rilevanza clinica, epidemiologica e valutativa medico - società

107
TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY 656 TAGETE 4-2012 Year XVIII ISSN 2035 – 1046 RILEVANZA CLINICA, EPIDEMIOLOGICA E VALUTATIVA MEDICO LEGALE DEL RITARDO DIAGNOSTICO EVENTUALMENTE RISCONTRABILE NELL’AMBITO DELLE NEOPLASIE MALIGNE. PROFILI DI RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE, ASPETTI METODOLOGICI E APPLICATIVI. Clinical Relevance, Epidemiological and Forensic Evaluation of Diagnostic Delay Arising within the Malignancy. Profiles of Professional Responsibility, Methodological Aspects and Applications Angelo Porrone * ABSTRACT L’autore, prendendo lo spunto dalla problematica inerente il possibile ritardo diagnostico verificabile nell’ambito delle neoplasie maligne di maggiore impatto epidemiologico e che peculiarmente si prestano, proprio per le caratteristiche intrinseche della storia clinica naturale dei tumori stessi, all’occorrenza considerati ed esaminati, talora, a ritardi ed errori diagnostici di vario genere, si sofferma sui principali aspetti di carattere clinico, metodologico e applicativo medico legale che sono più facilmente individuabili e a cui consegue la formulazione del giudizio di merito, sia riguardo al problema dell’ eventuale responsabilità professionale medica che relativamente alle possibili ulteriori ricadute sotto il profilo clinico e applicativo. INTRODUZIONE * Coordinatore Medico Centrale - Responsabile UOC Area Studi, Ricerca e Procedure Medico Legali – Coordinamento Generale Medico Legale INPS - Roma.

Upload: khangminh22

Post on 08-Mar-2023

0 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

656 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

RILEVANZA CLINICA, EPIDEMIOLOGICA E VALUTATIVA MEDICO LEGALE DEL RITARDO DIAGNOSTICO EVENTUALMENTE

RISCONTRABILE NELL’AMBITO DELLE NEOPLASIE MALIGNE. PROFILI DI RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE, ASPETTI METODOLOGICI E

APPLICATIVI.

Clinical Relevance, Epidemiological and Forensic Evaluation of Diagnostic Delay Arising within the Malignancy.

Profiles of Professional Responsibility, Methodological Aspects and Applications

Angelo Porrone *

ABSTRACT

L’autore, prendendo lo spunto dalla problematica inerente il possibile ritardo diagnostico verificabile nell’ambito delle neoplasie maligne di maggiore impatto epidemiologico e che peculiarmente si prestano, proprio per le caratteristiche intrinseche della storia clinica naturale dei tumori stessi, all’occorrenza considerati ed esaminati, talora, a ritardi ed errori diagnostici di vario genere, si sofferma sui principali aspetti di carattere clinico, metodologico e applicativo medico legale che sono più facilmente individuabili e a cui consegue la formulazione del giudizio di merito, sia riguardo al problema dell’ eventuale responsabilità professionale medica che relativamente alle possibili ulteriori ricadute sotto il profilo clinico e applicativo.

INTRODUZIONE

* Coordinatore Medico Centrale - Responsabile UOC Area Studi, Ricerca e Procedure Medico Legali –

Coordinamento Generale Medico Legale INPS - Roma.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

657 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

Vengono essenzialmente delineati e sintetizzati i principali aspetti e gli indirizzi dottrinali e giurisprudenziali riferiti alla colpa professionale medica di tipo omissivo.

Si passa, poi, ad esaminare i più frequenti ritardi diagnostici riferiti alle seguenti fra le più comuni forme neoplastiche maligne, che maggiormente si prestano a confusioni diagnostiche, fra le quali sembrano emergere:

adenocarcinomi della mammella, nello specifico, altre particolari forme

tumorali mammarie come i più rari sarcomi; noduli primitivi polmonari; linfomi non Hodgkin nelle forme extralinfonodali primitive: midollare

spinale, pancreatico, cerebrale; sarcomi dei tessuti molli a basso grado, specie degli arti inferiori; presunte neoplasie primitive retroperitoneali di ndd; inquadramento e diagnosi di presunte metastasi cutanee.

Per quanto riguarda nello specifico gli attuali indirizzi giurisprudenziali e dottrinari medico legali, inerenti la colpa professionale medica di tipo omissivo, essi vertono essenzialmente, ancora una volta, sulla dimostrazione del nesso di causalità materiale esistente fra la colpa e il danno eventualmente verificatosi, ovvero fra la responsabilità professionale del medico intesa come condotta, inerente gli errori eventualmente commessi, a fronte dei comportamenti attesi, ossia quelli richiesti in pieno ossequio alla perizia, prudenza e diligenza necessari e auspicabili, in base alle diverse circostanze verificatesi, e il danno che ne sia esitato, danno prodotto, come si dice, in termini legali, “cum iniuria”, ovvero contra legem, ossia ingiusto, con infrazione di regole codificate di carattere generale ma assai più spesso in contrasto con i dettami e con le conoscenze specifiche di quella determinata disciplina di riferimento, valide al momento in cui si è verificato l’evento lesivo e in base alle conoscenze relative vigenti in materia, nella branca medica di riferimento.

Esistono, quindi due filoni o poli di riferimento in base ai quali deve essere formulato il giudizio medico legale relativamente al fatto o ai fatti reato ascritti in cui si va ad incardinare la responsabilità professionale medica di tipo omissivo.

Il primo aspetto riguarda la criteriologia medico legale di riferimento per la dimostrazione del nesso di causalità materiale fra la colpa medica e il danno eventualmente prodotto, laddove nell’indagine medico legale vanno indifferentemente individuati gli elementi essenziali che si riferiscono al riconoscimento e alla verifica dell’esistenza di uno o più errori medici di tipo omissivo, ossia la dimostrazione dell’esistenza di una vera colpa professionale medica e, in secondo luogo, come tale colpa abbia interagito con lo stato patologico del paziente e con il suo destino terapeutico indirizzandolo o meno in senso negativo, in quanto non appare affatto scontato che un errore medico di tipo omissivo abbia ingenerato automaticamente un

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

658 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

danno in termini prognostici, ovvero sia stato decisivo ai fini del mancato buon esito del trattamento o anche di un esito infausto che poteva anche essere del tutto atteso in base alle caratteristiche della storia naturale della malattia in atto, ovvero in rapporto ai dettami delle conoscenze scientifiche vigenti al momento in cui si è verificato l’evento avverso.

In pratica ai fini delle decisioni di merito, soprattutto in penale, nel caso di

errore omissivo, un ruolo fondamentale recita il cosiddetto giudizio controfattuale, ossia quanto si sarebbe verificato o potuto verificare, con elevata o elevatissima probabilità, in base ad un ragionamento critico rigoroso e ad una attenta e ponderata ricognizione di tutti gli elementi oggettivi qualificativi a disposizione, inerenti il caso specifico, se l’errore omissivo non si fosse verificato e, quindi di come lo stesso abbia pesato ai fini del buon esito di un trattamento e della risoluzione di quello specifico caso, in base ai dati in possesso della letteratura specifica del settore.

In definitiva ciò che si vuole e si deve evitare è proprio di attribuire ad un

determinato errore medico omissivo una valenza che non ha o non può avere, in modo tale che il medesimo venga inopinatamente considerato decisivo ai fini del verificarsi di un certo evento lesivo, comunque determinatosi, in quanto reputabile nell’ordine naturale delle cose e indipendente da tale errore, situazione tutt’altro che inusuale in medicina e in oncologia, in particolare.

La prospettiva è sempre quella di dimostrare che un determinato evento lesivo non si sarebbe verificato se non ci fosse stato l’errore medico, in grado, quindi, di agire quale causa efficiente e determinante ai fini del verificarsi di un determinato danno patito di alcun genere, tutto ciò ottenuto attraverso un rigoroso e puntuale ragionamento di tipo controfattuale, in grado di considerare le due ipotesi e di paragonarle, in caso di mancanza di errore medico e nel caso che lo stesso, altrimenti si sia verificato, con il danno conseguente verosimilmente prodotto, ciò che va dedotto in modo assolutamente concreto e circostanziato.

In caso contrario si arriverebbe ad una situazione i cui l’evento negativo

prodottosi, di tipo lesivo, verrebbe confuso nella colpa professionale del medico, attribuendogli le caratteristiche improprie del danno cum iniuria, potendo la colpa eventuale verificata apparire, magari per lo più indifferente e neppure condizionale rispetto allo stesso danno addotto.

Mostrandosi il problema di non facile soluzione in medicina legale, nei differenti

ambiti e discipline mediche in cui venga applicato, tale assunto appare ancora di maggiore difficile collocazione nel caso dell’evenienza di malattie neoplastiche.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

659 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

Le problematiche medico legali che si prestano maggiormente a verificarsi in oncologia possono essere di vario genere, ma sono essenzialmente riconducibili ad errori diagnostici di tipo omissivo, con un più o meno netto ritardo diagnostico conseguente che implica anche un ritardo terapeutico derivante, in una malattia neoplastica nel frattempo magari progredita verso stadi più avanzati rispetto al momento in cui, avendo già dato manifestazioni di sé, poteva essere trattata più precocemente, con interventi meno demolitivi e con migliori esiti e migliore prognosi globale, ai fini della sopravvivenza.

Tutto ciò se corrisponde ipoteticamente, in gran parte, alla verità dei fatti, non può essere standardizzato in assoluto, verificandosi situazioni fra le più disparate in cui le variabili non sono semplicemente costituite dalla precocità maggiore o minore della diagnosi, ma anche dai protocolli terapeutici applicati, più o meno aggiornati, dalla rispondenza o meno ai trattamenti specifici, dalla tollerabilità degli stessi, dalla completezza degli accertamenti diagnostici intrapresi, dall’efficacia dei trattamenti e dalla loro intrinseca tollerabilità, in definitiva dalle peculiari e intrinseche caratteristiche della storia clinica naturale della malattia neoplastica in atto, che si può giovare o meno di una prognosi molto o poco favorevole entro determinati limiti oggettivi, anche ma non solo, quindi, in base alla precocità e all’efficacia dei trattamenti intrapresi o ipotizzabili e allo stadio più o meno avanzato verificato.

Il vero problema è, quindi, riconducibile all’ipotesi, nel caso di mancata o

ritardata diagnosi relativa ad una neoplasia, all’individuazione dello stadio specifico in cui versava la malattia oncologica all’atto della mancata diagnosi, ciò che non sempre appare di facile collocazione; in effetti non sembra cosa agevole verificare lo stadio specifico in cui è stata effettivamente riscontrata la patologia in essere e valutare l’aggravio prognostico conseguente ad un errore omissivo diagnostico che ne sia derivato, sempre ipoteticamente, ovvero, in modo più appropriato, risalire alle conseguenze prognostiche valutabili, in modo rigoroso, in termini di probabilità ridotte in funzione dell’errore, ai fini della sopravvivenza globale e delle ulteriori conseguenze deducibili per la necessità di terapie più demolitive e più prolungate, ovvero delle lesioni e menomazioni di organi ed apparati che altrimenti sarebbero verosimilmente rimasti esenti da effetti primitivi o secondari terapeutici.

Ma in campo oncologico la valutazione prognostico non risente in modo

scalare della progressione della diffusione della malattia, sic et simpliciter, specie nel caso di neoplasie che si giovano, comunque, di una prognosi globale favorevole o molto favorevole, risiedendo tale tipo di osservazione nelle caratteristiche intrinseche della patologia neoplastica in essere.

Lo stadio, quindi, ossia il grado di avanzamento della neoplasia, la storia clinica naturale della malattia neoplastica con le sue peculiari caratteristiche, l’emendabilità della patologia in rapporto alle terapie ipotizzabili, ovvero le possibilità di guarigione

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

660 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

in rapporto alle cure protocollari effettuabili, le lesioni e le menomazioni consequenziali alle varie terapie intraprese o da istaurare, rappresentano gli aspetti essenziali del giudizio di merito di tipo medico legale, in campo oncologico, tutti in gran parte valutabili come concreto apprezzamento del danno futuro e di perdita di “chance”, in caso di sopravvivenza libera da malattia del paziente dopo le terapie, ovvero di danno ormai attualizzatosi, in caso di exitus del paziente o di lesioni e menomazioni persistenti apparentemente non dovute.

La valorizzazione degli elementi causali attraverso l’indagine compiuta con

l’applicazione dei ben noti criteri qualitativo, quantitativo, modale, cronologico, topografico, di esclusione di altre cause, ecc., normalmente utilizzati in medicina legale per la dimostrazione del nesso di causalità materiale, in campo oncologico risente abbastanza delle peculiarità specifiche della disciplina considerata, trattandosi in genere di malattie caratterizzate da una variabilità intrinseca legata alla loro storia naturale e ai diversi esiti delle cure intraprese, per cui è possibile solo in parte assimilarle fra loro, verificandosi, nella fattispecie, ad es., la circostanza di neoplasie solide, già con una prognosi intrinseca più o meno severa, a prescindere dai trattamenti comunque ipotizzabili o intrapresi.

Ma un vero, autentico problema è rappresentato, talora, dalla diagnosi

oncologica o anche istologica, relativa alla tipizzazione neoplastica, non sempre così ben compresa e codificata, nella pratica clinica, come si potrebbe immaginare.

La tipizzazione oncologica della malattia già di per sé rappresenta talvolta un

problema diagnostico rilevante, anche sulla base delle risultanze non sempre inequivoche degli esami istologici definitivi, laddove il clinico può evidenziare una diagnosi che appare in contrasto da quanto dedotto, magari erroneamente dal patologo, con problemi conseguenti all’ambito di responsabilità relativo al clinico e all’istologo, talvolta di difficile soluzione.

Ma è soprattutto l’analisi retrospettiva, puntuale e rigorosa, di segni e sintomi

antecedenti non ben valutati, anche di tipo radiologico e, più in generale, collegabili alla diagnostica per immagini, che può rappresentare, apparentemente, un vero problema in campo medico legale, relativamente alla dimostrazione del nesso di causalità materiale per una presunta condotta medica omissiva, laddove non sia immediatamente ed intuitivamente riconducibile alla patologia neoplastica successivamente verificatasi e, laddove si riesca anche a dimostrare che si tratti di un primo ed importante segno di quella malattia, manifestatosi antecedentemente.

D’altronde non appare affatto facile individuare lo stato di avanzamento, ossia lo stadio presunto, della malattia in quella fase in cui si sono manifestati segni e sintomi

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

661 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

riconducibili alla malattia neoplastica, e quindi le relative conseguenze, in senso di aggravio prognostico, eventualmente derivatone.

L’idea di riportare alcune esemplificazioni pratiche, quali tipologie possibili di casi

clinici, serve appositamente per poter mettere appieno in luce e valutare taluni aspetti ed ambiti della disciplina oncologica presa in esame, insieme all’opportunità verificata di specificare talune ricorrenti circostanze che maggiormente si prestano, proprio per le caratteristiche intrinseche delle neoplasie considerate, ad un ritardo ed errore diagnostico, al punto da rappresentare, sotto certi aspetti, come si direbbe, una categoria di errore diagnostico se non proprio un possibile tipo di errore seriale.

Il fattore dell’alta incidenza epidemiologica e dell’alta risonanza sociale di talune

patologie neoplastiche, come nel caso del tumore della mammella, rappresenta un altro aspetto condizionante anche nell’ambito dell’incidenza delle relative responsabilità professionali, quasi tutte incentrate sulla mancata diagnosi precoce specifica lamentata dal paziente.

Anche se apparentemente non sembrano avere una grande risonanza ai fini

epidemiologici, in senso stretto relativamente al problema delle denunce di responsabilità professionale verificabili, di fatto ben note patologie neoplastiche come i linfomi non Hodgkin, per la capacità di manifestarsi in diversi organi ed apparati extralinfonodali e per la sintomatologia clinica conseguente molto pleomorfa, sono in grado di ingenerare facilmente confusione diagnostica.

Identicamente i noduli primitivi polmonari, talvolta diversamente etichettabili e meritevoli, in ogni caso, di ulteriori approfondimenti diagnostici, i sarcomi dei tessuti molli, per l’indolenza delle forme morbose e la lentezza dell’evoluzione in moltissimi casi, alcune forme leucemiche croniche, facilmente confondibile, anche loro, con quadri clinici apparentemente similari e una serie di neoplasie di vario tipo, come i tumori testicolari o della prostata, per la loro frequente manifestazione a distanza in assenza, talvolta, di sintomatologia loco – regionale, rappresentano ipoteticamente tutte condizioni patologiche neoplastiche a rischio di errore diagnostico di tipo omissivo, anche se con diversa valenza e ricaduta prognostica, in cui si può teoricamente imbattere il medico legale accertatore.

Più che altro questo lavoro scientifico, attraverso la disamina di casi clinici

esemplificativi, affrontati non in modo perfettamente circostanziato e specifico, ma riportati più o meno genericamente, quale utile spunto per il tema di volta in volta in argomento, vuole rappresentare un contributo concreto alla conoscenza delle caratteristiche intrinseche di talune comunque ricorrenti malattie neoplastiche e fornire un quadro d’insieme rapportabile alle problematiche diagnostiche oncologiche

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

662 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

complessive e ai riflessi medico legali conseguenti di tipo prevalentemente omissivo verificabili.

Non da ultimo viene anche riportato qualche ulteriore spunto pratico relativo alle

problematiche diagnostiche di talune patologie sia maligne che benigne, ovvero di natura non neoplastica, che si prestano, talvolta, a confusione diagnostica, come, ad esempio nel caso di talune presunte forme neoplastiche retroperitoneali che malgrado la codificata rarità delle neoplasie primitive retro peritoneali e malgrado la localizzazione talvolta esclusivamente linfonodale, sono talvolta diagnosticate come neoplasie primitive.

In molti casi, si tratta, invece, di problematiche cliniche di altro genere facilmente deducibili, sia di tipo neoplastico secondario, prevalentemente linfonodale, che benigne ovvero idiopatiche, come nel caso della relativamente rara fibrosi retroperitoneale idiopatica confondibile, sul piano istologico, nelle sue prime fasi di insorgenza, con un linfoma, ascrivibile, invece, sotto il profilo nosologico, vagamente nell’ambito delle cosiddette malattie del connettivo, stando alle ricerche più recenti in tal senso.

Tutto ciò può rappresentare di certo un problema relativo alla dimostrazione di

una responsabilità professionale medica ma anche un reale campo d’indagine di tipo non più semplicemente valutativo medico legale ma soprattutto diagnostico e clinico.

La dottrina e la giurisprudenza assumono, in ogni caso, sempre un grande valore

in tema di responsabilità professionale del medico. In tal senso una pietra miliare nell’ambito della dimostrazione del nesso causale

per la colpa professionale medica di tipo omissivo è stato quanto recepito e affermato nella cosiddetta Sentenza “Franzese” del 2002 quella poi destinata a fare giurisprudenza, in tal senso, di cui si riporta la massima:

Cassazione penale, Sezioni Unite,10 luglio 2002, n. 30328, Franzese

Massime In tema di reato colposo omissivo improprio, l'insufficienza, la contraddittorietà e

l'incertezza del nesso causale tra condotta ed evento, e cioè il ragionevole dubbio, in base all'evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante dell'omissione dell'agente rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell'evento lesivo comportano l'esito assolutorio del giudizio [Cass. pen. 2002, 3643 nota (MASSA)]

----------------------------------

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

663 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

Il nesso causale, nell’ambito di un’ipotesi accusatoria, in base al disposto della predetta Sentenza, non si può basare sulle risultanze di una mera probabilità statistica o legge scientifica ma deve essere dimostrato sulla base delle circostanze del fatto e di quanto disponibile in termini di conoscenza concreta, escludendo, quindi, l’interferenza di fattori alternativi, in modo tale che in caso di condotta omissiva del medico la condizione necessaria per la dimostrazione dell’evento lesivo a carico del medico sia rappresentata da un “alto o elevato grado di credibilità razionale" o di "probabilità logica”.

Il nesso causale può essere dimostrato solo grazie ad un adeguato giudizio controfattuale, basato sulle regole generali dell’esperienza e sulle leggi scientifiche, in modo tale che considerandosi realizzata la condotta doverosa del medico l’evento dannoso non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato solo in epoche successive e con minore intensità.

“Causalità omissiva, responsabilità del medico, prova del nesso causale Cassazione penale , sez. IV, sentenza 03.10.2007 n° 36162 Causalità omissiva – responsabilità del medico – prova del nesso causale –

criterio statistico – insufficienza – alta probabilità logica – necessità [artt. 40-41 c.p.] Nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed

evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l'azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l'interferenza di decorsi causali alternativi, l'evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva.”.

Prosegue poi la sentenza: “In tema di colpa professionale medica, specie con riferimento alle condotte

omissive, l'interpretazione giurisprudenziale, da sempre caratterizzata da notevole e costante evoluzione, si è, negli ultimi anni attestata sui principi elaborati dalla Sezioni Unite di questa Corte che, con la sentenza del 10.7.02 (Franzese) hanno affermato che: "Nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l'azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l'interferenza di decorsi causali alternativi, l'evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva".

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

664 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

Le Sezioni Unite, quindi, hanno escluso che, ai fini dell'individuazione del nesso causale, si possa far riferimento esclusivamente o prevalentemente a dati statistici o a criteri a struttura probabilistica. Non dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica può, dunque, trarsi la conferma, o meno, della sussistenza del nesso di causalità. Sulla scia dei richiamati principi, è stato, altresì, precisato che l'individuazione del nesso causale non può avvenire in termini di certezza oggettiva, bensì di "certezza processuale". Il giudice, quindi, pur partendo dalle leggi scientifiche, e statistiche in particolare, è tenuto a verificarne l'adattabilità al caso concreto, prendendo in esame tutte le circostanze di fatto disponibili sì che, nella complessiva valutazione della vicenda e, tenuto conto della eventuale interferenza di fattori estranei, possa, o meno, ritenersi processualmente certo che la condotta omissiva del sanitario sia stata condizione necessaria dell'evento lesivo con "alto o elevato grado di credibilità razionale" o "probabilità logica".

Non bastano, quindi le statistiche per dimostrare l’esistenza del nesso causale logico fra condotta omissiva del medico ed evento lesivo, ma occorre un "alto o elevato grado di credibilità razionale" o "probabilità logica" processualmente dedotta.

E’ questo l’indirizzo giurisprudenziale e dottrinario vigente in tema di responsabilità omissiva del medico.

La sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione a cui fa riferimento la

Sentenza precedente è, appunto la cosiddetta “Sentenza Franzese” del 2002.

Ad ulteriore specificazione si consideri una sentenza della Sezione IV penale del 22 gennaio del 2002, la N. 22568.

Si ribadisce ancora che in assenza di un adeguato giudizio controfattuale, ossia un ragionamento, alla lettera, opposto ai fatti, che sia in grado di dimostrare che, in caso di condotta medica omissiva, al verificarsi di un determinato evento lesivo, laddove tale omissione non si fosse realizzata, l’evento stesso imputato non si sarebbe a sua volta concretizzato, con un "alto o elevato grado di credibilità razionale" o "probabilità logica", essendo, in ogni caso prevalente quanto si evince e si deduce dalla realtà processuale degli atti esistenti.

Di eguale tenore appare poi una Sentenza della Sezione Penale del

Tribunale di Nola, più esattamente “Tribunale Penale di Nola Sentenza 20 ottobre 2004 - 14 dicembre 2004” che si richiama sempre alla sentenza “Franzese” delle sezioni unite della Cassazione, la n. 30328/2002, in cui viene espresso ulteriormente come nei reati omissivi impropri o commissivi mediante omissione, il nesso causale, ancora una volta, si debba accertare mediante un giudizio contro fattuale che si basi su leggi scientifiche, tale da dimostrare che l’evento lesivo ascritto, con alta probabilità logica vicina alla

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

665 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

certezza, non si sarebbe verificato o si sarebbe verificato in epoche successive e con minore intensità.

Si dimostra superato, in base alle predette sentenze della Cassazione il limite di

probabilità, ovvero di serie e apprezzabili possibilità di successo legate all’ipotetico trattamento doveroso omesso, anche nel caso di coefficienti di relativa entità, talvolta stimabili in misura inferiore al 50%.

Si sottolinea, invece, ancora una volta l’esigenza di un giudizio

controfattuale che basandosi su leggi scientifiche sia in grado di dimostrare che quel determinato evento lesivo non si sarebbe verificato senza l’omissione dell’agente, nell’ambito della responsabilità professionale del medico.

Similari, in tal senso, sono altrettante sentenze emesse in tempi più recenti,

come la seguente:

“Condotta omissiva del medico: profili di colpa e nesso di causalità Cassazione penale , sez. IV, sentenza 03.10.2007 n° 36162”

La predetta Sentenza della Cassazione, nell’ambito della ricostruzione del nesso causale sottolinea l’importanza, insieme alla condotta omissiva del sanitario, di tutti gli altri elementi di conoscenza esplorabili, riguardanti l’evento morte o quello concernente le lesioni eventuali riportate dal paziente.

La malattia oggetto della discussione da cui è stato, quindi, affetto il soggetto leso, va ricostruita dalle sue origini fino al momento del manifestarsi dell’evento lesivo, in tutti i suoi aspetti sia fattuali che scientifici, onde poter meglio analizzare la condotta omissiva colposa attribuita al sanitario.

Tutto ciò viene appunto prospettato nel cosiddetto giudizio controfattuale, nell’ambito del quale si deve assumere, al di là di ogni ragionevole dubbio, che se la condotta perita diligente e prudente richiesta fosse stata doverosamente compiuta, in luogo dell’omissione colposa invece verificatasi, l’evento lesivo ascritto non si sarebbe effettivamente realizzato o si sarebbe verificato successivamente e con minore intensità (v. Cass. pen. Sez. IV, 25-05-2005, n. 25233).

Nella ricostruzione, quindi, del nesso causale, non appare sufficiente una pur esaustiva e puntuale applicazione delle leggi statistiche scientifiche che governano la materia o la disciplina in essere, ma vanno unitamente considerate tutte le altre vicende ed emergenze esistenti nello specifico caso concreto considerato.

Le leggi statistiche vengono, quindi, a rappresentare solo uno degli elementi di cui si deve tenere conto ai fini del giudizio di merito (v. Cassazione penale, sez. IV, sentenza 02.02.2007, n. 4177).

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

666 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

Si parla, altrimenti, di un giudizio fondato su un’alta probabilità fattuale logica ovvero di un giudizio basato realmente sulla specificità del caso concreto (Cass. pen. Sez. IV, Sent. 20.09.2007 n. 35115).

In precedenza, prima della Sentenza Franzese, il nesso di causalità materiale, in base a talune sentenze, poteva essere ammesso anche nel caso che esistessero almeno 30% di probabilità, ovvero inferiori al 50% di salvare il paziente o di evitare il danno secondo le leggi scientifiche su basi statistiche, ciò che appare ribaltato in base ai più recenti ma ormai consolidati indirizzi giurisprudenziali in tema di condotta omissiva del medico.

Sotto il profilo epidemiologico, in termini di numero di denunce per casi di presunta responsabilità professionale, prevalgono, in campo oncologico, le neoplasie mammarie, largamente per problemi di ritardo diagnostico, con necessità conseguente, sotto il profilo medico legale, di valutare le conseguenze prognostiche dell’eventuale ritardo diagnostico verificatosi e la sua reale entità, non sempre facilmente individuabile, in base alle risultanze degli esami clinici e strumentali di volta in volta effettuati e allegati alla consulenza.

Come è possibile desumere dalle Linee Guida AIOM, “Mammella 2010”, in generale la prognosi dei tumori maligni della mammella non è da ritenersi particolarmente severa in senso generale, con percentuali complessive di sopravvivenza che nella gran parte sfiorano anche 80 – 90 % dei casi correttamente trattati, per tutti gli stadi.

Secondo le statistiche più recenti, tratte dai dati della letteratura scientifica di settore, relative alla sopravvivenza a 5 anni, ad esempio, anche in stadi localmente avanzati e perfino avanzati le neoplasie mammarie si giovano di una discreta prognosi globale ai fini della sopravvivenza.

Sono da ritenersi, in assoluto, sempre secondo le predette Linee Guida AIOM, “Mammella 2010”, prioritari i seguenti fattori prognostici e, più esattamente, nell’ordine:

Dimensioni del tumore Stato dei linfonodi ascellari Grado istologico Attività proliferativa (Ki67) Tipo istologico Invasione vascolare peritumorale Stato di HER-2 Stato dei recettori ormonali Età della paziente (< 35 anni: prognosi peggiore)

Sono, quindi, da ritenersi, in particolare, fattori principali prognostici, ai fini della sopravvivenza globale, per quanto tutto ciò sia motivo di approfondimento e discussione tuttora aperta, al riguardo, da parte degli esperti del settore, tutti i seguenti elementi di conoscenza istopatologici, nell’ordine così di seguito riportato:

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

667 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

il T, da T1 a T4, ossia le dimensioni del nodulo primitivo, in ordine crescente di severità, che è considerato elemento di assoluta rilevanza in ragione non solo esclusivamente dello stato di avanzamento locale della neoplasia ma anche e soprattutto, come da tempo codificato nella letteratura scientifica specifica del settore, quale importante fattore condizionante per gli altri, principalmente lo stato linfonodale N, esistendo una corrispondenza diretta e progressiva fra le dimensioni del T all’esordio e lo stato linfonodale N, con possibilità maggiori di sviluppo di localizzazioni secondarie linfonodali in ragione delle maggiori o minori dimensioni del T, anche se ciò non rappresenta una costante in assoluto, condizionando, in generale la relativa positività o negatività linfonodale, senza però dimenticare gli altri fattori prognostici esistenti;

lo stato di N, cioè lo stato linfonodale, ossia la presenza o l’assenza di linfonodi positivi, acquisito anche con la ricerca del linfonodo sentinella, metodica attualmente pressoché standardizzata in quasi tutti i centri oncologici dedicati alle neoplasie mammarie e da ritenersi ormai quasi routinaria, per cui nel caso di positività linfonodale valutata all’esame istologico definitivo, EI definitivo, assume rilevanza prognostica anche la presenza di meno di 3 linfonodi positivi o di più di 3 linfonodi positivi, essendo stato considerato il limite di 4 linfonodi ascellari positivi, essenzialmente per le neoplasie mammarie dei QSE della mammella, lo spartiacque fra una prognosi favorevole e una prognosi man mano più severa, con ulteriori diversificazione prognostiche, da parte di taluni autori per un numero di linfonodi positivi superiore a 9 o per un numero ancora diverso, ciò che non trova piena condivisione e appare assai meno codificato rispetto al limite considerato di 4 linfonodi positivi, più classicamente accettato;

lo stato recettoriale, soprattutto la positività dei recettori per gli estrogeni ER +, considerato fattore positivo prognostico in quanto indicante la ormonosensibilità della neoplasia mammaria e la possibilità di intervenire con farmaci antiestrogenici di sintesi, quelli di ultima generazione (Arividex) per il controllo delle recidive durante il follow up di controllo, con possibilità concreta di miglioramento della prognosi globale, mentre appare assodato in letteratura che uno stato recettoriale di ER negativo, ER -, rappresenti il maggiore fattore predittivo di recidiva della malattia neoplastica mammaria, tale da condizionare in senso negativo anche gli altri fattori prognostici quali T e N, soprattutto, anche se si ritiene che, di per sé, lo stato recettoriale sia un fattore prognostico meno importante rispetto allo stadio della malattia al momento della diagnosi; di minore rilevanza, a sua volta appare la positività dei recettori progestinici Pg rispetto alla presenza di ER; in realtà la mancanza di ormonosensibilità del

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

668 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

tessuto neoplastico, prevalentemente indagata sul pezzo anatomico asportato per l’EI definitivo appare come un segno di indifferenziazione dello stesso, ovvero di maggiore aggressività e anaplasia relativamente al comportamento biologico della malattia neoplastica in atto;

il grading della neoplasia, G1 – G3, con la testimonianza di un maggiore grado di indifferenziazione del tessuto neoplastico in caso di riscontro di un grading G3, manifestandosi una prognosi meno favorevole in tali casi, in quanto sempre segno di maggiore aggressività biologica della malattia neoplastica;

la sopraespressione del recettore HER2 neu, ormai reputato consolidato fattore prognostico principale, presente in circa il 20 – 30 % delle neoplasie, avendo tale indice un effetto prognostico negativo, per cui il tumore mammario con tale positività risulta sensibile alla terapia con anticorpi monoclonali, a base di Trastuzumab e insensibile al trattamento con antiestrogeni;

altri fattori prognostici da considerare meno importanti ai fini della sopravvivenza quali sono, ad es., gli indicatori di proliferazione, il numero di mitosi, l’indice di marcatura della timidina, labeling index, altri come Ki 67, MIB 1, ecc., ovvero degli indicatori di aggressività, come gli oncogeni c-Erb B-2, p53, Bcl2, e altri fattori di carattere immunoistochimico, come la ricerca delle citochine, ecc., tutti elementi da considerarsi assai meno dirimenti in senso prognostico, malgrado il proliferare delle ricerche in tal senso.

