porro_possibile ex se, necessarium ab alio : tommaso d’aquino e enrico di gand

22
MEDIOEVO RIVISTA DI STORIA DELLA FILOSOFIA MEDIEVALE EDITRICE ANTENORE · PADOVA PASQUALE PORRO « POSSIBILE EX SE, NECESSARIUM AB ALIa »: TOMMASO D'AQUINO E ENRICO DI GAND § I. N elle qq. 7 e 8 del suo primo Quodlibet, disputato nella ses- sione d'avvento del 1276, Enrico di Gand prende apertamente po- sizione contro la possibile eternità di un mondo creato.' Un'indi- cazione marginale del ms. Vat.lat. 853,2 confermata indirettamen- te dal recente ritrovamento dell'Apologia di Egidio Romano.> I. Cfr. Henricus de Gandavo, Quodlibet I, ed. R. Macken, Leuven University Press, Leuven-E.J. Brill, Leiden 1979 [Henrici de Gandavo Opera Omnia, 5), 27- 46. Per una dettagliata presentazione delle due questioni si veda R. Macken, La temporalité de la créature selon Henri de Gand, « Rech, Théol. anc. méd, »,38 (1971), 211-72. Una versione dello stesso articolo era precedentemente apparsa in neer- landese con il titolo: De radicale tijdelijkheid van het schepsel volgens Hendrik van Gent.In aanhangsel: kritische uitgave van Quodl. L q. 7-8,«Tijdschr. Filos. », 31 (1969), 519-71. Dello stesso Macken cfr.anche L J argumentation contre uneétérnité possible du monde chezHenri de Gand,in De doctrina Ioannis Duns Scoti. Acta Congressus Scoti- stici Internationalis Oxonii et Edinburgi 11-17 sept. 1966 celebrati, Collegio S. Bonaventura-Quaracchi, Grottaferrata-Roma 1968, I, 309-23. Attualmente, M.A. Santiago de Carvalho, dell'Università di Coimbra, sta preparando un nuovo stu- dio sul Quodlibet I con particolare riferimento al tema dell' eternità del mondo. 2. Cfr. f. jr, in basso:« Huiusmodi opinio iuvaturper determinationem magi- strorum determinantium articulos 17 um et ultimum secundo datos oppositos pri- mo libro sententiarum fratris Eegidib ». Che quest'ultimo fosse proprio Egidio Romano era già stato dimostrato da Hocedez, a cui non era sfuggito neppure che gli articoli citati non potevano appartenere al sillabo di Tempier, ma ad un' altra lista, di cui all'epoca non si possedeva alcuna notizia, relativa unicamen- te al Commento egidiano al primo libro delle Sentenze. Cfr. E. Hocedez, La con- damnation deGillesdeRome, «Rech. Théol. anc. méd, », 4 (1932),34-58, in parto 42- 44.Basandosi sull' identificazione di un' altra nota marginale dello stesso mano- scritto, relativa in questo caso alla q. 17 del Quodlibet I, San Cristòbal-Sebastiàn aveva invece proposto l'identificazione del «frater E.» con Egidio di Lessines (cfr.A. San Crisrébal-Sebastian, Controversias acerca dela voluntad desde 1270 a 1300. Estudio hist6rico-doctrinal, Editorial y libreria Co. CuI S.A., Madrid 1958,76). La de- bolezza di quest'ultima ipotesi, prima ancora della pubblicazione dell'Apologia egidiana da parte di Wielockx, era stata già denunciata da Macken (La temporali- té, 242-48). 3. Cfr. Aegidii Romani Opera Omnia, 111.1: Apologia, édition et commentaire parR, Wielockx, Olschki, Firenze 1985 (Corpus Philosophorum Medii Aevi- Testi e Studi, 4). Dei 51articoli imputati ad Egidio e pervenutici grazie al ms. Pa- ris, Bibliothèque Nationale, lat. 15848 appartenuto a Goffredo di Fontaines,

Upload: unito

Post on 23-Jan-2023

0 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

MEDIOEVORIVISTA DI STORIA DELLA FILOSOFIA

MEDIEVALE

EDITRICE ANTENORE · PADOVA

PASQUALE PORRO

«POSSIBILE EX SE, NECESSARIUM AB ALIa »:

TOMMASO D'AQUINO E ENRICO DI GAND

§ I. Nelle qq. 7 e 8 del suo primo Quodlibet, disputato nella ses-

sione d'avvento del 1276,Enrico di Gand prende apertamente po-

sizione contro la possibile eternità di un mondo creato.' Un'indi-

cazione marginale del ms.Vat.lat. 853,2 confermata indirettamen-

te dal recente ritrovamento dell'Apologia di Egidio Romano.>

I. Cfr. Henricus de Gandavo, Quodlibet I, ed. R. Macken, Leuven UniversityPress, Leuven-E.J. Brill, Leiden 1979 [Henrici de Gandavo Opera Omnia, 5), 27-

46. Per una dettagliata presentazione delle due questioni si veda R. Macken, Latemporalité de la créature selon Henri deGand,«Rech, Théol. anc. méd, »,38 (1971),211-72. Una versione dello stesso articolo era precedentemente apparsa in neer-

landese con il titolo: De radicale tijdelijkheid van het schepsel volgens Hendrik vanGent.In aanhangsel: kritische uitgave vanQuodl. L q. 7-8,«Tijdschr. Filos. », 31 (1969),519-71. Dello stesso Macken cfr. anche L Jargumentation contre uneétérnité possible dumonde chezHenri deGand,in De doctrina Ioannis DunsScoti.Acta Congressus Scoti-stici Internationalis Oxonii et Edinburgi 11-17 sept. 1966 celebrati, Collegio S.

Bonaventura-Quaracchi, Grottaferrata-Roma 1968, I, 309-23.Attualmente, M.A.

Santiago de Carvalho, dell'Università di Coimbra, sta preparando un nuovo stu-

dio sul Quodlibet I con particolare riferimento al tema dell' eternità del mondo.2. Cfr. f. jr, in basso:« Huiusmodi opinio iuvaturper determinationem magi-

strorum determinantium articulos 17um et ultimum secundo datos oppositos pri-

mo libro sententiarum fratris Eegidib ». Che quest'ultimo fosse proprio Egidio

Romano era già stato dimostrato da Hocedez, a cui non era sfuggito neppure

che gli articoli citati non potevano appartenere al sillabo di Tempier, ma ad

un' altra lista, di cui all' epoca non si possedeva alcuna notizia, relativa unicamen-

te al Commento egidiano al primo libro delle Sentenze. Cfr. E. Hocedez, La con-damnation deGillesdeRome,«Rech. Théol. anc. méd, »,4 (1932),34-58, in parto42-44.Basandosi sull' identificazione di un' altra nota marginale dello stesso mano-scritto, relativa in questo caso alla q. 17 del Quodlibet I, San Cristòbal-Sebastiànaveva invece proposto l'identificazione del «frater E.» con Egidio di Lessines(cfr.A. San Crisrébal-Sebastian, Controversias acerca delavoluntad desde 1270 a 1300.Estudio hist6rico-doctrinal,Editorial y libreria Co. CuI S.A.,Madrid 1958,76).La de-bolezza di quest' ultima ipotesi, prima ancora della pubblicazione dell'Apologiaegidiana da parte di Wielockx, era stata già denunciata da Macken (La temporali-té, 242-48).3. Cfr. Aegidii Romani Opera Omnia, 111.1: Apologia, édition et commentaire

parR, Wielockx, Olschki, Firenze 1985 (Corpus Philosophorum Medii Aevi-

Testi e Studi, 4). Dei 51articoli imputati ad Egidio e pervenutici grazie al ms. Pa-

ris, Bibliothèque Nationale, lat. 15848 appartenuto a Goffredo di Fontaines,

Pasquale Porro

identifica in quest'ultimo (cosi come per la celebre successiva q.

9, dedicata alla distinzione tra essenza ed esistenza) il più imme-

diato destinatario delle osservazioni enrichiane. Tuttavia, l'inter-

vento di Enrico risulta in ovvio contrasto anche con quanto so-

quelli relativi al problema dell' eternità del mondo sono in realtà tre (cfr. le os-

servazioni in proposito diWielockx in Aeg. Rom., Apologia, 139-47). Si tratta, perl'esattezza, degli artt. 30-31 (( Quod "creatura potuit esse aeterna" »; «Item su-pra, quod "non est de ratione motus quod inceperit, potuit enim esse ab aeter-no" », Apologia, 55) e dell'art. 50 (( Deus mundum ab aeterno potuisset facere»,Apologia, 59). Per i primi due, Goffredo ci ha conservato anche la difesa egidiana:«Dicendum quod haereticum est dicere creaturam aliquam fuisse aeternam.Sed quod creatura potuerit esse ab aeterno, non per potentiam quae est in ea, sed

per potentiam quae est in Deo, numquam fuit computatum inter errores, sed in-

ter opiniones » (Apologia, 55). Per Egidio dunque (almeno nel 1277) è eretico por-re l'eternità del mondo, mentre la tesi secondo cui il mondo avrebbe potuto es-sere eterno non per una sua potenza passiva, ma per l' onnipotenza divina, nonrisulta tra quelle incompatibili con la fede. I passi del Commento al I libro delleSentenze da cui gli articoli dovrebbero essere stati tratti sono tuttavia un po' me-no espliciti, dal momento che si tratta per lo più di osservazioni incidentali.L'art. 30 sembra ricavato dalla disto 19,p. I, princ. 2, q. 2, art. I (ed. Venetiis 1521,rist. ano Minerva, Frankfurt a.Main 1968, f. 113 rB): «[ ••• ] quantum ad carentiaminitii, licet creatura potuerit esse aeterna, nulla tamen aeterna est ».L'art. 31è in-vece desunto alla lettera dalla disto 19,p. I, princ. 2, q. 2, art. I (ed. 1521, f. 105vO).L'art. 50, infine, si riferisce probabilmente ad un passaggio della disto 39,princ. I,

q.3 (ed. 1521,f. 206vM): «Nam etsi mundus esset [ms.Paris, Nat.Iat. 15848, f.256-ra: fuisset] aeternus, infinitum tempus transisset. Et quia Deus non solum co-gnoscit quae fecit, sed quae facere potest, cum mundum ab aeterno potuisset fa-cere, ut in secundo patebit, talium cognitionem a Deo negare non possumus »(cfr.anche Apologia, 64).Egidio sembra qui rimandare al Commento al secondo li-bro per una trattazione sistematica sull' argomento. Mentre il Commento al primolibro si colloca tra il 1271 e il 1273 (cfr.Apologia,236-40),l'ordinatio del Commento alsecondo libro è di molto successiva (1290-1309), e risente inevitabilmente deglieventi accaduti nel frattempo. In un passo molto noto, Egidio afferma qui di nonaver mai inteso sostenere né la possibile eternità del mondo né l'impossibilitàassoluta di provarne l'inizio nel tempo, ma solo l'insufficienza delle prove fin

qui addotte (dist. I, p. I, q. 3, art. 3, ed. Venetiis 1581; rist. ano Minerva, Frankfurt1968,II, 70 D-A: « [ ••• ] non tenemus, quod mundus potuerit esse ab aeterno, necquod non possit demonstrari, sed quod rationes ad hoc factae non videntur no-bis esse demonstrationes. Si ergo in hac quaestione aliquando visi sumus dicerequod mundus potuit esse ab aeterno, non tamquam hoc asserentes diximus, sedgratia disputationis hoc assumebamus, ut possemus ostendere rationes contrahoc factas non concludere»). Come è stato fatto notare, l'espressione « in hacquaestione » è piuttosto equivoca, potendosi intendere in riferimento tanto aglialtri luoghi in cui Egidio aveva affrontato il problema, quanto - materialmente -alla stessa quaestio che aveva in quel momento tra le mani. Alla luce dell'Apologia,è tuttavia difficile negare che Egidio abbia in gioventu sostenuto anche e sempli-cemente la possibile eternità del mondo. Ma del Commento al Il libro esiste an-

'Ibmmaso d'Aquino e Enrico di Gand 233

stenuto a più riprese, sia pur con differente accentuazione, da

Tommaso d'Aquino.'

Se le due questioni citate hanno già attirato l'attenzione degli

specialisti della controversia scolastica sul passato dell' universo, 5

è invece meno noto il fatto che ad alcuni anni di distanza, e preci-

samente nella q. 9 del Quodlibet VIII, Enrico sia nuovamente tor-

nato sull'argomento, mantenendo sostanzialmente, almeno nelle

conclusioni, la linea tenuta agli esordi della sua carriera di mae-

stro di teologia, ma modificando in parte il tipo di approccio.

che una prima versione (reportatio) che in qualche caso riflette con maggior fe-deltà quanto effettivamente insegnato da Egidio durante il corso. Gli estratticonservatici da Goffredo di Fontaines (ms. Paris, Nat.lat. 15819, ff. 310va-312ra)

non comprendono tuttavia le questioni relative all' eternità del mondo, e non

consentono pertanto un confronto. Nuove indicazioni potrebbero eventual-

mente giungere dagli studi che Concetta Luna sta conducendo sul ms. Mun-

chen, Bayerische Staatsbibliothek, Clm. 8005, che contiene, com'è noto, una co-

pia della reportatio egidiana. Cfr. C. Luna, Fragments d'une reportation ducommentairedeGilles deRomesurlepremier livre des Sentences. Lesextraits des mss. Clm.8005etPa-ris, B.N., Lat.15819, «Rev. Sco philos. théol.», 74 (1990),205-54,437-56; La lecture deGilles deRomesurle quatrième livre des Sentences. Les extraits du Clm. 8005, «Rech.Théol, anc. méd. »,57 (1990), 183-255; La Reportatio della lettura di Egidio Romanosul libro III delle Sentenze (Clm. 8005) e il problema dell'autenticità dell'Ordinatio,«Documenti e studi sulla tradizione filosofica medievale», 1 (1990), 113-225

(in part., per alcuni cenni sulle questioni relative al n libro, 114-15) e 2 (1991), 75-146.

4. Secondo Mazzarella e Van Veldhuijsen, Tommaso è anzi, in questa occasio-

ne, il bersaglio diretto di Enrico di Gand. Cfr. P. Mazzarella, La creazione neltemposecondo Enrico diGand,«Discorsi »,2 (1982),28-40; P.Van Veldhuijsen,Hendrik vanGent (voor 1240-1293) contra Thomas vanAquino (1224125-1274). Overdemogelijkheidvan een eeuwiggeschapen wereld, «Stoicheia »,2 (1987),n. 3, 3-26. Per altro, a giudi-zio dello stesso Wielockx, la condanna egidiana del 1277colpiva indirettamente,

sul problema dell' eternità del mondo, anche Tommaso: « Il ne fais pas de doute

que la position de Thomas, qui avaitmis celui-ci aux prisesavec Jean Peckhamet ses partisans aux environs de 1270,est visée à travers celle de Gilles» (in Aeg.

Rom., Apologia, 202).5. Cfr. soprattutto L. Bianchi, L'errore di Aristotele, La Nuova Italia, Firenze

1984 (Pubblicazioni del Dipartimento di Filosofia dell'Università di Milano, 2),

in parto 136-38;R.C. Dales,Medieval Discussions oJtheEternity oJtheWorld, E.J. Brill,Leiden-NewYork-K0benhavn-K6In 1990 (Brill's Studies in Intellectual History,

18), in parto 165-70.Alle due monografie rimandiamo anche per ulteriori indica-

zioni bibliografiche. Insieme con o.Argerami, Dales ha inoltre da poco raccoltouna serie di testi inediti sull' argomento (da Guglielmo di Durham a Giovanni di

Jandun) sotto il titoloMedieval Latin Texts ontheEternity oJtheWorld, E.J. Brill, Lei-den-New York-Kebenhavn-Koln 1991 (Brill's Studies in Intellectual History,

23).

234 Pasquale Porro

Nel corpo della quaestio, è menzionato «aliquis catholicus,

cum quo quoad istum articulum principaliter est nostra disputa-

tio ».6 All' epoca del Quodlibet VIII (Natale 1284), Tommaso d'A-

quino era morto ormai da un decennio. Nello stesso periodo,

d'altra parte, Egidio Romano si trovava già da tempo in esilio

lontano dall'Università di Parigi, dove sarebbe stato riammesso

soltanto l'anno successivo. Nella produzione egidiana compresa

tra la censura (fine marzo 1277) e il ritorno a Parigi, la questione

della possibile eternità del mondo compare esplicitamente nella

breve q.2 del cosiddetto Quodlibetpadovano (1281), dove tuttavia i

toni sono assai sfumati e le argomentazioni non corrispondono a

quelle riprese da Enrico," Vaper altro sottolineato che tra il Quod-

libet I e il Quodlibetx del 1286, in cui riesplode la polemica sulla di-

stinzione reale, non sembrano essere presenti in Enrico riferi-

menti diretti alle tesi egidiane. Appare inoltre piuttosto difficile

che, in attesa della riabilitazione, Egidio si sia impegnato a difen-

dere di nuovo e in modo esplicito proprio una di quelle tesi per

cui era stato condannato e allontanato. Infine, sembra poco vero-

simile anche che, a più di sette anni dalla grande condanna pari-

gina del 7 marzo 1277, Enrico abbia ancora di mira i responsabili

(o, se si preferisce, le vittime) dell'intervento di Tempier, e cioè i

maestri della Facoltà delle Arti.

Se dunque dietro l' «aliquis catholicus» si cela un opponens de-

terminato - ciò che comunque non è affatto scontato - l'ipotesi

più plausibile rimane quella di un domenicano o comunque di

un seguace di 'Iommaso:" ma si tratta, per l'appunto, soltanto di

6. Cfr. infra, n. 58.7. Cfr. G. Bruni, Quaestiones I-XX afratreAegidio Romano Paduae disputatae in

capitulogenerali O.E.S.A.,«Anal.Augustiniana »,17 (1939), q. 2 («Utrum Deus po-tuerit facere creaturam aliquam ab aeterno»), 128-29. Egidio sembra anzi quiammettere esplicitamente la «repugnancia ex parte creaturae »alla possibilità diuna creazione eterna. Per quanto riguarda il Commento alla Fisica, in cui nonmancano naturalmente riferimenti al problema, esso è sicuramente posteriorealla redazione del Commento al primo libro delle Sentenze, ma comunque ante-riore al 1277, collocandosi con ogni probabilità intorno al 1274-75. Per quest'ulti-ma datazione cfr.S. Donati, Studiperuna cronologia delle opere diEgidio Romano. lo'Le opere primade11285. I commenti aristotelici, «Documenti e studi sulla tradizionefilosofica medievale », I (1990), I-III (in parto 46-48); 2 (1991), 1-74.8. Si può comunque escludere anche Goffredo di Fontaines, il cui primo in-

tervento diretto nella polemica sembra risalire al 1286 (Quodl. II, q. 3).

