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RIVISTA DELL’ISTITUTO NAZIONALE D’ARCHEOLOGIA E STORIA DELL’ARTE

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RIVISTA

DELL’ISTITUTO NAZIONALE

D’ARCHEOLOGIA

E STORIA DELL’ARTE

DirettoreAdriano La Regina

Comitato di redazioneNicola Bonacasa · Sylvia Diebner · Andrea Emiliani · Francesco Gandolfo

Pier Giovanni Guzzo · Eugenio La Rocca · Giovanna Nepi ScirèBruno Toscano · Fausto Zevi

RedazioneFausto Zevi · Francesco Gandolfo

Segretario di redazioneEnrico Parlato

«Rivista dell’Istituto Nazionale d’Archeologia e Storia dell’Arte» is a Peer to Peer Reviewed Journal.

The eContent is Archived with Clockss and Portico.

RIVISTA

DELL’ISTITUTO NAZIONALE

D’ARCHEOLOGIA

E STORIA DELL’ARTE

64-65ii i serie · anno xxxi i -xxxi i i · 2009 -2010

p i sa · romafabriz io serra editore

mmxiv

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SOMMARIO

Pier Giovanni Guzzo, Sulla corona da Armento 9Alessia Mistretta, Il culto delle acque a Lilibeo: vita e morte di una divinità pagana 37Serena Meniconi, Gli affreschi della piramide Cestia 55Anna Maria Riccomini, Un Antinoo dimenticato: ‘fortuna’ di un busto da Jacopo Strada ad Antonio Canova 85Ilaria Di Francesco, Un caso iconografico nelle Marche: note sulla lunetta della torre gerosolimitana di

Sant’Elpidio a Mare 93Francesco Gandolfo, Una questione mendicante: la chiesa di San Francesco a Castelvecchio Subequo 107Francesca Pomarici, Castelvecchio Subequo, chiesa di San Francesco. Le opzioni iconografiche nei cicli pit-

torici, tra modelli normativi ed esigenze di comunicazione 145Irene Sabatini, Testimonianze di oreficeria sacra abruzzese. La committenza dei Conti da Celano tra xiv e xv

secolo 201Laura Teza, Perugia commissariata. Riflessioni su Vasari, una mancata committenza e la politica delle arti

cittadine 233Sylvia Diebner, Im Spannungsfeld von Architektur und Verwaltung. Bemühungen um ein Gebäude für das

Archäologische Institut des Deutschen Reiches in Valle Giulia in Rom (1924-1942) 259Denise La Monica, Regioni e cultura: il dibattito della Costituente. Gli interventi di Concetto Marchesi e Flo-

restano Di Fausto 433

Vasari e la Rocca Paolina

asari verrà più volte in Umbria ma a Perugia èdocumenta solo una breve sua sosta, effettuata

nel 1566 per consegnare alcune tele da lui dipinte peril monastero benedettino di San Pietro.1 In realtà,per il profilo culturale della città, il rapporto di Gior-gio Vasari con Perugia è stato tanto importantequanto dissimulato e sottovalutato. La forza dellasua capacità di relazione diviene infatti più percepi-bile quando si prende coscienza della molteplicitàdei ruoli da lui giocati nei confronti del contesto cit-tadino: non solo Vasari è il regista occulto della de-corazione della Rocca Paolina, monumento spar-tiacque tra la Perugia medievale e rinascimentale equella moderna, ma, come vedremo, a lui risale lastrategia delle scelte culturali del successivo trenten-nio nonché l’elaborazione della rilettura storico-cri-tica di questi stessi fenomeni.

Tutti gli studiosi che si occupano di Cinquecentoin Umbria e, in particolare di Perugia, siano essi sto-rici, storici dell’arte, letterati, linguisti o storici del-l’economia, sanno benissimo che nel 1540 si chiudeun capitolo nella storia della città e del suo territorioe ne comincia un altro. Si chiude per sempre la tu-multuosa fase in cui Perugia realizzava un difficileequilibrio tra il governo dello Stato della Chiesa, larissosa oligarchia cittadina, e la famiglia dei Baglioni,i Domini dominantium, come li chiama Francesco Ma-turanzio. Nel 1540, in occasione di una ribellione aduna gravosa imposizione fiscale, dopo alterne vicen-de, papa Paolo III Farnese mette fine alla difficile ge-

stione dell’autonomia politica della Perugia del Ri-nascimento, che, secondo un cliché molto coltivatodalla storiografia risorgimentale, tramandava i dirittipiù autentici delle libertà e delle autonomie comu-nali. La conseguenza concreta di questa svolta poli-tica è l’abbattimento di un terzo della città, quello riguardante il colle Landone, il quartiere di rappre-sentanza, che abbracciava le varie insulae baglione-sche, e Santa Maria dei Servi, la grande chiesa sentitacome una propaggine del loro potere familiare, unaSan Lorenzo perugina, adiacente com’era al palazzodi Braccio. Letteralmente affranti sono i resocontidei cronisti perugini che vedono i guastatori, fatti ve-nire dal contado dal giugno del 1540, con i quali «fu-rono distrutti molti sacrati templi, e rovinate centi-naia di case, con danno grandissimo del pubblico ede’ privati».2 Il progetto primitivo di Antonio da San-gallo prevedeva una fortificazione del palazzo diBraccio Baglioni ma poi tale progetto si allargò al-l’erezione di una grande rocca dalle proporzioni smi-surate per il contesto cittadino. L’intenzione del pa-pa non era solo quella di sovrapporre un apparatodifensivo sulle case dei Baglioni, «per torre loro il ni-do» come dirà il cronista Girolamo del Frolliere, o«mediante la quale ci fosse sempre un freno da viverecivilmente» come argomenterà Raffaele Sozi,3 quan-to quella di affermare un principio di sovranità poli-tica. Ma Cesare Crispolti, l’intellettuale di punta del-la città di fine Cinquecento, principe delle varieaccademie, letterarie e musicali ed elaboratore diret-to delle esperienze vasariane, eredita una chiave dilettura molto interessante sulle motivazioni profon-

* Questo contributo è la rielaborazione di un intervento Vasari aPerugia tenutosi all’interno del seminario Topografie vasariane orga-nizzato presso l’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento (Firen-ze, Palazzo Strozzi) il 4 maggio 2012, sotto la direzione di MassimoFerretti.

1 I viaggi documentati di Vasari in Umbria risalgono a 1563 e al

1566. Ma suoi accenni ai dipinti della Basilica di San Francesco ad As-sisi o agli affreschi del Lippi a Spoleto alludono a soste precedenti. Vedi Scarpellini 1977, pp. 628-629, e ora Caleca 2012, pp. 85-87 eGalassi, 2012, pp. 93-95.2 Cfr. Di Frolliere (1851), ii, p. 473 ii, p. 473.3 Cfr. Di Frolliere (1851), ii, p. 473 e Sozi Annali, memorie, cc.

40v-42r.

V

«rivista dell’istituto nazionale d’archeologia e storia dell’arte», 64-65 (iii s., xxxii-xxxiii, 2009-2010), pp. 233-258

PERUGIA COMMISSARIATA.RIFLESSIONI SU VASARI, UNA MANCATA COMMITTENZA

E LA POLITICA DELLE ARTI CITTADINE*

Laura Teza

234 laura teza

de che spinsero il papa a dotare Perugia di una forti-ficazione di così smisurata grandezza. Così scriveCrispolti nella sua Raccolta di cose segnalate, una pre-coce guida di Perugia, databile intorno al 1597: «Pao-lo III di casa Farnese, doppo haver dato fine alla guer-ra del sale, fece dar principio nel 1540 alli 8 disettembre alla detta Fortezza, dov’erano le case de’Baglioni, quali furono scaricate. E mentre si fabrica-va, il papa sette volte venne a Perugia per vederla, insette anni continuati, quasi sempre del mese di set-tembre. Dove l’ultima volta hebbe l’amara nuovadella violenta morte del duca Pier Luigi suo figliolo,quale per una congiura fu amazzato in Piacenza.Onde partì subbito la mattina seguente di Perugia:lasciando ferma, e comune opinione, che se non liavveniva questo infortunio, era concluso di dar que-sta città al nipote Ottavio».4

Il progetto politico di un feudo con capitale Peru-gia cadrà forzatamente con la morte violenta del fi-glio Pier Luigi nel 1547 con il conseguente sposta-mento degli interessi familiari sul ducato di Parma ePiacenza. Va detto che quella che diventò una dellefortificazioni più spettacolari dell’epoca farnesiana(Fig. 1), grazie alla capacità di sfuttare la morfologia

collinare della città di Antonio da Sangallo, fu prati-camente abbattuta, in epoca risorgimentale, a più ri-prese, dagli stessi cittadini che vedevano nella Roccauna «superbissima e inutilissima mole»5 un simbolocristallizzato del potere e della sopraffazione pontifi-cia sulla città.

Una spia significativa dell’interesse che questagrande affermazione farnesiana aveva suscitato inVasari sta nella semplice constatazione che la la Roc-ca Paolina è una delle poche citazioni a comparire findall’edizione torrentiniana.6 L’architetto Antonio daSangallo, ovviamente ben noto a Vasari, aveva radu-nato un gruppo di pittori per decorare gli interni del-la grande fortezza. Sono una pattuglia di artisti con-traddistinti da due connotati di fondo: il primoelemento che li unisce è quello di non essere perugi-ni, spia di un deliberato principio di esclusione delleforze locali dal grande progetto di normalizzazionepolitica della città. Il secondo è di dover tutti qualco-sa, chi più chi meno, a Giorgio Vasari. Così viene rac-contata l’impresa nella lunga Vita che il critico areti-no dedica al suo allievo Cristofano Gherardi: «Fattapoi murare dal medesimo Pontefice in Perugia la cit-tadella, messer Tiberio Crispo, che allora era gover-

4 Vedi Crispolti 2001, p. 131. Lo stesso Cesare Crispolti, nel suoms. C 45 della Biblioteca Augusta di Perugia, c. 31r, corregge la datadell’8 di settembre in «circa il fine di Giugno». Nelle sue Memorie diPerugia, cc. 30r-31r, Crispolti annota puntualmente tutti i soggiornidel papa fatti tra il 1541 e il 1547, specificando il giorno di arrivo equello di partenza. Il progetto della città in signoria al nipote Otta-vio era stato espresso dall’anonimo cronista che scriveva nel marzodel 1541, citato da Grassi Fiorentino 1979-80, p. 305. Questo parere

è ribadito anche da Sozi Annali, Memorie, c. 12r-v. Sull’argomentocfr. De Grazia 1969, pp. 132-135. Sulla Fortezza cfr. Chiacchella1986, pp. 3-60 e La Rocca Paolina di Perugia 1992 che affronta in modointerdisciplinare l’argomento.5 Siepi 1822, ii, p. 631.6 Vasari Antonio da San Gallo, (1550), p. 47. Sul rapporto tra Vasari

e Perugino vedi la revisione critica che ne fa Galassi 2010/2011, pp.89-109.

