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Alfonso La Regina.

“ΟΙ ΛΌΓΟΙ ΚΑΊ ΤΆ ὍΡΑ͂ΜΑΤΑ.”

PAROLE E VISIONI.

“LOGO-EIKOFILOSOFIA”.

(PROGETTO DI UN ’OPERA COSTRUITA TRA LINGUISTICA ARCAICA , SEMIOTICA , ANTROPOLOGIA , STORIA E FILOSOFIA).

GLI INDOEUROPEI, UNA “VISIONE”.

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PREFAZIONE. (Ovvero, che cosa intendo per “Logo-eikofilosofia”).

Quest’opera non nasce per essere né un voluminoso, ortodosso trattato di filosofia, che pretenda di orientare sistematicamente o di organizzare il mondo dell’uomo in riferimento ad una o più delle possibili direzioni del conoscere logico, o di quello ontologico o di quello metafisico, né, ancor prima, una lunga lezione di filosofia sulla verità, cioè sulle vere e consistenti possibilità dell’autentico umano conoscere, e nemmeno altro che sia legato a delle pur nobilissime, storiche consuetudini: ciò sarebbe, per quanto ora dirò, falso, e, forse, anche, almeno in questo caso, controproducente.

Quest’opera, avrebbe, al contrario, la pretesa di offrirsi come una specie di “narrazione filosofica” sospesa tra il sentimento e la ragione, tra l’intuizione e la deduzione, tra la verità e la sua suggestiva rappresentazione, ed avrebbe anche un’unica ambizione: quella di potersi esprimere, comunque sia, nel modo più chiaro e convincente possibile.

Tutto ciò non sarà facile perché, proponendosi, essa, di chiarire contenuto e senso di alcuni umani valori che appartengono, da sempre, a quel pensiero universale e atemporale che è il patrimonio del genere umano, si avrà a che fare anche con il debito che, sotto la forma di una inevitabile variabilità, essi pagano alla pressione continuamente esercitata su di loro dalle contingenze storiche e sociali, così come dalla stessa contraddittoria e spesso incostante natura umana.

Ma anche una volta convinti che sia possibile pensare a tali valori come ad una specie di irrinunciabile sistema di riferimento che si ponga al di là del contingente e dell’apparente; anche volendo pensare all’insieme di questi valori come ad un insostituibile fondamento o come ad uno

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“scheletro assiologico” del pensiero umano; anche volendoli considerare una specie di invisibile, ma strutturale impiantito che sostenga il sentire e l’operare comune, e quindi anche come qualcosa di non ulteriormente semplificabile né di ulteriormente riducibile; anche se, allora, dopo averli “spogliati” da tutto ciò che, di volta in volta, ne mascherasse storicamente la più comprensibile essenza, fossimo riusciti ad intenderne un senso compiuto, rimarrebbe, comunque, da chiarire, per concedere ad essi qualcosa di più che non sia una scontata, inevitabile presenza, il più complesso dei problemi a loro ascrivibili.

Quello, cioè, delle loro stesse origini, del loro credibile punto di provenienza, altrettanto oscuro, per ora, quanto quello delle loro finalità, ed anche quello, di conseguenza, della loro giustezza o della loro legittima giustificazione, presupposto, questo, assai utile, o forse necessario, per orientarsi in vista dell’autentica loro utilità per la specie umana, ove si cercasse di paragonarlo continuamente al modo in cui il loro statuto è stato, finora, concepito o interpretato. Dovendosi anche ammettere, arrivati a questo punto, che se essi hanno agito sempre come una specie di bussola magnetica, in grado di indicare agli uomini il modo ritenuto necessario o, forse, anche solo più conveniente ed opportuno per la costruzione della loro società e della loro storia, questo “strumento di navigazione” potrebbe rivelare l’esigenza di essere ora, almeno meglio ricalibrato.

Quest’opera, dunque, vorrebbe porsi come un’opera eterodossa e, per così dire, “apocrifa”, perché scaturisce dall’esigenza di lasciare sulla carta un segno che possa riprodurre una “visione”: qualcosa, cioè, che non sembra appartenere solo al partito della ragione, che, nel mondo di Sofia, pare da tempo farla da padrona, ma una visione, però, che una concreta traccia ha già lasciato nel continuo domandarsi del suo autore. E proprio per questo motivo, cioè per il fatto che la ragione sembra essere (da quanto tempo?) il giudice inappellabile di ogni credibile

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conclusione, e in questo caso, invece, il punto di partenza non sembra essere molto “ragionevole”, non mi stupirei se il mio sforzo fosse subito fastidiosamente respinto, o, nel migliore dei casi, accantonato, con atteggiamento di sufficienza, nell’insignificante limbo dei lodevoli tentativi.

Torniamo alla visione, però: vi sono, infatti, nel corso dell’esistenza, dei rari momenti di apertura, delle situazioni mentali dalla genesi oscura, degli stati d’animo che illuminano il momento in cui il pensiero ordinario è come sospeso in un opalescente divagare, una specie di “trance” in cui una forma pretende di materializzarsi in quella condizione assorta, senza, però, che di questa se ne possano definire ancora i precisi contorni.

Tutto questo può ripetersi anche più volte, nel corso dell’esistenza, e sempre questo fantasma, subito dopo, svanisce del tutto, come se la tua esperienza non fosse ancora matura e pronta ad estrarre da quel fluido la forma che tanto cercavi. Vi sono poi, però, altri momenti in cui quella visione, improvvisamente, come per incanto, acquista definizione e corposità. E’ come se questa visione, essendo stato posto di fronte ad essa uno specchio “virtuoso” che, correggendone le distorsioni, ne avesse riflesso un’immagine differente, fosse stata resa intellegibile per un mirabile gioco di rifrazione, poiché questo “specchio” le avrebbe improvvisamente concesso un affascinante realismo. Ed è così che essa può ora meglio appagarci, perché essa ci permette, finalmente, di percepire la sensazione di averne compiutamente afferrato il senso.

Quello che non riuscivo a cogliere ancora, era rappresentato proprio dal rapporto tra la parola-movimento dell’apparato fonetico e motorio unitariamente inteso in senso anatomofisiologico (si, intendo dire proprio tra la parola, la glossa, il lemma significante che viene pronunciato o anche scritto), a cui può accompagnarsi, alla ricerca di una più chiara espressività, ed anche nella scrittura, il movimento del

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corpo o degli arti, ed il senso realistico di quel momento che dà forma all’oggetto esterno, ricreandolo davanti a noi, anche quando fossimo molto lontani rispetto ad esso, permettendoci, così, come di “vederlo” davanti ai nostri occhi, e di riconciliarci, in tal modo, con il nostro equilibrio cenestesico.

E poi non riuscivo a capire neanche quella relazione simbolica con l’oggetto che chi per la prima volta l’aveva pronunciata, questa parola, traduceva in un significato valido anche per tutti i parlanti che di nuovo e in seguito l’avessero pronunciata, quella parola, trasmettendo ad essi la possibilità di avvertirne il suo contenuto.

E così, attraverso un’operazione della mente ripetuta una serie innumerevole di volte, articolandola gradualmente in un intreccio grammaticale e sintattico ordinato e logico, che dona ordine al pensiero dandolo al discorso, si sarebbe formata un’isoglossa, cioè qualcosa che è già, in sé e per sé, più di una lingua: una cultura, un’identità, un diffuso sentire, uno statuto condiviso, un contesto di valori comune a più persone, ad una gente, ad un popolo, forse anche ad un’intera umanità.

Ma poi, ancora e soprattutto, quello che non riuscivo a comprendere era la decisiva importanza da attribuire al nesso tra la relazione indicata (il suo contenuto relazionale con l’oggetto dato, insomma, percepito da questo primo parlante che già Platone, fortemente interessato alla teoria sostanzialistica del linguaggio, avrebbe chiamato “nomotéta”, appellativo che, in questo caso, suonerebbe come “colui che legifera, imponendo il nome alle cose”) e quella “visione-verità della cosa”, a cui vorremmo riferirci. Quella verità che esso, nuovo pronunciante di quella parola, di costui, chiunque fosse stato, e di questo qualcosa, qualunque fosse stata quella verità che egli voleva esprimere, ora poteva restituirci. Chiave di apertura privilegiata, questa, utilissima per accedere, attraverso quel contesto, alla rete di significati pertinenti a

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quella isoglossa, all’universo dei valori antropologico-filosofici relativi a quella comunità storica ed al suo pensiero e, forse, anche proprio al suo “identitario sentire” in quel particolare modo.

Può, dunque, una visione liberare la verità dalla sua prigionia verbale?

Ma prima ancora di andare oltre, dovremmo chiederci, qual è questo umano pensiero significante di cui stiamo trattando? “Mythos”, oppure “Lόgos”? Pensiero connotativo, pensiero mitico, pensiero poetante, pensiero meditativo, pensiero introspettivo, pensiero rappresentativo, pensiero intuitivo; oppure pensiero denotativo, pensiero riflessivo, pensiero induttivo-deduttivo, pensiero calcolante, pensiero logico, pensiero argomentativo, pensiero simbolico-astrattivo?

Oppure, ancora, il pensiero, e con esso quel tipo particolare di pensiero profondo che è la filosofia, è ben altro, è quel “pensiero altro”, quel “pensiero ibrido”, quel “logismòs nóthos” che già Platone vagheggiava? Quel pensiero che non concepisce graduatorie tra le varie forme di pensiero, quel pensiero che non ha né uno statuto, né una legge, quel pensiero che non si cristallizza in paradigmi, ma che si configura come una soluzione tanto fluida da unire in sé tutte le forme di pensiero?

E’ possibile, allora, modulare liberamente la verità come fa un musicista che, ricorrendo ai suoi misconosciuti circuiti neuronali, è capace di modulare tutte le note del suo spartito mentale, restituendoci, in forma musicale, quella “matrice” sinfonica, quella profonda sintesi armonica che noi tutti vorremmo almeno qualche volta provare? Quella sintesi di sostanza e di contesto, quella pioggia di senso e di relazioni di senso che tutti i giorni cerchiamo e non troviamo, quella vitalità, quella passione furibonda che è il comprendere, quella che sembra stare in bilico sul sottilissimo confine tra appagamento del nostro essere e follia?

E il metodo, qual è, poi, il metodo del pensare? Il metodo più semplice e schematico della predicazione sostanziale e accidentale, delle proposizioni-giudizi e dei sillogismi di Aristotele, o piuttosto quello

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formale e algebrico-geometrico di Cartesio, precursore del metodo scientifico-sperimentale moderno, oppure quello intellettualistico, dialettico-contraddittorio di Hegel oppure, ancora e sempre, quello della confutazione dialogica seguito da Platone, che giurava a se stesso che la verità non può essere mai considerabile come monocratica e assertiva ma che, semplicemente, la verità è “to pràgma”?

Ovverossia, la verità, nel nostro quotidiano parlare, ma anche in tutti i tempi e i luoghi della storia e del mondo, è ciò, ed è unicamente, ciò che “si fa”, che si realizza solo in un consesso di “parlanti”, che confrontano tra loro le loro diverse e parziali verità, fino a farla emergere, questa verità, come un’unica, definitiva “verità performativa”, quasi una “tridimensionale”, se non addirittura “materiale” verità della cosa, plastica rappresentazione e non più piatta stesura scritta o tessuto di verità, se posso così dire? O, infine, dovremmo affidarci, ancor prima, all’ “intellettualismo etico” di Socrate, il più puro dei puri il quale, veleggiando nel mare di Utopia, sosteneva che la verità consiste “soltanto” in un agire eticamente coerente (e coerente anche fino al sacrificio di se stessi, come la sua morte dimostra), essendo, ogni altra verità, un domandare senza alcuna risposta, pura ricerca senza fine e, così, andando nella stessa direzione, sosteneva anche che, forse, un vero metodo in grado di precisare una qualche verità non esiste, essendo la verità il semplice orizzonte intellettuale che il continuo interrogarsi pone sempre oltre la cortina del luogo comune, ma che la “rotondità” del mondo degli umani continuamente allontana?

Ma, riprendendo il filo del discorso interrotto, devo aggiungere questo: molto di tutto ciò di cui prima ho parlato, è quanto a me è accaduto dapprima in un lungo passato di maturazione, ma che poi è più recentemente emerso leggendo un libro che il grande linguista francese Émile Benveniste ha scritto nel 1969: “Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee”, un libro che, per me, ha come avuto quasi l’effetto di un

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dito che preme il grilletto di una pistola, provocando l’esplosione del colpo.

Si tratta di un’opera di glottologia semantica, che, per esplicita dichiarazione del suo stesso autore, chiede decisamente di rimanere nel proprio specifico ambito, quello, cioè, della ricerca linguistica, volendone escludere decisamente da sé ogni altro, come egli stesso scrive1, come, ad esempio, quello storico e quello sociologico, o anche quello antropologico, per non dire di quello filosofico. Tuttavia Benveniste, attraverso l’analisi comparata e retrospettiva dei molti idiomi da esso derivati, riesce a restituirci non solo il simulacro di una sola, originaria radice comune, l’indoeuropeo propriamente detto, ma anche quelle nozioni di senso che, organizzate in sei grandi macro famiglie lessicali, rappresentano il deposito, il lascito del fondamentale significato che le “istituzioni indoeuropee” (e, cioè, “non solo le istituzioni classiche del diritto, del governo, della religione, ma anche quelle, meno appariscenti, che si intravvedono nelle tecniche, nei modi di vita, nei rapporti sociali, nei processi di parola e di pensiero”, come ancora, poco prima, Benveniste precisa), avevano presso quell’antichissimo popolo, fondatore della nostra civiltà. (Quinto-primo millennio a. C.). Egli, così, ci stimola a pensare e a dire proprio ciò che lui voleva, dal suo punto di vista e per i suoi particolari scopi, decisamente evitare di dire o di pensare.

Confesso che all’inizio, dopo avere riposto più volte, provando sincero terrore, i due tomi dell’opera di Benveniste e collaboratori nello scaffale, mi sono deciso malvolentieri ad accettare il suo invito, decidendo di leggerla, quest’opera, per inconscia attrazione, ma forzando molto me stesso. Ho anche rischiato più volte di sospenderne la lettura, perché nulla mi era mai apparso al mondo di più difficile e,

1“L’aspetto storico e sociologico di questi processi è lasciato ad altri… Gli storici e i sociologi vedranno meglio allora quello che possono ricavare dalle presenti analisi dove non rientra nessun presupposto extralinguistico… Il compito del linguista è così delimitato…” (Émile Benveniste, “Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee”, Volume primo, Prefazione, Einaudi 2001.)

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che l’autore mi scusi, di più pesante, di quel girovagare infinito in un’atmosfera satura di tutte le fastidiose conoscenze tecniche che Benveniste è riuscito a farmi ingoiare. Tuttavia, solo dopo un certo tempo mi sono reso conto che, dopo aver macerato nel rumine della mente quel “fiero pasto”, metabolizzandolo e, per così dire, assorbendolo in me, come per una magica alchimia la rappresentazione che l’opera del linguista francese stava evocando, attraeva a sé, richiamandola, quella visione che mi era sempre sfuggita.

Ed è così proprio per questo che ora, invece, questa visione potrò definirla meglio; e, dunque, voglio ripetere questo con maggior forza ancora una volta, riservandomi di mostrarlo poi, di volta in volta, il più chiaramente possibile: la parola contiene non solo la precisa verità storica ma, ancor di più, l’autentica, umana verità pensata ed espressa da chi l’ha sinceramente pronunciata per primo.

Io non sono di certo un dio onnisciente che possa magicamente chiarire subito, qui ed ora, quali sono i meccanismi neurofisiologici per mezzo dei quali si realizza quel sublime risultato che consiste nella percezione della chiara realtà legata a quella parola che, in quel dato momento, si sta pronunciando.

Io non so nemmeno come possa contemporaneamente trasmettersi da un umano all’altro quel simbolo significante a cui quella percezione viene ridotta, così ben collegato a quel suono che l’uno sta comunicando all’altro.

Io non conosco nemmeno quali siano gli specifici processi attraverso i quali si formi quella complessa realtà linguistica e umana, ma anche sociale e storica, che abbiamo già definito “isoglossa”.

E infine, e soprattutto, io non so come, specificamente e scientificamente, attraversando qualcuno, o molti, oppure tutti i meccanismi associativi già accennati, si possa pervenire, attraverso la parola, a quell’ultima, appagante, mirabile percezione del pensiero, che

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abbiamo definito come la “visione-verità della cosa”. Quella che può permetterci di esplorare, senza muoverci dalla nostra sedia, l’infinità dello spazio e del tempo per risentir quasi “il profumo, il tocco e il sapore” di quella così lontana verità umana e storica verso la quale il nostro pensiero si sta proiettando.

Ma tutto ciò, in questo contesto, ed anche ammettendo che tutto questo in un altro contesto sarà mai possibile un giorno apprendere (e, si badi, apprendere, soltanto apprendere, e non comprendere), non ha qui, però, nessuna importanza.

Per fortuna, infatti, chi scrive di ciò non ha l’obbligo di scrivere un trattato scientifico su questo argomento, essendo anche sicuro che, quand’anche, questo, fosse possibile, nulla questo trattato riuscirebbe a dirci, più di quello che solo un unico, umanissimo e mirabile, affascinante, ma pur sempre misterioso e forse impenetrabile atto di pensiero può rendere possibile e restituirci.

È proprio per questo che uno scientifico chiarimento, si può ben dire, allora, si deve considerare posto, in generale, su di un diverso piano, rispetto ad una filosofica certezza tanto meravigliosamente suggestiva, quanto più sinuosa e coinvolgente.

La verità, infatti, nonostante l’uomo si ostini ad affermare continuamente il contrario, è ben più di un semplice, o anche complesso dato scientifico.

Ed è allora, perciò, con serenità, ma anche con tutta la mia convinzione che posso affermare: LA PAROLA, (NON QUESTA O QUELLA PAROLA CHE VENGA PRONUNCIATA DALL’UNO O DALL’ALTRO IN UN MODO O IN UN ALTRO COMUNQUE FUORVIANTE, E NEPPURE QUELLA PAROLA CHE SIA IMMERSA IN UN QUALCHE STRUMENTALE, EGOISTICO CONTESTO), MA SOLO QUELLA PAROLA CHE POSSIAMO IMMAGINARE PRONUNCIATA “PER LA PRIMA VOLTA” DA UN SORGIVO E AUTENTICO, CONVINCENTE PENSIERO “PRIMO”, “CONTIENE” UNA SUA ILLUMINANTE VERITÀ,

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ANCHE SE QUESTA UMANA VERITÀ, COME OGNI ALTRA UMANA VERITÀ, RIMARRÀ PUR SEMPRE E NECESSARIAMENTE UNA VERITÀ VELATA E LIMITATA.

E’ dalla parola, allora, anche se non solo, forse, soltanto dalla parola, ma soprattutto da essa, da questa sua scaturigine prima, trasparente e non contaminata, dopo averla paragonata a ciò che nel pensiero umano si è formato nel corso delle migliaia di anni che ci hanno preceduto, volendosi riferire a quel ”deposito dell’ʿhumanumʾ” così mirabilmente organizzato e così sapientemente integrato che è il “pensiero polisemantico”, che sarà anche possibile avere altre risposte ed ottenere ulteriori rappresentazioni della verità, quell’immagine, “visione”, sentimento e quasi fisico, sensitivo e sensoriale, senso della verità che tutti coloro che ci hanno preceduto e che ora sono nell’ombra, hanno come stratificato in loro e che ora rivive in noi.

E non è tanto, quindi, dagli oggetti presenti a noi nel limitato momento presente e dalla loro osservazione e considerazione “dall’esterno” e nemmeno dal loro semplice o più elaborato ricordo, ma dalla nostra “più intima” parola, nomen-noumen, guida e timore, incertezza e svelamento, che possiamo ricavare la verità, anche se solo quella umanamente concepibile come “ultima e fondamentale”, delle cose, dei fatti, della storia universale, del pensiero. Anche di quel particolare tipo di pensiero profondo ed evocativo che è in noi, e che coincide con la stessa “philosophia perennis” che appartiene alla nostra specie mortale quanto la nostra breve esistenza, ma che ci permette di penetrarla appieno, quella verità, per poterla, solo così, noi tutti, tornare a concepirla e a rinnovarla utilmente per chi ci seguirà.

Ma ditemi ancora una volta: è davvero anche per voi possibile liberare la verità dalla sua prigionia verbale?

Dopotutto, dovevo constatare, era stata l’umana espressione linguistica a farmi trovare il bandolo della matassa (o a farmi presumere, eterna

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illusione, di averlo trovato) e, a posteriori, aggiungo, questo avrebbe dovuto già prima sembrarmi ovvio. Non è forse vero, che in un’ideale, metafisica precessione, (idealmente capace di sovrapporre “Genesi” e “Apocalisse”) è sempre il Verbo il primo ad irrompere nell’Armagéddon del Nulla, Caos e Nonsenso, lottando corpo a corpo con esso per dissolvere le tenebre, per creare, quindi, il Mondo e l’Uomo; vincendo, infine, la Bestia per affermare la supremazia del Bene, e insegnando, poi, allo stesso Uomo, a camminare con la Filosofia e la Storia e a decifrare il proprio comportamento anche con l’aiuto della parola, della Semiotica e dell’Antropologia? Era già tutto scritto da molto tempo, dunque, ed io avrei dovuto saperlo. E così, forte di questo chiarimento, lusingato dal superamento della prima difficoltà, ma ancora ignaro dei molti altri seguenti e più tremendi ostacoli, come un fanciullo che inizia a camminare è lusingato dal suo progresso, e sorride perché non consapevole delle tante successive, talora rovinose cadute, ho iniziato a percorrere, giorno dopo giorno, la strada, insieme a questo lungo corteo di parole, nel tentativo di trasformare, tornando, poi, a ritroso sui miei passi, l’illuminazione in queste mie parole, nel mio personale “logos”. O forse, dovrei meglio dire, nella forma di un mio, soggettivo, ma, come spero, anche per gli altri, convincente “pensiero ibrido” che, essendo da me ora generato, vorrei chiamare filosofia del discorso e, insieme, della visione con la mente, ovvero logo-eikofilosofia?

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FIGURA 1. E’ QUESTA LA VERITÀ?

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FIGURA 2. “LA CREAZIONE DI ADAMO”, PARTICOLARE DEGLI AFFRESCHI DI MICHELANGELO DIPINTI SULLA VOLTA DELLA CAPPELLA SISTINA, NEI PALAZZI DEL VATICANO, A ROMA. (1536)

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FIGURA 3. L’evangelista Giovanni scrive il libro dell’ “Apocalisse”. Dipinto di Hieronymus Bosch. (1505).

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Presupposti teoretico-dottrinali.

Benveniste identifica, tramite il suo lavoro di paleo-linguistica, sei macro famiglie o macro insiemi lessicali che rappresentano, per me, anche le sei direttrici storico-filosofiche dell’umano esistere. Esse sono le seguenti.

A) Economia.

B) Famiglia.

C) Società.

D) Potere.

E) Diritto.

F) Religione.

Le conclusioni che io ho tratto da tutto questo, sono le seguenti.

1. Le categorie individuate dal linguista sono autentiche categorie filosofiche, essenza di significato comprensivo di ogni altro possibile, in quanto ottenute mediante un procedimento di convergenza retrograda, verso di loro, di tutte le designazioni storicamente individuabili come le più significative e semanticamente omogenee. Esse per me, ripeto, sono considerabili anche in ambito filosofico (che a Benveniste ciò importi o non importi, non conta molto), dopo un’indagine accuratamente condotta tra tutte le lingue indoeuropee arcaiche. Esse, inoltre, sono autentiche anche perché originarie, vale a dire anche perché sono le prime, perché, cioè, sono poste agli albori della stessa storia umana, e quindi sono poste anche il più vicino possibile all’inizio, alla scaturigine stessa della storia dell’uomo, non importa, per ora, quale essa si voglia intendere sia. Come le categorie aristoteliche, anche

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se in un senso diverso, esse fanno parte della struttura dell’essere, ne sono la voce stessa.

2. Le nozioni di significato che il linguista identifica come “fondanti” nell’ambito della lingua, oltre a rappresentare il fondamento storico-semantico più importante delle lingue europee, rappresentano, in senso filosofico, il fondamento, tout-court, di quello che vorrei chiamare “l’umano universale”, perché queste nozioni corrispondono non solo alle categorie dell’uomo indoeuropeo, ma alle categorie dell’uomo in sé, volendo in questo modo intendere ciò che definisce l’essere umano come uno e unico, “tutto intero”, quando esso si consideri privo di altre precisazioni accidentali. Si deve anche precisare, allora, che esse sono il fondamento, una volta compiuta ogni analisi, di tutte le civiltà e che queste civiltà sono state tutte costruite dall’uomo sullo stesso fondamento.

3. Se le dieci categorie aristoteliche (sostanza, qualità, quantità, relazione, luogo, tempo, posizione, condizione, azione, passione)2 mantengono inalterata la loro importanza giacché rappresentano le coordinate generali e “avulse”, possiamo anche dire teoreticamente generative del pensiero umano prima che esso diventi pensiero storico, esse, quando sono poste di fronte alle categorie individuate da Benveniste (economia, famiglia, società, potere, diritto, religione), permettono, come solo ogni paragone può fare, il risalto per contrasto di queste ultime come categorie “storiche”, appunto, dell’uomo, vale a dire come coordinate dell’umano pratico concretizzarsi quando esso uomo, uscito dalla sua iniziale, individuale dimensione, entra in contatto con i suoi simili e, quindi, con la sua stessa società e con la sua storia.

4. Se accettiamo il principio secondo cui ogni civiltà ripete, durante il suo particolare percorso ciclico, lo stesso cammino evolutivo già

2 Tralascio volutamente la classificazione kantiana delle categorie (palesemente ripresa, del resto, da quella di Aristotele), in quanto il menzionarla qui non sposterebbe molto il senso del discorso che sto cercando di fare.