'Ibmmaso d'Aquino e Enrico di Gand 235

un' ipotesi, priva per il momento di riscontri oggettivi. Certo è in-

vece che la nuova sistemazione enrichiana - in cui il problema

dell' eternità del mondo è inquadrato nell' ambito più ampio del-l'analisi modale dell' ente creato - offre una prospettiva privile-

giata per cogliere con estrema chiarezza lo scarto decisivo che se-

para l'impianto metafisico di Enrico da quello di Tommaso d'A-

quino.?

9. Il QuodlibetVIII presenta in realtà più di un punto di contrasto tra Enrico eTommaso. È il caso, ad esempio, della conoscenza divina dei futuri contingenti(q. 2), già preso in esame daWippel (che sembra tuttavia far riferimento alla q. 2del Quodl. VII: si tratta evidentemente di una svista). Cfr. J.F. Wippel, DivineKnowledge, DivinePower andHumanPreedom in Thomas Aquinas andHenry ofGhent,in Divine Omniscience and Omnipotence in Medieval Philosophy. Islamic, jewish andChristian Perspectives. Edited by T. Rudavsky, Reidel, Dordrecht-Boston 1985(Synthese Historical Library, 25), 213-41 (anche in Metaphysical Themes in ThomasAquinas, Catholic University of America Press,Washington D.C. 1984,243-70).Nella q. 5,Enrico contesta la tesi tomista secondo cui l'unica ragione della pre-destinazione sarebbe da ritrovarsi nell' assoluta gratuità della bontà divina, che simanifesterebbe attraverso la misericordia nei confronti degli eletti e attraversola giustizia nei confronti dei dannati (cfr.ad es.Summatheologiae, I, q. 23, art. 5). Secosi fosse, osserva Enrico, Dio avrebbe potuto certamente trovare modi miglioriper manifestare la sua bontà, mentre è impossibile non tener conto anche dellaratio congrui da parte delle creature. Nella q. 15,per non citare che un altro esem-pio, Enrico si confronta nuovamente con Tommaso sulla possibile distinzionedell' appetito razionale in irascibile e concupiscibile. Non sono comunque nu-merosi gli studi specifici sulla presenza di Tommaso in Enrico di Gand, se si ec-cettuano naturalmente i riferimenti inevitabili contenuti nelle monografie de-dicate al pensiero di Enrico. A questo proposito, si vedano soprattutto:]. Paulus,Henri deGand.Essai surles tendances desamétaphysique,Vrin, Paris 1938 {Etudes dePhilosophie Médiévale, 25);J. G6mez Caffarena, Serparticipado y ser subsistente enla metafisica de Enrique de Gante,Ed. Pont. Università Gregoriana, Roma 1958(Analecta Gregoriana, 93); St. P. Marrone, Truth and Scientific Knowledge in theThought of Henry of Ghent, The Medieval Academy of America, Cambridge(Mass.) 1985 (Speculum Anniversary-Monographs, II). Sulle differenti posizioniintorno allo statuto dei possibili - che qui, come vedremo, ci interessa più da vi-cino - si vedano, oltre al già citato studio di Wippel, J.Benes, Valor possibiliumapudS.Thomam, Henricum Gandavensem etB.jacobum deViterbo, «Div.Thomas P. »,29 (1926),612-34; 30 (1927), 94-117 e 333-55 e, ancora diWippel, TheRealityofNon-Existing Possibles according to Thomas Aquinas, Henry of Ghent, Godfrey ofFontaines,«Rev. Meta. », 34 (1980-81), 72]-58 (anch' esso ripreso in Metaphysical Themes inThomas Aquinas, col titolo: Thomas Aquinas, Henry ofGhent andGodfrey ofPontaineson theRealityofNon-Existing Possibles, 163-89). R. Macken ha dedicato particolareattenzione alla difesa enrichiana del primato della volontà contro la dottrina to-mista; cfr. soprattutto La doctrine de S.Thomas concernant la volonté et les critiquesd'Henri deGand, in 'Ibmmaso d'Aquino nella storia del pensiero (Atti del CongressoInternazionale Roma-Napoli 1]-24 aprile 1974), Edizioni Domenicane Italiane,

Pasquale Porro

§2. Esistono creature necessarie? Questo, nei suoi termini es-senziali, è il problema di partenza della q. 9 del Quodlibet VIII

(( Utrum aliqua creatura se ipsa sit formaliter necesse esse» ).10

Com'è evidente, la questione riguarda principalmente le sostan-

ze incorruttibili: le forme pure che, per la loro semplicità, non

sembrano poter venire meno a se stesse, e i corpi celesti, la cui

materia non appare soggetta alla contrarietas formarum e dunque,

secondo alcuni, alla corruzione.P Ma, per poter procedere, è ne-

Napoli 1976,II, 84-91.Citiamo infine alcuni contributi su temi più circoscritti: L.

Hodl, Die theologische Diskussion des Heinrich vonGent (t 1293) iiber die thomasischeLehre vonvollkommenen christlichen Leben (Quodl. XIL 28-29), in Thomas vonAquino.Interpretation undRezeption,Griinewald, Mainz 1976,470-87; St. F. Brown,Henry oJGhent'sCritique oJAquinas'Subalternation Theory and theEarlyThomistic Response, inKnowledge andtheSciences inMedieval Philosophy. Proceedings of the Eighth Inter-national Congress of Medieval Philosophy (S.LE.P.M.), Helsinki 24-29 August

1987, vol. III, ed. by R. Tyorinoja, A. Inkeri Lehtinen, D. Pellesdal, Helsinki 1990

(Annals of the Finnish Society for Missiology and Ecumenics, 55), 337-45.

IO. Il Quodlibet VIII non è ancora disponibile in edizione critica. Utilizziamopertanto il ms. Paris, Bibliothèque Nationale, lat. 15350 (d'ora in poi indicato conla sigla A), appartenuto anch' esso a Goffredo di Fontaines, il cui valore particola-

re è ben noto a chi segue gli sviluppi della serie Henrici de Gandavo Opera Om-nia. Il ms., che comprende i Quodlibeta VII-XV, presenta vistose correzioni reda-zionali che possono in qualche caso essere plausibilmente attribuite all'autore

stesso. Cfr. in proposito, oltre agli studi critici premessi alle edizioni dei volumi

dei Quodlibeta finora apparsi, R. Macken, Les corrections d'Henri de Gand à sesQuodlibets, «Rech. Théol, anc. méd, », 40 (1973), 5-51.Vengono in ogni caso indi-

cati anche i riferimenti al primo volume dell' edizione parigina dei QuodIibeta

curata nel 1518 dal Badius (Quodlibeta Magistri Henrici Goethals a Gandavo, DoctorisSolennis Socii Sorbonici etArchidiaconi 'Ibrnacensis, cumduplici tabella.Vaenumdantur

ab Iodoco Badio Ascensio, Parisiis 1518; rist. anoBibliothèque S.J., Louvain 1961,2

voll., d'ora in poi indicato con la sigla Bad.).

II. Gli argomenti «quod sic », in effetti, si riferiscono soltanto alle sostanze

separate, ma nel corso della trattazione l'accento cade poi principalmente sui

corpi celesti. Cfr. Henr. de Gand., Quodl. VIII, q. 9, A f. 109ra, Bad. f. 314rI: « [ .•• ]arguitur quod aliqua creatura, ut substantia incorporalis separata, se ipsa sit for-

maliter necesse esse. Primo sic: quod habet causam intrinsecam formalem sui

esse sibi semper praesentem, est ex se formaliter necesse esse. Substantiae sepa-

ratae sunt huiusmodi, ergo etc. Probatio maioris est, quia ablatis causis extrinse-

cis, res manet in esse secundum suas causas intrinsecas. Probatio minoris est,

quia illae substantiae simplices sunt formae, quibus habent esse, quae propter

simplicitatem sibi abesse non possunt. Secundo sic: quod non potest relinquere

causam formalem sui esse, ex se formaliter est necesse esse [... ] substantiae illae

formae simplices sunt, ut non possint relinquere suam formam nisi relinquendo

se »,

'Ibmmaso d'Aquino e Enrico di Gand 237

cessario innanzi tutto redigere una tavola completa dei significati

modali dell' ente. Secondo Enrico, si danno, almeno in linea teo-

rica, undici diversi modi di essere, dei quali alcuni sono impossi-

bili o contraddittori, altri possibili. In realtà, si tratta di un errore

di conteggio (per quanto singolare), dal momento che l'elenco

effettivo ne comprende dieci: 12

I. ex se formaliter ens et a nullo principiative.

2. ex se formaliter ens, sed ab alio principiative in identitate substan-

tiae.

3. ex se formaliter ens, sed ab alio causative in aliena substantia.

4. ex se formaliter ens, sed ab alio dependenter.

5. ex se possibile esse, sed non possibile non esse, et ab alio causative

necesse esse.

6. ex se possibile esse, sed ab alio causative necesse esse.

7. ex se possibile esse, et similiter ab alio possibile esse, ab aeterno.

8. ex se et ab alio possibile esse, cum toto tempore.

9. ex se et ab alio possibile esse, in parte temporis.

IO. nec ex se, nec ab alio possibile esse.

I primi due modi riguardano l'ens increatum l'essere divino - e

sono dunque al momento fuori discussione: il primo si riferisce a

Dio Padre; il secondo alle altre due persone trinitarie che, pur de-

rivando principiative dalla prima, costituiscono con essa, sotto il

profilo della natura ed essenza, un solo e unico ente formalmente

necessario. Il decimo modo designa invece gli enti impossibili,

12. Cfr. Henr. de Gand., Quodl. VIII, q. 9,A f. 109ra,Bad. f. 314rK: «Hic primoest advertendum diversos (esse> modos essendi, quorum aliqui sunt possibiles,aliqui impossibiles, et sunt undecim ».Sipotrebbe pensare che in origine i modifossero effettivamente undici e che poi Enrico ne abbia cassato uno, dimentican-dosi tuttavia di correggere l'indicazione introduttiva. Tuttavia né il ms. Paris,Nat.lat. 15350 né gli altri in nostro possesso mostrano tracce di eventuali revisio-ni. Più probabilmente, come alcuni passaggi del testo lasciano intendere, Enricoha sdoppiato mentalmente il settimo modo, contandolo cosi due volte. Cfr.Henr. de Gand., Quodl. VIII, q. 9, A f. roora-b, Bad. f. 314rK: «Septimus est eiusquod est ex se possibile esse, et similiter ab alio causative possibile esse. Et hocdupliciter, vel ab aeterno [di fatto: VII modo], secundum quod aliqui moderniponunt potuisse creaturam fieri a Deo ab aeterno, licet non sit facta, quod simili-ter includit contradictoria, vel ex tempore et hoc dupliciter, vel quod habet essecum toto tempore [VIII modo], sic mundus et omnis creatura et ex se et ab alioest possibile esse, vel in parte temporis [IX modo], sic sunt generabilia et corrup-tibilia, de quorum esse nihil ad praesens. Undecimus [!]modus est eius quod necex se, nec ab alio est possibile esse [... ]».

Pasquale Porro

che possono essere solo pensati ma a cui non corrisponde alcuna

forma di essere, né esistenziale (attualità) né essenziale (possibili-

tà): si tratta di ciò che Enrico definisce solitamente res a reor reris in

contrapposizione alle res a ratitudine (le essenze certificate dal fat-

to di possedere un exemplarnellamente divina e perciò, in quanto

tali, almeno possibilil.P Il nono modo contraddistingue gli enti

generabili e corruttibili, che secondo l'evidenza e per comune

ammissione non godono di alcuna necessitas essendi.Analogamen-

te, nessun problema pone l'ottavo modo, che pur riferendosi alle

sostanze incorruttibili (quelle che appunto esistono «cum toto

tempore », avendo avuto inizio col tempo e non nel tempo), non

attribuisce loro alcuna forma di necessità. Ciò che occorre pren-

dere in considerazione sono dunque i cinque modi intermedi

che, sotto aspetti diversi, pongono tutti la necessità o l'eternità di

altri enti oltre alla causa prima.

§ 3. Il terzo dei modi citati (< ex se formaliter ens, sed ab aliocausative vel principiative in aliena substantia») è quello che «al-

cuni» - cosi come riferisce Enrico attribuiscono alle sostanze

incorruttibili poste da Aristotele. Si tratta di un'interpretazione

chiaramente «creazionistica» della cosmologia aristotelica: tutti

gli incorruttibili, pur essendo in sé e privi di ogni poten-

zialità al non essere, sarebbero qui comunque prodotti o causati

dal primo, più o meno allo stesso modo in cui, secondo la fede

cattolica, il Figlio e lo Spirito Santo sono necessari ed eterni

quanto il Padre da cui dipendono.>' L'analogia è tuttavia per En-

13. La distinzione tra res a reorreris e res a ratuudine (uno dei capisaldi della me-tafisica enrichiana) è tracciata sistematicamente da Enrico negli articoli dellaSumma (21-24) dedicati alla conoscibilità di Dio. Ci permettiamo di rimandare inproposito a P. Porro, Enrico di Gand. La via delle proposizioni universali, Levante,Bari 1990 (Vestigia - Studi e strumenti di storiografia filosofica, 2), in parto21-9.Può essere interessante ricordare che l'espressione res a reor reris compare anchenel Commento alle Sentenze di Tommaso, dove sembra designare l'ens apud animam(cfr. ad es. In I Sent., dist.2S, art. 4).14. Cfr. Henr. de Gand., Quodl. VIII, q. 9, A f. 109rb, Bad. f. 314rL:«Quantum

ergo ad tertium modum dicunt aliqui quod Philosophus posuit essentias om-nium incorruptibilium post primum ens existentes ordine naturae determinatasesse ad esse, ita quod nullo modo sint possibiles ad non esse, ita quod ex se non

sunt etiam possibiles esse, sed tantum ex se formaliter necesse <esse>, quod ta-

'Ibmmaso d'Aquino e Enrico di Gand 239

rico puramente superficiale. Se nella Trinità vi è di fatto piena

identità di essenza tra ciò che è « ex se formaliter necesse esse et a

nullo principiative» (il Padre) e ciò che è «ex se formaliter neces-

se esse et ab ilio principiative» (Figlio e Spirito Santo), i corpi ce-lesti e i motori del cosmo aristotelico non costituiscono un'unica

sostanza: di conseguenza, l'eventuale produzione da parte del

primo di tutti gli altri dovrebbe aver luogo in una sostanza diver-

sa da quella del producente.P Ma è impossibile - secondo la clas-

men causative habent ab alio, quod quidem aliud cum hoc, quod ex se formaliterest necesse esse,hoc a nullo est causative, quod posuit esse Deum, et omne aliudcreaturam. Et secundum hoc aliqua creatura ex se formaliter est necesse esse, ethoc quemadmodum secundum fidem catholicam in divinis personae Filii etSpiritus Sancti convenit quod ex se formaliter sint necesse esse, principiative ta-men hoc habent a Patre, qui solus ex se formaliter est necesse esse, ita quod anullo principiative ».Cfr. anche Summa, art. 21,q. 5, ed. Badius, Parisiis 1520, I, f.129vF:« Et per hunc modum de esse iam dicto in divinis, quod formaliter potestpersona aliqua habere esse a se et principiative ab alio, etiam aliqui dicebantquod in creaturis posset esse aliquod a se ipso formaliter, licet dicatur esse ab aliout a primo agente effective, dicendo quod corpus caeleste et omnes substantiaeseparatae sunt substantiae sempiternae, ita quod quantum est ex sua natura for-mali, non possunt non esse, licet esse effective solum habeant ab alio: quod estomnino impossibile, ut infra videbitur, quod tunc sequeretur aut quod talescreaturae etiam quantum est ex parte causae efficientis non possent non esse,etiam si virtutem qua ipsa in esse continet eis subtraheret, aut quod virtutemsuam qua eis esse tribuit et conservat, eis subtrahere non posset, et quod ab eisomnino separari non posset, quia in eis secundum ipsos non est omnino poten-tia ad non esse, neque ad esse, quae alia est ab actu essendi ».Vale la pena di nota-re, per il momento, il riferimento diretto a coloro che non pongono alcuna «po-tentia ad non esse» nelle creature incorruttibili. L'analogia col caso della Trinitàè normalmente sostenuta sulla base di un passaggio del De Ttinitate di Ilario diPoitiers (XII, 21;CCSL 62A,ed. P.Smulders, 595),che figura in effetti come argo-mento a favore della possibile eternità di ciò che deriva abalio nel Depotentia diTommaso (q.3,art. 13, sed contra). La soluzione di Tommaso non è priva di impor-tanza per ciò che si dirà in seguito. Secondo Tommaso, infatti, non è facile com-prendere come la generazione del Figlio possa essere eterna perché la nostramente è abituata alle realtà naturali, in cui ogni produzione avviene sempre permezzo di un movimento. In quest' ultimo caso, è in effetti normale che ilpio del movimento preceda il termine. Ma la generazione non è un movimento,e in essa ciò che procede è del tutto simultaneo a ciò da cui procede. Poiché però,come vedremo, anche la creazione nel suo complesso non costituisce per Tom-maso una forma di movimento, quanto detto a proposito delle persone divinepotrebbe in realtà valere anche per le creature incorruttibili (v. infra, nota 42Sull' emanazione delle persone divine in Enrico cfr.invece Summa,art. 54,qq.15. Un'analoga distinzione era stata proposta da Enrico nel Quodl. I (qq.

ed. Macken, 32, 35 - 33, 42).