Altri aspetti essenziali da considerare relativamente alla prognosi della malattia neoplastica mammaria, soprattutto ai fini della valutazione medico legale di un eventuale ritardo diagnostico, sono ancora da ritenersi nell’ordine:

la storia clinica naturale della neoplasia mammaria che indica, nella stragrande maggioranza di casi una notevole lentezza del processo di accrescimento del tumore mammario, con tempi medi variabili di molti anni di formazione di un nodulo mammario sospetto, comunque evidenziabile alla mammografia, reputata indagine cardine nello screening di massa del tumore mammario, che ha un potere di risoluzione di almeno cm 1 o poco meno, altrimenti non appare evidenziabile radiologicamente in ogni caso; ciò sottolinea la necessità conseguente per lo sviluppo e la manifestazione almeno strumentale di un tumore mammario di almeno 10

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

669 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

anni in toto, tempo di latenza indispensabile al tumore per svilupparsi ed evidenziarsi clinicamente, avendo lo stesso nodulo tumorale tempi di raddoppio medi di circa 200 – 250 giorni, salvo nel caso che la neoplasia abbia raggiunto già dimensioni notevoli, per cui con un T > cm 1,5 – 2,00 possono anche necessitare tempi di raddoppio di 400 - 500 giorni complessivi (J. Michaelson e al. - Estimates of Breast Cancer Growth Rate and Sojourn Time from Screening Database Information - JOURNAL OF WOMEN’S IMAGING Volume 5, Number 1, 11–19 – 2003), il che da l’esatta misura delle possibilità terapeutiche in queste fasi, laddove, una volta che il nodulo mammario si sia reso evidente mammograficamente, ossia radiologicamente, e/o clinicamente, ovvero ci sia coincidenza e complementarietà fra indagini cliniche, ecografiche e mammografiche sulle caratteristiche dubbie o sospette di un determinato nodulo mammario, appare di relativa facilità affidare il prosieguo delle indagini strumentali agli esami istopatologici in grado di chiarire definitivamente il quesito diagnostico di certezza;

l’individuazione della fase clinica o la conferma delle risultanze probanti dell’indagine radiologica eventualmente condotta, tali da rendere diagnosticabile la malattia neoplastica mammaria, manifestatasi o meno clinicamente; ciò serve, soprattutto, a far qualificare come dubbio o molto sospetto un nodulo mammario comunque localizzato; in questo caso va ritenuta indispensabile l’effettuazione di una biopsia escissionale del nodulo, restando l’agoaspirato indagine poco dirimente e gravata da un alto numero di falsi negativi, specie se non eseguita con tecnica ecoguidata; sotto tale punto di vista va considerato che, clinicamente sono da ritenersi segni e sintomi sospetti o certi diretti di malattia neoplastica mammaria, nelle prime fasi:

a) presenza eventuale di nodulo a margini piuttosto indistinti, indolente, abbastanza adeso ai piani sottostanti e poco mobile alle manovre palpatorie condotte secondo i canoni classici, ovvero la presenza di linfonodi palpabili in sede ascellare, o più semplicemente segni inequivoci all’ispezione come la retrazione del capezzolo o la pelle a buccia d’arancia, ecc.;

b) ricomparsa di una cisti, ovvero mancata scomparsa alla mammografia di una lesione cistica dopo agoaspirato del contenuto della stessa ed esame citopatologico anche negativo, ciò che appare un segno di malignità e dovrebbe indurre a ripetere l’esame più di una volta;

c) presenza di segni radiologi diretti, come un nodulo a contorni ancora indistinti e non capsulato, microcalcificazioni irregolari, vermiformi, puntiformi o pleomorfe, di dimensioni variabili, presenza di distorsioni dei tessuti circostanti, tanto per citare gli aspetti più noti, o anche ecografici;

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

670 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

lo stadio istopatologico definitivo, TNM secondo la classificazione per Stadi conseguito al momento dell’effettuazione dell’esame istologico definitivo sul pezzo anatomico;

lo stadio istopatologico ipotetico al momento in cui era possibile effettuare già la diagnosi, ciò che, appunto, rappresenterebbe, in caso di mancata diagnosi, una colpa omissiva del clinico e/o del radiologo ovvero della relativa struttura di appartenenza, in base alle risultanze di taluna indagine clinica o mammografica antecedentemente effettuate e presente agli atti, ciò che rappresenta un’operazione tutt’altro che facile, trattandosi di un tipo di valutazione non oggettivabile interamente, per ovvi motivi, ma che, in qualche modo è possibile effettuare con ragionevole deduzione, per estrapolazione, conoscendo in generale i tempi di raddoppio della neoplasia e quelli catalogabili e applicabili al caso concreto, considerando quanto assunto con le risultanze di tutte le indagini di protocollo effettuate nell’ambito dell’esame microscopico condotto sul pezzo anatomico neoplastico asportato con l’intervento chirurgico;

la sopravvivenza globale con le relative percentuali dopo l’effettuazione di tutti i presidi terapeutici effettuati o prescritti, di tipo chirurgico ovvero chemio e radioterapico od ormonale di tipo prevalentemente adiuvante, in esito, quindi ai trattamenti intrapresi o previsti, al momento effettivo della diagnosi,

la sopravvivenza globale prevedibile o ipotizzabile grandemente se la diagnosi fosse stata effettuata più precocemente al momento della comparsa dei primi segni o sintomi da reputarsi indicativi quantomeno di approfondimenti diagnostici, con valutazione anche della relativa perdita di chance;

l’entità reale del ritardo diagnostico conseguito, con valorizzazione delle indagini strumentali e, in particolare radiodiagnostiche eseguite in precedenza in caso di nodulo sospetto;

le conseguenze di tale ritardo diagnostico sullo stato di avanzamento della malattia neoplastica e, in definitiva sulla prognosi globale quoad vitam della malattia, fra il momento in cui era possibile formulare una diagnosi o indicare come sospette le caratteristiche di un nodulo, per ulteriori approfondimenti diagnostici, e il momento dell’effettiva diagnosi, con un bilancio, in definitiva delle percentuali di sopravvivenza nel primo caso e nel secondo e la quantificazione dell’aggravio prognostico in termini di minori percentuali di sopravvivenza globale;

le conseguenze di tale ritardo diagnostico ai fini delle necessità evidenziata di trattamenti terapeutici più aggressivi e radicali di quelli altrimenti dovuti, con la quantificazione del danno emergente e del danno biologico conseguente dovuto agli stessi trattamenti meno conservativi attuati.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

671 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

Caso clinico n. 1 - Esempio Fra i tumori primitivi maligni della mammella un posto di un certo rilievo, specie

per le implicazioni terapeutiche, è occupato dai sarcomi della mammella, un istotipo, non particolarmente aggressivo se non nelle sue forme più indifferenziate che rappresenta meno del 1 % di tutte le neoplasie mammarie maligne considerate, circa lo 0,5 % secondo alcune statistiche del settore (G. P. Andreoletti - I Sarcomi Mammari – Senology Oncology and women’s health – Internet, www.senology.it, stampato dicembre 2011).

Nell’ambito invece dei tumori cosiddetti benigni della mammella merita una mensione, non tanto ai fini epidemiologici quanto per le peculiarità istologiche e cliniche della patologia stessa sicuramente il cistosarcoma filloide o fibroadenoma gigante o tumore filloide che dir si voglia, in considerazione anche del fatto che esistono ben 65 diversi sinonimi della stessa malattia, anche in rapporto alle differenze esistenti non sempre così demarcate rispetto ai pur rari sarcomi della mammella, ovvero per le similitudini cliniche e le caratteristiche di accrescimento, per cui, talvolta la diagnosi differenziale fra le due forme di tumore è solo istopatologica.

Entrambe le predette forme, peraltro hanno l’attitudine ad un accrescimento eminentemente locale, con la possibilità di raggiungere dimensioni ragguardevoli (David V. Feliciano - Cystosarcoma phyllodes tumor - Arch Surg. 2001;136:475-477.), con un più rapido accrescimento per i tumori filloidi, e con la mancanza di localizzazioni secondarie linfonodali, come del resto accade tipicamente per i sarcomi primitivi dei tessuti molli, in generale.

Un esempio pratico dell’evoluzione della malattia può illuminare sulle caratteristiche cliniche del sarcoma, relativamente alle difficoltà diagnostiche esistenti e, soprattutto in rapporto alle possibilità terapeutiche e ai profili di eventuale responsabilità professionale inerenti.

Una donna di circa 45 anni viene trovata affetta da una neoplasia mammaria, datata da qualche anno, con evidenza di una grossa neoformazione mammaria sinistra delle dimensioni riscontrate di circa cm 16, 00 nel suo diametro massimo.

Un’agobiopsia della lesione consente di formulare la diagnosi di “sarcoma primitivo della mammella” senza che null’altro venga opportunamente specificato nell’esame istologico.

Viste le caratteristiche cliniche e topografiche della voluminosa neoformazione, dopo esame TC del torace si evidenzia un’invasione locale notevole, con coinvolgimento anche dei piani muscolari sottostanti mammari e dei muscoli piccolo e grande pettorale.

Vengono anche effettuati dei cicli di chemioterapia neoadiuvante, a due riprese, che producono inizialmente una riduzione della dimensioni della massa in toto ma a cui successivamente la paziente non risponde più, con scarso beneficio complessivo finale.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

672 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

Dopo una visita chirurgica la neoplasia mammaria viene ritenuta inoperabile per cui non di procede a nessun tipo di trattamento, al di fuori di banali cure di supporto e a qualche trasfusione per correggere lo stato anemico incipiente.

In effetti sulla grossa neoformazione mammaria si è prodotta una lesione necrotico – ulcerativa saniosa che non manifesta alcuna tendenza a cicatrizzare, con continue perdite siero – ematiche e, quindi, stato anemico consensuale.

Le condizioni generali della paziente sono defedate ed è presente, come indicato un quadro anemico e disprotidemico.

La paziente ha trascurato di andare dal medico per lungo tempo. Non sono presenti metastasi a distanza né linfoadenopatie ascellari satelliti. A distanza di qualche mese dalla visita che accerta le condizioni precedentemente

descritte avviene l’exitus della paziente. Si potrebbero nella fattispecie individuare vari profili di responsabilità, come si

evidenzierà successivamente. E’ da considerare che nella stragrande maggioranza dei casi le neoplasie

mammarie sono di origine epiteliale e derivano dall’unità ghiandolare duttulare – lobulare.

In meno del 1% dei casi i tumori mammari sono di origine mesenchimale, trattandosi nel caso specifico di sarcomi.

Dal punto di vista istopatologico le varietà maggiormente rappresentate, nel caso dei sarcomi, sono il rabdomiosarcoma e il liposarcoma, oltre all’angiosarcoma e al cistosarcoma filloide maligno.

Si tratta in genere di masse piuttosto voluminose che tendono rapidamente ad infiltrare i muscoli circostanti.

Di un certo interesse, in tal senso è un articolo dal titolo tradotto “Angiosarcomi” – da Emedicine Internet – B. Carsi e al. – 27 gennaio 2006.

E’ possibile formulare la diagnosi in base alle caratteristiche anamnestiche, dell’accrescimento del nodulo tumorale mammario, piuttosto rapide, verosimilmente nello spazio di tempo di qualche mese o di qualche anno, in rapporto alle risultanze dell’esame obiettivo locale, con evidenza finale di una grossa massa adesa ai piani sottostanti, occupante quasi tutti i quadranti mammari in assenza di localizzazioni secondarie linfonodali, e con il conforto, in tal senso, degli esami strumentali come l’ecografia e la mammografia.

La diagnosi definitiva viene, in ogni caso, stilata mediante l’esame istologico definitivo, assunto su un’agobiopsia o biopsia escissionale, in rapporto alla grandezza raggiunta dalla massa mammaria.

Per il sarcoma della mammella non trovano indicazione né la radioterapia né la chemioterapia, essendo le cellule tumorali insensibili a tali tipi di trattamento.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

673 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

La terapia di scelta è sempre in particolare quella chirurgica. Poiché la disseminazione a distanza del tumore avviene, nelle fasi avanzate, solo

per via ematogena e non per via linfatica, come già accennato, non si osservano metastasi linfoghiandolari, per cui l’intervento chirurgico non prevede la dissezione dei linfonodi ascellari omolaterali.

In base al pensiero corrente di molti autori italiani e di alcuni anglosassoni i sarcomi della mammella non si gioverebbero né della chemio né della radioterapia adiuvanti ovvero neoadiuvanti, ma ciò appare confutabile in base agli ultimi più recenti studi sull’argomento che evidenzierebbero, invece una reale utilità sia della terapia adiuvante che di quella neoadiuvante con antiblastici, secondo specifici schemi o protocolli di utilizzo.

In effetti secondo molti autori anglosassoni tale tipo di impostazione terapeutica iniziale si rivela non del tutto corretta, perlomeno sotto il profilo della pianificazione terapeutica.

Ciò appare, ad es., in un articolo di Carla Lilaia, Ferro Pereira, Saudade André, Beatriz Cabrita, dal titolo: Breast Angiosarcoma - The Internet Journal of Gynecology and Obstetrics. 2007. Volume 6 Number 2.

I sarcomi primitivi della mammella sono dei tumori poco comuni che rappresentano dallo 0,5 al 1 % delle neoplasia mammarie maligne.

In realtà gli stessi rappresentano un gruppo eterogeneo di neoplasie sotto il profilo istopatologico. Una diagnosi citopatologica e clinica preoperatoria, sebbene sia possibile in un certo numero di casi, usualmente non è conseguita sia per la gli aspetti clinici similari delle varie forme morbose di sarcoma con le comuni patologie mammarie, che per il basso indice di dubbio in merito relativo, confondendosi, quindi con le neoplasie mammarie più frequenti come gli adenocarcinomi.

Importante appare, quindi, per la conoscenza della storia naturale dei sarcomi mammari un articolo di Blanchard DK, Reynolds CA, Grant CS, Donohue JH dal titolo “Primary nonphylloides breast sarcomas.” - Am J Surg. - 2003 Oct;186(4):359-61.

L’aspetto dimensionale di una massa neoplastica di 14 – 15 cm, che occupa la gran parte della mammella affetta, appare abbastanza usuale per i sarcomi, con iniziale mobilità e dolore, nelle fasi iniziali della malattia, e successivo ingrandimento repentino della massa neoplastica e coinvolgimento ed aderenza ai piani muscolari sottostanti, con cute ulcerata e secernente nelle fasi avanzate.

E’ possibile un trattamento preoperatorio neoadiuvante, con 3 – 4 cicli d’induzione con una combinazione di Ciclofosfamide, Adriamicina e 5 florouracile (5 FU), con possibilità di buona risposta terapeutica.

In definitiva nel caso dei sarcomi della mammella si tratta di un gruppo altamente eterogeneo di tumori nella maggior parte dei casi rappresentato da:

istiocitoma maligno fibroso;

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

674 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

fibrosarcoma, liposarcoma e i meno comuni angiosarcomi, rabdomiosarcomi, dermato - fibrosarcomi,

condrosarcomi, tumori dermoidi, ecc. Capitano prevalentemente in donne di oltre 40 anni e non c’è usualmente

infiltrazione cutanea neoplastica, risultando le ulcerazioni sopravvenute conseguenti, causalmente dovute o a interventi chirurgici di tipo bioptico o ad altro genere di interventi o, in definitiva, quindi, generate per scarsa irrorazione della massa neoplastica, ossia di tipo distrofico.

La chirurgia rimane, in questi casi il migliore e principale presidio terapeutico.

I trattamenti integrati multimodali, con chemio e radioterapia a scopo neoadiuvante o adiuvante possono diminuire il rischio di ricaduta loco – regionale e sistemica dei sarcomi primitivi ma non sono affatto risolutive in pazienti con sarcomi mammari.

La prognosi globale è più favorevole nei casi di bassa atipia cellulare e basso indice mitotico che sono poi quelli che rispondono meglio alla chemioterapia.

In conclusione i sarcomi mammari si giovano di un diverso piano terapeutico rispetto agli adenocarcinomi della mammella, con una evidente negatività recettoriale estrogenica del tessuto neoplastico.

Di carattere generale, poi, e di buon spessore si può considerare un articolo dal titolo “Primary breast sarcoma: clinicopathologic series from the Mayo Clinic and review of the literature”, di C. Adem e al. - British Journal of Cancer (2004) 91, 237–241.

Nella letteratura anglosassone l’incidenza dei sarcomi mammari viene prevista fra lo 0,7 e l’1,0 % dei casi con prevalenza nella maggior parte degli angiosarcomi rispetto alle altre forme neoplastiche sarcomatose.

Vengono da taluni descritti come masse a rapido accrescimento, mobili sui piani sottostanti, con facilità alla metastatizzazione a distanza, specie per le forme a più alto indice di aggressività e malignità ovvero più indifferenziate.

L’esordio clinico è dato dal dolore, da una massa palpabile e mobile, dal mancato coinvolgimento cutaneo e linfonodale ascellare.

In effetti gli aspetti clinici sono quelli tipici del fibroadenoma. In realtà un rapido ingrandimento di una massa indolente dovrebbe far porre il

serio sospetto dell’esistenza di un sarcoma primitivo mammario. Le indagini diagnostiche correlate sono le stesse esistenti per i noduli mammari in

generale. Alla mammografia si rilevano aspetti non sempre peculiari ed esemplari, essendo

soprattutto tipico l’aspetto mammografico di una massa densa a margini irregolari e indistinti.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

675 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

Tra l’altro un aspetto piuttosto addensato del parenchima mammaria può oscurare la presenza di un nodulo a sua volta denso e a margini indistinti.

Nell’ambito delle ricerche istopatologiche e immunoistochimiche può essere utile la positività rilevata per alcuni tipi di reattivi contenenti anticorpi anti vimentina, proteina S 100, HMB – 45 CD 31, CD 34, actina, desmina e citocheratine, per le varie componenti di tipo mesenchimale, neuronale, endoteliale, vascolare, muscolare ed epiteliale, nell’ordine indicato in precedenza dei marcatori.

Il picco d’incidenza della neoplasia riguarda la V^ decade di vita, ben due – tre decadi oltre quella tipica del fibroadenoma presente, quindi, in età giovanile.

Sotto il profilo ecografico l’aspetto del nodulo è simile, ovvero indistinguibile, da quello del fibroadenoma.

Visto il numero ridotto di casi esistono pochi trials clinici relativi ai trattamenti terapeutici.

Come detto per la maggior parte degli autori il gold standard del trattamento è dato dall’asportazione chirurgica radicale.

Si preferisce la mastectomia semplice totale senza linfoadenectomia, con un margine libero da malattia preferibilmente compreso fra i 2 e i 3 cm.

Un coinvolgimento ascellare linfonodale rappresenta il segno suggestivo di una disseminazione a distanza e soprattutto di rapida progressione della malattia.

Il ruolo della chemioterapia e radioterapia adiuvante è discusso. La prognosi è senz’altro migliore per dimensioni della neoplasia inferiori a cm 5,

essendo da considerarsi trascurabili tutto gli altri fattori prognostici. Sono stati distinti 4 precisi sottogruppi con diversi patterns di risultati prognostici:

pazienti con massa neoplastica resecabile, anche per le localizzazioni primitive asportabili presenti a distanza;

pazienti con sincronismo del tumore primitivo e malattia a distanza; pazienti con situazione di trattamento solo locale ma con lesione

apparentemente non resecabile in modo radicale, ovvero con fallimento del trattamento locale;

pazienti con situazione di trattamento di malattia diffusa incurabile. La prognosi dei primi due gruppi è sicuramente migliore sia per il controllo locale

della malattia che per la sopravvivenza globale. Circa i protocolli terapeutici attuabili alcuni autori suggeriscono la radioterapia

adiuvante dopo la chirurgia con margini di resezione liberi, ai fini della prevenzione delle ricadute.

Talvolta, come nel caso dell’angiosarcoma, la radio e la chemioterapia adiuvante utilizzate dopo chirurgia conservativa possono scatenare recidive più aggressive del tumore primitivo.

La chemioterapia ha dimostrato un effetto positivo sul prolungamento dell’intervallo libero da malattia.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

676 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

In ogni caso la chirurgia si dimostra in grado, ove realmente radicale, di assicurare il controllo locale della malattia.

Fra i fattori prognostici principali vanno considerati degli aspetti istopatologici come il contorno della neoplasia, se pseudocapsulato, infiltrante o indeterminato, e il grado di malignità, ovvero il grado di atipia cellulare se di tipo basso o medio, +, o alto, ++, o molto elevato, +++., determinato in base al numero di mitosi per campo.

In pratica sono il grado di malignità e le dimensioni della neoplasia che influenzano l’esito del trattamento ed è ancora possibile offrire terapie efficaci, in base all’esperienza degli studiosi, in relazione alle evenienze di localizzazioni diverse nella altre parti del corpo, valide anche per i sarcomi mammari.

Vengono peraltro riferiti casi in letteratura di plurime recidive loco – regionali per sarcomi indifferenziati della mammella, con possibilità terapeutiche ancora aperte, ad es., per un sarcoma indifferenziato della mammella complicato anche da metastasi ascellari linfonodali, già in precedenza asportati, ma senza il controllo dei margini liberi, con la presenza di una massa di circa 13 cm di diametro adesa ai piani muscolari, segnatamente con coinvolgimento del muscolo grande pettorale, in cui è stato effettuato un intervento chirurgico di mastectomia totale radicale a margini liberi di resezione, seguita da ricostruzione della parete toracica e successivi cicli di chemioterapia adiuvante.

Ciò rende bene l’idea che non sia impossibile asportare masse di tali dimensioni anche aderenti alle strutture muscolari sottostanti.

Sono state quindi eseguite le chemioterapie a scopo adiuvante, dapprima con vincristina + adriamicina + ciclofosfamide, 3 cicli, e successivamente ifosfamide ed etoposide + radioterapia adiuvante 5.140 cGy, con intervallo libero di 12 mesi ed exitus in 14 mesi, per malattia metastatica secondaria.

Si trattava in ogni caso di un sarcoma indifferenziato già trattato in precedenza in modo inappropriato ed escisso interamente, comunque, malgrado le notevoli dimensioni raggiunte e l’infiltrazione dei piani sottostanti muscolari.

Peculiari, peraltro, appaiono le caratteristiche del cistosarcoma filloide o tumore filloide della mammella, per le sue analogie cliniche con il sarcoma primitivo mammario, come si desume da un articolo di Donald R Lannin e al., dal titolo “Cystosarcoma Phyllodes” apparso ancora su emedicine, (emedicine.medscape.com - internet), ultimo aggiornamento 12 giugno 2006.

L’esordio clinico tracciato nell’ anamnesi è contraddistinto, di solito, dalla comparsa di un nodulo mammario, associato a dolore, ovvero di una massa palpabile della mammella, sviluppatasi in un lasso di tempo breve o brevissimo, come un paio di settimane, in soggetti di sesso femminile con familiarità negativa per i carcinomi della mammella, di età di 45-46 anni, atteso che lo stesso tumore filloide ha pure un picco d’età fra i 14 – 15 anni di vita, in giovani donne.

La mammografia rivela, così, la presenza di un nodulo delle dimensioni di circa 4,5 – 5,00 cm senza calcificazioni, al fotogramma.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

677 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

L’ecografia evidenzia, in genere la presenza di una massa circoscritta macro lobulata, ecograficamente eterogenea, al suo interno, con un enhancement positivo posteriore, agli echi.

All’esame con agoaspirato, ben condotto e preferibilmente ecoguidato, è possibile evidenziare la presenza di sole cellule benigne che appaiono suggestive o della presenza di un fibroadenoma mammario o di un tumore filloide.

In genere si sottopone la massa ad escissione o viene pianificato l’intervento per una mastectomia semplice in corso di ricovero.

La massa delle dimensioni riferite appare al taglio macroscopico di aspetto trabecolato.

L’esame microscopico rivela invece la presenza di tessuto stromale con bordi circoscritti. Qualche nucleo appare pleomorfo e ci sono sporadiche mitosi, approssimativamente circa 5 o più di 5 per campo.

Laddove presenti esse rivelano la presenza di un tumore filloide maligno. In pratica il tumore filloide, precedentemente descritto da J. Muller nel 1838

come cistosarcoma filloide, rappresenta meno del 1 % dei tumori mammari e circa il 2 – 3 % dei tumori fibroepiteliali della mammella.

Il tumore filloide è composto da elementi epiteliali e da tessuto connettivo simile a quello del fibroadenoma, ma il tumore filloide ha una cellularità altamente stromale.

Normalmente si verifica fra i 40 e i 50 anni di vita mentre il fibroadenoma è comune in donne di 20 – 30anni.

Clinicamente i pazienti presentano una massa dolorosa che rapidamente si ingrandisce e che può anche raggiungere dimensioni considerevoli.

Occasionalmente si può verificare l’ulcerazione cutanea dovuta allo stiramento conseguente e al deficit nutrizionale legato alla grandezza della massa tumorale.

La presenza di materiale fluido filloide, l’allargamento degli spazi dentro una massa solida, sono tutti suggestivi della presenza di un tumore filloide ma non sono patognomonici relativamente alla diagnosi.

La diagnosi preoperatoria di tumore filloide con agoaspirato è controversa per la sostanziale similarità citologica esistente con il fibroadenoma.

Possono capitare casi di falsi positivi di carcinoma.

Dovrebbe quindi essere condotta un’indagine istopatologica per confermare la diagnosi.

E’ la presenza della componente stromale che consente la diagnosi e la tipizzazione.

Normalmente il tumore filloide è benigno, ma in circa il 20 – 50 % dei casi è maligno istologicamente.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

678 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

Le caratteristiche di malignità comprendono l’attività mitotica, la componente stromale accentuata relativamente alle strutture ghiandolari, le atipie citologiche, l’incremento dell’invasione periferica con infiltrazione dentro i tessuti adiacenti.

Le metastasi a distanza si verificano in meno del 20 % dei casi se il tumore viene escisso in maniera incompleta.

Non è indicata l’asportazione dei linfonodi ascellari satelliti. Una combinazione di chirurgia, radioterapia e chemioterapia, e anche di terapia

ormonale è controversa relativamente alle forme maligne di tumore filloide. Radiologicamente si tratta di un’opacità circoscritta, a margini netti, più

frequentemente di grosse dimensioni, a bassa densità, con presenza occasionale, talvolta, di grossolane calcificazioni.

Da un altro articolo di Trent II JC 2nd, Benjamin RS, Valero V, dal titolo “Primary soft tissue sarcoma of the breast”, apparso su Curr Treat Options Oncol. 2001 Apr;2(2):169-76, è possibile desumere ulteriori conoscenze terapeutiche in tema di sarcomi primitivi della mammella.

Il sarcoma della mammella ha una estrema variabilità di dimensioni e anche esso una crescita rapida, variando le dimensioni da 1 a 30 cm di diametro.

La migliore e completa escissione chirurgica, con una mastectomia totale per le forme di maggiori dimensioni, rappresenta il migliore trattamento in assoluto, riservando la chemioterapia e la radioterapia adiuvanti a casi selezionati.

In un caso segnalato in letteratura lo sterno invaso è stato asportato con ricostruzione successiva della parete toracica con plastica che utilizzava il muscolo latissimo dorsale e pezzi di cute di altre regioni del corpo, con un intervento di chirurgia plastica.

Anche la chemioterapia neoadiuvante può essere utilizzata nei sarcomi della mammella ad alto grado di malignità utilizzando un protocollo a base di epirubicina e ifosfamide, in caso di masse di grosse dimensioni.

Si tratta spesso di sarcomi che infiltrano la pelle e la parete toracica, oltre ai muscoli grande e piccolo pettorale, come può essere evidenziato dalla RM toracica, con dimensioni maggiori di cm 10 nel diametro maggiore.

Con cicli di chemioterapia adiuvante, secondo protocollo, in numero di 4, è possibile ottenere una riduzione della massa neoplastica pari o superiore a circa il 20 % del tessuto totale, anche con scomparsa delle localizzazioni linfonodali ascellari.

Con questo tipo di trattamento seguito da mastectomia totale radicale è stato in qualche caso possibile ottenere un intervallo libero da malattia, con controllo sia locale che a distanza, pari a ben 44 mesi di sopravvivenza e con possibilità seguenti di guarigione clinica.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

679 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

Alla luce di tutto quanto sopra esposto, nel caso clinico in precedenza rappresentato in modo esemplificativo, con una massa di diametro maggiore pari a cm 16, è possibile ipoteticamente considerare i seguenti profili di responsabilità nei confronti dei sanitari che ebbero, sia negli esordi che nella progressione di malattia, in cura la paziente risultata affetta da sarcoma mammario primitivo:

non aver precocemente e prontamente individuato e diagnosticato il sarcoma mammario, permettendo allo stesso di raggiungere le ragguardevoli dimensioni indicate con infiltrazione dei mm grande e piccolo pettorale e anche la parete costale;

non aver considerato il rapido accrescimento della massa neoplastica che da solo poteva indicare la presenza tipicamente di una forma sarcomatosa primitiva;

non aver nemmeno provveduto ad effettuare, nella fasi precoci della crescita della massa una biopsia escissionale o nodulectomia, da eseguire sempre con conservazione dei margini liberi, onde evitare successive possibili ricadute;

non aver provveduto ad una formulazione piena della diagnosi istopatologica, indicando l’esatto tipo di sarcoma individuato, dapprima utilizzando una biopsia escissionale e successivamente almeno con agobiopsia, essendo la biopsia incisionale sconsigliata per il rischio di disseminazione, ciò che avrebbe consentito sia la diagnosi istologica di sarcoma che di stabilire, in particolare, il grado di malignità, se basso, intermedio o alto, onde procedere ad una adeguata strategia terapeutica;

aver reputato la neoplasia mammaria sarcomatosa in atto inoperabile, in assoluto, a fronte dell’infiltrazione individuata dei mm grande e piccolo pettorale e parete costale, mentre, al contrario la stessa parrebbe ancora suscettibile di trattamento chirurgico radicale con mastectomia totale radicale, a margini di resezione liberi, con successiva ricostruzione chirurgica plastica della parete toracica utilizzando il m. latissimo dorsale o lembi cutanei di altre regioni, apparendo in ogni caso il problema solo di natura tecnica e non prognostica, ai fini di trattamento chirurgico, essendoci, da ultimo, la possibilità di conseguire ottimi risultati terapeutici a fini prognostici;

non aver considerato l’importanza della riduzione della massa dopo l’effettuazione della chemioterapia, ai fini dell’esecuzione di un successivo intervento di mastectomia, ovvero di non aver considerato l’utilità della chemioterapia neoadiuvante ai fini del trattamento chirurgico radicale.

Occorre altresì considerare, a latere del problema diagnostico del sarcoma della mammella, che non è del tutto infrequente la circostanza che lo stesso venga trattato come un comune adenocarcinoma mammario, non avendo, in tal caso, i sanitari che hanno in cura nell’occasione la paziente opportunamente sottoposto la neoplasia a

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

680 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

tipizzazione istologica, previa biopsia incisionale, visto peraltro l’aspetto macroscopico del tumore e le sue considerevoli dimensioni che non parrebbero, in apparenza, far sorgere dubbi di sorta circa la sua malignità e origine di carcinoma mammario tout court, vista l’estrema frequenza dello stesso in rapporto alla nota rarità del sarcoma mammario, evidentemente meritevole, invece, di un diverso approccio diagnostico e terapeutico.

Caso clinico n. 2 - Esempio

Un secondo problema, ai fini di eventuali ritardi diagnostici, è sicuramente costituito dalla presenza ipotetica di un nodulo polmonare solitario ad una radiografia standard toracica.

Interessanti spunti di conoscenza sull’argomento si possono trarre da un articolo di R. Silvestrini, dal titolo “Diagnostica per immagini” - Basi Scientifiche Linee Guida : Documenti : 2.0 DIAGNOSTICA PER IMMAGINI – Ministero della Salute – Internet: www.iss.it – stampato dicembre 2011, in cui viene affrontato in maniera esaustiva il problema della precoce individuazione di un nodulo solitario polmonare sospetto mediante tecniche radiologiche d’immagine.

La gestione del nodulo solitario polmonare (NSP) rappresenta sicuramente uno dei maggiori problemi di Radiologia Toracica.

In effetti l’avvento delle nuove tecnologie, TC spirale multistrato, diagnosi assistita dal computer (CAD), PET, invece di contribuire a definire uno standard di protocollo operativo diagnostico ha dato luogo ad ulteriori controversie.

Non è infrequente riscontrare tale tipo di anomalia radiologica toracica nel corso delle attività diagnostiche d’imaging.

Annualmente in USA vengono scoperti 150.000 nuovi NPS, ossia 1 ogni 500 radiogrammi, ferma restando anche la loro ricerca sistematica nell’ambito dello screening del carcinoma bronchiale.