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presente, in generale, nel succedersi della storia di tutte quante le civiltà. (Vale a dire, se accettiamo il fatto che l’ontogenesi storica di quella civiltà isolatamente considerata debba intendersi come una ripetizione, o un “ripasso”, della filogenesi storica, cioè dell’intera storia dell’uomo considerabile come fatto uno ed unico che si realizza nel momento in cui egli “la fa” realizzando se stesso, o ritenendo di “doverla piegare” a un qualche se stesso). E se, inoltre, accettiamo che le categorie di Benveniste abbiano inizialmente un significato storico-filosofico ma in seguito anche antropologico; se accettiamo tutto ciò, potremo dedurre che le categorie di Benveniste sono da intendere inizialmente come significazioni originarie storico-filosofiche, le quali hanno poi assunto, però, designazioni di tipo antropologico o anche socio-culturale via via diverso con il succedersi delle civiltà umane. E ciò nello stesso modo in cui, rispetto al loro iniziale significato storico-filosofico, esse assumono designazioni antropologiche o anche orientamenti socio-culturali diversi all’interno di ogni particolare civiltà, quindi anche all’interno della civiltà della quale anche noi siamo partecipi.

5. Su queste basi, allora, è possibile procedere, restringendo più convenientemente, per il momento, la nostra ricerca soltanto alla nostra civiltà, osservando quali sono gli scostamenti provocati dalle designazioni antropologiche, rispetto al significato filosofico originario. Tutto ciò analizzando, per ogni fondamento originario, per quali ragioni si è determinata e su quali equilibri questa diversa designazione si è retta ed ora si regge. Il metodo adoperato potremmo definirlo, ancora una volta, un metodo diacronico/sincronico, un transito che attraversi il tempo sia in direzione orizzontale che verticale, facendoci aiutare molto dalla libera associazione di idee e cercando di semplificare al massimo.

In tal modo vorremmo tentare di rendere tutto forse più gradevole, se riusciremo a toccare con leggerezza qualcosa che sembra legato a considerazioni che appaiono fragili e apparentemente complicate.

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Questo metodo ha ricevuto un contributo decisivo dalla possibilità che la semiotica offre di rappresentare la parola come segno o simbolo e dalla possibilità che il “pensiero ibrido” offre, di sfruttare la speculazione dandole anche tonalità quasi oniriche.

FIGURA 4. Un’immagine “sacra” per gli induisti, Savitri, sposa di Brahma e madre dei quattro Veda. Il pensiero ibrido “visto” dalla indoeuropea civiltà indiana?

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ALCUNE ESEMPLIFICATIVE CONSIDERAZIONI INIZIALI.

Se si vuole trovare un limite alla ricerca del linguista francese, si potrebbe trattare di questo: la definizione lessicale, basta prendere un vocabolario per rendersene conto, è, per sua natura, una definizione troppo specifica per rendere l’intima complessità, l’articolazione, la stessa variegatura cromatica di un significato filosofico.

Benveniste, seguendo la sua vocazione, chiedeva precisione, troppa particolarità e precisione al suo lavoro, e così dimentica l’universale, “l’io penso” filosofico, diventando una specie di giudice monocratico che, mentre sentenzia con sottigliezza, si distrae e finisce col non accorgersi che di fronte a lui c’è un uomo, o meglio, “l’uomo”. Egli, cioè, non si accorge che all’interno di ognuna delle sue categorie semantiche esiste già una “forma della ragion pura pratica”, direbbe Kant, ma non una specie di già definita e compiuta essenza di esse, al contrario soltanto un qualcosa di ancora acerbo e appena abbozzato che presenta appena alcune invitanti sfumature, e che per questo costringe alla scelta di un opportuno, forse necessario sviluppo.

Si può fare, tra i tanti possibili, l’esempio dell’economia, che nel suo libro il linguista tratta in modo fin troppo scontato e tradizionale, ricorrendo, in senso monosemantico, ai concetti di ricchezza, di acquisto, di obbligazione intesi soltanto come espressione dell’avere, seppure egli li trasponga in chiave arcaica.

Personalmente, invece, ho cercato, nello stesso capitolo, di indicare l’ambivalenza che ogni significato può presentare, sottolineando la duplice polarità del radicale “oikos-” della parola “economia” (casa nel senso di ambiente egoisticamente ristretto, ma anche nel senso di

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luogo identitario), così aprendo al possibile significato di economia anche quello di economia spirituale e quindi aprendo anche al senso etico di cui lo spirito fa parte e su cui l’economia deve necessariamente “investire”. Ma si potrebbe insistere ancora molto su questa chiave di lettura.

Posta allora, la cosa, in questi più giusti termini, possiamo proseguire dicendo che, seppure attraverso un’osservazione prospetticamente trasversale, l’opera di Benveniste finisce con l’aprirsi, forse inconsapevolmente, a uno scenario di tutto rispetto, che si proietta anche, come dimostra l’esempio appena indicato, soprattutto verso il tema dell’ambiguo, del doppio, del falso, della conduzione strumentale del comportamento umano, e quindi del fraintendimento, o peggio della malevolenza che allontana e provoca l’odio, anziché avvicinare e conciliare. Assecondando, così, un senso assiologico molto diffuso tanto nel mondo protostorico indoeuropeo, quanto, seppure spesso volutamente ignorato o sottovalutato, in quello contemporaneo.

Si potrebbe continuare a lungo su questo tema dell’ambiguo, la cui porta Benveniste finisce involontariamente col dischiudere, ma poiché in questo momento si sta parlando di un progetto e non di una stesura dell’opera, chiuderò, per adesso qui, con queste provvisorie, molto parziali e volutamente esemplificative “considerazioni”.

Ma ciò, senza dimenticare, però, un ultimo possibile, interessante sviluppo del tema dell’ambiguo, quello della norma e della sua violazione, della obbedienza e della disobbedienza, della normalità e della devianza.

Il ribelle è il vero guerriero valoroso dell’esistenza, pur se destinato alla delusione e allo scacco? il “diverso”, il “folle”, sono anche la mancata accettazione di un altro noi stessi?

Probabilmente, ma lo vedremo meglio in seguito, questo tema dell’ambiguo si apre a sua volta in quello straordinariamente difficile

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della stessa struttura dell’essere come struttura non monoliticamente inerte, ma dotata, invece, di una sua intima dialettica che potrebbe essere proprio la stessa dialettica del logos, del discorso, della parola, appunto. Se è vero che il “logos” chiarisce continuamente se stesso nel suo eterno “farsi”, il suo stesso “interno divenire”, la dialettica dell’ultimo motore non lo rende più affatto immobile, dunque: essa, invece, è quella dinamica bene-male, male-bene, che scaturisce dall’abisso della sua libertà.

FIGU R A 5 . I L “G R A N S A C E R D O T E ” C A I F A , C A P O D E L “S I N E D R I O ” , S U P R E M O C O N S I G L I O R E L I G I O S O E B R A I C O , I M P E R S O N A T O D A L L ’ A T T O R E M A T T I A S B R A G I A , N E L D I S C U S S O F I L M “L A P A S S I O N E D I C R I S T O ” , A C C U S A T O A N C H E D I A N T I S E M I T I S M O , G I R A T O D A L L ’ A T T O R E - R E G I S T A A U S T R A L I A N O M E L G I B S O N , C O L T O N E L S U O C A R A T T E R I S T I C O A T T E G G I A M E N T O A C C U S A T O R I O . I L S I N E D R I O , E S P R E S S I O N E P A R A D I G M A T I C A D E L “K R À T O S ” T E O C R A T I C O P I Ù I N T R A N S I G E N T E E V I O L E N T O , A V E V A G I À C O N D A N N A T O G E S Ù M O L T O P R I M A C H E E G L I E N T R A S S E P E R L ’ U L T I M A V O L T A A G E R U S A L E M M E , C O M E I L N A Z A R E N O S A P E V A B E N E . I L S U O D E C I S I V O G E S T O D I P R O T E S T A N E L T E M P I O A P P A R E , A S U A V O L T A , P R O P R I O P E R Q U E S T O , C O M E L A D E F I N I T I V A C O N D A N N A D I E S S O E , Q U I N D I , C O M E L A S T E S S A S O T T O S C R I Z I O N E D E L L A S U A C O N D A N N A A M O R T E . L ’ I M M A G I N E C O N T R A S T A C O N L ’ I N E S P R I M I B I L E S U G G E S T I O N E E L A S T R A O R D I N A R I A C O M P L E S S I T À D E L L A F I G U R A D E L C R I S T O .

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L’ALTRA INEVITABILE, RECIPROCA MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO UMANO, LA STORIA, “DIADICA FACIES” DEL “VEDERE ” FILOSOFICO, HA AVUTO INIZIO CON LO STESSO INIZIO DELLA NOSTRA UMANA SPECIE MORTALE, O ALMENO DI QUELLA SPECIE CHE SI PRESENTAVA NELLA FORMA PIÙ VICINA ALLA NOSTRA, DIVERSE DECINE DI MIGLIAIA DI ANNI FA. (“HOMO SAPIENS”, 70-60.000 A. C.).

FIGU R A 6 E F IGU RA 7, IN QU EST A PA GINA E , R IS PETT IVAM ENT E, NELLA S EGU ENT E. L ’ A B U S A T I S S I M A I M M A G I N E R I P R O D O T T A S O P R A ( F I G U R A 6 ) , H A , P E R Ò , U N M E R I T O E D I O L ’ H O I N S E R I T A Q U I P R O P R I O P E R Q U E S T O : R A P P R E S E N T A L ’ “ H O M O S A P I E N S ” E I S U O I A N T E N A T I A N T R O P O I D I N E L L O R O A T T E G G I A M E N T O P I Ù N A T U R A L E , Q U E L L O D E L C A M M I N A R E , P O T E N D O , C O S Ì , E G L I P E R C O R R E R E D I S T A N Z E A N C H E L U N G H I S S I M E , C H E L O H A N N O P O R T A T O A P O P O L A R E L A T E R R A . M A P R O P R I O I V I A G G I D E L L ’ U O M O ( L A F I G U R A 7 N E O F F R E U N ’ I N T E R E S S A N T E R A P P R E S E N T A Z I O N E C A R T O G R A F I C A ) E R A N O I N I Z I A T I , I N R E A L T À , M O L T O T E M P O P R I M A D E L L A C O M P A R S A D E L L A C I V I L T À I N D O E U R O P E A , Q U A N D O I N U N A L T R O C O N T I N E N T E , L ’A F R I C A , E G L I , S P I N T O D A U N I N S O P P R I M I B I L E B I S O G N O , A V E V A G I À C O M I N C I A T O A M U O V E R S I , P E R D A R E I N I Z I O A L L A S U A S T O R I A .

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Ma l’atto decisivo della genesi storico-antropica del nostro continente si pose soltanto molto

tempo dopo, quando gli indoeuropei si diffusero in Eurasia…

______________________________________________________________________________________________LE FIGURE 8 E 9 CHE SEGUONO, POSTE ALLE PAGINE 26 E 27, SONO OGGETTO DEL LUNGO CAPITOL O E DELLA SUA APPENDICE POST I ALLE PAGINE 28-52. (IL PROBLEMA DELL’ORIGINE E DELLA DIFFUSIONE DEGLI INDOEUROPEI).

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IL PROBLEMA DELL’ORIGINE E DELLA DIFFUSIONE DEGLI INDOEUROPEI.

LE DUE CARTE RIPORTATE ALLE PAGINE PRECEDENTI SONO STATE REALIZZATE SEGUENDO IL CRITERIO DELLA DIFFUSIONE COMPARATIVA, IN EPOCHE DIVERSE, DEI DUE “APLOTIPI” GENETICI (OVVERO GENI DI STRUTTURA ACIDO-NUCLEICA PARTICOLARMENTE SEMPLICE), PIÙ SPESSO PRESENTI NEL CROMOSOMA “Y” DI MOLTE POPOLAZIONI EUROPEE ED ASIATICHE. QUESTI APLOTIPI GENETICI ERANO STATI PRECEDENTEMENTE RINVENUTI ED IDENTIFICATI ANCHE IN CAMPIONI BIOLOGICI OTTENUTI DA RESTI DI INDIVIDUI DI SESSO MASCHILE, VISSUTI IN EUROPA ED IN ASIA NEL PERIODO OGGETTO D’INDAGINE, CHE È QUELLO CHE INTERCORRE TRA IL DECIMO ED IL PRIMO MILLENNIO A. C. LA LORO STESSA FREQUENZA, POI, NELLE DIVERSE POPOLAZIONI EUROPEE ATTUALI, COLLOCATA NELLO SPAZIO GEOGRAFICO OCCUPATO DAL CONTINENTE EUROPEO E DA QUELLO ASIATICO, CI HA PERMESSO DI DISPORRE, DA QUALCHE ANNO, DI ALCUNE RAPPRESENTAZIONI STORICO-CARTOGRAFICHE DI PARTICOLARE INTERESSE. LA RECENTE RICERCA CI SEMBREREBBE TANTO NUOVA E GENIALE, QUANTO, A PRIMA VISTA, EFFICACE E RISOLUTIVA, PERCHÉ SI PRESENTA COME CAPACE DI FAR LUCE SU DI UN PROBLEMA CHE PER MOLTO TEMPO HA LETTERALMENTE “SEQUESTRATO” L’INTERESSE DI MOLTI STUDIOSI, E CIOÈ QUELLO DI CHIARIRE LA PROVENIENZA E LA CAPILLARE DIFFUSIONE DEGLI INDOEUROPEI SULLA SUPERFICIE DEL NOSTRO CONTINENTE NEI MILLENNI CHE HANNO PRECEDUTO LA NASCITA DI CRISTO.

ESSA, DUNQUE, SI BADI BENE, PARTE DAL PRESUPPOSTO CHE LA DISTRIBUZIONE ODIERNA DEGLI APLOTIPI CONSIDERATI, INTEGRATA CON QUELLA DI ALCUNE PIÙ IMPORTANTI E FREQUENTI MUTAZIONI GENETICHE AVVENUTE NELL’AMBITO DELLO STESSO CROMOSOMA Y, POSSA CONFIGURARSI COME LA TRACCIA STORICO-FILOGENETICA DI QUEL MOVIMENTO DI ESSERI UMANI CHE UNA

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VOLTA, ALCUNI MILLENNI ORSONO, SI REALIZZÒ STORICAMENTE SULLA SUPERFICIE DELL’EURASIA. E PERTANTO, PROPRIO VERIFICANDO E CONFRONTANDO LA LORO ATTUALE DISTRIBUZIONE TRA LE DIVERSE POPOLAZIONI EUROPEE, E TRASFERENDO TALI INFORMAZIONI SULLE CARTE GEOGRAFICHE CONTINENTALI, QUESTO CI PERMETTEREBBE DI RICONOSCERE, COSÌ SI DOVREBBE CONCLUDERE, ALMENO “IL SIMULACRO” DI QUELL’IMMENSO FENOMENO CONSISTITO NELLA DIFFUSIONE DEI POPOLI “INDOEUROPEI” NOSTRI PRECURSORI, AVVENUTA ALCUNE MIGLIAIA DI ANNI FA.

STO CERCANDO DI CHIARIRE MEGLIO POSSIBILE IL SIGNIFICATO DI QUESTE RICERCHE, INSISTENDO SU DI ESSO, PERCHÉ SI COMPRENDA FINO IN FONDO LA LORO PORTATA: ESSE SONO STATE IN GRADO DI DARE FINALMENTE CONCRETEZZA VISIVA AD UN FENOMENO STORICO DI IMPORTANZA DECISIVA PER LA NOSTRA CIVILTÀ, ANZI PER LA NOSTRA STESSA IDENTITÀ INDIVIDUALE E COLLETTIVA. NOI SIAMO QUELLO CHE SIAMO SOLO PERCHÉ VENIAMO DA UN CERTO PASSATO, E QUINDI PENSIAMO, IMMAGINIAMO, GIOIAMO O SOFFRIAMO ED INFINE PROGETTIAMO ANCHE IL NOSTRO FUTURO DI INDIVIDUI E DI COMUNITÀ IN QUANTO FORMATI, GENERATI, CULTURALMENTE STRUTTURATI “IN UNA CERTA MATRICE STORICA”. CIÒ CHE SAREMO DOMANI DIPENDE DA CIÒ CHE SIAMO STATI IERI, E SOLO LA CONOSCENZA DEL NOSTRO PASSATO E LA CONSAPEVOLEZZA CHE ESSA PUÒ RESTITUIRCI, DOVENDOSI SEMPRE SCEGLIERE E DECIDERE RESPONSABILMENTE ALL’INTERNO DI QUESTO PROPRIO “NOI STESSI”, POTRÀ EVITARE, O ALMENO RIDURRE, LA POSSIBILITÀ DI FARE ERRORI CLAMOROSI. E’ ALLORA QUESTO, E NON IL QUOTIDIANO INGANNO DI TANTI INTERESSATI IMBONITORI, CIÒ CHE PUÒ RESTITUIRCI, LIBERANDOCI DALLA LORO ACCATTIVANTE SEDUZIONE, LA NOSTRA DIGNITÀ E, SOPRATTUTTO, LA NOSTRA PIÙ AUTENTICA LIBERTÀ DI PERSONE.

TUTTO CIÒ, FINORA, ERA PERÒ DIMOSTRATO SOLO DA ALCUNE EVIDENZE ETNICHE, LINGUISTICHE, ARCHEOLOGICHE E SOCIO- ANTROPOLOGICHE, MA ERA ANCHE GRAVATO DALLA PESANTE IPOTECA DEL VAGO, DEL MITICO, ED ANCHE DA QUELLA DI UNA DEPRIMENTE, INVINCIBILE INCERTEZZA. SCARSEGGIANDO, INFATTI, IN QUESTO PARTICOLARE AMBITO, LE DIVERSE, PIÙ CONVINCENTI E

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DIMOSTRATIVE FONTI STORICHE “PRIMARIE” DI CUI SI OCCUPANO TRADIZIONALMENTE L’ARCHEOLOGIA ED ANCHE L’ANTROPOLOGIA UMANA IN GENERE (MONUMENTI, EDIFICI, EPIGRAFI, SEPOLTURE E MONETE, AD ESEMPIO, MA ANCHE “LA RICOSTRUZIONE” DELLE DIVERSE COMUNITÀ SOCIO-CULTURALI UNITAMENTE AL LORO DIFFERENTE “PROFILO” DI VALORI INDIVIDUALI E COLLETTIVI, ELEMENTI, TUTTI QUESTI, PIÙ FACILI DA INDIVIDUARE PER FENOMENI STORICI ANCHE SOLO UN PO’ PIÙ RECENTI); ED ANCHE IN ASSENZA, OVVIAMENTE, DI QUALSIVOGLIA FONTE STORICA “SECONDARIA”, (NON ESSENDO CONOSCIUTA DAGLI INDOEUROPEI, A QUEL TEMPO, LA SCRITTURA) CI SI È GIUSTAMENTE AFFIDATI, ANIMATI DA GRANDI SPERANZE, A MAPPE ELABORATE SULLA BASE DI DATI GENETICI PROVENIENTI DA RICERCHE COME QUELLE A CUI ABBIAMO ACCENNATO. VA SOTTOLINEATO, PERALTRO, CHE INFORMAZIONI DIVERSAMENTE OTTENUTE DA DISCIPLINE PIÙ TRADIZIONALI E COLLOCATE ALL’ESTERNO DELLA NUOVA “ANTROPOLOGIA GENETICA”, SAREBBERO STATE ANCHE MENO UTILI, IN QUESTO CASO, PER RICOSTRUIRE “DINAMICAMENTE”, IN MODO ATTENDIBILE, IL COMPLICATO MOVIMENTO DI UNA POPOLAZIONE COME QUELLA INDOEUROPEA DERIVANTE DA UNA COMUNE ORIGINE CHE, PERÒ, SI DIFFUSE SUCCESSIVAMENTE SU UNA SUPERFICIE CONTINENTALE COSÌ VASTA COME QUELLA DELL’EUROPA E DI BUONA PARTE DELL’ASIA. E’ SOPRATTUTTO PER QUESTA RAGIONE, ALLORA, CHE PROPRIO RICERCHE DI QUESTO TIPO POSSONO ANCHE CREARE MOLTE ASPETTATIVE, FORSE TROPPE, PERCHÉ, PRESENTANDOSI ESSE, IN TEORIA, COME LE PIÙ ADATTE A RISOLVERE PROPRIO PROBLEMI DI TAL GENERE, RISCHIANO ANCHE UNA CERTA PERICOLOSA ENFASI CHE DERIVA DALLA NOVITÀ, E QUESTO SI LEGA AD UNA CERTA ESAGERAZIONE DEI RISULTATI OTTENUTI.

(IL SIGNIFICATO DELLE NUMEROSE E COMPLICATE SIGLE ALFABETICO-NUMERICHE APPOSTE SULLE CARTE, COSÌ COME I PARTICOLARI METODI E LE PROCEDURE SCIENTIFICHE SEGUITE CHE QUI, PER I NOSTRI FINI, NON È IL CASO DI APPROFONDIRE, POTRANNO ESSERE OGGETTO DI STUDIO DA PARTE DI CHI FOSSE A CIÒ PIÙ INTERESSATO).

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COME SI PUÒ NOTARE, DUNQUE, DAL CONFRONTO TRA LE DUE CARTE, I LUOGHI DI ORIGINE DEL MOVIMENTO MIGRATORIO NON COINCIDONO AFFATTO TRA LORO, COME NON COINCIDONO, IN PARTE, NEANCHE LE DATE RIPORTATE SU DI ESSE E, IN PARTE, NEANCHE GLI ITINERARI PERCORSI, E QUESTO DEPONE CON EVIDENZA A FAVORE DI UN FENOMENO MIGRATORIO CHE PERSISTE ANCORA ASSAI COMPLICATO, IN CUI I “FLUSSI ANTROPICI” APPAIONO INTERSECARSI, SOVRAPPORSI E CONFONDERSI, CREANDO, IN TAL MODO, UN FENOMENO COMPLESSIVAMENTE DEFINIBILE, FORSE, COME “UNICO” O, FORSE MEGLIO “UNITARIO”, MA LA CUI DINAMICA INTERNA NON È PER NULLA RISOLTA, RIMANENDO COSÌ ESSO, ANCORA, QUASI QUEL ROMPICAPO CHE HA SEMPRE FATTO IMPAZZIRE GLI STORICI.

COME SI VEDE CONFRONTANDO LE DUE CARTE, VOLENDO RIASSUMERE SINTETICAMENTE I FATTI, POSSIAMO SOLO DIRE, DUNQUE, CHE, PER QUANTO CI DIMOSTRA LA GENETICA, L’APLOTIPO R1A, PRESENTE IN UN CERTO CAMPIONE DI INDIVIDUI DI STIRPE INDOEUROPEA, LA CUI DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA È ILLUSTRATA NELLA FIGURA 8 A PAGINA 26, PRESENTA UN PUNTO DI ORIGINE ASSAI DIVERSO RISPETTO ALL’APLOTIPO R1B, PRESENTE IN UN ALTRO CAMPIONE DI ANALOGHI INDIVIDUI, LA CUI DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA È ILLUSTRATA NELLA FIGURA 9 A PAGINA 27. LA LOCALIZZAZIONE ORIGINARIA DELLE DUE UNITÀ GENETICHE UMANE SAREBBE DA PORSI, IN EFFETTI, LA PRIMA, NELLA REGIONE POSTA SUBITO A NORD DEL MAR NERO, LA SECONDA, INVECE, NELLA REGIONE POSTA A SUD-SUD-EST DEL MAR CASPIO. INOLTRE, VOLENDO RILEVARE SOLTANTO CIÒ CHE PIÙ CI INTERESSA, OGGI, IN QUALITÀ DI EUROPEI, PUR SEMBRANDO CHE GLI ITINERARI VERSO OCCIDENTE SIANO INIZIATI PIÙ O MENO NELLO STESSO PERIODO E SEGUANO, ALMENO IN PARTE, LO STESSO PERCORSO, BISOGNA ANCHE AGGIUNGERE CHE IL PRIMO, A DIFFERENZA DELL’ALTRO, SI ESAURISCE E TERMINA DEFINITIVAMENTE “SOLTANTO” NELLA PARTE SETTENTRIONALE DEL CONTINENTE EUROPEO, MENTRE L’ALTRO, CHE PROSEGUE BEN OLTRE, PRESENTA, IN TUTTA L’EUROPA, UNA DISTRIBUZIONE MOLTO PIÙ ESTESA E COMPLETA RISPETTO AL PRIMO ITINERARIO CHE APPARE, AL CONTRARIO, PIÙ SCARNO E SEMPLIFICATO. ESSO, INFATTI, SEMBRA EVITARE

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OGNI ULTERIORE DEVIAZIONE VERSO SUD, COME SE FOSSE STATO GUIDATO DA UN UNICO INTENTO MIGRATORIO, ORIENTATO ESCLUSIVAMENTE VERSO IL CENTRO-NORD EUROPEO.

VOLENDO SEGUIRNE PIÙ DA VICINO I PERCORSI, ECCO QUANTO POSSIAMO RILEVARE. (CONSIGLIO VIVAMENTE DI FACILITARSI LA LETTURA UTILIZZANDO LE CARTE ALLEGATE, CHE SONO ANCHE DI FACILE INTERPRETAZIONE).