240 Pasquale Porro

sica dimostrazione della Metafisica avicenniana - che vi siano più

sostanze necessarie numericamente distinte, dal momento che la

nozione di necesse esse non è plurificabile senza contraddizione.w

Se la Trinità fa eccezione a questo riguardo è solo perché, come

già detto, le tre persone non costituiscono più di una sola essenza

e di un solo necesse esse.

Ma non è questo l'unico inconveniente. Un ente necessario è

per definizione sempre in atto: se fosse in potenza, potrebbe an-

che non essere, ma è impossibile che il necessario non sia.D'altra

parte, tutto ciò che riceve il suo essere da altro non può non esse-

re in potenza: se fosse infatti già in atto non avrebbe bisogno di

mutuare da altro il proprio essere, e se non fosse né in atto né in

potenza sarebbe semplicemente impossibile.F Nulla di necessa-

16. La prova avicenniana dell'unicità del «necesse esse» è dettagliatamente

esposta e commentata da Enrico nell' art. 25,q. 3 della Summa «< Utrum sit possi-bile esse plures deos », ed. Badius, I, ff. 152r-57r).

17. L'argomento si fonda, com' è evidente, su principi strettamente aristoteli-

ci (Metaph., IX, 8,1050b8-17).Ma Enrico utilizza qui la propria distinzione tra po-tentia subiectiva e potentia obiectiva già delineata nel Quodl. VI e ripresa poi più dif-fusamente nella q. 7 del Quodlibetx. Qualcosa può dirsi in potenza rispetto ad undeterminato atto o come subiectum da cui qualcos' altro può o deve esser prodotto(come nel caso della materia) o come l'obiectum che costituisce il termine stessodella produzione. Se però il subiectum fosse l'obieaum, non vi sarebbe propria-mente nessuna produzione e nessun passaggio dalla potenza all'atto: per questo,

ciò che non è né inpotentia subiectiva né inpotentia obiectiva non può in alcun mo ...do e da nessun agente esser portato all' atto corrispondente. La stessa zenerazio-ne del Figlio dal Padre, per tornare al caso della Trinità, non potrebbe aver luogo

se il Padre, come subieaum, non fosse in sé distinto dal Figlio (obiectum), e vice-versa: «Quod etiam declaratur per exempla, quia si aliquid ut subiectum non sit

in potentia, ut de ipso aliquid producatur, ita quod non sit ex se non ens secun...

dum actum illum, et ponatur, quod de ipso producatur illud, contradictio inclu-

ditur, quia si de ilIo producitur, potest produci de ipso, et ex se est non ens secun...

dum actum illius. Aliter enim ex illo nullo modo produceretur, ut patet de Filio,

quod numquam produceretur de divina substantia, nisi de ipsa posset produci, et

nisi ipsa ex se esset non Filius, et similiter de materia subiective numquam pro...

duceretur ignis, nisi de ipsa posset produci et nisi ipsa ex se esset non ignis, Con...

similiter si aliquid obiective non sit in potentia ad esse aliquid et non actu ex se

illud, et ponatur ab ilIo produci in esse secundum actum illum contradictio in-

cluditur, quia si non est in potentia ad esse illud, hoc est, quia non est non ens se...

cundum actum illum. Si vero ab illo producitur potest ab ipso produci, et est ex

se non ens secundum actum illum et hoc tam in divinis quam in creaturis»

(Quodl. VIII, q. 9,A f. 109va, Bad. f. 314vM). Se quest' affermazione può risultare aprima vista sorprendente (con l'introduzione apparente di una forma di poten-

zialità nel necesse esse divino), va però ricordato che la potentia obiectiva può inten-

'Ibmmaso d'Aquino e Enrico di Gand

rio può dunque ricevere il suo essere da altro, poiché in tal caso

sarebbe ad un tempo tanto necessario quanto possibile: «Quod

ergo est necesse esse formaliter ex se et principiative ab alio, si-

mul est in potentia esse necesse esse, et non in potentia esse ne-

cesse esse, et ens necesse esse et non ens necesse esse ».18

In quanto manifestamente contraddittoria, questa posizione

non può per Enrico essere quella genuinamente aristotelica

(«quia haec positio manifeste contradictionem implicat, non vi-

detur aliis aliquod tam absurdum posuisse »), nonostante qualcu-no - e qui è difficile non pensare già a Tommaso d'Aquino 19 - si

dersi in riferimento tanto all' esse absolutum quanto al suppositum. Ne11' esempiotrinitario, il Figlio è unicamente in potenza al supposito nell' ambito della stessa

essenza, dal momento che la generazione avviene in identitate substantiae. In que-sto caso non viene prodotto nessun nuovo essere sostanziale, ma viene acquisita

la ratio suppositi che il Figlio non ha ex se (e in questo senso può dirsi in potenzaad essa) e che non s'identifica con la persona del Padre. Ma per tutti gli altri enti,

in cui la produzione avviene inaliena substantia e dunque dà luogo a sostanze di-verse, essere in potenza ad un determinato supposito significa contemporanea-

mente essere in potenza anche all' essere. Sulla distinzione tra potentia obiectiva epotentia subieaiva cfr. comunque L. Hodl, Neue Begriffe und neue Wege der Seiner-kenntnis im Schul- und Einflussbereich des Heinrich von Gent, in Die Metaphysik imMittelalter. IhrUrsprung und ihre Bedeutung.Vortrage des II. Internationalen Kon-gresses fUr Mittelalterliche Philosophie, Koln 31.August-6. September 1961.Im

Auftrage der S.I.E.P.M. P.Wilpert-W.P. Eckert, De Gruyter, Berlin 1963

(Miscellanea Mediaevalia, 2), 607-15.

18. Henr, de Gand., Quodl.VIII, q. 9, A f. I09rb, Bad. f.314vM.

19. Nonostante le perplessità di Gilson, Tommaso sembra di fatto più volte

alludere ad creazionistica di Aristotele: « sicut dicit Com-

mentator in lib. De substantia orbis [... ], Aristoteles numquam intendit quod

Deus esset causa motus caeli tantum, sed etiam quod esset causa substantiae ejus,

dans sibi esse» (In II Sent., disto19, q. I, art. 5, adprimum in contr.; cfr. S.ThornaeAquinatis Scriptum super libros Sententiarum, I-n, ed. P. Mandonnet, Lethie11eux,Paris 1929; III-IV, ed. M.F. Moos.Lethielleux, Paris 1933-47; II, 38); «Non tamendicimus secundum fidem catholicam, quod caelum semper fuerit, licet dicamus

quod semper sit duraturum, Nec hoc est contra demonstrationemAristotelis hic

positam: non enim dicimus quod incoeperit esse per generationem, sed per ef-

fluxum a primo principio, a 9uo perficitur totum esse omnium rerum, sicut

etiam Philosophi posuerunt» (InDe caelo, I, 1. 6; cfr. S.Thomae Aquinatis In Ari-stotelis libros De caelo et mundo, Degeneratione etcortuptione, Meteorologicorum Exposi-tio, cum textu ex recensione leonina, cura et studio R. Spiazzi, Marietti, Taurini-

Romae 1952, 31, n. 64); «Est autem attendendum quod Aristoteles hic ponit

Deum esse factorem caelestium corporum, et non solum causampermodum fi-nis, ut quidam dixerunt» (In De caelo, I, 1. 8, ed. Marietti, 43, n. 91); «Sicut igituraliqua sunt semper vera et tamen habent causam suae veritatis, ita Aristoteles in-

tellexit quod essent aliqua semper entia, scilicet corpora caelestia et substannae,

Pasquale Porro

sia sforzato di dimostrare il contrario. Il De caelo lascia poco spa-

zio ad eventuali dubbi: 20 tutto ciò che è generato è anche per sua

natura corruttibile e nulla di generabile e corruttibile può essere

necessario ed eterno. Ciò significa anche - secondo la conse-

guenza tratta esplicitamente da Averroè contro Avicenna - che il

possibile exsenon può in alcun modo esser reso necessario da al-

tro.21 Esiste una sola eccezione a questa regola - su cui per altro

avremo più volte occasione di tornare - ed è quella del movimen-

to celeste: i corpi celesti sono in potenza a muoversi eternamen-

te, ma il loro moto è effettivamente posto in atto (e cioè perpe-

tuato) da principi esterni. E tuttavia, relativamente agli stessi cor-

pi celesti, il caso del movimento è profondamente dissimile da

quello della sostanza: se la permanenza di quest'ultima dipende

infatti dalla natura stessa degli incorruttibili, che, come Averroè

ribadisce, non ammette contrarietà, il movimento ha invece un

suo contrario - la quiete - che implica comunque una forma di

potenzialità.F I corpi celesti non possono cioè, per la loro na-

separatae, et tamen haberent causam sui esse. Ex quo patet quod quamvis Ari-stoteles poneret mundum aeternum, non tamen credidit quod Deus non sit cau-sa essendi ipsi mundo, sed causa motus eius tantum, ut quidam dixerunt» (InPhys., VIII, 1. 3; cfr.S.Thomae Aquinatis In octo libros Physicorum AristotelisExpositio,cura et studio M. Maggiolo, Marietti, Taurini-Romae 1965,516, n. 996); «[corpo-ra caelestial etsi sint incorruptibilia, tamen habent causam non solum quantumad suum moveri, ut quidam opinati sunt, sed etiam quantum ad suum esse, uthic Philosophus expresse dicit» (In Metaph., II, 1. ,2; cfr. S.Thomae Aquinatis Induodecim libros Metaphysicorum Aristotelis Expositio, cura et studio R.M. Cathala-R.Spiazzi, Marietti, Taurini-Romae 1950, 85,n. 295);«Ex hoc autem apparet mani-feste falsitas opinionis illorum, qui posuerunt Aristotelem sensisse quod Deusnon sit causa substantiae caeli, sed solum motus eius » (InMetaph., VI, 1. I, ed. Ma-rietti, 298, n. 1164). Tommaso, come visto, si basa principalmente su alcuni pas-saggi ambigui del Desubstantia orbis (in partoc. 2), che Enrico ritiene al contrarioin aperta contraddizione con quanto sostenuto dallo stesso Averroè nel Com-mento alla Metafisica (cfr. Quodl. VIII, q. 9, A f. 112va,Bad. f. 319r-vH).20. Cfr. Henr. de Gand., Quodl. VIII, q. 9,A f. roova-b, Bad. f. 325rP: «Cum er-

go Philosophus posuit quod substantiae incorruptibiles sint ex se formaliter ne-cesse esse, nullo modo cum hoc posuit, quod sunt causative ab alio [... l. Posuitergo omnia, quae sunt, praeter generabilia et corruptibilia, esse ex se formaliter

sicut Deum ».

21. Cfr. Averroes, In Metaph., XII, t.c, 41, in Aristotelis Opera cum Averrois com-mentariis,Venetiis 1562-74; rist. ano Frankfurt a. Main 1962 (d'ora in poi indicatacome ed. Iunt.), VIII, f. 324vI-K.22. Cfr.Averr., InMetaph., XII, t.c, 41,ed. Iunt., VIII, f. 324vK-L: «Motus autem

Tommaso d'Aquino e Enrico di Gand 243

tura, corrompersi, ma potrebbero invece fermarsi se non fossero

mossi in eterno da altro.È appena il caso di osservare, con lo stes-

so Enrico di Gand, come questa distinzione consenta ad Averroè

di ovviare, almeno in apparenza, alla celebre obiezione antieter-

nalista sollevata da Giovanni Filopono: se, secondo Aristotele,

ogni corpo ha una potenza finita,23 come possono i corpi celesti

esistere in un tempo infinito? PerAverroè, si tratta qui appunto di

ricordare come la potenza si dica in molti modi e come non

ognuno di essi possa essere applicato agli incorruttibili. Nei corpi

celesti non si ha potenza per quel che riguarda la sostanza - e tan-

to è sufficiente perché possano essere eterni - ma solo rispetto al-

l'ubi, cosi come la stessa natura successiva del movimento richie-

de.24 Solo per porre rimedio a questo tipo di potenzialità, in mo-

do tale che il moto celeste possa continuare all'infinito, è richie-

sta l'azione di un motore separato ed incorporeo: 25 «Et ideo non

possibile est ut sit necessarius ex alio, et fossibilis ex se, et.causa in hoc est, quiaesse habet ex alio, scilicet a motore [.... Permanentia igitur motus est ex alio,substantia autem ex se. Et ideo impossibile est invenire substantiam possibilemex se, necessariam ex alio, quod est possibile in motu ».23. Cfr. Arist., Phys., VIII, IO, 266a2']-28. Il principio è utilizzato da Aristotele

per dimostrare la necessità di una causa prima incorporea a fondamento dell' e-ternità del movimento celeste. Nel suo trattato sull' eternità del mondo Pilopo-no rovescia invece l'argomento: poiché lo stesso Aristotele, nel De caelo, poneche il mondo è finito, se ciò che è finito ha una potenza limitata, il mondo de-v' essere in sé corruttibile. Per una breve ma indispensabile storia filosofica delleinterpretazioni del principio aristotelico cfr. comunque C. Steel, «Omniscorporispotentia estfinita », L'interprétation d'unprincipe aristotéluien: deProclus à S.Thomas, inPhilosophie im Mittelalter. Entwicklungslinien und Paradigmen.W. Kluxen zum 65.Geburtstag. Hrsg. vonJ.P. Beckmann, L. Honnefelder, G. Schrimpfund G.Wie-land, Felix Verlag, Hamburg 1987, 213-24.Tommaso si confronta più volte conl'argomento di Filopono: cfr. ad es. In De caelo, I, L6, ed. Marietti, 29, n. 60 e InPhys., VIII, 1. 21, ed. Marietti, in parto 613, n. 1147.24. Cfr. Averr., InMetaph., XII, t.c, 41,ed. Iunt., VIII, f. 324rD: «Cum dicimus:

"quaecumque potentia fuerit in corpore, est finita", est verum. Sed non conse-quitur ex hoc quod omne corpus habeat omnem potentiam, quia corpus caelestenon habet potentiam, nisi tantum in ubi ».25. Cfr. Averr., In Metaph., XII, t.c, 41, ed. Iunt., VIII, f. 324vH-I: « In corpore

quidem caelesri non est potentia ut corrumpatur, quia non habet contrarium. Estigitur remanens per se et per suam substantiam. Motus autem impossibile est utsit remanens per suam substantiam, cum habet contrarium, id est quietem [... l.Ideoque in caelo non est possibilitas, nisi ut quiescat, Sed hoc iam probatum estesse impossibile: ergo necesse est ut hoc sit propter motorem, in quo nulla po-tenria est omnino, neque essentialiter, neque accidentaliter. Sed tale non est inmateria».

244 Pasquale Porro

est verum dicere aliquidpossibile esse exse, aeternum autemetnecessarium

ex alio, eo quod necessariorum quoddam esse necessarium per se,

et quoddam per aliud, non est nisi in motu caeli tantum. Ut autem

aliquid sit possibile in sua substantia, et per aliud sit necessarium

in esse, impossibile est. Impossibile enim est ut.idem sit possibile

in esse ex sua substantia, et recipiat ex alio necessarium esse, nisi

esset possibile ut natura eius transmutaretur».26

In questo modo si trova ad essere rigettato come impossibile (e

contrario ai principi aristotelici) anche il quinto dei modi prima

elencati (( ex se possibile esse, sed non possibile non esse, et ab

alio causative necesse esse »): il possibile esse è sempre anche possi-bile nonesse, e il possibile ex se, come appena visto, non può essere

reso necessario abalio. Ogni interpretazione "benevola" o cristia-

nizzante di Aristotele si risolve cosi, per Enrico, nell' autocon-

traddizione. In realtà il cosmo aristotelico è un complesso neces-

sario e sussistente, in cui ogni cosa è ciò che è (generabile e cor-

ruttibile o incorruttibile ed eterna) solo in virtù della propria na-

tura intrinseca.è? L'ipotesi di un generabile eterno o di un neces-

sario corruttibile è perAristotele e Averroè semplicemente assur-

da: nulla può modificare la natura di ogni singola sostanza. A ri-

gor di termini, eterne e necessarie sono in Aristotele anche le

specie dei generabili e corruttibili: l'unica differenza è data dal

fatto che mentre le specie dei corpi celesti sussistono in un unico

individuo incorruttibile, quelle degli enti sublunari si compon-

gono di più individui che, presi singolarmente, nascono e si cor-

rompono per la contrarietà a cui è soggetta la loro materia.è"

26. Cfr. Averr., In Metaph., XII, t.c, 41, ed. Iunt., VIII, f. 324rD-vK.27. Cfr. Henr. de Gand., Quodl. VIII, q. 9, A f. 110ra, Bad. f. 315vS: «Est ergo po-

sitio Philosophi, quod res inferiores Deonon possunt esse in alia dispositione,quam habent ex natura sua, et quod aliquorum natura est, ut semper sint, et alio-rum, ut semper non sint, et aliorum, ut neque semper sint, neque semper nonsint, sed quod aliquando sint et aliquando non, et quod necessarium ita esse et sehabere, et in se et respectu Dei, quia sicut secundum ipsum est natura aliarumrerum sic se habere, ut se habent, et similiter est natura Dei sic se habere, ut sehabet, et in se et respectu aliorum, ut non posset omnino res facere aliter se ha-bere, quam habent, nisi ipse sicut et alia transmutaretur ab una natura in aliam,quod omnino est impossibile, ut dictum est, aut sequeretur quod contrariae na-turae simul essent in eodem ».

