l'universo sonoro dei pastori

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Tra i mestieri tradizionali l’allevamento di pecore, capre e vacche presenta tuttora in Sicilia una buona vitalità. Oltre alle grandi aziende che operano su larga scala con attrezzature moderne, ancora numerosi sono infatti i pastori che lavorano “all’antica”, sia nella gestione del bestiame (mungitura, pascolo, tosatura) sia nella preparazione di ricotte e formaggi. Attrezzi di legno, cani da guardia, campanacci, forbici in ferro battuto, caldaie, fischi e voci onomato- peiche sono i principali strumenti necessari ai pastori siciliani per svolgere le loro attività. Talvolta confinati in casupole isolate sui monti, conducono una vita non molto diversa da quella che facevano in passato. Una vita ancora scan- dita dai ritmi stagionali, nonostante l’incalzare di modelli comportamentali assai diversi e da normative sempre più rigide in materia di alimenti (le asetti- che condizioni igieniche richieste dalla CEE non possono ovviamente essere rispettate nei rustici locali dove i pastori usano da sempre lavorare il latte per produrre latticini o macellare animali per vendite occasionali) 1 . Le particolari condizioni che connotano le attività pastorali si riflettono in articolati sistemi di comunicazione sonora. L’immagine del pastore suonatore di certi aerofoni (flauti di canna, zampogne ecc.) attraversa l’immaginario occidentale dalla mitologia classica alle fiabe pop olari, dalle rappr esentazioni sacre alle scene arcadiche. In epoca barocca con il termine pastorale si è per- fino designato un genere musicale culto che a quelle “primitive” tradizioni si ispirava. Alle competenze che rientrano in una norma del fare m usica storica- mente acquisita si associano altre significative espressioni altrettanto forma- lizzate che i pastori impiegano a fini pratici: richiami vocali, fischiati e stru- mentali funzionali a gestire le greggi e a consentire la comunicazione interin- dividuale a distanza. Valore rilevante assume inoltre il suono dei campanacci appesi al collo degli animali, che oltre a svolgere una fondamentale funzione segnaletica diviene il vero simbolo sonoro dell’identità pastorale, con nume- rose varianti sia riguardo agli aspetti costruttivi (foggia e materiali dei campa- nacci) sia in ordine alle modalità con cui si selezionano e associano le sonorità di questi particolari idiofoni. La frequente presenza dei campanacci nell’am- bito di svariate azioni cerimoniali (ricorrenti soprattutto nel periodo che va dall’Immacolata al Carnevale) costituisce una ulteriore attestazione della forte SERGIO BONANZINGA L ’universo sonoro dei pastori Saperi tecnici e pratiche simboliche in Sicilia Estratto da: Le parole dei giorni. Studi per Nino Buttitta , a cura di M. C. Ruta, 2 voll., Sellerio, Palermo 2005, vol. II, pp. 1484-1513.

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Tra i mestieri tradizionali l’allevamento di pecore, capre e vacche presentatuttora in Sicilia una buona vitalità. Oltre alle grandi aziende che operano sularga scala con attrezzature moderne, ancora numerosi sono infatti i pastoriche lavorano “all’antica”, sia nella gestione del bestiame (mungitura, pascolo,tosatura) sia nella preparazione di ricotte e formaggi. Attrezzi di legno, cani daguardia, campanacci, forbici in ferro battuto, caldaie, fischi e voci onomato-peiche sono i principali strumenti necessari ai pastori siciliani per svolgere leloro att ività. Talvolta confinati in casupole isolate sui monti, conducono unavita non molto diversa da quella che facevano in passato. Una vita ancora scan-dita dai ritmi stagionali, nonostante l’incalzare di modelli comportamentaliassai diversi e da normative sempre più rigide in materia di alimenti (le asetti-che condizioni igieniche richieste dalla CEE non possono ovviamente essererispettate nei rustici locali dove i pastori usano da sempre lavorare il latte perprodurre latt icini o macellare animali per vendite occasionali)1.

Le particolari condizioni che connotano le att ività pastorali si riflettono inarticolati sistemi di comunicazione sonora. L’immagine del pastore suonatoredi certi aerofoni (flauti di canna, zampogne ecc.) attraversa l’immaginariooccidentale dalla mitologia classica alle fiabe popolari, dalle rappresentazionisacre alle scene arcadiche. In epoca barocca con il termine p a s t o r a l esi è per-fino designato un genere musicale culto che a quelle “primitive” tradizioni siispirava. Alle competenze che rientrano in una norma del f a re musicas t o r i c a-mente acquisita si associano altre significative espressioni altrettanto forma-lizzate che i pastori impiegano a fini pratici: richiami vocali, fischiati e stru-mentali funzionali a gestire le greggi e a consentire la comunicazione interin-dividuale a distanza. Valore rilevante assume inoltre il suono dei campanacciappesi al collo degli animali, che oltre a svolgere una fondamentale funzionesegnaletica diviene il vero simbolo sonoro dell’identità pastorale, con nume-rose varianti sia riguardo agli aspetti costruttivi (foggia e materiali dei campa-nacci) sia in ordine alle modalità con cui si selezionano e associano le sonoritàdi questi particolari idiofoni. La frequente presenza dei campanacci nell’am-bito di svariate azioni cerimoniali (ricorrenti soprattutto nel periodo che vadall’Immacolata al Carnevale) costituisce una ulteriore attestazione della forte

SERGIOBONANZINGA

L’universo sonoro dei pastoriSaperi tecnici e pratiche simboliche in Sicilia

Estratto da: Le parole dei giorni. Studi per Nino Buttitta, a cura di M. C. Ruta, 2 voll., Sellerio, Palermo 2005, vol. II, pp. 1484-1513.

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valenza simbolica attribuita a questi oggetti nel mondo popolare. I pastoriimpiegano d’altra parte una terminologia intenzionalmente “musicale” nel-l’indicare il criterio con cui vengono selezionati i campanacci per gli animali.Così il pastore Paolo Carp interi di Sortino (SR) riferiva ad Antonino Uccello:«Io sento il suono del campanaccio che va bene o va male. Oppure se fra tuttiinsieme ce n’è uno ch’è fuori tono, lo sento. Tutt i insieme dovrebbero forma-re una musica: come c’è il clarino, come c’è il violino, c’è la chitarra, c’è i piat-tini, c’è il contrabbasso, c’è la cornetta. Quella è una musica completa. […]Devono a r r i m a r s i(far rima): il fatto che uno canta una canzone, e che oltreche devono rimare le parole deve rimare anche la melodia, lo stesso è quelloche noi d iciamo u tròcculu rê campani» (1973: 175). Non è d’altronde casua-le che l’enfatizzazione del valore musicale passi attraverso il parallelo con ilcomplesso bandistico (indicato come la Musica, per antonomasia) e con l’or-chestrina di cordofoni (propria, di norma, della fascia artigiana) invece checon i t ipici strumenti di uso pastorale come il flauto di canna (f r i s c a l e t t u) o lazampogna (c i a r a m e d d a) .

Lo scampanio degli armenti si pone quale meccanismo di comunicazione“autonomo”, la cui specificità funzionale è però determinata dal progetto digestione della mandria attuato dal pastore2. La ripartizione dei campanaccitra gli animali è il riflesso sonoro di tale progetto; la selezione dei timbri edelle misure dei dispositivi sonori rispecchia la formazione della mandria(diversi sono i campanacci rispettivamente destinati a vacche, capre e peco-re), la costituzione fisica degli animali (la misura del campanaccio deve esse-re proporzionalmente adeguata) e il loro status(agli animali dominanti vieneassegnato il campanaccio più grande, il bbiaturi). L’operazione è finalizzataa svolgere funzioni diverse e a risultare efficace per differenti destinatari(considerando le cautele precedentemente espresse riguardo all’efficaciaetologica dello scampanio): a)«Il costante contatto auditivo in cui stanno glianimali di una mandria per mezzo dello scampanio, produce effetti positivisulla loro coesione e sul grado di organizzazione delle azioni collettive»; b)«L’indicazione della posizione della mandria o del singolo animale permezzo dello scampanio è un presupposto inscindibile per il pastore. […] Glianimali smarriti spesso possono essere localizzati solo per mezzo del suonodel loro sonaglio. Lo scampanio informa anche il pastore se la mandria èdistribuita regolarmente sul terreno di pascolo, come gli animali si tengonouniti e se alcuni di essi pascolano da soli. […] Esso dà un’indicazione atten-dibile sullo stato di movimento in cui si trova la mandria, se essa si riposa, sepascola tranquillamente, se rispetta i tempi di percorrenza sulla via delpascolo» (Kaden 1977: 28-29). Abbiamo direttamente potuto constatarecome i pastori siano precisamente in grado di distinguere in base a come rin-tocca il campanaccio se l’animale stia bevendo, pascolando, ruminando

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oppure spostandosi più o meno rapidamente. Di solito, un pastore dota dicampanacci nel periodo primaverile circa la metà dei capi della mandria, maspecialmente in occasione di lunghi trasferimenti si tende ad amplificare ilpiù possibile lo scampanio, non tanto per ragioni funzionali, quanto piutto-sto per ostentare la propria presenza. In certa misura lo scampanio può quin-di considerarsi come “emblema” del pastore e la “bella intonazione” deicampanacci – ottenuta mediante il sapiente accuppiamentudei suoni (cam-panacci della stessa misura devono presentare diverse sfumature timbriche)– viene perseguita tra pastori anche in termini competitivi.