Fig. 1. G. Rossi, Veduta della Fortezza Paolina, Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria.

riflessioni su vasari, una mancata committenza e la politica delle arti cittadine 235

natore e castellano, nel fare dipignere molte stanzevolle che Cristofano, oltre quello che vi avea lavoratoLattanzio pittore marchigiano insin allora, vi lavo-rasse anch’egli. Onde Cristofano non solo aiutò aldetto Lattanzio, ma fece poi di sua mano la maggiorparte delle cose migliori che sono nelle stanze diquella fortezza dipinte; nella quale lavorò anco Raf-faello dal Colle et Adone Doni d’Ascesi, pittore mol-to pratico e valente, che ha fatto molte cose nella suapatria et in altri luoghi; vi lavorò anco Tommaso delPapacello pittore cortonese. Ma il meglio che fussefra loro e vi acquistasse più lode, fu Cristofano; ondemesso in grazia da Lattanzio del detto Crispo, fu poisempre molto adoperato da lui».7

Oltre a Gherardi, sua «creatura», c’è l’«amicoamorevole», il suo «caro e da ben Raffaello”, cioèRaffaellino del Colle, suo collaboratore a Firenze epoi a Napoli, poi Dono Doni, il suo informatore as-sisano, il cortonese Tommaso Bernabei detto il Pa-pacello, e il marchigiano Lattanzio Pagani.8 L’omo-geneità della pattuglia reclutata è tale da aver fattoipotizzare un’occulta regia vasariana. Si era già nota-to come il pittore aretino avesse avuto «fecondi in-contri con quasi tutti gli artisti intenti nella decora-zione della Rocca, che determinò il trionfo del

gigantismo michelangiolesco, sotto la forma retori-ca ed accademizzante da lui diffusa, sulle stanche tra-dizioni raffaellesche, cresciute sulla radice del peru-ginismo locale”.9 Questa chiave di lettura era statapoi approfondita sottolineando come nel gruppo dipittori prescelto “al di là di una generica adesione alletendenze eclettiche della maniera», esistesse «un comune interesse per la cultura figurativa di tipo michelangiolesco-vasariano. Anzi a considerare glistretti rapporti esistenti sul piano personale, oltrechéstilistico, tra alcuni decoratori della Rocca e il Vasari,si è portati a ipotizzare che proprio al maestro areti-no, entrato in contatto con il cardinal-nepote Ales-sandro Farnese nell’autunno del 1542, sia stato richie-sto un consiglio sui pittori da convocare”.10 Ladecorazione della fortezza dovrebbe situarsi tra laprimavera e l’autunno del 1543, ponendosi così per-fettamente in linea cronologica con il fondamentalecontatto politico.11

In quegli anni il gruppo Rocca Paolina si muoveper l’Umbria in formazioni diverse, da Foligno a Città di Castello, ruotando intorno a committenzelegate tutte a personaggi farnesiani. Il capitano dellemilizie Alessandro Vitelli, soprastante della RoccaPaolina insieme a Pier Luigi Farnese, aveva già

7 Vasari Vita di Cristofano Gherardi, p. 293.8 Ibidem. Siepi 1822, p. 635, ci dà una descrizione accurata della cap-

pella della Rocca con Storie di san Paolo, ispirate naturalmente dalnome del papa regnante, storie da addebitarsi a Raffaellino del Collee Dono Doni.

9 Lunghi 1981, p. 97.10 Mancini 1992, p. 128. Tale opinione sulla regia vasariana era

stata espressa dallo stesso studioso anche in Mancini 1987, pp. 13-22.11 Mancini 1987, p. 16.

Fig. 2. C. Gherardi, Sala degli Dei pagani, Città di Castello, Palazzo Vitelli alla Cannoniera.

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concertato nel decennio precedente (Fig. 2) una de-corazione con lo stesso Gherardi, per gli interni e lafacciata a sgraffito del suo palazzo detto alla Canno-niera a Città di Castello,12mentre, secondo studi re-centi, anche Raffaellino del Colle era entrato in con-tatto con la famiglia Vitelli sin dagli anni venti peropere da farsi nelle chiese tifernati di Santa Mariadelle Grazie e di San Michele arcangelo13 (Fig. 3). Gli

altri del gruppo come Lattanzio Pagani e TommasoBernabei lavoreranno, di lì a qualche anno, adun’opera simbolo della nuova Perugia farnesiana,cioè alla pala di santa Maria del Popolo.

Un altro intervento collettivo del gruppo RoccaPaolina può localizzarsi nel fregio mitologico di unasala di Palazzo Trinci a Foligno, investita dalle ri-strutturazioni farnesiane, cominciate dopo il 1546: viavevo già riconosciuto la mano di Dono, che ora vaintegrata con l’apporto collettivo dei suoi compagni,come ad esempio Lattanzio Pagani probabilmenteguidato da modelli e disegni riconducibili a Cristofa-no Gherardi.14 Un altro inedito lavoro collettivo delgruppo si può identificare nella decorazione ad affre-sco della sala delle lezioni del distrutto palazzo diGuglielmo Pontano, un illustre giurista peruginoche volle raffigurare sulla volta, attorniate da un’in-telaiatura di racemi vegetali, i ritratti delle glorie pe-rugine della giurisprudenza.15

Perché Vasari non si impegnò in prima personanella decorazione della Rocca Paolina svolgendo unmanifesto ruolo di consulenza? In realtà a lui pre -meva la piazza romana e la Rocca era un cantiere importante ma secondario rispetto a quelli della capitale, come ad esempio quello parallelo di CastelSant’Angelo, orchestrato da Perin del Vaga. Lo stes-so Vasari era troppo impegnato a Roma con BindoAltoviti e soprattutto con il cardinal Farnese, per ilquale stava preparando, con un grande sforzo di in-ventiva individuale, l’impegnativa Allegoria della Giu-stizia del Palazzo della Cancelleria (Fig. 4), assegna-tagli il 6 gennaio del 1543.16 In più Vasari avevacominciato a frequentare la bottega romana di Mi-chelangelo su consiglio del quale tornò ad applicarsi“di nuovo e con miglior modo allo studio delle cosedi architettura”.17 Quello di Perugia era insomma

12 Su Gherardi a Città di Castello sono fondamentali gli studi diAvhram Ronen per cui vedi Garibaldi 1987, pp. 40-46, e Teza 1987,pp. 57-83, con bibliografia precedente. Alessandro Vitelli dovette co-noscere Cristofano Gherardi nel suo periodo di stanza a Firenze. Il pit-tore era al suo seguito quando il Vitelli fu posto alla guardia di Firenze,dopo la resa dei Repubblicani il 12 agosto 1530 e, proprio in questa cir-costanza “avendo inteso il signor Alessandro da Battista della Bilia, pit-tore e soldato di Città di Castello, che Cristofano attendeva alla pitturae avuto un bel quadro di sua mano, avea disegnato di mandarlo condetto Battista della Bilia e con un altro Battista similmente da Città diCastello, a lavorare di sgraffito e di pitture un giardino e loggia che aCittà di Castello avea cominciato. Ma essendosi che mentre si muravail giardino morto quello (Battista della Bilia) non se ne fece altro”. VediVasari, Vita di Cristofano Gherardi, p. 286. Dunque, stando al Vasari, ilavori del Gherardi nel palazzo di Alessandro Vitelli slittarono al pe-riodo 1534/5-1537 quando, con il maestro aretino, Antonio da Sangalloe Pierfrancesco da Viterbo, venne per la prima volta nella città umbra,

per riparare “le mura del detto giardino che minacciavano rovina”.Vasari, ibidem. Per una messa a punto della vicenda vedi Borsi 2007.13 Droghini, 2001, pp. 59-60 (per l’Annunciazione a Santa Maria

delle Grazie), e pp. 64-66, per la pala con la Madonna con Bambino ei santi Sebastiano e Michele Arcangelo. Su San Michele vedi Borsi,2008, pp. 7-30 e Borsi 2009, pp. 147-164. Nel 1536 Raffaellino collaborapoi con Vasari agli apparati effimeri per l’entrata di Carlo V a Firenze:cfr. Sapori 1974-75, 1975-76, pp. 187-188. Per un’ampia disanima su Raf-faellino dal Colle, Tommaso Barnabei e Gherardi vedi poi Giannot-ti 2004, pp. 57- 71, con bibliografia precedente.14 Sul ciclo, reso noto da Teza 2001b, pp. 537-564, vedi poi Picchia-

relli 2007, alle pp. 282-287, e Zalabra 2011, p. 80.15 Rossi 1875, pp. 301-302; 307-309.16 Questa tesi è elaborata da Mancini, 1987, p. 19. Vedi poi Il libro

delle ricordanze, (1927), pp. 40-44. Sulla Giustizia vedi Pierguidi, 2007,pp. 576-592.17 Vedi Vasari, Descrizione dell’opere di Giorgio Vasari, pp. 991-992.

Fig. 3. Raffaellino del Colle, Madonna con Bambinoe i santi Michele e Sebastiano, Città di Castello,

Chiesa di San Michele arcangelo.

riflessioni su vasari, una mancata committenza e la politica delle arti cittadine 237

un cantiere che poteva essere pilotato alla lontana egestito dagli intermediari di fiducia del regista.

Nel passo della Vita di Cristofano la responsabilitàorganizzativa sembra essere attribuita da Vasari alcardinal Crispo che, con un tipico corto circuito cro-nologico vasariano, viene indicato come il governa-tore e castellano della Rocca, circostanza che si avve-rò solo qualche anno dopo, dal 1545 al 1548, mentrenegli anni della Rocca Paolina il cardinale dirigeva ilcantiere metropolitano di Castel Sant’Angelo, cosache potrebbe averlo effettivamente messo nelle con-dizioni di essere un ottimo consulente di casa Farne-se, probabilmente affiancato da Vasari che proprionel 1542 muoveva i primi passi in quell’ambiente.

La pala di Santa Maria del Popolo

Anche dietro la tavola manifesto della Perugia farne-siana, la pala di Santa Maria del Popolo, potrebbe leg-gersi, in filigrana, una regia occulta di Giorgio Vasari.Anche qui il critico aretino confonde le date e la con-

secutio degli avvenimenti, tanto da collocare la tavolanel 1543, ponendola immediatamente dopo la RoccaPaolina, mentre la strada e la chiesa che la ospitanofurono fatte costruire dal Crispo solo nel 1547 e l’ope-ra venne stimata solo nel 1549. La grande tavola si im-pone prima di tutto per le sue dimensioni. Gigante-sca, alta più di cinque metri (Fig. 5), è la più grandeopera conservata nella Galleria Nazionale dell’Um-bria, e segna una svolta nella cultura figurativa dellacittà e dell’ambito regionale, eseguita com’è in coo-perativa dal gruppo scelto della Rocca Paolina, cosìcome specificò giustamente Cesare Crispolti nella

Fig. 4. G. Vasari, Allegoria della Giustizia, Napoli,Museo e Gallerie di Capodimonte.

Fig. 5. C. Gherardi, La Madonna del Popolo, Perugia,Galleria Nazionale dell’Umbria.

238 laura teza

sua guida di Perugia del 1597.18 È un vero e propriomanifesto di presentazione della nuova Perugia ed è,insieme al ciclo del Palazzo dei Priori, ora giustamen-te riletto come altra diretta commissione del cardinalCrispo,19 la prima vera testimonianza di quella cultu-ra diversa che impronterà Perugia per un trentennio,fino al 1570 circa. Marabottini l’ha definita «il più antico e caratteristico documento della aggressivapenetrazione nel delicato mondo pittorico (perugi-no) di una cultura figurativa del tutto diversa, estra-nea alla tradizione locale, e capace di disperderla».20La Pala di Santa Maria del Popolo rappresenta l’unicaopera su tavola oggi attribuita concordemente alGherardi21 e ne rappresenta una tappa fondamenta-le. Seppure autore della sola parte superiore della ta-vola, lasciando la fattura affollata e convulsa di quellainferiore ai fratelli Pagani e al Papacello, secondo l’in-dicazione di Cesare Crispolti, doveva essere sentitacome un cambio di passo dalle generazioni degli ar-tisti locali come gli Alfani, Domenico e Orazio, oGiovan Battista Caporali, che ancora si crogiolavanoin nostalgiche tipologie post-peruginesche e post-raffaellesche. Gherardi doveva essere percepito co-me un’emanazione di Vasari, come un esponentedella maniera moderna, di impronta sostanzialmen-te romana, mediata da Raffaellino del Colle, da Peri-no e da Salviati. D’altronde anche la città di Roma erarappresentata in maniera inequivocabile, sintetizza-ta da quell’edificio classico segnato all’indice dai varipersonaggi maschili in basso. Non si trattava di unaveduta dal vero ma di una citazione figurativa di unbrano celeberrimo. Come è stato notato, è una tesse-ra estratta dal paesaggio con Storie di santa Caterinadipinto da Polidoro da Caravaggio sulla parete sini-stra della cappella di Fra Mariano in San Silvestro al

Quirinale (Fig. 6). Il tempio che domina questo pre-cocissimo esempio di pittura autonoma di paesaggio– intorno al 1526 – viene copiato nella grande tavolaperugina nei minimi dettagli, fin nelle figurine da-vanti al pronao, sostituendovi naturalmente lo stem-ma Medici con quelli Farnese e Crispo.22L’autore deldisegno è stato a Roma: i paesaggi di Polidoro nonerano incisi nel 1549 e tornano alla mente quelle pa-role del Vasari nella Vita di Cristofano: «Venuto poil’anno 1543, avendo Giorgio a fare per lo illustrissimocardinal Farnese una tavola a olio per la Cancelleriagrande et un’altra nella chiesa di Santo Agostino perGaleotto da Girone, mandò per Cristofano, il qualeandato ben volentieri, come quello che avea voglia diveder Roma, vi stette molti mesi facendo poco altroche andar veggendo».23Gherardi potrebbe quindi es-sere stato il fedele trascrittore di un frammento dipaesaggio ricomposto nella memoria ad indicare Ro-ma, un dettaglio celebre e precoce captato in quellesue passeggiate romane dedicate all’«andar veggen-do». Un brano di un paesaggio modernissimo cheaveva fatto scalpore, noto a tutti come romano, con-tornato tra l’altro nella pala perugina, e questa sì èuna cosa originale rispetto al suo prototipo, da unmosaico rinforzato di citazioni di monumenti del-l’Urbe, antichi e medievali, chiaramente modellatosul grande paesaggio archeologico che fa da sfondoalla Visione di Costantino nelle Stanze Vaticane. E cosìil pittore ci pone di fronte un concentrato tour visivodi simboli architettonici di Roma che, dalle cupolettedel tempio centrale, differenti dal prototipo romanodi San Silvestro e qui impiegate ad evocare il Panthe-on, comprendono raffigurazioni della piramide Ce-stia, della Torre delle Milizie, di quella che potrebbeessere la Mole Adriana e il relativo ponte24 (Fig. 7).