1). L’APLOTIPO GENETICO R1A , IL CUI PUNTO D’ORIGINE È INDICATO CON LA SIGLA M 417 POSTA A NORD DEL MAR NERO, SI SUDDIVIDE IN ALMENO NOVE ESPANSIONI PRINCIPALI: PROCEDENDO IN SENSO ORARIO, LA PRIMA SI DIRIGE PRIMA A NORD-EST E POI FRANCAMENTE VERSO EST (2500-1800 A. C.) MA, DOPO AVER OLTREPASSATO LA REGIONE A NORD DEL MAR CASPIO, SI RAMIFICA. E COSÌ, ESSA IN PARTE CONTINUA A DIFFONDERSI ANCORA IN QUELLA STESSA DIREZIONE VERSO L’ASIA CENTRALE (2300-1400 A. C.); IN PARTE PIEGA VERSO SUD-EST, CIOÈ VERSO LA ZONA DESERTICA PREHIMALAYANA; IN PARTE PIEGA DECISAMENTE VERSO SUD, E POI VERSO SUD-OVEST, CIOÈ VERSO LA REGIONE IRANIANA (1400-1000 A. C.); IN PARTE, DOPO AVER PIEGATO ANCORA PIÙ AD OVEST A SUD DEL MAR CASPIO, RITORNA VERSO L’ALTOPIANO DELL’ANATOLIA (1500-1000 A. C.). LA SECONDA ESPANSIONE DI QUESTO, VA AD OCCUPARE LA REGIONE DELL’INDO (1700 A. C.). LA TERZA , INVECE, SI SPOSTA DAL PUNTO DI ORIGINE SUBITO IN DIREZIONE SUD-EST, POPOLANDO LA ZONA POSTA A NORD DEL MAR CASPIO (2700-2100 A. C.). LA QUARTA , PROCEDENDO QUASI NELLA STESSA DIREZIONE, OCCUPA LA ZONA DEL CAUCASO (2800-2200 A. C.). LA QUINTA , PERÒ, PRENDENDO VERSO SUD-OVEST, OCCUPA IN PARTE L’EUROPA ORIENTALE E LA PENISOLA BALCANICA (4200-3200 A. C.) DOVE SI VERIFICA ANCHE LA MUTAZIONE INDICATA CON LA SIGLA L664. MA POI ESSA PROSEGUE A NORD VERSO L’EUROPA CENTRALE (2800-2550 A. C.), E POI ANCORA, DOPO ESSERSI PROPAGATA VERSO OVEST, CIOÈ VERSO LA ZONA COSTIERA DEL MARE DEL NORD, ATTRAVERSA LA PENISOLA DANESE PER DIRIGERSI VERSO QUELLA SCANDINAVA (1700 A. C.). LA SESTA SI MUOVE VERSO LA REGIONE A NORD DEI CARPAZI. L’OTTAVA, SI STABILISCE NELLA REGIONE POLACCA. LA NONA VA

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VERSO LA REGIONE BALTICA. GIÀ UN’ALTRA, PERÒ, LA SETTIMA ESPANSIONE, QUELLA PIÙ IMPORTANTE PER NOI OCCIDENTALI, SI SPINGE DECISAMENTE PIÙ AVANTI VERSO OVEST E, COME PROPRIO SEMBREREBBE, SI ARRESTA IN MANIERA DEFINITIVA, CONCLUDENDOSI POI NELLA PIANURA GERMANICA (2800-2400 A. C.) , NON PRIMA DI ESSERSI RIVOLTA ANCORA A NORD, VERSO LA PENISOLA SCANDINAVA.

2). L’APLOTIPO GENETICO R1B , IL CUI PUNTO DI ORIGINE È INDICATO CON LA SUA STESSA SIGLA E, SUBITO DOPO, SPOSTANDOSI VERSO OVEST, CON QUELLA R1B1, DIMOSTREREBBE, PERÒ, COME GIÀ SI È DETTO, L’ESISTENZA DI UN’ONDATA MIGRATORIA CHE PRESENTA, COME PUNTO DI ORIGINE, UN’ALTRA REGIONE GEOGRAFICA ASSAI DIVERSA RISPETTO ALLA PRIMA, ESSENDO POSTA, QUESTA E NON QUELLA, NELLA PARTE SUD-ORIENTALE DEL MAR CASPIO, SULL’ALTOPIANO DELL’IRAN E NELLA ZONA SUBITO A NORD-EST DI ESSO, E NON NELLA REGIONE A NORD DEL MAR NERO. SI DEVE A QUESTO PUNTO NOTARE, ANCHE, CHE IL MOVIMENTO ORIGINARIO, DOPO ESSER GIÀ DIVENTATO QUEL R1B1 DEL QUALE SI È GIÀ DETTO SOPRA, SI SPOSTA ANCORA, SUBITO PIÙ A NORD-OVEST, NELLA ZONA POSTA NELL’ANGOLO SUD-EST DEL MAR NERO, RICEVENDO UNA MUTAZIONE GENETICA CHE SEMBRA ASSAI IMPORTANTE (INDICATA CON LA SIGLA R1B1A). E SICCOME IL MOVIMENTO SEMBRA ASSUMERE, IN QUESTO SECONDO TEMPO, ANCHE UN ANDAMENTO ROTATORIO IN SENSO ANTIORARIO INTORNO ALLO STESSO BACINO (CHE PUR ESISTE PER LO R1A, ED ANCHE PIÙ AMPIO, PERÒ IN SENSO ORARIO, CIRCONDANDO LE RIVE ORIENTALI DEL MAR CASPIO E RITORNANDO AD OVEST, VERSO L’ANATOLIA), QUESTO STESSO FENOMENO CONTRIBUISCE A COMPLICARE NON POCO LE COSE, INSINUANDO IL SOSPETTO CHE L’APLOTIPO R1B POSSA AVER ISTITUITO ALMENO “UN IMPORTANTE CONTATTO” CON L’ALTRO APLOTIPO R1A, NEL PUNTO INDICATO COME R1B1A2. INOLTRE, GIÀ PRIMA, DALLA GIÀ RICHIAMATA MUTAZIONE R1B1 SI DISTACCA UN ALTRO RAMO IMPORTANTE (CHE RIPORTA LA SIGLA R1B1C), CHE SI SPINGE FINO ALLA PALESTINA E ALLA PENISOLA DEL SINAI, E QUESTO FA NASCERE SPONTANEA L’IPOTESI DI UNA ALMENO PARZIALE SOVRAPPOSIZIONE ANTROPICA TRA “L’UNIVERSO” INDOEUROPEO E “IL MONDO”

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SEMITICO. NELLA REGIONE POSTA A SUD-EST DEL MAR NERO, COMUNQUE, TALE SENSO ROTATORIO SI APRE POI SUBITO, DA UNA PARTE, DECISAMENTE VERSO EST, E CIOÈ VERSO L’ASIA CENTRALE (R1B1A), DALL’ALTRA, ANCHE VERSO NORD. MA, DALLA PARTE OCCIDENTALE DEL MAR NERO ESSO CONTINUA SOPRATTUTTO VERSO SUD OVEST, E CIOÈ VERSO LA PENISOLA BALCANICA (L’AMPIO INTERVALLO DI TEMPO, 4200-2500 A. C., CHE INDICA LA LUNGA MILLENARIA DURATA DI QUESTO SPECIFICO MOVIMENTO, CHE CARATTERIZZA IN MODO ANALOGO ANCHE IL PERCORSO DI R1A, VALORIZZA INDIRETTAMENTE ANCHE LA SUA INTENSITÀ E LA SUA RIPETIZIONE). DAI BALCANI, POI, IL “FILUM” GENETICO, DOPO ESSERSI SOSTANZIALMENTE MODIFICATO (ACQUISENDO COSÌ LA SIGLA R1B1A2), E DOPO ESSERSI DIFFUSO VERSO LA GRECIA (1880 A. C.) E VERSO L’ASIA MINORE 2000-1200 A.C.), RIPRENDE VERSO NORD-OVEST E PERVIENE COSÌ, CON UN ITINERARIO SOLTANTO CURVILINEO, E NON PIÙ SOPRATTUTTO RETTILINEO, NELL’EUROPA CENTRO ORIENTALE (2800-2500 A. C.) E LA PIANURA GERMANICA (2500 A. C.). A QUESTO PUNTO, ESSO SI SUDDIVIDE IN ALMENO TRE RAMI TERMINALI, CHE SI CONCLUDONO IN SCANDINAVIA (1700 A. C.), NELLA REGIONE BALTICA E NELLA REGIONE GERMANICA OCCIDENTALE (2300 A. C.). MA SUBITO DOPO, NELLA PIANURA TEDESCA SUD OCCIDENTALE, PIÙ O MENO ALL’ALTEZZA DEL RENO, SI INSTAURA UNA NUOVA MUTAZIONE (RIPORTATA CON LA SIGLA P312), IL CUI PERCORSO, A DIFFERENZA DELL’ALTRO, PROCEDE ANCORA, DIVIDENDOSI IN PARTE VERSO NORD-EST E LA PENISOLA DANESE, IN PARTE VERSO NORD-OVEST E LE ISOLE BRITANNICHE (2100 A. C.), IN PARTE VERSO EST E LA REGIONE FRANCESE, IN PARTE, INFINE, VERSO SUD-OVEST ATTRAVERSANDO LA REGIONE FRANCESE MERIDIONALE (2250 D. C.), E INFINE VERSO LA PENISOLA IBERICA, DOVE QUESTO “PERCORSO GENETICO”, ASSAI PIÙ LUNGO DEL PRECEDENTE, SI CONCLUDE. LA PENISOLA ITALICA, INVECE, APPARENTEMENTE NON SEMBRA INTERESSATA DA TUTTO CIÒ: ED INFATTI ESSA VIENE “OCCUPATA” DA UNA MUTAZIONE GENETICA (INDICATA COME U152) CHE, PRESENTANDO UN PUNTO DI PROVENIENZA DIVERSO DAI PRECEDENTI, POSTO ALL’INCIRCA NELLA REGIONE AUSTRIACA, APPARE COME RELATIVAMENTE AUTONOMA RISPETTO ALLE ALTRE.

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QUESTA MUTAZIONE, ALLA FINE, PENETRA NELLA NOSTRA PENISOLA PERCORRENDOLA QUASI COMPLETAMENTE (1200 A. C.).

QUALI CONCLUSIONI TRARRE DA TUTTO CIÒ? TUTTO QUEL CHE VOLUTAMENTE, VORREI DIRE QUASI FREDDAMENTE, PUNTIGLIOSAMENTE, È STATO DESCRITTO PER SOTTOLINEARNE CIÒ CHE CI APPARE QUASI COME UNA SUA INTIMA, FERVIDA, INVENTIVA, FORSE ANCHE FIN TROPPO COMPLICATA “INTELLIGENZA”, RAPPRESENTA, OGGI, ANCHE L’UNICA PIÙ DETTAGLIATA, ENCOMIABILE TESTIMONIANZA SCIENTIFICA A FAVORE DI UN FENOMENO DELLA STORIA DELL’UOMO DI IMPORTANZA GIGANTESCA, ANCHE SE LASCIAMO, PER ORA, AI NOSTRI LETTORI, SE MAI CE NE SARANNO, IL COMPITO DI COLLEGARE GLI ANTICHI MOVIMENTI MIGRATORI ALLE VARIE, PARTICOLARI “CIVILTÀ” DA ESSI GENERATI. MA ESSO È, PERÒ, COSÌ LONTANO NEL TEMPO, COSÌ COMPLESSO NELLO SPAZIO, COSÌ ANCORA CARENTE DI EFFICACI, RISOLUTIVI SISTEMI DI STUDIO, MA ANCHE COSÌ PREPOTENTEMENTE AFFASCINANTE E QUASI EVENTO “ASSIALE” PER LA STORIA, DA COSTRINGERE I SUOI STUDIOSI AD ESCOGITARE L’IMPENSABILE, PUR DI SCAVALCARE OSTACOLI INTERPRETATIVI CHE SEMBRANO INSUPERABILI E COSÌ ANDARE PIÙ A FONDO IN ESSO. POTREBBERO, CON QUESTO, ESSI SENTIRSI GIUSTIFICATI A RICONGIUNGERE ALLA LORO VERA UNITÀ LE TANTE PARTICOLARI NAZIONI EUROPEE CHE HANNO POI SEPARATAMENTE GIOCATO UN RUOLO COSÌ DECISIVO NELLA STORIA DEL MONDO, VOLENDO COSÌ PORSI, DI VOLTA IN VOLTA, AL CENTRO DI ESSA.

SALTANO ORA, PERÒ, ALL’OCCHIO, QUASI ALL’IMPROVVISO, ANCHE ALCUNI ALTRI EVIDENTI RILIEVI, E DI SEGNO OPPOSTO, QUESTA VOLTA, VA DETTO, RISPETTO A QUELLI PRIMA CONSIDERATI. ENTRAMBE LE TAVOLE PRESENTANO, GUARDANDOLE “AD OCCHIO NUDO”, VOLENDO METTERE DA PARTE, ADESSO, GLI OCCHIALI DELLA ECCESSIVA PRECISIONE CRITICA, DATE E PERCORSI MOLTO SIMILI, IN GENERALE, MA SOPRATTUTTO SEMBRANO SIMILI LE DATE ED I PERCORSI PER QUANTO RIGUARDA IL MOVIMENTO PRINCIPALE E CHE PIÙ CI INTERESSA, QUELLO PIÙ PRECISAMENTE COMUNE AI DUE E DIRETTO AD OVEST VERSO LA PENISOLA EUROPEA ATTRAVERSO I BALCANI, CHE DESCRIVE UNA CURVA CHE PRIMA SI CHIUDE VERSO SUD, E POI SI RIAPRE, PROCEDENDO VERSO

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NORD-OVEST. QUESTO MOVIMENTO COMUNE SI UNISCE, NEL CASO DI R1A, ALL’ALTRO SUO COEVO E RETTILINEO, PIÙ IMPORTANTE MOVIMENTO DIRETTO, SENZA INDUGI, VERSO OVEST. SI DEVE RILEVARE, ANCHE, CHE IL MOVIMENTO APPENA DESCRITTO SEMBRA QUASI COINCIDERE CRONOLOGICAMENTE NEI TRE CASI (IL PERIODO COMPRESO TRA GLI ANNI 4200-3000 A. C. DELLO R1A, CONTRO IL PERIODO COMPRESO TRA GLI ANNI 4200-2500 A. C. DELLO R1B PER QUANTO RIGUARDA LA PRIMA FLESSIONE “BALCANICA” DEI PERCORSI; QUELLO COMPRESO TRA GLI ANNI 2800-2500 A.C., IN ENTRAMBI I CASI, PER QUANTO RIGUARDA LA SUCCESSIVA RIPRESA “GERMANICA” VERSO IL NORD E, INSIEME A QUESTI DUE ULTIMI, IL 2800-2400 A.C., PER QUANTO RIGUARDA ANCHE QUELLO RETTILINEO DI R1A, “CORDED WARE EXPANSION”, DIRETTO SUBITO AD OVEST), ANCHE CONSIDERANDO CHE IL TEMPO DEVE QUI INTENDERSI DISPOSTO SU GRANDE SCALA. TUTTAVIA, NON SI PUÒ NEMMENO DIMENTICARE CHE I DUE PERCORSI GENETICI PRESENTANO PURE DUE DIVERSI PUNTI DI ORIGINE, COME ABBIAMO GIÀ VISTO, SEBBENE ENTRAMBI SI RIFACCIANO SEMPRE ALLA ZONA CHE PRECEDE QUELLA DI CONFINE POSTA TRA IL CONTINENTE EUROPEO E QUELLO ASIATICO, I MONTI URALI, LA CUI RADICE SEMANTICA “UR-”, AGGIUNGIAMO PER INCISO, È ANCHE IDENTICA A QUELLA DELLA PAROLA TEDESCA “UR-HEIMAT” (“LA PATRIA ORIGINARIA”), ADOPERATA IN PASSATO PER INDICARE LA MITICA REGIONE DI ORIGINE DEGLI INDOEUROPEI. MA SOPRATTUTTO, IL PRIMO TERMINA MOLTO PRIMA DEL SECONDO, COSÌ NON POTENDO SPIEGARE LA FONDAMENTALE DIFFUSIONE DEGLI INDOEUROPEI, OLTRE CHE NELL’EUROPA CENTRO-SETTENTRIONALE, ANCHE IN TUTTA L’EUROPA MERIDIONALE, CIÒ CHE INVECE È ILLUSTRATO CHIARAMENTE DALL’ALTRO ITINERARIO. STANTE, COSÌ, LA PARZIALE SIMILITUDINE DEI LORO PERCORSI E LA LORO SUGGESTIVA COINCIDENZA CRONOLOGICA, MA ANCHE LA DIFFERENTE LOCALIZZAZIONE GEOGRAFICA DELLA LORO ORIGINE E LA LORO DIVERSA LUNGHEZZA, FINO A CHE PUNTO I DUE FONDAMENTALI PERCORSI VERSO L’EUROPA OCCIDENTALE, POSSONO DIRSI UN SOLO PERCORSO?

I). VOLENDO DAR PIÙ PESO ALLE IDENTITÀ CHE ALLE DIFFERENZE, POICHÉ LE DUE RICERCHE GENETICHE, COME DOBBIAMO PRESUMERE, SONO DA

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CONSIDERARE ENTRAMBE ATTENDIBILI, NON RESTA DA PENSARE ALTRO CHE QUELLO CHE SEGUE, SE VOGLIAMO CONSIDERARE IL FENOMENO INDOEUROPEO COME UN FENOMENO STORICO-ANTROPICO ALMENO GROSSOLANAMENTE UNITARIO. E CIOÈ <A> CHE SIANO ESISTITE, NEL QUINTO MILLENNIO A. C., DUE COMUNITÀ UMANE INIZIALMENTE STANZIATE, LA PRIMA SUL VERSANTE SETTENTRIONALE DEL MAR NERO, NEL BASSOPIANO SARMATICO MERIDIONALE, LA SECONDA NELLA REGIONE MERIDIONALE DEL MAR CASPIO, SULL’ALTOPIANO IRANICO E NEL BASSOPIANO TURANICO, POSTE A CIRCA QUATTROMILA CHILOMETRI DI DISTANZA TRA DI LORO, GENETICAMENTE DISOMOGENEE, E QUINDI DI DIVERSA PROVENIENZA. ESSE, PERÒ, AD UN CERTO MOMENTO SI SONO RIUNITE, ED HANNO POI PROCEDUTO INSIEME, FORSE “AFFIANCANDOSI”, NELLO STESSO PERIODO, “NEL VIAGGIO” VERSO L’EUROPA, DIFFONDENDOSI DAPPRIMA NELLA ZONA BALCANICA CONTINENTALE E IN QUELLA PENINSULARE GRECA E NEL BACINO DELL’EGEO (LA COMPONENTE “IRANIANO-TURANICA”) PER POI PROCEDERE, ANCORA INSIEME, VERSO L’EUROPA CENTRO- SETTENTRIONALE. LE STESSE, PERÒ, DOPO AVER RAGGIUNTO LA BOEMIA E LA PIANURA GERMANICA, SI SONO DI NUOVO DIVISE, A QUESTO PUNTO, AVENDO LA PRIMA “DECISO” DI RIMANERE PROPRIO NELLA REGIONE EUROPEA CENTRO SETTENTRIONALE, FORSE CON UNA PARTE DELL’ALTRA, MENTRE LA PARTE SUPERSTITE DI QUEST’ULTIMA, PRENDENDO UNA DIVERSA RISOLUZIONE ED UNA NUOVA STRADA, AVREBBE PROSEGUITO DA SOLA VERSO LA REGIONE EUROPEA SUD-OCCIDENTALE, FINO A POPOLARE COMPLETAMENTE, DOPO LA GRECIA E TUTTO IL BACINO DELL’EGEO, ANCHE LE REGIONI AFFACCIATE SULLE SPONDE OCCIDENTALI E CENTRALI DEL MAR MEDITERRANEO.

II). IN ALTERNATIVA <B>, FORSE MENO VEROSIMILMENTE STANDO AI DATI E SFIDANDO LE FORTI SIMILITUDINI PRIMA ENFATIZZATE, MA ANCHE PIÙ LOGICAMENTE, EVITANDO IL RISCHIO DI CADERE OLTRE IL BUONSENSO, SI DOVREBBE IPOTIZZARE CHE QUESTE DUE DIVERSE COMUNITÀ SI SIANO COSTITUITE ANCHE IN DUE “CORRENTI UMANE” DIVERSE, CHE HANNO PROCEDUTO IN MODO RELATIVAMENTE AUTONOMO SUCCEDENDOSI-

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ALTERNANDOSI TRA LORO, PER ANDARE VERSO DESTINAZIONI DIVERSE, SEPPUR PERCORRENDO UN ITINERARIO IN PARTE SIMILE.

MA GLI INDOEUROPEI, ALLORA, PROSEGUENDO LUNGO LA VIA DI QUESTO FILO LOGICO, PRESENTANDO PROFILI GENETICI DIVERSI E AVENDO AVUTO, OLTRE CHE UNA DIVERSA DESTINAZIONE, ANCHE UNA DUPLICE, IGNOTA DERIVAZIONE, AVREBBERO FONDATO QUELLA CHE A NOI SEMBRA DI POTER RIASSUMERE NELL’ATTUALE, “UNICA CIVILTÀ EUROPEA OCCIDENTALE”, DERIVANDO, IN ENTRAMBI I CASI PRIMA IPOTIZZATI, CI SI SENTE AUTORIZZATI A DIRE, DA UN PROCESSO DI FUSIONE ETNICA? OVVIAMENTE, NON SI PUÒ RISPONDERE CON SICUREZZA AD UNA SIMILE DOMANDA, MA LA SUA SPINTA EMOTIVA È COMUNQUE TANTO FORTE, DA AVERMI COSTRETTO A PROLUNGARE QUESTO COMPLICATO CAPITOLO CON UN’APPENDICE CHE TENTA, QUANTO MENO, DI ENTRARE ANCHE IN QUESTO PROBLEMA E CHE, SE SI VUOLE, POTRÀ ESSERE LETTA SUBITO DOPO CIÒ CHE SI STA ORA LEGGENDO.

COME SI PUÒ FACILMENTE NOTARE, GIUNTI A QUESTO PUNTO DELLA NOSTRA ESPOSIZIONE, I “PERCORSI GENETICI” DISEGNATI SULLE MAPPE, IN APPARENZA COSÌ DICHIARATAMENTE DIMOSTRATIVI, NON RESISTONO A LUNGO NEL SOSTENERE IL LORO PROCLAMATO STATUTO DI CHIAREZZA, E INVECE COSTRINGONO, SDOPPIANDO E SOVRAPPONENDO ALTERNATIVAMENTE LE IMMAGINI, AD UNA NUOVA PROFONDA INCERTEZZA.

CON BUONA PACE DI TUTTI GLI ACCANITI ASSERTORI DEL MITO DELLA RAZZA PURA ARIANA, PERÒ, ESSI, COME ACCENNAVAMO, SECONDO LE EVIDENZE RIPORTATE, SI SAREBBERO ADDIRITTURA RESI PROTAGONISTI ANCHE DI UNA SALDATURA CON IL “MONDO SEMITICO”, COME SI NOTA OSSERVANDO LA DEVIAZIONE CONCLUSA DALLA POSIZIONE R1B1C, RIPORTATA IN BASSO, SULLA DESTRA DELLA FIGURA 8: PROPRIO QUEL MONDO CONSIDERATO COSÌ SPESSO OGGETTO DI OSTILITÀ E DI RANCORE, DA SCATENARE MOLTE FEROCI PERSECUZIONI CONTRO DI ESSO SOPRATTUTTO NEL SECOLO SCORSO MA CAPACI, ANCHE OGGI, DI TRASFORMARE IN ODIO UN SOLIDO PREGIUDIZIO ETNICO. QUESTO DIMOSTRA CHIARAMENTE QUANTO SIA PERICOLOSA LA CONGIUNZIONE

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TRA L’IGNORANZA DEI MOLTI E LA FOLLIA DEL POTERE DI POCHI E, QUINDI, QUANTO DEBBA ANCHE CONSIDERARSI VUOTO E BANALE IL CONTENUTO DEL MALE, COME HANNA ARENDT AMAVA RIPETERE.