I campanacci possono essere di lamiera bronzata (c a m p a n i) oppure in unalega di rame, zinco e stagno (m u l i g n a, m u l i g n e d d a). Nel primo caso la lamieraviene anzitutto sagomata con mazzola di legno e martello, poi forata in piùpunti per consentire l’inserimento del manico e dell’anello che sosterrà il bat-taglio (b b a t t à g g h i u), e infine fusa in un bagno di bronzo (artigiani di Agiraaffermano di impiegare espedienti “segreti” durante la fusione ). Per realizza-re i campanacci in lega esistono invece appositi stampi di varie dimensioni afoggia di campanello. Procedure di lavorazione e terminologia possono tutta-via presentare differenze a seconda della località di provenienza. I campanac-ci si dist inguono in base all’uso, alla misura e al suono. La distinzione inizialeriguarda la varietà d i animali a cui sono rispettivamente destinati: c a m p a n ic a p r i n i(per le capre), campani picurinio c a m p a n o t t i(per le pecore) e c a m p a n ii vacchio v a c c h i n i(per le vacche). Più complessa e ricca di caratterizzazionilocali si presenta la questione delle misure. A Santa Lucia del Mela (ME) siusano cinque misure per i campanacci in lamiera bronzata (b b i a t u r i, m e n z a l i-n a, m e n z a n o t t a, s c h i g g h i o t t a, s c a r à g g h i u) e una sola per quelli in lega (m u l i g n a,lett. sonagli per mulo). Il b b i a t u r iè il più grande e viene assegnato al capo-mandria che apre la via (da cui, appunto, b b i a t u r i); lo s c a r à g g h i uè il più pic-colo e serve per agnelli e capretti; per le capre si usano tutte le misure, per levacche le tre più grandi (b b i a t u r i, m e n z a l i n a, m e n z a n o t t a) e per le pecore solola m e n z a n o t t a; i m u l i g n asi usano indifferentemente ma con moderazione inrapporto al numero dei capi di ogni mandria. A Castellammare del Golfo, lecampane in lamiera bronzata sono di otto misure (d u b b i u n i, a b b i a t u r a, m e n-z a n o t t a, v i a r i s c a, c r a p a r i s c a, c a l a v i s u n i, p i c u r i n u, g n i g n a l i) e sette sono quelledei m u l i g n a(quattru ròtuli, du ròtuli, un ròtulu, menzu ròtulu, t r i u n z i n u, c a l a -brisi ranni, calabrisi nicu). Anche in questo caso le quattro misure più grandisono destinate alle vacche, le medie alle capre e le tre più piccole alle pecore.Il maggiore interesse risiede tuttavia nell’attribuzione di qualità sonore ai cam-panacci. Naturalmente, il riconoscimento dei suoni (t u o n i) è esito di una tra-dizione formalizzata che presenta diverse caratterizzazioni locali. In generaleè tuttavia riconosciuta l’opposizione grave/acuto e i suoni dei campanacci sidicono rispett ivamente “maschio” (m à s c u l u, m a s c u l i n a) e “ femmina” (f ì m m i-

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n a, f i m m i n i n a). A Santa Lucia del Mela (e più estesamente nella Sicilia orien-tale), dove sono meno numerose le misure di campanacci disponibili, si pre-senta in compenso la più ricca tipologia: t u p p i g n u(“bussante” = suono grave),s c i a m m a t u(scalmanato = suono grave però più “allegro”), l a g n u s u( l a m e n t o-so = suono di altezza media), c i a n c i u l i n u(piagnucoloso = suono acuto), g g i n-t i l i (gentile = suono squillante). Il termine r u v e r s u(contrario, rovescio) si usaper indicare i campanacci che presentano due tocchi diversi tra loro (il suonoprodotto dal battaglio nell’oscillazione percussiva può differire lievementesecondo il lato d’urto). Altri timbri risultano poi dalle possibili combinazionitra i suoni (t u p p i g n u - s c i a m m a t u, g g i n t i l i - r u v e r s uecc.). Viceversa, a Castellam-mare del Golfo (e più estesamente nella Sicilia occidentale) si distingue sol-tanto l’opposizione grave/ acuto (m à s c u l u / f ì m m i n a) .

Lo scampanio degli armenti va naturalmente rapportato alle radicate e dif-fuse credenze connesse al valore apotropaico attribuito al suono dei metalli.Indicativo è a tale riguardo l’uso di n c a m p a n a r i(mettere i campanacci) le greg-gi, dopo la pausa invernale, alla mattina del Sabato Santo, quando le campaneattaccavano il G l o r i aper annunziare la Resurrezione3. In questo caso, il suonosacro del G l o r i aè atteso a conferire sacralità allo scampanio delle greggi. Ta l-volta lo scampanio assume valore entro determinati contesti cerimoniali, e inspecial modo nelle processioni che un tempo caratterizzavano il rito dellabenedizione degli animali (specialmente nelle ricorrenze dell’Ascensione e disant’Antonio) o, come ancora accade, in occasione della pantomima del N a rd uche si svolge il 6 gennaio a Sant’Elisabetta (AG), dove il passaggio di un greg-ge riveste funzione drammatica nell’ambito della rappresentazione (cfr. i n f r a) .

Il fischio e la voce giovano al pastore per comunicare con gli animali.Sono difatti questi gli strumenti di cui egli dispone – insieme a meno conci-lianti pietrate e bastonate – per imporre il proprio ordine e organizzare ade-guatamente le quotidiane attività della mandria (spingere gli animali fuoridal recinto, condurli al pascolo, richiamarli se si allontanano, ecc.)4. Ognipastore possiede un proprio repertorio di fischi e voci diversamente struttu-rati a seconda che siano destinati a pecore (piècuri,pècuri), capre (crapi), vac-che (vacchi) oppure ai cani da guardia (cani i mànnara). Un pastore che tienebestiame misto in località Campo Italia, alle pendici dei Peloritani pressoMessina, impiega a esempio un segnale composto da voce e fischio comerichiamo per le vacche. Si tratta di una medesima formula basata su tre suoniche viene prima fischiata e poi iterata sulle sillabe e o ui5:

Es. 1

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Un pastore di Saponara (ME, versante tirrenico dei Peloritani), la cuimandria è composta da pecore e capre, usa un solo tipo di fischio per “cac-ciare” gli animali (pi sbrugghiari), mentre diverse sono le voci che fungono darichiamo (mi si ricampanu l’armali)6:

Il fischio viene quindi impiegato con valore centrifugo (di allontanamento),mentre le voci, prr ria prr per le pecore e zozza veni ccà zòper le capre, hannofunzione centripeta (di richiamo). Individualizzati possono essere inoltre irichiami per le capre, notoriamente più irrequiete delle pecore, poiché a ognu-na viene dato un nome che di solito ne rispecchia il colore (in basi â pelaturaàvi u so nomi, il suo nome è in base al pelo): C ù l i a (ruggine), C a n u s a( g r i g i a ) ,A r a n c i n a(giallognola), R u s s a(rossa), ecc. I relativi richiami allora divengono,zozza Cùlia zozza, zozza Russa zòecc., con la facoltà di aggiungere un brevissi-mo fischio d i rinforzo. Sempre per nome viene infine chiamato il cane da guar-dia, in questo caso C a l a n t o m u(Galantuomo): ccà Calantomu ccà, seguito da unfischio breve e sommesso (“perché il cane non si allontana mai troppo dalpadrone”). Fischi convenzionali possono inoltre servire alla comunicazione trapastori. Talvolta si “fischiano” brevi messaggi imitando con abile tecnica il lin-guaggio parlato. Il già menzionato pastore di Saponara modula con il fischio ilnome di alcuni compagni – Cammelu! (Carmelo), Ninu! (Nino), S a b b a t u r i !(Salvatore) – e poi frasi come Veni ccà, veni ccà!( Vieni qua), oppure, più com-piutamente, Veni ccà c’â parrari cu ttia!( Vieni qua che devo parlarti), e poicommenta: Tuttu chiddu chi iò cci friscài sunnu tutti cosi chiari chi si capisciunu,comu fussi di unu chi parra câ bbucca( Tutto quello che ho fischiato sono cosechiare che si capiscono, come fosse uno che parla con la bocca).

a) fischio per cacciare pecore e capre

b) voce per chiamare le pecore

c) voce per chiamare le capre

Es. 2

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Una importante considerazione riguardo alle sonorità connesse alla vitapastorale emerge da quanto rilevato da Alberto Favara nei dintorni di Par -tanna (TP) verso la fine dell’Ottocento (cfr. 1923, ora in 1959: 89-90). Latestimonianza attesta la progressiva trasformazione di semplici richiamifischiati in forme sonore più complesse, dove è la necessità esp ressiva amanifestarsi compiutamente. Seguiamo la breve nota anteposta alle trascri-zioni musicali (1957/ II: 454):

Contrada Frattàsa, estesa pianura, in gran parte bosco di querce. Vi vanno apascolare i maiali. All’ora del vespro, i guardiani riuniscono sotto l’ombra degli albe-ri gli animali; poi suonando alcune melodie sui friscaletti, riescono a farli adagiaresulle foglie secche ed a farli riposare in silenzio. I suonatori, seduti sui massi, ripeto-no più volte le melodie, poi riposano anche loro in silenzio.

Si tratta più precisamente di due “melodie” «per raccogliere sotto lequerce e far riposare le mandrie»; la seconda, «dall’éthos eccitanteviene asvegliarli e a r icondurli al pascolo» (1959: 89-90). Viene quindi mantenuta,pur nella ridondanza della forma melodica, la duplice ar ticolazione (centri-peta/ centrifuga) riscontrata nel codice sonoro comunemente impiegato percomunicare con gli animali7.

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Se il documento raccolto da Favara spicca per la sua unicità entro il con-testo siciliano, va tuttavia osservato che esso rientra in una prassi diffusa inarea euromediterranea. Rileva difatti Erich Stockmann – con riferimento aun ampio territorio comprendente la Turchia, l’Albania e la Romania – che ipastori eseguivano con flauti o trombette di legno una sorprendente varietàdi motivi melodici, le cui denominazioni rinviavano alle rispettive destina-zioni d’uso: “Durante l’uscita delle pecore dal recinto”, “Durante il pascolodelle pecore”, “Per invitare le pecore a bere”, “Richiamo alle pecore per dor-mire” e via di questo tono (1965: 253-255).

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Ancora parzialmente rilevabili sono infine le pratiche ludico-espressiveattuate dai pastori in occasione della tosatura delle pecore (u tùnniri). Nelperiodo fra maggio e giugno questa operazione viene tuttora spesso eseguitamanualmente, ricorrendo ai tradizionali forbicioni in ferro battuto (fòrfici it ù n n i r i). Per i pastori la tosatura costituisce il più importante momento del-l’anno: è una grande festa propiziatoria dell’abbondanza alimentare (tradizio-nalmente vi si concentrava il più alto consumo di carne rispetto a tutte le altrecadenze calendariali), destinata a rinsaldare le alleanze già stabilite e a fissarnedi nuove. In questa occasione i pastori, normalmente impegnati in att ività soli-tarie, collaborano in un lavoro di gruppo, fino a pochi decenni addietro fina-lizzato tra l’altro alla produzione della lana, che costituiva una voce rilevantedel loro magro bilancio. Nonostante la lana abbia pressoché perduto ognivalore economico, la tosatura continua in molt i casi a mantenere le tradiziona-li coordinate cerimoniali, in primo luogo rappresentate dai grandi banchettiorganizzati presso gli ovili e poi da svariate manifestazioni che accompagnanosia il lavoro sia il lungo svolgimento del pranzo. Al contesto propriamenteergologico sono associate le gare di abilità nel tosare gli animali. Queste sfidepossono addirittura essere oggetto di scommesse nel corso di tornei organiz-zati estemporaneamente (così abbiamo rilevato a Novara di Sicilia). La rapi-dità con cui si compie l’azione non deve tuttavia comportare ferite all’animale(s ’ a v ’ atùnniri bbellu pulitu), anche se tale regola non sempre viene osservata.Nell’ambito della convivialità rientrano invece i giochi, i canti e i balli pratica-ti dai pastori e dalle loro famiglie (in molte località del Messinese vengonoancora appositamente invitati cantori e suonatori).

Una testimonianza particolarmente significativa riguardo alla dimensio-ne r ituale e alle espressioni ludiche che caratterizzavano la tosatura nel ter -ritor io di Petralia Sottana – paese delle Madonie in provincia di Palermo –viene fornita da Michele e Vincenzo Carapezza (1991: 38-40):

In occasione della tosatura delle pecore, che avviene in maggio o giugno, il capo-tosatore o capurali, dopo avere assolto a tutti i preparativi, prima di iniziare la tosa-tura vera e propria, esegue la Salvi Rigina dei pastori.

[…] Tutti, come in un sospiro, ripetono la promessa di non peccare più: – chiut -tuostu muortu!– con una nota allungata e malinconica. Il canto è ritmato dallo stri-dore delle grosse forbici in ferro battuto che si aprono e chiudono ripetutamente persaggiarne la maneggevolezza e la perfetta affilatura.

CapopastoreDamu la menti a Dia.

PastoriOgn’ura, ogni mumentu,ludamu lu Santissimu Sacramientu.

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Diu vi salvi Riginae Matri Addulurata,vi sia raccumannatast’arma mia.

Na grazia ia vurrìadi stu ma cori ngratu,firutu e trapassatudâ vostra spata.

La mia vita è passatana tanti gran piccati,di grazia vù prigatia vostru fìgghiu.

E a nui dati cunsìgghiulu stissu cuntimplaridi chiànciri e lacrimario li me erruri.

Stu cori mia è pi duluristrizzatimilu vui, piccari un vògghiu cchiù,chiuttuostu muortu!

Tutti in coro con malinconica riverenzaPiccari un vògghiu cchiù,chiuttuostu muortu!

Sul prolungarsi per alcuni secondi dell’ultima nota si sovrappone la voce del c u r a -t o l oche ordina alle donne di portare da bere, cosa ben accetta ai lavoratori, che cosìincominciano, di buona lena e con allegria, la tosatura […]. Il suono prodot to dall’a-pertura e chiusura delle forbici non ritma solo il canto iniziale ma il lavoro stesso,infatti l’andamento dei vari tosatori a poco a poco si uniforma all’interno di un suonocostante, armonico; quando tale suono diventa eccessivamente monotono è segnoche un senso di stanchezza si sta impossessando dei tosatori: allora una breve pausacon biscotto e vino serve a riaccendere il ritmo. […] A volte, dopo l’u ltima pausa, cheavviene prima del grande pranzo (a schiticchiata dû tùnniri), fra i tosatori, o fra alcu-ni di essi (i c u m p a g n i) si dà luogo a una singolare sfida di abilità: mentre tutti per lastanchezza procedono con un ritmo moderato, si sente improvvisamente l’assolo diuna forbice che procede con un ritmo più veloce e rumoroso: è il segno della sfida!

Ognuno guarda furtivamente, con un sorriso, il vicino cercando di vedere subi-to chi è che ha cambiato ritmo […]; pochi attimi e le forbici impazzite sono due opiù, il ritmo si fa sempre più incalzante. Con voci e battute si cerca di scoraggiare gliavversari; qualcuno infatti non riesce a tenere quel ritmo e si ritira […].