18 «La tavola dell’altar grande, secondo il Vasari, fu comminciatada Lattantio pittore Marchigiano, che fu bargello di questa nostra cit-tà: e dipinta da Doceno dal Borgo tutta la parte di sopra, ch’in vero èbellissima, e molto da lodare. Dal mezo in giù è dipinta da Tomassoda Cortona, e da Vincentio della Marca padre di detto Lattantio»: cfr.Teza 2001a, p. 41. La lettura delle varie mani della tavola è stata ap-profondita da Zalabra 2011, pp. 78-79. Per una nuova proposta sulruolo di Lattanzio Pagani vedi borsi 2006, pp. 53-80.19 Il ciclo che, sulle orme di un’errata interpretazione di Serafino

Siepi, era stato sempre letto come celebrazione della figura di BraccioFortebracci da Montone, è stato ora compiutamente ricollocatonell’entourage farnesiano (Zalabra 2011 e Zalabra 2012). Sulla fisio-nomia e sulle committenze del cardinal Crispo vedi anche De Roma-nis 1995 e ora Sickel 2006 con bibliografia precedente.20 Marabottini 1996, p. 59. Vedi poi Boco, 2012, pp. 13-18.21 Vasari, Vita di Cristofano, p. 293; Crispolti 2001, p. 133; Orsini

1784, p. 95; Mariotti, 1788, p. 250; Lanzi, 1974, i, p. 158; Mariotti,1806, i, p. 367; Siepi, 1822, ii, pp. 650-651. Il Mariotti e il Siepi si disso-ciano dall’attribuzione al Gherardi riferendo l’intera opera al Pagani.

22 Marabottini 1969, i, p. 146.23 Vasari, Vita di Cristofano, pp. 293-294.24 Marabottini 1981, p. 92, che attribuisce a Lattanzio Pagani

l’esecuzione del paesaggio, allude semplicemente ad «una piramidee altri basamenti». Indica però nella predella dell’altare di Camaldolidel Vasari, anteriore di circa un decennio, e precisamente nello scom-parto con Il miracoloso risveglio di un morto, una possibile altra fonted’ispirazione indiretta al brano perugino. La struttura del monumen-to sulla balza rocciosa sinistra che compare sullo sfondo della Pala delpopolo sembra rimandare all’altro tempio che caratterizza l’altra pa-rete della cappella di Fra Mariano, quella dedicata alle storie di MariaMaddalena, per cui esiste anche un disegno preparatorio a Berlino,Kupferstichkabinett, inv. 20712. Vedi Leone De Castris, 1988, p. 30.Un paesaggio analogo, ricco di citazioni di monumenti reali (tempiodi Minerva nel Foro di Nerva, arco di Noè) liberamente assemblati, èpresente anche nella miniatura di Giulio Clovio con La consegna dellechiavi del Cabinet des Dessins del Musée du Louvre di Parigi su cuivedi Bacou 1972, pp. 156-157, n. 107.

riflessioni su vasari, una mancata committenza e la politica delle arti cittadine 239

Un ambiente denso di rimandi culturali e ideologicitipici della cultura universalistica del pontificato diPaolo III, che poneva la Roma classica al centro dellasua identità di nobile laziale e di successore di Pie-tro.25 Appena eletto Paolo III nominò subito unCommissario alle antichità e mise al centro della suapropaganda politica l’universo figurativo della classi-cità, a sottolineare l’assoluta continuità tra la Romaimperiale e quella papale. In Castel Sant’Angelo, dicui era castellano Tiberio Crispo, fratello uterino di

Pier Luigi Farnese, e responsabile dei lavori nella zo-na settentrionale del castello fino al 1545, si proponeuna continua identificazione tra il papa e l’imperato-re Adriano, grande politico e colto intellettuale chefermò i nemici, restituì ricchezza e sicurezza all’Im-pero, rinnovò lo splendore della Città Eterna ricorda-ta anche qui con le varie vedute dei suoi monumenticome la Meta Romuli, la Naumachia, il Circo di Ca-ligola e di Nerone.26La presentazione di Paolo III co-me conditor urbis che si offre nella Biblioteca di Castel

25 Sulla cultura umanistica, orgogliosamente esibita dal giovaneAlessandro Farnese, che rispose ad Alessandro Cortesi che gli rim-proverava di coltivare troppo la cultura greca a scapito di quella latina«ille ego sum Alexander romanus», vedi Harprath, 1985, pp. 63-85:63 per la citazione. Harprath, 1978, aveva esaminato il ciclo di Perindel Vaga con storie di Alessandro Magno della Sala Paolina di CastelSant’Angelo come ‘vita parallela’ a quella di Paolo III. Per un inqua-dramento su Vasari e la cultura del papato Farnese, i suoi legami con

la classicità e l’uso dei sistemi della mnemotecnica vedi Kliemann,1993, pp. 37-55.26 Sugli affreschi di Castel Sant’Angelo vedi Gaudioso, 1981b, pp.

31-37 e Aliberti Gaudioso 1981, i, pp. 57-60. Su queste vedute più omeno idealizzate di monumenti romani, presenti nella Sala della Biblioteca così come in quella dell’Adrianeo, vedi Mercalli 1998, pp.257-262.

Fig. 6. Polidoro da Caravaggio, Storia di s. Caterina, particolare con il paesaggio,Roma, San Silvestro al Quirinale, cappella di Fra Mariano.

240 laura teza

Sant’Angelo, così come la narrazione dell’espandersidella gloria di Roma a danno delle bellicose popola-zioni etrusche e laziali, fornisce la chiave di letturaper interpretare l’azione dominante e pacificatricedella famiglia Farnese sulle cruente fazioni e sul-l’azione disgregatrice delle oligarchie cittadine dellaTuscia moderna.27Quindi per i perugini che guarda-vano la Pala del Popolo questo panorama concentra-

to di monumenta doveva costituire un vero e propriolocus agens, utile a ricordare ad uno spettatore incoltoo distratto, come quel gruppo di uomini gesticolanti,impegnati nell’indicare con movenze di declamataoratoria la Città Eterna, mostravano simbolicamen-te l’unica via di salvezza per Perugia: «a Roma, a Ro-ma», si potrebbe dire, traslitterando Cecov, o meglio«a Roma e solo a Roma». Così il popolo perugino, acui era intitolata la nuova chiesa di Galeazzo Alessiche custodiva la grande tavola, ritrovava nell’Urbe enel consesso celeste così elegantemente ritratto dalGheradi nella zona superiore, il suo necessario, ora-mai obbligato mondo di riferimento, presentato inun posizione politicamente ribaltata rispetto al tradi-zionale assetto dei gonfaloni che convogliavano laprotezione religiosa superiore sul profilo turrito delsottostante panorama cittadino. Questa riletturamoderna e politicamente ‘capovolta’ degli antichigonfaloni, si plasma sulla struttura dell’ultimo lorogrande esemplare, quello di Berto di Giovanni del1526 (Fig. 8), estremo manifesto dell’identità civicadella Perugia pre-Rocca Paolina:28 ne ripropone ilmodulo iconografico del popolo in basso, separatonei suoi settori maschili e femminili, travolti daun’identica gestualità teatrale che qui però amplifica-va il senso di assoluta condivisione tra le gerarchie ce-lesti e la «terra nostra», come declama il cartiglio sro-tolato da un notabile e posto a cornice di quellostraordinario e pericolante panorama della Perugiatardo Rinascimentale. Nel nuovo gonfalone farnesia-

27 Vedi poi Mercalli 1998, pp. 255-275, in particolare alle pp. 261-264, su Paolo III dominatore delle genti etrusche. Cfr. Canova 2002,pp. 25-39, in particolare alle pp. 27-33, sul parallelo istituito tra la fami-glia Farnese e gli eroi dell’antica Roma. Per una panoramica sulle tematiche compositive che sostanziano le imprese figurative romane

di Paolo III, vedi Firpo-Biferali, 2009, pp. 151-185, in particolare al-le  pp. 151-157 e Picardi 2012. Sul ruolo di Paolo III come nuovo Augusto pacificatore, vedi Liebenwein 1984, pp. 1-32 e Kliemann2001, pp. 287-310. 28 Santi 1976, p. 39, tav. xxi.

Fig. 7. Berto di Giovanni, Gonfalone, Perugia, Duomo.

Fig. 8. C. Gherardi, La Madonna del Popolo, part.,Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria.

riflessioni su vasari, una mancata committenza e la politica delle arti cittadine 241

no invece, ai popolani inginocchiati agli angoli dellascena, i notabili indicavano la sfera celeste della Ver-gine e dei santi protettori ben saldata con l’orizzontegeografico-temporale di Roma, concordemente al-leati nello stabilire, dopo anni di turbolenze e una fa-se di aperta sedizione, la giusta, pacifica strada da se-guire. Nella folla gesticolante si era già sottolineata lapresenza, «non si sa se per scelta o per costrizione» di«molti ritratti di maggiorenti».29 In effetti non eranoesponenti di poco conto i mentori della nuova Peru-gia, ritratti nella pala: cominciamo dal più sicuro. Ac-canto al personaggio in nero che, sulla sinistra, puntal’indice verso il consesso celeste, si vede un giovanericciuto, dal profilo ritagliato e dagli occhi globosi(Fig. 7), fisionomia sovrapponibile a quella ora

giustamente ricondotta a Ottavio Farnese (Fig. 9),protagonista del fregio superstite dell’appartamentodel Palazzo dei Priori, e finora sorprendentementescambiato per Braccio da Montone. Questa insisten-za sulla presenza di Ottavio, celebrato nel fregio co-me nuovo Duca di Castro e mentre riceve da Carlo Vl’onorificenza del Toson d’oro prima della guerrasmalcaldica (Fig. 9), fa tornare alla mente quella lu-cida consapevolezza dei cronisti perugini sulla primi-tiva volontà del papa, poi travolta dagli eventi, di darein signoria Perugia al nipote Ottavio.30

Il grande personaggio avvolto in un mantello rosso che, spalle allo spettatore, gli è accanto (Fig. 7),e si rivolge al popolano inginocchiato, potrebbe iden-tificarsi nel padre di Ottavio, Pier Luigi Farnese, figliodi Paolo III. Quel profilo caratteristico, leggermenteaquilino, la barba lunga, la fronte alta e stempiata,sembrano ricordare le fattezze di Pier Luigi Farnese,così come sono tramandate dal celebre ritratto oraa Capodimonte che ne fece Tiziano31 (Fig. 10). Pier

29 Marabottini 1981, p. 90.30 Vedi supra Zalabra 2011 e 2012, e De Grazia, 1969, pp. 132-135.

31 Il ritratto di Tiziano di Pierluigi come Gonfaloniere della Chie-sa è ora a Capodimonte (inv Q 128). Vedi Utili 2006, pp. 146-147 conbibliografia precedente.