28. Cfr. Henr. de Gand., Quodl. VIII, q. 9, A f. I09vb, Bad. f. 315rP:«Et solum-

Tommaso d'Aquino e Enrico di Gand 245

§4. L'unica possibile modalità di relazione tra il Dio di Aristo-tele e le altre sostanze incorruttibili rimane dunque quella - se-

condo Enrico - di una dipendenza basata non sulla causalità effi-

ciente ma sull'ordine essenziale dei diversi gradi di perfezione,

secondo il quarto dei modo elencati («ex se formaliter ens, sed ab

alio dependenter sj.è?Essenzialmente ordinate - come conviene

ricordare - sono quelle serie in cui la presenza di ogni termine è

subordinata a quella di tutti gli altri che lo precedono, in modo

tale che se il primo può essere posto per sé, il secondo dipende

dal primo, il terzo dal primo e dal secondo, e cosi di seguito fino

all'ultimo e meno perfetto (una serie di questo tipo non potreb-

be, in effetti, essere infìnita).30 In tal senso, ciascuno degli incor-

ruttibili aristotelici, pur esistendo necessariamente in virtù della

modo quoad hoc differentiam posuit [Philosophus] inter alia a Deo, quod quae-dam species stant in esse ex se formaliter in unico individuo, ut omnia incorrup-tibilia secundum ipsum, quaedam vero non nisi in pluribus, ut species generabi-lium et corruptibilium, quae per se, ut species sunt, sunt incorruptibiles, sed peraccidens corrumpuntur in individuis suis, quemadmodum etiam elementa se-cundum speciem et secundum tota posuit incorruptibilia, secundum partes verocorruptibilia ».29. Cfr. Henr. de Gand., Quodl. VIII, q. 9, A f. 109vb, Bad. f. 315 rP: «Si ergo

Philosophus ponit alia esse a Deo, hoc est solum dependenter secundum quar-tum modum essendi praetactum, ut ponat omne aliud ens a Deo in suo esse de-pendere, sicut minus perfectum in esse a magis perfecto, et per eundem moduma secundo post Deum omnia posteriora, pro tanto, scilicet, quod propter essen-tialem ordinem quem habent inter se, si non esset primum, non esset aliquid po-steriorum, ita quod primum posset poni in esse sine posteriori, quia non depen-det ab illis, nullum autem aliorum sine primo quantumcumque ponantur forenecesse esse ex se formaliter »,30. Per inciso, si può notare come proprio questa caratteristica costringa En-

rico di Gand a fare i conti con una difficoltà di tutt' altro genere. Se infatti, comeEnrico ammette e come vedremo tra breve, le essenze possibili delle creaturecostituiscono una serie essenzialmente ordinata, esse non possono essere infini-te. Ma se le essenze delle creature corrispondono (mediatamente) alle idee divi-ne, si deve concludere che neppure queste ultime possono essere infinite? Siapur tra molte esitazioni, Enrico sembra propenso ad accettare quest'ipotesi, tan-to nella q. 3del Quodl. v,quanto nella q. 8 dello stesso Quodl. VIII, dedicata espres-samente al problema (( Utrum in perfectionibus creaturarum essentialibus sitstatus in accipiendo aliquam speciem creaturae perfectissimam, proximam ingradu naturae primo perfectissimo, supra quam non sit accipere proximioremilli »).Una soluzione che ovviamente era destinata a suscitare scalpore, come te-stimoniano le reazioni di Goffredo di Fontaines (Quodl. IV, qq. 3-4),Riccardo diMiddleton (Quodl. II, q. 4),Tommaso di Sutton (Quodl. I, q. 3).Cfr. in proposito P.Porro, «Ponere statum ».Idee divine) perfezioni creaturali eordine delmondo inEnrico diGand, «Mediaevalia », 3 (1993), 109-59.

Pasquale Porro

natura, non potrebbe darsi al di fuori della connessione'PrU"'t"'l1,'lIP con il primo.

Quest'ipotesi non ha per Enrico nulla di contraddittorio o im-

possibile, ma ·si fonda comunque su un presupposto falso: che

qualcosa possa cioè dipendere essenzialmente da ciò da cui non

riceve l'essere.'! Parafrasando un classico esempio aristotelico,

Enrico ricorda che l'assenza di un marinaio non potrebbe essere

motivo di pericolo per la nave se la sua presenza non fosse, inver-

samente, ragione di sicurezza: fuori di metafora, quando alcuni

enti di una serie non possono esistere senza il primo, ciò accade

soltanto perché quest' ultimo è in qualche modo causa (efficiente

o formale) di tutti gli altri. In effetti, l'idea di una serie essenzial-

mente ordinata non è in sé del tutto incompatibile con i dogmi

della fede cristiana, ed è anzi utilizzata dallo stesso Enrico di

Gand per descrivere la gerarchia di tutte le essenze possibili delle

creature (e cioè i diversi modi con cui Dio si ritiene imitabile dal-

le creature), cosi come vengono a costituirsi eternamente nell' esse

essentiae.Rispetto all'esse existentiae, e cioè rispetto alla causalità ef-

ficiente di Dio, questo stesso ordine non può però aver alcun va-

lore: Dio sceglie infatti quali possibili attualizzare solo in base al-

la libera decisione della propria volontà. In un cosmo omogenea-

mente eterno e necessario quale quello aristotelico non c'è alcun

spazio per una libertà di questo tipo. Non solo: pur non essendo-

vi alcun rapporto di causalità efficiente, tutti gli enti intermedi

appaiono ugualmente indispensabili - al pari del primo - perché

possano darsi anche quelli gerarchicamente inferiori. Per la teo-

logia cristiana, tutte le creature hanno un ordine reciproco tra lo-

ro, ma nessuna di esse dipende da un' altra per la produzione (a li-

vello di specie, s'intende) del proprio essere: tutte invece dipen-

dono allo stesso modo dalla volontà divina.V Cosi come attesta il

31. Cfr. Henr. de Gand., Quodl.VIII, q. 9,A f. I09vb, Bad. f. 3IsrP: «Sed ista po-sitio, quae putatur fuisse Philosophi, etsi non implicet contradictoria, supponittamen unum falsum, scilicet quod aliquid in suo esse essentialiter dependet abeo, a quo non habet esse »,

32. Cfr. Henr. de Gand., Quodl. VIII, q. 9,A f. I09vb, Bad. f. 3ISrP: «quantum-cumque sit essentialis ordo creaturarum inter se, quia tamen esse non habent ni-si a primo in suis speciebus, a nullo dependent in suo esse nisi a primo, ut una il-larum sicut nec secundum productionem in esse dependet ab alia, sic neque se-

cundum permanentiam suam in esse ».

'Ibmmaso d'Aquino e Enrico di Gand 247

racconto mosaico, Dio creò la vegetazione e i primi prodotti del-

la terra ancor prima di creare, nel quarto giorno, il sole, la luna e

le stelle, e ciò appunto - secondo la classica esegesi di Ambro-

gio 33 - per indicare di non avere in realtà alcun bisogno del con-

corso celeste per la produzione di tutte le cose. Ma ciò significa

anche, inversamente, che Dio potrebbe conservare nel futuro,

per tutta l'eternità, alcune creature anche indipendentemente

dalla connessione con le altre. Apparentemente marginale, que-

sta annotazione permette di richiamare un aspetto solitamente

trascurato del dibattito sulla possibile eternità del mondo. Per i

teologi scolastici si tratta a questo proposito non solo di negare -

contro i filosofi -l'eternità exparte antedi questo mondo, ma an-

che di affermare, dalla parte opposta, la possibile eternità ex parte

postdi ciò che è stato creato ed ha avuto un inizio.v' In base al ce-

lebre e controverso «principio di pienezza », per Aristotele è im-

possibile che ciò che non è esistito per tutta la durata del passato

possa esistere per tutta la durata del futuro, esattamente allo stes-

so modo in cui ciò che èesistito per tutto il passato deve esistere

per tutto il futuro.35 La fede, al contrario, insegna che tutti gli enti

sono stati creati -,- e dunque non sono di fatto esistiti per l'intera

durata del passato - e tuttavia alcuni di essi saranno conservati da

Dio in eterno. Ancora una volta, la differenza sta nel riconosci-

33. Cfr.Ambrosius, Hexaemeron, IV, c. I, nn. 3-4 (CSEL 32,I, ed. K. Schenkl, 112,13-113, I).34. Per questo stesso motivo, ad esempio, Tommaso d'Aquino considera l'ar-

gomento antieternalista di Filopono contrario alla fede (cfr.In Phys., VIII, 1. 21,ed.Marietti, 613, n. 1147).35. Cfr. Henr. de Gand., Quodl.VIII, q. 9,A f. rrora-b, Bad. f.3I5vT: «Ex quibus

patet, quod praeter generabileéceorruptibile non ponit Philosophus aliquid ali-quando non esse nisi semper naturaliter sit non ens in praeterito et futuro, ne-que esse aliquando, nisi semper naturaliter sit ens in praeterito et futuro, et quodnihil sit possibile esse quandoque ens et quandoque non ens, nisi habens contra-rium in materia, ex qua generatur quandoque, et est, et in quam corrumpiturquandoque, et non est ». Cfr. anche Averr., In De caelo, I, t.c, 124, ed. Iunt., v, f.84vL: «si aliquod positum fuerit semper ens, contingit ut semper sit in toto tem-pore, et quod illud quod in cuius natura est receptio aeternitatis, non recipit ae-ternitatem in praeterito absque futuro neque in futuro absque praeterito », Sulcosiddetto «principio di pienezza» in Aristotele (e le sue possibili differenti in-

terpretazioni) cfr.]. Hintikka, TimeandNecessity. StudiesonAristotle's Theory ofMo-dality, Oxford University Press, Oxford 1973, in parto il cap. 5 («Aristotle on theRealization of Possibilities in Time »), 93-113.

Pasquale Porro

mento del!'origine creaturale: poiché la sostanza aristotelica non

deve che alla sua natura la sua esistenza e la sua durata e poiché,

come già visto, tale natura è assolutamente immodificabile, nulla

può far si che ciò che è sempre esistito si corrompa o che ciò che

non è sempre esistito duri in eterno. Se si ammette invece che

anche la sostanza degli incorruttibili dipende da altro per la sua

produzione, la sua conservazione si troverà a dipendere dalla

stessa causa che la pone in essere. Ciò che Aristotele sostiene a

proposito del moto celeste - e cioè che la sua continuazione può

essere eternamente assicurata da ciò che lo produce - potrebbe

allora valere, ma solo exparte post, per la sostanza stessa dei corpi

celesti: ma anche su questo punto si avrà modo di tornare.

§5. L' «errore »di Aristotele non sta dunque nell' aver sostenu-to l'impossibile (terzo e quinto modo), ma nell'esser partito da

presupposti falsi. A differenza di molti esponenti della corrente

«antieternalista », Enrico non denuncia mai come sophisticae o

«frivole» le argomentazioni di Aristotele: tutt'al contrario, esse

sono assolutamente coerenti con i loro presupposti e da questo

punto di vista risultano valide e persuasive (< ••• ex falsis supposi-tis, servata bona forma arguendi, efficacissime concludit ..,.» ). Il

problema è che tali presupposti sono in realtà in contrasto in al-

meno quattro punti con i dogmi della fede, dal momento che si

assume: a) che il mondo non sia stato creato dal nulla; b) che Dio

non agisca in nessun modo causalmente sulle creature; c) che al-

cune sostanze generate non possano essere conservate dalla po-

tenza divina per tutto il futuro; d) che tutto il creato, infine, non

sia exsesolo in potenza all'essere, e dunque - in sé - propriamen-

te non essere.

Proprio perché coerenti, non è facile rispondere alle argomen-

tazioni aristoteliche. Ma d'altra parte è impossibile che a ciò che

è affermato dalla rivelazione manchino ragioni ancor più neces-

sarie e dimostrative, anche se non immediatamente evidenti.è" Si

36. Cfr. Henr. de Gand., Quodl., VIII, q. 9,A f. 110va,Bad. f. 316vX: «cum fun-damenta illa sint impossibilia et opposita eorum necessaria, impossibile est,

quod necessariis desint necessariae rationes et magis evidentes quam induci pos-

Tbmmaso d'Aquino e Enrico di Gand 249

tratta dunque, per Enrico, di rimuovere i fondamenti stessi del

modo di procedere di Aristotele.'? Non prima tuttavia di aver ri-

levato un fatto fondamentale: Aristotele non ha mai ammesso la

possibilità di un mondo creato eterno, ne ha anzi apertamente de-

nunciato la contraddittorietà. Il mondo è eterno proprio in quan-

to non è creato. Siamo già, com' è evidente, agli antipodi della po-

sizione tomista. Ancora nel De aeternitate mundi, Tommaso aveva

ribadito che il fatto di porre l'esistenza di qualcosa di eterno non

creato da Dio costituiva un «errore abominevole » in cui nessun

filosofo - e tanto meno dunque Aristotele - era mai incorso.èf

Enrico, al contrario, non ha dubbi: «Et sic, appellando creaturam

quidquid est aliud a Deo, Philosophus posuit plurimas creaturas

esse ex se formaliter necesse esse, quod omnino falsum est: im-

sint pro ipsis fundamentis impossibilibus, licet rationes illae non omnibus per-spicuae esse possint s ,37. Cfr. Henr. de Gand., Quodl. VIII, q. 9, A f. rrorb, Bad. f.316rT.38. Cfr. Thom. Aq.,De aetemitate mundi, in Opera Omnia,t. 43,Editori di San

Tommaso, Santa Sabina 1976,85,6-13:«Si enim intelligatur quod aliquid praeterDeum potuit semper fuisse quasi possit esse aliquid, tamen ab eo non es-ror abhominabilis est, non solum in fide, sed etiam apud philosophos, confì-tentur et probant omne quod est quocumque modo esse non posse, sit cau-satum ab eo qui maxime et uerissime esse habet ». Si vedano naturalmente an-

che i passi già citati in precedenza nella nota 19.Nella Summa theologiaeart. 2, adprimum), Tommaso sembra invece nutrire qualche dubbio t'1l1l I Pllll·..... ll ... ,""1l"....

mità delle opinioni dei filosofi a questo riguardo: «[ •••] philosophorum ponen-tium aeternitatem mundi, duplexfuit opinio, Quidam enim posuerunt

substantiamundi non sita Deo. Et horum est intollerabilis error,tate refellitur. Quidam autem sic posuerunt mundum aeternum,mundum a Deo factum dixerunt »(utilizziamo l'edizione: S.Thomae .dQ1Uln:atlSSumma theologiae, cum textu ex recensione leonina, cura et studio P. L.;ararneJ.lO,Marietti, Taurini-Romae 1952-56, 237). Curiosamente, nel suo primo Quodlibet,Enrico di Gand sembra essere pio vicino alla posizione tenuta da Tommaso nelDe aetetnitate: « [•.• ] sciendum quod communis omnium tam philosophorumquam infidelium erat opinio, creaturam in quantum creatura est, non habere es-se nisi participatum, et ideo non a se sed ab alio, 'luod est ipsum esse suum peressentiam » (Quodl. I, qq. ']-8, ed. Macken, 32,31-34). Enrico ha quindi progressi-vamente modificato la sua strategia: se nel Quodl. I era stato sufficiente ribadire- contro una linea interpretativa che univa Bacone allo stesso giovane Tommaso-l'effettiva adesione aristotelica alla tesi dell' eternità del mondo, nel Quodl. VIIIsi tratta principalmente di mostrare che il cosmo aristotelico non è creato, e per-tanto può legittimamente essere assunto come eterno. Si noterà la conclusione

implicita: la tesi di Aristotele è semplicemente falsa; quella dei «catholici » cheammettono la possibilità di una creazione eterna è invece impossibile.

Pasquale Porro

mo omnis creatura et omne aliud a Deo ex se est possibile esse et

non esse ».39

§ 6. Non è dunque su Aristotele, per Enrico, che possono farpoggiare i loro argomenti coloro che sostengono la possibilità di

una creazione eterna, ma solo su qualcuno che abbia effettiva-

mente ammesso la produzione di tutte le cose (in sé solo possibi-

li) a partire da un unico ente necessario. Il riferimento è eviden-

temente ad Avicenna, «cuius opinio in hoc multo verior fuit et

propinquior veritati catholicae». In accordo con la fede, Avicenna

pone di fatto che la creatura riceva tutto il proprio essere da Dio;

nega che il mondo abbia avuto inizio in un ipotetico tempo pre-

cedente la creazione stessa; concede - contro Aristotele - che

parte di esso possa essere eterno exparte postpur essendo per sua

natura contingente. Nondimeno, la sua posizione «deficit in

duobus », Si tratta per altro di due punti ben noti. In primo luogo,

la «creazione » 40 avicenniana è in realtà una forma di emanazio-

nismo necessitaristico: per quanto la creatura sia ex semeramente

possibile, essa non può non fluire dalla sua causa e riceve pertan-

to il suo essere in modo necessario. In secondo luogo, la posterio-

rità dell' essere rispetto al non-essere nelle creature è intesa da

Avicenna in senso puramente metafisico e non cronologico.'!

39. Henr. de Gand., Quodl. VIII, q. 9, A f. rrorb, Bad. f. 316rT.40. «Creatio » è del resto un termine che compare esplicitamente nella ver-

sione dellaMetafisica avicenniana, dove è usato talvolta per rendere ibda: e talvol-ta khalq. Cfr. ad es.Avicenna Latinus, Liberde philosophia prima sive scientia divina,ed. S.Van Riet, Peeters, Louvain-E.J. Brill, Leiden 1977-83, VI, c. 2, 303,63- 304,69:«cum aliqua ex rebus per essentiam fuerit causa esse alterius rei semper, profec-to semper erit ei causa quamdiu illa habuerit esse, et si fuerit semper esse huius,semper erit esse illius. Res igitur huiusmodi omnibus causis est dignior in causa-litate, eo quod absolute prohibet rem non esse: haec igitur est causa quae dat reiesse perfectum; et haec est intentio quae apud sapientes vocatur creatio [ibdac],quod est dare rei esse post non esse absolute ».41. Cfr. Avic. Lat., Liberdephilosophia prima, VI, c. 2, ed. Van Riet, 304, 70-74:

«Causatum enim quantum est in se, est ut sit non, quantum vero ad causamsuam est ei ut sito Quod autem est rei ex seipsa apud intellectum prius est per es-sentiam, non tempore, eo quod est ei ex alio a se; igitur omne causatum est enspost non ens, posterioritate essentiae ». Nel Quodlibet I, Enrico aveva sottolinea-to la differenza da un altro punto di vista: per i filosofi (Avicenna), il non-essereprecede l'essere nella creatura «solum in intellectu » e non « in re ipsa» (cfr.