3). LA RICOSTRUZIONE OFFERTA, INVECE, DALLA STORIOGRAFIA “TRADIZIONALE” E, “IN PRIMIS”, QUELLA OFFERTA DA GIULIO GIANNELLI, SAREBBE ALQUANTO DIVERSA. SI DEVE PRELIMINARMENTE PRECISARE, PERÒ, CHE IL GIANNELLI SI È OCCUPATO SOPRATTUTTO DI STORIA ANTICA ITALIANA, COSICCHÉ LA SUA ATTENZIONE È PRESA QUASI SOLTANTO DAGLI AVVENIMENTI ACCADUTI PER EFFETTO DELLE MIGRAZIONI INDOEUROPEE NELLA NOSTRA PENISOLA, AL PUNTO CHE EGLI NON PUÒ CHE ESSERE PIUTTOSTO VAGO E POCO CONVINCENTE A PROPOSITO DI UNA PRECEDENTE MIGRAZIONE DI PORTATA EURASIATICA CHE SAREBBE PERVENUTA NELLA NOSTRA PENISOLA NEL QUINTO MILLENNIO, DETERMINANDO COSÌ L’INIZIO DELL’ETÀ DEI METALLI. (PROBABILMENTE, SI È TRATTATO DI MOVIMENTI MIGRATORI DI ALTRA ORIGINE E NATURA, E NON CERTO DI UNA MIGRAZIONE DI INDOEUROPEI QUALI QUELLI DI CUI STIAMO ORA SPECIFICAMENTE DISCUTENDO, VISTO CHE LE DATE NON SONO COMPATIBILI IN ALCUN MODO, COME ORA MEGLIO SAPPIAMO). PER QUESTO STUDIOSO, IN OGNI CASO, L’AFFERMARSI DELLA VERA E PROPRIA “CIVILTÀ INDOEUROPEA” IN ITALIA, IN VIA DI TRASFORMAZIONE, ORA, IN “CIVILTÀ ITALICA”, SAREBBE DA ATTRIBUIRSI, COMUNQUE, MOLTO PIÙ PROPRIAMENTE E RECENTEMENTE, AD UN DECISIVO MOVIMENTO UMANO SICURAMENTE INIZIATO IN UN LUOGO ED IN UN TEMPO MOLTO LONTANO, MA CHE CI HA VISTO DECISAMENTE COINVOLTI SOLO A PARTIRE DAL TERZO MILLENNIO A. C. DANDO CIÒ PER SCONTATO, VISTO CHE IL GIANNELLI NON SI PONE NEMMENO IL QUESITO, PORREMO QUESTO LUOGO ORIGINARIO, PIÙ SEMPLICEMENTE E TRADIZIONALMENTE, NELLA REGIONE SITUATA A NORD DEL MAR NERO E DEL MAR CASPIO, CIOÈ IN QUELLA ZONA CHE VIENE OGGI INDICATA COME QUELLA DEL BASSOPIANO SARMATICO MERIDIONALE (CHE COINCIDE PIÙ O MENO ANCHE CON LA LOCALIZZAZIONE PRIMARIA DELLO APLOGRUPPO R1A , IL QUALE SAREBBE ANCHE DA IDENTIFICARSI CON LA MITICA “URHEIMAT” DEGLI INDOEUROPEI, LA CUI LOCALIZZAZIONE È GIÀ STATA OGGETTO, IN PASSATO, DI

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TANTE AUTOREVOLI, MA FANTASIOSE IPOTESI CHE NE HANNO CONTINUAMENTE SPOSTATO L’UBICAZIONE). DATO CHE LE CORRENTI MIGRATORIE CHE PARTIRONO DA QUEL LUOGO, FURONO PRINCIPALMENTE TRE E SI DIFFUSERO VEROSIMILMENTE A RAGGIERA, PROGREDENDO, PRINCIPALMENTE VERSO EST, VERSO SUD-EST E VERSO OVEST, ESSE DIEDERO ORIGINE, COME POSSIAMO NOI STESSI ORA ANCHE AGGIUNGERE, A MOLTE IMPORTANTI CIVILTÀ STORICHE FIORITE IN ORIENTE (LA CIVILTÀ INDIANA E QUELLA DEI TOCARI), NEL MEDIO-ORIENTE (QUELLA PERSIANA) E IN EUROPA (TRA LE PIÙ IMPORTANTI, LA CIVILTÀ CELTICA, QUELLA GERMANICA, QUELLA BALTICA, QUELLA SLAVA, QUELLA GRECA E, APPUNTO, ANCHE LA NOSTRA, LA CIVILTÀ ITALICA). LA CORRENTE MIGRATORIA CHE PIÙ CI INTERESSA, PERÒ, QUELLA CHE DECISE DI SPINGERSI NELLA NOSTRA PENISOLA, SI ARTICOLÒ PIÙ PRECISAMENTE, SECONDO IL GRANDE STORICO, ALMENO IN DUE ONDATE SUCCESSIVE. ESSE, ATTRAVERSANDO IL CONFINE PENINSULARE ALPINO, GIUNSERO IN ITALIA TROVANDO, IN GENERALE, ENTRAMBE SPAZIO IN UN “AMBIENTE UMANO” CHE, MODIFICANDOSI PROGRESSIVAMENTE, SI ERA ANDATO STRATIFICANDO NEL TEMPO.

- LA PRIMA ONDATA <C>, PERÒ, GIUNSE NELL’ITALIA DEL NORD, SECONDO IL GIANNELLI, INTORNO AL 2500 A. C., TROVANDO IL TERRITORIO “OCCUPATO” DA ALCUNE PRECEDENTI POPOLAZIONI, IL CUI GENOMA SI ERA ANDATO “STABILIZZANDO” IN QUELLA CHE I PALEOANTROPOLOGI HANNO CHIAMATO “RAZZA MEDITERRANEA AFRO-EUROPEA”, RAZZA ALLA QUALE SAREBBERO APPARTENUTE ALCUNE GENTI ANCHE DISTANTI GEOGRAFICAMENTE TRA DI LORO, QUALI QUELLE DEI LIGURI, DEI SICANI, DEGLI ELIMI, DEI SARDI E DEI CORSI, MA TUTTE INSEDIATE IN TERRITORI AFFACCIATI SUL GRANDE BACINO DEL MAR TIRRENO E DEL MAR LIGURE. (DA DOVE ESSE FOSSERO GIUNTE, VISTO CHE SI SA SOLO QUALCOSA DEI COEVI INSEDIAMENTI PUNICO-FENICI PRESENTI IN SICILIA E IN SARDEGNA, SAREBBE ALTRO DISCUTIBILE ARGOMENTO). MA, QUEL CHE OCCORRE BEN PRECISARE ORA È ANCHE CHE A QUESTA PRIMA ONDATA DI IMMIGRAZIONE INDOEUROPEA, SI NOTI BENE, SAREBBERO APPARTENUTI SIA I LATINI, CHE SI STANZIARONO NELL’ITALIA CENTRALE, NEI PRESSI DELLA FOCE

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DEL TEVERE, I QUALI AVREBBERO POI FONDATO ROMA; SIA ANCHE ALCUNE TRIBÙ MENO NUMEROSE, MA CHE PIÙ CI RIGUARDANO DA VICINO (I MORGETI, I CONI, GLI ITALI, I SICULI), CHE PERCORSERO L’INTERO TRAGITTO PENINSULARE E A CUI I COLONI GRECI, ARRIVANDO SULLE COSTE CALABRESI ATTRAVERSO LO IONIO NELL’OTTAVO, SETTIMO SECOLO A. C., E TROVANDOLE GIÀ INSEDIATE IN QUELLA REGIONE OSTILE, DIEDERO COMPLESSIVAMENTE IL NOME DI “ENOTRI”. ESSE, DUNQUE, SI ERANO GIÀ PRIMA PORTATE FINO A QUELL’ULTIMA TERRAFERMA D’ITALIA CHE SI SAREBBE POI CHIAMATA CALABRIA, FACENDOSI LÌ TROVARE A QUELL’EPOCA, E SI SAREBBERO POI ANCHE SPINTE, IN PARTE, CON I SICULI, FINO ALLA SICILIA.

- ALLA SECONDA ONDATA D’IMMIGRAZIONE INDOEUROPEA <D>, INVECE, GIUNTA, SEMPRE SECONDO IL GIANNELLI, NEL NORD DELLA PENISOLA INTORNO AL 1500 A. C., MA ARRIVATA AL SUD SOLO UN MILLENNIO DOPO, INTORNO, QUINDI, AL 500 A. C., APPARTENEVA UNA GENTE COMPLESSIVAMENTE INDICATA COME QUELLA DEGLI UMBRI CHE, DIFFONDENDOSI, STANZIANDOSI E DIFFERENZIANDOSI, IN PARTE, IN MOLTI “POPOLI” SOPRATTUTTO DELL’ITALIA CENTRALE, AVREBBE POI CAMBIATO NELL’INSIEME NOME MENTRE SI DIRIGEVA VERSO SUD, DIVENTANDO COSÌ QUELLA DEGLI “OSCHI”. FURONO PROPRIO I NUMEROSI POPOLI OSCHI DELL’ITALIA CENTRALE, QUELLI CHE DETERMINARONO, NEL CONTRASTO GENERATO DALLA LORO PRETESA DI DOMINIO SULLE GENTI LATINE, GIÀ PRESENTI SUL TERRITORIO DA TEMPO, LA REAZIONE DI QUESTE, INNESCANDO QUEL NUOVO MOMENTO STORICO CHE SI SAREBBE POI ESPRESSO, PRIMA DI TUTTO AI LORO DANNI, NELLA “INVINCIBILE” POTENZA DI ROMA. MA ANCHE GLI OSCHI GIUNSERO, INFINE, COME AVEVANO GIÀ FATTO I LORO OMOLOGHI DELLA PRECEDENTE ONDATA, ALL’ESTREMITÀ DELLO “STIVALE”, PER “SOVRAPPORSI” (E SIAMO COSÌ ARRIVATI, PROPRIO INTORNO ALLA METÀ DELL’ULTIMO MILLENNIO A. C.), A QUEI NUCLEI SUPERSTITI CHE APPARTENEVANO ALLA PRIMA ONDATA IMMIGRATORIA, PER POI “ASSORBIRLI” ANCHE COMPLETAMENTE, FORMANDO CON LORO, IN TAL MODO, UN’UNICA COMUNITÀ. PROPRIO DA COSTORO, ORMAI GIÀ DIVENTATI GLI OSCHI

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MERIDIONALI, DERIVARONO QUELLE POPOLAZIONI LUCANE E SUCCESSIVAMENTE BRETTIO-BRUZIE CHE SONO ALL’ORIGINE DELLA NOSTRA IDENTITÀ DI CALABRESI.

COME ARMONIZZARE LE VARIE CONCLUSIONI TRATTE DALLE “RAPPRESENTAZIONI GENETICHE” PIÙ RECENTI (UN’UNICA MIGRAZIONE RISULTANTE DALLA FUSIONE DI DUE DIVERSE COMUNITÀ UMANE <A>, OPPURE ANCHE UN FLUSSO MIGRATORIO DI VOLTA IN VOLTA AUTONOMAMENTE REALIZZATO IN SUCCESSIONE FORSE DA DUE POPOLAZIONI INIZIALMENTE SEPARATE FRA LORO, MA POI IN CAMMINO NELLO STESSO SPAZIO GEOGRAFICO, CHE SI SONO FORSE ANCHE ALTERNATE FRA DI LORO <B>, COMPLESSIVAMENTE DEFINIBILI COME COSTITUITE DA “INDOEUROPEI”, MA DI DIVERSA PROVENIENZA E COMUNQUE CON DESTINAZIONI MOLTO DIVERSE, DA PORRE NELL’ARCO TEMPORALE CHE VA DAL QUINTO AL PRIMO MILLENNIO A. C.), CON QUELLE CHE VENGONO DESCRITTE DA UNO STORICO COSÌ AUTOREVOLE, ANCHE SE COSÌ “DI SETTORE” COME IL GIANNELLI (DUE ONDATE MIGRATORIE DEGLI INDOEUROPEI IN ITALIA, MOLTO BEN DISTINTE ED INDIVIDUATE, VERIFICATESI, RISPETTIVAMENTE, LA PRIMA <C> INTORNO ALLA METÀ DEL TERZO MILLENNIO, LA SECONDA <D> INTORNO ALLA METÀ DEL SECONDO MILLENNIO A. C.)? SENZA DUBBIO, LA “CONCRETA STRATIFICAZIONE” DEI POPOLI ITALICI ANTICHI RENDE ASSAI VEROSIMILE E CONVINCENTE LA PRECISA RICOSTRUZIONE DELLO STORICO FIORENTINO. ED INOLTRE, ALMENO LA DATAZIONE DELLA SECONDA ONDATA (1500 A. C., CIRCA) PUÒ COINCIDERE, SU GRANDE SCALA, CON QUELLA INDICATA NELL’AMBITO DELLA PROGRESSIONE GENETICA R1B, INFINE DIVENTATA U152, PER QUANTO RIGUARDA LA PENISOLA ITALIANA (1200 A. C.). PER SPIEGARE, PERÒ, L’ATTENDIBILITÀ DELLA DATAZIONE DA LUI PROPOSTA PER LA PRIMA ONDATA MIGRATORIA (2500 A. C., CIRCA), NON CI RESTA CHE UNA SOLA IPOTESI, QUESTA: È POSSIBILE CHE LE COSÌ RECENTI, APPARENTEMENTE COSÌ BRILLANTI, RICOSTRUZIONI GENETICHE DEL “FENOMENO STORICO INDOEUROPEO” SIANO NON ANCORA PRECISE O NON ANCORA COMPLETE, E PIÙ VERITIERE, INVECE, PROPRIO QUELLE REALIZZATE IN PASSATO, CHE DISPONEVANO SOLTANTO DI MEZZI TRADIZIONALI?

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ED INFATTI, … ED INFATTI, BISOGNA INFINE AGGIUNGERE, IN UNA RECENTE COMUNICAZIONE DEL BOLLETTINO SCIENTIFICO “NATURE COMMUNICATIONS” (RIPORTATA SUL SUO SITO WEB DALLA RIVISTA “LE SCIENZE”, EDIZIONE ITALIANA DI “SCIENTIFIC AMERICAN”, IN DATA 24 APRILE 2013), SI LEGGE UNA NUOVA, IMPORTANTE NOTIZIA. LO SCIENZIATO AUSTRALIANO WOLFGANG HAAK DELL’UNIVERSITÀ DI ADELAIDE, NELLA LONTANA AUSTRALIA, AVREBBE SCOPERTO CHE L’APLOGRUPPO H, PRESENTE NEL DNA MITOCONDRIALE, (TRASMISSIBILE SOLTANTO PER VIA MATERNA), AD ELEVATA DISTRIBUZIONE NELLE POPOLAZIONI ATTUALI DELL’EUROPA OCCIDENTALE, MA PRESENTE ANCHE IN ALCUNI SCHELETRI DI DONNE VISSUTE IN EUROPA IN QUELL’EPOCA, SI È GENETICAMENTE COSTITUITO INTORNO AL 2800 A. C., E CIÒ HA PERMESSO, SECONDO QUESTO STUDIOSO, DI RICOSTRUIRE IN MANIERA PIÙ SICURA ED ANCHE CRONOLOGICAMENTE PIÙ ATTENDIBILE ALCUNI ULTERIORI SPOSTAMENTI DEGLI ANTICHI ABITANTI DEL CONTINENTE EUROPEO. ALLA LUCE DI QUESTO, FORSE PRESTO SAPREMO ANCHE QUALCOSA DI PIÙ SU QUELLA “PRIMA” MIGRAZIONE INDOEUROPEA DI CUI PARLA IL PROFESSOR GIANNELLI CHE, COME EGLI SOSTIENE, ENTRÒ NELLA PENISOLA ITALICA, ATTRAVERSANDO LE ALPI, INTORNO AL 2500 A. C. POTRÀ, QUESTO, UN PO’ MEGLIO IN FUTURO CHIARIRE “IL MISTERO” DELL’ORIGINE E DELLA DIFFUSIONE DEI “PADRI FONDATORI” INDOEUROPEI SOLO IN PARTE, A TUTT’OGGI, CHIARITO?

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FIGURE 10 (SOPRA) E 11 (SOTTO).

APPENDICE AL CAPITOLO PRECEDENTE: MA DA DOVE VENIVANO “R1A” E “R1B”?

LE FIGURE 10 E 11 PRESENTATE ALLA PAGINA 44, CHE PRECEDE LA PRESENTE, SEMBREREBBERO CONFERMARE L’IPOTESI DELLA DIVERSA PROVENIENZA DEGLI APLOTIPI R1A E R1B, CORRISPONDENTI ALLA DIVERSA COLLOCAZIONE GEOGRAFICA DEI DUE GRUPPI UMANI ORIGINARI, GIÀ CONSIDERATA NELLE PAGINE CHE, PRIMA ANCORA, LE PRECEDONO. ESSI, ESSENDOSI INFINE “CONGIUNTI”, PROCEDENDO PER MOLTO TEMPO AFFIANCATI, SE SI VUOLE DAR CORPO ALL’IPOTESI DELLA FONDAZIONE “UNITARIA” DELL’EUROPA, AVREBBERO DATO ORIGINE, INSIEME, A QUELLA ENTITÀ ETNICA UNICA CHE DEFINIAMO, CONVENZIONALMENTE, COME QUELLA DEGLI “INDOEUROPEI”. MA DA DOVE PROVENIVANO UOMINI COSÌ DIVERSAMENTE CARATTERIZZATI DAL PUNTO DI VISTA GENETICO?

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OSSERVANDO LA PRIMA CARTA, SI PUÒ NOTARE CHE IL TIPO GENETICO R1A, ASSAI DIFFUSO SOPRATTUTTO IN EUROPA, E INIZIALMENTE STANZIATO A NORD DEL MAR NERO, TRA IL VOLGA E IL DNIESTR, NELLA PIANURA UCRAINA (NON A CASO UN NOME CHE EVOCA, ANCORA UNA VOLTA, UNA PROVENIENZA ANTICA E PROFONDA, VISTO CHE QUESTO NOME, NELLA SUA ANTICA ETIMOLOGIA, INDICHEREBBE UN “PAESE DI ORIGINE DAGLI INDISTINTI CONFINI”), PRESENTA UNA SUA PRIMA ALTA DENSITÀ (40%), NEGLI INDIVIDUI ODIERNI, PROPRIO IN QUELLA ZONA. QUESTA SUA DENSITÀ SI VA PROGRESSIVAMENTE ATTENUANDO MAN MANO CHE CI SI SPOSTA VERSO OVEST, CON UN PICCO SIGNIFICATIVO ODIERNO, PERÒ, IN CORRISPONDENZA DELLA REGIONE POLACCA E DI QUELLA GERMANICA (60%), FIN QUASI AD ANNULLARSI ANDANDO OLTRE VERSO TUTTA LA PARTE EUROPEA PIÙ OCCIDENTALE.

IL TIPO GENETICO R1B , COME SI VEDE NELLA SECONDA CARTA HA, INVECE, UNA DISTRIBUZIONE MOLTO PIÙ AMPIA, E INVESTE TRE CONTINENTI: AFRICA, EUROPA ED ASIA. COME SI NOTA CHIARAMENTE, ESSO PRESENTA UNA ZONA DI ALTA DENSITÀ PROPRIO AD EST DEL MAR CASPIO, NEL TURKESTAN OCCIDENTALE, A SUD DEL LAGO ARAL, SUO LUOGO EUROPEO ORIGINARIO (50%), MA LA SUA MASSIMA DENSITÀ COINCIDE, QUESTA VOLTA, CON LA SUA STESSA DEFINITIVA COLLOCAZIONE UMANA IN TUTTA LA PARTE EUROPEA OCCIDENTALE, SIA SETTENTRIONALE CHE MERIDIONALE, CON PICCHI DEL 70-80%, ED ANCHE OLTRE, IN CORRISPONDENZA DI UNA SPECIE DI “SPARTIACQUE” TESO TRA LE ISOLE BRITANNICHE, A NORD, E L’ESTREMA ZONA NORD-OCCIDENTALE DELLA REGIONE FRANCESE, FINO AL CONFINE PIRENAICO FRANCO-ISPANICO, ANDANDO VERSO SUD.

IL TIPO R1B PRESENTA, INOLTRE, MASSIMA FREQUENZA NELL’AFRICA CENTRO-OCCIDENTALE, SUO PROBABILE LUOGO DI ORIGINE, MENTRE IL PRIMO E PIÙ ANTICO LUOGO DI ORIGINE (3,2 MILIONI DI ANNI), QUANTO MENO DI UNA SPECIE ALMENO ANATOMOFISIOLOGICAMENTE PIÙ VICINA ALLA NOSTRA, VIENE TRADIZIONALMENTE CONSIDERATO, INVECE, QUELLO POSTO NELLA REGIONE AFRICANA CENTRO ORIENTALE, IN QUELLA LUNGHISSIMA FAGLIA DELLA CROSTA TERRESTRE CHE SOLCA, DA NORD A SUD, QUASI TUTTA L’ESTREMA SEZIONE

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ORIENTALE DEL CONTINENTE AFRICANO, DETTA “RIFT VALLEY”, OVE NACQUE “LA SCIMMIA LUCY”, PRIMO ESEMPLARE RICONOSCIUTO DI UNA FAMIGLIA DI “AUSTRALOPITECHI” ETIOPICI CHE AVESSERO ACQUISITO LA STAZIONE ERETTA. MA, NONOSTANTE QUESTO, ALTRI “FOCI EFFUSIVI” NON VENGONO AFFATTO ESCLUSI DAGLI ANTROPOLOGI, ANZI, DI ESSI, NE VENGONO SEMPRE IDENTIFICATI DI NUOVI, COME DIMOSTREREBBE PROPRIO LA STESSA “SORGENTE ANTROPICA” R1B, CHE SEMBRA TROVARSI NELLA PARTE AFRICANA CENTRO-OCCIDENTALE, A NORD-EST DEL GOLFO DI GUINEA.

SI DOVREBBE DA TUTTO CIÒ, PERTANTO, DEDURRE, CHE IL TIPO GENETICO R1B, FORSE DI FORMAZIONE PIÙ RECENTE, PROVENENDO DALL’AFRICA CENTRO-OCCIDENTALE, SI È INFINE UNITO CON IL TIPO GENETICO R1A, PIÙ ANTICO, CHE ERA GIUNTO IN EUROPA ANCOR PRIMA DI ESSO, PROVENENDO DA QUELLA CENTRO-ORIENTALE, DANDO LUOGO INFINE, CONIUGANDOSI CON ESSO, DURANTE IL LUNGO, COMUNE “VIAGGIO VERSO OVEST, A QUELLA STIRPE CHE NOI INDICHIAMO GENERICAMENTE COME “INDOEUROPEA”?

DEL RESTO, LA PRESENZA DI DUE COMUNITÀ UMANE, GENETICAMENTE DIVERSE E QUINDI INIZIALMENTE ESTRANEE FRA LORO, MA ENTRAMBE PRESENTI PROPRIO IN QUELLA REGIONE, E TRA LE QUALI NON SI POSSONO AFFATTO ESCLUDERE “CONTATTI” CHE ABBIANO ANCHE PRECEDUTO IL COMUNE “VIAGGIO” VERSO L’EUROPA OCCIDENTALE, COME ABBIAMO PRIMA ACCENNATO, DIMOSTRA, PER ME, CHIARAMENTE ANCHE LA COMUNE, MA ORIGINARIAMENTE DIVERSA, PROVENIENZA AFRICANA DI ESSE.

È, INFATTI, ORMAI ACCETTATO DA TUTTA LA COMUNITÀ SCIENTIFICA INTERNAZIONALE CHE L’ATTRAVERSAMENTO DEGLI ESSERI UMANI CHE PROVENIVANO DALL’AFRICA, UNICA “FUCINA UMANA ORIGINARIA” CONTINENTALE ANCORA OGGI RICONOSCIUTA, DIRETTI VERSO L’EUROPA SUD-ORIENTALE, DOVETTE NECESSARIAMENTE GIOVARSI DI DUE PIÙ PROBABILI PERCORSI. E CIOÈ, O DI QUELL’IMMENSO PONTE NATURALE CHE COLLEGA IL CONTINENTE AFRICANO A QUELLO EURASIATICO IL QUALE, POSTO COM’È SU QUELL’ASSE DI PERCORRENZA, PIÙ SPOSTATO AD OCCIDENTE, CHE VA DA SUD-

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OVEST A SUD-EST, ATTRAVERSA LA REGIONE DEL NILO, IL SINAI, IL LIBANO E LA MESOPOTAMIA FINO AL CAUCASO (A); OPPURE DELL’ALTRO, CHE PASSANDO ATTRAVERSO IL BAB AL MANDAB E LA PARTE MERIDIONALE DELLA PENISOLA ARABICA, COSTEGGIANDO LE SPONDE SUD-OCCIDENTALI DEL GOLFO PERSICO, CONFLUISCE DI NUOVO IN MESOPOTAMIA, MA TROVANDOSI COLLOCATO SU DI UN ASSE VERTICALE “ESPOSTO” PIÙ VERSO ORIENTE, TERMINA, INFINE, PERÒ, SULL’ALTOPIANO IRANICO, PROPRIO DI FRONTE ALLE RIVE MERIDIONALI DEL MAR CASPIO (B). (NELL’INSIEME, QUESTI DUE PERCORSI FAREBBERO PARTE DI QUELLA “VIA DEL NORD” CHE È STATA TRACCIATA SULLA CARTA A PAGINA 23). GIUNTA DI FRONTE ALLA CATENA MONTUOSA DEL CAUCASO, UNA QUALSIASI INTELLIGENZA UMANA DEGNA DI QUESTO NOME, CHE AVESSE PERCORSO GIÀ QUASI TUTTO IL “SENTIERO MIGRATORIO” CHE ABBIAMO CHIAMATO “A”, SE VUOLE CONTINUARE IL SUO CAMMINO, NON HA CHE LA SCELTA DI ATTRAVERSARLA SERVENDOSI DI QUALCHE FAVOREVOLE PASSO MONTANO (AD ESEMPIO IL KODORSKIJ PEREVAL O IL PASSO DI MAMISON), PER PROSEGUIRE OLTRE, RITROVANDOSI, SUBITO DOPO, PERÒ, COME APPUNTO DEVE ESSERE ACCADUTO PER R1A, SULLE RIVE DEL MAR NERO, PROPRIO NEL SUO LUOGO EUROPEO ORIGINARIO. OPPURE, SOPRATTUTTO PER CHI SI TROVASSE UN MIGLIAIO DI CHILOMETRI PIÙ A SUD-EST E, PROVENENDO DALL’ARABIA, AVESSE QUASI TUTTO PERCORSO L’ALTRO “SENTIERO” CHE ABBIAMO CHIAMATO “B”, LA SCELTA PIÙ NATURALE SAREBBE SENZ’ALTRO QUELLA DI PIEGARE SUBITO AD EST E POI VERSO NORD PER EVITARE DA UNA PARTE IL GRUPPO MONTUOSO DEL CAUCASO POSTO A NORD-OVEST, E DALL’ALTRA LO SPECCHIO D’ACQUA DEL MAR CASPIO CHE SI PORREBBE DI FRONTE, COSÌ RITROVANDOSI, INVECE, SULLE SPONDE SUD-ORIENTALI DEL MAR CASPIO, COME HA VEROSIMILMENTE DECISO DI FARE R1B PER RAGGIUNGERE, ALLA FINE, IL SUO DIVERSO LUOGO EUROPEO ORIGINARIO. LE RAGIONI PER CUI NON SI SONO, PERÒ, ANCORA IDENTIFICATE LE PIÙ ANTICHE TRACCE GENETICHE AFRICANE DEL TIPO R1A (CHE PUR DOVREBBERO ESSERCI, E QUESTO FAREBBE QUADRARE I CONTI) POTREBBERO ESSERE MOLTE, MA NON È PROPRIO IL CASO DI DISCUTERNE QUI, COMPLICANDO ANCORA LE COSE.