Fig. 10. Tiziano, Ritratto di Pier Luigi Farnese, Napoli,Museo di Capodimonte.

Fig. 9. Lattanzio Pagani, Ottavio Farnese riceve il toson d’oro,Perugia, Palazzo dei Priori.

242 laura teza

Luigi Farnese, duca di Parma e Piacenza dal 1545, fuassassinato in una congiura organizzata da FerranteGonzaga nel 1547 e, stante la collocazione cronologi-ca della tavola al 1548 circa, la sua presenza potrebbeessere allusiva ad un suo ruolo di capostipite della prima dinastia feudale della storia del papato.

Questa parata del gruppo ristretto della famigliaFarnese potrebbe includere il committente stessodell’opera, quel cardinal Tiberio Crispo, figlio di Silvia Ruffini, e il candidato migliore sarebbe proprioquel personaggio in nero che punta l’indice versoil  consesso celeste, così come l’altro accanto ad Ottavio potrebbe identificarsi nel cardinal Alessan-dro, ripetendo l’accoppiata dinastica – Alessandro-Ottavio –, del celebre ritratto di famiglia di Tiziano(Fig. 11), ora a Capodimonte.32 Le fisionomie deipersonaggi, considerate anche le non esaltanti capa-cità ritrattistiche del pittore, sono più generiche e ri-chiedono una valutazione prudente. Ma l’identifica-zione di Ottavio con il personaggio del fregio delPalazzo dei Priori, colto nei momenti salienti della

sua carriera, è indiscutibile e fa presumere una pre-cisa volontà di ritrarre un gruppo di famiglia.

La collocazione cronologica della Madonna delPopolo (1548-49), diretta committenza del cardinallegato Crispo, consente poi di riconsiderare conmaggiore attenzione una lettera che, nel novembredel 1547, il generale degli Olivetani don Ippolito daMilano scrive dal monastero di Perugia al Vasari chein quel momento si trovava a Rimini, a dipingerel’Adorazione dei Magi per il locale insediamentoolivetano della Scolca. Dopo essersi congratulatocon lui per «intendere, le cose della tavola costì tro-varsi in buon termine» aggiunge: «Ho parlato colpadre abbate qui sopra il vostro negotio et l’ho tro-vato benissimo disposto; et mi ha promesso far ognisforzo per satiffarvi. Et domane andarà dal reveren-dissimo legato per tal effetto; et se pur lo trovassecontrario, vi avisarà del tutto, al che si provederacon una lettera del reverendissimo Farnese con lamaggiore facilità del mondo. Et per che sua paterni-tà reverenda vi darà aviso del tutto, et come si have-rà da negotiar questa cosa, me refferirò a lui, et se-condo l’aviso suo vi governarete».33 Non sappiamoche tipo di ‘negotio’ avesse in ballo Vasari tanto dafar parlare l’abate del monastero perugino con il Le-gato dell’Umbria, il cardinal Crispo. Un affare di mi-nor conto, e tutto all’interno del mondo olivetano,poteva considerarsi anche la stima che i due pittori‘vasariani’ Dono Doni e Lattanzio Pagani furonochiamati ad effettuare nel 1547 degli affreschi esegui-ti da Giovan Battista Caporali nel refettorio del mo-nastero perugino di Montemorcino.34 Ma in realtàdoveva trattarsi di un affare farnesiano di peso, tan-to da poter ipotizzare un superiore intervento delcardinal Alessandro casomai il Legato Crispo si fos-se dimostrato insensibile. Va detto che c’era in cor-so, proprio nel gennaio del 1548, una commissionecon un altro monastero olivetano, quello di Classepresso Ravenna, per la decorazione di una tavolacon una Deposizione dalla Croce «in grembo alla no-stra Donna con le Marie et i Niccodemi et dua la-droni rimasti confitti in sulle croci»,35 poi regolar-mente andata in porto. Rivolgersi al cardinal legatoCrispo, figlio di Silvia Ruffini, concubina del papa,voleva dire appellarsi ad un grande esponente del-l’entourage farnesiano ma l’ipotesi che l’abate di Pe-rugia coinvolgesse il Legato dell’Umbria per tratta-

32 Vedi sul ritratto il saggio di Zapperi 1990 e Utili 2006, pp. 150-151, con bibliografia precedente.33 Der literarische Nachlass Giorgio Vasaris, 1923, i, n. cii, pp. 207-208.

34 Gnoli 1923, p. 99 e Mazzi 1992, pp. 151-154.35 Le ricordanze di Giorgio Vasari 1927, p. 59 (15 gennaio 1548).

Fig. 11. Tiziano, Paolo III Farnesecon i nipoti Alessandro e Ottavio, Napoli,

Museo di Capodimonte.

riflessioni su vasari, una mancata committenza e la politica delle arti cittadine 243

re un’importante questione perugina è autorizzatadal fatto che proprio in quel momento si metteva incantiere la Madonna del Popolo, la più grande ope-ra pittorica mobile promossa dall’attivissima com-mittenza del Legato, e poi effettivamente condottadal gruppo vasariano della Rocca Paolina.

Questa stretta tutela della città non finirà con ilpontificato di Paolo III. Alla sua morte, infatti, nel1550, salirà al soglio pontificio Giulio III che, per le-gami parentali, sarà ancora più vicino a Perugia. Lafamiglia Ciocchi Del Monte era imparentata conquella perugina dei Della Corgna avendo Giacoma,sorella del papa, sposato Francesco Della Corgna:nacquero Ascanio, capitano, grande stratega e archi-tetto militare e Fulvio, vescovo e poi cardinale. Subi-to dopo la sua elezione, papa Giulio III, nominòAscanio capitano generale della fanteria e concesseper nove anni il Chiugi perugino e Castiglion del La-go e altre terre, con relativi benefici economici e pri-vilegi giurisdizionali alla sorella Giacoma, che avevaprestato 12.000 scudi d’oro alla Camera apostolica,ponendo le basi per la costituzione di un feudo fami-liare ereditario, il marchesato di Castiglion Del Lago,staccato dalla legazione perugina.36 Su pressione deidella Corgna, la protezione della famiglia papale siestese anche all’intera città di Perugia e culminò conla restituzione delle magistrature cittadine (1553)soppresse con la guerra del Sale del 1540. A celebrarequesta nuova era di ricomposizione politica fu erettauna grande statua bronzea al papa pacificatore, po-sta sul sagrato della cattedrale nel 1555 e commissio-nata ad un giovanissimo Vincenzo Danti, scultoreperugino che solo due anni dopo si trasferirà a Firen-ze, diventando uno degli scultori più rappresentatividella corte medicea.37

Vasari si occupa di Vincenzo, membro di una vi-vacissima famiglia di artisti e intellettuali perugini,nell’edizione giuntina, nella sezione delle Vite dedi-cata agli Accademici del Disegno e lo apostrofa co-me “giovane veramente raro e di bello ingegno Vin-cenzio Danti Perugino, il quale si ha eletto, sotto laprotezzione del duca Cosimo, Fiorenza per patria.Attese costui, essendo giovinetto, all’orefice, e fecein quella professione cose da non credere. E poi, da-tosi a fare di getto, gli bastò l’animo, di venti anni,

gettare di bronzo la statua di papa Giulio Terzo, altaquattro braccia, che sedendo dà la benedizione: laquale statua, che è ragionevolissima, è oggi in sullapiazza di Perugia”.38 La statua (Fig. 12) fatta da unVincenzo giovanissimo insieme al padre Giulio, èuna commissione pubblica ordinatagli dalla città nel1553 con uno stanziamento previsto di 1000 scudi.39La statua “ragionevolissima”, premessa per impresepiù complesse e sofisticate nella Firenze di Cosimo,è il risultato di un apprendistato romano condotto,dice il Pascoli, “in età si può dir puerile a Roma”.40Nella capitale Vincenzo Danti intrattenne rapportifiliali, e quindi di sicura discepolanza, con PanfilioMarchesi, un orafo bresciano che godette i favori del-la famiglia Del Monte.41 Invece la sua felice carriera

36 Su Ascanio vedi Polverini Fosi,1988a, pp. 761-767; su FulvioPolverini Fosi 1988b, pp. 769-772.37 Vedi Summers 1970, pp. 23-25. Anche l’orefice Marchesi godeva

dei favori della famiglia del Monte. Cfr. Mancini 2008, pp. 37-43.38 Vasari, Degl’accademici del Disegno, p. 249.

39 Sulla statua vedi Summers 1970, vol. 1, i, pp. 23-33, vol. 1, ii,pp. 337-351; Santi 1989b, pp. 7-8, 14-16, 35-37, e Fidanza 1996, pp. 26-27, 68-71. 40 Pascoli 1732, pp. 137-13841 Vedi Bertolotti 1881, pp. 309-310, e Bulgari 1966, p. 88.

Fig. 12. V. Danti, Statua di Giulio III (particolare), Perugia,sagrato della cattedrale di San Lorenzo.

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fiorentina, sotto una diretta protezione medicea, fufavorita in ogni modo dal concittadino Sforza Alme-ni, potente e ascoltato coppiere e cameriere segretodel Duca che, prima della sua fine violenta per manodello stesso Cosimo, si prodigò nel proteggere loscultore. E Almeni era un mecenate di importanzafondamentale anche per Vasari che gli allestì, pro-prio nel 1553 la decorazione a sgraffito della facciatadel suo palazzo in Via dei Servi, realizzata per lo piùda Cristofano Gherardi.42

La statua perugina di Giulio III poi era posta in unluogo non casuale, come si è recentemente notato,lungo un asse visivo e ‘politico’ che la poneva a con-fronto con un’altra grande statua papale, quella interracotta di Paolo III, posta sul fronte della RoccaPaolina.43 Un monumento che rappresentava unasumma degli interessi specifici di Giorgio Vasari perlo scultore e i suoi mecenati: con la sua menzione

rende omaggio a Giulio III alla cui famiglia era par-ticolarmente legato – dopo la sua elezione si precipi-ta a cavallo a Roma, come racconta nella sua auto-biografia – e ricompensato con dirette commissioni,esalta Vincenzo Danti che si era formato nella resi-denza papale di villa Giulia ma poi era sbocciato gra-zie ai Medici e a Sforza Almeni di cui lui stesso eraun protetto, e infine approva lo status di una città po-co amata, ricondotta in una familiare orbita farnesia-na e riabilitata da un’altrettanto familiare cerchiamontiana. Dopo la Rocca Paolina e la statua di Giu-lio III Vasari poteva riconciliarsi con Perugia comeuna città finalmente amica, ricomposta nell’obbe-dienza e soggetta ad una sua personale influenza.

Nell’edizione giuntina le citazioni che Vasari fadei suoi colleghi contemporanei attivi a Perugia so-no comunque scarse. Menziona sì, la cappella diAscanio Della Corgna in San Francesco al Prato, ini-ziata nel 1555, un repertorio di grandi collaborazioni:alla base un disegno del Vignola, architetto delmon-tiano che Vasari doveva conoscere bene, ma che noncita, così come trascura gli stucchi di Vincenzo Danti– che forse erano terracotte – mentre sottolinea va-rie opere pittoriche. Segnala Giovan Battista Ingoni,un maestro modenese emulo di Niccolò dell’Abate,che «ha molte cose lavorato in Roma et altrove, maparticolarmente in Perugia, dove ha fatto in SanFrancesco, alla cappella del signor Ascanio della Cor-nia, molte pitture della vita di Santo Andrea Aposto-lo, nelle quali si è portato benissimo».44Ma nella cap-pella Della Corgna infila là, dove non dovrebbe stare,una grande, interessante tavola lignea di Hendrickvan der Broeck, cioè di Arrigo Fiammingo: «A con-correnza del quale Niccolò Arrigo fiamingo, mae-stro di finestre di vetro, ha fatto nel medesimo luogouna tavola a olio, dentrovi la storia de’ Magi, che sa-rebbe assai bella, se non fusse alquanto confusa etroppo carica di colori che s’azuffano insieme e nonla fanno sfuggire» (Fig. 13). Arrigo Fiammingo diMalines, allievo di Franz Floris, cominciò probabil-mente la sua carriera italiana a Firenze come pittoredi vetrate nel 1557-58, proprio in un cantiere, quellodi Palazzo Vecchio, diretto da Vasari.45 Sbaglia il no-me aggiungendo un Niccolò dovuto forse alla pre-senza di un contiguo san Nicola e lo cita in una cap-

42 Cfr. la lettera che Vasari invia a Sforza Almeni il 21 ottobre 1553(Der literarische Nachlass Giorgio Vasaris, 1923, i, pp. 373-379). Sul com-plesso ciclo vedi Davis 1980, pp. 127-202, in particolare alle pp. 140-141per le relazioni dell’Almeni con Galeazzo Alessi, Cristofano Gherardie Vincenzo Danti. Per una lucida messa a punto della situazione Ago-sti 2013, pp. 90-92.

