nota sul ritrovamento di una meridiana greco-romana sulla collina di caronia (sicilia, me)
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NOTA SUL RITROVAMENTO DI UNA MERIDIANA GRECO-ROMANA SULLA COLLINA
DI CARONIA (SICILIA, ME) Di Francesco Collura
Nel corso di una ricognizione eseguita nel mese di febbraio 2010 in una campagna incolta sotto
la Circonvallazione orientale al centro storico di Caronia, in un’area corrispondente al pendio
sottostante la Chiesa Madre, è stata rinvenuta una meridiana di epoca classica, riutilizzata in un
muretto agricolo1. L’area in questione si è rivelata molto interessante per una serie di
rinvenimenti effettuati negli ultimi anni, comprendenti non solo ceramiche (tra cui frammenti a
figure rosse e alcune ceramiche a vernice nera di fine V secolo a.C.), ma anche oggetti in metallo,
elementi architettonici, intonaci, ecc., materiali che si datano per l’appunto a partire dalla fine
del V secolo a.C. fino ad età post-medievale ininterrottamente. Le circostante di rinvenimento,
tuttavia, solo in parte assegnano a contesti in situ questi manufatti, poiché in molti casi è
evidente che si tratta di oggetti fluitati dall’alto a seguito di movimenti terra eseguiti altrove,
circostanza questa che caratterizza un po’ tutto il pendio orientale della collina, utilizzato fin da
epoca medievale e ancora in tempi recenti come discarica. In quell’occasione, l’attenzione fu
attirata da un blocco perfettamente squadrato di calcare bianco inserito in un basso muretto
agricolo che riutilizzava materiali edilizi antichi, tra cui diversi mattonacci parziali. Esso
mostrava solo la faccia rettangolare corrispondente alla base. Tolte le poche pietre che lo
ricoprivano, si scoprì che si trattava di un orologio solare in pietra, in ottimo stato di
conservazione: mancavano soltanto le punte frontali esterne dell’emiciclo, spezzate già in antico
dopo la sua dismissione, mentre rimaneva l’attaccatura dello gnomone in bronzo. Il manufatto,
piuttosto pesante, fu recuperato, non senza qualche difficoltà, per essere successivamente
consegnato alla Soprintendenza di Messina.
Si tratta di una tipologia di meridiana che trova confronti molto stretti con alcuni esemplari
datati ad epoca ellenistico-romana, tra cui quelli rinvenuti a Roma (dosso del Muscolo), a
Lanuvium (conservato presso il British Museum di Londra al n. 2547), ad Efeso (peristilio
ellenistico), a Pompei (Tempio di Apollo), ad
Avignone e ad Anacapri. In generale, questo tipo
di meridiana appare diffuso in epoca ellenistica,
tra III e II secolo a.C. La sua forma è semplice e
di buona realizzazione: il profilo presenta un
profondo angolo rientrante al di sotto
dell’emiciclo, inserito in un prolungamento della
faccia verso l’esterno; al suo interno sono incise
11 linee orarie verticali e due linee diurne per i
solstizi; il quadrante semicircolare è
sottolineato esternamente da una fascia a
rilievo, al di sotto della quale, in posizione
centrale, è ricavato un simbolo cuoriforme; in
alto si conserva l’attacco bronzeo dello
gnomone, ovvero dell’asta che proiettava
l’ombra all’interno dell’emiciclo; la parte
posteriore è liscia e verticale.
1 Il manufatto, rinvenuto nel febbraio del 2010, è stato successivamente consegnato alla Responsabile del Servizio Archeologico della Soprintendenza di Messina, dott.ssa G. Tigano.
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Le dimensioni della meridiana, realizzata in pietra calcarea chiara di probabile provenienza dalle
cave della non lontana Halontion (San Marco d’Alunzio) o da quelle di Monte Vecchio di San
Fratello, sono le seguenti:
- altezza: 23 cm;
- larghezza: 26 cm;
- spessore: 9,5 cm;
- diametro dell’emiciclo: circa 20 cm.