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RESTEREBBE, PERÒ, CONFERMATO CHE “GLI INDOEUROPEI” PROVENIVANO DIRETTAMENTE DALL’AFRICA E NON DA UNA QUALCHE ALTRA “STAZIONE ANTROPICA SECONDARIA”, PIÙ O MENO LONTANA DA QUELLE GENETICAMENTE IDENTIFICATE, DOPO AVER PERCORSO CHISSÀ QUALI ALTRE VIE TORTUOSE. MA RESTEREBBE ANCHE E SOPRATTUTTO CONFERMATO, QUESTA VOLTA IN CONTRASTO CON LA PIÙ TRADIZIONALE, MA ANCHE FIN TROPPO IMPRECISA E SEMPLICISTICA “CONCEZIONE INDOEUROPEA UNITARIA”, CHE I NOSTRI PROGENITORI (COME FORSE NON ERA COSÌ OVVIO ASPETTARSI), ERANO IL FRUTTO DI UNA ALMENO DUPLICE E MOLTO PIÙ COMPLESSA “COSTRUZIONE GENETICA”. QUESTA EGOISTICA, OBLIQUA, A VOLTE PERVERSA CONCEZIONE “GENETICO-RAZZIALE UNITARIA” A CUI CI RIFERIAMO È SPESSO, SOPRATTUTTO NELLA SUA FORMALIZZAZIONE POLITICA, MALEVOLA, IMMORALE E STRUMENTALE, COSÌ COME RISULTA, AD ESEMPIO, NEL CASO DELLA NOVECENTESCA ORRENDA, INACCETTABILE, DISTRUTTIVA CONCEZIONE DI UNA FANTOMATICA “RAZZA PURA ARIANA”, DA IDENTIFICARSI, IN QUESTO CASO STORICO, CON QUELLA TEDESCA. ESSA, BENCHÉ RICORRENTE IN MANIERA SIMILE IN MOLTI ALTRI CASI, PROPRIO PERCHÉ ISPIRATA DA UNO STESSO STEREOTIPO MENTALE, FU FORTEMENTE VOLUTA DA UNA DITTATURA CHE LA RITENEVA UTILISSIMA PER ACCREDITARE QUEL “PANGERMANESIMO DI ISPIRAZIONE TOTALITARIA”, INVENZIONE TANTO FOLLE QUANTO PREVARICANTE E RADICATA IN TUTTA LA STORIA TEDESCA, FINO AL PUNTO DA SENTIRSI “AUTORIZZATO”, MA SOLO PER FARE PUBBLICITÀ A SE STESSA CON IL TERRORE, A DISTRUGGERE TUTTI I “COMPLOTTI SIONISTICI” CAPACI DI MINACCIARLA (E COMUNQUE, ANCHE TUTTI QUELLI “ORGANIZZATI DA QUALSIVOGLIA MALEVOLA, IMMONDA MINORANZA ETNICA O CULTURALE”). OPPURE, COME FU ANCHE NEL CASO DI QUELLA CONCEZIONE CHE, ESPRIMENDOSI A FAVORE DI UNA “SUPERIORE, PURA, PRIMARIA E PADRONA ORIGINE EUROPEA OCCIDENTALE”, GIUSTIFICATA ANCHE DA UNA BUONA DOSE DI “DIVINO” FANATISMO TEOCRATICO CRISTIANO, E PERCIÒ LEGITTIMATA AL DOMINIO, SOTTOMISE, SCHIAVIZZÒ E DISTRUSSE FINO AL GENOCIDIO MOLTI DEI “POPOLI EXTRAEUROPEI”, A PARTIRE DALLA SCOPERTA DELL’AMERICA, PER TUTTA LA

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“MODERNA EPOCA DEI VIAGGI E DELLE SCOPERTE”. MA CIÒ, SI BADI BENE, SOLO IN SEDE DI IMPERIALISMO TEOCRATICO EUROPEO CONQUISTATORE E PREDATORE, OLTRE CHE PREDICATORE, FINO A GIUNGERE AL CONTEMPORANEO, CLASSICO, MA ORMAI FIN TROPPO “MATURO E CREPUSCOLARE” COLONIALISMO CONTINENTALE OTTO-NOVECENTESCO. E COSÌ VIA, NEL TEMPO E NELLA STORIA, PER ARRIVARE ALL’ATTUALE, E NEMMENO TROPPO DISSIMULATO O STRISCIANTE, MA SICURAMENTE OTTUSO E PERFIDO PREDOMINIO DEL “WASP” (WHITE- ANGLO-SAXON-PROTESTANT), PSEUDO-VALORE TUTTO SOMMATO IN GRADO DI “GIUSTIFICARE”, PERÒ, ANCHE IL PREDOMINIO IMPERIALE LINGUISTICO, CULTURALE, SOCIALE, POLITICO INTERNAZIONALE DEL PROTESTANTESIMO ANGLOFONO DI RAZZA BIANCA, SUPPORTATO, IN REALTÀ, ANCHE DA QUELLO “RETROSPICIENTE E POCO DISSIMULABILE” DELL’IMPULSO EGEMONICO ECONOMICO-FINANZIARIO E MILITARE ANGLO-AMERICANO, CHE PRETENDEREBBE DI “DOMINARE IN MODO “BENEVOLO ED EQUILIBRATO” TUTTO IL PIANETA TERRA (E FORSE, OLTRE QUESTO, ANCHE L’INTERO UNIVERSO), DOPO AVER CONDIZIONATO FORTEMENTE, E PRIMA DI TUTTO, GLI STESSI “DEMOCRATICI” MECCANISMI DI POTERE INTERNI. OPPURE ANCHE FINO A QUELLA INIZIALMENTE FUMOSA MA, UNA VOLTA SMASCHERATA, IN MANIERA SCOPERTA FORTEMENTE IDEOLOGIZZATA “GLOBALIZZAZIONE” DEI SISTEMI POLITICO-ECONOMICI DEL POTERE OCCIDENTALE, GIÀ AMPIAMENTE SCONFITTA E RITORTA PROPRIO ECONOMICAMENTE AI SUOI STESSI DANNI DALL’ATTUALE PREDOMINIO DI QUEI PAESI DEFINITI, COME SI DICEVA UNA VOLTA, “PAESI SECONDI” O ANCHE “PAESI TERZI” RISPETTO AI “PAESI PRIMI”, QUELLI OCCIDENTALI INDUSTRIALIZZATI. ESSI, IN REALTÀ, “TERRITORI DI CONQUISTA” E “VITTIME SACRIFICALI” NELLE VERE INTENZIONI DEI DOMINATORI, HANNO ORA IMPARATO TANTO BENE QUELLA “LEZIONE” TESTARDAMENTE LORO INSEGNATA DAI MAESTRI OCCIDENTALI, DA PORRE PROPRIO LORO, DOPO AVERNE APPLICATO I METODI, “EN POSITION ENVERSÈ” DI FORTE DIFFICOLTÀ ECONOMICA. E TUTTO QUESTO, BENINTESO, DANDOSI PROPRIO IL FATTO CHE LA PAROLA “GLOBALIZZAZIONE” SI DEVE ESSENZIALMENTE INTERPRETARE NEL SIGNIFICATO DI “DIFFUSIONE CAPILLARE NEL MONDO DELL’ IMPERANTE, OLIGARCHICO,

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ESCLUSIVO MONOPOLIO OCCIDENTALE, ORIENTALE, SETTENTRIONALE E MERIDIONALE DELLA RICCHEZZA, A SFAVORE DI TUTTA LA RESTANTE IMMISERITA UMANITÀ”. AL CONTRARIO, “E NELLA SUA VERITÀ STORICA FONDAMENTALE”, TUTTO CIÒ RISULTEREBBE RISOLUTAMENTE NEGATO (E COMUNQUE FORTEMENTE MINACCIATO NELLA SUA ESSENZA CONCETTUALE, SE CIÒ COMUNQUE POTESSE BASTARE), PROPRIO DALLA RECENTE, ILLUMINANTE LOCALIZZAZIONE DELLA NUOVA “FONTE ANTROPICA SORGIVA” (LA REGIONE AFRO-OCCIDENTALE PROSPICIENTE IL GOLFO DI GUINEA, DA CUI SAREBBE “SCATURITA” R1B), DIVERSA, COMPLEMENTARE ED ALTRETTANTO “DISPONIBILE”, RISPETTO A QUELLA CONSIDERATA UNA VOLTA COME UNICA (LA FAGLIA TETTONICA DEL RIFT AFRO-ORIENTALE, DA CUI “PROVERREBBE” INVECE R1A). ESSA SAREBBE CHIARAMENTE CAPACE DI SMENTIRE TUTTO QUANTO POSSA DIABOLICAMENTE DERIVARE, SE LA “RAGIONEVOLEZZA” APPARTENESSE A QUESTO MONDO, DA QUANTO HA DI PEGGIO OFFERTO OGNI TOTALIZZANTE, CRISTALLIZZATA, PREVARICANTE CONCEZIONE RAZZIALE DI PURO STAMPO “MONOLITICO”. E NEL CONTEMPO SAREBBE IN GRADO DI CONFERMARE QUANTO LA STORIA DELL’UOMO POTREBBE RISULTARE GRATIFICANTE E COSTRUTTIVA, SE ESSA LASCIASSE IL POSTO AI VALORI DELLA DIVERSITÀ E DELLA COOPERAZIONE, ANZICHÉ PRIVILEGIARE IL SOPRUSO, L’ASSOGGETTAMENTO E LA DISTRUZIONE DELL’ALTRO, COME UNA CERTA “CURVATURA” DI PENSIERO SI OSTINA, PERSINO AUTOLESIONISTICAMENTE, MA INSTANCABILMENTE A FARE. QUESTE DUE VARIANTI GENETICHE ERANO POI DESTINATE A PORSI IN DUE LUOGHI GEOGRAFICI MOLTO VICINI, UBICATI ENTRAMBI NELL’EUROPA ORIENTALE, E INFINE ERANO DESTINATE A FONDERSI IN “UNICA SOCIALE ET CULTURALE HUMANITATE”, NEL MONDO ANTICO INDOEUROPEO, SUBITO DOPO, PERÒ, ANTROPOLOGICO-CULTURALMENTE DIFFERENZIANDOSI IN MOLTI “POPOLI” ALL’INTERNO DELLO STESSO MONDO ANTICO, INFINE IDENTIFICANDOSI, IN QUELLO PIÙ MODERNO, NELLE “NAZIONI EUROPEE” E POI NELLA “COMUNITÀ”, ORA “UNIONE DEGLI STATI EUROPEI”. COMUNITÀ FEDERALISTICA, QUESTA, LITIGIOSA E FORTEMENTE BUROCRATIZZATA, PRIVA DI UNA PROSPETTIVA POLITICA AUTENTICAMENTE UNITARIA, CHE FORSE NEMMENO

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KANT AVREBBE GRADITO. COSÌ RIMETTENDO IN GIOCO, DOPO IL MOMENTO DELL’UNITÀ, ANCHE L’ANTICA, MAI DIMENTICATA “LOGICA DEL CONTRASTO”, ANCHE SE TUTTO CIÒ SIA DA CONSIDERARSI UNIVOCAMENTE GENERATO, IN OGNI CASO, “DAL QUEL VENTRE PRIMARIO, UNITARIO E FECONDO DELLA GRAN MADRE AFRICA”, CHE CI PROMETTE, FORSE, UNA “COSMOPOLITICA” RIUNIFICAZIONE.

TUTTE LE CARTE GENETICHE INSERITE A CORREDO DEL TESTO E SU CUI ABBIAMO PRIMA E DOPO DISCUSSO IN QUESTO CAPITOLO E NELLA SUA APPENDICE, SONO STATE CREATE DALLO “STAFF” DI RICERCATORI (PER ME ECCEZIONALMENTE BRAVI, MA PURTROPPO ANONIMI, PERCHÉ DEI LORO NOMI NON TROVO ALCUNA TRACCIA) CHE LAVORANO PER “EUROPEDIA” . SI TRATTA DI UNA FONDAZIONE CULTURALE DIRETTA DA NICOLAS MOUSSIS, CREATA DALL’UNIONE EUROPEA PER LO STUDIO E LA DIFFUSIONE DI TUTTO CIÒ CHE APPARTIENE ALL’IDENTITÀ ED ALLA CULTURA DEL VECCHIO CONTINENTE, IVI COMPRESE, TRA L’ALTRO, OVVIAMENTE, ANCHE TUTTE QUELLE RICERCHE ED EVIDENZE SCIENTIFICHE CHE POSSANO CHIARIRE LE CIRCOSTANZE E LE MODALITÀ STORICHE, ANCORA UNA VOLTA ATTINGENDO ALLE STESSE CARATTERIZZANTI “COORDINATE DELL’UMANO PENSIERO”, DI CUI QUI STIAMO TRATTANDO PROPRIO IN QUALITÀ DI “CATEGORIE STORICHE BENVENISTIANE” (FAMIGLIA, SOCIETÀ, POTERE, DIRITTO, RELIGIONE, ECONOMIA). E CIÒ, SIA DETTO PER INCISO, PORTEREBBE ANCORA UNA VOLTA “ACQUA AL MULINO” DI QUELLA TESI CHE IO SOSTENGO, SECONDO LA QUALE, ALMENO AD UN CERTO “COMUNE, UNIVERSALE LIVELLO”, IL PENSIERO “DEVE” SOSTANZIALMENTE RITENERSI, QUESTO SI, DAVVERO, NON CERTAMENTE COME QUELLO DELL’APPARTENENZA RAZZIALE, COME UNO, UNICO, INDIVISIBILE, UNIVERSALE, ARMONICO E PERCIÒ STESSO NECESSARIAMENTE CONCILIANTE, ANCHE SE SI PUÒ AMMETTERE CHE ESSO POSSA CONSIDERARSI “DIVISO” SOLO CONVENZIONALMENTE E PER FACILITARNE L’APPRENDIMENTO DIDATTICO. TUTTE QUESTE ENCOMIABILI RICERCHE, ED I LORO RISULTATI, SONO DESTINATE A SPIEGARE, ALLA RADICE, LA FORMAZIONE DELL’ ATTUALE MOSAICO DI POPOLI EUROPEI. ESSI SONO COSÌ SPESSO, ANCORA, TANTO OSTILI E DIVISI FRA LORO, NONOSTANTE LA COMUNE

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ORIGINE, DA LASCIARSI DOMINARE, O FORSANCHE LACERARE, VORREMMO DIRE, DAL FIN TROPPO TENACE, TANTO RADICATO QUANTO AUTO COSTRITTIVO E LIMITANTE, FRAINTENDIMENTO DEL PREGIUDIZIO NAZIONALISTICO.

FIGURA 12. L’AUSTRALOPITECO “LUCY”, IL CUI APPELLATIVO DERIVA DAL NOME DELLA PROTAGONISTA DELLA CANZONE DEI BEATLES (“LUCY IN THE SKY WITH DIAMONDS”), CHE IL PALEOANTROPOLOGO DONALD JOHNSON E I SUOI COLLABORATORI CHE QUARANTUNO ANNI FA NE HANNO SCOPERTO I RESTI, CANTAVANO LA SERA DAVANTI AL FUOCO DEL LORO ACCAMPAMENTO, NELLA REGIONE DELL’AFAR, IN ETIOPIA.

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QUALUNQUE SIA STATO IL LORO PERCORSO, ECCO, PERO’, COME SI PRESENTAVA L’ASSETTO TERRITORIALE CHE LE LINGUE, ED ANCHE, QUINDI, LE VARIE POPOLAZIONI INDOEUROPEE, DIMOSTRARONO, FINALMENTE, DI AVER ALLORA RAGGIUNTO SUL TERRITORIO EURASIATICO, TROVANDO, COSÌ, UN INIZIALE, PROVVISORIO EQUILIBRIO TRA LORO…

FIGU R A 1 3. L A D I S T R I B U Z I O N E G E O G R A F I C A D E L L E L I N G U E I N D O E U R O P E E I N E U R O P A E N E L L A P A R T E O C C I D E N T A L E D E L L ’A S I A , C O S Ì C O M E S I A S S E S T Ò I N T O R N O A L 5 00 A . C . S I N O T I C O M E A L L A S T A B I L I Z Z A Z I O N E L I N G U I S T I C A S I S I A A C C O M P A G N A T A , I N I Z I A L M E N T E , A N C H E L A V A R I E G A T A M A N I F E S T A Z I O N E S T O R I C O - C U L T U R A L E D E L L E V A R I E C I V I L T À , E C O M E A D O G N I I S O G L O S S A , Q U I N D I , C O R R I S P O N D A U N A P R I M A E S I N G O L A I D E N T I T À “ N A Z I O N A L E ” . L A N O Z I O N E D I “S T A T O ” , I N V E C E , È D A C O N S I D E R A R S I U N A N O Z I O N E D I V E R S A E S U C C E S S I V A N E L T E M P O E N E L L O S P A Z I O , N O N S O V R A P P O N I B I L E A Q U E L L A D I “ N A Z I O N E ” . E S S A H A U N A N A T U R A G I U R I D I C A E “ S I S P O S T A ” , V I A V I A , F A C E N D O S I G U I D A R E A N C H E D A L L A C O N C E Z I O N E M O R A L E E D A Q U E L L A P O L I T I C A , O L T R E C H E , S O P R A T T U T T O , D A Q U E L L A D E L P O T E R E . A C A U S A D I C I Ò , A C C A D E S P E S S I S S I M O C H E I C O N F I N I D I U N O S T A T O E D I U N A N A Z I O N E N O N C O I N C I D A N O G E O G R A F I C A M E N T E .

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LA PENETRAZIONE INDOEUROPEA NELLA PENISOLA ITALICA .

FIGURA 14. COSÌ, DUNQUE, SI PRESENTAVA LA DISTRIBUZIONE DEI POPOLI INDOEUROPEI ITALICI E NON, PIÙ O MENO A METÀ DEL PRIMO MILLENNIO A. C. L’ECCESSIVA DENSITÀ DEI TOPONIMI E L’ASSENZA DEI COLORI RENDONO QUESTA CARTA REDATTA MOLTI DECENNI ORSONO PIUTTOSTO CONFUSA, A DIFFERENZA DI QUELLA RIPORTATA ALLA PAGINA SUCCESSIVA. FORSE ESSA SI PRESENTAVA MEGLIO NEL FORMATO ORIGINALE. L’USO DELLA LINGUA LATINA, CHE VORREBBE ATTRIBUIRLE UNA CERTA SPROPOSITATA IMPORTANZA, INOLTRE, È ANCHE DA RITENERSI INOPPORTUNO, RICORDANDO CHE I LATINI, A QUEST’EPOCA, NON SI

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ERANO ANCORA IMPOSTI SUGLI ALTRI POPOLI ITALICI. TUTTAVIA, ESSA È STATA SCELTA PER LA SUA APPREZZABILE COMPLETEZZA. VA OSSERVATA MEGLIO FACENDO USO DELL’INGRANDITORE.

FIGURA 15. UNA PIÙ RECENTE E CHIARA, MA MENO SUGGESTIVA IMMAGINE DELLA DISTRIBUZIONE DEI POPOLI ITALICI ( IN COLORE, CON ESCLUSIONE DEI SICULI, GENTE INDOEUROPEA GIUNTA FINO IN SICILIA, IN CARATTERE NERO SU FONDO BIANCO, POSTI NELL’ANGOLO NORD-ORIENTALE DELL’ISOLA), A METÀ DEL PRIMO MILLENNIO A C. I GRECI SONO PRESENTI SOLO SUL BORDO COSTIERO DELL’ITALIA MERIDIONALE E SU QUELLO COSTIERO ORIENTALE DELLA SICILIA. NELLE DUE ISOLE MAGGIORI, LE POPOLAZIONI NURAGICHE, IN SARDEGNA, E COSÌ ANCHE GLI ELIMI E I SICANI, IN SICILIA, NON SONO GENTI INDOEUROPEE, MA PREESISTENTI AD ESSE E DI ORIGINE NON ALTRETTANTO STORICAMENTE CHIARA. GLI INSEDIAMENTI FENICIO-PUNICI INSULARI FIGURANO IN AZZURRO. QUESTA FIGURA SI COLLEGA MEGLIO, ANCHE GRAFICAMENTE, ALLA FIGURA SEGUENTE. GLI SPAZI TERRITORIALI QUASI SI SOVRAPPONGONO A QUELLI LINGUISTICI, COME SI PUÒ OSSERVARE CONFRONTANDO QUESTA CON LA FIGURA SUCCESSIVA.

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FIGU R A 16 . L E L I N G U E P A R L A T E N E L L ’ I T A L I A A N T I C A A N C O R A A C I R C A M E T À D E L P R I M O M I L L E N N I O A . C . E L A L O R O D I S T R I B U Z I O N E T E R R I T O R I A L E . P R E D O M I N A G I À , V I S T O S A M E N T E , N E L L A P A R T E C E N T R O - M E R I D I O N A L E , L A L I N G U A U M B R O -O S C A E D A L C U N E S U E V A R I A N T I ; A N O R D E , R I S P E T T I V A M E N T E , A S U D D I E S S A , T R O V I A M O A N C O R A L A L I N G U A E T R U S C A E Q U E L L A G R E C A . S O N O A N C H E P R E S E N T I I T R E G R U P P I L I N G U I S T I C I D E L L A L I N G U A L I G U S T I C A ( L I G U R E ) , V E N E T I C O - L I B U R N I C A ( V E N E T O - D A L M A T I C A ) E M E S S A P I C A ( D I O R I G I N E I L L I R I C A ) , N O N C O N S I D E R A B I L I C O M E I N D O E U R O P E I , A R I G O R E , P E R C H É P R E E S I S T E N T I A L L A L O R O E P O C A . A L L ’ E S T R E M O N O R D P R E M O N O A L C U N I A L T R I G R U P P I L I N G U I S T I C I , G E N E R I C A M E N T E

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I N Q U A D R A B I L I N E L “ C E P P O C E L T I C O ” . ( I C E L T I , C O M E S I P U Ò O S S E R V A R E N E L L A F I G U R A P R E C E D E N T E , I N V A D E R A N N O L ’ I T A L I A C E N T R O - S E T T E N T R I O N A L E S O L O N E L Q U A R T O S E C O L O A . C . ) . A Q U E S T ’ E P O C A , L A L I N G U A L A T I N A ( E L A S U A V A R I A N T E F A L E R I C A ) O C C U P A A N C O R A I L S U O P I C C O L O S P A Z I O O R I G I N A R I O , M A P R E S T O S I I M P O R R À S U T U T T E L E A L T R E .

Le lunghe, sofferte vicissitudini della nostra espressione linguistica.