La definizione di NSP è riferita al riscontro di una “opacità di diametro uguale o inferiore a cm 3 circondata da polmone areato…”.

Risalta già un aspetto fondamentale che è appunto il fatto che una massa > cm 3 si possa reputare un nodulo con alta probabilità di malignità, fra il 93 e il 99 % dei casi, mentre noduli di dimensioni fra cm 1-3 hanno fra il 20 e il 40 % di possibilità di essere maligni e, infine, noduli di grandezza < cm 1 hanno una probabilità ancora più bassa di essere maligni, da 1 - 3 % fino al 28 %, secondo le diverse statistiche del settore.

In poche parole, i NPS di piccole dimensioni sono da ritenersi benigni nella stragrande maggioranza dei casi, essendo di riscontro occasionale e necessitando, in ogni caso di inquadramento e di tipizzazione sotto il punto di vista istologico.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

681 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

L’indagine radiologica, sia con la radiografia standard che con la TC, inoltre, è molto più attendibile per i NPS di grosse dimensioni che per quelli piccoli, essendo al massimo in grado di individuarne l’esistenza.

E’ anche da considerare che la presenza di NPS è sicuramente più frequente nell’anziano di età maggiore di 70 anni, per cui in tali soggetti un eventuale intervento chirurgico è a maggior rischio nel 32 % dei casi e controindicato nel 19 % dei casi.

Il gol standard della ricerca radiologica del NSP è rappresentata dalla TAC spirale multistrato.

Nonostante le buone performances della tecnica, i falsi negativi variano fra il 20 e il 39 % dei casi.

I segni radiologici da considerare rispetto alla presenza di NPS sono da ritenersi i seguenti:

le dimensioni dei noduli, essendo come già detti, quelli più piccoli anche i più difficili da tipizzare, per cui i problemi dei radiologi sono legati all’individuazione e alla tipizzazione dei noduli, aspetti che non sono concordanti ma antitetici sotto il profilo dell’indagine diagnostica;

densità media, per cui NPS con densità uguale o superiore a 164 Uh sono con alta probabilità benigni, così come quelli con enhancement > 1° Uh hanno elevata probabilità di malignità;

tempo di duplicazione: è noto che TD pari o < a 20 giorni, sono indicativi della presenza di un processo flogistico, mentre una lesione benigna ha un TD maggiore di 450 giorni e infine una lesione maligna ha un tempo di raddoppio variabile fra 30 e 400 giorni, anche se in base all’esperienza ciò non appare sempre così veritiero; il problema principale è rappresentato dalla possibilità di effettuare dei confronti per valutare l’accrescimento, ovvero la mancanza di modificazioni della lesione sospetta, ossia del NPS sospetto, sia con eventuali radiografie precedenti che con indagini dello stesso genere ripetute a distanza congrua di tempo, sempre per confronto; questo non rappresenta in assoluto un criterio certo sia perché non è detto che il paziente si voglia sottoporre con regolarità ad un follow up biennale, come richiesto, sia perché i tempi di raddoppio delle neoplasie mediamente variano fra fumatori e non fumatori, essendo di ben 813 giorni nei non fumatori, ossia più del doppio che per i fumatori;

margini e parenchima adiacente, essendo i contorni speculati e l’alone a vetro smerigliato, associati eventualmente a ispessimento e/o retrazione della pleura, segni indicativi di malignità;

il grado di omogeneità, potendo la disomogeneità assumere diversi significati, per cui la presenza di tessuto adiposo e di calcificazioni assumono sempre un significato benigno, con la possibilità di diagnosi di amartoma in caso di rilievo della presenza di grasso all’interno della lesione;

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

682 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

il comportamento biologico, inteso riguardo alle dimensioni e allo sviluppo: non esistono evidenze certe, malgrado si sappia che la storia naturale del carcinoma bronchiale inizia quando la lesione è in fase angiogenetica, mentre lesioni di 5 mm apparterebbero già alla terza fase della storia naturale delle neoplasia. Per l’esecuzione delle radiografie standard viene accettata dalla comunità

scientifica solo quella ad alto kilovoltaggio, ma l’ulteriore diffusione della tecnica della TC multistrato metterà sempre più in discussione l’utilità delle radiografie standard.

Sin da ora la TC spirale multistrato consente il riscontro di un maggior numero di noduli solitari sospetti o indeterminati, consentendo, specie negli USA, la resezione cuneiforme quale intervento chirurgico standard in tali casi.

L’integrazione di criteri clinico – anamnestici e radiologici consente di stabilire la probabilità dell’esistenza di un nodulo neoplastico, anche secondo criteri logico – statistici di analisi bayesiana.

In pratica è possibile utilizzare questo modo di procedere: se la probabilità è bassa, la strategia è rappresentata dall’attesa; per una media probabilità sono indicate la PET e/o la biopsia del nodulo; per un’alta probabilità la resezione chirurgica del nodulo.

Ulteriori elementi di riflessione sono offerti da un contributo scientifico, inerente la

problematica del nodulo solitario polmonare, di Oscar Tamburrini, dal titolo “Il parere del Contro”, da Internet: www.pneumonet.it, stampato dicembre 2011.

L’importanza dell’indagine radiologica e del conseguente apporto dello specialista si arguisce in base alle dimensioni del NPS.

Se il nodulo è maggiore di cm 1,5 la qualità e le dimensioni dell’imaging permettono già di formulare una tipizzazione nel senso della benignità o malignità della lesione.

Nel caso che si tratti di un NPS < mm 8 lo stesso va valutato nel contesto clinico anamnestico, anche sulla base della considerazione che, in base alle esperienze comuni il 90 % del NSP visibili ha dimensioni almeno pari a mm 7.

Il NSP rappresenta a conti fatti solo una delle caratteristiche di presentazione del tumore bronchiale, coincidendo, quasi sempre, con l’adenocarcinoma polmonare per le sue peculiari caratteristiche di nodulo periferico.

Per le forme centrali di tumore il discorso cambia e non sempre la TAC è in grado di stabilire l’esistenza di una fase preclinica delle forme endobronchiali.

La prima fonte di diagnosi di una neoplasia polmonare risiede principalmente nell’anamnesi, in ogni caso.

Poca o nulla utilità viene attribuita alla radiografia standard del torace ai fini di uno screening di massa.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

683 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

La diagnostica differenziale dei NPS comprende, fra le malattie principali, oltre ai corpi estranei, i focolai broncopneumonici, non segmentali, la TBC polmonare endobronchiale o focale, le micosi, le malattie autoimmuni, le metastasi di tumori primitivi extratoracici.

Importante è altresì definire le caratteristiche diagnostiche di un NPS. Si tratta di una lesione singola, circondata da parenchima polmonare per

almeno 2/3 della sua circonferenza, che non tocca l’ilo o il mediastino e appare senza atelectasia e versamenti associati.

Le cause principali sono collegate all’esistenza di neoplasie, infezioni e malattie vascolari del collageno.

Circa un 40 % dei NPS è maligno. In caso di NPS di dimensioni minime, fra 5 e 8 mm, il controllo può essere

cadenzato a distanza in base alle dimensioni, e se risulta invariato nel tempo, il controllo radiologico va eseguito a cadenza annuale.

Per dimensioni maggiori di mm 8 è indicata già la PET, e in caso di positività della PET si esegue l’asportazione chirurgica del nodulo.

La TAC è indicata per la stadiazione del tumore, la RM per accertare le riprese di malattia.

La TC – PET ha mostrato grandi capacità nella valutazione diagnostica del NPS e nella stadiazione, essendo in grado di attribuire in modo preciso le sedi anatomiche di ipercaptazione.

Nello studio del nodulo solitario polmonare se la TC polmonare consente di valutare la natura del NPS e di monitoralo nel tempo, sulla base di criteri clinico – morfologici e anamnestici, presenza di calcificazioni, velocità di crescita, margini del nodulo, storia di tabagismo, secondo molti autori la PET (18 F) FDG sarebbe in grado di stabilire la malignità o benignità di un NPS.

La sensibilità molto alta della PET diminuisce con il diminuire delle dimensioni del nodulo, specie per quelli < cm 1.

Il caso clinico che si rappresenta, a titolo esemplificativo, è quello di un

soggetto di sesso maschile di 72 anni di età, ex fumatore, che ad un controllo radiografico standard del torace, eseguito per motivi imprecisati, presenta un nodulo periferico polmonare, ai campi medio – superiori, situato, quindi, in sede periferica, abbastanza a ridosso della parete toracica, del polmone dx, con l’apparenza di un’opacità piuttosto intensa ed omogenea, di forma ovalare, a margini piuttosto sfrangiati, delle dimensioni di circa cm 4, nel diametro maggiore, apparentemente asintomatico.

Nella circostanza viene segnalata nel referto la presenza del predetto nodulo di

ndd ma non viene né eseguito né indicato nessun ulteriore accertamento diagnostico

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

684 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

mirato, di II° livello, atto a valutare le caratteristiche di benignità o malignità del nodulo, quali TC o PET o PET TC, né tantomeno vengono prescritti esami bioptici endoscopici bronchiali o di altro tipo.

Identicamente non viene ipotizzata la necessità di una visita specialistica pneumologia od oncologica, atte a fare luce su un eventuale sospetto radiologico di neoplasia polmonare.

Essendo pertanto decorso, in modo inattivo, il periodo di circa 1 anno, il

paziente invece manifestava tosse e malessere generale, con individuazione successiva sia alla Rx standard del torace che alla TC torace successiva di una grossa lesione polmonare radiopaca, del diametro massimo di cm 7,5 al polmone dx, nella stessa sede in cui l’anno precedente era stato individuato il predetto nodulo solitario polmonare di cm 3,5 – 4.

Nell’occasione venivano anche verificate numerose localizzazioni secondarie

diffuse metastatiche, alla TC total body, prevalenti, in modo diffuso soprattutto in sede epatica.

Tali localizzazioni secondarie apparivano, di per sé, per le sedi a distanza compromesse, piuttosto tipiche per un adenocarcinoma polmonare, in base alla storia naturale di questo tipo di tumore, apparendo, quindi, in questo caso, il quadro polmonare eclatante per la presenza di un tumore polmonare primitivo ormai in forma metastatica.

Dopo una rapida ulteriore progressione della malattia neoplastica, il paziente di lì

a poco andava incontro ad exitus per le complicanze della stessa malattia tumorale manifestatasi.

Al quadro autoptico apparivano coinvolti ovviamente i polmoni

bilateralmente da una neoplasia polmonare periferica primitiva destra, essendo possibile verificare la presenza di una massiva metastatizzazione epatica, con invasione diffusa del tessuto epatico, evidente al taglio per la presenza di tessuto neoformato sostitutivo di colore giallastro e di aspetto miliariforme, oltre alla contemporanea compromissione secondaria anche di altri organi viscerali.

Veniva formulata la diagnosi istologica di adenocarcinoma polmonare primitivo metastatizzato al fegato e ad altri organi viscerali.

Al radiologo che aveva inizialmente refertato la radiografia standard del

torace, eseguita oltre 1 anno prima, e che non aveva prescritto o indicato ulteriori approfondimenti diagnostici, veniva imputata una responsabilità professionale omissiva e attribuite le conseguenze del ritardo diagnostico apparentemente conseguito.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

685 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

Come già riferito, nel referto della radiografia effettuata 1 anno prima delle manifestazioni cliniche, veniva segnalata la presenza del suddetto nodulo senza alcun ulteriore commento, né sospetto diagnostico né, in particolare alcuna indicazione della necessità di ulteriori approfondimenti clinici e/o strumentali atti a dirimere il quesito diagnostico in atto, relative al NSP individuato.

Le caratteristiche salienti cliniche ed istopatologiche dell’adenocarcinoma

polmonare sono riportate in un articolo dal titolo Lung Adenocarcinoma - 2011. College of American Pathologists – Internet: www.cap.org.

Si tratta di una neoplasia che rappresenta circa il 28 % dei tumori primitivi polmonari negli uomini e il 42 % nelle donne.

La maggior parte dei casi si verifica nei fumatori, con rapporto 4/1 fra fumatori e non fumatori.

Il tumore tende ad essere periferico e le dimensioni sono in genere inferiori

a cm 4,00, per cui un coinvolgimento della pleura è relativamente ad alta frequenza. La cavitazione delle lesione è rara. Noduli non solidi o in parte solidi sono più facilmente soggetti alla

malignità e si tratta per lo più di carcinomi bronchioloalveolari o di adenocarcinomi con aspetti bronchioloalveolari.

Il carcinoma bronchioloalveolare puro può essere differenziato come opacità con aspetto trasparente per la linfangite; l’indice di contrasto può quindi aiutare ad identificare i BAC.

Sotto l’aspetto istopatologico la maggior parte degli adenocarcinomi consiste in

una mescolanza di sottotipi con vari gradi di differenziazione:

l’acinare, il papillare (micropapillare), il bronchioloalveolare, il solido con produzione di mucina.

Assai utile sotto il profilo della conoscenza della clinica del predetto tumore

polmonare è un altro contributo scientifico dal titolo ancora “Adenocarcinoma of the Lung”, da Internet: www.intelihealth.com, stampato 2011.

Prescindendo dalle caratteristiche intrinseche microscopiche, ciò che

maggiormente interessa è, nella fattispecie, la diagnostica differenziale, che riguarda, essenzialmente, nell’ordine:

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

686 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

metastasi di adenocarcinoma: tende ad essere più omogeneo dei tumori primitivi; in particolare si può trattare di:

1. metastasi di adenocarcinoma del colon, differenziabili, in particolare, per

gli aspetti immunofenotipici; 2. metastasi di adenocarcinoma della prostata, con similitudini rispetto a

quelle dell’ ADK del colon, ma con positività per il PSA e per la fosfatasi acida prostatica oltre che per le peculiarità istologiche;

3. metastasi di adenocarcinoma della mammella, per lo più ER e PgR positive; 4. metastasi di adenocarcinoma della tiroide, positive per la tireoglobulina e

mucina;

mesoteliomi; iperplasia alveolare atipica, iperplasia reattiva pneumocitica, metaplasma

bronchiolare in caso di polmonite interstiziale.

Il contesto clinico e le caratteristiche di sesso, età, abitudini tabagiche, precedenti anamnestici, esordio clinico della patologia, ecc., rappresentano, però, presupposti essenziali per dirimere il quesito diagnostico.

Il presidio terapeutico essenziale a fini curativi è sicuramente costituito

dall’intervento chirurgico radicale. La prognosi risente sicuramente dei seguenti ordini di fattori, ossia

nell’ordine:

aspetti radiologici: i piccoli tumori con diametro inferiore a 20 mm che comprendono più del 50 % dei tipi con opacità a sfondo vitreo sono associati ad assenza di ricadute dopo resezione; altri studi hanno riscontrato un miglioramento della sopravvivenza per gli ADK di dimensioni inferiori a 15 mm e con opacità comprendente un aspetto di sfondo vitreo > del 57 %; quindi le dimensioni radiologiche < 20 mm e il contenuto di aria dei tumori sono associati con un basso tasso di metastatizzazione e migliore sopravvivenza rispetto ai piccoli tumori solidi;

gli ADK hanno un più alto tasso di ricaduta rispetto ai carcinomi non small cells,

maggiormente se il tumore primitivo è > cm 3,00 di diametro, manifestando presenza di noduli satelliti o di metastasi linfonodali;

molto studi hanno riscontrato risultati simili per i piccoli ADK periferici;

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

687 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

la resezione locale di BAC e di tumori < mm 20 di diametro, senza fibrosi reattiva e senza invasione, appare curativa in modo radicale, dal momento che gli stessi tumori non hanno manifestato metastasi linfonodali e micrometastasi, con un tasso di sopravvivenza del 100 % a 5 anni;

piccoli ADK periferici < mm 30 o ancor meno in diametro e che non superano al centro mm 5 di grandezza, hanno una sopravvivenza globale a 5 anni del 100 %; un più alto contenuto di collageno e di fibrosi che è associata ad una più alta incidenza di metastasi e peggiore prognosi;

gli ADK con diametro > mm 30, con oltre 75 % di infarcimento lipidico e con fibrosi centrale non > mm 5 nel diametro e con mancata distruzione della parte alveolare elastica sono associati con un tasso del 100 % di sopravvivenza;

il carcinoma papillare non è distinguibile dal BAC sotto il profilo prognostico;

il BAC in non fumatori può essere responsivo alla terapia con gefitinib;

la positività per i markers neuroendocrini può rappresentare un fattore

prognostico avverso ma può anche essere associato con un incremento della responsività alla chemioterapia;

il profilo dell’espressione genetica può costituire un’informazione aggiuntiva prognostica potendo avere patterns diversi.

Un interessante approfondimento sulle caratteristiche generali

dell’adenocarcinoma primitivo polmonare è dato da un articolo dal titolo “Lung Cancer (Adenocarcinoma of the Lung)” – Internet: www.virtualmedicalcentre.com, stampato 2011.

I tumori polmonari possono essere distinti in small cell e non small cell. La stragrande maggioranza dei casi riguarda l’ADK, il carcinoma a cellule

squamose e le varietà a grandi cellule. La distinzione riguarda le differenze esistenti sia riguardo all’approccio

diagnostico che, in particolare, alla pianificazione terapeutica. I tumori small cell (SCLC) tendono ad una più rapida disseminazione fin dall’atto

della loro presentazione clinica, per cui è favorito sempre l’uso della chemioterapia. I tumori non small cell (NSCLC), invece, hanno una localizzazione

prevalentemente polmonare all’atto della loro prima presentazione clinica, per cui è

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

688 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

preferibile l’uso dell’asportazione chirurgica radicale e la radioterapia quale iniziale tipo di trattamento.

L’ADK polmonare rientra fra i vari tipi di tumore polmonare. L’ADK è costituito da un ammasso di cellule anormali che influenzano la forma

del tumore. Con l’ingrandimento della massa tumorale, il tumore diffonde in sede polmonare. L’eventuale metastatizzazione secondaria in altre parti del corpo comprende,

nell’ordine i linfonodi satellitari toracici della parte centrale, colpendo il mediastino, il fegato, le ossa, le capsule surrenaliche, gli altri organi a distanza, compreso il cervello.

L’ADK è fra i tumori polmonari maligni quello con maggiore facilità a dare localizzazioni a distanza.

Se è inizialmente localizzato, può anche rispondere come gli altri tumori al trattamento, specie l’asportazione chirurgica del tumore e dei linfonodi satelliti.

L’ADK secondo taluni autori, è il più comune fra i tumori polmonari. La maggior parte degli ADK si riscontra nei fumatori, ma è anche quello più frequente nei non fumatori.

E’ la forma più comune nelle donne e nei soggetti di età superiore ai 45 anni. I sintomi comprendono, fra gli altri, tosse con espettorato, anche emoftoe,

la dispnea, fastidio nel corso degli atti respiratori, astenia, dolore toracico, febbre e tosse con espettorato mucoso, perfino disturbi della deglutizione, la disfonia, il calo ponderale e la perdita di appetito, altri sintomi per le localizzazioni a distanza, al cervello, ossa o altrove.

La conferma della diagnosi si ottiene con una radiografia del torace, in base alla quale ogni massa od opacità è da ritenersi un tumore, fino a prova contraria, ovvero la TC, con mdc e la PET TC, per l’esatta localizzazione della massa tumorale.

I test di tipizzazione comprendono, nell’ordine:

striscio e ricerca citopatologica nell’espettorato; biopsia di tipo escissionale, ottenuta mediante broncoscopia, essendo

talvolta necessaria la chirurgia per rimuovere un’area sospetta polmonare; appunto, la broncoscopia, con biopsia; la mediastinoscopia, per la biopsia dei linfonodi e di ogni eventuale massa

mediastinica, con la tipizzazione oncologica e la ricerca dei linfonodi positivi;

l’agoaspirazione della massa sospetta; la toracentesi di liquido eventualmente presente nelle cavità pleuriche; la toracoscopia videoassistita; la TC, la PET e la scintigrafia ossea.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

689 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

La terapia chirurgica può comprendere, nell’ordine e, secondo le necessità:

la resezione a cuneo; la lobectomia polmonare; la pneumectomia; la toracoscopia video assistita che una metodica sia diagnostica che

terapeutica, meno invasiva rispetto alla toracotomia.

A seconda del livello di estensione loco – regionale la terapia può basarsi sulla radioterapia e sulla chemioterapia adiuvante o neoadiuvante, ai fini del completamento terapeutico e sterilizzazione dei focolai neoplastici o della facilitazione del trattamento chirurgico, nel secondo caso.

Riguardo alla classificazione, gli stadi vanno da I-IV in base alle dimensioni e alla

diffusione del tumore. Un ulteriore approfondimento deriva da un articolo dal titolo “Lung,

Adenocarcinoma”, da Internet www.funakoshi.co.jp (reference.allrefer.com), stampato 2011.

Tornando alla storia clinica naturale e alle caratteristiche biologiche dell’ADK

polmonare, si tratta in genere di un tumore a lento accrescimento anche se può essere difficile da diagnosticare proprio per la sia caratteristica di tumore periferico del polmone, risultando, per lo più, poco evidenti i sintomi e potendosi il tumore sviluppare anche centralmente.

In caso di metastasi il tasso di sopravvivenza a 5 anni risulta inferiore al 20 %. La TC spirale multistrato è in grado di individuare noduli polmonari periferici

anche di 2-3 mm di diametro, in non fumatori. Tutto ciò spinge a riconsiderare la storia naturale dei tumori polmonari, specie

degli ADK, riguardo alle linee guida cliniche e radiologiche esistenti per la gestione diagnostica e terapeutica di queste lesioni.

L’ADK polmonare va senz’altro ricompreso fra i tumori maligni polmonari non small cell, che sono, poi, la maggioranza, e comprendono anche i carcinomi a cellule squamose o epidermidi, oltre agli adenocarcinomi e ai carcinomi a grandi cellule.

I tumori polmonari, in generale, tendono a metastatizzare al cervello, alle ossa, al

fegato o al midollo osseo.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

690 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

E’ reperto comune, così, individuare e diagnosticare ADK polmonari delle dimensioni ad es., di cm 5, 2 x 2,5, o 4,6 x 4, 7, con associata estensione alla pleura viscerale, con la possibilità di margine libero dopo resezione chirurgica, con localizzazione a qualche linfonodo satellite peribronchiale, talvolta con presenza contestuale di bronchiectasie, e necessità di chemioterapia neoadiuvante preoperatoria a base di cisplatino, ai fini dell’operabilità dello stesso tumore.

In pratica, in caso di ritardo diagnostico, ai fini della quantificazione dell’aggravio

prognostico e del relativo danno biologico evidenziatosi, appare essenziale riportare la Stadiazione vigente per i tumori non small cells polmonari e i relativi tassi di sopravvivenza, in base alle statistiche riportate dai dati della letteratura specifica del settore.

Stadiazione secondo il sistema TNM del cancro del polmone

T Tumore primitivo TX Presenza di cellule maligne nell’escreato o nel liquido di lavaggio

bronchioalveolare; tumore non evidenziato dalla radiografia del torace o dalla broncoscopia.

T0 Nessuna evidenza di tumore primitivo. Tis Carcinoma in situ. T1 Tumore < 3 cm circondato da parenchima polmonare o da pleura

viscerale, senza segni di invasione del bronco lobare prossimale alla broncoscopia.

T2 Tumore > 3 cm, interessamento del bronco principale almeno 2 cm distalmente alla carena tracheale, invasione della pleura viscerale o associato ad atelectasia o polmonite ostruttiva che si estende alla regione ilare, ma non interessa il polmone in toto.

T3 Tumore di qualsiasi dimensione con invasione della parete toracica (inclusi i tumori del sulcus superiore), del diaframma, del mediastino, della pleura parietale o tumore del bronco principale a meno di 2 cm distalmente alla carena, ma senza interessamento della carena stessa o associato ad atelectasia o polmonite ostruttiva dell’intero polmone.

T4 Tumore di qualsiasi dimensione con invasione di organi mediastinici: cuore, grossi vasi, esofago, trachea, corpi vertebrali, carena o presenza di versamento pleurico citologicamente positivo.

N linfonodi regionali NX I linfonodi regionali non possono essere definiti. N0 Assenza di interessamento dei linfonodi regionali. N1 Interessamento dei linfonodi peribrnchiali e/o ilari omolaterali,

compresa l’estensione diretta del tumore primitivo.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

691 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

N2 Interessamento dei linfonodi mediastinici e/o ilari omolaterali eo sottocarenali.

N3 Interessamento dei linfonodi mediastinici e/o ilari controlaterali e/o linfonodi scalenici omolaterali e controlaterali.

M Metastasi a distanza MX Assenza di requisiti minimi per definire la presenza di metastasi a

distanza. M0 Assenza di metastasi a distanza. M1 Presenza di metastasi a distanza.

Sulla scorta del TNM sono stati identificati quattro stadi: Carcinoma occulto TX N0 M0 Stadio 0 Tis N0 M0 Stadio 1 T1 N0 M0

T2 N0 M0 Stadio 2 T1 N1 M0

T2 N1 M0 Stadio 3A T3 N0 M0

T3 N1 M0 T1-3 N1 M0

Stadio 3B T1-3 N3 M0 T4 N0-3 M0

Stadio 4 T1-4 N0-3 M1

Un interessante lavoro scientifico dal titolo “Survival prediction of stage I lung adenocarcinomas by expression of 10 genes“ - The Journal of Clinical Investigation http://www.jci.org - Volume 117 Number 11 November 2007 - di F. Bianchi e al., ci illustra le caratteristiche di sopravvivenza dell’ADK polmonare negli stadi iniziali, quando lo stesso viene trattato.

Viene qui specificato che nello Stadio I si ottiene la guarigione chirurgica in circa il 60 % dei casi.

In effetti è da considerare che il cancro del polmone rappresenta la prima causa di morte per tumori maligni nel mondo.

Le probabilità di sopravvivenza dipendono strettamente dallo Stadio in cui viene diagnosticato il tumore polmonare, giovandosi gli stadi più bassi e meno avanzati di percentuali di sopravvivenza nettamente migliori.

Non esistono sufficienti indicazioni per il trattamento chemioterapico adiuvante post – chirurgico nello stadio I del tumore polmonare.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

692 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

In buona sostanza, negli stadi I - II la prognosi globale degli ADK

polmonari è discreta, per non dire abbastanza favorevole, con percentuali di sopravvivenza che vanno, mediamente fra il 40-45 % al 60 – 65 % dei casi correttamente trattati.

Al di fuori, in ogni caso dello stadio I, prognosticamente un po’ più severo per l’ADK, le percentuali di sopravvivenza per gli stadi in generale sono praticamente le stesse nel caso dei carcinomi non small cells, ossia:

Stadio 0 90 % Stadio IA 67-77 Stadio IB 57 Stadio IIA 55 Stadio IIB 39 Stadio IIIA 38-23 Stadio IIIB 7-5 Stadio IV < 5

In pratica le uniche reali differenze, in senso prognostico, fra il carcinoma

squamoso e l’ADK polmonare riguardano la diversa operabilità, talvolta riscontrabile fra gli stessi, con prevalenti ipotetiche maggiori difficoltà per l’ADK, e non le caratteristiche intrinseche istopatologiche e di aggressività biologica che li contraddistinguono.

Tornando al caso in specie, in precedenza rappresentato, a titolo esemplificativo,

con un apparente ritardo diagnostico di circa 1 anno del nodulo polmonare periferico riscontrato inizialmente nella radiografia del torace, all’epoca dell’esecuzione della Rx standard del torace si trattava, inizialmente, di una lesione ovalare del diametro di 3-4 cm, ossia di un T2, Nx, Mx-0, ovvero di un tumore stadiabile T2, N1-3, M0, con possibilità teorica di un range che potrebbe andare dallo stadio IB allo stadio IIIB, in caso estremo, ma più verosimilmente fino allo stadio IIIA, con una prognosi media inquadrabile nell’ordine del 40-50 % di sopravvivenza globale dopo effettuazione del miglior trattamento possibile.

L’anno dopo, all’epoca della diagnosi, effettuata quando la neoplasia era ormai in fase metastatica le percentuali di sopravvivenza globale erano sicuramente < al 5 %, per lo stadio IV in cui l’ADK polmonare si era manifestato in modo conclamato, per cui, in definitiva, è assai probabile che il ritardo diagnostico abbia prodotto un aggravio

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

693 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

prognostico > del 40 % a 5 anni, con netta perdita di chances per il destino terapeutico del paziente in questione.

In effetti la presenza di un grosso nodulo solitario polmonare in sede periferica

polmonare dx avrebbe sin da subito dovuto orientare, almeno come sospetto diagnostico, la diagnosi verso un adenocarcinoma polmonare, vista la sede tipica del nodulo, molto suggestiva in senso diagnostico, e considerate le dimensioni della lesione, un’opacità polmonare piuttosto densa di circa cm 4 di diametro massimo, ovvero i contorni sfumati della stessa, nonché l’anamnesi deponente per un soggetto fumatore e nella fascia d’età tipica per la comparsa di un tumore polmonare.

La responsabilità professionale del sanitario radiologo coinvolto si potrebbe

ipoteticamente pertanto inquadrare, quindi:

in una mancanza di una specifica ipotesi diagnostica, viste le dimensioni del nodulo solitario e della sua sede periferica che erano da reputarsi altamente suggestive di un ADK polmonare;

in una mancanza di una specifica indicazione per ulteriori accertamenti diagnostici, TC con mdc e PET TC;

in un ritardo diagnostico di circa 1 anno; in un aggravio prognostico complessivo > 40 % relativamente alla

sopravvivenza e una netta perdita di chances correlata; in definitiva, in un evidente accorciamento della sopravvivenza globale del

paziente in questione.

Caso clinico n. 3 - Esempio Si affronta qui di seguito il problema del ritardo diagnostico, e del relativo

impatto prognostico, ossia del danno ipotetico conseguente ad una mancata diagnosi precoce, in una serie di casi oncologici con peculiarità particolari.

In tal senso, un altro caso interessante sotto il profilo oncologico e medico

legale è da reputarsi quello delineato e riportato brevemente qui di seguito. Un soggetto di sesso maschile di età di 42 anni di età veniva

improvvisamente colpito da una sintomatologia caratterizzata da una paraparesi spastica.

Un RM vertebrale eseguita appena dopo la comparsa dei sintomi evidenziava la presenza di una massa “ab estrinseco” comprimente il midollo a livello vertebrale, in corrispondenza di un metamero dorsale.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

694 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

Veniva, pertanto, eseguito un intervento neurochirurgico di decompressione il cui esame istologico definitivo, eseguito sul pezzo anatomico asportato, evidenziava quanto segue: “Tessuto linfoproliferativo”, quale diagnosi istopatologica conclusiva.

Il paziente veniva dimesso senza nessun’altra indicazione diagnostica e/o terapeutica e senza invio in alcuna struttura né oncologica né ematologica di competenza.

Successivamente, a distanza di circa 1 anno, il paziente veniva colpito da una forma di orchite bilaterale di ndd, con versamento, per cui veniva ricoverato in un reparto di urologia.

Venivano eseguiti vari accertamenti fra cui un’ecografia che non mostrava aspetti patologici di apparente rilievo.

Verificata la presenza di un criptorchidismo il paziente veniva sottoposto ad una orchiectomia destra, il cui esito istologico, appariva negativo, ovvero non risolutivo ai fini diagnostici.

Dovendo il paziente essere sottoposto ad ulteriori accertamenti per dirimere il quesito diagnostico, lo stesso usciva dal nosocomio contro il parere dei sanitari.

Dopo circa sei mesi si verificava la comparsa di una linfoadenopatia

ascellare monolaterale sinistra, per cui al paziente veniva praticata una linfoadenectomia omolaterale che evidenziava, all’esame istologico, la presenza di un “linfoma non Hodgkin ad alto grado di malignità” senza offrire ulteriori elementi di caratterizzazione diagnostica.

Dopo tale diagnosi il paziente effettuava 6 cicli di chemioterapia primitiva, secondo protocolli standard.

Si assisteva, quindi, successivamente alla terapia instaurata, ad una remissione clinica completa, RCC, ma a distanza di ulteriori 6 mesi il paziente accusava un versamento pleurico bilaterale di ndd, che necessitava di essere ben inquadrato nell’ambito della storia clinica naturale della malattia in atto.

Veniva verificata successivamente la presenza di una linfoadenopatia

diffusa per una recidiva sistemica del LNH diagnosticato in precedenza. Il paziente veniva sottoposto ad una terapia di salvataggio di II^ linea, con

una risposta clinica parziale, per cui, in definitiva, veniva ulteriormente trattato con chemioterapia ad alte dosi e a trapianto di midollo eterologo, ma non essendosi poi ottenuta la RCC del quadro clinico, si assisteva, in definitiva, ad una localizzazione cerebrale e meningea che comportava, da ultimo l’exitus dello stesso paziente.