Circa la datazione, la tipologia si inquadra in un arco compreso tra il tardo ellenismo e la prima
fase imperiale (II secolo a.C. – I secolo d.C.), sebbene le caratteristiche stilistiche ne facciano
presumere una realizzazione già nella media età ellenistica. Per un confronto, le dimensioni
dell’esemplare molto simile conservato presso il British Museum, anch’esso in calcare, sono:
altezza 27,5 cm per 23,5 di larghezza; la datazione di questo esemplare è genericamente fissata
in età romana. Il tipo trova generalmente confronti con numerosi esemplari di tradizione
ellenistica, seppure spesso datati ad epoca altoimperiale: la caratteristica forma spezzata, con
angolo anteriore rientrante sopra il quale è ricavato l’emiciclo, è attestato praticamente in tutto
il Mediterraneo antico.
Il funzionamento degli orologi solari greco-romani era molto semplice. Le linee verticali
dividevano generalmente l’emiciclo in 12 settori, corrispondenti alle ore diurne del giorno. Il
sole proiettava l’ombra dello gnomone sui diversi quadranti lungo il suo percorso visibile. Ogni
meridiana era realizzata in modo che funzionasse in maniera efficiente secondo la posizione
geografica e doveva essere sistemata in modo che la sua esposizione consentisse una lettura
verosimile del tempo. L’adozione di questo sistema risalirebbe alla fine dell’età greca classica,
quando si adottarono meridiane orizzontali a cerchio intero e gnomone verticale.
Successivamente si adottò il più pratico sistema dell'emiciclo con asticella orizzontale. Questi
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orologi solari in molti casi erano posizionati su basi o colonne, consultabili all’interno di aree di
pubblico accesso. Era un sistema efficiente, anche se non perfetto, di misurare il tempo.
Le più antiche meridiane note risalgono già al 1500 a.C. in Egitto, mentre per il 700 a.C. circa il
Vecchio Testamento descrive la meridiana di Ahaz (Isaia 38:8). E’ comunque a partire dall’epoca
greca che le misurazioni mediante quadranti solari divennero via via più sofisticate. Si ritiene
che le meridiane di nuova concezione siano state introdotte nel mondo greco da Anassimandro
di Mileto nella seconda metà del VI secolo a.C. La tradizione venne recepita dai Romani: Plinio il
Vecchio riferisce per la prima volta di un orologio solare a Roma nel 293 a.C., mentre Vitruvio
descrive tutti i tipi noti a suo tempo, ideati da matematici e astronomi di epoca ellenistica. In
epoca romana si realizzarono strumenti di misurazione del tempo di ogni dimensione e forma,
dai più monumentali fino a quelli “portatili”, di piccole dimensioni. Si trattava, in ogni caso, di
strumenti di misurazione del tempo per forza di cose approssimativi e notevole era la loro
imprecisione, tanto che Seneca scriveva: "Non sono in grado di dirti l'ora esatta: è più facile
mettere d'accordo tra loro due filosofi che due orologi"2.
L’orologio solare al momento del rinvenimento in un muretto agricolo
2 Seneca, Apocolocyntosis 2.2
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Una sistematica catalogazione delle meridiane greco-romane scoperte in area mediterranea è
contenuta nella basilare opera di S.L. Gibbs3, che raccoglie tutti gli esemplari noti fino agli anni
’70 del secolo scorso, tra cui alcuni provenienti dalla Sicilia. L’elenco è stato successivamente
ampliato con nuovi ritrovamenti4. Da sottolineare come un cospicuo numero di esemplari,
rinvenuti sia in contesti pubblici che privati, provenga da Pompei e da Delos. Gli scavi
archeologici condotti nell’ultimo secolo hanno portato al ritrovamento di numerose meridiane
(sino ad oggi circa 400) di vario tipo (a superficie conica, sferica o piana): su tutte appare
tracciato un reticolo di linee indicanti le ore e i periodi dell’anno, segnati dal muoversi
dell’ombra proiettata dallo gnomone. La disposizione delle linee e la loro relazione con l’asticella
orizzontale variava a seconda dell’area geografica (latitudine e longitudine), sebbene le
caratteristiche funzionali e stilistiche dello strumento fossero sempre le stesse.