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LE LINGUE PARLATE DAGLI ANTICHI POPOLI ITALICI AGLI ALBORI DELLA NOSTRA STORIA, NON CORRISPONDONO, IN GENERALE, AI TERRITORI DA LORO OCCUPATI, MA NE RIVELANO LA PIÙ AMPIA INFLUENZA CULTURALE. L’ IMMAGINE SPIEGA BENE IL FATTO CHE UNA “LINGUA ITALICA” UNICA E PROPRIAMENTE DETTA, INIZIALMENTE NON È ESISTITA AFFATTO , POTENDO INDICARE, QUESTA ESPRESSIONE, SOLO UNA VUOTA ASTRAZIONE GLOTTOLOGICA. ESSA FA INVECE NOTARE, PER CONTRAPPOSTO, CHE IL CONCRETO MOSAICO LINGUISTICO CHE QUI SI OSSERVA È MOLTO COMPLICATO, RIFLETTENDO LA STRATIFICAZIONE CULTURALE CHE SI ERA ANDATA DEPOSITANDO NEI MILLENNI. SENZA CONTARE GLI ETRUSCHI, LA CUI ORIGINE È MOLTO INCERTA, E CHE PARLAVANO UNA LINGUA DIVERSA ED “ATIPICA”, ANCORA IN PARTE INDECIFRATA , INFATTI, POSSIAMO SOLO RICORDARE CHE, PER QUANTO NE SAPPIAMO, SU UN INIZIALE SOSTRATO ANTROPOLOGICO E LINGUISTICO “ORIGINARIO” DISPOSTO INTORNO AL BACINO TIRRENICO (L IGURI, SARDI, ELIMI, S ICANI), A QUELLO ADRIATICO (VENETI E MESSAPI DI PROVENIENZA ILLIRICA) E AD UNO MERIDIONALE MEDITERRANEO (DI PROVENIENZA AFRICANA , SOLTANTO IPOTIZZABILE, STORICAMENTE , MA GENETICAMENTE E SOMATICAMENTE MOLTO EVIDENTE), APPARTENENTI NELL’ INSIEME AD UN’ IDENTITÀ ANTROPICA CHE I PALEOANTROPOLOGI CHIAMANO GENERICAMENTE “RAZZA MEDITERRANEA AFRO-EUROPEA”, SI SONO POI PARZIALMENTE SOVRAPPOSTI I FENICIO-CARTAGINESI IN S ICILIA, SARDEGNA E CORSICA, MA SOLO CON ALCUNI LIMITATI INSEDIAMENTI. (LE EPARCHIE CARTAGINESI) AD ESSI SI SONO UNITI ANCHE I GRECI CHE STAVANO DIVIDENDO, INTANTO, CON I FENICI LE ROTTE DEL MEDITERRANEO, MA CHE, PERÒ, NON SONO MAI RIUSCITI A CONQUISTARE COMPLETAMENTE TUTTO IL TERRITORIO MERIDIONALE DELLA PENISOLA ITALICA, ESSENDOSI DOVUTI LIMITARE A QUELLO COSTIERO PER LA VIVACE RESISTENZA SEMPRE OPPOSTA AD ESSI DAI POPOLI ITALICI CHE PRESIDIAVANO LA PARTE INTERNA DELLA PUGLIA, DELLA CALABRIA E DELLA S ICILIA (MESSAPI, LUCANI, BRUZI E S ICULI, PREVALENTEMENTE). ANCHE SE A TUTTI COSTORO I GRECI IMPOSERO COL TEMPO BUONA PARTE DELLA LORO SUPERIORE CULTURA, IVI COMPRESA, SOPRATTUTTO, LA LORO LINGUA. SU QUESTO SCENARIO, INTANTO, SI ERANO ANDATI AFFACCIANDO, FIN DAL TERZO MILLENNIO ALMENO, I POPOLI INDOEUROPEI CHE, FORZANDO IL BALUARDO ALPINO, SCENDEVANO DAL NORD, LASCIANDO TRACCE VIA VIA MOLTO CONSISTENTI (COME I LATINI NELL’ITALIA CENTRALE E GLI ENOTRI IN QUELLA MERIDIONALE, AD ESEMPIO), OPPURE, DAL SECONDO MILLENNIO, APPUNTO QUELLE

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POPOLAZIONI UMBRO-OSCHE CHE CORRISPONDONO AGLI STESSI POPOLI ITALICI CHE ABBIAMO VISTO SOPRA IN LOTTA CON I GRECO- ITALIOTI, CHE OCCUPAVANO “L’ORLETTO COSTIERO” DELLA PENISOLA BRUZIA, PER LA DIFESA DEL LORO TERRITORIO, MA CHE SEMBRANO ORA LINGUISTICAMENTE DOMINARE LA CARTA SOPRA RIPORTATA. PER AVERE UNA PRIMA ENTITÀ LINGUISTICA “NAZIONALE” BISOGNERÀ DUNQUE ATTENDERE PROPRIO LA SUPREMAZIA ROMANA E, QUINDI, QUELLA DELLA LINGUA LATINA CHE, IMPONENDOSI PROGRESSIVAMENTE FIN DALL’ INIZIO DELL’ERA VOLGARE, DOMINERÀ POI INCONTRASTATA FINO A QUANDO IL “VOLGARE” TARDO-MEDIEVALE APRIRÀ DEFINITIVAMENTE LA STRADA ALLA VERA E PROPRIA “LINGUA ITALIANA”. TUTTE QUESTE VICENDE, COME LE MOLTE ALTRE SUCCESSIVE E COMPLICATE CHE LE SEGUIRONO, HANNO LASCIATO NEL NOSTRO VOCABOLARIO UNA TRACCIA INDELEBILE, PERFINO CON IL RISULTATO DI RENDERE “LA NAZIONE ITALIANA” QUALCOSA CHE HA MOLTO FATICATO AD IMPORSI POLITICAMENTE COME LA SUA STESSA LINGUA, AVENDO DOVUTO ASPETTARE, PER UNIFICARSI, FINO A DUE SECOLI FA. VOGLIAMO DIRE, CON QUESTO, CHE QUEL VERO “CROGIUOLO ETNICO” CHE È SEMPRE STATA LA PENISOLA ITALIANA, PROPRIO A CAUSA DI CIÒ NON HA AVUTO VITA FACILE (A CIÒ CONCORRENDO ANCHE NUMEROSI ALTRI FATTORI STORICI, È OVVIO), VERSO UN DEFINITIVO RICONOSCIMENTO DEL PROPRIO UNITARIO SE STESSO, DIMOSTRANDO IN TAL SENSO UNA DIFFICOLTÀ CHE, SECONDO NOI, ANCOR OGGI RESISTE. LE IMBARAZZANTI , MA INSINUANTI MODE LINGUISTICHE ANGLOFONE DEL NOSTRO TEMPO, SUPERFICIALI ED ANCHE UN PO’ STUPIDE ED IMPARATICCE , PRETENDEREBBERO DI IMPORSI TESTARDAMENTE SU QUESTO PREZIOSO PATRIMONIO CHE DERIVA DA UN’ESPERIENZA STORICO-LINGUISTICA COSÌ GRANDIOSA , FACENDOSI COSÌ TRASCINARE DA UNA “MODA” FURBESCAMENTE E DI PROPOSITO INVENTATA DA UN’ABILE REGIA NON SOLO COMMERCIALE, VERSO L’OSCURAMENTO, A NOSTRO COMPLETO SFAVORE, DI QUESTA PREZIOSA IDENTITÀ.

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FIGURA 17. LA FIGURA SI RIFERISCE A DATI NON SO QUANTO PRECISI, MA CHE COMUNQUE SAREBBERO QUELLI DELL’IMMIGRAZIONE PIÙ RECENTE VERSO IL NOSTRO PAESE. L’ITALIA, E CON ESSA TUTTA L’ “UNIONE EUROPEA”, STORICAMENTE CONCEPITE, NATE E CRESCIUTE ALL’INTERNO DI UN MOVIMENTO DI ESSERI UMANI, POTENDOSI PERFINO DIRE CHE ESSE “SONO” QUESTO STESSO MOVIMENTO, ESSENDO ORA ENTITÀ POLITICHE ORMAI EGOISTICAMENTE “SEQUESTRATE” AL PROPRIO INTERNO DALLA VIOLENTA ED ESCLUSIVA CULTURA DELL’INTERESSE ECONOMICO-FINANZIARIO , SONO COSÌ ACCECATE DAL MESCHINO TERRORE DI VEDER SPOSTATI I LORO EQUILIBRI DI POTERE, DA RISULTARE PARADOSSALMENTE INCAPACI DI GESTIRE PERFINO A PROPRIO VANTAGGIO IL FENOMENO DELL’EMIGRAZIONE INTERNAZIONALE, PIANIFICANDO UN INSERIMENTO GRADUALE ED ECONOMICAMENTE UTILE PER TUTTI MA, PRIMA ANCORA, PER QUESTI STESSI “STATI NAZIONALI SOVRANI”. E DIRE CHE “ I MIGRANTI” GIUDICHEREBBERO L’EUROPA POSTA AL CENTRO DELLA LORO LIBERTÀ E DEL LORO FUTURO!

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UN INDOMABILE POPOLO GUERRIERO INDOEUROPEO DELL’ITALIA MERIDIONALE: I BRUZI.

FIGU R A 1 8. I L T E R R I T O R I O D E I B R U Z I N E L Q U A R T O , T E R Z O S E C O L O A . C . , O C C U P A V A T U T T A L A P A R T E I N T E R N A , M O N T U O S A , D E L L ’ E S T R E M I T À M E R I D I O N A L E D E L L A P E N I S O L A I T A L I A N A E D E R A , Q U I N D I , I N G R A D O D I D I F E N D E R E B E N E I S U O I A B I T A N T I I T A L I C I , P E R L A S U A S T E S S A N A T U R A , D A L L E S P E D I Z I O N I P U N I T I V E D E I G R E C O - I T A L I O T I I Q U A L I , D O V E N D O P R E S I D I A R E L ’ I N T E R O P E R I M E T R O C O S T I E R O , S I A L T E R N A V A N O N E L R I S P O N D E R E A L L E L O R O S A N G U I N O S E S C O R R E R I E .

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I Bruzi.

Il territorio originariamente abitato dai Bruzi, già prima denominati “Bretti”, in lingua osca, cioè “ribelli”, dai Lucani, fu quello di una gente indoeuropea proveniente dall’Europa centrale, che poi, attraversate le Alpi, giunse in Italia meridionale forse durante il quinto secolo a. C., inizialmente unita proprio ai Lucani, a cui, come sembra, essa si ribellò, ricevendo così, proprio da costoro, il loro eponimo ed anche fatale appellativo. Gli storici parlano, vagamente, di uno stato di sottomissione mal sopportato, ma forse è più ragionevole pensare ad un fenomeno di “partenogenesi sociale”, fatto, questo, che accadeva spesso in quelle genti antiche quando, all’interno di una più ampia comunità, “il profilo” di certe categorie storico-antropologiche si solidificava, all’interno di un certo “sottogruppo”, in una più compiuta identità: era questo, peraltro, il modo di abituale differenziazione delle varie comunità umane “nazionali” che si distribuirono sulla superficie di tutto il pianeta, in genere, e quindi anche dei popoli indoeuropei, tra i quali, ovviamente, anche quelli italici. Questa “nostra civiltà” raggiunse, infine, la sua massima espressione storico-culturale tra il quarto e il terzo secolo a. C. Il suo territorio era esteso lungo l’asse curvilineo, aperto ad occidente, di quella penisola denominata inizialmente “Brettio-Italica”, poi “Brutium”, dai Romani, infine detta “Calabra” dai Bizantini molti secoli dopo. Costoro tolsero il toponimo, che indicava una sede amministrativamente importante del loro impero, alla pugliese Penisola Salentina, allora, appunto, detta “Calabria”, che faceva parte del loro impero e così denominata perché il suo territorio coincideva con quello dell’autoctona tribù dei Calabri. Ma essendo, questa, allora minacciata dai Longobardi, il suo nome fu trasferito, al compimento, circa, del primo millennio dell’era volgare, alla Penisola

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Bruzia, che ne ereditò, così, l’appellativo e, temporaneamente, anche l’importanza. I Bruzi furono sempre in rapporti di ostilità-amicizia con i contigui coloni greci che ormai, a quel tempo, presidiavano stabilmente la costa che fin dall’ottavo, settimo secolo a.C., avevano loro progressivamente sottratto, ma da cui impararono anche una nuova lingua, l’antico greco che parlavano correntemente insieme alla loro stessa lingua osca. Essi si proposero, in tal modo, come uno dei tanti esempi di quella variegata, complessa, “multiculturalità” mediterranea, creatasi per il contatto tra la presenza umana europea meridionale, quella africana settentrionale e quella asiatica mediorientale costiera, provocato dal vortice espansivo rappresentato anche dalla civiltà fenicia ma, soprattutto, da quella greca. Questo movimento, seppur per motivi diversi, continua anche oggi, riproponendo continuamente, ora come allora, l’area del mare Mediterraneo quale centro di potente forza creatrice della storia, con buona pace di coloro che non riescono a capirlo. I Bruzi, in ogni caso, dovettero, alla fine, unirsi militarmente ai Greci, che, guidati dalla colonia spartana di Taranto, che si era già costituita in alleanza con le altre colonie greche della costa ionica (Sibari, Crotone e Caulonia, soprattutto), aveva già fatto intervenire contro di loro e i loro vicini alleati Italici gli “xénoi strategòi”: lo spartano Archidamo, cioè (sconfitto dai Lucani e dai Messapi che avevano già occupato le città greche della costa tirrenica di Posidonia, Lao, Pixunte e Scidro); e poi, soprattutto, l’epirota Alessandro il Molosso, zio di Alessandro Magno, sconfitto, fatto a pezzi e trascinato, in trionfo, dai carri da battaglia dei Bruzi intorno al loro avamposto di Pandosia. Questo era posto a difesa, secondo il grande storico Giulio Giannelli, non lontano dalla loro capitale Cosenza, ed era ubicato, forse, proprio pochi chilometri più a nord-est rispetto alla sede dell’Università della Calabria, tra Rose e Castiglione Cosentino, intorno alla confluenza del fiume Arente, già Oronte o Acheronte, affluente di destra del Crati, lungo la via di accesso “normale”, da nord, alla città. Tutto ciò avvenne

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tra il 334 e il 330 a. C. Ma, per resistere al comune pericolo rappresentato da Roma, i Bruzi dovettero piegarsi, come dicevamo, all’alleanza con la lega Greco-italiota e, quindi, anche con Pirro, intervenuto, ancora dall’Epiro, su richiesta degli ex avversari, e poi anche con il cartaginese Annibale, a sua volta supremo avversario di Roma. Ma essi, sopraffatti, infine, insieme ai loro nuovi alleati, più dal numero e dalla superiore organizzazione, che non dal valore degli avversari, furono quasi completamente sterminati dai Romani, a cui, pur vinti, testardamente avevano tentato, però, di ribellarsi più volte per evitare la loro completa sottomissione. Erano da questi chiamati “Brutii”, ovverossia “Gente follemente brutale”. Questo antico, originario carattere è forse ora spento, o solo temporaneamente sopito?

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IL “KRÀTOS”, LO SPIRITO GUERRIERO CHE INTERPRETA LA STORIA DELL’UOMO CONFORMANDOLA AD UNA DEVASTANTE VIOLENZA , SI SERVE PRESSOCHÉ INDIFFERENTEMENTE , COME CI SEMBREREBBE , DEL SESSO MASCHILE COSÌ COME DI QUELLO FEMMINILE . ESSO SI RAPPRESENTA , COMUNQUE E SEMPRE, QUALE INDOMABILE , UNIVERSALE “DÀIMON” CHE HA GUIDATO, OVVIAMENTE , ANCHE LA STORIA DEGLI INDOEUROPEI . IL “KRÀTOS” È L’ESPRESSIONE DI UN POTERE , ANCHE RELIGIOSO , INTERPRETATO COME RIGIDA VOLONTÀ DI DOMINIO E DI SOPRAFFAZIONE CHE PRETENDEREBBE DI ASPIRARE ANCHE ALLA DIGNITÀ DI OPPRIMENTE , PERVASIVA , INTRANSIGENTE NORMA MORALE E POLITICO-GIURIDICA .

FIGU R A 19 . “D O N N A B R E T T I A ” (“D O M I N A ” , D U N Q U E S I G N O R A O C O N D U T T R I C E , S E C O N D O L ’ E T I M O L O G I A L A T I N A , Q U I N D I I N D O E U R O P E A , D E L L A P A R O L A , A D O N T A D I T U T T I I S I G N I F I C A T I R I D U T T I V I C H E A L L A F O R M A C O M U N E D I Q U E S T O N O M E S I V O R R E B B E R O S P E S S O A T T R I B U I R E ) . Q U E S T O M I T I C O E M B L E M A D E L “K R À T O S ” , S P I R I T O G U E R R I E R O , D U N Q U E , N O N E S C L U S I V A M E N T E M A S C H I L E , G U I D A , I N Q U E S T A A P P R O S S I M A T I V A R A P P R E S E N T A Z I O N E G R A F I C A , I L S U O E S E R C I T O R I B E L L E , F O R S E N E L Q U A R T O S E C O L O A . C . , A L L A C O N Q U I S T A D E L L A C I T T A D E L L A A N C O R A P R E S I D I A T A D A I L U C A N I , P O S T A S U L L A S O M M I T À D E L L ’ A T T U A L E C O L L E P A N C R A Z I O A C O S E N Z A , D O V E O R A S I T R O V A A N C O R A I L C A S T E L L O S V E V O -F E D E R I C I A N O . P R I M O N U C L E O D E L L A C A P I T A L E D E L S U O P O P O L O , E S S O A V R E B B E P O I C E L E B R A T O L E A S S E M B L E E D E I C A P I D E L L E V A R I E T R I B Ù C H E L O C O M P O N E V A N O , R I U N I T E I N C O N F E D E R A Z I O N E . Q U E S T O P O P O L O , P E R Ò , D O V E T T E A L L A F I N E C E D E R E , C O M E T U T T I G L I A L T R I P O P O L I I T A L I C I A N T I C H I , N O N O S T A N T E L E R E C I P R O C H E A L L E A N Z E , A L L O S T R A P O T E R E D I R O M A . Q U E S T A F I G U R A , T E S T I M O N I A N D O D I U N C O M A N D O M I L I T A R E A F F I D A T O A D U N A D O N N A , T E S T I M O N I A A N C H E U N A F O R M A D I “ S U C C E S S I O N E ” M A T R I L I N E A R E , D I F F U S A A L M E N O A L T R E T T A N T O , T R A G L I I N D O E U R O P E I , Q U A N T O Q U E L L A P A T R I L I N E A R E ?

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“L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DEL BELLO”, UNO DEI “TÒPOS” MEGLIO VALORIZZATI DAL PENSIERO CLASSICO INDOEUROPEO , GRECO-ANTICO E LATINO , FINO AL SUO CULMINE , IL SUBLIME, PUÒ ANCORA OPPORSI , FORSE ANCHE INSIEME AL “BUONO” E AL “GIUSTO”, ALL’INARRESTABILE DOMINIO DEL “MALVAGIO” E DEL “BRUTTO”?

FIGU R A 20 . P R A I A A M A R E , A L T O T I R R E N O C O S E N T I N O , L ’ I S O L A D I N O , F O T O G R A F A T A D A L L ’ A L T O D A U N A P P A S S I O N A T O D I “ P A R A P E N D I O ” .

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La “Sindrome di Stendhal”.

Antistante il territorio di Praia, l’Isola Dino prende il suo nome da un’“aedina”, edicola o tempietto, posto, una volta, sul frontone a strapiombo dell’isola aperto sul mar tirreno meridionale, verso occidente. Esso è stato sostituito da una minore torre di avvistamento costruita durante il periodo del Vicereame Spagnolo, nel sedicesimo secolo, facente parte di un articolato sistema locale di controllo e di difesa: questa si intravede appena, nella foto, all’estremità del breve promontorio dell’isola posto a sinistra, in alto, e precisamente nel suo angolo di destra. Questo sistema, che disegnava un perimetro di forma quadrilatera piuttosto schiacciato sull’asse est-ovest, era posto unitariamente a protezione dalle lunghe scorrerie dei pirati barbareschi turchi o saraceni, nella parte più a sud del Golfo di Policastro. I suoi angoli erano occupati da altre torri o fortini dello stesso periodo distribuiti lungo la curva costiera (la Torre di S. Nicola poco più a sud, ora detta anche ʿTorre Crawfordʾ dal nome del suo ottocentesco proprietario Francis Marion Crawford, uomo ricco, grande erudito e scrittore statunitense piuttosto apprezzato, che presidiava anche l’omonimo porticciolo naturale; retrostante, rispetto alla torre dell’isola, quella della Scogliera di Fiuzzi; e poi anche il Fortino di Praia, costruito sui primi contrafforti della Serra Vingiolo, sede di comando che poteva guardare anche a nord, verso Castrocucco di Maratea, presidiato da una consistente guarnigione). Esse erano state collocate in punti strategici, “a vista” tra loro, in modo da facilitare ogni intervento, nell’ambito di questo sistema il cui “rivellino” era rappresentato proprio dal più esposto sperone roccioso costituito dall’isola e dalla sua torre, considerabile come l’avamposto di tale unità difensiva. Dell’antico luogo sacro resta, forse, il solo basamento, incorporato e confuso nella struttura militare. Queste torri richiamano anche il senso di uno strano connubio tra “la categoria del bello” e quella statico-dinamica “visione

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del potere”, quanto mai presente proprio in questo luogo, a patto di porsi “nella giusta posizione prospettica”, e quindi nella giusta condizione di quello spirito “logo-eikofilosofico”, che si divide tra l’ammirazione delle superbe strutture militari e il rapido, sorpreso, lacerante orrore della violenza. Si potranno “vedere”, così, le cinquecentesche navi dei pirati turcheschi e barbareschi al comando del “rinnegato” Giovan Dionigi Galeni, nato a Le Castella, poi diventato l’ammiraglio Uluҫ Alì Pascià, detto “Uccialì” dai suoi corregionali calabresi, che storpiavano il suo nome, cercando di pronunciarlo, o quelle di Turghud Alì, detto “Dragut Rais”, o ancora quelle di Khayr Al-Din, detto “Il Barbarossa”, accostarsi al buio, nottetempo e senza luna, e nell’assoluto silenzio della lattiginosa bonaccia, alla costa, prendendo la fonda nel porto di S. Nicola. Sbarcando senza emettere un fiato e, con la complicità di guardie corrotte, vedersi aperte le porte di Scalea e far gelare il sangue dei suoi atterriti abitanti, all’improvviso, con orribili urla; correndo per le sue viuzze a gradoni, sfondando le porte delle abitazioni, uccidere quindi gli uomini sorpresi nel sonno e impietriti dal panico, e infine radunare sulla spiaggia le donne e i bambini, divisi in gruppi a seconda della loro avvenenza. Destinate, le prime, all’harem del califfo o alla semplice servitù, a seconda dei casi; i secondi, alla schiavitù del sesso, o a quella del remo, divenuti adulti, o, nel migliore dei casi, destinati a militare nella marineria pirata, sempreché ritenuti sufficientemente remissivi e fedeli, una volta “definitivamente spogliati” della loro identità. (Come un certo Islam, animato dallo stesso demone follemente predatorio ma, come quello, senza futuro, continua anche oggi a fare). O si potrebbero vedere dall’alto, come disposti sulla foto d’apertura, i cittadini di Aieta posti a difesa lungo il perimetro dell’Isola Dino contro l’assalto degli stessi nemici, tentare di respingerli a fatica, cercando, così, di precedere la loro sanguinosa scorreria. Ma poi, una volta superati, assistere impotenti al loro sciamare verso il loro borgo posto più in alto, sulla sommità di una delle prime colline costiere ma,

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ancor prima, al loro arrampicarsi verso le mura del contiguo borgo di Tortora, diviso da quello di Aieta dal profondo burrone della “Fiumarella” e poi verso le stesse mura di Aieta, lungo gli scoscesi pendii di quel secondo borgo esposti a nord, che cercavano inutilmente di proteggerlo, e così ripetere le consuete scene di atroce violenza. A tutto ciò, avrebbero dovuto porre rimedio le difese spagnole, fino alla strategica vittoria di Lepanto e alla successiva, ancora lenta e tardiva, agonizzante dissoluzione dell’Impero Ottomano. Quasi due secoli e mezzo dopo, questo stesso luogo, il mare prospiciente la stessa isola Dino, divenne il teatro del disastroso antefatto che precedette la sconfitta borbonica delle Battaglia di Campotenese, freddissimo altipiano posto alcune decine di chilometri più ad est, verso l’interno, quasi alla stessa latitudine di Praia, ma un po’ più a sud-est, combattuta il 9 marzo, in quell’inverno del 1806, tra il Corpo del napoleonico esercito di Napoli, guidato dal generale Reynier, e l’esercito borbonico guidato dal generale Damas. I borbonici attesero inutilmente l’arrivo dei rinforzi, che avrebbero dovuto essere rappresentati dalle truppe dei soldati inglesi, la cui “Corona” era alleata, inutilmente in quel caso, ai sovrani napoletani, nel tentativo di ostacolare la conquista francese del sud d’Italia. Le navi della flotta inglese, infatti, ancorate nel mare di quella che si chiamava a quel tempo “Praja, o Plaja, sclavorum”, oppure anche “Praja, o Plaja, slavorum”, (dal nome di alcuni “schiavoni” o “slavoni”, soldati schiavi o mercenari che venivano dalla Dalmazia e che un tempo ne avevano protetto anch’essi la costa), e che avevano a bordo i rinforzi, aspettarono inutilmente di poter sbarcare i soldati, ostacolate da una furiosa, incontenibile tempesta invernale. Ciò non fu assolutamente possibile, e mentre molte navi inglesi affondarono, le altre, già fortemente danneggiate, dovettero riparare nei porti più vicini. (L’episodio storico richiama anche alla mente una però meno accreditata derivazione etimologica del nome “Dino” attribuito all’isola, che, secondo questa versione, deriverebbe dal greco antico “dìnamis”,

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forza, potenza e, quindi, anche tempesta, così dovendolo interpretare, il nome dell’Isola Dino, come quello di ”Isola delle tempeste”, nello stesso modo in cui esso viene ancora oggi accreditato dalla “visione” degli altissimi cavalloni che letteralmente “si arrampicano”, a volte per la durata di alcuni secondi, durante certe furiose burrasche invernali, sulle sue alte pareti verticali). Fu così, allora, che i Borbonici, peraltro malamente guidati contro le espertissime truppe francesi, furono costrette ben presto alla ritirata, aprendo le porte al dominio francese anche del sud d’Italia. I soldati napoleonici, dopo la loro vittoria, furono in parte destinati a dividersi in gruppi, a presidio anche dei centri calabresi della vicina costa tirrenica, di cui si temeva una possibile rivolta, cosicché essi si accamparono anche a Praia, formando un acquartieramento militare, e così dando il nome ad una particolare zona cittadina che, ancora oggi, porta il nome di “Quartiere”. L’Isola Dino, diventata recentemente il centro di un parco marino regionale, e da poco ritornata anche ad essere proprietà comunale, è un luogo di bellezza estatica, che rapisce con una violenza selvaggia, capace di porre il pensiero fuori dal mondo presente, in un “altro luogo” primitivamente sorgivo e non identificabile, dove si respira anche un’aria sospesa e senza tempo che, coinvolgendo profondamente, produce una strana euforia, che insieme è in grado di liberare, entusiasmando e rappacificando. Tutto ciò, più presumibilmente (e l’incertezza dei due significati etimologici attribuibili al nome dell’Isola richiama ancora la polare contraddizione identitaria/oppositiva tra “il sublime” e “il violento”) era dedicato dalla cultura greco-italiota, indoeuropea come quella latino-italica successivamente “prevalsa” su di essa, a “Venere Edina”, dea della bellezza abitatrice di quel luogo, e quindi espressione anche della “visiva bellezza” di quel pensiero estatico di cui dicevamo, che è anche il vero, sublime “Kalòn k’Agathòn” di Platone. Condizione di profonda “intellezione noetica”, supremo grado di conoscenza di un valore estetico-morale ideale che, però, sarà

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forse ancora per poco padrone di questo luogo, perché pesantemente minacciato dalla crescente futilità del presente e dalla sua volgare, umiliante arroganza (ancora una volta divisi e uniti, questi due valori, nella “sintesi oppositiva di bello e di orrendo”). Era sicuramente la potenza del bello, comunque, a provocare quel vero e proprio mancamento che colpiva ripetutamente lo scrittore francese Stendhal quando, come racconta lui stesso, durante “le Grand Tour d’Italie”, che allora i letterati e i pensatori percorrevano come se fosse stato un “dovere” da compiere, egli, di fronte alle “nostre” straordinarie bellezze, si sentiva letteralmente venir meno.