Volendo ricostruire la storia clinica naturale della malattia sin dall’inizio è

opportuno fare delle doverose premesse circa le localizzazioni evidenziatesi nel tempo e

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

695 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

che hanno poi comportato l’evoluzione in progressione della patologia neoplastica linfatica verificatasi.

Da un articolo dal titolo “Spinal Cord Tumors: Management of Intradural Intramedullary Neoplasms”, tratto da Internet – Emedicine - www.medscape.com, ultimo aggiornamento gennaio 2007, è possibile trarre spunti assai interessanti sui tumori primitivi midollari, in generale, e sui Linfomi primitivi midollari, in particolare.

I tumori spinali primitivi midollari rappresentano, di norma, un contingente di

malattie neoplastiche piuttosto rare. Essi provocano, in genere, disturbi da compressione midollare di tipo sensitivo e

motorio. Spesso e volentieri si tratta di neoplasie che colpiscono

contemporaneamente il cervello e il midollo spinale, trattandosi di lesioni primitive endomidollari ed endocraniche.

Un diffusa compromissione midollare che va dai metameri cervicali a quelli

dorsali, fino ai lombari può essere consensuale alla localizzazione meningea e cerebrale, avendo spesso le lesioni cordali una continuità con quelle cerebrali.

Nel 85 – 90 % dei casi si tratta di gliomi e astrocitomi primitivi midollari.

Assai specifico invece sull’argomento dei linfomi midollari si dimostra un lavoro scientifico dal titolo “Histopathological examination of 14 autopsy cases” di Kawasaki, e al., Neuropathology, Volume 22, Number 1, March 2002 , pp. 13-18(6).

Viene qui riportato che su 10 casi di LNH primitivo midollare, 2 casi erano di tipo

endomidollare e 8 casi di tipo epidurale. Degli otto casi segnalati in letteratura di LNH epidurali spinali, 4 erano a

livello del canale spinale toracico, 2 erano a livello del canale spinale lombare e 2 erano siti a livello sia del canale lombare che toracico.

Gli studi radiologici mettevano in evidenza la presenza di una lesione oblunga che andava sia verso l’alto che verso il basso, con la presenza di un segnale anormale.

Il coinvolgimento vertebrale, con diversi tipi di estensione, veniva verificato in ben 6 casi.

Le tecniche d’immagine dimostrano che:

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

696 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

i linfomi midollari spinali si verificano prevalentemente in soggetti adulti con una storia di dolore cronico seguita da un deterioramento neurologico acuto;

la sede più comune di localizzazione è rappresentata dallo spazio epidurale toracico;

la RM della colonna vertebrale mette in evidenza la presenza di una lesione oblunga che, circondando la dura, si aggetta e si prolunga verso il basso e verso l’alto;

la diagnosi istologica finale serve per determinare l’oncotipo della neoplasia e quindi necessita per la tipizzazione del linfoma.

Ancora incentrato sulla problematica dei linfomi midollari, e più specifico al

riguardo, appare un contributo scientifico, tratto da Internet - www.virtualmedicalcentre.com, dal titolo “Spinal Cord Cancer (Lymphoma of the Spinal Cord)”.

Circa la caratterizzazione istologica dei linfomi midollari, va considerato che in letteratura non è segnalata la presenza di una metastasi intramidollare di linfoma linfoblastico, a dimostrazione che la sede delle metastasi è sempre extramidollare ed extradurale.

Nel SNC, a livello midollare, la sede delle metastasi comprende la leptomeninge

spinale, in modo tale da provocare una compressione a livello del midollo spinale epidurale o parenchimale cerebrale, a distanza di circa 1 anno dalla diagnosi primitiva.

In una sporadica occasione viene descritta la presenza di una metastasi intramidollare da linfoma linfoblastico quale tarda ricorrenza.

La recidiva veniva poi trattata con microchirurgia e radioterapia con miglioramento del deficit neurologico.

Il midollo spinale fa parte del sistema nervoso centrale, essendo una

continuazione dell’apparato cerebrale ed estendendosi fino al cono midollare all’altezza della seconda vertebra lombare, L2.

E’ localizzato all’interno del canale vertebrale. Sotto il livello di L2 i restanti

contenuti del canale spinale sono dati dalla cauda equina e dal fascio dei nervi nello spazio subaracnoideo.

Di ulteriore valore esplicativo sul tema appare un articolo dal titolo “Magnetic

resonance imaging of intramedullary meningioma of the spinal cord: case report and review of the literature” di S. Covert e al., Can Assoc Radiol J 2003;54(3):177-80.

I tumori del midollo spinale possono essere primari o metastatici.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

697 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

La stragrande maggioranza dei tumori del midollo spinale è costituita da localizzazioni metastatiche provenienti da altre sedi primarie.

I tumori del midollo spinale possono essere divisi in tre gruppi, in base alla localizzazione anatomica della massa tumorale.

Si distinguono prima di tutto in base alla localizzazione meningea, ossia possono essere intradurali o extradurali.

Inoltre i tumori intradurali possono essere ulteriormente distinti a seconda che insorgano dal parenchima endomidollare, intramidollari, o negli spazi subaracnoidei, extramidollari.

I tumori extramidollari sono rappresentati più comunemente dalle metastasi e di

solito insorgono all’interno dei corpi vertebrali (tessuto spugnoso del corpo vertebrale irrorato).

Questi tumori provocano più comunemente una compressione midollare con un

effetto massa di tipo estrinseco, quindi per la presenza di una massa “ab estrinseco” e, occasionalmente si possono affacciare con un’infiltrazione attraverso la dura nello spazio intradurale.

I sintomi di questi tumori sono quindi legati alla lenta compressione midollare dovuta all’ingrandimento della massa tumorale, con deficit iniziale prevalentemente motorio, seguito da disfunzione sfinterica progressiva e deficit sensitivo sempre maggiore.

I tumori extradurali rappresentano la stragrande maggioranza dei tumori del midollo spinale (Luo Boning e al. “MRI features of lymphoma in spinal canal” Biomedical Imaging and Intervention Journal 2007; 3(1):e12-258).

I tumori extramidollari intradurali tendono ad essere prevalentemente rappresentati da neurofibromi e meningiomi.

Si presentano prevalentemente con il coinvolgimento della radice di un nervo con

dolore e perdita funzionale neurologica progressiva dovuta sempre alla compressione del midollo da parte della massa che si va ingrandendo.

I tumori intramidollari sono rappresentati, in genere, da glomi, ependimomi e

astrocitomi, ma anche più sporadicamente da metastasi di altri tumori. Questi tumori provocano un rigonfiamento diffuso midollare, spesso a diversi

livelli, con perdita della funzione locale, dolore e perdita funzionale midollare spinale al di sotto del livello della lesione spinale.

Il linfoma primitivo midollare è, in ogni caso, raro.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

698 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

I Linfomi a livello del midollo spinale sono rappresentati assai più comunemente da localizzazioni metastatiche, anche se, di tanto in tanto si può verificare una localizzazione primaria.

In effetti il linfoma midollare primitivo rappresenta meno del 1 % dei tumori del SNC, verificandosi in rapporto all’incremento dell’età e con pari incidenza nei due sessi.

Il trattamento iniziale di pazienti con sospetta compressione midollare è data dalla terapia cortisonica generale, dovendosi attendere, per le localizzazioni primitive la conferma istopatologica dopo biopsia.

Il Linfoma primitivo del SNC è rapidamente ingravescente ove non curato, mentre

dopo terapia ha una prognosi comunque severa con 30 – 40 % di sopravvivenza a 5 anni.

Il trattamento iniziale del linfomi midollari spinali, come detto, è dato dalla terapia cortisonica generale, ma vista l’estrema sensibilità del linfoma primitivo è preferibile iniziare la terapia dopo la biopsia di conferma istologica.

La biopsia incisionale è il tipo di trattamento chirurgico attuabile. La chemioterapia e la radioterapia, insieme ai cortisonici, sono da ritenersi i

presidi terapeutici preferiti. Esami neurologici di controllo e tecniche radiodiagnostiche, TC e RM si rivelano

essere le metodiche d’indagine preferite per il midollo spinale. In definitiva i tumori midollari spinali si possono distinguere in extradurali e

intradurali, questi ultimi a loro volta distinguibili in intramidollari ed extramidollari. Circa l’istotipo sono distinguibili in metastatici, meningiomi, neurofibromi, linfomi,

ependimomi e astrocitomi. I sintomi sono tutti dovuti alla compressione midollare ingravescente e progressiva

e riguardano, essenzialmente:

problemi motori: deficit di forza muscolare,ossia ipostenia spasticità e/o ridotto o mancato controllo sfinterico vescicole, paralisi e atassia;

dolore: può essere severo e più spesso continuo, con recrudescenze e variazioni nella qualità del dolore;

deficit sensoriali: disturbi della sensibilità tattile e termica, in special modo.

I sintomi neurologici vengono individuati al di sotto del livello midollare metamerico colpito.

La TC con mdc, ma in misura maggiore la RM sono in grado di visualizzare in

maniera approfondita il problema.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

699 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

La puntura lombare, per l’esame citologico può essere utili ai fini diagnostici, anche per distinguere altri quadri patologici di tipo infiammatorio.

La terapia chirurgica è da ritenersi il trattamento di scelta per i tumori intradurali ed extramidollari.

Nel caso il tumore non sia stato interamente resecato o per tumori in operabili possono apparire molto utili la chemio e la radioterapia.

Con la microchirurgia è stato possibile rimuovere anche tumori prima non

resecabili, ciò che ha permesso di migliorare molte procedure neurochirurgiche. La chirurgia stereotassica, eco o TC guidata, permette di indicare lo specifico

obiettivo al chirurgo con maggiore accuratezza, consentendo anche di rimuovere piccoli tumori o rivelandosi assi utile in caso di fusioni spinali.

La laserterapia, le tecniche ultrasoniche la chemio e la radioterapia sono da ritenersi altri utili presidi terapeutici.

Nel caso in specie rappresentato si trattava, quindi, di una massa ab estrinseco

che comprimeva il midollo spinale, con associazione di sintomi neurologici di tipo prevalentemente motorio, ciò che dava luogo ad una paraparesi spastica, verosimilmente extradurale e sicuramente non parenchimale midollare o intramidollare, in quanto non segnalato dalla RM effettuata nell’occasione.

Si riteneva opportuno intervenire chirurgicamente asportando la massa in toto, per cui, dopo esame istologico definitivo la diagnosi lapidaria appariva quella di “tessuto linfoproliferativo”.

Le circostanze del caso e il prosieguo della storia clinica naturale lasciano

propendere per l’esistenza sin dall’inizio di una neoplasia linfomatosa sistemica, ossia di un linfoma non Hodgkin con sede primitiva diversa da quella midollare.

Nel caso in specie si trattava di un nodulo costituito da una massa espansiva ab - extrinseco, comprimente il midollo stesso, con tutte le caratteristiche di una lesione e localizzazione midollare linfomatosa, di tipo extradurale, quasi certamente metastatica e, quindi con la contestuale presumibile presenza di altre sedi lesionali e soprattutto stazioni linfonodali sicuramente coinvolte, non adeguatamente indagate nell’occasione.

La diagnosi stessa di “tessuto linfoproliferativo” non appare assolutamente

supportata a dovere da elementi di descrizione e cognizione adeguati, anche se una diagnosi pur non adeguatamente circostanziata deponeva sicuramente per una malattia linfomatosa con coinvolgimento extra linfonodale e doveva necessariamente richiamare alla mente, perciò, la presenza di una malattia neoplastica linfomatosa in evoluzione, con indicazione assoluta a proseguire l’iter diagnostico con TC e RM total body, con e senza mdc e biopsia delle linfoadenopatie presenti, onde la pressoché sicura diagnosi di LNH in Stadi avanzati e localizzazione extra - linfonodale.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

700 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

In considerazione, come visto, pertanto del fatto che la stragrande maggioranza

dei tumori midollari è sia extradurale che metastatica e che i linfomi primitivi midollari, specie intramidollari sono estremamente rari, trattandosi nella stragrande maggioranza dei casi di linfomi extramidollari, pur primitivi è lecito indicare che:

nella fattispecie si trattava evidentemente, anche e soprattutto per quanto accaduto successivamente, nel prosieguo verificato della storia naturale narrata, di un linfoma non Hodgkin ad alto, ovvero intermedio grado di malignità, onde la presenza di tessuto linfoproliferativo, esordito quasi certamente in altre sedi a distanza e poi localizzatosi al midollo in sede extradurale;

si trattava verosimilmente di una localizzazione secondaria metastatica

vertebrale extradurale comprimente il midollo;

occorreva prima di tutto trattare il paziente con cortisone per via sistemica e sottoporre la lesione individuata ad un esame bioptico per tipizzare meglio la neoplasia e attuare il miglior trattamento terapeutico chemio e radioterapico protocollare;

era necessario valutare altresì, in una fase successiva, la reale natura,

ancora molto sospetta per un linfoma, dell’orchite bilaterale riscontrata, con versamento, soprattutto alla luce dei precedenti anamnestici, deponenti, come indicato, per la presenza di una massa ab extrinseco midollare di verificata natura linfoproliferativa, essendo la localizzazione testicolare di un LNH situazione di relativa discreta evenienza, in questo tipo di malattia neoplastica linfatica;

una volta accertato, dopo biopsia, che si trattava di un linfoma non

Hodgkin midollare extra durale, successivamente bisognava effettuare ulteriori accettamenti diagnostici, specie di tipo radiodiagnostico, TC e RM soprattutto, ovvero attuare l’intero protocollo diagnostico del caso, onde valutare lo stadio stesso del LNH in quella fase d’esordio clinico;

bisognava da ultimo, poi, sottoporre il paziente a trattamento radio e/o

chemioterapico specifico il LNH adeguatamente stadiato e poi verificare l’ottenimento della RCC per iniziare il follow up di controllo a 5 anni.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

701 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

Tutto ciò, come indicato, non è stato attuato e la responsabilità professionale relativa può essere ipoteticamente riferita a tutta una concatenazione di errori commessi dai vari sanitari che ebbero in cura il paziente e cioè, nell’ordine:

il neurochirurgo, ovvero il sanitario medico, che dietro le precise indicazioni del radiologo, che aveva individuato la presenza di una massa ab extrinseco extradurale, avrebbe dovuto fare il ragionamento clinico esposto in precedenza e, già da subito, in linea di massima attribuire la stessa massa ab extrinseco vertebrale alla presenza di una metastasi per un tumore presente in altre sedi;

il neurochirurgo sempre, per non aver adottato tutto l’intero protocollo diagnostico adatto ai pur rari tumori midollari spinali, con l’indicazione e l’effettuazione di una biopsia incisionale atta, con l’esame istologico conseguente, a tipizzare adeguatamente la neoplasia;

il neurochirurgo, ancora, per non aver effettuato una biopsia

estemporanea nel corso dell’intervento chirurgico stesso di decompressione, sempre a fini di tipizzazione;

il neurochirurgo, per non aver, comunque adeguatamente considerato

tutto il quadro clinico nel suo insieme e non aver valutato che già la presenza di tessuto linfoproliferativo, pur senza ulteriori indicazioni cliniche e diagnostiche, era già altamente suggestivo della presenza di una malattia linfomatosa maligna, presumibilmente secondaria, anche viste le caratteristiche macroscopiche e la consistenza del tessuto neoformato asportato;

l’istologo per non aver sufficientemente descritto e tipizzato la massa

neoformata asportata, con diagnosi finale comunque molto deficitaria;

l’urologo, per non aver raccolto l’anamnesi in maniera adeguata e non aver compreso che una localizzazione orchitica secondaria da linfoma è sicuramente possibile e non aver, a sua volta indirizzato il paziente dall’oncologo o dal medico di medicina generale per ulteriori necessari accertamenti diagnostici.

Laddove la diagnosi fosse stata prontamente ed adeguatamente formulata le

possibilità terapeutiche erano da reputarsi sicuramente notevoli, con percentuali di sopravvivenza possibili, in questi casi, anche per uno Stadio II – III, vista anche la lentezza e non particolare aggressività manifestata dalla neoplasia nell’occasione, in

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

702 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

base alla storia clinica naturale, dopo trattamento secondo schemi standard, pari o superiori al 50 - 60 % dei casi, a 5 anni, orientativamente, in assenza di manifestazioni meningee encefaliche, non realizzatesi nell’occasione, mentre, in considerazione del grave ritardo diagnostico maturato, di oltre 1 anno e mezzo, la storia naturale della neoplasia ha avuto sicuramente un altro tipo di decorso, molto più aggressivo e invasivo, con percentuali di sopravvivenza finali < 20 – 30 % dei casi, e conseguente aggravio prognostico e pregiudizio terapeutico di oltre 30 – 35 % in termini di sopravvivenza globale, quale perdita netta di chances, in tali casi.

Caso clinico n. 4 - Esempio Un altro caso molto interessante, esposto sinteticamente a titolo esemplificativo e

didattico, è quello che riguarda sempre un linfoma, questa volta primitivo, relativamente raro, che interessa il SNC.

Un soggetto di sesso maschile di 52 anni d’età accusava una cefalea persistente,

a seguito della quale veniva sottoposto ad accertamenti radiodiagnostici e manifestava la presenza di una lesione espansiva cerebrale, situata nei pressi del III ventricolo cerebrale, visualizzata dalla RM cerebrale effettuata nella circostanza.

Veniva quindi visitato da un neurochirurgo, in un reparto specialistico, che, a sua volta, si rivolgeva ad un neurologo per valutare la diagnosi e le circostanze terapeutiche del caso.

Si trattava nella fattispecie di una lesione di oltre cm 2, con i caratteri di un

nodulo solido alla RM eseguita nell’occasione. Il neurologo consultato propendeva per la presenza di una lesione di tipo

demielinizzante per cui ipotizzava la diagnosi di possibile lesione da presunta “sclerosi multipla”, per cui il paziente veniva subito sottoposto a terapia sistemica cortisonica, che a distanza di breve tempo comportava l’intera scomparsa della lesione alla successiva RM di controllo, confortando, apparentemente, in tal senso, in base al criterio ex iuvantibus, la diagnosi iniziale ipotizzata.

Nell’occasione il paziente, quindi, non veniva sottoposto a biopsia stereotassica della lesione espansiva in atto, come reputabile da protocollo, per lesioni espansive cerebrali, teoricamente utile e dirimente, invece, alla tipizzazione della stessa massa cerebrale individuata alla RM.

A distanza di circa 1 anno il paziente veniva ricoverato nello stesso reparto di

neurochirurgia, in stato comatoso.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

703 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

La RM di controllo effettuata in tale occasione dimostrava la presenza di multiple e diffuse lesioni espansive cerebrali che venivano sottoposte, questa volta, a biopsia stereotassica.

L’esito dell’esame istologico dimostrava la presenza di un “linfoma primitivo cerebrale a grandi cellule B”.

Pur avendo iniziato a sottoporre immediatamente il paziente alle terapie protocollari del caso, cortisone + chemioterapia, la situazione clinica dello stesso non migliorava e di lì a poco il medesimo andava incontro ad exitus.

Al neurochirurgo veniva addebitata una responsabilità professionale per non aver

sottoposto l’anno precedente il paziente a biopsia stereotassica che avrebbe potuto probabilmente dimostrare la presenza del linfoma primitivo cerebrale, invece solo successivamente tipizzato con la biopsia stereotassica, circa 1 anno dopo e a seguito di sviluppo di numerose lesioni espansive.

In pratica la lesione inizialmente individuata a livello del III° ventricolo cerebrale

l’anno precedente veniva reputata in stretta interconnessione con il quadro di multiple lesioni cerebrali verificate l’anno successivo, sempre alla RM cerebrale, facendosi risalire, secondo la parte lesa, nella fattispecie, la primitiva lesione all’esordio clinico della stessa patologia neoplastica linfomatosa primitiva cerebrale solo in seguito diagnosticata.

Come si evince da un articolo dal titolo “Primary CNS Lymphoma” tratto da

internet, NCI web – site, www.cancer.gov, dalla specifica sessione “primary-CNS-lymphoma”, aggiornato 09.01.2011, risulta che, in effetti, i linfomi primitivi cerebrali costituiscono un quadro clinico di relativa rarità, anche se negli ultimi tempi si va assistendo ad un certo incremento d’incidenza della stessa neoplasia, in soggetti con età più o meno avanzata e non solo in quelli affetti da infezione da HIV.

Nel caso dei linfomi primitivi cerebrali si tratta di linfomi limitati all’asse cerebro –

spinale senza alcuna possibilità di diffusione di malattia sistemica. La storia naturale della neoplasia differisce fra soggetti con infezione e senza

infezione da HIV. Soprattutto l’esito della terapia è senz’altro nettamente migliore in pazienti senza

infezione da HIV. La presenza di multiple lesioni neoplastiche, l’incremento delle proteine all’esame

del liquor e la sede “non emisferica” della lesione sono sicuramente da ritenersi fattori prognostici sfavorevoli.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

704 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

La progressione del tumore, in ogni caso, si verifica nel SNC e/o nell’occhio. In ogni caso, per escludere comunque una malattia sistemica occulta, ovvero per

accertare che si tratti davvero di un Linfoma primitivo cerebrale, è opportuno completare le indagini con una TC total body.

A causa della natura diffusa dei LPC una decompressione chirurgica aggressiva

non è di alcuna utilità. La mediana di sopravvivenza in caso di sola terapia chirurgica è di soli 1-5 mesi. Fino a qualche anno fa la radioterapia veniva considerata il gold standard dei

trattamenti di tali linfomi, con dosi fino a 45 Gy, frazionate secondo protocolli standard. Si sono sperimentati poi vari regimi di combinazione di chemio e radioterapia,

ma attualmente, di maggiore utilità pratica si sono dimostrati essere quelli che impiegano il methotrexate ad alte dosi, da solo o in combinazione con la radioterapia.

Si sono poi impiegati regimi di salvataggio nel caso in cui i precedenti protocolli

si dimostravano inefficaci e i pazienti non rispondenti alle terapie intraprese, a base di citarabine ed etoposide, ovvero la chemioterapia ad alte dosi con successivo trapianto di cellule staminali autologhe.

In caso di protocolli intensi e aggressivi si sono verificati casi di leucoencefalopatia iatrogena secondaria.

Un dato di estrema rilevanza pratica clinica e medico legale è che i Linfomi

primitivi cerebrali sono estremamente sensibili alla terapia cortisonica generale che è in grado di ingenerare una remissione clinica di breve durata, oscurando in tal modo la diagnosi istologica e la relativa tipizzazione della neoplasia, come più volte segnalato in letteratura.

Nuovi farmaci in grado di attraversare la barriera ematoencefalica fanno parte

delle sperimentazioni degli studi clinici. In genere i pazienti colpiti da linfoma primitivo cerebrale sono affetti da infezione

da HIV, con CD 4 < 50 /ml. Rispondono meglio ai trattamenti i pazienti con CD > 100 / ml, quelli senza

infezioni opportunistiche, quelli con esclusiva presenza del linfoma, in assoluto i pazienti non affetti da infezione da HIV.

Da un ulteriore articolo scientifico dal titolo “Primary CNS lymphoma” di Tarakad

S Ramachandran, tratto dal sito internet emedicine.medscape.com, aggiornato 26 maggio 2011, negli USA l’incidenza dei LPC è aumentata negli ultimi 10 – 15 anni in modo costante, trattandosi, per lo più, di un linfoma diffuso a grandi cellule B.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

705 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

Con la chemioterapia la mediana di sopravvivenza è diventata di ben 44 mesi

rispetto agli 1 – 5 mesi del solo trattamento con irradiazione di tutto il cervello. Nei pazienti con infezione da HIV la mediana, in questo caso, con la

chemioterapia e di 18 mesi. Per il sesso, il rapporto maschio / femmina è di 2 / 1, mentre quasi il 95 % dei

soggetti con infezione da HIV è di sesso maschile. Nei soggetti immunocompetenti l’età media è di 55 anni, mentre negli

immunodepressi da HIV è di 35 anni. Un linfoma isolato oculare o meningeo si può verificare e può non dar luogo a

lesioni locali individuabili con RM. Si possono avere recidive dopo mesi o anche anni. Caratteristica è poi una forma definita linfomatosi maligna intravascolare, definita

in precedenza angioteliosi neoplastica, in grado di simulare multiple ischemie cerebrali, con aspetti quasi di vasculopatia multinfartuale all’indagine RM.

I vasi sono riempiti da linfociti neoplastici di tipo B cellulare. La neurolinfomatosi è invece una forma che colpisce contestualmente sia il SNC

che i nervi periferici, mentre si possono anche avere forme focali cerebrali multiple diffuse.

L’EO dovrebbe consentire di valutare la presenza di linfoadenopatie, per verificare che non si tratti di una forma metastatica linfomatosa cerebrale.

Esame del visus, esame neurologico per accertare la presenza di deficit focali ed esame dei nervi periferici sono indagini cliniche utili a chiarire forma e diffusione della malattia in atto.

Nei pazienti immunocompetenti si può accertare in anamnesi la presenza di infezioni erpetiche pregresse, mentre negli immunocompromessi è raccomandato l’uso prolungato della terapia corticosteroidea per oltre 6 mesi.

La diagnostica differenziale, specie delle lesioni nodulari isolate riguarda principalmente i tumori primitivi cerebrali di tipo gliale, tipo il glioblastoma, o la metastasi di un altro tumore primitivo con tropismo cerebrale.

Più complessa è la diagnosi differenziale delle forme multifocali nei confronti delle infezioni opportunistiche o nel caso di encefaliti erpetiche, quelle da citomegalovirus, la toxoplasmosi e la meningite criptococcica, con aspetti abbastanza similari ai linfomi diffusi, in soggetti con infezione da HIV.

Sotto il profilo istopatologico il linfoma primitivo cerebrale è per lo più costituito da un linfoma densamente cellulare e aggressivo di tipo B, non Hodgkin.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

706 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

Nei pazienti immunocompetenti si tratta, per lo più, di linfomi a piccole cellule, a nucleo non inciso o del sottotipo immunoblastico.

La biopsia stereotassica rappresenta la metodica più indicata nella diagnosi istopatologica del LPC.

Un debulking chirurgico aggressivo non fa parte dei protocolli terapeutici. Nel caso di una lesione primitiva in una zona di difficile accesso come il tronco

cerebrale, la biopsia stereotassica può precedere una chirurgia bioptica a cielo aperto. Il methotrexate ad alte dosi, ossia 8 gr / m2 è oggi da ritenersi la terapia

standard. La particolare sensibilità manifestata dal tumore alla terapia cortisonica è dovuta

alla presenza di specifici recettori di superficie da parte dei linfociti B. La radioterapia è forse il più utile e indicato fra i trattamenti terapeutici di II^

linea, prima dello stesso methotrexate, della citarabina e di altro chemioterapici ancora oggetto di discussione.

La prognosi nei soggetti immunocompetenti trattabili, con singola lesione cerebrale, dopo terapia ad alte dosi con methotrexate è piuttosto favorevole, con una mediana di sopravvivenza, come detto, pari a 48 mesi.

Nei soggetti immunocompromessi ma con CD 4 > 100 / ml, la mediana di sopravvivenza con regimi intratecali di methotrexate e concorrente terapia sistemica con procarbazina, CCNU, vincristina e RT cerebrale di tutto il cervello può raggiungere anche i 10 – 18 mesi.

Anche sotto il profilo medico legale, oltre che clinico, appare utile sapere che è

possibile la confusione diagnostica con altri quadri clinici neurologici, laddove ai fini diagnostici la biopsia stereotassica, l’esame citologico del liquor e le metodiche d’indagine radiodiagnostica dovrebbero essere sufficienti a dirimere il quesito diagnostico.

L’aspetto dell’imaging da TC varia a seconda che le lesioni di LPC riguardino

soggetti immunocompetenti o con infezione da HIV, perché nel secondo caso c’è un aspetto di aumento dell’anello che circonda la lesione che manca nei soggetti senza infezione, laddove la TC mostra, quindi, una lesione piuttosto omogenea.

La progressione del tumore è limitata al solo SNC e all’occhio. La biopsia del midollo osseo è in grado di escludere la presenza di malattia

sistemica. Gli indici prognostici di severità includono: età > di 60 anni; presenza di più di una lesione;

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

707 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

livelli levati di LDH; concentrazione proteica aumentata nel liquor; partecipazione e localizzazione in zone non emisferiche del cervello, ossia

periventricolare, dei gangli della base o diffusa cerebrale, o del cervelletto.

Altrettanto interessanti appaiono gli spunti che si possono trarre da un lavoro scientifico di A. Boiardi, A. Salmaggi, M. Eoli, E. Lamperti, A. Botturi, A. Fiumani e A. Silvani dal titolo “Linfoma primitivo cerebrale, un tumore curabile. Esperienze di trattamento” (Neurol Sci (2004) 25:S581–S584).

Nel 95 % dei casi di linfomi primitivi cerebrali si tratta di un linfoma di tipo B

cellulare, non mostrando, comunque quelli T cellulari comportamenti diversi sotto il profilo biologico e della storia naturale.

Le localizzazioni più frequenti del LPC riguardano, essenzialmente le sedi

sopratentoriali, ossia, i lobi frontali, i nuclei della base e le zone periventricolari. Sono segnalate in letteratura associazioni con le malattie del connettivo e altre

condizioni morbose con immunodeficienza acquisita, come il LES, l’artrite reumatoide, la S. di Sjogren, il virus di Epstein Barr.

I LPC rappresentano dallo 0,85 al 2,00 % dei tumori primitivi encefalici. L’età media della diagnosi è di 52 anni. I sintomi riguardano confusione, letargia, cambiamenti di personalità, dismnesie,

ipostenia, crisi comiziali e disturbi del visus che possono anche rappresentare il sintomo d’esordio.

La RM è in grado di fornire la diagnosi radiologica di lesione espansiva cerebrale, essendo quella definitiva riservata alla biopsia stereotassica e alle risultanze del conseguente esame istologico.

La risposta ai trattamenti viene segnalata in ben l’80 % dei casi, con lunghe sopravvivenze successive, dopo l’effettuazione delle terapie standard.

I linfomi primitivi extralinfonodali sono da ritenersi relativamente rari e riguardano sedi primitive d’esordio da non considerare, nella fattispecie, come metastasi a distanza di linfomi esorditi in sedi e stazioni linfonodali sistemiche di altri distretti corporei.

I linfomi primitivi extralinfonodali sono in continuo aumento, specie quelli del SNC e dello stomaco.

Vengono anche segnalati linfomi primitivi nelle seguenti sedi: cute, polmoni, tiroide, stomaco, intestino, testicoli, ecc..

La chirurgia e la radioterapia sono da preferire nelle forme con stadi iniziali, la chemioterapia nelle forme in stadi III e IV.

Talvolta si preferisce la terapia radiante di combinazione con la chemioterapia, come si arguisce da un articolo dal titolo “Chemioterapia di combinazione e radioterapia del linfoma di sistema nervoso centrale e primario: Terapia radiante

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

708 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

oncologica.” - De Angelis LM, Seiferheld W, Schold e al. - J Clin Oncol 2002; 20: 4643 – 8.

Importante per l’inquadramento dei linfomi primitivi cerebrali si rivela un

articolo di K di Murray, Kun L Cox J.dal titolo “Linfoma primario maligno del sistema nervoso centrale. Risultati di trattamento di 11 casi e revisione della letteratura.” J Neurosurg 1986; 65: 600–7.

I LPC interessano in prevalenza: gli emisferi cerebrali o altre strutture

intracraniche, gli occhi e il midollo spinale. Sono in genere multifocali nelle persone immunodepresse. La PET ovvero la PET - TC, effettuata in centri specializzati, può consentire anche

una diagnosi di lesione espansiva tumorale o addirittura specifica, evitando la biopsia stereotassica.

Esistono protocolli che prevedono un uso combinato di cortisone, chemioterapia con methotrexate e radioterapia.

Nei pazienti con infezione da HIV la terapia dei linfomi, in generale, prevede

schemi standardizzati come il CHOP, ciclofosfamide, doxorubicina, vincristina e prednisone, o il BACOD, con aggiunta ai primi tre farmaci di methotrexate e desametasone.

In ogni caso la presentazione iniziale più tipica del LPC è singola e indicata per la

localizzazione profondamente nel tessuto cerebrale, frequentemente in posizione periventricolare, anche se una localizzazione altrettanto comune è ritenuta dagli autori quella degli emisferi cerebrali.

I sintomi tipici possono essere o focali, emiparesi, emianopsia, afasia, o comportamentali, cambiamenti del tono dell’umore, disturbi cognitivi.

Il gold standard delle tecniche di neuroimmagine è dato dalla RM che appare

superiore alla TC cerebrale, mostrando la presenza di una lesione singola o doppia, con scarso orletto di rinforzo e scarso edema perilesionale, ciò che può ingenerare dubbi diagnostici prevalentemente con la toxoplasmosi e il cui quesito viene risolto dalla biopsia e dall’istologia conseguente che mostra, per lo più, le varianti linfoma diffuso a grandi cellule B o immunoblastico.