43 Nova pp. 70-73. Vedi poi Mancini 2008, pp. 37-43.44 Vedi vasari, Vita di Benvenuto Garofalo, v, p. 420, Sapori 1982,

pp. 34-35 e Mancini 1987, pp. 122-123, nota 48.45 Sapori 1996, p. 172.

Fig. 13. Arrigo van den Broeck, Adorazione dei Magi, Perugia,Galleria Nazionale dell’Umbria.

riflessioni su vasari, una mancata committenza e la politica delle arti cittadine 245

pella sbagliata: infatti l’Adorazione era in un attiguacappella della chiesa, quella di Adriano Montemelli-ni che nel 1564, commissionò al Fiammingo questodipinto, denso di ricordi romanisti,46 e veneti – Gio-vanni de Mio risulta a Perugia nel 1558.47 È un artistache si andava affermando: nel 1563 aveva stretto unasocietà con Niccolò Circignani e aveva ricevutoun’importante commissione per un altare nel Duo-mo di Orvieto, poi passata al suo socio Circignani. APerugia ottiene l’incarico per il disegno di una vetra-ta nella cappella della Mercanzia in Duomo, una cap-pella che vedremo interesserà da vicino Vasari, e unaffresco con una Crocifissione nella cappella dei Prio-ri, cioè nel sacrario della Perugia politica. Questo to-no severo del Vasari nel censurare una composizionedi stampo nordico per la sua eccessiva densità com-positiva sembra quasi sorgere da un confronto men-tale del pittore con un suo dipinto di identico sogget-to, fatto per i monaci riminesi di Santa Maria dellaScolca (Fig. 14) nel 1547,48 con cui l’Adorazione peru-gina sembra confrontarsi, per quel parapetto in pri-mo piano, su cui, destra per sinistra, sembra poggia-re il re mago, l’orizzonte altissimo gremito fino incima di personaggi, e nella consimile coppia a caval-lo sulla sinistra. Insomma un campionario, come dis-se apertamente il Vasari nella sua autobiografia, checontemplava «un’infinità di figure […] da me con-dotte in quel luogo soletario con molto studio, imi-tando quanto io potei gl’uomini delle corti d’i tre Re,mescolati insieme, ma in modo però che si conosceall’arie de’ volti di che regione e soggetto a qual resia ciascuno; con ciò sia che alcuni hanno le carna-gioni bianche, i secondi bigie et altri nere, oltreché ladiversità delli abiti e varie portature fa vaghezza e di-stinzione».49 L’oculata presentazione delle regolatevarietà espressive e fisiognomiche del corteo vasaria-no, che ruotano disciplinatamente intorno al fulcrovisivo della Vergine, non è affatto rispettata nell’af-follato assembramento multicolore di Arrigo Fiam-mingo che, nel 1568, era faticosamente tollerato.Nelle chiese e nelle composizioni si cercava altro: co-me disse Vasari nella sua autobiografia a proposito diSanta Maria Novella «le cose che non hanno tra loroordine e proporzione non possono eziandio esserebelle interamente»50 e il modello dell’Adorazione va-sariana, riaffermata dal critico come un canone di

appropriatezza, condanna una ricca elaborazionedel tema, troppo squilibrata nella sua preponderantericchezza romanista.

Il censimento delle contemporanee opere perugi-ne, così scarso, riflette l’oggettiva rarefazione degliincarichi e delle committenze scalabili tra il 1550 e il1570. Nei decenni successivi alla Rocca Paolina è benpercepibile una fase di stasi economica e sociale, unaprofonda crisi di identità espressiva, un ingessamen-to delle iniziative culturali e di capacità organizzativadella cultura, con l’Accademia letteraria sospesa dalLegato pontificio per timori di ‘novità’, cioè di som-movimenti politici. Bisognerà aspettare l’ottavo de-cennio, con la fondazione dell’Accademia del Dise-gno, nata sul forte stimolo di quella fiorentina, e ilravvivarsi delle Accademie letterarie e musicali per-

46 Sapori, 1996, pp. 171-175 e Sapori, 1997, pp. 84-85.47 Sgarbi, 1981, pp. 52-61 e Sgarbi 1985, p. 406. Sulla lettura delle

varie influenze nordiche e venete dell’opera vedi Sapori, 1996, p. 174.48 Iniziata nel 9 agosto 1547 secondo l’annotazione che compare

ne Le ricordanze di Giorgio Vasari (1927), p. 58. Sull’opera vedi Corti1989, p. 70.49 Vasari, Descrizione dell’opere di Giorgio Vasari, p. 390.50 Ivi, p. 406.

Fig. 14. G. Vasari, Adorazione dei Magi, Rimini,Santa Maria della Scolca.

246 laura teza

ché si torni, alla fine del secolo, ad una vivacità cul-turale addirittura d’avanguardia.51

Tra i pochi a ricevere committenze di un certo ri-lievo c’è Dono Doni, la fonte orale di Vasari per As-sisi e l’Umbria. Innanzitutto è il pittore «invitato daiPriori perugini a celebrare nella sala del PalazzoPubblico i fasti della nuova alleanza stretta tra la cittàed il pontefice Giulio III», con affreschi che celebra-no nella Sala Rossa la restituzione delle magistratu-re,52 poi si possono enumerare la Natività della Vergine per i calzolai lombardi di Sant’Agostino, l’Im-macolata Concezione e il Giudizio Finale per i Baldeschia San Francesco al Prato, tutte opere ignorate dal Va-sari che menziona solo i perduti affreschi della Cap-pella del Transito nella Basilica di Santa Maria degliAngeli e il Calvario nel refettorio dell’attiguo con-vento.53 Per quel che riguarda Perugia, parlando del-la Rocca Paolina nella Vita del Gherardi, Vasari loaveva presentato pesando letteralmente le parole:«pittore molto pratico e valente, che ha fatto moltecose nella sua patria et in altri luoghi».54Con il pitto-re di Assisi si sdebita così solo prodigandosi in un at-testato di riconoscenza per le informazioni da lui ri-cevute nell’aggiornamento sulla situazione umbra«e lo fanno tenere cortese e liberale la gentilezza ecortesia sua».55 A fronte di tali ringraziamenti, si èpensato che la perduta guida agli affreschi della Basi-lica Superiore di Assisi di Dono potrebbe essere statauna sorta di promemoria redatta per l’amico Vasariproprio in previsione della seconda edizione delle Vi-te, gentilezza ricambiata da un atteggiamento moltotiepido del critico che potrebbe riflettere la profondadivergenza finale nella valutazione dell’importanzadella scuola trecentesca locale.56

Allargando lo sguardo sulle commissioni cittadinedegli anni cinquanta e sessanta si nota una latitanzadelle botteghe locali, e una contemporanea presenzadi forze straniere, come Arrigo Fiammingo e i fratel-li Schepers, o forestiere, ma balza subito agli occhi

che non sono artisti qualunque ma vengono tuttidalla bottega della Rocca Paolina o beneficiano di unimprimatur vasariano.

Seguendo il filo delle citazioni vasariane, si segna-la infatti la presenza di Guillaume de Marcillat, il suomaestro, uno dei nuclei più antichi dei suoi ricordipersonali,57 che non a caso compare sin dalla torren-tiniana per la vetrata della controfacciata della catte-drale, ora sostituita con una primo novecentesca,per poi passare a quella di Dono Doni, dei Danti, ol-tre al Gherardi e bottega e a Galeazzo Alessi alla Roc-ca Paolina.

Vasari non registra le pale degli altari maggioridelle due più importanti confraternite perugine chesi andavano commissionando negli anni ’60, forseper problemi di accessibilità, ma la cultura espressada queste opere non lascia dubbi sulla fedeltà al suogiro d’influenza. Quella di San Francesco è del 1558 eraffigura la scultorea l’Ascensione di Cristo di Leonar-do Cungi (Fig. 15), fratello di quel Giovan Battistache Vasari chiama suo garzone,58 formatosi a contat-to dei diretti seguaci di Michelangelo, copiando inuna serie di disegni il Giudizio Universale della Cap-pella Sistina e noto per un insieme di disegni di fortissima impronta vasariana (Adorazione dei Magidel Louvre) che oscillano tra una paternità sua o disuo fratello, il garzone del Vasari. Alla suggestionemichelangiolesca sembra affiancarsi anche l’atten-zione verso il mondo del tardo Raffaello, sfruttato attraverso la mediazione di Raffellino del Colle,59che avrà tanta fortuna nell’alto Tevere, nella Città di Castello della famiglia Vitelli. Direttamente a lui sirivolgerà nel 1563 la Confraternita perugina di Sant’Agostino per il suo altare maggiore, dove verràposta un’equilibrata Madonna con Bambino con i tresanti delle Confraternite confederate (Francesco,Domenico e Agostino), nostalgica delle partizioniperuginesche e consapevole della moderna rivisita-zione fattane da Gherardi nella sua Pala del Popolo.60

51 Sulle Accademie perugine vedi Irace, 1990, pp. 155-178 e Teza2001a, pp. 13-25, con bibliografia precedente. Sulla rinascita dell’Acca-demia del Disegno vedi Mancini 2011, pp. 61-114.52 Lunghi, 1981, p. 100 per la citazione. Sugli affreschi vedi Man-

cini 1997, pp. 308-309.53 Su tali opere vedi Lunghi 1981, pp. 98-100 e Santi 1989a, pp.

188-190. Vedi poi Vasari, Di diversi, p. 223.54 Vasari, Vita di Cristofano Gherardi, p. 293.55 Vasari, Di diversi, p. 223.56 Vedi Scarpellini, 1977, p. 640. Molte valutazioni espresse nel

perduto libro del Doni si trovano riflesse in un manoscritto di un fratefrancescano, Fra Ludovico da Pietralunga che stese una Descrizionedella Basilica su cui vedi Scarpellini in Ludovico da Pietralunga(1982), per questo argomento alle pp. xii-xiii.