Tra gli orologi solari rinvenuti in Sicilia, non molti per la verità, ne segnaliamo: uno dalla Villa
Romana di Terme Vigliatore, presumibilmente di epoca alto imperiale se non precedente, molto
simile a quello rinvenuto a Caronia; uno esposto presso il Museo Archeologico “P. Orsi” di
Siracusa, datato ad età ellenistica (ricordiamo, in proposito, come Plutarco raccontasse che
“sotto l’acropoli (di Siracusa) e le porte verso l’istmo, vi era un orologio solare così alto che si
vedeva da lontano”); uno da Catania, a superficie sferica (gli orologi solari furono introdotti,
secondo le fonti latine, per la prima volta nella città di Catania e da qui vennero successivamente
portati a Roma dopo la conquista della Sicilia: nel 263 a.C. il console G.M.V. Messalla portò a
Roma, come bottino di guerra, un quadrante solare da Catane e lo fece collocare sui rostra); uno
presso il Museo Archeologico A. Salinas di Palermo, a superficie combinata conica e sferica; uno
frammentario da Tyndaris. L’esemplare da Caronia, peraltro in buone condizioni, arricchisce
quindi la non corposa bibliografia sugli esemplari siciliani. E’ da immaginare, comunque, come
un gran numero di quadranti solari, che dovevano essere utilizzati nelle città siciliane in epoca
greco-romana, non sia stato ancora portato in luce dagli scavi o sia andato disperso nei mercati
antiquari, o ancora sia stato riutilizzato in strutture medievali e moderne. Pensiamo a città come
Siracusa, Catane, Agrigento o Lilybaeum, per citare alcune tra le più importanti nella fase tardo
ellenistica e alto imperiale, nelle quali si può ritenere plausibile che fossero presenti molte
meridiane, sia in contesti pubblici che privati.
Il quadrante solare da Caronia è realizzato in ottima pietra calcarea, sulla cui superficie levigata
sono ancora ben visibili i segni dello scalpello. Si tratta di un tipo di pietra di ottima qualità, non
presente nel territorio di Caronia e molto simile a quella estratta da tempo immemorabile nelle
note cave di San Marco d’Alunzio, sempre in territorio nebroideo. Pietra dello stesso tipo è stata
scavata fin da epoca ellenistica anche sul pendio occidentale di Monte Vecchio presso San
Fratello, sede della città greco-romana di Apollonia. Ricordiamo che nello stesso tipo di calcare
sono realizzati alcuni bacini o mortai frammentari ed altri manufatti, tra cui pestelli, rinvenuti
sempre sulla collina di Caronia e si può presumere che in questo settore dell’isola esistesse una
tradizione di scalpellini che realizzavano manufatti, anche di pregio, impiegando la pietra
dell’antica Halontion o di Apollonia.
3 S.L. Gibbs, Greek and Roman Sundials 1976 4 Tra gli altri: M. Catamo - N. Lanciano - K. Locher - M. Lombardero - M. Valdés, Fifteen further greco-roman sundials from the Mediterranean area and Sudan, JHA 2000
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Vedute della parte superiore e laterale della meridiana e dettaglio dell’attaccatura dello gnomone in bronzo e del simbolo cuoriforme sottostante la linea centrale
L’area in cui è stato rinvenuto il manufatto era occupata dal settore più periferico sul pendio
orientale dell’abitato ellenistico-romano di Kalé Akté – Calacte. Tuttavia è assai probabile che la
meridiana provenga da un contesto situato a monte, come gran parte dei materiali presenti in
superficie in questo settore sud-orientale della collina. Qui, probabilmente fin da epoca
medievale, veniva riversata la terra di riporto ricavata da scavi eseguiti nel pendio soprastante.
La circostanza è evidente da alcuni accumuli di materiali creatisi quantomeno negli ultimi secoli.