Anche la monochemioterapia con methotrexate ad alte dosi seguita da radioterapia è considerato schema di cura molto valido, con tassi di risposta segnalati superiori, fra il 70 e il 90 % rispetto al 52 – 88 % della sola monochemioterapia, HD MTX.

Ciò appare evidente da uno studio di Blay JY, Conroy T, C di Chevreau, et al. dal titolo “Methotrexate ad alte dosi per il trattamento del linfoma primario cerebrale:

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

709 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

analisi di sopravvivenza e tarda tossicità neurologica in una serie retrospettiva.” J Clin Oncol 1998; 16: 864–71.

Il vero problema della chemioterapia è il superamento della BEE, barriera emato

– encefalica, e la presenza di sedi scarsamente accessibile dal punto di vista ematico, come l’occhio, in sedi intraoculari poco irrorate.

In ogni caso la chemioterapia intratecale con farmaci che non sono in grado di superare la BEE non mostra migliori risultati rispetto all’HD MTX ad alte dosi, specie in combinazione con RT.

La recidiva è frequente ed è parenchimale, anche se segue le vie liquorali, e il liquor trasporta le cellule nell’ambito del SNC, con infiltrazione meningea.

Si tratta, in ogni caso, di trattamenti neurotossici. Esaustivo e aggiornato si dimostra poi un articolo dal titolo “I linfomi primitivi del

sistema nervoso centrale: diagnosi e trattamenti” di Paola Gaviani, Anna Fiumani e Antonio Silvani, Riv. It. Neurobiologia, 53 (2), 85-92, 2007

La TC e la RM possono segnalare la presenza o di una lesione a bassa o ad alta

densità rispetto al restante parenchima, per lo più in sede periventricolare. Il linfoma primario del SNC, PCNSL degli autori anglosassoni, è da reputarsi, in

ogni caso, la seconda causa di massa cerebrale in soggetti con AIDS, dopo il toxoplasmoma e il tubercoloma, onde la necessità di una dd dettagliata, anche se la TC è più espressiva per il LCP.

L’uveite linfomatosa è presente nel 20 % dei casi di LPC e va adeguatamente ricercata.

I linfomi secondari rispetto ai primitivi rappresentano comunque una manifestazione tardiva dei LNH di altre sedi, onde l’utilità di una raccolta anamnestica adeguata.

Alla RM le lesioni del LPC appaiono tipicamente ipotense alle immagini T1 pesate

e isointense o ipertense alle immagini T2 pesate, con effetto enhancement omogeneo dopo iniezione con gadolinio, come anamnesticamente si era anche verificato nel caso narrato in precedenza. Sono rare emorragia e calcificazione.

Si tratta in genere di lesioni ben circoscritte, con scarso orletto e scarso edema

perilesionale, microscopicamente, oltre che radiologicamente, omogenee. L’età d’incidenza è la 6^ decade di vita. Si tratta, in genere di masse, ed è l’ipotesi più frequente, oppure di infiltrazione

meningea o intraventricolare, sottoependimale o superficiale meningea.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

710 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

Nel caso più frequente che si tratti di masse, l’aspetto è ovalare o rotondo, con tipico effetto enhancement alla TC, intensamente omogeneo.

Più che di predilezione per le sedi periventricolari, si può parlare di una

predilezione per le zone centrali dell’encefalo da parte dei LPC, quindi i nuclei della base, il corpo calloso.

Alla TC le lesioni si presentano isotense e poi ipertense con aumento forte

dell’uniformità di esposizione del contrasto. In genere il LPC viene considerato un tumore curabile, con buona risposta, con

tendenza alla recidiva e con una sopravvivenza media di circa 2 anni, almeno per studi condotti fino al 2004.

Al 50 % è multifocale e a sviluppo prevalentemente sopratentoriale, con caratteristiche istologiche di linfoma diffuso a grandi cellule B, di tipo centroblastico o immunoblastico nel 98 % dei casi considerati.

In pratica la sopravvivenza dei pazienti correttamente trattati a 5 anni è dell’ordine del 35 – 45 %, con risposta al I° trattamento in circa il 90 % dei casi, ma con facilità di recidiva.

Nel caso riferito a titolo esemplificativo in precedenza, relativo ad un LPC, pur

avendo il radiologo inizialmente evidenziato la presenza di una massa o lesione espansiva di ndd, ipotensa alle immagini T1 pesate e ipertensa alle immagini T2 pesate, verificata e individuata in sede periventricolare all’altezza del III° ventricolo, reputabile, quindi, una classica localizzazione del linfoma primitivo cerebrale, rotondeggiante ed omogenea, con scarso orletto ed edema perilesionale, la prima opzione diagnostica appariva, viceversa, dopo un consulto con il neurologo da parte del neurochirurgo, la sclerosi multipla, le cui lesioni, lungi dall’avere un aspetto ovalare, appaiono con diverse caratteristiche semeiologiche radiologiche, meglio visualizzabili nel secondo caso con TC che non con RM.

La confusione diagnostica può anche essere dipesa dallo scarso effetto massa con minimo orletto e minimo edema perilesionale della massa individuata, ma l’età del paziente, tipicamente alla 6^ decade di vita, la sede altrettanto tipica periventricolare, le caratteristiche soprattutto di una massa occupante spazio, avrebbero sicuramente potuto meglio indirizzare le ipotesi diagnostiche verso una neoformazione cerebrale di ndd, verosimilmente da sottoporre, in ogni caso, ad intervento di biopsia stereotassica per la tipizzazione oncologica.

Dietro invece la ventilata ipotesi di una non meglio identificata lesione

demielinizzante, da sospetta, ma assai improbabile, sclerosi multipla, prevaleva, almeno indicativamente nelle conclusioni diagnostiche, l’estremamente infido criterio ex

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

711 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

iuvantibus della terapia cortisonica, vista la scomparsa apparente della massa cerebrale, pregiudicando, in quel momento, in modo irreversibile la diagnosi e oscurando la verosimile lesione linfomatosa primitiva, come del resto segnalato, in tal senso, ed evidenziato opportunamente in letteratura.

Probabilmente se si fosse adeguatamente riflettuto proprio su questo effetto e

considerata la presenza iniziale di una massa espansiva cerebrale di alcuni cm di diametro, miracolosamente scomparsa dopo terapia cortisonica si sarebbe comunque forse potuta fare identicamente la diagnosi di linfoma primitivo cerebrale, notoriamente estremamente sensibile alla terapia cortisonica.

Una volta reputata essere giusta la diagnosi di sclerosi multipla e utile la terapia

attuata, apparentemente risolutiva, le conseguenze diagnostiche e terapeutiche si sarebbero dimostrate comunque negative, perché lungi dal far scomparire per lungo tempo la patologia in atto, la terapia cortisonica sistemica è riuscita ad ottenere una remissione di breve durata che a distanza di circa 1 anno è esitata in una malattia neoplastica linfomatosa ormai evoluta in progressione, con il paziente presentatosi in coma, onde il successivo exitus a breve distanza di tempo.

La responsabilità professionale medica nel caso esemplificativamente

rappresentato può essere individuata, ipoteticamente, quindi, nel:

non avere adeguatamente ponderato il neurochirurgo la presenza di una lesione espansiva cerebrale, ipotensa alle immagini T1 pesate e ipertensa a quelle T2 pesate, ovalare ed omogenea, quale evidenza di un processo espansivo cerebrale;

aver accettato acriticamente le conclusioni della consulenza del neurologo richiesta che deponevano erroneamente per una sclerosi multipla;

non aver optato per l’effettuazione di una biopsia stereotassica, unica in grado di permettere una diagnosi istologica corretta con tipizzazione della neoplasia;

non avere adeguatamente considerato le conseguenze della terapia cortisonica generale, con la scomparsa della lesione espansiva in atto;

non avere adeguatamente monitorato il paziente nel tempo, per seguire l’andamento della malattia in atto, attraverso una o più RM cerebrali di controllo, preferibilmente a cadenza bimensile.

Le conseguenze apparenti sono state quelle di un netto aggravio prognostico, in

rapporto a tale ritardo diagnostico, e una relativa netta perdita delle probabilità di sopravvivenza presuntivamente ipotizzabili, in caso di diagnosi specifica puntuale, quantificabili, teoricamente, in una percentuale > 40 % dei casi correttamente trattati.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

712 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

Caso clinico n. 5 - Esempio Un caso altrettanto interessante è quello riguardante un’altra patologia

neoplastica rara, sempre nel campo dei LNH extralinfonodali primitivi, quale quello relativo a un linfoma primitivo del pancreas, sempre esposto sinteticamente a titolo esemplificativo.

Un soggetto di sesso maschile dell’età di 42 anni accusava dolori addominali

acuti per cui veniva ricoverato inizialmente in un reparto di medicina. Veniva sottoposto a vari accertamenti clinici e strumentali che mettevano in

evidenza, nell’ordine:

Rx diretta addome: presenza di livelli idroaerei, come da stato occlusivo – subocclusivo intestinale;

EGDS: presenza di lesione ulcerativa nella seconda parte del duodeno delle dimensioni di circa cm 2,00, suggestiva, a tenore dell’endoscopista esecutore, per la presenza ipotetica di un linfoma primitivo a partenza gastrica;

biopsia della predetta lesione ulcerativa del II° tratto del duodeno, di cui si

attendeva il successivo responso.

Il soggetto veniva inizialmente dimesso, per l’attenuarsi della sintomatologia addominale, ma di lì a qualche giorno si aveva la ricomparsa, in modo esacerbato, dei sintomi clinici iniziali con la presenza, in particolare, di dolore che si irradiava a fascia in sede addominale alta.

Veniva eseguita una TC addome che metteva in evidenza la presenza di

una neoformazione a livello della testa del pancreas. Nelle immediate vicinanze del ricovero, dopo qualche giorno il soggetto

veniva sottoposto, con procedura d’urgenza ad intervento chirurgico, nel corso del quale il chirurgo eseguiva una pancreasectomia totale, come accade molto spesso, quale indicazione terapeutica, nei tumori della testa del pancreas.

In cartella clinica, nella voce dedicata alla descrizione dell’intervento chirurgico, fra l’altro, in particolare si legge: “… presenza di massa lardacea di aspetto traslucido occupante tutta la testa del pancreas … si sottopone il paziente a pancreasectomia totale…”.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

713 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

La diagnosi dell’esame istologico definitivo è lapidaria “Linfoma primitivo non Hodgkin della testa del pancreas”.

Da un articolo dal titolo “Primary pancreatic lymphoma : a case report, literature review, and proposal for nomenclature” di Salvatore J. R. e al., Medical oncology.”, 2000, vol. 17, no3, pp. 237-247, è possibile desumere molti aspetti clinici e istologici inerenti questo tipo di neoplasia.

I linfomi primitivi del pancreas rappresentano solo una delle possibili manifestazioni di linfomi non Hodgkin a primitività extralinfonodale.

Nel campo delle neoplasie pancreatiche sicuramente i tumori maligni esocrini del pancreas rappresentano, in assoluto, la varietà neoplastica di gran lunga più frequente.

Più rari sono i tumori endocrini del pancreas. Infine ci sono i linfomi del pancreas, ritenuti, in letteratura, estremamente

rari. I sintomi variano in dipendenza dei diversi tipi di tumori pancreatici.

Fra le neoplasie esocrine del pancreas, che, in genere rappresentano il 90

% dei tumori maligni del pancreas, di cui il 70 – 80 % si riscontrano generalmente nella testa del pancreas, si riscontrano gli adenocarcinomi duttali del pancreas.

Vengono impiegati diversi tipi di trattamento chirurgico in funzione della sede della neoplasia, ossia se della testa, del corpo o della coda o diffuso.

I dotti pancreatici confluiscono fra di loro nel dotto principale di Wirsung che sbocca nel duodeno, all’altezza della papilla di Water.

Ci sono anche altri tumori esocrini del pancreas, fra cui i tumori cistici, il carcinoma a cellule acinari e i sarcomi, in cui il trattamento chirurgico è pressappoco lo stesso, come nel caso degli adenocarcinomi, in base alla sede di apparizione.

Tra i tumori endocrini si ricordano i gastronomi, gli insulinomi, i somatostatinomi, i VIPomi, i glucagonomi, tutti in grado di secernere ormoni di diverso tipo, a seconda della cellula d’origine. Si tratta spesso di tumori benigni, anche se secernenti.

Interessante si rivela poi un articolo dal titolo “Primary pancreatic lymphomas.” Journal of the Pancreas vol. 7 issue 3, 2006, di Saif e Muhammad Wasif.

I linfomi del pancreas sono veramente rari.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

714 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

Trattandosi, in ogni caso di un tumore assai diverso rispetto a tutti gli altri, il trattamento è assai differente rispetto a tutte le neoplasie pancreatiche.

Si tratta, in genere di Linfomi non Hodgkin, per cui il trattamento rientra nella categoria dei presidi terapeutici previsti appunto per gli stessi Linfomi.

Riguardo alla sede, la stragrande maggioranza dei tumori del pancreas coinvolge la testa o il corpo, ma non sono infrequenti quelli che interessano l’intera ghiandola pancreatica.

La terapia chirurgica, ove possibile, degli ADK della testa del pancreas è la cefaloduodenopancreasectomia, essendo riservata la pancreasectomia totale alle forme più diffuse e più difficili da aggredire chirurgicamente in modo radicale.

Nel caso dei Linfomi primitivi del pancreas, detto che si tratta, in ogni caso di neoplasie rare, va considerato che la presentazione degli stessi è data da una larga ed omogenea massa con estensione extrapancreatica, con o senza l’associazione di linfoadenopatie.

Presentazione meno comune è data da masse all’interno del corpo del pancreas, ancora più raro è un coinvolgimento diffuso di tutto il pancreas.

In caso di linfoma localmente avanzato del pancreas la disseminazione

extrapancreatica può coinvolgere la milza e i linfonodi. In generale le neoplasie del pancreas possono interessare prevalentemente la

testa del pancreas trattandosi di ADK e di linfomi primitivi. Il linfoma primitivo è descritto come una massa omogenea per lo più aggiuntiva

della testa del pancreas, con possibile disseminazione alla milza e ai linfonodi satelliti. In letteratura sono anche descritti problemi di nomenclatura relativamente al

linfoma primitivo pancreatico. La sintomatologia è pressappoco simile, quindi, in gran parte sovrapponibile, a

quella del tumore esocrino primitivo, ossia ADK della testa del pancreas, ovvero di tutti i tumori della testa del pancreas.

L’età di sviluppo della neoplasia linfomatosa va dai 35 ai 75 anni di età, con una forte predominanza per il sesso maschile.

Le manifestazioni cliniche comprendono dolore addominale, ittero da stasi, pancreatite acuta, subocclusione a livello dell’intestino tenue e diarrea.

Per la tipizzazione oncologica appare indispensabile, ovvero categorico, una volta

accertata la presenza di una massa pancreatica, eseguire un agoaspirato accurato (FNA) della stessa per individuare specificamente la natura linfomatosa della lesione e iniziare la terapia non chirurgica destinata al tipo di tumore.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

715 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

Le caratteristiche citomorfologiche del linfoma comprendono la ipercellularità con presenza di cellule neoplastiche caratterizzate da nuclei rotondi, nucleoli spesso prominenti, mitosi, carioressi.

La diagnosi differenziale comprende i linfomi secondari, neoplasie endocrine,

pancreatiti croniche floride. L’analisi della citometria di flusso dimostra la presenza di un pattern

monoclinale di immunoglobuline con catena leggera. Agoaspirazione FNA, ecoguidata o TC guidata, unita alla citometria di

flusso sembra essere un metodo estremamente accurato per la diagnosi di linfomi primitivi pancreatici.

La chirurgia bioptica può essere occasionalmente riservata ai casi di insuccessi diagnostici dell’agoaspirato FNA e dell’analisi della citometria di flusso.

Il migliore trattamento del Linfomi primitivi del pancreas consiste in una combinazione di chemioterapia e terapia radiante, ovvero chemioterapia ad alte dosi seguita da trapianto di cellule staminali.

Altrettanto utile in questa disamina su questo raro linfoma si rivela un altro

articolo dal titolo "Primary pancreatic lymphoma: Report of six cases.” di Hai Lin e al., World J Gastroenterol., 2006 Aug 21;12 (31):5064-7.

I linfomi primitivi pancreatici hanno una prognosi sicuramente migliore rispetto all’adenocarcinoma del pancreas.

In uno studio retrospettivo che esaminava 6 casi di LPP, la diagnosi era stata effettuata in 4 pazienti con chirurgia e in 2 con tecnica EUS – FNA.

I sintomi riguardavano dolori addominali, calo ponderale, ittero, nausea e vomito, con sviluppo, in un caso, di una pancreatine acuta.

Sporadicamente il LPP può manifestarsi in forma diffusa con necessità di vari tipi di trattamento e risposte agli stessi non sempre complete o soddisfacenti, anche con ricorso alla pancreatectomia o alla decompressione biliare chirurgica.

La chemioterapia generale appare, in ogni caso, il trattamento di elezione utilizzato nella gran parte dei casi.

In uno studio recente, dal titolo “Primary pancreatic lymphoma: diagnostic

and therapeutic dilemma.”, di N. Battula e al, Pancreas. 2006 Aug;33(2):192-4, si conferma che il LPP rappresenta una forma rara che rappresenta fra lo 0,7 e 1 % delle neoplasie maligne del pancreas.

In effetti la diagnosi di LPP può essere difficile in quanto lo stesso mima il carcinoma.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

716 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

I principali problemi riguardano, quindi, la diagnosi e il ruolo della terapia chirurgica.

Su un totale di 89 pazienti esaminati fra il 1951 e il 2005, si è verificato essere essenziale una diagnosi specifica precoce.

In effetti una diagnosi accurata non sempre è facilmente ottenibile. Si è ottenuta una risposta completa in protocolli comprendenti intervento

chirurgico e chemioterapia adiuvante, in circa il 100 % dei casi, con un tasso di lunga sopravvivenza libera pari al 94 %, ossia migliore dei risultati ottenuti con la chemioterapia, combinata o meno con la radioterapia, che ha dato luogo ad una sopravvivenza globale a 5 anni < 50 % e una sopravvivenza libera da malattia a 3 anni pari al 44 % dei casi.

Lo studio concludeva che una cefaloduodenopancreasectomia + chemioterapia adiuvante poteva avere un ruolo nel trattamento dei LPP.

Le modalità di presentazione della malattia possono essere già di per sé

abbastanza espressive, con, talvolta, oltre al dolore epigastrico, quadro anemico, con emoglobina pari a 11,0 g/dl, iperamilasemia, iperlipasemia, leucocitosi con oltre 15.000 GB, anche presenza di massa palpabile epigastrica, alla palpazione.

Sarà poi l’ecografia o la TC a dimostrare la presenza di una massa localizzata a livello della testa del pancreas.

Una biopsia ecoguidata della massa retroperitoneale può apparire molto utile alla bisogna.

In un articolo dal titolo “A Case of Primary Pancreatic Lymphoma” di Raffaele

Pezzilli e al., tratto da JOP. J Pancreas (Online) 2004; 5(2):105-106, viene riportato un caso la cui istologia dopo biopsia dimostrava la presenza di un linfoma aggressivo a cellule T, ossia con cellule positive per i marcatori delle cellule T, CD2 + e CD3 +.

E’ anche possibile trovare linfomi B cellulari, CD20 +, CD79 +, ecc., e anaplastici, con markers tumorali linfocitici negativi.

Il regime di trattamento utilizzato in caso di progressione verso il SNC è quello con MACOP – B, comprendente methotrexate, adriamicina, ciclofosfamide, vincristina, prednisone e bleomicina, con possibilità di exitus a distanza di circa 4 mesi.

Un ulteriore caso è descritto in un articolo di Radiation Medicine: Vol. 23 No. 3,

213–215 p.p., 2005 dal titolo “MR Imaging of Primary Malignant Lymphoma of the Pancreas” di Takayuki Masui e al..

Fra i criteri per definire un linfoma primitivo del pancreas va compreso il

coinvolgimento dei soli linfonodi peripancreatici, senza diffusione ai linfonodi periepatici o metastasi spleniche.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

717 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

Anche la RM è molto utile e molto indicata in caso di una massa pancreatica da LPP, specie riguardo alla dd con gli ADK del pancreas.

Le immagini T2 pesate rivelano, in questi casi, la presenza di una massa

pancreatica con un alto segnale d’intensità e con eventuale infiltrazione delle vene spleniche.

Nelle immagini T1 pesate è possibile rinvenire una massa con un’area a basso segnale d’intensità.

L’utilizzo del contrasto d’immagine con gadolinio, ossia Gd-DTPA – BMA, permette di riscontrare la presenza di una massa con un enhancement inferiore al resto del corpo pancreatico.

La colangiopancreaticografia con RM non è in grado di rivelare stenosi duttali. La presenza di eventuali altre masse pancreatiche concomitanti possono essere

svelate con ecografia, TC, scintigrafia con gallio, EO gastrointestinale. Dopo aver determinato la diagnosi definitiva, la resezione del tumore con la parte

anatomica compromessa del pancreas è la metodica più utilizzata. Il riscontro di un linfoma B cellulare follicolare è anche piuttosto frequente. In caso di recidiva loco regionale, con linfoadenopatie pelviche e/o paraortiche,

a distanza di vari anni, viene utilizzata la chemioterapia. Più frequente è il coinvolgimento del pancreas nei LNH in modo secondario

rispetto alle forme primitive che rappresentano solo 11 % del LNH del pancreas. Nel caso dei LPP, si tratta di una massa solida > cm 5 di diametro in grado di

infiltrare il parenchima pancreatico con o senza linfoadenopatie regionali. Sicuramente la prognosi del LPP è molto differente rispetto a quella degli ADK del

pancreas, per cui la diagnosi in tal senso è sicuramente molto importante. Il LPP può apparire in forma localizzata e diffusa, prevalendo la prima. L’origine è in genere a livello dei linfonodi pancreatici ovvero da localizzazioni

linfomatose secondarie metastatiche, che poi infiltrano il parenchima pancreatico. Da un vecchio articolo sul trattamento dei linfomi primitivi del pancreas dal titolo

"Primary pancreatic lymphoma” di Michael Bouvet e al., Surgery Volume 123, Issue 4 , Pages 382-390, April 1998, è possibile trarre importanti informazioni terapeutiche.

Fra i LNH ad insorgenza extralinfonodale i linfomi primitivi gastrointestinali

rappresentano una larga preponderanza. Già pazienti affetti da LNH di vario tipo al riscontro autoptico hanno presentato

coinvolgimento secondario del pancreas. Resta controverso il protocollo terapeutico più adeguato per i LPP.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

718 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

Detto che la diagnosi si può ottenere specie con biopsia eco e soprattutto TC guidata, il regime di chemioterapia che ha riscosso maggiore successo sembra quello in cui alla ciclofosfamide e al prednisone è stata aggiunta l’adriamicina.

In uno studio di 9 pazienti affetti da LPP, con tale schema terapeutico applicato in 6 pazienti è stata raggiunta la Remissione Clinica Completa, RCC, con una mediana di sopravvivenza di 24 mesi.

Lo studio ha permesso di concludere che la maggior parte dei pazienti affetti da LPP può essere trattato senza l’ausilio della chirurgia.

Sia il controllo dei sintomi, specie l’occlusione intestinale, che lunghe remissioni cliniche complete si sono ottenute con la sola chemioterapia.

Il ruolo residuo della chirurgia resterebbe quello di un utilizzo limitato di tipo diagnostico nel caso in cui la biopsia non abbia consentito preliminarmente la diagnosi.

In effetti la chirurgia, con il miglioramento e l’affinamento delle tecniche di biopsia radioguidata, continuerebbe ad avere un semplice ruolo diagnostico per poter meglio stabilire la natura e i vari sottotipi più o meno aggressivi di LPP, onde scegliere in maniera opportuna la migliore combinazione di chemioterapici utile al caso in specie.

Fondamentale appare poi un lavoro scientifico condotto su una larga casistica di LNH apparso nel 2000 su Medical Oncology Volume 17, Number 3 (2000), 237-247, dal titolo “Primary pancreatic lymphoma: a case report, literature review, and proposal for nomenclature” di JR Salvatore e al.

Su una casistica di ben 182 pazienti, affetti da linfomi pancreatici primitivi o

secondari, facenti parte a loro volta di un gruppo di 402 pazienti affetti da LNH, la conferma diagnostica era stata effettuata con la biopsia e l’istologia conseguente, secondo le classificazioni vigenti; 9 pazienti risultavano affetti da LPP; 5 pazienti erano donne e 4 uomini; l’età media appariva elevata, di circa 64 anni, con un range di 49 – 76 anni.

La durata media dei sintomi fino alla diagnosi era stata di 2 mesi, essendo il calo ponderale il sintomo più frequente.

5 pazienti su 9 presentavano sintomi di ittero, altri, ancora 5, dolore addominale, 4 anoressia e nausea.

Sintomi di occlusione intestinale completa erano presente in 3 pazienti all’atto dell’esordio clinico della malattia.

La febbre era presente in uno solo dei 9 casi trattati. La presenza di una massa palpabile addominale e l’ittero erano presenti in 5

pazienti, linfoadenopatie periferiche in 3 pazienti. Un’elevazione dei valori della bilirubina, fra 6,9 e 15,3 mg/dl conferma i sintomi

clinici e la presenza di ittero in 5 pazienti, mentre la fosfatasi alcalina elevata veniva trovata in 8 pazienti e le transaminasi aumentate in 6 pazienti.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

719 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

La TC permetteva in tutti e 9 i pazienti di svelare la presenza di una massa di tessuto molle nel pancreas. Il diametro medio era di cm 7, con un range di 5 – 10 cm.

In 8 dei 9 pazienti la massa superava i cm 6 di diametro. Linfoadenopatie a livello delle stazioni peripancreatiche, ovvero linfonodi

periaortici, si riscontravano in 6 pazienti. In 5/9 pazienti si riscontrava la presenza di dilatazione del dotto biliare e/o dei

dotti intraepatici, con esame TC. Le diagnosi istopatologiche indicavano la presenza di linfomi di vario genere,

specie della linea B. Gli stadi andavano dal II al IV. L’intervento chirurgico di pancreasectomia radicale (non totale) veniva utilizzato in

1 caso in cui il LPP era delle dimensioni dello stesso pancreas. In 4 pazienti veniva eseguito un by pass biliare e /o gastrico prima della

chemioterapia. In un paziente si procedeva alla colecistectomia dopo perforazione del dotto

biliare comune e posizionamento di catetere biliare percutaneo. I protocolli più usati furono: MACOP – B, ossia MTX, adriamicina, ciclofosfamide,

vincristina, prednisone, bleomicina, oppure CAMEL, con aggiunta di VP – 16 e leucovorina o CHOP (ciclofosfamide, adriamicina, vincristina e prednisone).

Nei pazienti con ittero ostruttivo la terapia iniziale prevedeva farmaci non tossici

come la ciclofosfamide a 1000 mg/metro quadrato per via orale per 5 giorni. Nessun paziente ricevette la radioterapia. La RCC veniva definita come la

scomparsa di qualsiasi manifestazione e segno della malattia. Per risposta parziale veniva considerata una remissione inferiore al 50 %, una non risposta, la progressione della malattia.

Una remissione clinica completa si verificò in 6 dei 9 pazienti considerati, con una mediana di sopravvivenza di 24 mesi.

Un solo paziente con linfoma indifferenziato non sopravvisse dopo terapia con regime MACOP – B, con exitus dopo 7 mesi dalla diagnosi.

L’iniziale terapia con agenti non epatotossici portava alla scomparsa dell’ittero in due settimane.

In tutti i pazienti i regimi chemioterapici comportavano benefici evidenti, con RCC in 4 dei 5 pazienti con ittero ostruttivo.

Il paziente deceduto era affetto da un aggressivo linfoma linfocitico indifferenziato, allo Stadio IV.

Da un lavoro scientifico dal titolo “Case report, histopathology, isolated primary pancreatic lymphoma, literature review, radiology, treatment” di Basu A e al., J Can Res Ther 2007;3:236-9, si possono acquisire importanti conoscenze di tipo diagnostico e terapeutico,

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

720 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

Rispetto all’ADK pancreatico il linfoma primitivo si caratterizza e dovrebbe essere sospettato per un rapido ingrandimento di una massa pancreatica.

Inoltre poiché la massa linfomatosa del pancreas ha una diretta estensione nei linfonodi retroperitoneali, con una conseguente linfoadenopatia, in sede peripancreatica e periaortica, questi aspetti nel loro insieme dovrebbero apparire molto suggestivi per la presenza di un LPP.

Una colangiografia retrograda transduodenale non viene impiegata nei protocolli diagnostici del LPP.

Il ruolo della chirurgia nel management, nella diagnosi e nella stadiazione del LPP resta controverso.

Taluni autori hanno invocato il ruolo della laparotomia esplorativa ovvero della biopsia per stabilire la diagnosi di LPP, nel primo caso soprattutto come procedura di staging.

Meno invasivo e più efficace appare il ruolo del’agoaspirazione eco o radio guidata ai fini della tipizzazione neoplastica.

Grazie alle tecniche di immunositochimica, biologia molecolare e microscopia elettronica, il ruolo dell’agoaspirato si è notevolmente accresciuto nel tempo ai fini di una corretta diagnosi istotipica.

L’agoaspirato percutaneo, pur consentendo una diagnosi di linfoma piuttosto corretta e circostanziata non permetterebbe, secondo taluno, ad es., una distinzione fine fra forme diffuse o follicolari, e, quindi, una adeguata sottoclassificazione.

L’accuratezza diagnostica di tale procedura appare assai vicina al 95 % dei casi, secondo molti autori.

La TC e la biopsia del midollo osseo sono da ritenersi, comunque metodi sufficienti per la stadiazione.

La conclusione finale è che la maggioranza dei pazienti con LPP può essere ottimamente gestita senza l’ausilio della chirurgia, se non, magari a fini diagnostici.

Talvolta può essere difficile per il patologo distinguere il carcinoma primitivo anaplastico, che si verifica, comunque, nel 2 % dei casi, da alcuni tipi aggressivi di linfomi.

In ogni caso viene confermato dai dati della letteratura che il LPP è nella

maggioranza dei casi un linfoma a B cellule. Anche se rara questa neoplasia è suscettibile di trattamento anche in stadi

avanzati. Dolore addominale, nel 83 % dei casi, massa palpabile, nel 58 % dei casi, calo

ponderale nel 50 %, appaiono i sintomi più comuni. Sporadici sono gli episodi di iperglicemia secondaria alla distruzione delle cellule

pancreatiche infiltrate. Istologicamente i LPP sono rappresentati da una popolazione monomorfa di

piccole cellule separate da setti fibrosi.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

721 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

L’immunoistochimica da la conferma diagnostica. La diagnosi definitiva specifica del tipo di linfoma è di estrema rilevanza ai fini

terapeutici per la scelta del regime chemioterapico più appropriato. Non infrequente è la presenza della sola grossa massa pancreatica senza

coinvolgimento di linfonodi e organi viciniori o a distanza. Ad oggi per i LPP, con presenza di grossa massa in grado di provocare ittero da

stasi, ad es., con tipizzazione indicante la presenza di linfoma diffuso a grandi cellule B, in base ai protocolli di tipizzazione linfocitaria, CD20 + e BCL2 negativo, in caso di trattamento con il regime R – CHOP per 6 cicli, con ciclo ridotto al 50 % in prima istanza per l’epatossicità, si può assistere ad una rapida discesa e ripristino dei valori di bilirubinemia, e con aggiunta di radioterapia sulle stazioni linfonodali satelliti a dosi di 45 Gy in 25 frazioni, si può facilmente determinare una RCC della malattia.

Il riscontro dei LPP è più frequente nei pazienti immunodepressi. Esistono due diversi patterns di tumori con infiltrazione localizzata o diffusa della

ghiandola. Tuttora i protocolli terapeutici in letteratura prevedono la chemioterapia e la

radioterapia combinate, con l’utilizzo della chirurgia solo nei casi di necessità per by pass biliari o gastrici.

Attualmente i regimi più comuni comprendono CVP, CHOP e MACOP – B, come anche ricordato in precedenza.

L’aggiunta di Rituximab al regime CHOP consente un tasso di risposte complete incrementato e un prolungamento sia dell’intervallo libero da malattia che della sopravvivenza globale.

La radioterapia locale può essere usata per consolidamento della chemioterapia, a dosi di 40 Gy, dopo la chemioterapia.

La sopravvivenza a 5 anni è maggiore del 30 – 35 % a 5 anni, notevole comunque rispetto al solo 5 % di sopravvivenza dato dall’ADK pancreatico.

