappresentato dal presbitero Pietro de Stau-ra, nella quale risulta che un Giovannita fece le veci dell’arcivesco-vo d’Arborea in sua assenza: « …et hospitalarium quemdam, qui ha-bebat vestes ipsius archiepiscopi commendatas ad tempus, fecit in cu-stodia detineri… »; Cfr.: MIGNE 1878–1969a, vol. 214, lib. I, ep.CCXXIX, col. 294/7, p. 294.74 A.S.V., Reg. Vat. n.21ª, f.387r-v.75 A.S.V., Reg. Vat. n.24, f. LXXXIXv.76 Cfr.: LUTTRELL 1981, p. 594.

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