La sfida ha un prezzo crudele: le lunghe forbici dalle punte irte, simili alle anti-che armi greche, a volte tagliano le orecchie, feriscono l’animale legato: ma il sangue,si sa, è la forza del rito primordiale. L’atto di crudeltà è subito notato dai ragazzi chedicono: ma ora un mori?(ma adesso morirà?). Ma subito il tosatore risponde: màr -catu e mulinu, cori ranni!(negli allevamenti e nei mulini bisogna essere magnanimi!).Il padrone capisce subito che la battuta è indirizzata a lui e facendo buon viso a cat-tiva sorte annuncia: –Non è niente, ora la sgozziamo e ce la mangiamo! – Proposi-

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to ben accolto dal gruppo perché la tosatura è considerata la sagra della carne.Un’abbondanza che non ha riscontro in nessuna altra festa: uccisione dell’agnelloper la colazione; della pecora o del montone per il pranzo, in parte bolliti entro enor-mi quadare, in parte arrostiti sulla brace fino al tramonto […].

Se sul piano dei saperi materiali la cultura pastorale si presenta ancoraoggi particolarmente conservativa, riguardo alla sfera espressiva va inveceregistrata una forte regressione. Sono a esempio rimasti relativamente pochii pastori in grado di costruire e suonare strumenti musicali (essenzialmenteflauti di canna e zampogne), oppure di intagliare il legno e il corno per rea-lizzare collari da animali, bicchieri e suppellettili varie. Non è invece raroimbattersi in giovani pastori che hanno ereditato la capacità di selezionarecon precisione i campanacci – secondo le dimensioni e il timbro – al fine diottenere quell’armonioso scampanio orgogliosamente esibito come “inse-gna” dal proprietario di ogni gregge.Va infine rilevata la significativa persi-stenza del Pastore come personaggio di rappresentazioni drammatiche con-nesse al Natale e al Carnevale.

Uno dei temi caratterizzanti la rappresentazione della Natività è prop riol ’Adorazione dei pastori. Non è un caso che, insieme agli Angeli che annun-ciano il sacro evento, siano p roprio i Pastori ad accorrere per primi alla “grot-ta” dove, secondo una tradizione tramandata esclusivamente dai Vangeli apo -c r i f i, si ambienta la nascita del Messia. Sia il luogo sia i visitatori rinvianoinfatt i a motivi mitico-narrativi che – come puntualmente osserva AntoninoButtit ta – si pongono sulla medesima isotopia: «[…] la nascita d i un dio frapastori, perché respinto dal perimetro urbano, non può non avvenire in unagrotta, nel luogo cioè che è sempre servito, soprattutto nell’area interessata,come loro tradizionale riparo. […] I pastori e la grotta assumono il valore dimetafore di una situazione l i m i n a resia in termini spaziali che sociali, prop riouna di quelle situazioni a l t re in cui deve nascere e deve iniziare la sua avven-tura terrena un d i v e r s ocome è dio. La mangiatoia in cui nasce, simbolo delmondo animale, gli animali stessi che assistono alla sua nascita, il bue e l’asi-no [anch’essi menzionati solo dalla tradizione apocrifa], segnalano il suopotere d i farsi natura. Come in tutte le grandi figure divine in lui si assommae si risolve la dualità tra cultura e natura. Per questo egli è il l o g o s, il simbolostesso della cultura, deve nascere in una dimensione a l t r a e opposta» (1985:66-67). Questi “pastori”, che fin dalle origini segnalano l’estrema alterità delcontesto in cui viene al mondo il Bambino divino, continuano a svolgere talefunzione entro gli schemi figurativi della Natività già a part ire dalle sceneriprodotte in bassorilievo su sarcofaghi paleocristiani intorno alla metà del IVsecolo (cfr. Buttitta 1985 e Stait i 1997). Dal V secolo si stab ilizza inoltre lostereotipo figurativo del pastore che regge, oltre al bastone, uno strumento

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musicale a fiato. Nelle immagini orientali, che costituiranno da modello aquelle successivamente diffuse in Occidente, «lo strumento impugnato dalpastore è un lungo flauto cilindrico» , mentre nelle «natività italiane – chepure ricalcano fedelmente lo schema di origine bizantina – i pastori suonanogeneralmente strumenti […] esistenti nelle regioni di provenienza delle sceneillustrate, e appartenenti in maniera quasi esclusiva ad ambito culturalepastorale: per lo più zampogne, ciaramelle, flauti policalami a bocca zeppa-ta» (Stait i 1997: 26, 27). È assai interessante rilevare come il variare degli stru-menti musicali pastorali secondo le epoche e i luoghi denoti la piena consa-pevolezza della funzione simbolica che questi rivestivano nell’ambito dellascena rappresentata: «i pastori […] vengono chiamati dall’angelo ad assiste-re al sacro evento in quanto rappresentanti dell’umanità riscattata dalla nasci-ta del Dio-uomo» (i b i d e m). La dimensione l i m i n a ree c a o t i c aentro cui si situal’inizio della vicenda mondana del Cristo trova pertanto uno specifico riscon-tro acustico nelle intense e pervasive sonorità degli strumenti musicali pasto-rali, cui si contrappone una musica di Angeli, cantori e suonatori, sop rattut-to, di strumenti a corda. Non a caso i flauti di canna (o i calami ad ancia) sitrovano frequentemente associati nelle immagini (anche siciliane) ai fruttispontanei della terra (cfr. Staiti 1997: 91, p a s s i m). Mazzi di asparagi selvaticispuntano infatt i dalle stesse bisacce che contengono le canne sonanti, comea ribadirne la comune appartenenza al piano della natura: segni d i una for-midab ile e incontrollabile espressione di energia vitale a cui solo il Redento-re può conferire senso, proiettandola verso un nuovo ordine sociale e cosmi-co. Nell’ottica di questa t r a n s i z i o n ela musica dei pastori viene progressiva-mente assorbita entro il quadro idelogico crist iano-cattolico, acquistando ilvalore di o f f e r t avotiva (canti e suoni equivalgono agli alimenti recati in donodai popolani alla Sacra Famiglia) o svolgendo la rassicurante funzione di cul-lare il sonno del Bambino. Questa nuova connotazione assunta dalle neniepastorali, le rende proficuo modello delle musiche natalizie d i tradizionescritta (in particolare per organo): così Angeli e Pastori, organi e zampogne«celebrano assieme la nascita di Cristo col suono della “pastorale”, offertaumana al Cielo e, al tempo stesso, manifestazione sonora dell’incarnazionedel Dio fatto uomo e pastore del gregge umano» (Stait i 1997: 162). La figuradel pastore, corredata dei relativi attributi sonori (flauti di canna e zampogne,ma anche campanacci e bubbole per animali), continua tuttavia a permaneresulla scena rituale con tutta la sua carica di alterità, perfino nell’ambito delleazioni drammatiche specificamente connesse al Natale (cfr. i n f r a) .

Tratto predominante di queste forme drammatiche è il doppio registrostilistico determinato dal mescolarsi di apporti folklorici con ascendenzeculte, dovute soprattutto a interventi operati dalla Chiesa. Tra il IV e il IXsecolo, parallelamente al progressivo affermarsi di drammi sacri sul tema

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della Passione, sorsero infatti anche le rappresentazioni incentrate sullaNatività. Queste, fondate sulla sequenza narrativa Annunciazione-Natività-Fuga in Egitto, vennero a costituire una forma particolare di dramma sacro,originariamente denominato officium pastorum. I canovacci destinati all’ese-cuzione pubblica erano prodotti in ambiente chiesastico e presentavanoquindi testi rigidamente controllati (cfr. Buttitta 1985).

I testi drammatici, poetici e musicali di provenienza soprattutto ecclesia-stica si andarono tuttavia adattando all’ambiente in cui si diffondevano. Gliinterpreti popolari tendevano a trasformare gli officia pastorum(o misteri) inrappresentazioni che lasciavano ampio spazio all’improvvisazione (anchecon l’inserimento di danze, mimiche e dialoghi comici o addirittura osceni)e all’abbondante consumo di cibo e bevande (perfino all’interno delle chie-se, nonostante le reiterate proibizioni sinodali). Le novene domiciliari assu-mevano l’andamento di una vera festa, con offerte alimentari, accensione difuochi e balli estemporanei. Nonostante secoli di attività normalizzatriceoperata dalla Chiesa, ancora oggi in Sicilia sono osservabili questi compor-tamenti, significativa permanenza di più arcaici rituali destinati a celebrare ilsolstizio d’inverno: un passaggio stagionale ritenuto “straordinario” già inepoca preistorica e di cui il Natale costituisce, com’è noto, la riconfigurazio-ne simbolica nei termini dell’ideologia cristiano-cattolica8.