Ritornando al caso specifico di LPP in precedenza rappresentato, la relativa

responsabilità professionale può essere teoricamente definita e riassunta nel modo seguente:

non aver i sanitari tenuto nel dovuto conto la sintomatologia clinica del paziente, caratterizzata da dolore addominale e occlusione intestinale, essenzialmente, prevedendo una rapida esecuzione di un’ecografia e una TC addome, come opportuno e necessario;

non avere gli stessi debitamente considerato la presenza di un’ulcerazione nella seconda parte del duodeno che non poteva avere alcun significato ai

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

722 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

fini di un’ulcera primitiva duodenale che colpisce la parte alta, iniziale del bulbo duodenale;

una volta individuata la presenza di una massa pancreatica mediante esame TC, non aver predisposto, viste anche le caratteristiche della massa sicuramente esorbitante e quasi avulsa dalla testa pancreatica, ciò che già rappresentava un criterio di massima distintivo rispetto ad un ADK del pancreas, l’esecuzione preliminare di un agoaspirato eco o radioguidato, ovvero una laparoscopia diagnostica o laparotomia esplorativa a fini diagnostici, ovvero, in modo più appropriato, una ago - biopsia con tecnica ecoguidata (Endosonography-guided fine-needle aspiration biopsy - EUS-FNA), attendendo l’esito dell’esame citologico o istologico ai fini della diagnosi e della tipizzazione neoplastica;

aver sottovalutato, in tal senso, l’occlusione intestinale, sintomo davvero assai raro o inesistente in caso di ADK del pancreas;

soprattutto, in particolare, in corso di intervento chirurgico, dopo esame macroscopico della lesione pancreatica e verifica della presenza di una “massa lardacea” ed esofitica, invero assai atipica per un Ca del pancreas, con caratteri eminentemente scirrosi, non aver prontamente fatto eseguire un esame istologico in estemporanea della lesione che avrebbe sicuramente dimostrato, come poi accaduto, la presenza di un linfoma del pancreas, con le conseguenze terapeutiche immaginabili;

avere in conseguenza dell’errore e ritardo diagnostico determinato, eseguito improvvidamente una pancreasectomia totale, come se si fosse trattato di un ADK primitivo del pancreas, mentre, come verificato, si trattava di un linfoma primitivo pancreatico, costituito solo da una grossa massa ma senza apparente linfoadenopatia neppure peripancreatica e periaortica, limitata, quindi, alla sola testa del pancreas, in cui il gold standard del trattamento era sicuramente rappresentato da taluno dei vari regimi di chemioterapia descritti in precedenza, magari associato a radioterapia di consolidamento adiuvante post chemioterapia, come attualmente previsto dai protocolli terapeutici vigenti per i LPP;

accessoriamente, avere eseguito un intervento chirurgico estremamente radicale come la pancreasectomia totale in luogo di una cefaloduodenopancreasectomia che pure poteva avere un senso nella terapia del LPP, specie se seguita da chemioterapia adiuvante post chirurgica anche con buoni risultati tearapeutici, come descritto anche in letteratura;

da ultimo, non aver fatto successivamente eseguire una TC total body di controllo ai fini della completa stadiazione della malattia neoplastica linfomatosa verificata, ovvero non aver opportunamente inviato il paziente

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

723 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

in un centro oncologico o ematologico di competenza per la migliore cura del caso in specie.

Il danno prodotto dal ritardo diagnostico e dall’errore diagnostico che ne è alla

base, riguarda non solo e non tanto il mancato e/o scorretto trattamento terapeutico, con maggiori possibilità di ripresa successiva della malattia, per quanto, alla fine la diagnosi sia stata formulata in modo sostanzialmente fondato e circostanziato, ma soprattutto nell’aver sottoposto il paziente ad un incongruo ed eccessivo intervento chirurgico radicale, la pancreasectomia totale, che ha comportato la perdita non dovuta di un organo vitale come il pancreas, ciò che da solo comporta un danno biologico apparente pari almeno al 70 – 80 %.

Inoltre, riguardo al caso in specie non si ha notizia di ulteriori dovuti approfondimenti diagnostici, tali la TC total body, ai fini di una corretta stadiazione, ma anche dell’esecuzione almeno di una chemioterapia adiuvante, per ridurre il rischio di eventuali recidive e di progressione della malattia neoplastica, con un sicuro aggravio prognostico e perdita netta di almeno 20 – 30 % di probabilità di sopravvivenza globale.

Casi clinici n. 6 e 7 - Esempi Un problema di per sé assai rilevante è quello insito nel ritardo diagnostico

concernente i sarcomi dei tessuti molli, specie quelli degli arti inferiori, i più frequenti epidemiologicamente e quelli a basso grading e a lento accrescimento proprio per le caratteristiche della storia clinica naturale di queste neoplasie.

Il problema principale diagnostico è che raramente, ovvero in pochissimi casi, un

sanitario, che visita un paziente con una massa solida dei tessuti molli pensa immediatamente alla possibilità che lo stesso sia affetto da un sarcoma dei tessuti molli.

Le ipotesi che vengono fatte sono in genere, lipoma, ematoma, cisti, ecc.. Stranamente anche ecografia TC e RM confermano talvolta tali erronee ipotesi

diagnostiche. Il problema può essere anche solo chirurgico se il chirurgo decide di intervenire e,

semplicemente di asportare la lesione, in modo più o meno completo, convinto che si tratti di un problema banale ovvero di una massa da tumore benigno.

Tutto ciò può gravare enormemente sulla diagnosi, per la mancata radicalità dell’intervento e per le possibilità aumentate tanto di recidiva locale che anche di disseminazione a distanza.

Sotto tale profilo la situazione sembra addirittura peggiorata negli ultimi anni, come segnalato dalle società scientifiche come la EMSOS.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

724 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

Invero uno dei problemi principali è costituito anche dal fatto che di rado i sarcomi dei tessuti molli vengono trattati dai centri specializzati di riferimento.

La prima raccomandazione, quindi, da fare ai chirurghi è quella di non asportare alla cieca un massa solida di cu non si conosce la natura e la diagnosi.

Come si evince da un articolo incentrato sugli aspetti generali di tali tumori,

presente sul sito del NCI degli USA, www.cancer.gov, (Adult soft tissue sarcoma treatment, aggiornato al 16.02.2012) i sarcomi dei tessuti molli possono presentarsi in tutte le età ma hanno una predilezione per quelle avanzate.

Colpiscono le parti prossimali degli arti, braccio, coscia, con una predilezione e una prevalenza per quelli inferiori.

I tumori benigni sembrano prediligere le parti distali e sono, soprattutto, di minori dimensioni.

Vengono qui di seguito riportati due casi, a titolo esemplificativo. Una signora di 76 anni di età manifesta la presenza di una massa al terzo medio

della coscia destra, oscurata dalla presenza di edema a carico di tutto l’arto inferiore, non esclusa la coscia, per cui in occasione del primo ricovero viene formulata la diagnosi di tromboflebite.

Ad un successivo ricovero, a distanza di qualche mese, un esame TC mette in evidenza la presenza della massa, non evidenziata clinicamente al precedente ricovero, che occupa il terzo medio della coscia di destra, delle dimensioni di circa cm 13, 00 di diametro, per il diametro maggiore, e di circa cm 8,00 per quello minore, indolente, ovalare anche se all’apparenza non ben circoscritta, adesa ai piani sottostanti, di consistenza duro – elastica.

La TC mette in evidenza la presenza di una pseudocapsula, mentre tanto l’EO della parte affetta che quello delle stazioni linfonodali viciniori non svelano alcuna presenza di linfoadenopatie di qualsivoglia grandezza, ciò che viene confermato anche dalla TC.

La lesione appare, in ogni caso molto vascolarizzata. La massa è comunque profonda, in continuità con i piani sottostanti muscolari, a

margini indefiniti. Un oncologo consultato nell’occasione formula la diagnosi di “sarcoma dei

tessuti molli, presumibilmente a basso grado di malignità”, vista, soprattutto la lentezza dell’accrescimento della lesione manifestata nel corso degli anni, stando all’anamnesi, come riferito dalla paziente.

Dopo un primo tentativo infruttuoso, in un terzo ospedale di una biopsia incisionale, utile alla tipizzazione, la paziente esce dall’ospedale medesimo contro il parere dei sanitari.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

725 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

Passano alcuni anni senza che la paziente si rivolga per questo specifico problema ad altri sanitari, mentre la massa continua indisturbata progressivamente a crescere, fino a quando, dopo dieci anni, vistasi ormai costretta a stare a letto e anche con problemi circolatori concomitanti, evidentemente per il super lavoro a cui è costretto il muscolo cardiaco, la paziente finalmente si rivolge ad un chirurgo.

Dopo effettuazione di una TC dell’arto che dimostrava la presenza di una massa ormai diventata di oltre cm 22 nel diametro maggiore, la stessa paziente veniva sottoposta ad amputazione dell’arto, avendo ormai la massa invaso la pressoché totalità della muscolatura della coscia.

L’esame istologico definitivo della massa asportata metteva in evidenza la presenza di un emangiopericitoma, uno degli istotipi della numerosa famiglia dei sarcomi, quindi un sarcoma a basso grado di malignità, G1.

Il chirurgo che aveva effettuato l’intervento aveva, peraltro, a dire nell’occasione

che laddove non si fosse provveduto ad effettuare l’amputazione e, soprattutto, ad effettuare un intervento radicale tale da lasciare i margini di resezione liberi da infiltrazione, nel tempo le conseguenze pratiche sarebbero state che la neoplasia, ancorché lentamente, avrebbe sicuramente invaso in senso ascensionale prima tutta la coscia e successivamente anche i mm glutei, dovendosi provvedere, infine ad una disarticolazione dell’arto inferiore in toto, intervento di per sé estremamente rischioso per la vita della paziente e per il quale l’Ospedale interpellato non era evidentemente attrezzato.

Questo tipo di considerazione non fa altro che evidenziare che il problema

essenziale dei sarcomi a basso grado non è tanto quello dei rischi ai fini della prognosi quoad vitam, quanto quello eminentemente chirurgico della necessità, ove permesso, di una resezione quanto più conservativa possibile, ciò che è consentito, evidentemente quando la neoplasia è ancora di dimensioni ridotte e non ha invaso per intero, né infiltrato, tutti i piani muscolari o si sia estesa a tutta la circonferenza di un arto.

Il limite da non valicare, nel caso dei sarcomi dei tessuti molli, è quindi quello

della “resecabilità conservativa” della neoplasia al fine della preservazione dell’organo o dell’apparato coinvolto.

Dopo l’intervento la paziente migliorava molto sul piano funzionale generale e a

distanza di alcuni anni avveniva l’exitus della stessa per scompenso cardiaco, comunque per motivi diversi dalla neoplasia dei tessuti molli verificatasi in precedenza.

Un secondo caso, riferito ad ulteriore titolo esemplificativo, è quello di un

soggetto di circa 50 anni dedito ad attività sportive, che manifestava la presenza di una massa profonda sul lato mediale della coscia di destra, all’altezza del terzo medio –

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

726 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

prossimale, con gli stessi caratteri verificati nel caso precedente, ossia tipo di massa ovalare profonda, adesa ai piani sottostanti, a margini sfumati, indolente e duro- elastica, presente da circa qualche anno, appena notata dal paziente, in quanto asintomatica.

Un oncologo consultato occasionalmente, notava oltre alla massa la presenza di un aumento in toto della circonferenza della coscia, rispetto alla controlaterale, prescrivendo inizialmente l’effettuazione di un’ecografia di controllo.

Prima ancora che la stessa venisse effettuata, lo stesso sanitario ricontattava il paziente per avvertirlo della possibilità dell’esistenza di un sarcoma dei tessuti molli e prescrivendo subito un secondo esame, ossia una RM della coscia di destra.

Il sanitario metteva anche al corrente il paziente che il vero rischio era dato dall’invasività locale della lesione, con prognosi poco severa quoad vitam ma molto più complessa quoad valetitudinem, ferme restando le potenzialità metastatiche della neoplasia, permanendo la lesione ulteriormente indisturbata nel tempo.

Il paziente eseguiva entrambe le indagini prescritte, presso due specialisti di due diversi centri radiodiagnostici.

Entrambe le indagini strumentali mettevano in evidenza la presenza di una massa il cui diametro maggiore è di circa cm 12 – 13, infiltrante i piani muscolari profondi della coscia, fornita di una pseudocapsula, a margini non ben definiti.

Entrambi gli specialisti concludevano per una diagnosi di “lipoma”, senza dare alcuna indicazione circa la necessità di effettuazione di una resezione chirurgica radicale.

Dietro l’insistenza dell’oncologo che aveva inizialmente fatto diagnosi di sarcoma dei tessuti molli, il paziente si rivolgeva ad un chirurgo ortopedico di un noto centro specialistico che decideva di effettuare un intervento chirurgico radicale della lesione, con conseguimento di margini liberi.

La massa asportata risultava pesare ben 350 gr, complessivamente, mentre la diagnosi istologica propendeva per la diagnosi di una lesione reputata, ancora, con aspetti di benignità oncologica.

A distanza di circa 5 anni dall’intervento il paziente gode di buona salute e senza

aver mai manifestato segni di ripresa di malattia né locale né a distanza. E’, in ogni caso, altamente presumibile, se non proprio verosimile, che si trattasse

di una lesione maligna a tutti gli effetti, ovvero di un sarcoma dei tessuti molli a basso grado di malignità, sulla base delle seguenti osservazioni:

le dimensioni ormai notevoli della neoformazione di circa cm 13,00 nel diametro maggiore, mentre i tumori benigni superano raramente le dimensioni di qualche cm, non più di 5 in genere;

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

727 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

la mancanza di una vera capsula, ma tipicamente la presenza di una pseudocapsula, verificata alle indagini strumentali eco e radiodiagnostiche;

i margini sfumati della massa individuata alla palpazione, con presenza di un’infiltrazione profonda dei piani muscolari sottostanti;

l’edema perilesionale da compressione, dovuto alla presenza della massa, ciò che accade, di norma, solo nel caso dei tumori maligni, con aumento in toto della circonferenza della cosca destra rispetto alla controlaterale.

Nel caso dei sarcomi dei tessuti molli degli arti sono prospettabili, quindi, sia un

ritardo diagnostico legato al paziente che un ritardo diagnostico legato, spesso, anche al medico che lo ha eventualmente visitato.

Molto interessante relativamente alle caratteristiche generali dei tumori dei tessuti

molli si rivela un articolo dal titolo “Benign and Malignant Soft Tissue Tumors” tratto dal sito web emedicine.medscape.com, di Vinod B Shidham, aggiornato al 29.05.2012.

Come anche detto in precedenza, la sede prevalente dei sarcomi dei tessuti molli,

è rappresentata dalle zone prossimali degli arti, specie quelli inferiori e delle dimensioni > cm 5,00, in genere, altra caratteristica a cui si è accennato è data dalla profondità della lesione, essendo i sarcomi frequentemente sottofasciali, spesso molto profondi nella muscolatura, mentre i tumori benigni sono superficiali e sottocutanei.

In effetti le dimensioni di una neoformazione > cm 5,00, o anche > di cm 3,00, secondo alcuni autori, dovrebbero già far considerare la stessa potenzialmente maligna, a meno che le loro stesse dimensioni del nodulo individuato non rimangano invariate nel corso degli anni in maniera documentalmente ineccepibile.

Altro importante carattere distintivo dei sarcomi dei tessuti molli è dato appunto

dalla fissità della massa rispetto ai piani circostanti, ciò che rappresenta un sicuro segno di malignità.

Caratteri meno importanti ma talora presenti sono dato dal dolore, ovvero fastidio, che si esacerba di notte e se costante, anche se moderato dovrebbe mettere in allarme.

Infine la crescita, lenta ma costante nel tempo dovrebbe ulteriormente costituire un sintomo d’allarme e deporre per una neoplasia maligna.

Pur essendo quasi sempre manifesti contestualmente alla massa, questi segni, se presenti anche solo in numero di 2 già depongono per la presenza di un sarcoma, anche in assenza di linfoadenopatie, ciò che rappresenta una costante in tali tipi di tumore.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

728 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

Le indagini di elezione sono rappresentate da TC e RM che sono in grado di svelare la presenza di aree disomogenee o di diverso segnale, ciò che dovrebbe far seriamente sospettare un sarcoma maligno.

L’ecografia che è una metodica non invasiva, dimostra la presenza di una lesione solida o a contenuto liquido e da indicazioni sulle esatte dimensioni della neoformazione e sulla sua caratteristica di compartimentalità , ossia se si tratta di una neoformazione superficiale o meno, intra o extra muscolare, vicina a vasi o articolazioni, ecc.; solo nel caso non sia ben chiaro ciò, è opportuno eseguite TC con mdc o RM.

In caso di sospetto di sarcoma, il paziente va inviato presso centri specializzati o

almeno da specialisti oncologi per le ulteriori indagini di elezione, volte alla tipizzazione della neoplasia.

In effetti la crescita tumorale non sempre è lenta e può evolvere, a seconda dei

casi, in settimane, mesi o anni, pur essendo per lo più rallentata, potendo il dolore associarsi in 1/3 dei casi.

Il sarcoma può originare dai tessuti molli, intendendo per tali i muscoli, i tendini (tessuto connettivo), i vasi sanguigni o linfatici, le articolazioni e il tessuto adiposo.

Esiste la variante di sarcoma lipoma – like, onde anche la possibile confusione

diagnostica in tal senso nei confronti del lipoma. Il grading è G1-G2-G3 in base al grado di malignità istologica. La chirurgia rappresenta il trattamento standard dei sarcomi dei tessuti molli per

la malattia in fase locale limitata. La chirurgica associata alla radioterapia permette di ottenere il controllo locale

della malattia nel 85 – 90 % dei trattamenti. In taluni casi può essere utilizzata la chemioterapia adiuvante a base di

epirubicina e ifosfamide, ma l’uso di tipo adiuvante della stessa è controverso in letteratura circa la sua reale utilità.

La migliore opzione in tal senso sarebbe rappresentata da sarcomi ad alto rischio, ossia con grading elevato, dimensioni notevoli e sede profonda.

Il sarcoma si definisce localmente avanzato quando è inoperabile. In tal caso si può ricorrere alla chemioterapia neoadiuvante o alla radioterapia

preoperatoria o a trattamenti di combinazione. Anche la perfusione ipertermica locale, con terapia antiblastica, sta raccogliendo

molti consensi da parte degli autori, per quanto riguarda i sarcomi degli arti. In caso di malattia metastatica polmonare, ma con assenza di altre localizzazioni,

l’exeresi completa delle manifestazioni polmonari in aggiunta ad un trattamento radicale

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

729 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

della lesione primaria va ritenuto il trattamento di scelta; in tale situazione viene aggiunto un trattamento chemioterapico adiuvante di consolidamento.

Nella circostanza della malattia metastatica polmonare la prognosi è funzione del numero delle lesioni polmonari riscontrate e della lunghezza dell’intervallo libero.

La malattia metastatica extrapolmonare rappresenta un fattore prognostico sfavorevole in ogni caso, anche perché le lesioni a distanza, nella fattispecie sono molto meno sensibili alla chemioterapia rispetto a quelle secondarie polmonari.

Le caratteristiche del follow up variano in funzione del grado di malignità della

malattia neoplastica, con controlli indicativamente a cadenza di ogni 4 mesi nei primi 2 anni e di ogni 6 mesi per i 3 anni successivi, nei sarcomi a basso grado, con minore latenza per le forme con grading più alto e con necessità di controlli più serrati e in tempi più ristretti..

Ecografia RM e TC sono in grado di individuare le recidive locali. Gli stadi variano dal I al IV, essendo i primi tre stadi funzione del grading, G1,

G2, G3 e il IV legato alla diffusione ai linfonodi regionali o agli altri organi. La recidiva può essere locale o a distanza. La chirurgia ha sempre un ruolo nella cura e guarigione dei sarcomi, potendosi

utilizzare la chemioterapia palliativa nella fasi molto avanzate. I rabdomiosarcomi, d’origine dalla muscolatura striata rappresentano oltre il 50

% degli istotipi dei sarcomi. Esistono liposarcomi, leiomiosarcomi, neurofibrosarcomi, sarcomi sinoviali,

mangio e linfangiosarcomi in base alle cellule d’origine. L’emangioendotelioma è un tumore meno aggressivo dell’emangiosarcoma e si

sviluppa in genere all’interno di organi parenchimali come fegato e polmoni. Nell’ambito dei tessuti perivascolari, che sono quelli che circondano i vasi

sanguigni, si possono sviluppare tumori benigni come i glomi, e tumori maligni, come gli emangiopericitomi, non particolarmente aggressivi e in genera a basso grado di malignità.

Esistono poi i tumori dei tessuti fibrosi, ossia i fibromi e gli istiocitomi fibrosi, fra le forme benigne e i fibrosarcomi fra quelle maligne.

Il tumore dermoide è una forma intermedia che non da metastasi ma può invadere i tessuti vicini.

Esistono, infine tumori originati da tessuti non identificati come i mixomi, che originano all’interno dei tessuti muscolari e i mesenchimomi.

Il sarcoma epitelioide è una varietà rara che origina dalla pelle di mani, piedi, avanbraccia e gambe con una notevole invasività locale che coinvolge anche i nervi periferici, potendo portare a confusione diagnostica con la neurolisi di nervi periferici e apparendo piuttosto aggressivo localmente, richiedendo, talvolta, l’amputazione dell’arto interessato.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

730 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

La diagnosi dell’istotipo è possibile con la biopsia incisionale, mentre quella escissionale è pericolosa e va evitata per il rischio insito di disseminazione di cellule neoplastiche.

I sarcomi dei tessuti molli sono classificati con il sistema TNM:

Stadio IA: G1, T1 (< cm 5), N0, M0; Stadio IB: G1, T2 (> cm 5), N0, M0;

Stadio IIA: G2, T2 (> cm 5), N0, M0; Stadio IIB: G3, T1 (< cm 5), N0, M0; Stadio IIC: G3, T2 (<cm 5), N0, M0;

NB: i tumori degli stadi II sono curabili e la sopravvivenza a 5 anni è > 80

%.

Stadio III: G3, T3 (> cm 5 e profondo), N0, M0; Stadio IVA: G2-G3, T1-T3 N1, M0; Stadio IVB: ogni G, ogni T, ogni N, M1.

In caso di intervento chirurgico radicale il margine di resezione deve essere

mantenuto libero per almeno cm 2 – 3. I sarcomi dei tessuti molli sono localmente invasivi e ciò costituisce la

prerogativa per cui hanno un’alta tendenza alla recidiva locale, se non ben asportati. Metastatizzano solo nel 20 % dei casi, prima di tutto per via ematica, onde

la relativa facilità alle metastasi polmonari, mentre raramente diffondono a livello linfonodale.

In caso di necessità di escissioni troppo ampie si preferisce utilizzare la RT a scopo neoadiuvante, meno la chemioterapia. I dosaggi utilizzati in tali caso vanno fra 47 Gy a 57 Gy, con un controllo locale della malattia pari a 50 - 65 % dei casi.

La chemioterapia trova maggiore giustificazione nei sarcomi G3 a più alto tasso di manifestazioni a distanza.

La prognosi dei sarcomi dei tessuti molli varia secondo il grading e secondo l’estensione e la possibile radicalità dell’intervento chirurgico, con necessità di margine libero per almeno 2 – 4 cm, anche nelle zone profonde.

Difficile è in ogni caso valutare le implicazioni legate al ritardo diagnostico

più o meno insito nell’ambito dei sarcomi dei tessuti molli.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

731 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

I problemi principali riguardano nell’ordine:

la necessità di evitare interventi incongrui che poi richiedono la

radicalizzazione in seconda battuta della lesione sarcomatosa; la necessità di evitare interventi che compromettano le vie di accesso e la

fattibilità di successivi ed efficaci interventi eseguiti dietro precisa pianificazione e indicazione terapeutica o di salvaguardare la possibilità di contaminare il letto operatorio, favorendo la diffusione a distanza della malattia;

la necessità di intervenire precocemente su lesioni con grosse potenzialità di invasività locale, onde evitare interventi maggiormente o altamente demolitivi.

Interessante, ai fini della disamina dei fattori prognostici, si rivela un articolo dal

titolo “Prognostic factors in adult patients with locally controlled soft tissue sarcoma. A study of 546 patients from the french federation of cancer centers sarcoma group.” di J M Coindre e al., JCO March 1996, vol. 14, no. 3 869-877.

Si dimostra che la radioterapia adiuvante ha un ruolo importante ai fini del

controllo locale della malattia neoplastica, e si conferma che la mancanza di chemioterapia adiuvante, specie nelle forme localmente avanzate, le dimensioni del tumore > cm 5 e il grading elevato, G3, rappresentano sicuri fattori prognostici sfavorevoli.

Nei due casi rappresentati in precedenza si trattava nel primo caso verosimilmente di uno Stadio III, nella fase evoluta, e nel secondo di uno Stadio IB, al momento della diagnosi.

In effetti nel I° caso il ritardo diagnostico verificatosi è avvenuto per prevalente colpa della paziente e si è tradotto nella necessità di un intervento altamente demolitivo come l’amputazione dell’arto, resasi indispensabile per una massa con diametro maggiore di cm 22, 00 circa, senza particolari responsabilità, apparenti, da parte dei sanitari che hanno tenuto in cura la paziente, salvo il ritardo diagnostico di alcuni mesi realizzato dal primo ospedale che l’ebbe in cura con la diagnosi di tromboflebite e del terzo ospedale che non riuscì ad effettuare con buon esito una biopsia incisionale / escissionale, interrotta per grave sanguinamento e, quindi, senza tipizzazione istologica della lesione.

La diagnosi di sarcoma dei tessuti molli si imponeva in ogni caso, per l’estensione e il grado di infiltrazione profonda della neoplasia, ciò che appariva ampiamente

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

732 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

valutabile, da subito, già con l’utilizzo di tecniche radiodiagnostiche, TC e RM, non invasive e con conseguente indicazione terapeutica dell’intervento chirurgico demolitivo.

Ciò, in effetti era stato anche prescritto alla paziente che però aveva opposto il diniego all’intervento, nel timore dell’amputazione dell’arto.

Le conseguenze del mancato atto chirurgico, nel caso in specie, andavano comunque ben spiegate alla paziente, con un buon consenso informato, anche sui suoi timori più o meno ingiustificati.

Nel secondo caso il presumibile errore diagnostico dell’ecografista e del

radiologo non hanno comportato alcun tipo di danno, né la conseguente responsabilità professionale dei sanitari, in virtù dell’insistenza opportuna dell’oncologo che, consapevole del rischio a cui stava andando incontro il paziente, lo ha indotto a sottoporsi ad una resezione radicale della neoformazione, pur impropriamente etichettata, sotto il profilo ecografico e radiodiagnostico, come “lipoma”, lesione che invece aveva tutte le caratteristiche di un sarcoma dei tessuti molli, ciò che ha permesso, da ultimo, di adottare un intervento chirurgico conservativo che ha consentito, in quella fase di sviluppo della neoplasia, il ripristino della completa funzionalità dell’arto affetto.

Le metodiche diagnostiche ai fini della tipizzazione comprendono la biopsia

incisionale o la agobiopsia con TRU – CUT o tecniche similari, come anche per altri tipi di tumore.

Ai fini della stadiazione della malattia appare utile una Rx standard del torace ovvero una TC torace con mdc per le forme G2 – G3.

La chemioterapia adiuvante sembra avere indicazione nelle forme ad alto grado G3.

Nel caso di MTS polmonari l’indice prognostico più efficace è dato dalla lunghezza dell’intervallo libero da malattia prima delle MTS polmonari.

Una seconda linea di chemioterapia ha un senso nel caso di malattia avanzata extrapolmonare, ma anche ad integrazione di altre terapie di tipo chirurgico in casi ancora suscettibili di eradicazione e di controllo per lungo tempo.

Casi clinici n. 8 e 9 - Esempi Un’altra situazione interessante è quella che riguarda due casi con eguali

caratteristiche, che dimostrano quanto possa essere assai infido il concetto che la tipizzazione oncologica derivante dall’esame istologico prevalga in tutti i casi sugli aspetti clinici e sulla storia naturale di una malattia in atto.

In effetti un soggetto di sesso maschile di età di circa 40 anni al momento

dell’esordio clinico della malattia, presentava una sintomatologia caratterizzata da edema agli arti inferiori, edema ai genitali esterni, specie allo scroto, per cui veniva

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

733 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

sottoposto ad un esame TC che dimostrava la presenza di una massa retroperitoneale di alcuni cm di diametro.

Ai fini di accertare la natura della lesione in atto e soprattutto allo scopo di

valutarne la resecabilità, il soggetto in esame veniva sottoposto a intervento chirurgico laparotomico nel corso del quale il chirurgo rinveniva una “massa lassa retroperitoneale di circa 8 – 9 cm nel diametro maggiore, priva di piano di clivaggio, adesa alla parete posteriore della cavità addominale”.

La massa situata in sede retroperitoneale comprimeva i grossi vasi, aorta e

vena cava, al punto da provocare un ostacolo al ritorno venoso e quindi gli edemi declivi agli arti inferiori e ai genitali.

La massa veniva biopsiata e l’esame istologico definitivo trovava un infiltrato multicellulare, specie costituito da piccoli linfociti, per cui il patologo, dopo avere effettuato vari tipi di ricerche immunoistochimiche con diversi reattivi, concludeva la sua lunga relazione, di circa 2 pagine, con la diagnosi finale di “quadro compatibile con linfoma non Hodgkin ad alto grado di malignità”.

Veniva prontamente istituita una chemioterapia secondo schemi standard, in sei cicli, che non sembrava, però, sortire alcun effetto sulla massa.

Dopo aver tentato varie linee di polichemioterapia di salvataggio nel tempo, la massa restava del tutto inalterata, senza particolare evoluzione, per cui alla fine gli ematologi concludevano con la diagnosi di “Linfoma non Hodgkin in fase stazionaria”, perdurando, poi la fase di stazionarietà, in modo inspiegabile, per lunghi anni, esattamente circa 12, in netta contraddizione con la storia clinica naturale dei LNH, senza che la massa subisse particolari evoluzioni progressive, se non un lentissimo accrescimento complessivo nel corso del tempo.

Poiché un linfoma non Hodgkin ad alto grado di malignità non perdura mai in fase stazionaria se non per qualche mese, non avendosi, in tal caso, sulla base delle evidenze scientifiche attuali, sopravvivenze superiori a 6 mesi complessivi, con una rapida evoluzione in progressione, appare del tutto evidente, ovvero estremamente probabile, che la patologia in atto non era, in effetti, un LNH ad alto grado di malignità ma altro tipo di patologia, verosimilmente benigna, ad origine retroperitoneale, vista anche la lunghissima sopravvivenza.

Trascorsi ben 12 anni circa dall’esordio clinico della malattia, il paziente si

trovava pressappoco nelle medesime condizioni, ancora trattato per un LNH ad alto grado di malignità, in presunta fase stazionaria.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

734 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

Il secondo caso è occorso in tempi più recenti ed è del tutto sovrapponibile al precedente, salvo la storia clinica naturale assai più breve, circa 1 anno e mezzo, relativa ancora ad un soggetto di sesso maschile dell’età di 43 anni che manifestava sintomi similari a quelli descritti nella precedente storia clinica e che alla TC addome manifestava sempre la presenza di una massa retroperitoneale a lentissimo accrescimento, sempre associata, quindi, ad edemi declivi ai genitali e agli arti inferiori.

La massa veniva sempre biopsiata e l’esame istologico, il cui referto era di una

pagina e mezza, concludeva ancora una volta nell’etichettare l’infiltrato cellulare, da cui la massa era in gran parte costituita, con la diagnosi finale di “compatibile con LNH ad alto grado di malignità”.

Sia nel primo che nel secondo caso non si può dunque trattare, in base

all’evoluzione della storia naturale, di una patologia neoplastica e neppure, quindi, di un sarcoma retroperitoneale che è comunque molto più aggressivo, per cui, almeno nel primo caso si sarebbe sicuramente già dovuto determinare l’exitus del soggetto in esame, per una progressione da attendersi in tempi relativamente brevi della malattia neoplastica, vista, peraltro, anche l’estrema rarità di eventuali e anche improbabili sarcomi retroperitoneali.

In effetti, quasi certamente, si trattava e si tratta, visto che i due soggetti sono

ancora in vita, verosimilmente di una patologia benigna, relativamente frequente a partenza retroperitoneale che è appunto la piuttosto nota “fibrosi retroperitoneale idiopatica”.

Come si evince da un articolo dal titolo “La fibrosi retroperitoneale idiopatica” di

P. Greco e al., Giornale Italiano di Nefrologia , Anno 21 n. 2, 2004, pp. 132-138, la Fibrosi Retroperitoneale si può considerare a tutti gli effetti una malattia del connettivo caratterizzata dallo sviluppo di un tessuto fibro – infiammatorio nello spazio retroperitoneale.