57 Fratini 2007, p. 71 e Virde 2004, pp. 75-87.58 Vasari, Descrizione dell’opere di Giorgio Vasari, p. 377. Cfr. poi

Mancini 1985, p. 370: «Il Milanesi (in Vasari, V, n. 2) suggerì per primola possibilità di individuare in una serie di “carte piene di varj gruppidel Giudizio maestrevolmente disegnati a penna”, conservate nellaGalleria degli Uffizi di Firenze, quegli “eccellenti” studi sulle pitturedella Sistina menzionati dal Vasari». Vedi poi Giannotti 2004, pp. 65,67, con bibliografia precedente.59 Mancini, 1985, p. 370: «Costante stilistica nello svolgimento

pittorico del C(ungi) è l’assunzione di tematiche michelangioleschesaldate ad un linguaggio di ispirazione raffaellesca non lontano daimodi di Perino del Vaga e più ancora di Raffaellino del Colle suo conterraneo».60 Droghini, 2001, pp. 148-149, con bibliografia precedente.

riflessioni su vasari, una mancata committenza e la politica delle arti cittadine 247

Così Sforza di Lionello degli Oddi per la tavola conLa Trinità destinata alla sua cappella di famiglia inSan Francesco al Prato si rivolge nel 1553 al trio dellaRocca Paolina che si muove come una vera e propriasocietà, impegnandosi Lattanzio Pagani nel contrat-to a nome di suo padre Vincenzo e del collega Tom-maso Bernabei detto il Papacello.61

Anche la decorazione della sacrestia del monaste-ro benedettino di San Pietro, realizzata nel 1574 daGirolamo Danti, fratello minore del matematicoIgnazio e dello scultore Vincenzo, suona come unaconferma aggiornata, caricata ed eterodossa, di unaselezione figurativa vasariana, già espressa fin nellasua giovanile Madonna con Bambino, e i santi Giuseppee Claudio, in cui si interpreta Michelangelo con unasofisticata e più classica traduzione monumentaledelle forme, in linea con gli intendimenti del criticoaretino.62

Il caso poi di Orazio Alfani, erede di quella dinas-tia perugina estromessa dalla Rocca Paolina, è para-digmatico. Orazio, tra il 1539 e il 1544, in un quin-quennio politicamente incandescente per Perugia,era impegnato in una lunga trasferta siciliana, traTrapani e Palermo. Il suo rientro nel giro perugino(1545) passa per monastero di San Pietro, fedele al-leato della politica papale in quegli anni cruciali, e siarticola in due commissioni importanti: quattro af-freschi con Storie di san Pietro e san Paolo, per cuiviene affiancato nell’esecuzione da un fedelissimo diGiorgio Vasari, Leonardo Cungi,63 e la Decollazionedi san Giovanni Battista ordinata nel 1552 dal cellelariodel monastero (Fig. 16). La sua invenzione è impac-ciata, fatta di ricordi figurativi già individuati inun’incisione di Marcantonio Raimondi tratta dalMartirio di santa Cecilia di Raffaello, ora al Musée delBeaux Arts di Narbonne. Ma in realtà la compo-sizione di Alfani aderisce totalmente, nel posiziona-mento degli attori principali, a quella di un dipinto dianalogo soggetto di Giorgio Vasari, consegnato nel1553 per l’altar maggiore della chiesa romana di SanGiovanni Decollato (Fig. 17).64

Vasari nelle sue Vite non nomina queste ultimetavole dei suoi colleghi ed amici pittori, probabil-

mente perché, seppure importanti e rappresentati-vi, gli Oratori erano luoghi privati e Vasari, quandopassa a Perugia nel 1566,65 conta i minuti, manife-stando nelle sue lettere a Vincenzio Borghini unagran fretta e poi un vero fastidio nel veder il propriosoggiorno allungarsi per un imprevisto periodo dipiogge. E se, come è stato recentemente sottolinea-

61 Sull’opera vedi Santi, 1989a, pp. 197-198, con bibliografia prece-dente. Sull’opera e la sua collocazione vedi Borgnini 2011, pp. 118-124.62 Vedi Sapori 1981, p. 5 che mette in luce il radicamento del

linguaggio vasariano della Rocca Paolina e l’importanza di altre ope-re perdute eseguite da Girolamo in città. Sulla tela, che viene dallachiesa di San Claudio, vedi anche Bernardini 1991, pp. 42-43.63 La collaborazione di Leonardo Cungi è stata rivelata da Cri-

spolti 2001, pp. 128, e 220-221. Vedi poi Teza, in corso di stampa.

64 Su Orazio vedi Gualdi 2011, e in particolare p. 44. Sul quadrodi Vasari vedi Corti, 1989, p. 80, con bibliografia precedente e, nellospecifico, Mocci, 1996.65 Scarpellini 1977, p. 629, pensa che Vasari sia mosso dalla vo-

lontà di documentarsi sulle cose umbre del Medioevo, con l’intenzio-ne di tracciare un percorso di rinascita dell’arte per merito dei maestritoscani, in particolar modo fiorentini.

Fig. 15. L. Cungi, Ascensione di Cristo, Perugia,Oratorio di San Francesco.

248 laura teza

to, «lo spazio dedicato a un centro artistico è diret-tamente proporzionale non solo alla rilevanza cheesso poteva avere rispetto i criteri di giudizio di Va-sari, ma anche al tempo che Giorgio vi ha trascorso,per lavoro o durante i suoi viaggi»66 il caso di Peru-gia rientra perfettamente nella casistica individuatada questa formula ed esprime come meglio non sipotrebbe l’esibito disinteresse che Vasari manifestanei confronti di Perugia.

Vasari e Perugia.Una grande commissione mancata

Ma in realtà le cose sono più complesse. Esaminia-mo più da vicino la vicenda della sosta perugina diVasari nel 1566. Tappa di un breve ma intensissimoviaggio che Vasari compie nell’Italia centro-setten-trionale, il soggiorno a Perugia era connesso allaconsegna di un’importante commissione benedetti-na ma in realtà sottintende anche un’inedita trattati-va per un affare impegnativo e sorprendente.

Attraverso la mediazione del benedettino donVincenzio Borghini, nel 1566 Vasari riceve l’incaricodi dipingere tre tele da collocare nel refettorio del-l’abbazia perugina di San Pietro. La committenza glideriva dall’abate Giacomo Dei di Firenze, già mona-co alla Badia, e abate a Perugia dal 1564, che commis-siona al pittore tre tele con soggetti, stabiliti dal Bor-ghini (Figg. 18-19-20). Così la racconta, con volutanoncuranza, lo stesso Vasari nelle Vite giuntine: «Miera anche scordato di dire che l’anno innanzi, [1566][…] feci la via di Perugia per mettere a suo luogo tregran tavole, fatte ai monaci Neri di San Piero in quel-la città, per un loro refettorio. In una, cioè quella delmezzo, sono le Nozze di Cana Galilea, nelle quali

66 Caleca 2012, p. 85.

Fig. 17. G. Vasari, Decollazione di San Giovanni Battista,Roma, chiesa di San Giovanni Decollato, per concessione

della Soprintendenza speciale per il Polo Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale

della città di Roma.

Fig. 16. O. Alfani, Decollazione di san Giovanni Battista,Perugia, Monastero di San Pietro, per concessione

della Fondazione per l’Istruzione agraria in Perugia.

riflessioni su vasari, una mancata committenza e la politica delle arti cittadine 249

Cristo fece il miracolo di convertire l’acqua in vino;nella seconda, da man destra, è Eliseo profeta, che fadiventar dolce con la farina l’amarissima olla, i cibidella quale, guasti dalle coloquinte, i suoi Profeti nonpotevano mangiare; e nella terza è S. Benedetto, alquale annunziando un converso, in tempo di gran-dissima carestia e quando apunto mancava da vivereai suoi monaci, che sono arrivati alcuni camelli carichi di farina alla porta, e’ vede che gl’Angeli diDio gli conducevano miracolosamente grandissimaquantità di farina».67

Queste tele, pagate quattrocento scudi, furonoconsegnate personalmente dal Vasari che arrivò aPerugia il 4 aprile del 1566. I dipinti andavano ad im-preziosire un’ambientazione sontuosa: erano desti-nati al refettorio con postergali eseguiti da Giuliano

da Sangallo nel 1487-88, poi fatti a pezzi e bruciati durante l’occupazione francese del monastero.68 Ilcontratto per le tele sembra smarrito ma è conserva-to quello per le grandi cornici lignee, coronate ditimpano, appositamente disegnate da Vasari e ordi-nate al maestro di legname fiorentino Iacopo d’An-tonio, residente a Perugia. Che alla commissione ve-nisse attribuita molta importanza ce lo rivela il fattoche l’abate Dei lasciò passare solo un mese dalla sua elezione – agosto 1564 – per ordinare al legnaiolo‘l’adornamento’, che sappiamo essere stato in legnodi noce e preparato attraverso due disegni del pitto-re, mandati uno all’abate e l’altro al legnaiolo. Pur-troppo le cornici, pagate ben settantasei scudi, sonoperdute e nessuno dei due disegni per l’ornamentoin noce si è conservato ma ne rimane una trascurata

67 Vasari, Descrizione dell’opere di Giorgio Vasari, pp. 404-405. Cfr.poi per un’analisi stilistica e un resonto sui disegni preparatori e bozzetti Barocchi 1964, pp. 62-63 e Corti 1989, pp. 114-115.

68 Cfr. Farnedi 2011, p. 391.

Fig. 19. G. Vasari, Il profeta Eliseo risana i cibi, Perugia,Perugia, San Pietro, per concessione della Fondazione

per l’Istruzione agraria in Perugia.

Fig. 18. G. Vasari, Le nozze di Cana, Perugia,San Pietro, per concessione della Fondazione

per l’Istruzione agraria in Perugia.

250 laura teza

e preziosa testimonianza in un disegno di Vasari – giàpubblicato a suo tempo – che, restituendo lo studioper il dipinto in una fase avanzata della sua ideazio-ne, completo della cornice, testimonia dell’impor-tanza di tali inquadramenti per ambientare prospet-ticamente ed architettonicamente le scene, in questocaso quella delle Nozze di Cana (Fig. 21).69

Ma leggiamo la lettera inviata dal Vasari a donVincenzio il giorno stesso dell’arrivo del pittore edelle tele al monastero: «Le tele sono arivate a sal-vamento sane et si sono scassate et non anno patitodi niente. Et perché loro et io arivammo quasi a unora, trovai ch’elle non erano scassate; ma poco che

io stavo più, non potevano i monaci ne meno loabate aver patientia. Arivato che io fui et apena trat-to gli stivali, si smagliorono et, presente lo abate ettutto il convento, si mostrarono, che anno avuto ainpazzar d’allegrezza et lodassi di voi et di me infi-nitamente; et gli pare che questo passi il refettoriod’Arezzo. Le sono in refettorio, e l’ho provato inquello ornamento, et fan divinamente. Starò oggisolo intorno a farle aconciare a modo mio, et poipartirò per Iscesi [Assisi]: et se potrò vedrò d’esserea Roma sabato sera».70

Una malizia sottile serpeggia nel racconto vivacedi questo grande narratore che tratteggia i contornidi questo ambiente provinciale, un po’ naïf e un po’ingenuamente competitivo, in grado però di ricono-scere il magistero di una vera arte dispensata con li-beralità. A causa delle piogge, Vasari dovrà trattener-si ancora per qualche giorno in questo ricchissimomonastero, il più grande proprietario terriero delterritorio perugino. Ma ne valeva la pena: una com-mittenza di successo a San Pietro voleva dire acqui-stare un ruolo di preminenza nella considerazione enell’economia di mercato della città, come era avve-nuto, sin dal Quattrocento nelle esperienze di Barto-lomeo Caporali, di Pietro di Galeotto, degli Alfani. Equesto sembra riproporsi anche per Vasari, ben con-sapevole di aver mosso, con la consegna delle sue tretele, un altro affare importante. Così scrive in unasua lettera indirizzata da Roma a don Vincenzio Bor-ghini il 14 aprile del 1566, dieci giorni dopo la sostaperugina a San Pietro: «Reverendo Don Vincentiomio, Gli scrissi di Perugia chelle tavole eron condot-te, ne ci bisogniava mancho a polle [porle] su, che ioci fussi stato, io maestro Bernardo et Jacopino. Leson tornate bene afatto; et di già l’abate di Perugiane debbe avere scritto, che invero anno un lume aproposito et riesce meglio chel refettorio della aba-dia d’Arezzo. A fatto miracoli, che o preso a fare perSan Lorenzo di Perugia, chiesa principale, una tavolaper la Mercantia di Perugia, che è già dieci anni chelan voluta dare fino a Titiano, il Salviati et altri mae-stri. Finalmente questa mia opera gli a fatti risolvere,et sarà in tela come questa; et questo è in quantoall’opera di Perugia».71

69 «Tre quadri vacui, pilastri et diversi intagli di più sorte secondoun desegno mandato da mastro Giorgio in mano del Padre Abbate incarta azzurra, et di più che di quello che si contiene in detto disegnoi frontoni quali sono in uno schizzo in mano mia». Vedi Farnedi,2011, pp. 394-395. Il disegno, in collezione privata tedesca, fu reso notoda Riedl, 1963, pp. 14-16. Il disegno mostra leggere varianti rispetto

alla versione finale del quadro ma non sembra potersi identificare inquello consegnato all’abate che era su carta azzurra, dettaglio tecni-co non specificato nell’esame condotto da Riedl.70 Der literarische Nachlass Giorgio Vasaris 1930, p. 226 (4 aprile 1566).71 Der literarische Nachlass Giorgio Vasaris 1930, p. 228 (14 aprile 1566).