A Licata (AG) si registra una significativa permanenza degli antichi officiapastorum. Si tratta dellaPasturaliche si rappresenta dal 26 dicembre al 6 gen-naio dietro committenza. La rappresentazione richiede la presenza di seipersonaggi: tre pastori chiamati Bbardàssaru, Marsionie Titu (che nella tra-dizione locale sono i nomi dei Re Magi), un Curàtulu(soprintendente di mas-seria) e due suonatori. I Pastori indossano i tradizionali costumi in pelle dicapra, mentre il Curàtuluporta un mantello. Tutti e tre hanno il volto coper-to da lunga barba e reggono un bastone in mano. Particolarmente interes-sante è la struttura drammatica che fonde recitazione, mimica e musica senzasoluzione di continuità (la durata totale può variare tra i trenta e i quarantaminuti). Nelle parti recitate si alternano dialoghi “canonici” in italiano (cer-tamente basati su un testo scritto di cui si è però persa la memoria) a battu-te improvvisate in dialetto strettissimo, a sfondo comico e talvolta osceno(documentazione sonora in Bonanzinga cd.1996a: 3). L’assimilazione deiPastori ai Magi se per un verso riflette il processo di identificazione trauomuni ed entità sacrali ricorrente nella ciclica drammatizzazione rituale deimomenti della vita del Cristo (dalla nascita alla morte), per altro verso ripro-pone il modulo dell’alterità. Questo si esprime nella radicale diversitàdi que-sti sacerodoti-maghi (e in seguito anche re), che, provenendo da un altrovelontano e ignoto (il misterioso Oriente), attraverso l’offerta di doni – comegià i Pastori – giungono ad adorare il nuovo Dio.

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La fase preparatoria della Pasturaliè affidata a coloro che hanno richie-sto (addumannatu) la Pasturali: famiglie e gruppi di vicinato (quasi sempreper voto, prumisioni), circoli o associazioni private (per vivacizzare le attivitàfestive con uno spettacolo sempre gradito). L’allestimento della “scena” con-siste nella costruzione di una capanna con legni, cartoni e frasche sotto unafiuredda(edicola) bene illuminata. Non distante viene allestito un falò chesarà acceso all’inizio della rappresentazione, di norma effettuata nelle oreserali. L’azione si apre con i Pastori che si avvicinano lentamente, accompa-gnati dal suono di zampogna (ciaramedda) e cerchietto (cìmmulu,cischettu),simulando grande stupore per la forte luce che scorgono in lontananza.Giunti in prossimità della capanna la musica cessa, i pastori improvvisanoqualche battuta scherzosa e poi si mettono a dormire. La musica riprende trail russare e lo spulciarsi dei pastori, finché giunge il Curàtulu. Questi, che simostra consapevole della miracolosa nascita con ampi gesti di gioia e mera-viglia, tenta di svegliare il primo pastore per informarlo della “lieta novella”:

Bbardàssaru, come fai a dormire che al centro della notte Dio ha fattogiorno. Guarda che brillare di luce ch’è nato sulla grotta di Betlemme etu dormi buon pastore, svegliati! Buon pastore, guarda gli agnelli chepascolano, gli uccelli che cantano e tu dormi o buon pastore, svegliati!Non temere, buon pastore, sveglia ch’è nato il Re di tutti i re!

Il tentativo fallisce e ricomincia la musica in sottofondo agli andirivieni delC u r à t u l usempre più strabiliato dai sacri eventi. L’invito alla sveglia si ripeteidentico anche per gli altri due pastori, ma senza sort ire effett i. Il C u r à t u l us irivolge allora di nuovo al primo pastore, ripentendo con lievi varianti la pre-cedente esortazione per cercare d i convincerlo, con le buone e con le cattive(a colpi di bastone), che è nato il Redentore. Questa volta B b a rd à s s a r usi alzae scambia qualche animata battuta con il C u r à t u l u, fino a concludere:

Buon pastore, tu dici che al centro della mezzanotte Dio ha fatto gior-no, ancora gli occhi miei non sono convinti e questa non è ora di pasco-lare armenti!

La reazione diBbardàssarunon scoraggia il Curàtuluche, sempre inter-calando gesti di meraviglia al suono della zampogna, si rivolge prima a Mar-sionie poi a Titu, i quali replicano analogamente al loro compagno. La musi-ca riprende e il Curàtuluprova ancora a persuaderli:

Titu, Bbardàssaru e Marsioni, alzatevi o pastori! Venite anche voi adadorare Gesù Bambino. Guardate che brillare sulla grotta di Betlemme,come fate a dormire o pastori, svegliatevi!

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A questo punto i pastori finalmente riconoscono l’avvento del Messia,escono dalla capanna e si inginocchiano verso l’immagine sacra esposta nel-l’edicola. Il Curàtuluallora declama un componimento in siciliano (cinquequartine endecasillabe a rima alternata) che rievoca i momenti dell’Annun-ciazione e della Natività:

Ora ca li pasturi sunnu arrivatie di luntana via sunu vinuti,Gesù Bbamminu di nui chi nni vuliti,l’arma e lu corpu nostru senza piccati.

L’eternu Ddiu criau l’universu,ogni profeta già lu pridicau,e non voleva no lu munnu persu,l’unicu fìgliu sò nni distinau.

L’arcangelu Gabrieli Diu mannaup’annunziari a la Vergini Maria.Lu Spiritu Santu ca si cci ncarnau,assemi fu giniratu lu Missìa.

A Ggiuseppi spusò pi promisìa,presi nna via bbannuta e truvau na rassegna,era Bbetlemmi e ognunu si scrivìa,cussì fu fatta sta coppia santa e ddigna.

Cu fridda notti e grannuni nascìu,dintra na grutta Gesù Bbammineddu,lu voi e l’asineddu lu riscardarue l’àngili cantaru gloria a Ddiu.

Viva Gesù Bbamminu!

La Pasturalisi conclude con l’offerta al Bambino di canti e balli, mentre ipiù giovani distruggono la capanna per alimentare il falò e saltarci attraver-so dando prova di coraggio e vigore (cfr. I. E. Buttitta 1999). In alcuni cantisi mescolano strofe dialettali ad altre in lingua, secondo una prassi che riba-disce le interferenze stilistiche caratterizzanti le rappresentazioni musicalidella Natività. Ne è un esempio la seguente variante di uno dei componi-menti più noti dell’Isola, A la notti di Natali, qui integrato da frammentiripresi da altri tre testi, due dei quali in italiano e uno in siciliano:

A la notti di Natali,chi nascì lu Bbammineddu,ca nascì mmenzu a la pàglia,fra lu voi e l’asineddu.

Nni sta gruttidda c’è nnatu Gesùchi di lu chiantu quitari un si vò.

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O Virginedda va quietulu tu,facci la naca a lu cori Gesù.

La naca è fatta pi ffari a vò vò,Bbamminu Gesù nun chianciri chiù.

Dormi, dormi o mio Bambino,dormi, dormi o mio Gesù.Dormi, dormi o mio Bambino,amor mio non piangere più.

A voi pastori che state a venire, venite a vedere ch’è nato Gesù.

Gesù ch’è nato in una mangiatoia,di paglia e di fieno il suo letto fu.

Cugliemu rrosi e ppàmpinie sciuri di gelsuminupi ffari a lu Bbamminuu litticeddu cà.

I moduli musicali possono essere sommariamente distinti in due tipi: unodi andamento più regolare, rispondente alle consuete stilizzazioni di originesemiculta; un altro più libero, tendente a inflessioni modali. Temi ricorrentisono l’Adorazione dei pastori(documentazione sonora in Bonanzingacd.1996b: 5) e la ninnananna al Bambino (ninnaredda):

Ora ca li pasturi sunnu già rrivati,i longa via sunnu vinuti, ah…ah!

U Bammineddu nta la naca ciancìae l’àncilu Gabrieli lu nacava.Tri palureddi santi ci diciva:«Dormi fìgliu, s’amatu di Maria».E li pasturi già l’âmm’adurari, oh… oh!