Tommaso d'Aquino e Enrico di Gand

L'essere è cioè qualcosa che sopravviene alla creatura in quanto

non fa parte della sua essenza, ma non per questo la creatura si

trova realmente per un certo periodo nel non essere prima di ri-

cevere l'essere. Piuttosto, una volta posta la causa, viene insieme

posto anche il suo effetto: 42 se dunque la causa è eterna, eterno

Q.uodl. I, qq. 7-8, ed. Macken, 33,54-56). A di Macken, Enrico potrebbequi aver di mira anche Egidio Romano (La temporalité, 230, n. 88).42. Com'è noto, anche Tommaso insiste più volte sullo stesso punto: quando

la causa produce il suo effetto immediatamente, non è necessario che lo preceda

nel tempo. Cfr. S. theol., I, q. 46, art. 2, adprimum, ed. Marietti, 237-38: «conside-randum est quod causa efficiens quae agit per motum, de necessitate praecedittempore suum effectum: quia effectus non est nisi in termino actionis, agens au-

tem omne oportet esse principium actionis. Sed si actio sit instantanea, et nonsuccessiva, non est necessarium faciens esse prius facto duratione; sicut patet in

illuminatione. Unde dicunt quod non sequitur ex necessitate, si Deus est causa

activa mundi, quod sit prior mundo duratione: quia creatio, qua mundum pro-duxit, non est mutatio successiva »; Summacontra Genti/es, II, c. 38: «Quod enimprimo dicitur, agens de necessitate praecedere effectum qui per suam operatio-nem fit, verum est in his quae agunt aliquid per motum: quia effectus non est ni-

si in termino motus; agens autem necesse est esse etiam cum motus incipit. Inhis autem quae in instanti agunt, hoc non est necesse » (utilizziamo l'edizione: S.

Thomae Aquinatis LiberdeVéritate Catholicae Fidei contra errores Infldelium seu Sum-macontra Genti/es, textus leoninus diligenter recognitus, cura et studio C. Pera, P.Mare, P. Caramello, Marietti, Taurini-Romae 1961, 154, n. 1143).Di fatto, la causaprecede cronologicamente l'effetto solo quando l'azione avviene permotum, mala creazione - contrariamente qui a quanto posto dallo stesso Avicenna non

rappresenta né un movimento né una mutazione; cfr. In IISent., distoI, q. I, art. 5,ad B"m, ed. Mandonnet, 35: «novitas relationis contingit non ex mutationemo-

ventis, sed ex mutatione mobilis, ut large mutatio sumatur pro creatione, quae

proprie mutatio non est »; S. theol., I, q. 45, art. 2, ad2 um, ed. Marietti, 2.28:«dicen-dum quod creatio non est mutatio nisi secundum modum intelligendi tantum.

Nam de ratione mutationis est, quod aliquid idem se habeat aliter nunc et prius

[...l sed in creatione, per quam producitur tota substantia rerum, non potest ac-cipi aliquid idem aliter se habens nunc et prius, nisi secundum intellectum tan...

tum; sicut si intelligatur aliqua res prius non fuisse totaliter, et postea esse »; S.

theol., I, q. 46, art. 3, ad2 um, ed. Marietti, 239: «Creatio autem neque est motus ne...que terminus motus »; Compendium theologiae, c. 99 (in S. Thomae AquinatisOpuscula theologica, vol. I, cura et studio R.A. Verardo, Marietti, Taurini-Romae1954,49, n. 190): « Sic igitur etsi mundus esse inceperit postquarn non fuerat, nonoportet quod hoc per aliquam mutationem sit factum, sed per creationem, quaevere mutatio non est, sed quaedam relatio rei creatae, a creatore secundum

suum esse dependentis, cum ordine ad non esse praecedens »; C. Gent., II, c. 17(( Quod creatio non est motus neque mutatio »), ed. Marietti, 126- 27, n. 950:«Oportet quod motus vel mutatio duratione praecedat id quod fit per mutatio-nem vel motum [... l. In creatione autem non potest hoc esse: quia, si ipsa crea-tio praecederet ut motus vel mutatio, oporteret sibi praestitui aliquod subiec-

Pasquale Porro

sarà anche l'effetto, senza che con ciò venga minimamente com-

promessa la relazione di dipendenza.

Laprima di queste due tesi, identificabile con il sesto dei modi

prima esposti (( ex se possibile esse, sed ab alio causative necesse

esse»),è per Enrico palesemente insostenibile tanto exparte crea-

turae quanto ex parte Dei.Che qualcosa sia possibile ex se e necessa-

rium abalio è esattamente quanto, come già visto, prima Aristote-

le e poi Averroè escludono come insensato: nulla può essere in-

sieme possibile e necessario, cosi come nulla (ad eccezione del

moto celeste) può diventare da possibile necessario mutando la

propria natura sostanziale. Dalla parte opposta, se il possibile

fluisse necessariamente da Dio, e il possibile è in assoluto ciò che

può anche non essere, allora Dio stesso potrebbe in qualche mo-

do non essere, compromettendo la sua natura di necesse esse. Se il

possibile è un effetto necessario, allora la possibilità è contenuta

fin dall' inizio, contraddittoriamente, nella natura dell' essere ne-

cessario. E ancora: poiché Dio sarebbe «costretto» ad agire se-

condo necessità per produrre dell' essere diverso da sé, si trove-

rebbe in qualche modo a dipendere da quest'ultimo per la perfe-

zione della propria natura, e in tal caso la creazione istituirebbe

tum; quod est contra rationem creationis » (i capitoli 16 e 17del II libro della C.Cento sono di fatto dedicati interamente al problema). Sulla stessa base, 'Iomma-so distingue anche tra ogni agens particulare, che può agire solo per via di muta-zione a partire da una materia preesistente, e l'unico agens universale (Dio), chepone la totalità dell' essente senza partire da nulla di preesistente e dunque senza

mutazione alcuna (cfr.S. theol., I, q. 45,art. 1,resp.; C.Gent., II, c. 16;Comp. theol., c.98).Una distinzione simile è utilizzata anche da Enrico di Gand (che preferisceperò parlare di Dio come « causa extrinseca omnium essentialissima »;cfr.Quodl.VIII, q. 9,A f. 113 ra, Bad. f.320rK).E tuttavia, per Enrico, la creazione è comunqueuna forma particolare di mutamento (dall' esse essentiae all'esse existentiae), anchese non di movimento; cfr.Quodl. I, qq. 7-8,ed. Macken, 37, 37-41: «actus creatio-nis, etsi non sit vera transmutatio ut est illa quae est naturalis, quia tamen est denon esse in esse, modum mutationis habet, non motus, ad modum actionis quarei acquiritur esse per generationem naturalem. Et non est differentia, nisi quodgeneratio est ex materia, creatio autem est ex nihilo ».Per Hissette, Enrico è cosiil probabile responsabile dell'introduzione nella lista di Tempier del 7 marzo

1277 dell' art. 187(217 nella numerazione del Chartularium): «Quod creatio nondebet dici mutatio ad esse - Error, si intelligatur de omni modo mutationis ».Cfr.

R. Hissette, Enquète surles 219 articles condamnés à Paris le 7 mars 1277,PublicationsUniversitaires, Louvain - Vander-Oyez, Paris 1977(Philosophes Médiévaux, 22),

277-80.

Tbmmaso d'Aquino e Enrico di Gand 253

una relazione reale anche dalla parte del creatore: con la creazio-

ne, cioè, anche Dio verrebbe ad acquisire qualcosa di nuovo, rive-

landosi cosi mutevole al pari delle creature. Avicenna stesso sem-

bra per altro essersi reso perfettamente conto della difficoltà,43 ri-

tenendola comunque preferibile a quelle sollevate dall'idea di

una creazione de novo, in cui un movimento sembrerebbe avere la

precedenza sull' essere.r' La via tentata da Avicenna è allora quel-

la di riportare ogni relazione tra il necessario e il possibile non di-

rettamente all'essenza divina, ma alla sua scienza; 45 l'emanazio-

n'e delle intelligenze - e dunque il problema topico del neoplato-

nismo del passaggio dall'unità alla molteplicità - avviene di fatto,

nel sistema avicenniano, in virtù di un atto di intellezione. Solu-

zione del tutto illusoria e superflua, a giudizio di Enrico, perché

la scienza divina è altrettanto necessaria e immutabile quanto la

sua essenza." Per sfuggire alle contraddizioni del necessitarismo

43. Cfr. Avic. Lat., Liberdephilosophia prima, VIII, c. 7, ed. Van Riet, 427, 67-68:«Si vero posuerint ea [scii. intellecta] sequentia sua essentiam, accidet suae essen-tiae quod ex parte eorum non fit necesse esse propter applicationem ad possibile

esse ».

44. Cfr. Henr. de Gand., Quodl. VIII, q. 9,A f. rrovb, Bad. f. 3I6vY: «Unde du-rum fuit Avicennae hoc ponere, quia ponit quod Deo aliquid perfectionis acqui-ritur per creatum. Sed durius videbatur ipsi ponere, quod de novo creaturamproduceret, quia, ut dicit in libro VI, necessario praecederet in esse suo motus s.

Cfr. in proposito Avic. Lat.,Liberde philosophia prima, VI, c. 2, ed.VanRiet, 304,75-83: «Si autem laxaverint nomen inceptionis circa omne quod habet esse postnon esse, quamvis non sit haec posterioritas tempore, tunc omne causatum erit

incipiens. Si vero non laxaverint, sed fuerit condicio incipientis ut habeat esse

quo tempus sit prius, tunc destruitur illud prius propter adventum suum post il-lud, eo quod posterioritas eius est talis posterioritas quod non est simul cum

prioritate, immo est discreta ab ea-in esse, quia temporalis est, et sic omne causa-tum est incipiens, quia est causatum cuius esse praecedit tempus, et praecedit

eius esse sine dubio motus et perrnutatio »,

45. Cfr. Avic. Lat.,Liberdephilosophia prima, VIII, c. 7,ed. Van Riet, 427,70-428,

79·46. Cfr. Henr. de Gand., Quodl. VIII, q. 9,A f. rrovb, Bad. ff.3I6vZ-3I7rZ: «Sed

hoc nihil est pro eo, quoniam non minus est necesse esse eius scientia, quam eius

essentia; ergo si non est curandum si eius essentia accipiatur cum aliqua relatio-

ne ad posse esse, in quantum est essentia, nec in quantum non est essentia, sedscientia, quoniam tantum curandum est, ne scientia non sit necesse esse, quan-

tum ne essentia ». Sulla critica di Enrico all' emanazionismo avicenniano si veda

R.Macken, AvicennasAuffassung von der Schopfung derWelt undihre Umbildung inderPhilosophie des Heinrich von Gent, in Philosophie im Mittelalter, 245-57.

Pasquale Porro

non rimane dunque che ricondurre, conformemente alla fede, la

produzione dell' essere creato alla volontà libera del creatore.

§7. E arriviamo cosi al settimo modo (< ex se possibile esse, etsimiliter ab alio causative possibile esse, ab aeterno»), quello ap-

punto di coloro, tra i cristiani, secondo cui Dio dà l'essere alle

creature volontariamente e non necessariamente, in modo tale,

però, che se avesse voluto, avrebbe potuto attribuire loro l'essere

dall' eternità, anche se di fatto ciò non è accaduto (< ..•non de ne-cessitate, sed voluntarie Deus dat esse creaturae, ita etiam quod

ab aeterno potuisset ei esse dedisse si voluisset, licet non dedit»).

Per quanto linguisticamente ostica, la circonlocuzione con cui

Enrico designa i sostenitori della possibile eternità del mondo è

fondamentalmente corretta. Dal momento che la volontà di Dio

è libera ma comunque immutabile, la possibilità di cui qui si par-

la vale in assoluto e non riguarda questo mondo.f? Poiché infatti

47. Cfr. Henr. de Gand., Quodl.VIII, q. 9,A f. rrrra, Bad. f. 317rB: «Sicut enimmundus factus non est ab aeterno et potuit fuisse factus, sic Deus voluit mun-dum non fuisse factum ab aeterno, et potuit sine mutatione voluisse mundumfuisse factum ab aeterno. Et si ponatur in esse, quod fuit factus ab aeterno, simulponetur in esse, quod Deus voluit eum fuisse factum ab aeterno, non tamenquod potuit voluisse factum fuisse postquam voluit non fuisse factum: hoc enimponeret in eo mutationem, sicut non potest poni fuisse factum ab aeterno post-quam non fuit factus: hoc enim in eodem poneret contradictionem ».Va dettoche Enrico non prende qui in considerazione l'argomento, utilizzato pio volte

daTommaso (cfr.ad es. S. theol., I, q. 46, art. 2, resp.; Quodl.III, q. 14,art. 2), secondocui la non eternità del mondo è indimostrabile in quanto la volontà di Dio è in-conoscibile. Nel Quodl.I, l'obiezione era stata invece tenuta in conto; cfr.Quodl.

I, qq. 7-8,ed. Macken, 34, 70-76: «Et dicunt aliqui quod non repugnat ei sed ta-men, quod creaturam ex tempore produxit, hoc mere voluntatis Dei fuit, cuiuscausa quaerenda non est, quia hoc quaerere esset causam quaerere eius, cuiusnon est causa, ut dicit Augustinus. Qui et cum hoc dicunt, quod sola fide teneturcreaturam non semper fuisse nec demonstrative probari posset, quia quod quidest creaturae ab omni duratione abstrahit ». Si noti anche l'accenno finale all' al-tro argomento tomi sta dell' atemporalità delle essenze (ancora nella S. theol., I, q.46,art. 2, resp.) , che perEnrico, in virtù della separazione tra esse essentiae e esse exi-stentiae, non ha ovviamente alcun significato (Quodl. I, qq. 7-8,ed. Macken, 35,84-86: «Nec valet eorum ratio quoniam, licet quod quid est rei absolute acceptum,abstrahat ab hic et nunc, existentia tamen eius actu sive esse in effectu non sem-per abstrahit ab hic et nunc»). Nel Quodl.VIII, manca anche ogni riferimento al-l'argomento basato sull' analogia con la predestinazione, lungamente discusso

nel Quodl.I (ed. Macken, 40,9-19;45-46,35-66; cfr.in proposito anche Dales,Me-dieval Discussions, 168-69).

'Ibmmaso d'Aquino e Enrico di Gand 255

tutti ammettono con la rivelazione che questo mondo non è

eterno, esso non avrebbe in nessun caso potuto essere eterno,

poiché Dio dall'eternità non lo ha voluto tale. Questa è ad esem-

pio, come conviene ricordare, esattamente la posizione a cui

Tommaso si attiene nel De potentia: «supposita catholicae fidei

veritate, dici non potest, quod aliquid a Deo procedens in essen-

tia diversum, potuerit semper esse. Supponit enim fides catholica

omne id quod est praeter Deum, aliquando non fuisse. Sicut au-

tem impossibile est, quod ponitur aliquando fuisse, numquam

fuisse: ita impossibile est, quod ponitur aliquando fuisse, semper

fuisse ».48

48. Thom. Aq.,Depot.,q. 3, art. 14,resp. (utilizziamo l'edizione contenuta in S.Thomae Aquinatis Quaestiones disputatae, vol. II, cura et studio P.Bazzi, M. Calca-terra, T.S. Centi, E. Odetto, P.M. Pession, Marietti, Taurini-Romae 1965, 78). Èqui fondamentale, perTommaso, la distinzione tra potenza attiva e potenza pas-siva: in senso assoluto, l' onnipotenza divina può realizzare un mondo eterno,ma se si accetta per fede che questo mondo ha avuto inizio, non si ha qui la ne-cessaria potenza passiva, e cioè la capacità, da parte di questo mondo, a esisteresempre. Analogamente Tommaso distingue tra ciò che è assolutamente necessa-rio e ciò che è necessario sotto una determinata condizione. Se qualcosa non èassolutamente necessario, il suo contrario è in senso assoluto possibile; se qual-cosa è condizionalmente necessario, il suo contrario, sotto la medesima condi-zione, è impossibile. Ora, non è assolutamente necessario che il mondo abbiaavuto inizio nel tempo: dunque, in senso assoluto, è possibile che il mondo siaeterno. È tuttavia condizionalmente necessario che il mondo abbia avuto iniziouna volta presupposta la rivelazione: il contrario è quindi, da questo punto di vi-sta, impossibile. Si è spesso tentato di interpretare la posizione di Tommaso allaluce della tripartizione proposta da Egidio nel Commento al primo libro delleSentenze e già citata in precedenza (cfr.n. 3). Secondo Macken, ad esempio, Tom-maso non ha mai difeso la possibilità di un mondo eterno, e se l'idea che la noneternità del mondo sia indimostrabile corrisponde ad alcune sue affermazioni,la sua posizione genuina è che le prove finora portate a sostegno della tempera-lità dell'universo non sono dimostrative (La temporalité radicale, 256). In un arti-colo molto noto,Wippel ha invece cercato di individuare un' evoluzione precisanel pensiero di Tommaso. Il De aeternitate mundi rappresenta secondo Wippel ilculmine di questa progressiya (e doppia) radicalizzazione: Tommaso ammettequi espressamente la legittimità assoluta di una creazione eterna, rigettando inmodo altrettanto categorico la possibilità concreta dell' eternità di questo mon-do (se l'inizio del mondo è posto per fede, è infatti «eretico » porre nella creatu-ra la potenza ad esistere sempre). Cfr.J.F.Wippel,Did Thomas AquinasDefend thePossibility oJan Eternally Created World? (The aeternitate mundi Revisited), «J. Hist,Philos. », 19 (1981),21-37. In un recente intervento piuttosto polemico, Bukowskinega tanto che la griglia egidiana possa essere di aiuto per comprendere la posi-zione tomista quanto che nelle opere di Tommaso sia possibile rintracciare un

Pasquale Porro

La questione è dunque un' altra: se Dio avessevoluto (ma non

ha voluto), il mondo avrebbe potuto essere eterno? Rispondere

affermativamente significaporre che non esiste alcuna incompa-

tibilità di principio tra il concetto di creatura e quello di esistenza

eterna 49 - ciò che per l'appunto alcuni si sono sforzati di dimo-

strare tanto per via razionale quanto con esempi.