Ci riferiamo, in particolare, al rinvenimento di intonaci e stucchi decorati scoperti sia a ridosso
che più a sud del luogo di rinvenimento della meridiana. Nel primo caso, è probabile che la terra
che conteneva frammenti di intonaci di epoca ellenistica (da assegnare probabilmente al II
secolo a.C.), sia pervenuta nel sito in occasione dei lavori per la realizzazione della strada
soprastante (circonvallazione) nei primi anni ’90 del secolo scorso, oppure qualche decennio
prima quando fu innalzato un pilone della luce. Nel secondo caso, circa 30 metri a sud è stato
individuato, affiorante in parete, uno strato contenente innumerevoli frammenti di intonaci e
stucchi, molti dei quali si erano sparsi sul piano di campagna. Si tratta di un rinvenimento che,
sebbene non nel contesto originario, riferibile a monte, è molto interessante per la preziosità del
materiale, comprendente lacerti di intonaco parietale decorato a riquadri in rilievo di colore
rosso, prugna, nero, giallo, ecc. assegnabile al Primo Stile Pompeiano, e soprattutto porzioni di
cornici a decorazione plastica complessa (modanature, dentelli, motivi vegetali, ecc.) arricchite
da una vivace policromia e da filari di dischetti e ovoli in osso e in pietra apposti sullo stucco.
Considerando che i tre rinvenimenti riguardano un’area circoscritta su cui, in fasi successive, è
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stato riversato il materiale di risulta da scavi e demolizioni eseguiti presumibilmente nell’area
posizionata subito a monte (dalla zona della medievale Chiesa Madre a via Montello), si può
ipotizzare l’esistenza di una o più ricche abitazioni, se non di un edificio pubblico, di epoca tardo
ellenistica esistenti nella parte più meridionale della città, i cui ambienti erano impreziositi da
decorazioni parietali e pavimentali; in un cortile all’aperto doveva essere presente questo raro
orologio solare, presumibilmente appoggiato in cima ad una colonnina.
Si coglie l’occasione, infine, per sottolineare come la città di Kalé Akté occupasse questo settore
della collina fin da epoca molto antica. In assenza di saggi di scavo, impossibili da realizzare in
un’area urbanizzata fin da età arabo-normanna, lo dimostra il materiale di superficie nelle
campagne sottostanti, comprendente ceramiche assegnabili già agli ultimi decenni del V secolo
a.C., tra cui menzioniamo un frammento di bordo di piattello a vernice di produzione imerese5;
frammenti di vasi a figure rosse almeno della seconda metà del IV secolo a.C.; materiali vari che
coprono l’intera epoca ellenistica; sigillata italica e frammenti di sigillata africana A, ultima
tipologia di ceramica fine presente nell’area, che colloca l’abbandono di questo settore
dell’abitato intorno alla fine del I o agli inizi del II secolo a.C. Lo scavo di una cisterna di fase
ellenistica (III-I secolo a.C.) da parte di G. Scibona in via Mazzini6, dove affiorano peraltro strati
di muri in crollo con materiale altoimperiale, colloca la parte più meridionale della città classica
quasi in corrispondenza del limite di quella medievale, contrassegnato da quanto resta della
fortificazione in corrispondenza di una porta urbica (“Arco Saraceno”).
Francesco Collura
Gennaio 2014
Bibliografia
S.L. Gibbs, Greek and Roman Sundials. 1972
K. Locher, A further conical sundial from the theatre of Dionysis in Athens. JHA 1989
K. Locher, Two Greco-roman sundials from Alexandria and Dion. JHA 1993
M. Catamo - N. Lanciano - K. Locher - M. Lombardero - M. Valdés, Fifteen further greco-roman
sundials from the Mediterranean area and Sudan. JHA 2000
M.T. Wright, Greek and Roman portable sundials. An ancient essay in approximation. Arch. Hist.
Exact Sci. 55, 2000
C.J. Tuplin – T.E. Rihll, Science and Mathematics in Ancient Greek Culture. 2002
Abstract
I give notice of the finding of a new sundial at the site of the greek-roman city of Kale Akte -
Calacte, on the hill of Caronia (Sicily, province of Messina). It is in limestone, hemicycle-type, dating
to Late Hellenistic period, probably II century B.C. It adds to the few sundials published for Sicily.
We cannot know if it is from a domestic or public context, being found reused in a rural wall on the
slopes below the modern city.
5 V. Himera II, 1976. Tav. XXVII.4 6 G. Scibona, s.v. “Caronia”. BTCGI 1985