Vengono inoltre eseguite diverse melodie esclusivamente strumentali spe-cificamente associate al Natale, come la P a s t u r a l ie la C a m p a n i a t a, oltre amelodie di accompagnamento al ballo (b b a l l i t t i). Queste si basano su unoschema costante: breve preludio a ritmo libero; giustapposizione di formulemelodico-ritmiche in tempo vivace (tendente al 6/8 o al 12/8), sostenute dalc ì m m u l u, che possono essere variamente iterate e combinate secondo l’abilitàdel suonatore. Pastori e devoti intrecciano allora le ult ime danze, mentre icommitenti avviano la distribuzione tra il pubblico di dolci, cibi e bevande.

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Una forma di Pastorale molto diversa rispetto a quella appena descritta simette in scena il giorno dell’Epifania per le strade e nella piazza principaledi Sant’Elisabetta, un piccolo centro rurale dell’Agrigentino. I nuclei essen-ziali di questa azione drammatica sono costituiti dalla lunga performanceiti -nerante del Nardu, figura esemplare del servo pigro e indolente, un po’scemo un po’ saggio, e dalla rappresentazione in piazza di alcuni momentidella vita di una masseria: si prepara la ricotta che servirà a condire le “lasa-gne” (poi consumate collettivamente), si raccolgono l’erba e la legna, si tra-sporta l’acqua, si caccia il coniglio (che viene immediatamente scuoiato,arrostito e mangiato), si cattura il “ladro di arance” e infine si uccide il“lupo” che minaccia di attaccare un agnello. A queste sequenze si aggiungeun epilogo del tutto autonomo, costituito dall’arrivo a cavallo dei Magi (i triRe) che scortano la Sacra Famiglia in un breve percorso dalla piazza allachiesa. Nardu partecipa a questo corteo palesando grande stupore per lanascita miracolosa e assume quindi un ruolo assimilabile a quello dello “spa-ventato” (scantatu), o “meravigliato” (meravigghiatu), del presepe.

La fase itinerante dell’azione è connotata da un variegato panorama musi-cale entro cui si sovrappongono i richiami che il C u r à t u l ue il Vu rd u n a r u(mulattiere) rivolgono a N a rd u, le sonate delle zampogne e della banda, i ritmidel tamburo e gli spari a salve dei Campieri a cavallo, oltre al festoso scampa-nio di un gregge, che pure sfila ostentando sonoramente l’identità della comu-nità pastorale. N a rd u– con il volto imbiancato, la gobba e un bastone sopra lanuca su cui poggia i polsi (nella tipica posizione assunta dai pastori nelmomento del riposo) – agisce in silenzio comunicando esclusivamente attra-verso gesti e mimiche irriverenti e aggressive (spesso anche oscene). Le esor-tazioni a lui dirette vengono non a caso pronunciate con la tipica inflessioneimpiegata per chiamare gli animali (Oh! Nardu! Eoh! oh! oh! oh! / Unn’âm’ar -rivari di stu passu Nardu! / Unn’âm’arrivari, ah! ). Travestimento e azioni delprotagonista, orientati al rovesciamento della norma (disubbidisce, perdetempo, provoca le donne) e allo spreco (sputa il cibo e le bevande che i pasto-ri gli offrono, lancia ricotta e fasci d’erba sul pubblico), rivelano chiaramentequale sia la funzione simbolica di questa maschera ctonia: instaurare il c a o soriginario, in modo da rinnovare la fertilità naturale e umana (significativa ariguardo è anche la presenza nel corteo dei C a rd u n a r a, personaggi che recanoa tracolla fasci di cardi selvatici, veri guardiani dell’ordine naturale che osten-tano i frutti spontanei della terra). Di grande interesse è quindi la confluenzain questa rappresentazione di elementi eterogenei che la rendono un esempiounico in Sicilia (documentazione sonora in Bonanzinga c d .1996a: 6).

Un confronto anche sommario tra le due forme drammatiche appena esa-minate offre l’opportunità per alcune considerazioni. In entrambe le circo-stanze va anzitutto osservata l’opposizione tra figure come B b a rd à s s a r u, M a r -

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s i o n i, Ti t u e N a rd u, che presentano i tratti caratterizzanti del basso-corporeo(stupidità, aggressività, volgarità, oscenità), e figure connotate in senso positi-vo: sovrintendenti di masseria, mulattiere, campieri e pastori “laboriosi” . Sia aLicata che a Santa Elisabetta è inoltre presente la transizione dal basso versol’alto del primo t ipo drammatico: i pastori licatesi riconoscono la Natività e laloro azione assume la forma dell’Offerta musicaleal Bambino; il N a rd um u t aatteggiamento e si accoda compostamente al corteo della Sacra Famiglia. Nelcaso di Licata si rileva però l’adesione al modello delle Pastorali di origineecclesiastica, come dimostra il personaggio del C u r à t u l uche, illuminato dallagrazia divina, è il vero artefice del passaggio dei Pastori dalla condizione “sel-vaggia” all’armonia di un’esistenza riscattata dal peccato originale, mentre iPastori, dal canto loro, non palesano eccessi paragonabili a quelli del N a rd u. ASanta Elisabetta permangono invece evidenti i tratt i di un arcaico rituale pro-piziatorio agro-pastorale connesso al solstizio invernale, il cui tentativo diriplasmazione entro la cornice della festa cattolica appare assai forzato.

Numerosi passi dell’A n t i c oe del N u o v oTestamento ontengono la metaforadel “Dio-pastore” e della “Umanità-gregge”: il Pastore è quindi demiurgo,ordinatore di una natura che implode, oltre ai valori positivi della fecondità edella bellezza, anche il c a o sdell’eccesso, della trasgressione e, quindi, del pec-cato. L’idea del Buon Pastore ricorre, su un piano diverso, per connotare unadimensione esistenziale (psicologica e materiale) legata ai valori posit ivi eincontaminati della natura: dagli i d i l l i di epoca classica alle favole barocche diispirazione arcadica e, almeno in parte (come si è visto), ai drammi pastoraliconnessi alla Natività. Nonostante i tentativi di “addomesticamento” operatiattraverso le immagini e le p a s t o r a l iprodotte in ambito ecclesiastico (o comun-que gestite dal clero), in pieno Settecento ancora la Chiesa patisce gli eccessiorgiastici dei v e r ip a s t o r inella celebrazione della Natività, e ne connota la musi-ca come “diabolica”. Assai significativa a tale riguardo è la testimonianza con-tenuta in un manoscritto del parroco Andrea Gurciullo da Sortino (SR)9:

Con quella proprietà e gravità che si deve alle funzioni sagre era celebrata la sol-lenità del Natale del Signore sebbene non così la Notte Sacra. / Conciosiache in vecedi passar quella Notte in tenerezze ed in devozzione, la passava il popolo in crapo-le, e in altri disordini. / Il numero dei pecoraj che in quel tempo fiorivano era ecce-dente, or ognun di loro nella chiesa portava il suo stromento da sonare, che tuttiformavano una musica diabbolica. / Detto disordine di così sconcertati suoni à per-durato fin a dì nostri, benché il Rev. beneficiale Tieso mio antecessore col suo zelopastorale avesse occorso colla sua autorità a detto disordine, cacciando dalla ChiesaMadre detta sorta di suonatori; facendo altresì in detta Santa Notte di Natale unbreve sermone come si costuma, e si prosiegue colla grazia del Signore. Eglino nonpertanto cacciati via dalla Chiesa Madre, se ne andavano all’altre chiese, ove puntonon incontravano oppositione. / Finalmente nell’anno scorso 1752 per ordine delReverendissimo Signor Vicario Generale, par si che fosse dell’intutto dato fine a

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detti disordini, avendo sortito quella Santa Notte in pace, senza stromenti sconcer-tati, ma con propij, e coll’organo; e si spera dalla pietà del Signore così dover avve-nire, e succedere ne futuri anni, se si compiace Iddio benedetto lasciarci in vita.[Notizie della Chiesa di Sortino, vol. 1, p. 144]

Va qui rilevato lo «zelo pastorale» con cui si è intesa esorcizzare la «musicadiabbolica», praticata dai «pecoraj» con «stromenti sconcertati», attraversou n ’altra musica, magari anch’essa p a s t o r a l e, tuttavia da eseguire con strumenti«proprij, e coll’organo»: una testimonianza che – nel nostro contesto d’analisi– sintetizza emblematicamente i dislivelli e le interferenze tra le forze in camponella rappresentazione della Natività.