Fig. 20. G. Vasari, Il miracolo della mensa di san Benedetto,Perugia, San Pietro, per concessione della Fondazione

per l’Istruzione agraria in Perugia.

riflessioni su vasari, una mancata committenza e la politica delle arti cittadine 251

E seguono altre notizie interessanti su varie operedecorative e di muro che Vasari intendeva fare nelmonastero d’accordo con l’abate, tra cui un’altra telacon San Pietro da mettere nel refettorio. Ma l’infor-mazione del tutto inaspettata è quella relativa alla ta-vola destinata all’altare della Mercanzia nella catte-drale di San Lorenzo di Perugia, notazione del tuttoaccantonata dalla storia degli studi. Anche Karl Frey,nel suo commento all’epistolario, non capisce diquale opera si tratti, e sottolinea come questo inca-rico non venga più ricordato né nelle Ricordanze nénell’autobiografia.72 È lo stesso Vasari, per primo, acomprendere l’importanza della commissione. LaMercanzia è, delle arti maggiori, la più ricca, la piùimportante politicamente: basta dire che all’internodel numero dei dieci Priori, rinnovato ogni bimestre,era l’unica a detenere per sé la partecipazione fissa didue suoi iscritti. Questo riferimento generico ad unatavola, indicata con tra l’altro solo con la sua istitu-zione committente e per di più inserita in una delletante lettere di Vasari all’amico Borghini, ha fattoperdere di vista l’identità di quest’opera, poi famosae ovviamente connessa con il titolare finale della

commissione, e cioè Federico Barocci (Fig. 22). È luiil beneficiario di questa conversione dalla tavola intela operata da Vasari, e anello finale di una catenainsospettata che cominciava con Tiziano, transitavaper Salviati, per finire poi allo stesso maestro aretino,che si sentiva già in pectore il risolutore dell’annosafaccenda: «Finalmente questa mia opera gli ha fattirisolvere, et sarà in tela come questa». Evidentemen-te non basterà tanta sicurezza a risolvere felicementela vicenda a suo vantaggio, con tutto il rispetto perVasari, per fortuna nostra.

Già nell’estate qualcosa era allo studio all’inter-no del circolo amicale di Vasari. L’11 agosto del 1566don Vincenzio Borghini, da Poppiano, scrive a Va-sari a Firenze e dice laconicamente «Della cosa diPerugia haro caro si usi ogni diligentia et di vederecon più d’uno quello che si può fare. Battista e Nigivi potranno ben loro indirizzare per l’appunto. Mache dico io? Come se voi non lo sapessi senza loro!Di nuovo vi dico quanto a quadri, che à me bisognaagio et buio, et qui non ho libri; et fatta la Ma -donna, me ne verrò, et ogni di ci è commodita discrivere».73

72 Cfr. Frey in Der literarische Nachlass Giorgio Vasaris 1930, p. 230:«Weder in den Ricordanze noch in der Autobiographie oder sonst wofindet es sich erwähnt». Kallab 1908, reg. 411, equivoca tale commit-

tenza, sdoppiandola in un quadro per la cattedrale di San Lorenzo ein un altro per il Collegio della Mercanzia.73 Der literarische Nachlass Giorgio Vasaris 1930, p. 269.

Fig. 21. G. Vasari, Le Nozze di Cana, collezione privata (da Riedl 1963).

252 laura teza

Non abbiamo indicazioni sicure su che cosa inten-desse Vincenzio Borghini per la «cosa di Perugia».Due erano le nuove commissioni perugine sortitedalla sosta di Vasari al Monastero di San Pietro: nellamedesima lettera del 14 aprile 1566 in cui informa ilsuo amico del sorprendente incarico per la Mercan-zia, il pittore precisa anche i nuovi lavori ordinatiglidall’abate Dei per il monastero benedettino: «Dellecarezze et amorevolezze del signor abate Don Jaco-po Dei gli sono obligato e gli volevo bene. Ora gliene

vo tanto, che m’ha fatto risolvere, che sopra la portadi drento al refettorio, ch’è spogliata, egli abbia unquadro che orni quella banda; et ci siano risoluti difar Christo che apare agli Apostoli, dove San Piero gliponga inanzi quel pescie arrostito et fiadon di mele:per star nelle storie di Cristo, et dove si tratti di man-giare, et si facci memoria di San Piero. La S.V. vedràil padre abate, che passerà di costì, et intenderà,quanto io gli ho satisfatto, oltre alle picture, di moltiacconcimi da farsi, così di muraglia come d’altro, perquel monasterio: et è tutto tutto vostro.”

Nemmeno questo supplemento di lavoro per imonaci perugini ebbe poi corso e alla fine del secoloun dipinto in cuoio con la Gloria di San Benedetto diBenedetto Bandiera andò a collocarsi nel refettorioal posto di quello vasariano.74 L’abate del monaste-ro, il fiorentino Jacopo Dei, era, come si è visto, mol-to vicino allo Spedalingo ma l’allargamento propo-sto dallo stesso Borghini verso maestranze vasarianescelte, coinvolgenti un aiuto da lui protetto, il pittoreGiovan Battista Naldini, e l’importante legnaiuolofiorentino Dionigi Nigetti,75 potrebbe far pensare adun altare strutturato come quello della Mercanzia, aqualcosa di significativo, che esigeva forze diverse daquelle già messe in campo per le tre tele benedettinedi San Pietro, dove aveva operato Iacopo d’Antonio,maestro di legname fiorentino residente a Perugiapiù volte all’opera per il monastero.76 Una commis-sione impegnativa, il cui studio viene perciò riman-dato all’indomani del rientro del letterato a Firenze,dopo Ferragosto.

I documenti del Collegio della Mercanzia, relati-vamente a questi anni, sono scarsi e la commissioneper l’altare si può seguire con una certa coerenza solocon l’entrata in scena di Barocci, raggiunto nell’au-tunno del 1567 dal capitano della Mercanzia RanieroConsoli che andò personalmente a Urbino «per con-durre Maestro Federigo Barocci pittore per pengerela tavola di detta cappella».77 Nulla emerge di prece-denti rapporti con Tiziano, intavolati come ci diceVasari, da una decina d’anni, così come quelli succes-sivi con Salviati. La proposta di smontare la vecchiacappella quattrocentesca e di ristrutturarla comple-tamente fu formulata per la prima volta dal consoledel Collegio Baglione di Gotifredo Baglioni78 nel-

74 Farnedi 2011, p. 397.75 Su Giovan Battista Naldini vedi Fontana 2012, con bibliografia

precedente e su Dionigi Nigetti vedi Aquino, 2013, con bibliografiaprecedente. 76 Farnedi 2011, pp. 392-395.77 Sulla Deposizione vedi Emiliani 2008, pp. 193-217 e ora Bohn

2012, pp. 90-107, entrambi con bibliografia precedente. Sul recente restauro del dipinto vedi Federico Barocci 2010.78 Perugia, Archivio di Stato (d’ora in poi ASPg), Archivio del no-

bile Collegio della Mercanzia, Adunanze, 186, Liber AdunantiarumMercatorum, 1552 usque 1573, c. 74v.

Fig. 22. F. Barocci, Deposizione dalla croce,Perugia, Cattedrale di San Lorenzo.

riflessioni su vasari, una mancata committenza e la politica delle arti cittadine 253

l’adunanza del 28 gennaio 1557. Non sarà inutile sape-re che Baglione era sposato con Ersilia di Bertoldo Vi-tozzi dei conti di Baschi, «sorella cugina del cardinalTiberio Crispo»79poiché questa stretta vicinanza conesponenti legati al nuovo corso politico di Perugiapotrebbe aver avuto una sua influenza nella propostadi veder rinnovata un’antica, prestigiosa cappella pe-rugina, ancora legata ad un lontano ed inopportunoculto ‘comunale’ come quello di san Bernardino. Diseguito, tra il 1557 e il 1559, i documenti della Mercan-zia ci restituiscono le tappe di una fase interlocutoriain cui ancora si discute dell’ammontare della sommada destinare alla ristrutturazione e alla modalità di re-perimento di quei fondi.80 Con un contratto dell’8novembre 1559 il Collegio dà inizio al programma de-corativo, commissionando a Ludovico81 Scalza il di-segno del nuovo altare a cui lo scultore VincenzoDanti avrebbe poi contribuito con tredici statue. Ilnome dell’artista destinato a dipingere il quadro delricco altare in stucco non viene mai rivelato fino aquando, molto più tardi, nell’adunanza del 2 dicem-bre 1567, si indica Federico Barocci come il prescelto«ad pingendam tabulam dicte capelle».82 In effetti so-lo nell’agosto del 1566, qualche mese dopo la sosta diVasari a San Pietro, si ha un accenno alla ripresa del-l’interesse dei giurati del Collegio per la cappella, li-mitato però alla sola sostituzione dei soprastanti in-caricati a gestire la questione.83 La stessa adunanzadel dicembre del 1567, cosa finora non notata, rappre-senta un’eccezione assoluta nella prassi amministra-tiva del Collegio, essendo convocata unicamente perdeliberare questo improvviso quanto decisivo affida-mento al pittore urbinate. Ma delle discussioni cheportarono a questa felice selezione dell’artista, neiverbali delle precedenti assemblee, non rimane trac-cia. Si può immaginare così che le trattative Tiziano-Salviati-Vasari siano state ugualmente condotte al-l’insegna della più semplice informalità, sicuramenteaffidate a contatti personali dei singoli giurati.

Gli accordi interpersonali tra le parti non sembra-no aver lasciato niente di scritto, e nulla pare esser

stato raccolto nella bibliografia sui due pittori coin-volti prima di Vasari.

Il nome di Tiziano potrebbe essere stato formula-to in seguito ai suoi famosi trascorsi farnesiani manessun contatto con Perugia sembra emergere dauno scandaglio della sua vita personale e artistica diquesti anni, anche se, curiosamente, il suo nome siera intrecciato con quello di Vasari molti anni prima,nel 1537, quando don Miniato Pitti, per favorire l’ami-co all’indomani della crisi seguita all’uccisione diAlessandro de’ Medici, si era dato da fare per procu-rargli la commissione per un’ancona nella chiesa pe-rugina di San Francesco al Prato, opera poi assegnata“a Titiano a Venetia, in tela”, anche questa di così dif-ficile identificazione da far sospettare un fraintendi-mento nell’indicazione della chiesa o della città.84Senz’altro più vicina, in qualche modo, appare lapersonalità di Francesco Salviati, vero alter-ego di Va-sari, e diretto protagonista, sin dalla sua giovinezza,del cantiere pittorico di Palazzo Farnese. Dopo il suoritorno dalla Francia nel 1557, negli anni che più ci interessano, e fino al 1563, anno della sua morte, Cecchino Salviati fu assorbito, secondo Kliemann,dall’esecuzione delle pareti principali del Salotto di-pinto di Palazzo Farnese (1558-1559),85 dal completa-mento della cappella Chigi in Santa Maria del Popo-lo, dai lavori della Sala Regia, fortemente contesi conDaniele da Volterra, e dalla cappella della Madonnanella chiesa di San Marcello al Corso per il vescovoMatteo Griffoni.86 La sua azione si muoveva ancoratutta all’ombra del patronato della famiglia Farnese:sia per la cappella Griffoni che per gli affreschi dellasala Regia la sua candidatura fu avanzata dal cardinalAlessandro, con l’appoggio, nel caso della commis-sione papale, di Vasari e poi di Cosimo I de’ Medici,arrivato nel novembre del 1560 a Roma, tanto che ilpittore ottenne parte della commissione, probabil-mente alla fine del 1561 o anche nel 1562.87 Non sihanno notizie di contatti diretti di Francesco Salviaticon Perugia anche se la sua cultura figurativa sem-bra intersecare molte esperienze locali farnesiane:

79 Perugia, Archivio di San Pietro, E. Agostini, Famiglie perugine,C.M. 202, ms. inizi xix sec., p. 84. Inoltre Baglione Baglioni fu a a capodei Conservatori dell’ecclesiastica obbedienza nel 1549 e nel 1553. VediAgostini, ibidem.80 Ivi, cc. 84r-v (2 agosto 1557), 110r (14 agosto 1559).81 Il contratto fu pubblicato da Rossi, 1874, pp. 234-235. Sull’altare

vedi Santi, 1989b, pp. 50-51 e Fidanza, 1996, pp. 106-107. I pagamentiagli artisti, effettuati molto più tardi, sono riepilogati in Abbozzo2012, pp. 33-53. 82 Cfr. Abbozzo 2012, p. 37.83 ASPg, Archivio del nobile collegio della Mercanzia, 186, cc.