Si deve ad Ormond la prima vera descrizione della malattia considerata, sotto il profilo nosologico.

La FR è idiopatica, ossia ad eziologia sconosciuta, in circa il 75 % dei casi mentre nel restante 25 % appare imputabile a infezioni, farmaci, emorragie, o manifestazione di malattie autoimmuni come il LES, la sclerodermia, il Crohn, ecc..

Sono anche riportate in letteratura associazioni con glomerulonefriti rapidamente

progressive e membranose.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

735 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

La FR può essere limitata al retroperitoneo o coinvolgere altri distretti, presentandosi come la tiroidite di Riedel, la fibrosi mediastinica, la colangite sclerosante, ecc..

Sotto il profilo macroscopico si caratterizza per la presenza di una massa retroperitoneale fibrosa, bianco – grigiastra, localizzata la maggior parte dei casi a livelli delle arterie renali e la biforcazione delle iliache comuni.

La FR può avvolgere le strutture retroperitoneali come gli ureteri e il duodeno, con possibili origine atipiche a livello retroperitoneale.

Sotto il profilo microscopico istologico la malattia si presenta in modo diverso a seconda dello stadio della malattia.

Nelle fasi iniziali il tessuto appare riccamente vascolarizzato ed edematoso con

aspetti tipici di un’infiammazione cronica attiva. L’infiltrato infiammatorio, su di uno sfondo di fibroblasti e fibre collagene dense,

appare costituito da una prevalenza di linfociti, plasmacellule e macrofagi, con qualche granulocito eosinofilo e neutrofilo; il pattern infiammatorio può essere di tipo perivascolare, fino a simulare una vasculite necrotizzante, o di tipo diffuso.

Gli studi di immunoistochimica hanno permesso di evidenziare che gli infiltrati perivascolari sono costituiti da linfociti B, CD 20 +, mentre nella componente diffusa si rinvengono sia linfociti T che B.

Nelle forme più avanzate il tessuto si arricchisce di fibre collagene dense, con

moderato infiltrato di tipo perivascolare o diffuso, a prevalenza linfo – plasmacellulare, anche con aree di parziale riacutizzazione.

La confusione istologica con i LNH anche se il quadro microscopico appare assai

diverso, è, come si vede, comunque possibile. La FRI è una patologia subdola, con decorso clinico inizialmente silente ovvero

aspecifico. All’astenia, alla facile fatigabilità, febbricola, calo ponderale, artralgie, ecc., si

possono associare sintomi e segni locali dovuti all’intrappolamento degli ureteri e della altre strutture retroperitoneali, con varicocele, idrocele, edema agli arti inferiori, trombosi venose profonde e tromboflebiti superficiali, anche se la manifestazione locale più frequente è il dolore lombare o addominale di tipo continuo, non modificabile con i cambiamenti di posizione, o colico.

Fra le indagini di laboratorio si riscontra un aumento della VES, della proteina C reattiva, delle alfa 2 globuline, tipici segni di flogosi, anemia normocromica e normocitica, segni di insufficienza renale cronica in caso di intrappolamento degli ureteri; talvolta è possibile trovare leucocitosi, eosinofilia, trombocitosi, ipergammaglobulinemia e positività del fattore reumatoide.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

736 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

L’ecografia la TC e la RM sono le indagini strumentali più indicate ai fini diagnostici.

La TC evidenzia la presenza di una massa di densità simile a quella di un muscolo, di spessore variabile, a localizzazione periaortocavale; l’effetto enhancement è intenso nella fasi iniziali e scarso nelle fasi avanzate.

Alla RM, le immagini T1 pesate mostrano bassa o media intensità di segnale, le T2 segnale intenso nelle fasi iniziali della malattia.

L’urografia e la pielografia ascendente possono essere utili in caso di intrappolamento degli ureteri.

La biopsia retroperitoneale profonda dovrebbe essere in grado di dirimere i dubbi diagnostici.

La FRI nel tempo ha una prognosi severa quoad valetitudinem e infausta quoad vitam a lungo termine, se non adeguatamente trattata.

Le più frequenti cause di morte sono dovute all’insufficienza renale cronica. La prognosi è sicuramente più favorevole con le terapie mediche, in particolare, e

chirurgiche, in casi di necessità, con riduzione degli indici di flogosi e regressione,anche se incompleta della massa retroperitoneale.

Tra i farmaci utilizzati gli steroidi giocano un ruolo di primo piano, con riduzione dell’infiltrato infiammatorio e della massa fibrosa.

Anche il tamoxifene, farmaco antiestrogeno, sembra essere efficace nella cura dei sintomi della malattia, specie nei non responder alla terapia steroidea, anche se non esistono studi di settore appropriati in tal senso.

La patogenesi appare di tipo autoimmunitario verso talune componenti del tessuto retroperitoneale.

Una storia clinica di un paziente di oltre 50 anni con edemi agli arti inferiori e dolore lombare, presenti da alcuni mesi, e la presenza di una massa a manicotto periaortico, in assenza di una dilatazione aneurismatica dell’aorta, deve far sospettare una FRI.

Il rapporto maschi femmine è di 2/1. Pure valida appare la terapia con methotrexate e corticosteroidi, con graduale

riduzione degli edemi declivi e della sintomatologia in qualche mese. Da un articolo dal titolo “Idiopathic retroperitoneal fibrosis: description of two

cases” di Zemira Cannioto e al., tratto da internet, da Medico e Bambino, www.medicoebambino. com, ultimo aggiornamento 10 marzo 2006, è possibile trarre ulteriori elementi di conoscenza sulla malattia in parola.

L’incidenza della FRI è relativamente bassa, 1 / 200 mila abitanti. La FRI può esordire anche in età infantile o adolescenziale, con segni urologici,

confondibili con una patologia del giunto pieloureterale o con una massa bassa, in sede ischiatica, ad es., associata a dolore ed edema di un singolo arto, mentre un’indagine

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

737 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

scintigrafia renale mostra un quadro di rene escluso, nelle fasi successive, per cui il paziente viene sottoposto a nefrectomia..

Il ritardo diagnostico è, in ogni caso molto frequente e con possibili interventi chirurgici demolitivi non dovuti.

Il sospetto diagnostico deve intervenire ogni qualvolta si sia di fronte ad una patologia addominale, con una dilatazione del bacinetto renale e con movimento degli indici di flogosi in un adolescente.

L’urografia, in questi casi, è in grado di individuare una triade di segni data dalla deviazione mediale degli ureteri, compressione estrinseca e idronefrosi.

La prognosi quoad vitam è eccellente nel caso della malattia trattata e in mancanza di compromissione renale.

Ritornando soprattutto al primo caso, descritto in precedenza, sempre a titolo

esemplificativo, si può concludere che:

i linfomi primitivi retroperitoneali extralinfonodali, pur se teoricamente possibili, rappresentano un’autentica rarità in senso assoluto, non avendo peraltro, nel tempo, nel caso specifico, il presunto linfoma ad alto grado, assai stranamente, mai manifestato alcun tipo di linfotropismo di alcun genere, in assenza di progressione e diffusione ad alcun organo o stazione linfonodale vicina e/o a distanza;

non esistono LNH ad alto grado di malignità che restino in fase stazionaria oltre 3 – 4 mesi e che non vadano poi in progressione, con exitus prevedibile in 6 mesi – 12 mesi nel 100 % dei casi trattati, nel caso in cui permanga ipoteticamente la fase di stazionarietà, e quindi nella circostanza che non venga raggiunta la fase di Regressione Clinica Completa, o almeno parziale temporanea, dopo chemioterapia di salvataggio senza risposta al trattamento, in base alle attuali conoscenze scientifiche;

la situazione di stazionarietà della massa o scarso ingrandimento della stessa massa può apparire, piuttosto, verosimilmente correlato alla storia naturale di una FRI, sia per la lentezza dell’evoluzione del processo morboso, di tipo simil infiammatorio e non neoplastico, sia per le terapie pur non idonee prestate di tipo antiblastico, dal momento che un trattamento con corticosteroidi e methotrexate, anche se con diversa combinazione e dose, trova utilità sia nei LNH ad alto grado di malignità che nella FRI, onde la parziale remissione ipotizzabile della malattia idiopatica e il conseguente accanimento terapeutico, con qualche non esattamente voluto esito terapeutico pur favorevole;

l’infiltrato infiammatorio policlonale e mononucleare, a prevalenza di linfociti B CD 20 + ha sicuramente potuto comportare il confondimento diagnostico a cui è andato incontro l’istologo;

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

738 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

l’eventuale ipotetica responsabilità professionale medica consisterebbe non tanto e non solo nel ritardo diagnostico, con erroneo conseguente inquadramento nosografico e diversa pianificazione e strategia terapeutica, ma, in particolare, nell’aver somministrato terapie comunque inappropriate e sicuramente maggiormente rischiose rispetto alla reale entità e pericolosità della patologia benigna, a genesi infiammatoria, in atto realizzatasi, con possibili ricadute sotto il profilo degli effetti secondari e iatrogeni indesiderati;

le responsabilità, in tal caso, andrebbero distribuite fra il radiologo, l’anatomopatologo e il clinico ematologo, anche se quelle dell’ ematologo che aveva la posizione di tutela e garanzia della gestione e della cura del caso in specie apparirebbero nettamente superiori.

Caso clinico n. 10 - Esempio

Un’altra storia clinica assai interessante, sotto il profilo diagnostico oncologico,

riportata ancora a titolo esemplificativo, è quella che riguarda un soggetto di sesso maschile, dell’età di circa 34 anni, che all’epoca manifestava dolori addominali associati a malessere generale e astenia, per cui veniva sottoposto ad esame TC total body che evidenziava la presenza di una neoformazione a livello retroperitoneale, all’altezza delle stazioni paraortocavali, di ndd.

Veniva pertanto sottoposto ad asportazione in toto della massa retroperitoneale

che all’esame istologico definitivo deponeva per la presenza di: “linfonodi invasi da tessuto neoformato costituito da infiltrato di cellule carcinoembrionarie, coriocarcinomatose e teratocarcinomatose, come da tumore germinativo di tipo misto”.

Il paziente stranamente veniva dimesso con diagnosi di “tumore germinativo

retroperitoneale”, quasi si trattasse di una forma primitiva retroperitoneale. Un’ecografia testicolare appariva negativa per la presenza di un tumore primitivo

testicolare. Veniva istituita una chemioterapia adiuvante, in 6 cicli, secondo schemi di

protocollo standard, per i tumori germinativi. Dopo la primitiva asportazione della massa retroperitoneale, a distanza di

qualche mese si assisteva alla ricomparsa di una recidiva locale retroperitoneale, ovvero ancora di una massa che inglobava un pacchetto di linfonodi paraortocavali, per cui i sanitari interpellati concludevano che il paziente non era da ritenersi più trattabile né sotto il profilo di farmaci di II^ linea, di tipo chemioterapico, né con un nuovo intervento chirurgico per l’asportazione della massa retroperitoneale recidivata.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

739 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

In effetti è invece assai verosimile che il paziente potesse essere nuovamente sottoposto a terapie, trattandosi, nella fattispecie, con elevatissima probabilità, non di un tumore germinativo primitivo retroperitoneale, ma bensì, vista la sede iniziale tumorale apparentemente collegata alla presenza della linfoadenopatia, e della successiva recidiva loco – regionale sempre linfonodale, di una forma mista di tumore germinativo a primitività testicolare, nonostante l’apparente negatività nell’esame obiettivo della visita chirurgica eseguita e dell’esame ecografico della parte, risultato apparentemente negativo per la presenza di qualsivoglia tipo di neoformazione testicolare, come già riferito in precedenza.

Tutto ciò è giustificabile in larga misura in base alla storia clinica naturale delle

neoplasie miste germinative a partenza testicolare. Gli aspetti clinici e le linee guida generali inerenti le neoplasie testicolari sono

ricavabili sia in un lavoro scientifico dal titolo “Guidelines on Testicular Cancer” di P. Albers (chairman) e al., European Association of Urology 2012, tratto dal sito web www.uroweb.org, che da un articolo dal titolo “Tumori del testicolo” tratto dal sito web e-learning.med.unifi.it, ultimo aggiornamento 08/11/2004.

I tumori testicolari rappresentano 1 – 2 % di tutte le neoplasie maligne che

colpiscono soggetti di sesso maschile, potendosi distinguere nosograficamente due gruppi principali di tumori in tal senso, ossia:

tumori a cellule germinali; tumori a cellule non germinali.

Il tumore del testicolo riveste sotto il profilo epidemiologico una rilevanza

particolare non tanto per la sua incidenza, relativamente bassa, quanto per il fatto che colpisce soggetti in giovane età, con due picchi di incidenza fra i 20 – 30 anni e fra i 40 – 50 anni.

Sotto il profilo istopatologico si distinguono:

tumori seminomatosi; tumori non seminomatosi.

Fra i tumori non seminomatosi si distinguono, nell’ordine:

carcinoma embrionale; coriocarcinoma; teratoma;

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

740 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

tumori del sacco vitellino; poliembrioma; forme miste.

Le forme miste sono costituite da diversi di questi elementi elencati, tutti

rappresentati contemporaneamente, di cui la più frequente in assoluto è quella rappresentata dal teratocarcinoma.

Esistono, poi, peraltro tumori testicolari della linea non germinativa, quali il

gonadoblastoma, il tumore a cellule di Leydig, quelli a cellule di Sertoli o a cellule della granulosa, ecc., insieme alle relative forme miste, sempre della linea non germinativa, per la commistione di elementi cellulari diversi della linea non germinativa.

I segni e i sintomi di tali neoplasie, sono in genere legati alla presenza di:

tumefazione testicolare indolente; senso di peso testicolare; dolori testicolari; segni e/o sintomi legati alla presenza di metastasi; trauma.

I sintomi in genere sono aspecifici, specie nelle prime fasi, ovvero la

sintomatologia è silente almeno fino alla diagnosi. Il soggetto può semplicemente notare occasionalmente l’aumento della

grandezza di un testicolo, magari un senso di peso nella parte affetta o poco altro. Talvolta possono essere presenti i sintomi o segni delle metastasi come un senso

di ingombro addominale, per una localizzazione metastatica a livello dei linfonodi retroperitoneali lomboaortici, classica sede di metastasi linfonodali, con una eventuale compressione a livello degli ureteri, da linfoadenopatia consensuale dei predetti linfonodi, mentre il coinvolgimento dei linfonodi inguinali si può avere per infiltrazione dello scroto.

La diagnosi è ottenibile con l’EO dei testicoli, con riscontro di una tumefazione di consistenza dura, per lo più indolente a livello di uno dei testicoli, ovvero con l’ecografia testicolare, nonché con la valutazione dei markers tumorali, tipo alfafetoproteine (vn < 20 ng/ml) e Beta HCG (vn < 5 mUI/ml).

L’ecografia, eseguita da un medico esperto ha valore principalmente per la conferma dei reperti palpatori.

Nell’ambito della stadiazione del tumore risulta che:

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

741 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

Stadio I: tumore limitato al testicolo, con assenza di metastasi; Stadio II: metastasi nei linfonodi retroperitoneali; Stadio III: metastasi nei linfonodi sovradiaframmatici; Stadio IV: metastasi extralinfonodali.

La stadiazione anatomopatologica locale a livello del testicolo si fa sul testicolo

asportato, verificando se il deferente, l’epididimo e/o la vaginale del testicolo sono interessati dall’infiltrazione.

Le metastasi polmonari rappresentano in assoluto la sede extralinfonodale, a distanza maggiormente interessata da localizzazioni secondarie nel caso di neoplasie testicolari, specie miste della linea germinale.

Il valore delle betaHCG è legato in maniera direttamente proporzionale alle dimensioni complessive della malattia neoplastica, indicandone l’andamento.

Le forme non seminomatose sono estremamente sensibili alla chemioterapia, per cui, dopo l’intervento chirurgico è opportuno eseguire la chemioterapia post chirurgica adiuvante, anche nelle forme apparentemente limitate al testicolo.

Esistono anche tumori testicolari della linea stromale come i linfomi maligni non Hodgkin, i mesoteliomi e i fibromi.

L’intervento chirurgico consiste nell’asportazione del testicolo, orchifunicolectomia, con legatura del funicolo spermatico nell’anello inguinale interno, con posizionamento di una protesi al posto del testicolo.

La stadiazione esposta a grandi linee va comunque rapportata a quella

TNM, secondo le indicazioni della AJCC, per cui, sicuramente più corretto è parlare di:

Classificazione patologica PTNM

pT - Tumore primitivo pTX. Tumore primitivo non definibile (se non è stata eseguita orchiectomia

radicale deve essere indicato TX) pT0 Tumore primitivo non evidenziabile (ad esempio cicatrice istologica nel

testicolo) pTis Neoplasia a cellule germinali intratubulare (carcinoma in situ) pT1 Tumore limitato a testicolo ed epididimo senza invasione

vascolare/linfatica; il tumore può invadere la tunica albuginea, ma non la vaginale

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

742 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

pT2 Tumore limitato a testicolo ed epididimo con invasione vascolare/linfatica; il tumore si estende attraverso la tunica albuginea con interessamento della vaginale

pT3 Tumore che invade il funicolo spermatico, con o senza invasione vascolare/linfatica

pT4 Tumore che invade lo scroto, con o senza invasione vascolare/linfatica

pN - Linfonodi regionali pNX Linfonodi regionali non valutabili pN0 Linfonodi regionali liberi da metastasi pN1 Metastasi in 1-5 linfonodi, nessuno dei quali delle dimensioni

massime superiori a 2 cm. pN2 Metastasi in 1-5 o più linfonodi, ciascuno dei quali delle dimensioni comprese fra 2 e 5 cm.; oppure estensione extra-linfonodale della neoplasia

pN3 Metastasi con massa linfonodale superiore a 5 cm

pM - Metastasi a distanza La categoria pM corrisponde alla categoria M

M - Metastasi a distanza MX Metastasi a distanza non accertabili M0 Metastasi a distanza assenti M1 Metastasi a distanza presenti M1a Metastasi in linfonodi non regionali o metastasi polmonari M1b Metastasi a distanza in altre sedi o strutture

S - marcatori tumorali serici

SX Dosaggi dei marcatori serici non disponibili o non eseguiti S0 Dosaggi dei marcatori serici nei limiti della norma LDH hCG (mIU/ml) AFP (ng/ml)

1 < 1,5xN e < 5.000 e < 1.000

2 1,5-10 x N o 5.000-50.000 o 1.000-10.000

3 > 10 x N o > 50.000 o > 10.000

N indica il limite superiore del valore normale del dosaggio della LDH

SUDDIVISIONE IN STADI

secondo UICC / TNM

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

743 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

Stadio 0 pTis N0 M0 S0, SX Stadio I pT1 - 4 N0 M0 SX Stadio IA pT1 N0 M0 S0 Stadio IB pT2

pT3 pT4

N0 M0 S0

Stadio IS ogni pT / TX N0 M0 S1 - 3 Stadio II ogni pT / TX N1 - 3 M0 SX Stadio IIA ogni pT / TX N1

N1 M0 M0

S0 S1

Stadio IIB ogni pT / TX N2 N2

M0 M0

S0 S1

Stadio IIC ogni pT / TX N3 N3

M0 M0

S0 S1

Stadio III ogni pT / TX ogni N M1, M1a SX Stadio IIIA ogni pT / TX ogni N

ogni N M1, M1a M1, M1a

S0 SX

Stadio IIIB ogni pT / TX N1 - 3 ogni N

M0 M1, M1a

S2 S2

Stadio IIIC ogni pT / TX N1 - 3

ogni N ogni N

M0 M1, M1a M1b

S3 S3 ogni S %

Le opzioni terapeutiche sono ricavabili, sull’argomento “Testicular Cancer

Treatment” dal sito web del NCI, www.cancer.gov, ultimo aggiornamento 20.01.2012. Il tumore del testicolo rappresenta attualmente una neoplasia altamente curabile

sia per le maggiori possibilità di una stadiazione molto ben circostanziata, con gli attuali mezzi legati alle metodiche d’indagine disponibili, che per l’efficacia dei nuovi farmaci chemioterapici.

L’atteggiamento terapeutico varia in funzione della circostanza che si tratti di una neoplasia seminomatosa o non seminomatosa, poiché i seminomi sono altamente sensibili alla radioterapia, mentre le forme non seminomatose rispondono assai meglio alla chirurgia ovvero all’associazione chirurgia + chemioterapia.

In casi più rari (5%) possono insorgere, in forma primitiva, fuori dalle gonadi (spesso nel retroperitoneo).

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

744 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

In particolare i tumori germinali non seminomatosi, fra cui i misti, vengono curati secondo il seguente criterio terapeutico:

tumori a cellule germinali non seminomatosi di basso stadio: orchifunicolectomia + linfoadenectomia retroperitoneale, come trattamento standard; secondo tale criterio, tutto il tessuto linfatico lungo il decorso della vena cava e dell’aorta viene rimosso in blocco, dalla biforcazione iliaca fino ai pilastri diaframmatici, da uretere a uretere.

Tale metodica chirurgica di tipo profilattico e terapeutico è caratterizzata da una

bassa morbilità e serve a verificare se in qualsiasi modo siano compromessi i linfonodi della stazioni lombo - aortiche che sono gravate, in questi casi da un’altissima probabilità di metastatizzazione secondaria anche nelle forme localmente molto limitate.

Il razionale di tale tecnica consiste anche nel fatto che la linfoadenectomia del linfonodi lombo - aortici è curativa in oltre il 90 % dei pazienti con malattia in Stadio I, ovvero inziale.

Se i marker si normalizzano dopo l’orchifunicolectomia + linfoadenectomia retroperitoneale dei linfonodi lomboaortici, il paziente va in follow up, potendosi ritenere che abbia raggiunto la fase di intervallo libero da malattia e la RCC.

Nel 25 % dei casi tali pazienti non sono più gravati da ricadute della malattie nel tempo.

Nel caso invece di forme neoplastiche localmente avanzate la terapia è

diversa relativamente ai:

Tumori a cellule germinali non seminomatosi di stadio elevato:

si tratta di pazienti con voluminose masse retroperitoneali o con malattia metastatica e sono trattati con orchifunicolectomia + chemioterapia a base di cisplatino.

Anche in questi casi la prognosi globale si può definire buona, con i nuovi protocolli terapeutici, con una percentuale di sopravvivenza globale a 5 anni anche > 85 - 90 % dei casi correttamente trattati.

Più esattamente nel caso di assenza di metastasi extrapolmonari ed

extralinfonodali (malattia a prognosi cattiva) è lecito parlare di, in base ai diversi valori di AFP, HCG ed LDH, in rapporto all’elevazione dei rispettivi valori laboratorio, e alla presenza od assenza di metastasi viscerali non polmonari:

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

745 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

MALATTIA A BUONA PROGNOSI (sopravvivenza a 5 anni del 91 %); comprende il 60% di tutti i pazienti metastatici con tumori germinali;

MALATTIA A PROGNOSI INTERMEDIA (sopravvivenza a 5 anni del 79%)

rappresenta il 26% di tutti i pazienti metastatici con tumori germinali;

Nel caso in specie, rappresentato in precedenza, in assenza di una lesione primitiva retroperitoneale, non individuata dalla TC espletata all’occorrenza, si trattava verosimilmente di un tumore testicolare germinale non seminomatoso, con presenza di una massa retroperitoneale linfonodale > cm 5 e, quindi, ai fini della stadiazione, di uno Stadio che poteva essere ascritto dal IIB al IIIC teorico, in carenza della conoscenza del valore dei markers tumorali che potevano farlo transitare nello stadio IIIC, più verosimilmente un pTx, Tis o T0, N3, Mx, M0, Sx, ossia assai probabilmente uno Stadio IIA-IIB con percentuali di sopravvivenza globale intorno al 80 – 85 % dei casi correttamente trattati, essendo il trattamento migliore nella fattispecie la linfoadenectomia retroperitoneale + polichemioterapia adiuvante con cisplatino, in apparente assenza di manifestazioni di tumefazione testicolare.

Le opzioni di trattamento per lo Stadio II dei tumori testicolari non seminomatosi comprendono:

Scelte di trattamento standard:

1. Orchifunicolectomia totale + seguita da rimozione dei linfonodi retroperitoneali, con controlli generali mensili che includono esame Rx torace, alfa-fetoproteina, gonadotropina corionica, LDH, Stadio I-IIA), riservando la chemioterapia alle ricadute, specie per pazienti che hanno meno di sei linfonodi positivi e nessuno che è più grande di 2 cm in diametro e senza invasione di extracapsulare linfonodale.

2. Orchifunicolectomia seguita da rimozione di linfonodi retroperitoneali,

seguita da chemioterapia e poi controlli generali mensili. La chemioterapia di tipo adiuvante, incentrata sul cisplatino, associato a bleomicina e/o etoposide, sarebbe in grado di prevenire in modo più efficace le ricadute.

Altri regimi di chemioterapia sperimentati, PVB, VAB VI e VPV, sembrano

sortire effetti simili, in termini di sopravvivenza, ma sono meno utilizzati.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

746 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

Se questi pazienti non realizzano una risposta completa alla chemioterapia, dovrebbe essere compiuta la rimozione chirurgica di eventuali masse rimanenti.

La presenza di masse di teratomi rappresenta una fonte possibile di successive recidive.

C'è un’incidenza più alta, approssimativamente pari al 50% di residuo tumorale

testicolare, anche a livello dei linfonodi retroperitoneali, con possibile evidenza radiologica di massa retroperitoneale rimanente, accertabile con esami radiodiagnostici dopo effettuazione della chemioterapia basata sul platino.

Attualmente lo schema PEB (cisplatino, etoposide, bleomicina) è ritenuto il

trattamento farmacologico di prima scelta per quasi tutti i tumori del testicolo (seminomi e non seminomi) per i quali trova indicazione la chemioterapia, ossia quando la malattia è in fase avanzata, ovvero oltre lo stadio IIB.

Il trattamento si prescrive prevalentemente per 4 cicli, rispettando il più possibile la massima intensità di dose.

Questo tipo di schema è in grado di ottenere remissioni complete nel 60-70% dei pazienti con tumori testicolari nelle forme non - seminomatose.

Tutte le precedenti argomentazioni consentono di affermare che, nel caso in

specie, in precedenza rappresentato a titolo esemplificativo:

pur non essendoci un’evidenza clinica manifesta, non è da escludere che fosse presente un tumore primitivo testicolare, con un nodulo non facilmente palpabile o individuabile strumentalmente, specie se localizzato a livello dell’epididimo;

non esiste evidenza che l’ecografia testicolare sia stata effettuata correttamente o che non sia stata proprio effettuata;

l’ecografia medesima testicolare potrebbe aver dato luogo a dei falsi negativi o non aver cercato il nodulo, magari non facilmente evidenziabile, per la sede primitiva testicolare in cui era situato, trattandosi, in ogni caso, di una metodica osservatore - dipendente;

è sicuramente da rigettare qualsiasi ipotesi di una presunta neoplasia retroperitoneale primitiva, a fronte della sola presenza, identificata con la TC addome, di una massa linfonodale asportata chirurgicamente e tipizzata istologicamente, ossia di un pacchetto linfonodale coinvolto da evidente metastatizzazione secondaria di un tumore germinale a primitività apparentemente sconosciuta, verosimilmente testicolare;

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

747 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

una massa bulky linfonodale con un numero di linfonodi coinvolti > 5-6, presuppone già forse uno stadio III, ovvero IIA-IIB, come appare dal quadro clinico descritto, per la presenza certa di N3, laddove la chemioterapia primitiva ovvero neoadiuvante, ottiene migliori risultati; in ogni caso si tratta di forme neoplastiche testicolari a prognosi più severa ovvero non del tutto favorevole;

la linfoadenectomia retroperitoneale assai probabilmente non è stata condotta con criterio terapeutico standard, ossia in modo realmente sistematico, come richiesto dai protocolli di trattamento, ma come semplice resezione di una massa retroperitoneale di ndd, in carenza di una diagnosi specifica, per cui non era ben pianificata e indirizzata alla totale rimozione dei linfonodi lomboaortici, così come prescritto, ovvero di tutti i linfonodi pericavali e periaortici presenti dalla biforcazione delle arterie iliache fino alla cupola diaframmatica, da un uretere all’altro;

ciò ha comportato una recidiva a livello linfonodale, peraltro ritenuta impropriamente non ulteriormente suscettibile di terapia;

non si conosce esattamente il destino terapeutico finale del paziente, anche se un oncologo consultato occasionalmente ha ipotizzato che si trattasse, in ogni caso, di un tumore misto della linea germinale testicolare, con possibilità, quindi, sia di effettuazione di una completa linfoadenectomia retroperitoneale, come descritto, che dell’effettuazione della chemioterapia adiuvante anche con farmaci di II^ linea e con presumibili buone probabilità di successo.

In considerazione dell’apparente errore diagnostico e dal ritardo conseguente

oncologico maturato, è probabile che il paziente abbia perso se non totalmente almeno in buona parte delle concrete possibilità di sopravvivenza a 5 anni, prevedibili in questi casi, nello stadio orientativamente dedotto, dopo effettuazione di terapie protocollari, in un ordine di percentuali di sopravvivenza globale, stimabile intorno al 70 - 75 % dei casi correttamente trattati.

Pertanto in funzione della mancata diagnosi e trattamento conseguente, il soggetto in esame è apparentemente passato, in assenza di prescrizione di terapie adeguate, ad una percentuale di sopravvivenza globale orientativamente valutabile su 30 – 35 % di sopravvivenza a 5 anni, con una perdita netta, quindi, in totale, di oltre il 40 % di probabilità di sopravvivenza a 5 anni.

Caso clinico n. 11 - Esempio

Da ultimo viene rappresentato, sempre a valenza esemplificativa, il caso di un

soggetto di sesso maschile di età di circa 70 anni che, trattato in epoche precedenti per un adenocarcinoma polmonare p, T2, N2, M0, a distanza di ben 8 anni avrebbe

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

748 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

manifestato una apparente ripresa di malattia, con presunte metastasi cutanee, per la comparsa di una vasta lesione in sede retroauricolare, a tipo chiazza estesa con aspetto discheratosico e sclerodermiforme, che infiltrava in larga parte il tessuto retronucale e anche le regioni sottomentoniere, in maniera apparentemente inusuale.

La presunta recidiva sembrava, dopo gli esami radiodiagnostici del caso,

risultati negativi, apparentemente solo cutanea, essendo descritti, ad oggi, peraltro, in tutta la letteratura dell’argomento, unicamente due casi di metastasi cutanee da ADK polmonare, ciò che rende l’idea della eventuale estrema rarità di tale tipo di localizzazioni secondarie da ADK polmonare.

Uno specialista dermatologo consultato all’occorrenza, peraltro, non prospettava l’esistenza di una forma primitiva tumorale cutanea in antitesi alla presunta diagnosi di localizzazione secondaria.

L’ipotizzata recidiva cutanea appariva, peraltro, poco o affatto sensibile al

trattamento chemioterapico classico standard, utilizzato per gli ADK polmonari, nel frattempo intrapreso, con nessun tipo di miglioramento clinico evidente delle parti affette del capo, e, quindi, con nessun evidente impatto positiva sulla storia clinica della malattia cutanea che, non solo non regrediva, ma in breve tempo appariva ancora più ampia ed invasiva, estendendosi ulteriormente in aree cutanee del volto e perfino della cute del capo.

Una biopsia cutanea di taluna delle lesioni evidenziate nella regione del capo coinvolta indicava semplicemente la presenza di un carcinoma di ndd.

Indicazioni dettagliate circa la presenza e la natura di eventuali metastasi cutanee legate a specifiche neoplasie in atto o in follow up si possono ricavare da un articolo dal titolo ”Skin metastasis”, tratte dal sito web dermnetnz.org, ultimo aggiornamento 21.06.2012, e da un altro contributo scientifico dal titolo “Clinicopathologic Correlation of Cutaneous Metastases: Experience From a Cancer Center” di Dinesh Sariya e al., Arch Dermatol. 2007;143(5):613-620.

Le MTS cutanee, in base ai dati della letteratura specifica del settore, derivano principalmente da:

melanomi maligni, livelli di Clark IV e V (32,3 %); carcinomi del polmone (11,8 %); ADK della mammella (2,4 %); tumori testa – collo delle vie respiratorie; tiroide; esofago, stomaco, colon retto, fegato e vie biliari, pancreas; cancro del rene, vescica ovaio ed endometrio; rarissime, cancro della prostata e cancro del collo dell’utero.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

749 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

Anche i linfomi NH a cellule B, come la granulomatosi linfomatoide

possono dare luogo a localizzazioni nodulari primitive cutanee, in modo classico, escludendo le forme primitive di linfomi cutanei a T cellule, i più numerosi in assoluto, micosi fungoide e Sindrome di Sezary, ben noti.