FIGURE 21 E 22, SOPRA. IL “FORTINO” DI PRAIA, VISTO DA DUE PROSPETTIVE DIVERSE, LA PRIMA DA SUD-EST, CIOÈ DAL VECCHIO TRACCIATO DELLA STRADA STATALE NUMERO 18, TIRRENICA INFERIORE, CON CUI UNA VOLTA SI ARRIVAVA A PRAIA DA S. NICOLA; LA SECONDA DA SUD, CIOÈ DALLA SPIAGGIA SOTTOSTANTE A QUESTO, VOLGENDO LE SPALLE ALL’ISOLA DINO.

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“LA MATERIA DEI NOSTRI SOGNI”.

NEL SEGRETO “DEL MIO PROFONDO”, O FORSE ANCHE IN QUEL CALEIDOSCOPICO ALBUM PERSONALE DEDICATO ALLA “GEOGRAFIA CULTURALE” DI UN MONDO SOLTANTO MIO, MA POI ANCHE IN QUEL “LUOGO PRIVATO DEL PROPRIO INCONSCIO” CHE OGNUNO DI NOI CONSERVA GELOSAMENTE, E CHE SI HA QUASI IL TIMORE DI PARTECIPARE AD ALTRI PERCHÉ, COMUNICANDOLO ANCHE SOLO IN PARTE, E SENTENDOLO COME UN LUOGO INDIFESO E FRAGILE, TALORA SI TEME DI PERDERE. IN QUESTO “LUOGO” CHE, UNA VOLTA DIVENUTO PREDA DI NUOVI PADRONI, POTREBBE ESSERE USATO CONTRO DI NOI, PER FARCI DEL MALE FINO A MINACCIARE LA NOSTRA PIÙ INTIMA IDENTITÀ. IN QUESTO E PER TUTTO QUESTO, IL “FORTINO” DI PRAIA HA SICURAMENTE, PER ME, UN POSTO DI PRIMO PIANO.

NELLE PAGINE CHE PRECEDONO, LO ABBIAMO DESCRITTO COME LUOGO PRESIDIATO, NEL SEDICESIMO SECOLO, DA TRUPPE AL COMANDO DI UFFICIALI DEL VICEREAME SPAGNOLO, ADIBITO ALLA DIFESA COSTIERA DALL’AGGRESSIONE DEI PIRATI “TURCHESCHI O BARBARESCHI” CHE AVEVANO LE LORO BASI SULLE COSTE NORD AFRICANE DEL MEDITERRANEO, IN GENERE, MA CHE, SOPRATTUTTO, ERANO PIÙ NUMEROSI IN QUELLE VERE E PROPRIE COMUNITÀ DI PREDONI E TAGLIAGOLE RAPPRESENTATE DAGLI IMPORTANTI “POTENTATI” DI TUNISI E DI ALGERI. I LORO CAPI, SEMPRE MALE ACCETTATI DAI LORO “SUDDITI” COME TUTTI I TIRANNI SANGUINARI, CHE PERÒ RIUSCIVANO A TENERE IN SOGGEZIONE E A DOMINARE LE LORO CIURMAGLIE CON ORRIBILE, INAUDITA VIOLENZA, ERANO I “SIGNORI” O I “CALIFFI” DI UN PICCOLO REGNO LOCALE, RICONOSCIUTI COME ALLEATI DAGLI STESSI AUTORI DEL LORO CRIMINALE MANDATO, ORGANIZZATORI, SOSTENITORI, GESTORI E COMPLICI DI QUELLA BEN MESSA E BEN ASSORTITA CANAGLIA TERRORISTICO-CRIMINALE, E CIOÈ DAI “RAPPRESENTANTI POLITICI” DELL’ IMPERO TURCO-OTTOMANO IMPEGNATI DA TEMPO IN UNA GUERRA ESPANSIONISTICA, COSTANTEMENTE CONDOTTA SOPRATTUTTO CONTRO L’OCCIDENTE EUROPEO.

ESSI VENIVANO LIBERAMENTE LASCIATI SPADRONEGGIARE SULLE COSTE SETTENTRIONALI, CRISTIANE, DEL MEDITERRANEO, DA QUELLO ORIENTALE A QUELLO CENTRALE ED OCCIDENTALE, POTENTE ARMA CAPACE PER SECOLI DI SEMINARE IL TERRORE E LA MORTE, E COSÌ ANCHE CAPACE DI DISTILLARE LENTAMENTE, GOCCIA A GOCCIA, LA SOGGEZIONE E L’INFIACCHIMENTO PROGRESSIVO DEGLI AVVERSARI PER

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CONTO DEI LORO MANDANTI. IN QUESTO MODO, QUESTI PREDONI, FONDAMENTALE E COLLATERALE FORZA “UFFICIOSA” NEI CONFRONTI DELL’ESERCITO UFFICIALE TURCO-OTTOMANO, SI GUADAGNARONO, IN UNA PRESSOCHÉ TOTALE IMPUNITÀ DURATA PIÙ DI QUATTRO SECOLI A PARTIRE DAL QUATTORDICESIMO, LA RICCHEZZA, IL SESSO, UN CERTO POTERE E LA LORO STESSA MALIGNA GRATIFICAZIONE DA PICCOLI SOVRANI DEL MALE.

MENTRE UN PO’ DAPPERTUTTO, SULLE COSTE EUROPEE MERIDIONALI, IN GENERE E, SEGNATAMENTE, ANCHE SULLE COSTE CALABRESI, SITUATE PROPRIO AL CENTRO DEL MEDITERRANEO, A PORTATA DI MANO DEI PIRATI, LA GENTE VIVEVA UN INTERMINABILE INCUBO, SU DI ESSE, IN SPECIAL MODO, IL PROGRESSIVO ABBANDONO DEI PIÙ ESPOSTI LITORALI COSTIERI, PROTRATTOSI PER TANTO TEMPO NELLA NOSTRA REGIONE, DETERMINAVA UN FORTE ATTEGGIAMENTO DI DIFESA E DI CHIUSURA CON L’ARRETRAMENTO E LA FORTIFICAZIONE PIÙ A MONTE DEI CENTRI ABITATI, MENTRE LE SPIAGGE ANTISTANTI, CHE UNA VOLTA AVEVANO OSPITATO LE RIGOGLIOSE CITTÀ FONDATE DAI COLONI GRECI, DIVENTAVANO ABBANDONATI ED INSANI PANTANI MALARICI.

E COSÌ L’ECONOMIA LOCALE, GIÀ PRIMA DEPRESSA DALLO SFRUTTAMENTO SCHIAVISTICO DELLE RISORSE DA PARTE DI TUTTI GLI INVASORI SUCCEDUTISI SU QUESTA TERRA (E CIOÈ, IN RIGOROSO ORDINE CRONOLOGICO, PRIMA I ROMANI, POI I GOTI, I LONGOBARDI E I BIZANTINI, QUINDI I NORMANNI, GLI SVEVI, GLI ANGIOINI, GLI ARAGONESI, ORA GLI SPAGNOLI E, INSIEME, TUTTI I LORO ARISTOCRATICI CONSOLI, PROCURATORI E GOVERNATORI, MA ANCHE I FEUDATARI VASSALLI, I LORO VALVASSORI E, DI QUESTI, I VALVASSINI, I SIGNORI DI TERRE O DI INTERI TERRITORI, O COMUNQUE TUTTI I DESPOTI E TUTTI I LORO EMISSARI, TUTTI VIOLENTI “PORTATORI DI CIVILTÀ”, MA ANCHE TUTTI AUTENTICI, SANGUINARI PREDATORI ED ASSASSINI, ESATTORI DI INSOSTENIBILI GRAVAMI FISCALI E SPESSO AUTENTICI FARABUTTI), SI RENDEVA ORA PRIVA DI AMPI TRAFFICI E DI SCAMBI, OSTACOLATI DALLA OSSESSIVA PRESENZA IN MARE DEI “TURCHI”.

TUTTO CIÒ AVEVA GIÀ DEPRESSO E DEPRIMEVA ANCORA LA CONDIZIONE UMANA DEI CALABRESI FINO AL LIMITE DEL SOPPORTABILE, PONENDOLI IN UNA BEN MISERA E MAI DA ALLORA COMPLETAMENTE RECUPERATA CONDIZIONE (PER IL PERPETUARSI, POI, DELLO SFRUTTAMENTO ANCHE DA PARTE DEI BORBONI, DEI “SAVOIA LIBERATORI”, DEI LATIFONDISTI E DI TUTTI I NUOVI E VECCHI “GATTOPARDI” DELLA STORIA, ANCHE FINO AGLI “ONOREVOLI DEPUTATI REPUBBLICANI E DEMOCRATICI” PIÙ RECENTI), SCHIACCIANDOLI IN UNA POSIZIONE DI SQUALLIDA SOPRAVVIVENZA.

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È COSÌ CHE SI CREA PER LA CALABRIA, SECONDO L’ANTROPOLOGO PROFESSOR VITO TETI, IL MITO DI UNA CALABRIA “ISOLA SENZA MARE” (AFORISMA CHE CONSIDERA, IDEALMENTE, INVALICABILE “MARE” ANCHE QUEL SUO CONFINE MONTUOSO SETTENTRIONALE COSTITUITO DALL’ALTO “MURAGLIONE” DEL MASSICCIO DEL POLLINO). MENTRE NEI CALABRESI, E NEI MERIDIONALI IN GENERE, SI SVILUPPA, IN BUONA PARTE COME UNICA REAZIONE POSSIBILE AL CONTINUO SOPRUSO, MA POI ANCHE FORTEMENTE FAVORITO DALLA SFIDUCIATA IGNORANZA DEI PIÙ, MADRE E COMPAGNA COLPEVOLE DI ESSO, QUEL COMODO, PAVIDO E PROFITTEVOLE SPIRITO PASSIVO E PARASSITARIO, MA ANCHE QUELLA FORTE CONCEZIONE FALSAMENTE RIBELLISTICA, POI SOLTANTO AUTENTICAMENTE BRIGANTESCA, IN SEGUITO DIVENTATA SANGUINARIA ASSOCIAZIONE AFFARISTICA E CRIMINALE, CHE SEMBRA L’ETERNO, ORMAI INESTIRPABILE “MARCHIO” ANTROPOLOGICO-MORALE DELLA NOSTRA GENTE, COSÌ DA CREARE UNA STORIA CHE SI “AVVITA” SEMPRE DI PIÙ COME UNA “SPIRALE INVERSA” IN SE STESSA, MA CHE, PUR TORCENDOSI E CONFICCANDOSI IN ESSA, NON NE HA ANCORA RAGGIUNTO IL FONDO.

MA INTANTO, RITORNANDO A NOI, DEVO AGGIUNGERE CHE POCO O NULLA È CHIARAMENTE NOTO (O FORSE, CHE POCO O NULLA SOLTANTO SO IO), DI COSA SIA ACCADUTO NEI QUATTRO SECOLI SUCCESSIVI AL SEDICESIMO, DI QUEL MANUFATTO, DAPPRIMA DOPO L’INDEBOLIMENTO DELL’IMPERO OTTOMANO A LEPANTO, POI SOPRATTUTTO CON LA SUA CADUTA, AVVENUTA PERÒ, POI, SOLTANTO AGLI INIZI DEL DICIANNOVESIMO SECOLO. E POI, ANCORA, PER TUTTO IL DICIANNOVESIMO, FINO AL VENTESIMO SECOLO, IL PENULTIMO SECOLO DELLA CORRENTE ERA VOLGARE IN CUI, ESSENDO IO STESSO NATO, SONO STATO, ORMAI, TESTIMONE DI CIÒ CHE IL “FORTINO” ERA A QUEL TEMPO DIVENTATO. E TUTTO CIÒ TENENDO ANCHE PRESENTE CHE NULLA CONOSCO DI COSA NE ACCADDE, DI QUELL’ELEGANTE, AFFASCINANTE MANUFATTO DI INGEGNERIA MILITARE, SPECIALMENTE DOPO IL RITIRO DEGLI SPAGNOLI DALL’ITALIA AVVENUTO NEL DICIASSETTESIMO SECOLO, E CIOÈ DOPO CHE ESSO EBBE PERDUTO, CON LA STESSA PERDITA DEI SUOI DIFENSORI, LA FONDAMENTALE FUNZIONE DIFENSIVA PER LA QUALE ERA STATO DA ESSI CONCEPITO E COSTRUITO.

DI QUESTO MONUMENTO, POSSO SOLO DIRE CON SICUREZZA CHE NEL MERAVIGLIOSO CASTELLO DI S. SEVERINA, POSTO TRA I CALANCHI ARGILLOSI DEL “MARCHESATO” IN PROVINCIA DI CROTONE, DI RECENTE RESTAURATO, E DIVENUTO ORA ANCHE LA SEDE DEL COORDINAMENTO OPERATIVO DELLA SOPRINTENDENZA DEI BENI STORICI, ARTISTICI, ARCHITETTONICI ED AMBIENTALI DELLA REGIONE CALABRIA, NEI SUOI SOTTERRANEI ESISTE ANCHE UNA RACCOLTA DI “PLASTICI” DI COSTRUZIONI (CHE SPESSO SONO ANCHE IDEALI RICOSTRUZIONI) DIFENSIVE CALABRESI. TRA QUESTI, HO DI PERSONA OSSERVATO A LUNGO ANCHE QUELLO, BELLISSIMO, DEL “FORTINO” PRAIESE.

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CREDO PROPRIO CHE SERIE RICERCHE IN PROPOSITO POTREBBERO ESSERE FATTE NELL’ARCHIVIO DI STATO DELLA CITTÀ DI NAPOLI, PERCHÉ ANCH’IO HO LETTO ALCUNI FOGLI TRATTI DA QUESTO ARCHIVIO E DAI REGISTRI SU CUI VENIVANO ANNOTATI I NOMI DEI SOLDATI, LE LORO ARMI, LE LORO PAGHE, LE LORO RAZIONI QUOTIDIANE DI CIBO, MA SONO ANCHE SICURO CHE ESISTANO ARTICOLI O PUBBLICAZIONI DI VARI AUTORI CHE LO ILLUSTRANO ADEGUATAMENTE.

E TUTTAVIA..., E TUTTAVIA, ANCORA UNA VOLTA, DEVO DIRE, CREDO PROPRIO CHE UNA PIÙ PRECISA RELAZIONE POSTA QUI PER DESCRIVERE PARTICOLARI, CIRCOSTANZIATE, MA PUR SEMPRE “VEROSIMILI E LONTANE” VICENDE STORICHE, PERALTRO NON MOLTO SIGNIFICATIVE PERCHÉ SUCCESSIVE RISPETTO A QUEL SUO “PERIODO D’ORO” NEL QUALE IL “FORTINO” FU COSTRUITO, IL CINQUECENTO, E RIFERITE, PER GIUNTA, SOLTANTO AD UNA LUNGA STORIA DI DECLINO, NIENTE AGGIUNGEREBBE A QUELLA “MATERIA DEI SOGNI” CHE DÀ IL TITOLO A QUESTO CAPITOLO CHE PRETENDEREBBE, NIENTEMENO, CHE DI SPIEGARLA.

ANZI, AL CONTRARIO, FORSE QUESTO TOGLIEREBBE QUALCOSA ALLA “VERITÀ”, PERCHÉ IO SONO INVECE CONVINTO CHE PROPRIO L’INDETERMINATEZZA, A VOLTE, SE ACCOMPAGNATA DA UNA EQUILIBRATA, MA MOTIVATA, FORZA PROIETTIVA DEL NOSTRO PENSIERO, È SPESSO IL PIÙ POTENTE STIMOLO PER QUELLA “CHIARA E PREPOTENTE VERITÀ VISIVA”, DERIVANTE DA QUEL LEGITTIMO, UMANISSIMO, MA PERSONALE E MISTERIOSO MODO DI RAFFIGURARCI IL PASSATO CHE SI NASCONDE ALL’INTERNO DI OGNUNO DI NOI. L’UNICO, FORSE, CHE VERAMENTE CONTI, CAPACE ANCHE DI PORRE IN SECONDO PIANO OGNI ALTRA NOZIONE, OGNI ALTRA METODOLOGIA, OGNI ALTRA AFFERMAZIONE PRESUNTUOSAMENTE CERTA E SCIENTISTA (E QUINDI NEMMENO AUTENTICAMENTE SCIENTIFICA, MA SOLO MARCHIANAMENTE RELATIVISTA), COSÌ PRIVANDOCI DELLA QUALIFICA DI UN VERO PENSIERO STORICO, POTENDO TUTTO QUEL CHE HO DETTO, FARE AL MASSIMO DA ATTIVO SOSTRATO, MENTRE INUTILMENTE CERCA DI SOPRAVANZARE QUESTO PREZIOSO PIANO CONOSCITIVO.

ANCHE SE QUESTO SUONA COME UNA BESTEMMIA ALLE ORECCHIE DI CHI SI INTESTARDISCE A CERCARE “LA VERITÀ” SEMPRE E SOLO SUL PIANO DELLA SUPERBA “CONCRETA RAGIONE RICOSTRUTTIVA”, BASANDOSI SUGLI “OGGETTI” E SUI “DATI DI FATTO”, SENZA CREDERE A NIENT’ALTRO CHE AD ESSA CHE AFFIDA IL SUO STATUTO SOLTANTO “AL CONCRETO” E MOLTO MENO ALLA PERSONALITÀ DI CHI LI HA DETERMINATI, COSÌ FINENDO COL TRASCURARE ANCHE QUALSIASI ALTRA STRAORDINARIA UMANA FACOLTÀ INTERPRETATIVA, QUESTO OTTIENE SOLO IL RISULTATO DI FARE TANTI PICCOLI PASSETTINI IN AVANTI SU UN PONTICELLO MOLTO

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MALMESSO CHE RISCHIA DI CROLLARE (E CROLLA) OGNI GIORNO PER ESSERE OGNI GIORNO RICOSTRUITO.

E DUNQUE, LA PRESUNZIONE DELLA “RAGIONEVOLE CERTEZZA STORICA”, SI BADI BENE LO RIBADIAMO, PRIVA DI OGNI TENSIONE ERMENEUTICA, CHE NON È DA SOLA IN GRADO DI ILLUMINARE LA SCENA CON IL BAGLIORE DEI COLLEGAMENTI E DEI NESSI, CHE È PRIVA DI OGNI NECESSARIA INTUIZIONE “VISIVA”, E PERFINO PRODIGIOSAMENTE “VISIONARIA”, E CHE MANCA DI OGNI CONCEZIONE OLISTICA O ANCHE SOLTANTO INTERDISCIPLINARE, CHE È ANCHE E SOPRATTUTTO INCAPACE DI COLLEGARSI E DI FARSI ISPIRARE DALLO SLANCIO DELLO STESSO PENSIERO FILOSOFICO CHE NE È LO STATUTARIO IMPIANTO, SI RIDUCE A QUELLA DISCIPLINA DESCRITTIVA CHE TANTO ANNOIA GLI STUDENTI CON LE SUE FILASTROCCHE DI DATE E DI BATTAGLIE E POCO ALTRO, CHE NON EDUCA NESSUNO AL VERO PENSIERO STORICO E CHE RIMANE, SEMMAI, SOLO DI SUPPORTO A CIÒ VERSO LA CUI RICERCA, SCRIVENDO, SONO COSTANTEMENTE TESO.

ALLA FINE, CIÒ CHE RIMANE IN NOI DELLA STORIA, È SOLTANTO LA NOSTRA CAPACITÀ DI SAPERCELA RAPPRESENTARE E “SPIEGARE”, COSÌ RIUSCENDO ANCHE A PENETRARE NELLE SUE PIÙ RIPOSTE PIEGHE .

“IL SENSO DELLA STORIA” DIVENTA COSÌ NON SOLO IL FRUTTO DI CIÒ CHE STUDIAMO DI ESSA IN SENSO PIÙ TRADIZIONALE, MA SOPRATTUTTO QUELLO “SCATTO” DELLA NOSTRA INTERIORITÀ, QUELL’ATTO DI PENSIERO CHE NELLA STORIA “RICONOSCE SE STESSI”, IL PROPRIO LEGITTIMO GESTO “RI-CREATIVO” .

IL SENSO DELLA STORIA NON È TANTO NEI FATTI E NEI PERSONAGGI CHE LA POPOLANO. È SEMPRE, ESSENZIALMENTE, NELLA NOSTRA PERSONALE CAPACITÀ DI IMMEDESIMAZIONE IN ESSI E IN LORO, COSÌ POTENDO DIVENTARE NOI STESSI, QUASI “GLI ATTORI” DI ESSA.

IL SENSO DELLA STORIA È, INEVITABILMENTE, IN NOI STESSI.

IL SENSO DELLA STORIA È “QUEL NOI STESSI CHE RIESCE A RESTITUIRCI LA STORIA”.

IL SENSO DELLA STORIA SIAMO NOI E LE NOSTRE STESSE “CATEGORIE STORICHE”; QUELLE CHE CONTINUAMENTE SI MUOVONO INTERPRETANDO E “VEDENDO” LA STORIA NEL TEMPO E NELLO SPAZIO, MA IN QUEL TEMPO E IN QUELLO SPAZIO CHE È “DENTRO NOI STESSI, PARTE DI NOI”.

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L’OGGETTO DELLA STORIA RISIEDE ANCHE IN QUELLE SCIENZE CHE POSSIAMO DEFINIRE SUSSIDIARIE CHE , CIOÈ , POSSONO ANCHE AIUTARCI, MA CHE NON POSSONO DIRSI PER NULLA VICARIE RISPETTO AD ESSA.

L’OGGETTO DELLA STORIA È, SORPRENDENTEMENTE MA SOPRATTUTTO, NELLA NOSTRA RESPONSABILE, EQUILIBRATA E MATURA, “OGGETTIVA CAPACITÀ DI RICOSTRUIRLA”.

IL SENSO DELLA STORIA È LO STESSO NOSTRO “PENSIERO” DELLA STORIA.

MA SUPERANDO QUESTO “SLANCIO TEORETICO” CHE MI PUR MI PREMEVA MOLTO, AVENDOLO SENTITO SINCERO E SPONTANEO, PER RITORNARE ANCORA E IN CONCLUSIONE AL NOSTRO RACCONTO CHE STA CERCANDO DI SOSTENERE LA NOSTRA RIFLESSIONE, DOBBIAMO DIRE CHE CON L’ABBANDONO SPAGNOLO DELLA STRUTTURA, CIOÈ CON LA PERDITA DELLA SUA PIÙ VALIDA POSSIBILITÀ DIFENSIVA, ESSO DEV’ESSERE SICURAMENTE CADUTO IN PREDA AI SUOI NEMICI CHE LO DISTRUSSERO IN BUONA PARTE, E POI, MUTANDO LE PROSPETTIVE POLITICHE, GLI INTERESSI ECONOMICO-SOCIALI E GLI SCENARI STORICI, IN GENERALE, HA VERSATO IN UNO STATO DI PROGRESSIVO ABBANDONO, RIDUCENDOSI COSÌ AD UNO DI QUEI TANTI RUDERI MILITARI DELL’EPOCA SPAGNOLA (E ANCOR PRIMA ARAGONESE), CHE SI VEDONO COSÌ SPESSO, ANCORA OGGI DIMENTICATI E TRISTI TESTIMONI DELLA LORO STESSA ROVINA, ANCHE SULLE NOSTRE COSTE CALABRESI.

COME TUTTI I LUOGHI IMPORTANTI E POI ABBANDONATI DEL NOSTRO CONTINENTE E NON SOLO, FU, FORSE, ANCORA PER QUALCHE TEMPO, PRESIDIATO DA NUOVI PADRONI, MA POI RIFUGIO PER ANIMALI SELVATICI ED ANCHE PER IL BESTIAME D’ALLEVAMENTO ED I SUOI PASTORI? NASCONDIGLIO DI LADRI, BANDITI E BRIGANTI? TEATRO, FORSE, DI STUPRI ED ASSASSINI? RICOVERO CLANDESTINO DI AMANTI IMPROVVISATI? DIROCCATO TUGURIO COPERTO DI ROVI PER VAGABONDI, SBANDATI E MENDICANTI, O FORSE TUTTO QUESTO E QUALCOS’ALTRO INSIEME?

DOPO LA FINE DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE, E POI NEGLI ANNI CINQUANTA E SESSANTA DEL NOVECENTO, COMUNQUE SIA, LE SCUOLE MEDIE E IL GINNASIO STATALE DI PRAIA CHE IO ALLORA FREQUENTAVO, ERANO OSPITATE PROPRIO IN QUEL RICOSTRUITO EDIFICIO CHE ALLORA SI CHIAMAVA (E SI CHIAMA ANCORA, COME SEMPRE), IL “FORTINO”. OLTRE CHE LUOGO DELLA NOSTRA “SOFFERENZA SCOLASTICA”, PER NOI ADOLESCENTI CHE ERAVAMO ALLE PRESE, IN QUEL TEMPO, CON QUEGLI ANTICHI, AUSTERI PROFESSORI CHE CI INTRODUCEVANO AGLI “STUDI CLASSICI”, DOPO I PIÙ AFFETTUOSI E SEMPLICI MAESTRI DELLE SCUOLE ELEMENTARI, ESSO DIVENNE ALLORA, INASPETTATAMENTE, LO STESSO LUOGO DEI NOSTRI SOGNI.

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DOPO AVER CONOSCIUTO ED ESPLORATO LE MERAVIGLIE DELLA IMMENSA E SELVAGGIA SPIAGGIA DI PRAIA, GRANDE, PER ME E I MIEI AMICI, COME UN GRANDE DESERTO, MA PROFUMATA, QUA E LÀ, ALLORA, DI DANNUNZIANE “TAMERICI SALMASTRE” CHE CIRCONDAVANO “LAGHETTI” DI ACQUA PIOVANA E DI PICCOLI CESPUGLI DI MENTA SELVATICA, DI AROMATICI ALBERI DI EUCALIPTO E DI FRESCHI BOSCHETTI DI PINI MARITTIMI.