189r, 196v-198r.

84 Vedi Der literarische Nachlass Giorgio Vasaris, 1923, i, pp. 88-89, n.xxxii.85 Kliemann, 2001, p. 305-306. Per una descrizione degli affreschi

vedi kliemann, 1993, pp. 51-55. Per una datazione più precocem al1552, vedi Mortari 1992, pp. 122-123.86 Cfr. Cheney 1963, i, pp. 309-310 e Mortari 1992, p. 91, con bi-

bliografia precedente.87 Cfr. Cheney 1963, pp. 310-311 e Mortari 1992, p. 89, 128-129 per

San Marcello.

254 laura teza

non a caso sono state proposte convincenti desun-zioni da suoi disegni per vasi da pompa destinati allacorte Farnese per i motivi decorativi del già citatofregio dell’appartamento del Legato pontificio nelPalazzo dei Priori di Perugia.88

Vasari non farà la “tela” per la Mercanzia, il cui sog-getto non viene nominato nella sua lettera, suscitan-do l’interrogativo sulla paternità della scelta di unsoggetto come la Deposizione dalla croce che, seppureben spiegabile, così come è stato fatto,89 all’internodella fervida devozione mariana del santo titolare,san Bernardino da Siena, non dovrebbe essere statal’opzione più immediata. La ricerca delle tracce resi-due di queste tre mancate committenze – Tiziano-Salviati-Vasari –, andrà quindi fatta esplorando tra idisegni, gli studi, i bozzetti dedicati ad altri possibilisoggetti, anche all’infuori della Deposizione dalla croce.90

A ben pensarci un’opera del Salviati o del Vasariavrebbe siglato in maniera più tradizionale e più coerente il complesso figurativo della cappella di SanBernardino in cui, dal disegno della vetrata fornitada Arrigo Fiammingo al ciclo scultoreo di stucchi disegnati da Vincenzo Danti, raccoglieva le elabora-zioni di una cultura fiorentina arricchita delle sfuma-ture più varie e aggiornate del Manierismo interna-zionale. Un complesso con coordinate culturalimolto simili verrà riproposto dallo stesso VincenzoDanti, di lì a qualche anno, nel 1574, per una sua im-portante commissione, l’altar maggiore della chiesaperugina di San Fiorenzo, di proprietà di GiovannaBaglioni della Corgna. L’altare, perduto nella ristrut-turazione tardosettecentesca della chiesa, ospitava,non a caso, una tavola descritta per la prima volta neIl Riposo di Raffaello Borghini: «Si mise ultimamentea dipignere, e in San Firenze (sic) alla Cappella dellaSig. Giovanna Baglioni dipinse la tavola entrovi ilCrocifisso in mezo a’ ladroni, e a piè della croce mol-te figure lavorate con buon disegno, e con bell’ordi-ne, opera degna d’esser lodata, se bene non è moltoben colorita, per non esser egli avezzo a maneggiarei colori…».91 La lettura che ne dà il letterato fioren-tino è illuminante, e ci restituisce la fisionomia diuna scelta figurativa tradizionale, orientata in senso

michelangiolesco e vasariano che, nell’altare dellaMercanzia, fu improvvisamente e felicemente so-pravanzata.

La scelta del pittore aretino da parte del più presti-gioso ente di rappresentanza politica e finanziariacittadina segna l’acme e poi, con la sua assenza, la fa-se del definitivo tramonto di quel predominio vasa-riano che, articolandosi in vari linguaggi, si era affer-mato e perpetuato nel corso di un venticinquennio.E questo non solo per la debolezza delle scuole pe-rugine, gli Alfani, i Caporali, ma per il nuovo assettodella geografia politica e artistica dello Stato dellaChiesa di metà Cinquecento. Tramontata l’autono-mia e la consistenza delle scuole locali, si imponevala forza di attrazione che i centri metropolitani comeRoma e Firenze, e le rispettive corti, esercitavanosulle nuove leve di artisti forestieri, della cerchia delVasari o locali come i Danti, che crebbero e si forma-rono proprio in virtù dei nuovi canali di committen-za che anche Vasari aveva coltivato e irrobustito. Maquesta nuova, mancata paternità vasariana diun’opera chiave sottolinea ancor di più il carattere disvolta impresso da Federico Barocci al consolidatorepertorio tosco-romano, portato all’improvvisoverso traguardi inauditi di sperimentalismo e di im-placabile energia creativa. Qualcosa deve essersi in-ceppato nella commissione della “tela” del Vasari ela rodatissima accademia aretina svaporò davvero inun incanto del colore, in una rottura imprevista degliequilibri, favorendo una rivoluzione figurativa fintroppo audace per essere capita, allora, fino in fondo.Ma sta di fatto che dopo il 24 dicembre del 1569, datadella rapidissima consegna della tela del Barocci,complici sicuramente le morti immature dei fratelliDanti, e l’importante presenza di sensibili conoscito-ri come Simonetto Anastagi, che le fonti ci traman-dano molto vicino al Barocci,92 l’impronta vasaria-na, il linguaggio d’importazione dei forestieri si diluìconsiderevolmente per lasciar posto alle nuove par-late locali, finalmente ricomposte, più fluide, più cu-riose, più baroccesche. Il pittore urbinate sembraaver dato l’avvio al cambiamento: maturano i peru-gini93 che in Barocci ritrovano una congiuntura se-ducente e moderna che, come la loro città, viveva di

88 Zalabra, 2011, pp. 74, 82, nota 56 che indirizza a Holman, 1997,pp. 322-332. 89 Bohn, 2012, pp. 90-91.90 Salviati fa una breve visita a Firenze nei primi anni ’60 e dipinge

una Pietà su seta, dipinto perduto, ma dal soggetto per noi molto in-teressante (Cheney 1963, p. 320), così come si segnala la presenza diuna tavoletta che Luisa Mortari giudica tarda, ugualmente con unaPietà, ora alla Galleria Palatina di Firenze, proveniente dalla cappella

di palazzo Ricasoli. Mortari 1992, p. 128, la giudica «di uno degli ul-timi soggiorni fiorentini, e forse da identificarsi con quella stessa Pie-tà lodata dal Vasari compiuta «per messer Jacopo Salviati sopra telad’argento con la Nostra Donna e con le Marie».91 Borghini 1967, i, p. 522.92 Su Simonetto Anastagi vedi Sapori 1983 e Galassi 2011.93 Cfr. Mancini 2010, pp. 11-27.

riflessioni su vasari, una mancata committenza e la politica delle arti cittadine 255

un nuovo, essenziale rapporto con la capitale roma-na rimodellata dai cantieri sistini e gregoriani dovegli artisti dello Stato della Chiesa, marchigiani e um-bri in primis, trovavano il loro spazio vitale di inter-relazione.

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Teza 2001b = Laura Teza, La decorazione di Palazzo Trin-ci nel xv e xvi secolo, in Il Palazzo Trinci di Foligno, a curadi G. Benazzi e F. F. Mancini, Perugia, pp. 537-564.

Teza in corso di stampa = Laura Teza, Orazio Alfani aSan Pietro, «Centoventi Anni di Storia della Fondazioneper l’Istruzione Agraria in Perugia», atti della giornatadi studi, (Perugia, Complesso Monumentale di San Pie-tro, Aula Magna, 23 febbraio 2013), in corso di stampa.

Utili 2006 = Mariella Utili, in Tiziano e il ritratto di cor-te da Raffaello ai Carracci, catalogo della mostra (Napoli,25 marzo-4 giugno 2006), Napoli, pp. 146-147.

Vasari, Antonio da San Gallo = Giorgio Vasari, Antonio daSan Gallo architetto fiorentino, in Le Vite de’ più eccellenti pit-tori scultori e architettori nelle redazioni del 1550 e 1568, (1550),a cura di R. Bettarini e P. Barocchi, v, Firenze, pp. 27-53

Vasari, Degl’accademici del Disegno = Giorgio Vasari,Degl’accademici del Disegno Pittori, Scultori et Architetti edell’opere loro, e prima del Bronzino, in Le Vite de’ più eccel-lenti pittori scultori e architettori nelle redazioni del 1550 e1568, (1568), a cura di R. Bettarini e P. Barocchi, vi, Firen-ze 1987, pp. 231-367.

Vasari, Descrizione dell’opere di Giorgio Vasari,= GiorgioVasari, Descrizione dell’opere di Giorgio Vasari, Pittore eArchitetto Aretino, in Le Vite de’ più eccellenti pittori scultorie architettori nelle redazioni del 1550 e 1568, (1568), a cura diR. Bettarini e P. Barocchi, vi, Firenze 1987, pp. 369-413.

Vasari, Di diversi = Giorgio Vasari, Di diversi in Le Vitede’ più eccellenti pittori scultori e architettori nelle redazionidel 1550 e 1568, (1568), a cura di R. Bettarini e P. Barocchi,vi, Firenze 1987, pp. 220-229.

Vasari, Vita di Benvenuto Garofalo = Giorgio Vasari, Vitadi Benvenuto Garofalo e di Girolamo da Carpi pittori ferraresie d’altri lombardi, in Le Vite de’ più eccellenti pittori scultorie architettori nelle redazioni del 1550 e 1568, (1568), a cura diR. Bettarini e P. Barocchi, v, Firenze 1984, pp. 409-435.

Vasari, Vita di Cristofano Gherardi = Giorgio Vasari, Vi-ta Di Cristofano Gherardi Detto Doceno dal Borgo San Sepol-cro Pittore, in Le Vite de’ più eccellenti pittori scultori e archi-tettori nelle redazioni del 1550 e 1568, (1568), a cura di R.Bettarini e P. Barocchi, v, Firenze 1984, pp. 285-304.

Virde 2004 = Giovanna Virde, Le vetrate dipinte: il casoMarcillat, in Arte in terra d’Arezzo. Il Cinquecento, a cura diL. Fornasari e A. Giannotti, Firenze, pp. 75-87.

Zalabra 2011 = Federica Zalabra, Il ciclo farnesiano delPalazzo dei Priori a Perugia, «Studi di Storia dell’arte», 22,2011, pp. 65-82.

Zalabra 2012 = Federica Zalabra, Le committenze deicardinali Ascanio Parisani e Tiberio Crispo, «Bollettino peri Beni Culturali dell’Umbria», v, 2012, 9, (Quaderno, Numero speciale per i 500 anni di Galeazzo Alessi), pp.175-182.

Zapperi 1990 = Roberto Zapperi, Tiziano, Paolo III e isuoi nipoti: nepotismo e ritratto di stato, Torino.

AbstractThe article considers the role played by Giorgio Vasari indirecting the visual arts politics in Perugia after the SaltWar (1540), when the city lost all forms of political auton-omy within the State of the Church.

The huge painting for the new church of Santa Maria delPopolo is doubtless a manifesto of the new Perugia underthe shield of the Farnese. It is articulated as a large bannerof inverted political sign, with the topographical represen-tation of Rome instead of that of Perugia. Confirming this,in the group of notables under the religious assembly of theVirgin and the patron saints, is here possible to identify theportraits of Pier Luigi and Ottavio Farnese. Vasari was al-ready recognized as the occult director of the lost decora-tion of the Rocca Paolina, the fortification that marked thenew Perugia, but actually he extended his influence forabout three decades, guiding the choice of artists to be in-volved in the main commissions of the city, which are all re-lated to him. Finally, the success of the three paintings givento the Benedictine monastery of San Pietro in Perugia pro-duced the effect, never considered before, of the appoint-ment to Vasari for the canvas for the altar of the chapel ofMercanzia in the Perugian Cathedral. This commission hadbeen ordered to Titian and then to Francesco Salviati tenyears before. But, for unknown reasons, Vasari didn’t carryout the enterprise which was finally accomplished by Fed-erico Barocci with his famous Descent from the Cross.