Se dal piano della rappresentazione simbolica si passa a quello della realtàstorica, vediamo che i pastori si qualificano per la loro “marginalità” anche inamb it i culturali centrati su una struttura socioeconomica di tipo agro-pasto-rale: «come si apprende dalla grande raccolta delle tradizioni giudaiche, il Ta l-mud (S a n h e d r i n, 25 b), i pastori non potevano essere elett i giudici o addotticome testimoni in un processo perché considerati impuri a causa della loroconvivenza con gli animali e disonesti a causa delle loro violazioni dei confiniterritoriali» (De Spirito 2000: 123-124). Il rapporto di complementarietà-con-flittualità intrattenuto da agricoltura e pastorizia, determinato da d iversemodalità di gestione e sfruttamento del territorio (cfr. Grottanelli 1965/ II:661-755 e Fabietti 1980), insieme al fatto che le att ività pastorali debbanonecessariamente svolgersi al di fuori del rassicurante e controllabile mondocontenuto all’interno del perimetro urbano, sono ulteriori elementi chehanno favorito il formarsi d i un diverso stereotipo simbolico del pastore,declinabile in negativo: una figura inquietante, abitante di luoghi “selvatici”,non sottomessa alle norme dell’u r b a n i t a se che partecipa d i una natura sostan-zialmente “animale” (cosi è a esempio il N a rd udi Sant’Elisabetta).

Questa natura animalesca, selvatica e “demoniaca” emerge nelle innume-revoli maschere di impronta pastorale diffuse nel contesto euromediterraneoin rapporto soprattutto alle cerimonie del periodo invernale-primaverile giàin epoca precristiana. È indicativo che anche molte maschere non diretta-mente connesse alla figura del pastore – a esempio le maschere animali comel’orso, il lupo, il capro, il bue/toro, oppure alcune declinazioni dell’uomo sel-vatico– si fondino su elementi tipicamente connotativi dell’universo pasto-rale: indossano manti e calzari in pelle di capra (o montone), spesso portanoin capo grandi corna di caprini o bovini, recano alla cintola (e/o a tracolla)campani e sonagli per animali di varia foggia e misura. L’analogia si estendeanche al piano comportamentale, costantemente caratterizzato dalla produ-zione di frastuoni (grida, fischi, percussioni), da eccessi del gesto (corse, salti,balli sfrenati, aggressioni, percosse, mimiche oscene) e della parola (ingiurie,

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scurrilità). Tutte queste maschere rientrano infatti, come ampiamente gli stu-diosi hanno dimostrato, in una unica tipologia: rappresentano le forze ctonie(demoni, defunti) che periodicamente tornano sulla terra per instaurare ilcaosoriginario in modo da rinnovare la fertilità naturale e umana. I lorocostumi e i loro atteggiamenti rispondono all’arcaico codice del basso-cor-poreo (cfr. Bachtin 1979) e le loro azioni sono sempre intese a inscenare unatrasgressione-inversione che è condizione necessaria all’affermarsi del nuovoordine umano, naturale e cosmico. Per questo le maschere suddette – spes-so aggregate in schiere più o meno ampie – hanno bisogno di essere “nutri-te” dalla comunità e godono del diritto di questua (altro tratto ricorrente),talvolta esercitato in forme aggressive e violente10.

Anche in Sicilia questo genere di maschere ha trovato ampia diffusione, invarianti sia individuali sia di gruppo: dall’Orso (U s s u) che anima il corteo car-nevalesco di Saponara alle maschere pasquali dei G i u d e idi San Fratello (prov.di Messina) e dei D i à v u l idi Prizzi (prov. di Palermo), limitandoci agli esempipiù noti e tuttora vitali (cfr. Buttitta 1978 e Bonanzinga - Sarica 2003). Per ilpassato valga invece ricordare la maschera collettiva dei N z u n z i e d d i, figureesplicitamente demoniache che fino agli anni Cinquanta inscenavano a Mon-terosso Almo (prov. d Ragusa) una pantomima itinerante per la vigilia disant’Antonio (17 gennaio). I N z u n z i e d d ierano abbigliati con pelli di monto-ne pendenti fino alle ginocchia, scarpe di pelo (s c a r p u n e r i), grandi corna intesta e campanacci appesi alla cintola. Avevano il volto n z u n z i a t u( i n s u d i c i a-to) dal fumo, da cui appunto la loro denominazione. Potevano essere innumero variabile (da due a cinque) fra loro incatenati e legati a una cordaretta da un altro individuo che impersonava sant’Antonio; quest’ult imoimpugnava un bastone con cui li tormentava. Il corteo così composto attra-versava le vie del paese e la gente partecipava alla rappresentazione schia-mazzando e allestendo falò (v a m p i). I protagonisti dell’azione cerimoniale –tutti uomini adulti – usavano il giorno dopo andare in giro senza mascheraallo scopo di questuare alimenti e olio per le lampade della chiesa. Te s t i m o-nianze relative al secolo scorso non menzionano tuttavia la figura di sant’An-tonio e riferiscono di comportamenti estremamente trasgressivi attuati perfi-no in chiesa: «Non appena il celebrante nella messa solenne del Santo, into-nava l’Ite missa est, prorompea nella chiesa una frotta briaca, con pelli e cornadi becco, con facce tinte di fumo e di terra rossa, saltando, ur lando e scoten-do campanacce da bove. Dopo pochi minuti la frotta andava percorrendotutte le vie del paese, facendo un diavolìo da non d irsi» (Guastella 1887: 83).

La figura del pastore era esplicitamente evocata dalla maschera collett ivadei P i c u r a r a, fino a qualche decennio addietro ancora vitale ad Antillo (centrodel versante tirrenico dei Peloritani in prov. di Messina). I Pecorai erano uomi-ni con il volto coperto da una maschera di tela bianca (f a c c i a l i), che indossava-

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no giubbotti di orbace (r r u b b u n i), brache di pelle caprina (c à u s i) e una dozzi-na di campanacci (c a m p a n i) alla cintura. Nella penult ima domenica di Carne-vale e nel Martedì Grasso, svolgevano un’azione itinerante per le vie del paese:«si riunivano a gruppi di otto-dieci elementi, i quali, con altrettante d a m i,dame, anch’esse mascherate, al suono delle ballabili note della ciaramella [zam-pogna], attaccavano a ballare a cuntradanza, la tarantella, dalle diverse figura-zioni, allietando la piccola folla che s’era apposta radunata in piazza; mentre icampanacci, continuamente mossi dai passi di danza, col loro frastuono copri-vano le squillanti note dello strumento» (Lo Schiavo 1995: 51). I P i c u r a r ar e c a-vano a tracolla una bisaccia (b b è r t u l a) contenente una pietra focaia (petra fuca -l a) e un pezzo di cacio stagionato. Alle maschere si usava infatti chiedere, por-gendo un coltello, una porzione di formaggio (mossu if r u m m à g g i u). Questeoffrivano il cibo dopo avere però giocato un tiro al questuante, rovinandogli ilfilo del coltello mediante vigoroso sfregamento sulla pietra focaia (cfr. LoSchiavo 1995: 51). Si osservi che il rovesciamento funzionale tra donatore(mascherato) e destinatario (non-mascherato) non fa che rafforzare il valorecerimoniale della ‘questua’, rivelandone la profonda valenza simbolica sull’as-se della reciprocità tra chi offre e chi riceve (cfr. Giallombardo 1990: 25-38).

Molto comune nel Carnevale tradizionale siciliano era d’altronde anchela maschera individuale del Pecoraio (cfr. Pitrè 1889/I: 46), segnalata anchecome immancabile componente dell’affollato corteo della Tubbiana:

Che frastuono, che rimbombo di campanacci! Non vedete? è un Picuraru purora sceso dal monte, da capo a piedi coperto di pelle di capra, con scarponi da die-ci chilogrammi l’uno, e con tutte le campane di bronzo e di ferro delle sue capree delle sue vacche attaccate alla cintura. Se vi urta vi ammacca le costole: contant’impeto e così bestialmente si muove o vi tocca col suo nodoso bastone.