In primo luogo, per i fautori della tesi in questione sembra non

esserci alcun inconveniente a porre che le cose che non sono si-

particolare percorso evolutivo: la tesi della possibile eternità del mondo si ritro-va per Bukowski, almeno a livello implicito, in tutti i luoghi in cui Tommaso haaffrontato la questione. Cfr.Th. P.Bukowski, Understanding St.Thomas ontheEter-nityoftheWorld: HelpfromCi/esoJRome?, «Rech. Théol. anc.méd, »,58 (1991),113-25. Naturalmente, molto dipende qui dalla collocazione cronologica del De ae-ternitate mundi:Bukowski, con Pelster e Hendrickx, ritiene che l'opera apparten-ga al periodo giovanile, e che l'avversario diTommaso sia ancora, principalmen-te, Bonaventura; Brady, identificando in Peckham il probabile destinatario dellecritiche tomiste, include al contrario lo scritto nel gruppo delle ultime opere pa-rigine; Weisheipl, infine, nella stessalinea, considera il Deaeternitate sicuramenteposteriore al Commento all'ottavo libro della Fisica, ponendo COSI come terminus aquo la primavera del 1271. Cfr. F. Pelster, DieDatierung vonDe aeternitate mundi,«Gregorianum », 37 (1956), 618-21; F.Hendrickx,DasProblem derAeternitasMundibei Thomas vonAquin,«Rech.Théol. anc. méd, »,34 (1967),219-37; Th. P.Bukows-ki, An EarlyDatingforAquinas's "De aeternitate mundi"; «Gregorianum »,SI (1970),277-304; I.Brady,john Pecham andtheBackground oJAquinas'Deaeternitate mundi, inSt. Thomas 1274-1974. Commemorative Studies, Pontificai Institute of MediaevalStudies, Toronto 1974, II, 141-78;J.A. Weisheipl, TheDate andContextofThomas'sDe aeternitate mundi, in Graceful Reason. EssaysinHonour oJ]oseph Owens, ed. L.P.Gerson, Pontificai Institute of Mediaeval Studies, Toronto 1983, 239-71. Gli edi-tori della Leonina, per parte loro, sembrano propendere per la datazione piu tar-da (cfr.Thom.Aq., Opera Omnia,t. 43, 55). Non è facile neppure stabilire seEnri-co abbia effettivamente avuto accesso allo scritto, dal momento che gli stessieditori parlano di una circolazione assai limitata tra il 1270 e il 1290 («cette petiteQuaestio assez percutante ne parait pas intervenir dans les controverses des an-nées 1270-9°, si sensibilisées pourtant à ce problème »; Thom. Aq.,Opera Omnia,t. 43, 57). Il fatto che Luca Bianchi (L'errore diAristotele, 128, n. 57) abbia però sco-perto probabili riferimenti in Guglielmo di Falagar e in Olivi, e che Goffredo diFontaines sia stato sicuramente in possesso di una copia già verso la metà deglianni' 80 - oltre alla citazione quasi letterale, da parte di Enrico, dell' esempio to-mista del sole e del corpo opaco (di cui ci occuperemo più oltre) - non ci porta-no ad escludere questa eventualità.

49. Cfr. Thom.Aq.,Depot.,q. 3,art. 14, resp., ed.Marietti, 80: «Si ergo conside-retur hoc enuntiabile, aliquid diversum in substantia existens a Deo fuisse sem-per, non potest dici impossibile secundum se, quasi sibi ipsi repugnans: hocenim quod est esse ab alio, non repugnat ei quod est esse semper [... ] nisi quandoaliquid ab alio procedit per motum, quod non intervenit in processu rerum aDeo».

Tommaso d'Aquino e Enrico di Gand 257

multanee per natura lo siano invece per durata. Platone afferma

ad esempio nel Timeo che il mondo si genera a partire da elemen-

ti semplici, senza che tuttavia questi ultimi - stando almeno alla

«correzione» introdotta da Aristotele e Averroè - precedano

realmente nel tempo il composto che si viene a formare. so La

priorità dei principi è qui puramente logico-metafisica, allo stes-

so modo in cui, in campo geometrico, le linee e le superfici sono

in qualche modo anteriori - ma non certo per durata - alle figure

che da esse traggono origine. Analogamente - e veniamo cosi alla

seconda delle tesi avicenniane prima ricordate - si potrebbe dire

che il non essere precede l'essere nella creatura perché quest'ul-

tima non sarebbe qualora qualcos' altro non le attribuisse l'essere,

ma non perché si dia effettivamente un tempo anteriore in cui

essa sia nulla prima di ricevere l'essere. È perfino superfluo ricor-

dare come questo tipo di esegesi della formula «post non esse»

sia quella sostenuta anche da Tommaso nel De aeternitate mundi:

«ordo multiplex est, scilicet durationis et nature; si igitur ex com-

muni et uniuersali non sequitur proprium et particulare, non es-

set necessarium ut, propter hoc quod creatura dicitur esse post ni-

chil, prius duratione fuerit nichil et postea fuerit aliquid, sed suf-

ficit si prius natura sit nichil quam ens. Prius enim naturaliter

inest unicuique quod conuenit sibi in se, quam quod solum ex

alio habetur; esse autem non habet creatura nisi ab alio, sibi au-

tem relicta in se considerata nichil est: unde prius naturaliter est

sibi nichilum quam esse. Nec oportet quod propter hoc sit simul

50. Cfr. Henr. de Gand., Quodl. VIII, q. 9, A f. IIIra, Bad. f. 317rC: «Et videturaliquibus hoc poni posse rationabiliter, et ratione et exemplis. Ratione, quia nul...lum est inconveniens, aut impossibile ea, quae non sunt simul secundum esse,quod simul sint duratione. Quod non solum patet ex auctoritate Avicennae et inmodo positionis suae de productione rerum ab aeterno, sed etiam ex auctoritatePlatonis et Philosophi consentientis in hoc Platoni, et hoc in modo positionisPlatonis de productione rerum ex tempore [... l. Posuit etiam eum lscil. mun-dum] sic generari non in tempore quod mundus sit generatus ex rebus simplici-bus ex quibus componitur, non ita quod simplicia sint priora compositio tempo-re, sed natura et esse solummodo, quemadmodum in geometricis lineae et su-perficies sunt priores figuris quae ex illis componuntur ». La correzione aristote-lico-averroista appare però non propriamente irrilevante: «Unde quod Platoposuit principia, ex quibus mundum composuit priora mundo in esse et natura,quoad hoc non disputat contra ipsum, sed solum quoad hoc, quod Plato posuitilla praecedere secundum saeculum et durationem infinitam aeternitatis» (A f.rrrra-b, Bad. f. 3I7r-vC).

Pasquale Porro

nichil et ens, quia duratione non precedit; non enim ponitur, si

creatura semper fuit, ut in aliquo tempore nichil sit, sed ponitur

quod natura eius talis esset quod esset nichil, si sibi relinquere-

tur ».51

In secondo luogo, Aristotele ha posto, a proposito del moto ce-

leste, che ciò che non ha in sé la causa del proprio essere e della

propria permanenza possa essere perpetuato da ciò da cui riceve

l'essere. Ora, anche la creatura, in quanto tale, non può né venire

all'essere né permanere ex se, ed anzi cadrebbe immediatamente

nel nulla, secondo la classicaespressione di Gregorio, se Dio non

la reggesse con la mano della sua onnipotenza: 52 di conseguenza,

anche la creatura potrebbe benissimo essere perpetuata, tanto ex

51.Thom. Aq., De aet. mundi, in Opera Omnia, t. 43, 87,184-88,200. Cfr. ancheDepot.,q. 3,art. 14,adrm

, ed. Marietti, 81:«Potest enim dici, sicut et Avicenna di-

cit, quod non esse praecedat esse rei, non duratione sed natura; quia videlicet, si

ipsa sibi relinqueretur, nihil esset: esse vero solum ab alio habet. Quod enim est

natum alicui inesse ex se ipso, naturaliter prius competit ei, eo quod non est ei

natum inesse nisi ab alio », In entrambi i casi, Tommaso si riferisce anche ad uno

dei possibili significati di exnihilo già individuati da Anselmo (Monologion, c. 8), ecioè nonexaliquo : una cosa può intendersi fatta dal nulla quando manca qualcosadi preesistente da cui possa essere stata fatta. Occorre tuttavia ricordare che que-

sto tipo di interpretazione era stato censurato nel sillabo di Tempier (art. 83nella

numerazione di Mandonnet e Hissette, 99 in quella del Chartularium): «Quod

mundus, licet sit factus de nihilo, non tamen est factus de novo; et quamvis

non esse exierit in esse, tamen non esse non praecessit esse duratione, sed natu-

ra tantum », Tanto per Hissette (Enquete, 147-49) quanto per Luca Bianchi(L'errore di Aristotele, 137-38) la responsabilità dell'inclusione dell'articolo nell'e-lenco delle proposizioni condannate potrebbe esser stata proprio di Enrico di

Gand.

52. Cfr. Gregorius,Moralia in Iob, XVI, 37, 45 (CCSL 143,ed. M. Adriaen, 825,8-IO). Il riferimento compare, nello stesso contesto, in Tommaso d'Aquino. Cfr. InII Sent., distoI, q. I, art. 5,ad2 um, ed. Mandonnet, 38: «Quaelibet autem res praeterDeum habet esse ab alio. Ergo oportet quod secundum naturam suam esset non

ens, nisi a Deo esse haberet; sicut etiam dicitGregorius [... ] quod omnia in ni-

hilum deciderent, nisi ea manus omnipotentis contineret: et ita non esse quod

ex se habet naturaliter, est prius quam esse quod ab alio habet, etsi non duratio-

ne». Cfr. anche In I Sent., disto 8, q. 3, art. 2, ed. Mandonnet, 214: «Esse autemcreaturae omnino deficere non potest, nisi retrahatur inde fluxus divinae boni-

tatis in creaturis, et hoc est impossibile ex immutabilitate divinae voluntatis, et

contrarium necessarium; et ideo ex hoc creatura non potest dici simpliciter cor-

ruptibilis vel mutabilis sed sub conditione si sibi relinquatur, et hoc est quod di-

cit Gregorius [ ... ]».

'Ibmmaso d'Aquino e Enrico di Gand 259

parte ante quanto expartepost, da ciò da cui riceve il proprio essere,

e cioè da Dio.53

Il fenomeno dell'illuminazione sembra infine offrire una ri-

prova immediata di quanto detto. Se vi fosse un corpo luminoso

eterno, come il sole, opposto senza ostacoli ad un illuminabile al-

trettanto eterno (ad esempio l'aria), il sole illuminerebbe abaeter-

no l'aria, anche se quest'ultima rimarrebbe sempre, per natura e

non per tempo, opaca «prima» che luminosa. Se dunque ciò che

è in sé solo in potenza ad essere illuminato può essere reso lumi-

noso abaeterno da altro, anche ciò che è solo possibile rispetto al-

l'essere può essere tenuto eternamente nell' esistenza da altro.v'

E non a caso anche l'esempio dell'illuminazione compare espli-

citamente nel De aeternitate mundi: «quia omne quod fit ex incan-

tingenti fit, id est ex eo quod non contingit simul esse cum eo

quod dicitur fieri, oportebit dicere quod sit factus lucidus ex non

lucido uel ex tenebroso; non ita quod umquam fuerit non lucidus

uel tenebrosus, sed quia esset talis si eum sibi sol relinqueret. Et

hoc expressius patet in stellis et orbibus que semper illuminantur

a sole ».55

53. Cfr. Henr. de Gand., Quodl. VIII, q. 9, A f. III rb, Bad. f. 31']VC: «Praetereaarguunt ad idem sic: secundum Philosophum, id quod nec habere esse potest,

neque permanere in esse ex se, sed solummodo ab alio, etsi ex se sit possibile es-

se, ab alio tamen potest habere perpetuum et in omni praeterito, et in omni fu-turo esse, ut dictum est de motu, Creatura autem in quantum creatura est nec

esse potest habere, nec permanere in esse ex se sed solummodo ab alio, ut a Deo

[...l.Licet ergo ex se tantummodo sit possibile esse, a Deo tamen potest habereesse perpetuum et in omni praeterito absque initio temporis, sicut et in omni fu-turo absque termino».

54. Cfr. Henr. de Gand., Quodl. VIII, q. 9,A f. 111rb,Bad. f. 31']VC: «Et hoc con-firmant per exemplum. Si enim esset corpus luminosum aeternum, puta sol, op-positum absque impedimento aeternaliter illuminabili aeterno puta aeri, sol ab

aeterno aerem illuminasset, et tamen ex se de natura sua prius esset tenebrosus,quam illuminatus, licet non duratione. Et ita sicut possibile illuminari ex se ab

aeterno posset illuminatum esse ab alio, sic possibile esse vel creari ex se, ab alio

aeternaliterpotest habere esse, vel creatum fuisse »,Un esempio analogo era sta-

to citato anche nel Quodl. I, qq. ']-8 (ed. Macken, 32, 10-15).55.Thom.Aq.,De aet. mundi, in Opera Omnia,t. 43,88,202-10 (in forma legger-

mente diversa, lo stesso argomento si ritrova anche nel De aeternitate mundidiBoezio di Dacia).

260 Pasquale Porro

§ 8. La confutazione enrichiana segue qui due vie, in accordocon l'impostazione strutturalmente dualistica che orienta tutta la

sua metafisica: la considerazione delle essenze creaturali e quella

delle loro esistenze.

La prima via, quella relativa alle essenze, ripropone una versio-

ne sofisticata e piuttosto complessa del classicoargomento antie-

ternalista fondato sull'inattraversabilità dell'infinito. Nei con-

fronti della volontà divina, tutte le essenze sono ugualmente in-

differenti a essere attualizzate in un momento piuttosto che in

un altro, e tanto in uno quanto in più individui. Se dunque - co-

me pongono i sostenitori della possibile eternità creaturale - la

specie del sole avrebbe potuto essere creata abaeterno nel suo uni-

co individuo, nulla vieta che anche la specie umana avrebbe po-

tuto essere ugualmente creata ab aeterno in un determinato indi-

viduo, ad esempio Adamo.és In tal modo, la specie umana si sa-

rebbe propagata dall'eternità fino ai nostri giorni. Ma se cosi fos-

se, sarebbe oggi possibile distinguere al suo interno un primo in-

dividuo (Adamo) e un ultimo individuo attualmente esistente,

mentre i termini intermedi sarebbero inevitabilmente infiniti -

ciò che è contra naturam e contra rationem, perché in tal caso non si

sarebbe mai potuti realmente giungere da Adamo agli individui

ora esistenti.f? Se dunque la creazione di un primo uomo abaeter-

56. Cfr. Henr. de Gand., Quodl. VIII, q. 9, A f. III rb, Bad. f. 3I7VD: «essentiaespecificae creaturarum quantum est ex parte sui aequaliter sunt possibiles esseprius quam in aliquo individuo receperint esse; aequaliter enim species solisquantum est ex se, est non ens, et species hominis, et aequaliter aeternae in divi-na cognitione existentes, et similiter in divina essentia per ideas suas aequaliterentes et aequaliter aeternas in Deo. Et similiter aequaliter species hominis quan-tum est ex se est possibilis recipere esse simpliciter et species solis, licet non ae-qualiter natae sunt permanere in esse recepto propter diversitatem naturarum,ut iam in parte dicetur. Quantum ergo est ex parte specierum, non prius nata estfieri a Deo species solis in suo unico individuo, quod est iste sol, quam specieshominis in aliquo signato individuo, puta in Adam ».Nel Quodl. I, Enrico nonaveva invece fatto ricorso ad argomenti dello stesso tipo.57. Nella S. theol. Tommaso aveva replicato ad un'obiezione basata sull'inat-

traversabilità dell'infinito (se la creazione fosse eterna, sarebbero trascorsi infi-niti giorni fino ad oggi) osservando che, una volta scelti due termini determinati,i medi sono sempre finiti: «transitus semper intelligitur a termino in terminum.Quaecumque praeterita dies signetur, ab illa usque ad istam sunt finiti dies, quipertransiri poterunt. Obiectio autem procedit ac si, positis extremis, sint media

Tommaso d'Aquino e Enrico di Gand 261

noè impossibile, lo stesso vale anche per il sole e per tutte le altre

specie creaturali, dal momento che ogni specie è pur sempre at-

tualizzabile solo in qualche determinato individuo. In caso con-

trario, le essenze non sarebbero veramente indifferenti rispetto al

creatore: Dio non potrebbe cioè creare ab aeterno l'uomo o qual-

siasi altra specie cosi come il sole, e di conseguenza la volontà di-

vina si troverebbe ad essere in qualche modo vincolata e condi-

zionata dalle stesse essenze creaturali.P

La seconda via, come già detto, muove invece dall' analisi del-

l'essere creaturale. Il fatto che la creatura riceva da Dio l'essere in

atto implica, per i motivi già esposti in precedenza, che essa sia in

qualche modo in potenza all'essere. Qualora dunque la creatura

infinita» (I, q. 46, art. 2, ad6um, ed. Marietti, 238).Ma per Enrico è inevitabile chesi prenda sempre un termine primo, dal momento che ogni specie, per comin-ciare ad esistere, deve essere comunque attualizzata in un determinato individuo'(<< cum non sit species factibilis nisi in aliquo suo individuo»): se dunque, inomaggio allo stesso principio citato da Tommaso, ogni serie è sempre finita, ilmondo non può essere eterno (( et sic nec iste mundus totus potuit ab aeternofactus fuisse a Deo, quia non fit nisi ex individuis specierum »).Si ricorderà che,secondo Van Steenberghen, gli argomenti basati sull' infinità quantitativa (e inparticolare quelli bonaventuriani) costituiscono una specie di ostacolò insor-montabile per Tommaso d'Aquino, mentre l'obiezione basata sull'identificazio-ne di ex nihilo con postnihilum è considerata da Van Steenberghen assai.debole.Cfr. F.Van Steenberghen, La controverse suri'éternìté dumondeauXllle siede, «Bull.Acad. roy. Belg. (Lettres) », série 5, 58 (1972), 267-87; Le mythed'un monde étemel,«Rev.philos. Louvain», 76(1978),157-79; Le débat duKlll' siede surlepassé del'un!....vers, «Rev.philos. Louvain »,83 (1985),231-38. Di parere diverso A. Zimmermann,«Mundus est aeternus », Zur Auslegung dieser These beiBonaventura und Thomas vonAquin, in Die Auseinandersetzungen an der Pariser Universitéit im XIII. Jahrhundert.Hrsg. v.A. Zimmermann, De Gruyter, Berlin 1976(Miscellanea Mediaevalia, 10),

317-3°·58. Cfr. Henr. de Gand., Quodl.VIU, q. 9, A f. rrrrb, Bad. f. 317VD: «Omnis

enim actus essendi circa creatum dependet a sola voluntate creantis.Aliter enimDeus ante solem istum non potuisset fecisse hominem istumAdam, sicut fecitlucem, caelum, terram, maria et terraenascentia, quod falsum est, nec hoc poneretaliquis catholicus, cum quo quoad istum articulum principaliterestnostra disputatio. Deus .ipse similiter quantum est de se indifferenter et aequaliter se habet ·ad dandumesse aeque primo uni speciei in suo unico individuo, et alteri, ita quod secun-dum supra dieta illi, cui dat esse primo, posset dare poseremo, et cui dat possetnon dare, et alteri dare, et hoc indifferenter, quod enim dat uni et non .alteri, veluni prius alteri posterius, vel aliquibus simul, hoc solummodo procedit ex deter-minatione liberi arbitrii in ipso. Si ergo Deus potuit ab aeterno creasse.istum so-lem, ita et istum hominemAdam, et ante ipsum nullum alium, ut ipse esset prin-cipium omnium aliorum ».