DOPO ESSERE ENTRATI NELLA MERAVIGLIA DELLE GRANDI GROTTE DEL COMPLESSO CARSICO DELLA SERRA VINGIOLO, CHE TRONEGGIAVA PROPRIO SOPRA QUEL “FORTINO” POSTO ALLE SUE RADICI, APPENA SOPRA IL MARE.

DOPO AVER CURIOSATO ACCANTO AGLI ARCHEOLOGI CHE CERCAVANO NELLE VISCERE DI QUELLE GROTTE GLI UOMINI IN ESSA VISSUTI MIGLIAIA DI ANNI FA, ARMEGGIANDO, IMMERSI NELLA FOSSA SCAVATA A FATICA NELLA DURA TERRA CHE FORMAVA IL PAVIMENTO, ABBAGLIATI DALLA LUCE FORTE DELLE LAMPADE ELETTRICHE, TRA CIOTOLE, BROCCHE, PUNTE DI LANCE E DI FRECCE, MA ANCHE TRA CRANI ED OSSA DI UOMINI PREISTORICI, IL NUOVO, RICOSTRUITO “FORTINO” DIVENNE LENTAMENTE PER NOI IL LUOGO NUOVO DEL MAGICO E DELL’ARCANO. ED ANCHE DI QUEL SENSO INDEFINITO MA MOLTO PERCEPIBILE DI INQUIETUDINE CHE, ANCHE IGNORANDO DEL TUTTO, NOI, LA SUA STORIA, PUR SI AVVERTIVA, PERCORRENDOLO, QUASI MATERIALMENTE.

E COSÌ ERA TUTTO UN FRETTOLOSO, AGITATO AGGIRARSI, DURANTE LA RICREAZIONE, SFUGGITI ALLA SORVEGLIANZA E NON PIÙ CONTROLLATI, PER LE STANZE DISABITATE MA INCUSTODITE ED INDIFESE DEL PIANO SUPERIORE, DALLE PORTE MALMESSE, SINISTRAMENTE SCRICCHIOLANTI, E DAGLI INFISSI SBARRATI E QUASI PRIVI DI LUCE, IMMAGINANDO CHISSÀ QUALI LONTANE E SEGRETE TORTURE, AI DANNI DI CHI SA CHI, NOI CHE, DOTATI DI FERVIDA IMMAGINAZIONE, ERAVAMO ALLORA ANCHE POSTI NEL VISIONARIO, “FILOSOFICO” TURBAMENTO DELLA PUBERTÀ, IMMERSI IN QUELLA ETERNA DOMANDA CHE SONO SEMPRE GLI ADOLESCENTI... E, A VOLTE, BENINTESO NEL SENSO PIÙ NOBILE E POSITIVO, ANCHE ALCUNI “ADULTI-BAMBINI”.

SOPRATTUTTO, CI INCURIOSIVANO LE SUE MISTERIOSE MERLATURE PRIVE DI CADITOIE, CHE CI SEMBRAVANO, PERÒ, OLTRE CHE MOLTO DECORATIVE, ANCHE UN PO’ INUTILI, I SUOI LUNGHI, SEVERI CORRIDOI, E POI QUELLA GRANDE, FIABESCA TERRAZZA-GIARDINO PENSILE, RICCA DI PALME E DI BUGANVILLEE VIOLACEE, UNA VOLTA PIATTA E SEVERA POSTAZIONE MILITARE, DA CUI SI ERANO AFFACCIATE SECOLI PRIMA LE CANNONIERE SPAGNOLE VOMITANTI FUOCO CONTRO LE NAVI DELLA FLOTTIGLIA PIRATA, O CHE FORSANCHE ERA STATA UNA PIAZZA D’ARME AFFOLLATA, DOVE UN TEMPO ERANO RISUONATE LE GRIDA DI ALLARME, I RICHIAMI E GLI SPARI DEI SOLDATI E DEI LORO

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ASSALITORI CHE SI SCAGLIAVANO CONTRO DI ESSI DOPO AVER SCALATO LE RIPIDE MURA CON LE CORDE E I RAMPINI.

E DOVE, ESAURITO L’UNICO COLPO DISPONIBILE DELLE ARMI DA FUOCO AD AVANCARICA, ORA I SOLDATI SGUAINAVANO LE SPADE, PROTEGGENDOSI CON LA PESANTE ARMATURA DAI FENDENTI DEGLI URLANTI PIRATI DALLE FACCE BRUNE, PORTATI CON LE LORO CARATTERISTICHE SCIABOLE CORTE, COSÌ ADATTE AL COMBATTIMENTO RAVVICINATO, CORPO A CORPO CON L’AVVERSARIO. E CADENDO ORA ESSI UNO AD UNO, CHI AVRÀ AVUTO, ALLORA, LA MEGLIO?

MA IN QUEL GIARDINO, IN QUEL MOMENTO, NEL QUIETO SOLE DI MAGGIO, VOCIAVANO E SI RINCORREVANO, INVECE, ANCORA IMMERSE NELL’INDISTINTO DEL SOGNO, LE FIGURE DI COMPAGNI MENO NOTI E DI AMICI, IN QUELLO SPAZIO CI SI AGGIRAVA CURIOSI E CIECHI, CERCANDO DI CONOSCERE E DI CAPIRE, PER ARRIVARE, INFINE, A QUELL’ULTIMA BALAUSTRA CHE SI APRIVA SULL’INFINITO DEL MARE DEL GOLFO E NELL’ETEREO AZZURRINO DEL CIELO. “SUBLIME, UNIVERSALE TUTTO ABBRACCIANTE”, SECONDO L’ALTA, SQUISITA SENSIBILITÀ DI PENSIERO DEL PROFESSOR KARL JASPERS.

FU SOLO NEGLI ANNI SUCCESSIVI, ATTRAVERSO LE PAROLE E I DISCORSI FRAMMENTARI E TROPPO PRESTO INTERROTTI DI ADULTI SBRIGATIVI E POCO INFORMATI, CHE LA VISIONE STORICA SI SOVRAPPOSE A QUELLA FANTASTICA. DOPO MOLTI SECOLI DI QUASI ASSOLUTO ANONIMATO, QUEL LUOGO AMBITO ERA STATO ACQUISTATO DAL FACOLTOSO ESPONENTE DI UNA FAMIGLIA PRAIESE CHE, NOVELLA PERSONIFICAZIONE “ALTRA” DI UN LUDOVICO DI BAVIERA ALLE PRESE COL SUO FOLLE MANIERO SVETTANTE SULLA VALLE DEL RENO, FACENDOLO QUASI COMPLETAMENTE RICOSTRUIRE, LO AVREBBE TRASFORMATO ORA, PERÒ, NELLA SUA RICCA, MA UN PO’ GROTTESCA E TETRA DIMORA DI FAMIGLIA.

SOVRAPPONENDO ALL’AUSTERITÀ DEL MANUFATTO MILITARE, UN RIFACIMENTO CHE NON ERA PIÙ CREDIBILE PERCHÉ DIVENUTO ALLORA, MOLTO PIÙ TARDI NEL TEMPO, VISIBILMENTE POSTICCIO, NE AVEVA FATTO, INVECE, PIÙ CHE UN NUOVO FIABESCO CASTELLO, UN SIMULACRO ALQUANTO FALSO E DI MANIERA, GRONDANTE MODERNITÀ QUANDO AVREBBE VOLUTO SIMULARE L’ANTICO, PERFINO ARRICCHITO DA UNA NUOVA, PREZIOSA, CIVETTUOLA, MA ANCHE ASSAI FALSA E PRETENZIOSA TORRETTA. GLI EREDI LO AVEVANO POI DATO IN AFFITTO, E COSÌ ERA STATO ADIBITO PRIMA A COLLEGIO SCOLASTICO E POI, A QUEI MIEI VECCHI TEMPI, A SCUOLA STATALE.

INFINE, NEGLI ULTIMI DECENNI, “IL FORTINO” È STATO DEFINITIVAMENTE VENDUTO, DIVENTANDO PRIMA UN COSTOSO “RESIDENCE” E POI, ANCORA OGGI, UN LUSSUOSO CONDOMINIO APERTO SUL MARE.

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ESISTE ANCORA UNA “MATERIA” PER I NOSTRI SOGNI?

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Alcuni altri riferimenti iconografici ai luoghi o ai personaggi citati nel capitolo precedente, collegati alle situazioni o alle vicende storiche a cui si è accennato.

FIGURA 23. LA TORRE DI S. N ICOLA, DETTA ANCHE TORRE CRAWFORD, DAL NOME DEL SUO ILLUSTRE OSPITE OTTOCENTESCO, SI AFFACCIA SUL PORTICCIOLO NATURALE (ALLE SUE SPALLE) DELL’OMONIMO, PIÙ ELEVATO, PICCOLO, MA ASSAI GRAZIOSO BORGO VICINISSIMO A PRAIA, IL CUI TERRITORIO È CONTIGUO AL SUO VERSO SUD, ED È POSTA DI FRONTE AL LATO MERIDIONALE DELL’ISOLA DINO. SI DICE CHE ESSA SIA STATA, PIÙ RECENTEMENTE, NEL NOVECENTO, SEDE DI SEGRETE RIUNIONI MASSONICHE, MENTRE ORA FA PARTE, ACCORTAMENTE E BEN RESTAURATA A PROPRIE SPESE, DELLA MAGGIORE, BELLISSIMA PROPRIETÀ PRIVATA, COLTIVATA ANCHE AD ULIVETO E A VIGNETO, OLTRE CHE A GRANDE GIARDINO, DI CUI FA PARTE ANCHE LA RESIDENZA (NON VISIBILE NELLA FOTO) DI UN FACOLTOSO PROFESSIONISTA, SUO NUOVO PROPRIETARIO. ANCH’IO HO POTUTO RECENTEMENTE VISITARLA ED APPREZZARLA IN OCCASIONE DI UN CONVEGNO LÌ ORGANIZZATO. PROPRIO IN QUESTO POSTO COSÌ ACCOGLIENTE SI NASCOSERO LE NAVI DEI PIRATI CHE FECERO OGGETTO ANCHE SCALEA, SITUATA POCO DISTANTE AL DI LÀ DELL’OMONIMO PROMONTORIO CHE CHIUDE IL GOLFO DI POLICASTRO A SUD, DELLE LORO SCORRERIE. LE DUE LOCALITÀ COSTIERE DI S. NICOLA E SCALEA, SEPARATE DA UN LARGO PROMONTORIO, COME ANCORA DI RECENTE HO POTUTO PERSONALMENTE VERIFICARE, NON SONO ANCORA OGGI, VOLENDO PERCORRERE LA VIA DELLA COSTA E NON LA STRADA STATALE POSTA PIÙ A MONTE, BEN COLLEGATI TRA LORO.

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FIGURA 24. FRANCIS MARION CRAWFORD, 1854-1909, POETA E SCRITTORE STATUNITENSE.

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FIGURA 27. KHAYR AL-D IN, IL PIRATA “BARBAROSSA”.

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FIGURA 25. ULUҪ ALÌ PASCIÀ, “UCCIALÌ” PER IL POPOLO CALABRESE.

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FIGURA 26. TURGHUD ALÌ, DETTO “DRAGUT RAIS”.

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FIGURA 28. LO SCHEMA DEGLI SCHIERAMENTI CHE SI FRONTEGGIARONO NELLA BATTAGLIA DI LEPANTO, COMBATTUTA NEL GOLFO DI PATRASSO, IN GRECIA.

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FIGURA 29. ANCORA LA STESSA EPOCALE BATTAGLIA, MA IN UNA RAFFIGURAZIONE PITTORICA PRESENTE NELLE GALLERIE VATICANE. LEPANTO FU SALUTATA COME LA GRANDE VITTORIA DELLA CRISTIANITÀ, FINALMENTE, ANCHE SE ANCORA SOLO PROVVISORIAMENTE, TRIONFANTE SULL’ISLAM OTTOMANO, DOPO LE DELUSIONI OFFERTE DALLE CROCIATE MEDIEVALI. ANCORA OGGI L’EVENTO METTE IN MOSTRA L’AUREOLA DEL FATTO SALVIFICO PER LA STORIA E LA CIVILTÀ DEL MONDO OCCIDENTALE.

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FIGURA 30. IL GENERALE DAMAS, UFFICIALE NON PROPRIO CAPACE E VALOROSO, CHE GUIDAVA LE TRUPPE BORBONICHE DURANTE LA BATTAGLIA DI CAMPOTENESE, 9 MARZO 1806.

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FIGURA 32. LO SCRITTORE FRANCESE HENRI BEYLE (1783-1842), DETTO “STENDHAL”.

FIGURA 31. IL GENERALE REYNIER, COMANDANTE VITTORIOSO DELLE TRUPPE FRANCO-NAPOLEONICHE NELLA STESSA BATTAGLIA.

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ALCUNI “VALORI” UMANI CHE BENVENISTE , SCRIVENDO DEGLI INDOEUROPEI , NON HA, FORSE, POTUTO VALORIZZARE APPIENO: GLI STRUMENTI DI GUERRA, LA MORTE, LA SEPOLTURA , LA CONTINUAZIONE DEL VIAGGIO DELL’ESISTENZA NELL’” OLTRE LA VITA”, …

FIGURA 33. ALCUNI ESEMPI DI ARMI BRUZIE, APPARTENENTI A VARI CORREDI FUNERARI PROVENIENTI DA SEPOLTURE GUERRIERE.

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FIGU R A 34 . U N A S E P O L T U R A B R U Z I A , C O N S U E T U D I N E A P P A R T E N E N T E A L L A C L A S S E I N U M A T O R I A D E L L E G E N T I I N D O E U R O P E E , C O S Ì D E T T A P E R D I S T I N G U E R L A D A Q U E L L A I N D O E U R O P E A I N C I N E R A T O R I A - V I L L A N O V I A N A . I D E F U N T I E R A N O I N T E R R A T I N E L L A C L A S S I C A T O M B A D E T T A “ A C A P P U C C I N A ” P E R C H É E S S A , R I V E S T I T A , S U L L E P A R E T I , I N P I E T R A , V E N I V A C O P E R T A C O N G R O S S E T E G O L E I N C O T T O D I S P O S T E A S P I O V E N T E , C O M E U N C A P P U C C I O , P E R R E S T I T U I R E A L L O “ S C O M P A R S O ” L ’ E F F I G I E D I U N ’ U L T I M A D I M O R A .

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…MA FORSE ANCHE LA NASCITA DEL DIRITTO DI PROPRIETÀ SUSCITATO DALLE NECESSITÀ DI SOPRAVVIVENZA: IL RIFUGIO DELLA CASA, IL LAVORO AGRICOLO FATTO NELLA PROPRIA TERRA E LA PASTORIZIA .

FIGURA 35. R ICOSTRUZIONE DI UNA TIPICA FATTORIA BRUZIA. (IV-III SECOLO A.C.).

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FIGURA 36. SCENA DI VITA AGRICOLA…

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FIGURA 37. …E SCENA DI VITA PASTORALE BRUZIA.

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UN ALTRO “VALORE” DI CUI IL GRANDE LINGUISTA NON SEMBRA PARLARE: L’ESPRESSIONE DEL PROPRIO SE STESSO NELLA COSTRUZIONE DI STRUTTURE AUTO-RAPPRESENTATIVE .

FIGURA 38. LA COSTRUZIONE DI ALCUNE “STRUTTURE MEGALITICHE”, CHE RICORDANO QUALCOSA CHE È POSTO TRA QUELLE DIFENSIVE DI UNA “CITTADELLA MICENEA” E QUELLE DI UN COMPLESSO NURAGICO, DOTATE DI SOLIDE MURA, CON O SENZA CORRIDOI DI ACCESSO, E DI UN “MEGÀRON” CENTRALE, INTORNO A CUI SI MUOVE UNA MOLTITUDINE DI UOMINI CHE SI STANNO IMPEGNANDO A TRASPORTARE GIGANTESCHI BLOCCHI DI PIETRA, È UNA DELLE ESPRESSIONI PIÙ RAPPRESENTATIVE DELLA “CIVILTÀ INDOEUROPEA” E DI QUELLE COEVE AD ESSA. QUESTE SONO ANCORA PRESENTI SOPRATTUTTO IN EUROPA (DOLMEN, MENHIR, NURAGHI, MURAGLIONI CICLOPICI, ECC.), ED ERANO PREFERIBILMENTE DI UNA FORMA TONDEGGIANTE ALLORA PIÙ COMUNE, RISPETTO A QUELLE MOLTO DIVERSE TRA LORO, OGGI PROPOSTE DALLE SUE NUMEROSE, SUCCESSIVE, EPIGONE CULTURE. ANCHE LE STRUTTURE GRANDIOSE, COMUNQUE, APPARTENGONO ALL’IMMAGINARIO DI TUTTE LE CIVILTÀ UMANE.

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E COSÌ, SOLO MOLTI SECOLI DOPO, IL BRUZIO DIVENTÒ LA CALABRIA .

FIGURA 39.

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FIGURA 40.

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La laboriosa, controversa avventura di un nome.

Nella figura 38 e nella figura 39, nelle due pagine precedenti, due diverse immagini, in scala e con aspetto diverso, dell’Italia meridionale antica, ovvero di quella “Megàle Éllas”, detta poi “Magna Grecia” dai Latini, di quella Grecia, cioè, a detta degli stessi Greci, “più grande” della loro stessa Madrepatria.

Al centro di entrambe, campeggia la nostra, questa volta, di Madrepatria, quell’ultima parte continentale della penisola italiana detta Calabria che, però, in esse figura ancora con i suoi due appellativi storici; il secondo, “Italia”, più antico, diventato poi addirittura l’appellativo eponimo dell’intero territorio della Penisola, rispetto al primo, quel “Brutium” che si riferisce al nome latinizzato di quella gente di origine osco-lucana dei “Bretti”, poi chiamati “Brutii” dai Romani. Il nome più antico di “Italia”, si dice, fu dato, e così ci immergiamo di colpo nel Mito, dai primi coloni greci a quella terra abitata dagli “Enotri” (un nome di contenuto genericamente evocativo, che nella lingua greca di allora significa soltanto “La gente antica”). Tra questi, la loro attenzione fu colpita, in particolare, dalla tribù dei “Vituli”, altro nome evocativo che fa pensare al “vitulus”, vitellino appena nato, quindi da poco “venuto alla vita”, per i Greci, proprio come quella terra o, secondo altri, riferibile ad una tribù che presentava una religione totemica intitolata ad una divinità bovina; oppure, secondo altri ancora, ad una terra dove vivevano degli apprezzati bovini dalle lunghe corna, forse appartenenti a quella bellissima razza autoctona che noi conosciamo anche con il nome di “Podolica”). Attraverso l’evoluzione della parola (da Vituli ad Itali, il passo è breve), l’antico appellativo si sarebbe poi trasformato nel nome, a cominciare dai Romani, di una ben più grande nazione e, infine, del nostro Paese natale tutto intero. (Secondo altri, però, vale la pena di ricordarlo, il nome Italia

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deriverebbe direttamente da quello di un re, o “capo”, anch’egli eponimo, di quell’epoca, appartenente alla “Gente degli Itali”, chiamato, appunto, “Italo”). Come si vede, quando si sprofonda nel mito, è difficile uscirne. Comunque sia, per andare invece, adesso, alla storia, come si vede in entrambe le figure, il nome Calabria era una volta quello più legittimo, dato anticamente alla penisola pugliese del Salento dalla tribù, anch’essa eponima, dei “Calabri”, appartenente ad una più ampia genia Iapigia, forse di origine illirica. Il nome attuale di questa nostra terra, pertanto, fu deciso soltanto intorno all’anno mille dai Bizantini che, preoccupati, allora, dall’aggressione dei Longobardi, si risolsero a trasferire dal Salento alla Calabria attuale non solo il nome, ma anche tutti i loro presidi di comando ed amministrativi, dando così alla nostra terra d’origine anche una improvvisa quanto inaspettata importanza, forse mai più uguagliata nei secoli successivi.

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INDICE GENERALE (SCHEMATICO E NON DEFINITIVO) DELL’OPERA.

Poiché l’opera che intendo scrivere si presenta dichiaratamente come lo sviluppo su base storica, filosofica ed antropologica di uno spazio che “Il vocabolario delle Istituzioni Indoeuropee” di Émile Benveniste indica esplicitamente come libero ed ospitale, ma anche espansivo perché posto al di fuori delle sue più strette competenze di tipo paleolinguistico e, quindi, di competenza di altri, l’indice sommario dei sei capitoli del libro presenta volutamente gli stessi titoli , nel rispetto della denominazione data alle sue categorie semantiche dal linguista francese.

(All’interno di ogni capitolo, si è deciso di adoperare soltanto alcuni sottoinsiemi lessicali più indicativi e più adatti a spostare la ricerca dal piano linguistico a quello filosofico, rispetto a molti altri presenti nell’opera di Benveniste, ma meno utilizzabili a questo scopo. Tali indicazioni lessicali originarie sono state, in tutti i casi, pur prendendo spunto da esse, sostituite dalle più specifiche titolazioni proposte dall’autore, ritenute più funzionali rispetto all’assunto dell’opera, così come, ovviamente, appartiene all’autore anche ogni altro contenuto. I vari paragrafi, corrispondenti a quelli di seguito indicati nello sviluppo dell’indice generale, inseriti nei sei più grandi capitoli dedicati agli insiemi lessicali o “categorie storiche”, come personalmente ho voluto identificarle, esistono già in una loro prima stesura solo abbozzata. Il loro sviluppo, quindi, perché

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ancora troppo “acerbo”, non è ancora volutamente riportato in questo “progetto”, mentre lo sarà, ovviamente, nella stesura definitiva dell’opera.)

Capitolo primo: l’economia.

-Il dono e lo scambio: il dono in sé, il dono di sé, il dono di sé fatto da Dio, l’evento “scandaloso” della storia del mondo che sovverte, in quanto redenzione-dono di dio, ogni significato. -Una forma di scambio tra l’uomo e dio: il misticismo. -L’utilità del commercio e l’inutile creatività del pensiero: “Otium et negotium. - “Skholìa kaì askholìa”, ancor prima, come studio e applicazione intellettuale contrapposta al mestiere e agli affari. -Il conto e la stima: conto e stima nell’economia, nell’etica, nel giudizio. -L’amore, la gratuità, la riconoscenza possono considerarsi valenze eco-nomiche? -Economia materiale ed economia spirituale: due facce della stessa medaglia?

Capitolo secondo: la famiglia.

-La nozione di paternità e la nozione di maternità considerate in senso originario ed in senso storico. -I rapporti di parentela. -Endogamia e incesto, esogamia e matrimonio. -Patrilinearità, matrilinearità: il potere agisce anche all’interno della famiglia. -I valori tribali caratterizzano ancora la società globalizzata?

Capitolo terzo: la società.

-Città e comunità come scenario di pace e di progresso, oppure di guerra e di regresso? -Il valore dell’uomo libero cambia se cambia la storia? -Il philos: dimensione antica dell’amore umano. -Due figure

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molto vicine: lo schiavo e lo straniero. -L’amicizia e l’inimicizia come risultato di un accordo.

Capitolo quarto: il potere.

-I criteri della regalità: cosa serve per diventare potenti? –L’autorità del re. -L’onore del re, gli onori resi al re, l’onore reso all’uomo dal “Re dei re”. -Uno strano sovrano, il Cristo: re, sacerdote e mago. -Kràtos, il potere dei poteri, capacità di controllo e di dominio. -Ma il potere è davvero soltanto il kràtos? -Il potere è una “forma religiosa” monoteista oppure una forma religiosa politeista?

Capitolo quinto: il diritto.

-Thèmis, il diritto privato. -Dike, il diritto pubblico. -Lo Ius e il giuramento. -Med-: la nozione di misura e di equilibrio. -Kens-: la nozione di censura. -Da quaero- e prek- derivano il chiedere e la preghiera, ma anche la questione, il questore e la domanda di grazia. -Fas, il verbo divino. -Il Fato come parola di Dio. -Il divino come necessità inconoscibile.

Capitolo sesto: la religione.

-Il sacro e il santo: una potenza piena d’ardore, oppure una rigida conformità alla regola? -Un privilegio del dio che lo esclude dal contatto dagli uomini, oppure l’esito di un processo di esclusione da parte degli uomini? -Un’inesprimibile, coinvolgente turbamento, oppure ciò con cui non si deve avere contatto? -Il sacrificio, il voto, la preghiera, la

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supplica. -I segni e i presagi. -Religione e superstizione. -La rivoluzione cristiana. -Esiste un modo nuovo di aver fede?

FIGURA 41. Il complicato “florilegio” delle lingue indoeuropee.

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INDICE DEI CONTENUTI DEL PROGETTO DELL’OPERA.

Prefazione (Ovvero, che cosa intendo per “logo-eikofilosofia”) 2

Presupposti teoretico-dottrinali 16

Alcune esemplificative considerazioni iniziali 20

Il problema dell’origine e della diffusione degli Indoeuropei 28

Appendice. Ma da dove venivano “r1a” e “r1b”? 45

Le lunghe vicissitudini della nostra espressione linguistica 58

I Bruzi 62

La “Sindrome di Stendhal” 67

“La materia dei nostri sogni” 72

La laboriosa, controversa avventura di un nome 96

Indice generale (schematico) dell’opera 99

(Numerose illustrazioni e relative didascalie a corredo del testo).

Alfonso La Regina.

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PRAIA A MARE, APRILE 2016.

IMPRESSIONI, EVENTUALI ANNOTAZIONI ...E POSSIBILI SVILUPPI .

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FIGURA 42. PLATONE, “ IL MITO DELLA CAVERNA”.

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