Le MTS cutanee colpiscono principalmente la 6 – 7^ decade di vita. Si tratta in genere, salvo forme di presentazione rara di noduli metastatici,

ossia noduli dermici o sottocutanei, singoli o multipli di diametro compreso fra cm 0,5 e cm 3,00, parenchimatosi o duro – lignei, mobili o fissi sui piani sottostanti, coperti da cute di aspetto normale o infiammato o anche ulcerato.

L’aspetto a corazza o scirroso è tipico del cancro scirroso mammario. Esiste anche un aspetto come da “eresipola carcinomatosa”, con cute

rossa calda e dolente, a limiti ben netti, più o meno estesa, che si diffonde assai lentamente, come da invasione linfangitica, per cancro della mammella, pancreas, retto, polmone, ovaio e parotide.

Ma nella fattispecie, in apparenza, non sembra che si sia verificato nulla di

tutto ciò, perché, in base alle caratteristiche macroscopiche e, visti gli aspetti salienti della lesione cutanea e la velocità impressionante della sua diffusione è, piuttosto, lecito invece parlare di una forma piuttosto frequente primitiva, quale è l’epitelioma basocellulare cosiddetto “piano cicatriziale” dagli autori italiani, apparendo inoltre l’ipotesi di metastasi a distanza di pregresso tumore primitivo polmonare poco plausibile in virtù del lungo lasso di tempo, circa 8 anni, intercorso fra il trattamento del tumore primitivo e la comparsa delle lesioni cutanee. Si trattava, invece, nella fattispecie, con ogni probabilità, stando all’aspetto abbastanza tipico della lesione cutanea, di una delle più frequenti modalità di presentazione degli epiteliomi cutanei basocellulari.

Da notare che, in effetti, come riferito, l’istologo aveva formulato diagnosi, rispetto al tessuto cutaneo sottoposto a biopsia, della lesione del capo, di “carcinoma di ndd”, senza aggiungere altro e che il paziente era stato trattato anche con radioterapia, ma con scarsi risultati.

Da ultimo è bene notare che non si conosce il destino terapeutico finale del paziente, una volta dimesso dall’ospedale dove era stato ricoverato.

Aspetti molto interessanti sui tumori cutanei sono ricavabili da qualche articolo come quello dal titolo “Epitelioma basocellulare”, tratto dal sito web www.lapelle.it, a cura dei dott. Pascarella A.; Pisacane D.; D’Auria M. e Prof. Rossi A., II° Università di Napoli, ultimo aggiornamento 15.05.2012, ovvero da altri contributi scientifici come quello dal titolo “Basal Cell Carcinoma” di Robert S Bader e al., tratto dal sito web emedicine.medscape.com, ultimo aggiornamento 13.02.2012, ovvero come quello dal

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

750 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

titolo ancora di “Basal cell carcinoma” di C S M Wong e al., BMJ. 2003 October 4; 327(7418): 794–798.

Gli epiteliomi basocellulari, diversamente da quelli squamocellulari,

insorgono da cute sana e non già da precancerosi o discheratosi. Si tratta di formazioni reputate di tipo nevico anche se con caratterizzazione

maligna sotto il profilo istopatologico. Hanno, di solito, un lento accrescimento nel corso dei mesi o degli anni,

anche se le dimensioni possono variare da alcuni mm a molti cm. Si caratterizzano per la presenza di molte varietà cliniche, talvolta

diversamente raccolte. La sede più comune dei basaliomi è il viso, ovvero l’estremità cefalica. Per gli autori anglosassoni si distinguono le seguenti forme:

basalioma nodulare classico, piccolo, lucido, con o senza ulcerazione

centrale, con tipico orsetto perlato, talvolta sanguinante e con scarsa tendenza alla guarigione; i sottotipi comprendono:

a. ulcus rodens, varietà del nodulare, ulcerato, sanguinante e terebrante, con

grande predisposizione alla verticalizzazione nei tessuti profondi sottocutanei, talvolta fino al cervello;

b. basalioma cistico, sempre nell’ambito della varietà nodulare, sottotipo che si caratterizza per l’aspetto cistico e molle, a contenuto gelatinoso;

c. micronodulare e microcistico, basalioma nodulare ancora con tendenza all’approfondimento verso i piani sottostanti;

basalioma superficiale, spesso multiplo, presente, talvolta al tronco

superiore o alle spalle, spesso multiplo, con tendenza a formare placche irregolari squamose e rosse, facilmente sanguinante o ulcerato, anche noto, per gli AA anglosassoni, come basalioma sclerodermiforme;

basalioma morfeiforme, di solito localizzato nelle sedi mediane del volto,

dello stesso colore della pelle, simile ad una cicatrice, di aspetto simile alla cera, lievemente sottominato, con tendenza alla recidiva dopo asportazione chirurgica, capace di coinvolgere i nervi cutanei, con un infiltrato perineurale;

basalioma pigmentato, che può essere di tipo nodulare o superficiale e

può somigliare ad un melanoma maligno, onde la diagnosi differenziale rispetto allo stesso;

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

751 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

basalioma basosquamocellulare, costituito da una mescolanza di cellule

basali e di cellule malpighiane squamose, potenzialmente più aggressivo rispetto alle altre forme di epitelioma basocellulare.

Il basalioma è in assoluto la forma più diffusa di neoplasia maligna, con una

incidenza di 900 mila nuovi casi in 1 anno negli USA e un rischio di ammalare nel corso della vita nella popolazione bianca pari a 33 – 39 % per gli uomini e 23 – 28 % nelle donne.

Il basalioma raramente metastatizza. Nei rari casi in cui ciò accada le sedi più frequenti sono, nell’ordine, i linfonodi, i polmoni e le ossa.

Esiste una maggiore predisposizione nei soggetti di carnagione chiara. Si tratta, per lo più, sotto il profilo della storia naturale, di una lesione con

una tendenza ad allargarsi lentamente senza mai guarire e con la predisposizione al facile sanguinamento in caso di trauma.

Spesso, nell’anamnesi, si può trovare una storia di esposizione solare, onde la sede tipica del volto, ovvero delle zone fotoesposte.

Il tipo nodulare è il più frequente, trattandosi, in genere, di un nodulo perlaceo, ovvero di papule color carne con delle teleangectasie.

La stragrande maggioranza degli stessi si osserva sul viso, ovvero anche sul tronco e sulle estremità.

Il tipo cistico rappresenta una variante non comune del nodulare, spesso indistinguibile dal nodulare, tipicamente di colorito grigio bluastro, il cui centro contiene mucina chiara che ha una consistenza gelatinosa.

A sua volta anche il pigmentato rappresenta una variante non comune del basalioma nodulare, in cui si possono osservare teleangectasie e perle cornee nel contorno.

Peraltro il basalioma nodulare e/o cistico, può apparire ulcerato e con superficie saniosa e anche con presenza di un essudato puruloide, al punto da creare confusione diagnostica con un semplice foruncolo, trattato, spesso incongruamente con pomate antibiotiche locali, ovviamente senza mai ottenere la guarigione, se non viene trattato chirurgicamente, anche se la terapia migliore a fini estetici è con azoto liquido, ossia mediante la crioterapia.

Il basalioma morfeiforme si caratterizza altrettanto come una variante non

comune di basalioma maligno, la cui peculiarità istologica è data dal fatto che le cellule epiteliali maligne stimolano la produzione di fibroblasti all’interno del derma, con aumentata produzione di collagene, onde la sclerosi conseguente e la somiglianza con una cicatrice.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

752 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

Poiché il tumore si infiltra negli spazi sottili fra le fibre collagene, il trattamento radicale della lesione è difficile e i margini clinici della stessa lesione sono difficilmente distinguibili, se non al microscopio.

Per questo il trattamento di scelta in questi casi è dato dalla tecnica micrografica di Mohs, che consiste nell’asportazione di successive “losanghe” di tessuto da analizzare istologicamente fino al riscontro di margini completamente liberi, onde assicurare la reale radicalità dell’intervento chirurgico stesso.

Il basalioma superficiale è spesso dato da una placca, tipo lupus

eritematoso discoide, spesso con una tonalità biancastra. Di tanto in tanto piccole escoriazioni fanno la comparsa all’interno della placca. Il tumore appare multicentrico, con aree interposte di cute clinicamente normale che si trova fra aree clinicamente compromesse.

Sotto il profilo istologico i basaliomi si caratterizzano per la presenza di cellule grandi, uniformi, ovali, in genere ben differenziate, con nucleo prominente e piccolo citoplasma. I nuclei pertanto assomigliano a quelli delle cellule basali dell’epidermide avendo, però, un più alto rapporto nucleo / citoplasmatico e assenza di ponti intercellulari.

Istologicamente il basalioma si può distinguere in due categorie: forme indifferenziate e forme differenziate.

Fra le varianti cliniche e istologiche, va considerato che il basalioma infiltrante o terebrante, è costituito da cellule basalioidi che si infiltrano fra i fasci collageni, mentre, come detto, il morfeiforme e lo sclerodermiforme sono costituiti da cellule basalioidi che conducono alla formazione adiacente di uno stroma fibroso e denso.

Il basalioma superficiale è invece costituito da gemme di cellule basofile che aggettano all’interno del derma papillare e reticolare e di tanto in tanto diventano superficiali, restando, comunque, legate all’epidermide.

La terapia dei basaliomi è chirurgica anche se è possibile utilizzare altri presidi terapeutici.

Per i piccoli basaliomi può essere utile una pomata al 5 Fluoro uracile, 5 FU, oppure la crioterapia con azoto liquido, con migliore risultato estetico rispetto alla diatermocoagulazione.

L’interferon alfa 2b a dosi di 1,5 milioni di UI intralesionale, 3 volte a settimana può essere utilizzato in alcune forme di basalioma primario superficiale.

Talvolta anche la radioterapia trova applicazione in casi selezionati. Le forme più difficili da trattare sono, indubbiamente, il basalioma

infiltrante – terebrante, il morfeiforme e lo sclerodermiforme, necessitando, le forme ricorrenti, per lo più della microchirurgia di Mohs.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

753 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

Gli epiteliomi basocellulari a maggior rischio di recidiva sono da ritenersi, nell’ordine sempre:

infiltrante – terebrante, il morfeiforme lo sclerodermiforme la forma micronodulare il superficiale multicentrico.

Altri fattori in grado di condizionare una più alta percentuale di ricadute sono da

ritenersi:

recidive di precedenti basaliomi già asportati; tumori di grosse dimensioni, > cm 2,00; tumori tendenti a infiltrare profondamente, come le forme evolute dei

superficiali con la tendenza alla verticalizzazione.

Particolare è il basalioma superficiale (di tipo pagetoide), che appare come una chiazza eritematosa, simile a una dermatite eczematosa o ad una psoriasi guttata, difficile da distinguere dalla malattia di Bowen o carcinoma in situ squamocellulare.

Assai utile ai fini della conoscenza dell’argomento appare anche la trattazione

dettagliata effettuata dall’American Cancer Society in uno specifico articolo dal titolo “Skin Cancer: Basal and Squamous Cell” , Internet, www.cancer.org, ultimo aggiornamento 31.01.2012, ovvero in un altro articolo dello stesso tenore, dal titolo “Skin Cancer: Basal and Squamous Cell Overview”, sempre a cura della stessa istituzione e presente sullo stesso sito di Internet, ultima revisione 25.01.2012.

Gli epiteliomi basocellulari costituiscono circa l’80 % dei tumori della cute, non

melanomi, e hanno una maggiore incidenza in soggetti di età compresa fra i 40 – 60 anni di età con una particolare predilezione per le regioni della testa e del collo.

L’incidenza è molto alta, da 150 casi a 300 casi / 100 mila abitanti per anno, per talune statistiche, oltre 500 fino a 1000, secondo altre, a seconda delle zone geografiche e dell’esposizione al sole.

La sede più colpita sono i 2 / 3 superiori della faccia La sua comparsa è subdola, insidiosa, indolore, sotto forma di ulcerazioni o di

noduli, prediligendo gli uomini bianchi e anziani. Sotto il profilo della storia clinica naturale, gli epiteliomi cutanei basocellulari si

possono distinguere in 4 sottotipi clinico – patologici, ognuno avente un comportamento biologico ben distinto:

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

754 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

basaliomi indifferenziati; basaliomi nodulari o nodulo – ulcerativi; più del 60 % dei basaliomi

appartengono a questo sottotipo; queste lesioni appaiono ben circoscritte, con aspetto cupoliforme, con presenza di noduli perlacei, con o senza ulcerazione;

basaliomi superficiali; questo sottotipo è caratterizzato da una chiazza squamosa e rossa che assomiglia ad una dermatite cronica come quelle che si vedono nelle estremità; questi tumori hanno una tendenza alla diffusione superficiale che può comportare il coinvolgimento di una grande area di superficie; anche se l’apparenza dello strato istologico deporrebbe per una distribuzione apparente multifocale, la ricostruzione 3D dimostra l’esistenza di una interconnessione fra le isole neoplastiche;

basaliomi di tipo morfeiforme o sclerodermiforme; queste forme rappresentano circa il 10 % della totalità delle lesioni basaliomatose esistenti; il tumore ha un carattere di tipo profondamente infiltrativi, estendendosi oltre il limite dell’aspetto clinico delle lesioni medesime; questa prerogativa accresce, ovviamente, le potenzialità di ripresa locale della malattia relativa al basalioma sclerodermiforme e morfeiforme;

basaliomi micronodulari; si tratta, per lo più, di lesioni di tipo indurativo a placca con contorni scarsamente demarcati; appaiono gravati da alta probabilità di ricaduta locale e hanno un comportamento biologico e clinico aggressivo;

altre varietà di basalioma, fra cui le forme rapidamente aggressive, le infiltrative – terebranti le metatipiche, oltre alle forme differenziate, cheratosiche, infundibolocistiche, follicolari e pleomorfe.

Esiste una stadiazione TNM degli epiteliomi basocellulari che comprende:

TX: il tumore primitivo non può essere stimato; T0: Nessuna evidenza di tumore primario; T1: Tumore pari o < cm 2,00 nella sua più grande dimensione; T2: Tumore > cm 2,00 ma < cm 5,00 nella sua più grande dimensione; T3: Tumore > cm 5,00 nella sua più grande dimensione; T4: Tumore che invade strutture extradermiche profonde.

Per quanto riguarda i linfonodi regionali la classificazione TNM

comprende:

NX: Linfonodi regionali che non possono essere stimati; N0: nessuna metastasi ai linfonodi regionali;

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

755 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

N1: metastasi ai linfonodi regionali.

Per quanto riguarda la presenza o l’assenza di metastasi la medesima classificazione TNM indica:

MX: non può essere stimata la presenza di metastasi a distanza; M0: assenza di metastasi a distanza; M1: presenza di metastasi a distanza.

L’approccio chirurgico richiede attenzione in base alle diverse dimensioni della

neoplasia. Per le lesioni < cm 2 il margine libero della resezione può anche non superare i

mm 4. Per lesioni > cm 2, come per i grossi basaliomi morfeiformi, il margine libero di

resezione deve essere compreso entro il limite di 1 - 2 cm almeno. La tecnica di microchirurgia di Mohs va riservata alle forme recidivanti, a quello

di dimensioni > cm 2, alle morfeiformi e ai tumori localizzati in sede periorbitale ad alto rischio e regione nasale.

Le probabilità di recidiva appaiono di circa il 30 % in caso di margine chirurgico positivo per cellule neoplastiche, del 12 % circa, per quelli con margine chirurgico vicino alla lesione, di meno del 5 % per i pazienti con asportazione radicale completa a margini ben liberi.

Nelle forme recidivanti la radioterapia è in grado di controllare una quota bassa di tumori cutanei.

Va altresì considerato che non è del tutto facile fare diagnosi di recidiva neoplastica per la presenza di cicatrici post chirurgiche, fibrosi e presenza di innesti cutanei da chirurgia plastica ricostruttiva, essendo indispensabile alla bisogna una diagnosi molto precoce della ricorrenza di malattia.

I basaliomi insorgono dalle cellule dello strato basale o dalle cellule degli annessi pilosebacei.

Nelle forme morfeiformi l’infiltrazione perineurale colpisce il 3 % dei casi totali. Le forme superficiali si presentano, in genere, come una chiazza eritematosa o

come una placca spessa e indurita. La lesione può, come detto, essere squamosa, con aree atrofiche o cicatriziali,

potendosi, per l’aspetto confondersi con gli eczemi cutanei e la psoriasi. Con il progredire dell’infiltrazione cutanea i tumori morfeiformi non manifestano

spesso caratteristiche distintive che li contraddistinguano. Si possono, infatti manifestare come delle cicatrici con confini indistinti. Il tumore, in effetti, si estende oltre i confini della lesione, con ramificazioni e

inseminazioni che si estendono nel tessuto profondo.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

756 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

Una diagnosi accurata delle lesioni sospette richiede una biopsia. La chirurgia si dimostra risolutiva in circa il 90 % dei casi, per una cura radicale

dei basaliomi. Margini ampi di resezione, da cm 2 – 5, assicurano maggiormente la radicalità

dell’intervento chirurgico. Le probabilità di recidiva locale sono maggiori in tumori con diametro > cm

3,00. In caso di margini risultati positivi all’istologia, occorre reintervenire asportando

con cura e verificando ulteriormente i margini di resezione. Le situazioni a maggiore rischio di recidiva comprendono quelle con la presenza

di un fitto cordone infiltrativo, quali quelle che normalmente contornano la lesione con cellule basalioidi a palizzata, quelle con cellule neoplastiche perizonali, le forme ulcerative e quelle con infiltrazione neoplastica.

Le recidive vanno trattate con un margine libero di resezione maggiore. Esistono anche forme di basaliomatosi multipla su base ereditaria autosomica

dominante, quali, ad es., la S. di Gorlin. L’epitelioma basocellulare è un tumore a lento accrescimento che invade e

distrugge i tessuti circostanti. Con la microchirurgia di Mohs le probabilità di recidiva, che, in genere, si verifica

entro 4 – 12 mesi, scadono al 1 %. Le metastasi si verificano nel 0,01 – 0,1 % dei casi. La nomenclatura e la distinzione delle diverse forme neoplastiche degli AA italiani

differisce per la diversa presenza di qualche varietà. In genere gli AA italiani distinguono fra loro i basaliomi in:

nodulari; piano – cicatriziali; ulcerativi, tipo ulcus rodens, o terebranti; pigmentati; sclerodermiformi; superficiali.

In realtà un’entità nosografia a parte sarebbe costituita, per gli autori italiani, dai

basaliomi piano – cicatriziali che vengono definiti come una “chiazza rotonda od ovale che aumenta progressivamente di dimensioni, con aspetto atrofico cicatriziale di colore bianco opaco, in cui l’area cicatriziale a tratti è omogenea e a tratti è interrotta dalla presenza di teleangectasie e di crosticine, con presenza, altresì, alla periferia della chiazza di un orletto perlaceo.

Grosso modo la descrizione corrisponde alla varietà definita sclerodermiforme degli autori anglosassoni, mentre taluno autore italiano considera la varietà

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

757 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

morfeiforme, un’entità a se stante, di dimensioni più ridotte e indurita, simile ad una cicatrice.

Nel caso in specie rappresentato, di presunta metastasi cutanea di pregresso

adenocarcinoma polmonare, la differenza nosografica fra forme piano cicatriziali e tipologie sclerodermiformi, in riferimento all’estesa lesione retroauricolare infiltrante, manifestatasi, con presenza di zone atrofiche e cicatriziali unite a quella di numerose crosticine di contorno, con una impressionante infiltrazione superficiale sottominata in zone relativamente lasse, come le sedi retronucali e, soprattutto del viso e del collo, è di relativa importanza, ai fini diagnostici, in concreto, malgrado che sicuramente verrebbe etichettato come piano cicatriziale, dagli AA italiani e come sclerodermiforme dagli AA di scuola anglosassone, comunque tipizzato come epitelioma primitivo cutaneo.

Gli aspetti rilevanti ai fini diagnostici e anche prognostici sono, invece, da

ritenersi:

la circostanza che non si tratti in alcun modo di metastasi cutanee di alcun genere, sia in base alla storia clinica dell’ADK polmonare datata da oltre 8 anni, sia, soprattutto in relazione alle caratteristiche morfologiche e di sede, manifestate, nell’occorrenza, dalle lesioni, trattandosi, peraltro, nella situazione di metastasi cutanee, di qualsivoglia tipo di tumore, nella stragrande maggioranza di casi di noduli a cute sana o ulcerata o eritematosa, mentre nella fattispecie la lesione molto estesa è assolutamente di tipo atrofico – cicatriziale con sottile e sottominata infiltrazione diffusa della cute circostante e associata presenza di crosticine marginali, assolutamente suggestive per la presenza di un basalioma primitivo esteso piano – cicatriziale o sclerodermiforme;

le dimensioni davvero notevoli, per la verificata estensione superficiale

della neoplasia in esame cutanea, di molto > cm 3 – 5, con una presumibile stadiazione T3, per la lesione primitiva cutanea individuata; si trattava, infatti, in ogni caso, di una neoplasia ad estensione superficiale cutanea, in assenza di linfonodi positivi, non ulcerata comunque, e sicuramente non ancora progredita in senso verticale ad aggredire le strutture profonde sottocutanee e muscolari;

l’apparente incongruo trattamento con terapia di salvataggio di II^ linea

valida per gli ADK polmonari, nell’erronea convinzione che si trattasse davvero di MTS cutanee secondarie alla pregressa neoplasia polmonare patita, in assenza di altre localizzazioni secondarie in organi viscerali, di alcun genere;

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

758 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

il mancato trattamento protocollare con chirurgia escissionale ampia,

secondo la tecnica microchirurgica di Mohs e ricostruzione chirurgica plastica della parte interessata con lembo cutaneo libero, lasciando ampi margini liberi perilesionali, secondo protocollo;

in definitiva, l’apparente aggravio prognostico derivante dal ritardo

diagnostico della lesione neoplastica cutanea, con probabilità accresciute di verticalizzazione della lesione nel tempo, comunque a lento accrescimento, assai orientativamente quantificabile con una perdita netta di probabilità di sopravvivenza a 5 e 10 anni, ovvero globali, nell’ordine di almeno il 35 – 40 %, in base alle specifiche statistiche di sopravvivenza.

Discussione medico legale e conclusioni.

L’approccio medico legale al problema del ritardo diagnostico in oncologia si rivela assai complesso. Le variabili che in ogni caso sembrano incidere in modo determinante su tale ritardo diagnostico e sulle sue conseguenze in termini di aggravio prognostico sembrano essenzialmente essere:

caratteristiche di esordio e generali della storia clinica naturale della neoplasia in atto;

comportamento biologico relativamente alla maggiore o minore aggressività e invasività della forma neoplastica in atto;

criteri di diagnostica clinica e radiologica o strumentale rispetto alla malattia neoplastica in atto;

protocollarità dell’iter diagnostico intrapreso rispetto alla tipologia clinica del caso in esame;

necessità di conoscenze interdisciplinari relativamente all’ambito oncologico;

protocollarità dell’approccio terapeutico rispetto alla forma neoplastica e allo stadio anatomopatologico del tumore verificato;

ricaduta terapeutica del ritardo diagnostico realizzatosi in termini di curabilità nei confronti della malattia neoplastica in atto;

ricaduta prognostica come differenza fra lo stadio in cui la malattia è stata svelata e quella in cui presumibilmente poteva essere effettivamente accertata, in termini di perdita di probabilità di sopravvivenza globale stimata;

maggiore carattere demolitivo e maggiore incidenza terapeutica, quantificabile come maggiori eventuali effetti iatrogeni secondari dovuti

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

759 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

alle terapie mediche e chirurgiche resesi necessarie in occasione della diagnosi reale, rispetto a quella possibile e ipotizzabile;

danno esistenziale per il perdurare e l’esacerbarsi di manifestazioni cliniche evitabili con una diagnosi precoce, andando, invece le stesse nel tempo ad incidere negativamente sulla qualità di vita del paziente in esame.

L’oncologia moderna è una disciplina in continua evoluzione, in cui malattie neoplastiche fino a 15 – 20 anni fa incurabili, oggi si rivelano ancora trattabili anche in stadi localmente avanzati o avanzati, con relativa variazione anche delle prerogative già conosciute della storia naturale di tali patologie, per il conseguimento di inaspettati prolungamenti della sopravvivenza e miglioramenti della qualità di vita dei soggetti affetti, con evidenti notevoli ricadute relative, anche in ambito valutativo medico legale in materia civile, assistenziale e previdenziale.

BIBLIOGRAFIA

1. Cassazione penale, Sezioni Unite,10 luglio 2002, n. 30328, Franzese 2. Cassazione penale , Sezione IV, sentenza 03.10.2007 n° 36162. 3. Cassazione penale, Sezione IV, sentenza del 22 gennaio del 2002, n° 22568. 4. Tribunale Penale di Nola, Sentenza 20 ottobre 2004 - 14 dicembre 2004:

Omicidio per colpa professionale del sanitario. 5. Cassazione penale , sez. IV, sentenza 03.10.2007 n° 36162. 6. Cass. pen. Sez. IV, 25-05-2005, n. 25233. 7. Cassazione penale, sez. IV, sentenza 02.02.2007, n. 4177. 8. Cass. pen. Sez. IV, Sent. 20.09.2007 n. 35115. 9. Linee Guida AIOM, “Mammella 2010”. 10. J. Michaelson e al. - Estimates of Breast Cancer Growth Rate and Sojourn Time

from Screening Database Information - Journal of Women’s Imaging Volume 5, Number 1, 11–19 – 2003.

11. G. P. Andreoletti - I Sarcomi Mammari – Senology Oncology and women’s health – Internet, www.senology.it, stampato dicembre 2011.

12. David V. Feliciano - Cystosarcoma phyllodes tumor - Arch Surg. 2001;136:475-477.

13. B. Carsi e al. - Angiosarcomi – Emedicine.medscape.com - Internet –– ultimo aggiornamento 27 gennaio 2006.

14. Carla Lilaia, Ferro Pereira, Saudade André, Beatriz Cabrita - Breast Angiosarcoma - The Internet Journal of Gynecology and Obstetrics – 2007, Volume 6, Number 2.

15. C. Adem e al. - Primary breast sarcoma: clinicopathologic series from the Mayo Clinic and review of the literature - British Journal of Cancer (2004) 91, 237–241.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

760 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

16. Donald R Lannin e al. - Cystosarcoma Phyllodes - emedicine.medscape.com - Internet, ultimo aggiornamento 12 giugno 2006.

17. Trent II JC 2nd, Benjamin RS, Valero V - Primary soft tissue sarcoma of the breast - Curr Treat Options Oncol. 2001 Apr;2(2):169-76.

18. R. Silvestrini - Diagnostica per immagini - Basi Scientifiche Linee Guida : Documenti : 2.0 DIAGNOSTICA PER IMMAGINI – Ministero della Salute – Internet: www.iss.it – stampato dicembre 2011.

19. Oscar Tamburrini, dal titolo “Il parere del Contro”, da Internet: www.pneumonet.it, stampato dicembre 2011.

20. Lung Adenocarcinoma - 2011. College of American Pathologists – Internet: www.cap.org.

21. Adenocarcinoma of the Lung - Internet: www.intelihealth.com, stampato 2011. 22. Lung Cancer (Adenocarcinoma of the Lung) – Internet:

www.virtualmedicalcentre.com, stampato 2011. 23. Lung, Adenocarcinoma – Internet - www.funakoshi.co.jp (reference.allrefer.com),

stampato 2011. 24. Kawasaki, e al. - Histopathological examination of 14 autopsy cases,

Neuropathology, Volume 22, Number 1, March 2002 , pp. 13-18(6). 25. Spinal Cord Tumors: Management of Intradural Intramedullary Neoplasms, -

Internet – Emedicine - www.medscape.com, ultimo aggiornamento gennaio 2007.

26. S. Covert e al. – Magnetic resonance imaging of intramedullary meningioma of the spinal cord: case report and review of the literature - Can Assoc Radiol J 2003;54(3):177-80.

27. Luo Boning e al. “MRI features of lymphoma in spinal canal” - Biomedical Imaging and Intervention Journal 2007; 3(1):e12-258.

28. Primary CNS Lymphoma - Internet, NCI web – site, www.cancer.gov - primary-CNS-lymphoma – aggiornato 09.01.2011.

29. Tarakad S Ramachandran - Primary CNS lymphoma – Internet: emedicine.medscape.com, aggiornato 26 maggio 2011.

30. A. Boiardi et al. - Linfoma primitivo cerebrale, un tumore curabile. Esperienze di trattamento – 2004, Neurol Sci 25:S581–S584.

31. De Angelis LM, Seiferheld W, Schold e al. - Chemioterapia di combinazione e radioterapia del linfoma di sistema nervoso centrale e primario: Terapia radiante oncologica. J Clin Oncol 2002; 20: 4643 – 8.

32. K di Murray, Kun L Cox J. - Linfoma primario maligno del sistema nervoso centrale. Risultati di trattamento di 11 casi e revisione della letteratura. - J Neurosurg 1986; 65: 600–7.

33. Paola Gaviani, Anna Fiumani e Antonio Silvani - I linfomi primitivi del sistema nervoso centrale: diagnosi e trattamenti - Riv. It. Neurobiologia, 53 (2), 85-92, 2007

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

761 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

34. Primary pancreatic lymphoma : a case report, literature review, and proposal for nomenclature di Salvatore J. R. e al., Medical oncology.”, 2000, vol. 17, no3, pp. 237-247.

35. Saif e Muhammad Wasif - Primary pancreatic lymphomas. - Journal of the Pancreas, Vol. 7 issue 3, 2006.

36. Primary pancreatic lymphoma: Report of six cases. di Hai Lin e al., World J Gastroenterol., 2006 Aug 21;12 (31):5064-7.

37. N. Battula e al. - Primary pancreatic lymphoma: diagnostic and therapeutic dilemma.- Pancreas, 2006 Aug;33(2):192-4.

38. Raffaele Pezzilli e al. - A Case of Primary Pancreatic Lymphoma - JOP. J Pancreas (Online) 2004; 5(2):105-106.

39. Takayuki Masui e al. - MR Imaging of Primary Malignant Lymphoma of the Pancreas - Radiation Medicine: Vol. 23 No. 3, 213–215 p.p., 2005.

40. Michael Bouvet e al. - Primary pancreatic lymphoma. - Surgery Volume 123, Issue 4 , Pages 382-390, April 1998.

41. JR Salvatore e al. - Primary pancreatic lymphoma: a case report, literature review, and proposal for nomenclature - Medical Oncology Volume 17, Number 3 (2000), 237-247.

42. Basu A e al. - Case report, histopathology, isolated primary pancreatic lymphoma, literature review, radiology, treatment - J Can Res Ther 2007;3:236-9.

43. NCI degli USA, www.cancer.gov - Adult soft tissue sarcoma treatment, aggiornato al 16.02.2012.

44. Vinod B Shidham - Benign and Malignant Soft Tissue Tumors -emedicine.medscape.com, aggiornato 29.05.2012.

45. J M Coindre e al. - Prognostic factors in adult patients with locally controlled soft tissue sarcoma. a study of 546 patients from the french federation of cancer centers sarcoma group. - JCO March 1996, vol. 14, no. 3 869-877.

46. P. Greco e al.- La fibrosi retroperitoneale idiopatica - Giornale Italiano di Nefrologia , Anno 21, n. 2, 2004, pp. 132-138

47. Zemira Cannioto e al. - Idiopathic retroperitoneal fibrosis: description of two cases - Internet, www.medicoebambino. com, ultimo aggiornamento 10 marzo 2006.

48. P. Albers (chairman) e al. - Guidelines on Testicular Cancer - European Association of Urology, 2012, Internet www.uroweb.org.

49. Tumori del testicolo - Internet, e-learning.med.unifi.it, ultimo aggiornamento 08/11/2004.

50. NCI - Testicular Cancer Treatment - Internet, www.cancer.gov, ultimo aggiornamento 20.01.2012.

51. Skin metastasis – Internet, dermnetnz.org, ultimo aggiornamento 21.06.2012.

TAGETE - ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

762 TAGETE 4-2012

Year XVIII

ISSN 2035 – 1046

52. Dinesh Sariya e al. - Clinicopathologic Correlation of Cutaneous Metastases: Experience From a Cancer Center - Arch Dermatol. 2007;143(5):613-620.

53. A. Pascarella e al. - Epitelioma basocellulare – Internet, www.lapelle.it, ultimo aggiornamento 15.05.2012.

54. Robert S Bader e al. - Basal Cell Carcinoma – Internet, emedicine.medscape.com, ultimo aggiornamento 13.02.2012.

55. C. S. M. Wong e al. - Basal cell carcinoma – BMJ, 2003, October 4; 327(7418): 794–798.

56. American Cancer Society - Skin Cancer: Basal and Squamous Cell - Internet, www.cancer.org, ultimo aggiornamento 31.01.2012.

57. American Cancer Society - Skin Cancer: Basal and Squamous Cell Overview, Internet, www.cancer.org,, ultima revisione 25.01.2012.