262 Pasquale Porro

ricevesse l'essere abaeterno, dovrebbe essere altrettanto ab aeterno

in potenza. Qualcosa si dice tuttavia in potenza rispetto ad un de-

terminato atto proprio per il fatto di non essere già quell' atto.

Cosi, invece, si verrebbe a porre che abaeterno la creatura sia tanto

in atto quanto in potenza a quell' atto. Ma se l'essere in atto (da

Dio) e l'essere possibile (ex se) non possono essere davvero con-

temporanei, l'uno deve precedere l'altro, ed è naturale che ciò

che conviene alla creatura ex se (la possibilità) preceda ciò che le

deriva invece da altro (l'attualità): non ci può essere alcun dub-

bio, quindi, che nelle creature il non essere preceda l'essere.59 Su

questa conclusione, per altro, né Avicenna né Tommaso avrebbe-

ro nulla da obiettare. Si tratta invece di fare un passo avanti per

dimostrare come questa priorità non possa essere intesa in senso

esclusivamente metafisico. Ora, sappiamo che ciò che è in sé pos-

sibile può anche sempre non essere. Riformuliamo allora la do-

manda limitandola esclusivamente alla possibilità: nella creatura,

il poter essere è contemporaneo al poter non essere, o l'uno pre-

cede per durata l'altro? Se fossero contemporanei, l'essenza della

creatura sarebbe indifferente a due atti contrari, si troverebbe

cioè ugualmente disposta ad essere e a non essere: ma cosi non è,

perché ogni essenza creaturale di per sé non esiste, e può esistere

solo in virtù di altro. Se,d'altra parte, il poter essere avesse la pre-

cedenza, poiché l'ordine degli atti segue quello delle rispettive

potenze, la creatura non potrebbe essere ex se e per natura non

ente se prima non avesseper durata l'essere da altro - il che è ma-

nifestamente assurdo. Ci si può infatti chiedere se ciò che convie-

ne a qualcosa in sé sia simultaneo a ciò che gli deriva da altro, ma

non si può in alcun modo porre che sia successivo.s? Non rimane

59. Cfr. Henr. de Gand., Quodl. VIII, q. 9, A f. IIIva, Bad. f. 317VD-318rE: «Siergo a Deo creatura habet esse ab aeterno, ex se est possibile esse ab aeterno, et

non habens esse ab aeterno. Quaero ergo an simul omnino a Deo creatura habet

esse ab aeterno, et ex se possibile esse, et non esse ab aeterno, aut prius a Deo es-

se, quam e converso, aut e contrario. Non primo modo, quia simul essent in eo-

dem actus contrarii, scilicet esse et non esse. N ec secundo modo, quia, ut dictum

est prius, secundum Avicennam quod convenit rei ex se, prius est eo quod con-

venit ab alio. Tertius ergo modus est necessarius, quod scilicet creatura prius ha-

beat ex se possibile esse, et non esse, quam a Deo esse ».

60. Cfr. Henr. de Gand., Quodl. VIII, q. 9, A f. IIIVb, Bad. f. 318rE: «si ergo

Tommaso d'Aquino e Enrico di Gand

quindi che ammettere che il poter non essere e il non essere

(considerato qui da Enrico - in modo un po' singolare - una for-

ma di attualità) 61 precedono nella creatura il poter essere e l'esse-

re non solo per natura, ma anche per durata, secondo l'ottavo dei

modi proposti: «Restat ergo, quod creatura non possit esse habe-re ab alio a se,nisi prius duratione habeat non esse,quod convenit

ei ex se.Et sic nullo modo poterit poni quod fieri possit ab aeter-

no, sed ex tempore ».62

§ 9. Le rationes addotte in favore della possibilità di una crea-zione eterna non sono cosi,per Enrico, in alcun modo dimostra-

tive. Non tiene l'analogia con la dottrina .,platonica della priorità

dei principi, perché il caso in cui una stessa nota (l'essere) è attri-

buita a due realtà distinte (il mondo come composto - i principi

da cui si genera) è diverso da quello in cui, al contrario, ad uno

stesso soggetto vengono attribuite note diverse, delle quali una

gli conviene ex see l'altra abalio.63 Ma non tiene neppure il con-

fronto con l'ormai familiare soluzione aristotelica al problema

dell'eternità del moto celeste. È senz'altro vero - come spiegaAverroè - che affinché qualcosa di possibile possa essere perpe-

praecederet in essentia creaturae duratione ipsum posse esse, cum ordo actuumest secundum ordinem potentiarum, ergo de necessitate existentia creaturaepraecederet eius posse non esse. Ita creatura non posset secundum durationemaliquam non esse ex se, nisi prius haberet esse ab alio. Et sic neque esset prius exse non ens natura, quam esset ens ab alio in duratione aliqua; nihil enim conve-nit alicui prius natura, quod non est natum eidem, quantum est ex se, eprius.convenire duratione. Illud autem est impossibile, quia, ut dictum est, quod con-venit alicui ex se natura, est prius illo quod convenit ei ab alio, etsi possent essesimul duratione ».61. Cfr. Henr. de Gand., Quodl.VIII, q. 9, A f. IIIVb,Bad. f. 3I8rE: «non aequa-

liter se habet essentia creaturae ad actum existendi et non existendi, quia actumexistendi non est nata habere nisi ab alio; actum vero nonexistendi a seipsa ». Cfr. inproposito le osservazioni di G6mez Caffarena, Serparticipado, 145.62. Cfr. Henr. de Gand., Quodl.VIII, q. 9, A f. IIIVb, Bad. f. 3I8rE.63. Cfr. Henr. de Gand., Quodl.VIII, q. 9, A f. IIIVb, Bad. f. 3I8vF: «non est si-

mile de uno conveniente duobus [... ] et de duobus convenientibus uni, quorumunum ei convenit ex se, alterum vero ab alio. Quicquid enim convenit principa-to per principia, necesse est aliquo modo prioritatis prius convenire principiis,sed aequaliter prioritate durationis, si sint principia proxima et propria. Duobusautem convenientibus alicui uno ex se, alio ab altero, semper quooquo modoprius ei convenit illud, quodconvenit ei ex se».

Pasquale Porro

tuato da altro, deve dipendere da quest'ultimo per la posizione e

conservazione del proprio essere. Tuttavia, il fatto di non avere

l'essere e la permanenza exsepuò essere a sua volta inteso inse(in

riferimento cioè alla sostanza) o in alio (per quel che riguarda gli

accidenti). La potenza relativa alla sostanza deve, in altri termini,

essere distinta da quella che riguarda gli accidenti. Aristotele stes-

so, com'è noto, ha escluso che le sostanze incorruttibilisiano ex se

in potenza all'essere e vengano perpetuate abalio per il semplice

fatto che esse non sono debitrici a nulla del proprio essere se non

a se stesse. Il caso del movimento, esattamente come quello del-

l'illuminazione, riguarda invece un accidente (potentia adubi).Ma

qui occorre fare attenzione. Se il soggetto a cui l'accidente preso

in considerazione inerisce è eterno, nulla vieta che a sua volta an-

ch' esso possa essere perpetuato da ciò da cui dipende (e solo in

questo modo nella cosmologia aristotelico-averroista il movi-

mento dei corpi celesti può essere continuato in eterno da un

motore separato). Se il soggetto è corruttibile, è semplicemente

assurdo che uno dei suoi accidenti possa invece durare in eterno.

Cosi, nell' esempio tomista, il corpo opaco opposto al sole può es-

sere illuminato in eterno solo perché tanto esso quanto il sole

vengono già dati come eterni, presupponendo cosi proprio ciò

che s'intendeva dimostrare.v' Ma se si ponesse - per ipotesi - che

fosse il sole a creare dal nulla il corpo illuminabile o il suo stesso

raggio, si potrebbe ancora parlare di illuminazione eterna? La

creazione dal nulla riguarda infatti la sostanza - non un accidente

- e una sostanza in sé semplicemente possibile, in cui, come visto,

64. Cfr. Henr. de Gand., Quodl. VIII, q. 9,A f. II2ra, Bad. f. 3I9rG: «per eun-dem modum quando ex suppositione ponuntur perpetua ante et post illumina-bile et luminosum, et opposita sine impedimento, contingit quod perpetuounum illuminaret alterum, quia sicut ex suppositione subiecta habent esse nonpost non esse, sic et possibilia sunt, ut in eis fiant accidentia non [A: nisi] postnon esse ».Cfr. anche Quodl. I, qq. 7-8, ed. Macken, 38,57-65: «Si enim sol haberetesse ex se nec aliquo modo ex natura sua conveniret ei non esse, et lucis naturaprocedens ab ipso de natura sua haberet esse post non esse, quamquam eius con-servatio sit in continuo fieri, tamen necesse esset praecedere aliquod fieri quoprimo esse reciperet. Et ideo ponendo solem ab aeterno et non habere de se nonesse, necesse est ponere similiter radium eius ab aeterno non habentem essepost non esse nisi in intellectu (vel forte nec in intellectu), vel solem nulla neces-sitate naturae sed libera voluntate radium producere ».

Tommaso d'Aquino e Enrico di Gand

il non essere deve precedere l'essere non solo per natura ma an-

che per durata. Poiché dunque si ha a che fare con sostanze, e con

sostanze contingenti, bisogna qui attenersi alla norma generale

esposta da Aristotele (nessun possibile ex se può essere necessarium

ab alio), e non alla sua eccezione.

A meno che - ed è questo l'ultimo passaggio da verificare -

non ci si spinga invece ad affermare (ripiegando cosi sul terzo

modo) che non ogni creatura è contingente, "e che anche nel co-

smo cristiano si danno sostanze completamente sottratte ad ogni

forma di potenzialità e corruttibilità - e perciò necessarie - pur

essendo prodotte ab alio.

§ IO. Possiamo a questo punto ricapitolare, in modo più com-piuto, lo schema da cui eravamo partiti:

et a nullo principiative (I modo: Dio Padre)

/

in identitate substantiae

(II modo: Figlio e Spirito Santo)

c l' d b l' .... /'ex se torma Iter ens --. se a a lO pnncìpianve

\

-, . l' b .In a lena su stantia

(III modo: impossibile)

sed ab a1io dependenter (IV modo:incorruttibili aristotelici)

ex se possibile esse

sed non possibile non esse, et ab alio causative

/ necesse esse (v modo: impossibile)

--. sed ab alio causative necesse esse

\ (VI modor.Avicenna) .: (VII modo:

et similiter ab a1io causativepossibile esse '-.. cum toto tempore

(VIII

In parte tempons

(IX modo: generabili e corruttibili

nec ex se nec ab alio possibile esse (x modo: enti impossibili, res a reor reris)

266 Pasquale Porro

Esaminati tutti i possibili modi dell' ente, la conclusione è per

Enrico assai semplice (< ecce brevis solutio, sed longa et spatiosadeclaratio »): nessuna creatura è necessaria, né exse, né abalio.Manon è questa invece l'opinione di Tommaso: «Licet autem omnia

ex Dei voluntate dependeant sicut ex prima causa, quae in ope-

rando necessitatem non habet nisi ex sui propositi suppositione,

non tamen propter hoc absoluta necessitas a rebus excluditur, ut sit neces-

sarium nos fateri omnia contingentia esse [ ... l. Sunt enim quae-

dam in rebus creatis simpliciter et absolute necesse est esse ».65

Nello stesso luogo della Summa contra Gentiles si precisa che

necessarie sono tutte le cose che mancano della possibilità di non

essere (< Illas enim res simpliciter et absolute necesse est esse in

quibus non est possibilitas ad non esse »).66 Esistono dunque crea-

ture sottratte alla possibilità dell' annichilazione( Il problema è

affrontato in modo esplicito da Tommaso nelle Quaestiones depo-

tentia (q. 5, a. 3). La possibilità di cui qui si tratta non è evidente-

mente quella che dipende dalla potenza dell' agente - perché Dio

potrebbe in ogni momento, sia pur in via soltanto teorica, far rica-

dere nel nulla tutte le creature - ma quella che è invece presente

nelle stesse cose prodotte. A quest'ultimo riguardo, Tommaso ri-

porta due opinioni principali. La prima è quella di Avicenna, se-

condo cui, all'infuori di Dio, ogni cosa ha in sé la possibilità di es-

sere e non essere: poiché, come già visto, l'essere è praeter essen-

tiam nelle creature, queste ultime sono in sé soltanto possibili. La

seconda è invece quella di Averroè: almeno alcuni degli enti di-

versi da Dio non presentano nella loro natura alcuna potenza a

non essere, perché altrimenti non potrebbero esservi sostanze

sempiterne. Quest'ultima posizione è appunto quella preferita

da Tommaso (< et haec positio videtur rationabilior»). La possibi-lità di non essere deriva infatti alla sostanza unicamente in ragio-

ne della materia: 67 nel caso dunque delle forme pure sussistenti

65. Thom. Aq., C. Gent., II, c. 30, ed. Marietti, 142, n. 1063.66. Thom. Aq., C. Gent., II, c. 30, ed. Marietti, 142, n. 1064.67. Thom. Aq.,Depot.,q. 5, art. 3, resp., ed. Marietti, 135:«potentia enim ad es-

se et non esse non convenit alicui nisi ratione materiae [... l. Illae ergo solae resin sua natura possibilitatem habent ad non esse, in quibus est materia contrarie-

tati subiecta », Cfr. anche C. Gent., II, c. 30, ed. Marietti, 142, n. 1064: «Quaedam

Tommaso d'Aquino e Enrico di Gand

(le sostanze incorporee) 68 o dei corpi la cui materia è talmente

autem res sic sunt a Deo in esse productae ut in earum natura sit potentia ad nonesse. Quod quidem contingit ex hoc quod materia in eis est in potentia ad aliamformam »; S. theol., I, q. 9, art. 2, resp., ed. Marietti, 41: «Si igitur attendatur muta-bilitas rei secundum potentiam ad esse, sic non in omnibus creaturis est mutabi-litas: sed in illis solum in quibus illud quod est possibile in eis, potest stare cumnon esse. Unde in corporibus inferioribus est mutabilitas secundum esse sub-stantiale, quia materia eorum potest esse cum privatione formae substantialis ip-sorum ».

68. Cfr. Thom. Aq.,Depot.,q. 5, art. 3, resp., ed. Marietti, 135: «Dupliciter ergopotest contingere quod in natura alicuius rei non sit possibilitas ad non esse. Unomodo per hoc quod res illa sit forma tantum subsistens in esse suo, sicut substan-tiae incorporae, quae sunt penitus immateriales. Si enim forma ex hoc quodinest materiae, est principium essendi in rebus materialibus, nec res materialispotest non esse nisi per separationem formae; ubi ipsa forma in esse suosubsistit nul-lomodo poterit non esse; sicut nec esse potest a seipso separari.Alio modo per hoc quodin materia non sit potentia ad aliam formam, sed tota materiae possibilitas adunam formam terminetur; sicut est in corporibus caelestibus, in quibus non est

formarum contrarietas »; C. Gent., II, c. 30, ed. Marietti, 143, n. 1073: «Forma au-tem, secundum id quod est, actus est: et per eam res actu existunt. Unde ex ipsaprovenit necessitas ad esse in quibusdam. Quod contingit vel quia res illae suntformae non in materia: et sic non inest ei potentia ad non esse, sed per suam for-mam semper sunt in virtute essendi; sicut est in substantiis separatis. Vel quiaformae earum sua perfectione adaequant totam potentiam materiae, ut sic nonremaneat potentiam ad aliam formam, nec per consequens ad non esse: sicut estin corporibus caelestibus »; S. theol., I, q. 9, art. 2, resp., ed. Marietti, 41: «Substan-tiae vero incorporeae, quiasunt ipsaeformae subsistentes, quae tamen se habent adesse ipsarum sicut potentia ad actum, non compatiuntur secum privationemhuius actus: quia esse consequitur formam, et nihil corrumpitur nisiper hocquodamittitformam. Unde in ipsa forma non est potentia ad non esse: et ideo huiu-smodi substantiae sunt immutabiles et invariabiles secundum esse »; Comp.theol., c. III, ed. Marietti, 54, n. 220: « [ •.• ] patet quod substantiae simplices bonumnatutae in quasubsistunt amittere nonpossunt, sed immutabiliter se habent in i110 ».Si confrontino i testi appena citati (e in partoi passaggi evidenziati con il corsivo)con gli argomenti a favore dell' esistenza di creature formalmente necessarieraccolti da Enrico all'inizio della q. 9 del Quodlibet VIII (V. nota II). D'altra parte,Tommaso di Sutton contrappone esplicitamente, su questo punto, la posizionedi Enrico a quella di Tommaso d'Aquino. Cfr. Thom. de Sut., Quaestiones ordina-riae. Hrsg. v.J. Schneider, Verlag der Bayerischen Akademie der Wissenschaften,Miinchen 1977, q. 25,689,180-88: «Dicunt enim quidam et communius teneturquod angelus est necesse esse ex se formaliter, cum sit incorruptibilis, ita tamenquod a sua causa effective habet necessitatem essendi, et non est de se possibileesse antequam creetur. Non enim praecedit creationem angeli aliqua potentiapassiva, per quam dicatur possibile esse. Alii vero dicunt non esse intelligibilequod aliqua creatura sit necesse esse se ipsa formaliter, sed quod hoc sit pro-prium Dei, et quod includat contradictionem ».Sulle polemiche dei tomisti in-glesi contro Enrico di Gand cfr. F.E. Kelley, Two EarlyEn$lish Thomists: ThomasSutton andRobertOrford vs.HenryofGhent, «Thomist », 45 {I98I), 345-87 e, riti ingenerale, F.J.Roensch, EarlyThomistic School, Priory Press, Dubuque (Iowa) 1964.

268 Pasquale Porro

proporzionata alla forma da non esser più in alcun modo soggetta

alla contrarietà (i corpi celestil.s? si può escludere ogni potenzia-

lità o tendenza al non essere. In altri termini, in potenza al non

essere (ma in senso anche qui ampio e improprio) 70)sono soltan-

to le sostanze generabili e corruttibili; tutte le altre sono invece

(formalmente) necessarie: «aliis vero rebus secundum suam na-

turam competit necessitas essendi, possibilitate non essendi ab ea-

rum natura sublata », Non per questo, tuttavia, le sostanze incor-

ruttibili sussistono autonomamente; esse sono create, ma create

già nella loro natura necessaria: «Nec tamen per hoc removetur

quin necessitas essendi sit eis a Deo, quia unum necessarium alte-

rius causa esse potest, ut dicitur in vaMetaphysicae. Ipsius enim na-

turae creatae cui competit sempiternitas, causa est Deus ».71 Se si

prova a leggere questa affermazione alla luce dello schema appe-

na ricordato, è facile concludere che per Tommaso nessuna crea-

tura è necessaria ex se, ma alcune sono necessarie ab alio.72 Ciò

69. Cfr., oltre ai testi citati nella nota precedente, Thom. Aq., C.Gent., II, c. 30,ed. Marietti, 142, n. 1064: «Illae igitur res in quibus vel non est materia, vel, si est,non est possibilis ad aliam formam, non habent potentiam ad non esse.Eas igituret absolute et simpliciter necesse est esse »;S. theol., I, q. 9, art. 2, resp., ed. Marietti,41: « In corporibus vero caelestibus, materia non compatitur secum privationemformae, quia forma perficit totam potentialitatem materiae: et ideo non suntmutabilia secundum esse substantiale, sed secundum esse locale, quia subiectumcompatitur secum privationem huius loci vel illius ».Sulla dottrina tomista del-l'incorruttibilità dei corpi celesti (in cui Tommaso, ripristinando una forma par-ticolare di ilemorfismo, si distacca comunque dalla soluzione averroista) cfr.l'ormai classicoTh. Litt, Lescorps célestes dans l'univers desaintThomas d'Aquin, Pu-blications Universitaires, Louvain-Béatrice-Nauwelaerts Paris 1963 (Philosop-hes Médiévaux, 7), in parto 44-90 e S. Donati, La dottrina di Egidio Romano sullamateria dei corpi celesti. Discussioni sulla natura dei corpi celesti allafine del tredicesimo se-colo, «Medioevo », 12 (1986), 229-80.70. In senso stretto, infatti, nulla è perTommaso in sé realmente contingente:

«Materia etiam, cum non possit esse sine forma, non potest esse in potentia adnon esse, nisi quatenus existens sub una forma, est in potentia ad aliam formam »(Depot.,q. 5, art. 3, resp., ed. Marietti, 135).L'annichilazione rimane cosi una pos-sibilità astratta: in senso assoluto, la non esistenza delle creature non è né con-traddittoria né impossibile, per cui, se Dio volesse, potrebbe in ogni momentoridurre a nulla l'intero universo. Ma non è questa la volontà effettiva del Creato-re, e poiché la volontà divina è immutabile, si può concludere - come Tommasofa esplicitamente nell' art. 4- che l' «universitas creaturarum numquam in nihiloredigetur ».71. Thom. Aq., De pot., q. 5, art. 3, resp., ed. Marietti, 136.72. Cfr. anche Thom. Aq., C.Gent., II, c.30, ed. Marietti, 142,n. 1067: «Esse au-

'Ibmmaso d'Aquino e Enrico di Gand

permette anzi a Tommaso di volgere a proprio vantaggio il prin-

cipio aristotelico-averroista per cui nulla di possibile può venir

reso necessario da altro: « illud in cuius natura est possibilitas ad

non esse, non recipit necessitatem essendi ab alio, ita quod ei

competat secundum naturam, quia hoc implicaret contradictio-

nem, scilicet quod natura posset non esse et quod haberet neces-

sitatem essendi [ ... l. Non tamen removetur quin ipsa natura in

qua nonestpossibilitas adnonesse habeat necessitatem essendi abalio ».73

Le creature incorruttibili non sono quindi «prima» possibili e

«poi» necessarie per intervento divino: 74 esse sono create imme-

diatamente nella loro natura necessaria 75 e proprio per questo -

tem necesse simpliciter non repugnat ad rationem esse creati: nihil enim prohi-bet aliquid esse necesse quod tamen suae necessitatis causam habet, sicut con-clusiones demonstrationum. Nihil igitur prohibet quasdam res sic esse produc-tas a Deo ut tamen eas esse sit necesse simpliciter »,Secondo Tommaso, dunque,le dimostrazioni forniscono un ottimo esempio di necessarium abalio: la necessitàdelle conclusioni dipende infatti da quella delle premesse. Per altro già nel Com-mento alleSentenze, Tommaso, dopo aver distinto il necessarium ex conditione (ciòche è tale per la costrizione dell' agente o del fine) dal necessarium absolute (ciòche è invece tale per sua propria essenza), aveva poi precisato che anche que-st'ultimo poteva intendersi tanto ex sequanto abalio: «Hoc autem absolute ne-cessarium est duplex. Quoddam enim est quod habet necessitatem et esse abalio, sicut in omnibus quae causam habent: quoddam autem est cuius necessitasnon dependet ab alio, sed ipsum est causa necessitatis in omnibus necessariis, si-cut Deus » (In I Sent., disto 6, q. 1, art. 2, ed. Mandonnet, 166).73.Thom. Aq., De pot., q. 5, art. 3, ad s-», ed. Marietti, 137.74. Cfr. Thom. Aq., De pot., q. 5, art. 3, ad gum, ed. Marietti, 137: «in illis quae

sunt per natura incorruptibilia, non praeintelligitur potentia ad non esse quaetollatur per aliquid a Deo receptum »,

75. Il fatto che alcune creature siano create come necessarie non implica af-fatto, per Tommaso, che esse siano create necessariamente. Dipende infatti solodalla volontà del Creatore che alcune creature siano contingenti e altre necessa-rie: «Ex quo res creatae ex divina voluntate in esse procedunt, oportet eas talesesse quales Deus eas esse voluit. Per hoc autem quod dicitur Deum produxisseres in esse per voluntatem, non per necessitatem, non tollitur quin voluerit ali-quas res esse quae de necessitate sint et aliquas quae sint contingenter » (C. Gent.,II, c. 30, ed. Marietti, 142,n. 1066).E ancora: «Licet enim substantia caeli, per hocquod caret potentia ad non esse, habeat necessitatem ad esse, haec tamen neces-sitas sequitur eius substantiam. Unde, substantia eius iam in esse instituta, talisnecessitas impossibilitatem non essendi inducit: non autem facit esse impossibi-le caelum non esse, in consideratione qua agitur de productione substantiae ip-sius » (C. Gent.,II, c. 36, ed. Marietti, 151, n. 1121). Come spiega efficacemente Lu-ca Bianchi: «La "necessitas essendi" non è che un predicato del cielo e, come ta-le, ha un senso solo postane l'esistenza attuale - "substantiam iam in esse institu-

270 Pasquale Porro

senza contravvenire a quanto stabilito da Aristotele loro crea-

zione potrebbe benissimo, per Tommaso, essere eterna.

In un mondo cosi stabile quale quello tomista, che non si trae

fuori da nessuna possibilità preesistente e non inclina costante-

mente verso l'annientamento, l'eternità appare allora come una

caratteristica assolutamente naturale. Piuttosto che continuare a

minimizzare la portata delle affermazioni di Tommaso, giustifi-

candole magari in base ad una sorta di « sudditanza psicologica»

nei confronti di Aristotele;" bisognerebbe forse ammettere che,

ta" [... l.Il cielo, insomma, può non esistere, non è assolutamente necessario e,quindi, non è necessariamente eterno. La sua superiorità metafisica sulla realtà

sublunare può convivere tranquillamente con l'affermazione della sua contin-genza e della sua temporalità» (LJerrore diAristotele, 78-79). Dissentiamo qui peròsull'uso del termine «contingenza» che Tommaso, com'è facile constatare, re-spinge in modo esplicito. Il cielo poteva non essere creato, ma una volta creato ènecessario, e non contingente: questo ci sembra il senso della posizione tomista.Con ciò, non si vuole assolutamente negare il ruolo che la dottrina della parteci-pazione ha nella metafisica tomista: non tutte le creature sono caratterizzatedalla potentia adnonesse,ma tutte, per il fatto stesso di essere creature diverse dal-Yipsum esse, hanno invece una forma di potentia ad esse. Tale potentia - che non acasoTommaso definisce anche come virtus essendi - esprime tuttavia, più che unamancanza ontologica, proprio la differente capacità che ogni creatura ha di par-tecipare all' essere (cfr. ad es. In Phys., VIII, 1. 21,ed. Marietti, 615,n. 1153). In altritermini, non si tratta qui di negare in Tommaso la distinzione tra Creatore ecreature, ma semplicemente di far notare che tanto il rapporto di partecipazionequanto la composizione di essere ed essenza non comportano di per sé lacontingenza delle creature. Tralasciamo in questa occasione anche le polemichestoriografiche sulla gilsoniana identificazione della virtus essendi con l'atto di es-sere.

76. Cfr. ad es.Van Steenberghen, Le débat duXIIIe siede, 237(sul problema de-

gli infiniti attuali Tommaso giunge perfino a cadere in contraddizione con sestesso al solo scopo di conformarsi all' opinione dei filosofi sul passato dell' uni-verso). Per Bianchi, la difesa della possibile eternità del mondo risponde invecefondamentalmente all' intento di riportare il problema dal contesto teologico adun ambito più strettamente filosofico {cfr. L'ettore di Aristotele, 173: «assoluta-mente certa una volta supposti i contenuti della fede, la temporalità del mondoera raggiungibile anche attraverso l'esercizio autonomo della ragione? »). D'al-tra parte, è dai tempi di Mandonnet e Chenu che si discute sulla natura filosoficao teologica del De aeternitate mundi.La questione è stata risollevata di recente nelvolume collettivo TheEternityoftheWorld in theThought ofThomasAquinasandHisContemporaries, ed. byJ.B.M.Wissink, E.J.Brill, Leiden 1990 (Studien und Textezur Geistesgeschichte des Mittelalters, 27). Cfr. in partoi contributi contrappostidi F.J.A. De Grijs (The Theological Character ofAquinas'De aeternitate mundi,1-8) eJ .A.Aertsen (TheEternityoftheWorld: theBelievingandthePhilosophical Thomas. So-me Comments, 9-19).

'Ibmmaso d'Aquino e Enrico .di Gand 271

al di là del vincolo imposto dall'interpretazione tradizionale del-

la profezia mosaica, l'idea di un mondo eterno è quella che si ac-

corda meglio con i presupposti della metafisica tomista - se è vero

che ogni possibile posizione intorno al problema del passato del-

l'universo riflette sempre la differente considerazione metafisica

dell'ente che ne sta alla base.77 E ciò spiega probabilmente per-

ché, muovendo dallo stesso principio aristotelico (solo ciò che è

necessario può essere eterno), Enrico e Tommaso giungano a

conclusioni diametralmente opposte: per il primo, tutto ciò che

riceve il suo essere da altro è possibile, e il possibile non può esse-

re eterno exparte ante; 78 per il secondo, non tutto ciò che è creato

è possibile, e non è pertanto in assoluto inconcepibile che qual-

che creatura possa essere eterna.

Ma il confronto a distanza tra Enrico e Tommaso è anche e so-

prattutto una disputa sull' eredità avicenniana. Per entrambi, la

formula «possibile ex se, necessarium ab alio » include una visto-

sa contraddizione, che tuttavia ciascuno tenta di risolvere imboc-

cando una strada diversa. Per Tommaso, occorre lasciar cadere la

prima parte, conservando invece la seconda: nulla può essere

possibile e necessario ad un tempo, ma qualcosa può essere ne-

cessario pur venendo prodotto da altro.79 Per Enrico, occorre al

contrario eliminare proprio la seconda parte: le essenze delle

creature sono possibili prima di essere attualizzate, e rimangono

possibili una volta poste in essere per la loro tendenza concreta,

77. Da questo punto di vista ci sembrano condivisibili (sia pur con qualche

perplessità di ordine metodologico) le conclusioni di Bukowski (UnderstandingSt. Thomas on theEternityofthe World, 1.21.,.22). Naturalmente, ciò non significa af-fatto che perTommaso le creature siano o debbano necessariamente essere eter-

ne (cfr. ancora C. Gent., II, c. 31).

78. Cfr. Henr. de Gand., Quodl.VIII, q. 9, A f. 1I2rb, Bad. f. 319rG: «Quam-quam ergo in creatura sit prima conditio secundum fidem quod non habet esse,

nisi ab alio, quiatamen nonestex senecessaria) neque habetesse in necessario esse) etab il-loalio quodDeusestnonhabetesse necessitate naturae eius, non est necesse ab eo per-petuari, nec ante nec post, nec etiam potest ex parte ante».79. Come giustamente osserva Steel, è difficile comprendere «comment une

chose peut ètre à la fois nécessaire par sa nature et par une autre cause [... ] par

certaines formulations, Thomas se rapproche dangereusement de la position

d'Avicenne qu'il désapprouve par ailleurs» ((Omnis corporis potentia estfinita »,

223).

Pasquale Porro

fattuale, verso il nulla. Con la dottrina dell' esse essentiae,Enrico re-

cupera di fatto la parte meno aristotelica di Avicenna, quel «pri-

vilegio del possibile » destinato poi ad affermarsi, in modi diversi,

attraverso Duns Scoto e Suarez. Ma se la possibilità è per Enrico

la cifra stessa dell' essere creaturale, nella metafisica tomista - in

cui la contingenza è poco più di un falso problema BO - le cose

stanno ben diversamente: non c'è alcuna forma di possibilità og-

gettiva da parte delle creature prima della creazione (la possibili-

tà del mondo è solo nella potenza del creatore) e non c'è alcuna

possibilità a non essere dopo la creazione.s' Ciò che è in gioco

80. Si vedano in proposito le conclusioni di J. Gevaert, Contingent en Nood-zakelijk bestaan volgens Thomas van Aquino,Verhandelingen van de Koninklij-ke VIaamse Academie voor Wetenschappen, Letteren en Schone Kunsten vanBelgie, Klasse der Letteren-Jaargang 27 (1965), n. 58, Brussel 1965 (in parto 107-

49).81. Cfr.Thom. Aq., S. theol., I, q. 9, art. 2, resp., ed. Marietti, 41:«Omnes enim

creaturae, antequam essent, non erant possibiles esse per aliquam potentiamcreatam, cum nullum creatum sit aeternum: sed per solam potentiam divinam,inquantum Deus poterat eas in esse producere [... l. Sicut igitur in potentiaCreatoris fuit ut res essent, antequam essent in seipsis, ita in potentia Creatorisest, postquam sunt in seipsis, ut non sint »; S. theol., I, q. 46, art. I, adprimum, ed.Marietti, 235: «antequam mundus esset, possibile fuit mundum esse, non qui-dem secundum potentiam passivam, quae est materia; sed secundum potentiamactivam Dei »; C.Gent.,II, c.37,ed.Marietti, 153, n. 1132: «Possibile autem fuit enscreatum esse, antequam esset, per potentiam agentis, per quam et esse incoepit.Vel propter habitudinem terminorum, in quibus nulla repugnantia invenitur »;Comp. theol., c. 99, ed. Marietti, 49, n. 190: «Si autem secundum aliquam poten-tiam dicitur possibile mundum esse, non est necessarium quod dicatur secun-dum potentiam passivam, sed secundum potentiam activam: ut quod dicitur,quod mundum possibile fuit esse antequam esset, sic intelligatur quod Deus po-tuit mundum in esse producere antequam produceret », Sulla differente conce-zione del possibile in Tommaso e Enrico rimandiamo ai già citati studi di Benese soprattutto Wippel (v.nota 9). Presupporre che la possibilità preceda l'esisten-za nelle creature è in realtà per Tommaso un argomento «eretico » a favore del-l'eternità del mondo, perché compromette l'idea di una creazione veramentedal nulla. Si tratta, a ben vedere, dell' identica accusa che Egidio Romano solleve-rà più volte contro Enrico di Gand nel corso della disputa sulla distinzione traessenza ed esistenza. Va tuttavia precisato che, avvalendosi della propria distin-zione, Enrico considera le essenze creaturali come possibili obiective e non subiec-tive;dunque, non come qualcosa che precede l'esistenza, ma come qualcosa chepuò costituirsi in esistenza: «ipsae essentiae rerum nonsunt subiecta esse et nonesse, ut de essentia non ente generetur essentia ens, quemadmodum de corporenon albo generatur corpus album. Subiective enim ipsa non est <in> potentia adesse vel non esse, sed obiective est in potentia ad esse cum est sub non esse, non utex essentia non ente fiat ens, sed (ut> ipsa essentia non ens fiat ens, et cum est in

Tommaso d'Aquino e Enrico di Gand 273

nella controversia sulla possibile eternità creaturale è cosi, forse,

il lento passaggio dall'usiologia della tradizione aristotelica al-

l' ontologia «moderna» come metafisica della possibilità.

Università di Bari

esse, tunc est in potentia ad non esse, non ut ex essentia ente fiat essentia non

ens, sed cuti ipsa essentia ens fiat non ens, non a principio corruptivo, sed defec-

tivo» (Quodl. VIII, q. 9, A f. IIIvb-II2ra, Bad. f. 318vF).