La Tubbianaraccoglieva in Palermo una lieta brigata di popolani camuffati chida pecoraio, chi da spagnuolo, chi da vecchia, chi da pastore, chi da re, chi da re-gina, chi da matto e chi perfino da brigante che sparava a crusca o a polvere d’a-mido col fucile. [Pitrè 1913: 281]

La maschera del P i c u r a r u, in tutto simile a quella descritta da Pitrè, ancorapermane nella pantomima carnevalesca del Mastro di campo (Mastru ri campu)a Mezzojuso (PA). L’azione, che si svolge l’ultima domenica di Carnevale nellapiazza principale del paese, è incentrata intorno all’azione di una mascheraguerresca: il Mastru ri campu (Mastro di campo, appellativo derivante da unafigura effettivamente prevista nell’organico degli antichi eserciti spagnoli). Que-sti ha l’obbiett ivo di sconfiggere il Re, arroccato insieme alla “corte” in un“castello” (realizzato su un palco di legno), e conquistare la Regina (cfr. Gattu-so 1938, Buttitta-Pasqualino 1986, Bonanzinga 2003). Tra Cavalieri e Dameabbigliat i in costumi medievaleggianti, Barone e Baronessa, Ingegneri, Eremiti

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e Maghi, G g i a rd i n e re (maschere primaverili che agitano ghirlande di fiori) eFofòrio (una schiera di giovani travestiti da “briganti”), spicca la minacciosamaschera del protagonista, di colore rosso fuoco, dai tratti marcati da foltesopracciglia, grossi baffi, zigomi e labbro inferiore sporgenti. Il Mastro dicampo brandisce la spada mimando un combattimento al ritmo del tamburo,ostacolato dal P i c u r a r u(Pecoraio) che scompostamente si agita al suono deinumerosi campanacci appesi alla cintola. L’Eroe sconfigge ripetutamente ilP i c u r a r u, scavalcandone il corpo disteso a terra in grottesche convulsioni, e piùvolte si arrampica su una scala appoggiata al palco che rappresenta il castelloper duellare con il Re. La prima parte della pantomima si conclude con la scon-fitta del protagonista, rappresentata dal suo ferimento da parte del Re, cui seguela “caduta” dalla cima della scala: il Mastro di Campo cade all’indietro, rigida-mente disteso e a braccia aperte. Raccolto al volo e portato via dai componentidel F o f ò r i o(che funge quindi da ‘aiutante’ dell’Eroe), il Mastro di campo tor-nerà in scena “magicamente” guarito, riuscendo infine a sconfiggere il Re e aconquistare la Regina. Un eroe “ tellurico” – giovane, nervoso, impaziente,aggressivo – per mezzo di una lotta danzata colma quindi di energie positive lospazio cerimoniale, domina il c a o s(personificato dal Pecoraio) e spodesta un Reche è metafora del tempo consumato, del “vecchio” destinato a essere rimpiaz-zato per consentire l’avvio del nuovo ciclo vitale.

Quanto osservato in Sicilia rispecchia uno schema simbolico assai radica-to nella stor ia dell’immaginario occidentale (e non solo). La figura del Pasto-re si situa difatti entro un singolare bipolarismo che va dall’assoluto posit ivo(lo stesso Dio dei Cr ist iani è “pastore dell’umanità”) all’estremo negativo (leinquietanti maschere delle feste di fine-inizio d’anno). I pastori possono rap-presentare un modello d i i d i l l i o con la natura, oppure essere collocati addi-rittura fuori da ogni “misura” di civiltà: i Ciclopi, giganti-antropofagi, eranopastori. Le configurazioni storiche e materiali della realtà pastorale segnalanoun’analoga, spesso sofferta, relazione di accoglienza/ esclusione rispettoall’ambiente urbano e perfino al mondo rurale. I pastori possono infatt i esse-re fonti feconde d i alimenti (latte, caci, carni) e di vesti (grazie alla produzio-ne della lana) e favorire la fertilità del suolo con lo sterco depositato dagli ani-mali nelle transumanze, ma allo stesso tempo si qualificano come portatori dimorte, quando versano il sangue dei loro animali (per procurarsi nutrimentoo profit to), oppure nel caso in cui il passaggio delle greggi giunga a compro-mettere le colt ivazioni. Nella concezione circolare del nesso morte-vita, cosìpregnante in tutte le società tradizionali, va pertanto ricercata la dupliceessenza del Pastore, con tutta la sua straordinaria capacità di rappresentaresituazioni antitet iche: agente del c a o s, emissario degli inferi, ma anche opero-so demiurgo, infaticabile ord inatore della natura e delle sue forme1 1.

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NOTE

1 Per i vari aspetti connessi al mondo dei pastori in Sicilia, si vedano in particolare: Uccel-lo 1973, 1980; Giacomarra 1983; Martorana 1988; Riccobono 1992; Bernardi 1995; Sottile2002. Per un quadro generale della cultura materiale in Sicilia, con riferimento alle tecnichepastorali, cfr. AA.VV. 1980, 1984, 1990.

2 Si avverte che il termine mandria (mànnara o mandra) è in Sicilia indifferentementeimpiegato per indicare sia il bestiame grosso (buoi e vacche) sia quello minuto (pecore, capree maiali) sia il luogo dove esso è custodito. Differenziate sono invece le denominazioni dellediverse professionalità nell’ambito dell’allevamento del bestiame (picurara,caprara,vistiama-ra, vuiara,vaccara,purcara, ecc.), ma poiché la nostra osservazione è stata condotta esclusiva-mente presso allevatori che tenevano animali misti (a es. pecore e capre, oppure pecore, capree vacche) si userà genericamente il termine ‘pastore’.

3 La medesima consuetudine è stata rilevata in Calabria (cfr. Ricci 1996: 117-119).

4 Per un’ampia trattazione relativa all’uso dei segnali sonor i nelle società tradizionali, conspecifico riguardo ai sistemi tamburati e fischiati, si veda Sebeok - Umiker-Sebeok 1976. Per un’a-nalisi dei segnali pastorali nelle regioni della G ermania orientale, con implicazioni teoriche diinteresse generale, si veda Kaden 1977. Per gli aspetti storici, organologici e simbolico-funziona-li relativi agli ‘strumenti da segnale’, si vedano: Stockmann 1965, 1974; Schaeffner 1978; Sachs1980; Bonanzinga 1993a. Riguardo ai sistemi sonori pastorali vigenti in altre aree del Mediterra-neo meridionale, si vedano in particolare: Anoyanakis 1979 (Grecia); Angioni 1989, Spanu 1998,Botta - Padiglione 2000 (Sardegna); La Vena 1996, Ricci 1996 (Calabria). Per considerazioni rela-tive alla “unicità e contemporaneità” che caratter izza il processo del f a ree del r a p p re s e n t a re, del-l’intreccio fra saperi tecnici e pratiche simboliche, cfr. in particolare Buttitta 1995: 50-77.

5 Te s t i m o n i a n z a: Carmelo Rasconà (n. 1943). R i l e v a m e n t o: Messina, Campo I talia,2 8 / 1 2 / 1 9 9 1 .

6 Testimonianza: Salvatore Ruggeri (n. 1930). Rilevamento: Saponara (ME), 30/08/1992.

7 Va osservato che questi richiami pastorali seguono un andamento inequivocabilmentetonale. Nel primo caso troviamo un incipit accordale (LA min. in posizione fondamen-tale),passaggi inM I magg. e SI7, oltre all’iterazione a varie altezze di una seconda maggioreriempita cromaticamente (unico elemento a evocare una certa “alterità” della melodia). Ilsecondo esempio addirittura ricorda il tema di una canzonetta (tonalità di SOL magg. e ritmoin /6/8, righi 1-2 e 4-5), con tanto di ritornello (righi 7-8) e variazione (righi 3-4 e 9-10, doveuna certa inflessione “da richiamo” si rende però più evidente). Il fatto non deve tuttavia sor-prendere ove si considerino più in generale le forme della musica strumentale siciliana, comepone in evidenza Ottavio Tiby proprio commentando le altre melodie per flauto di canna rac-colte da Favara: «Queste musiche di danza sono tutte schiettamente tonali. Nessuna incer-tezza, nessuna ambiguità modale esiste in esse; onde si distinguono nettamente per caratteredalle canzoni vocali; anzi, nel loro complesso, dànno quasi l’impressione di altra provenien-za» (1957: 93). Il medesimo stile popolaresco – e/o semiculto – era già peraltro radicato all’i-nizio dell’Ottocento, come dimostrano le melodie strumentali trascritte in Sicilia da GiacomoMeyerbeer (cfr. Bose 1993 e Bonanzinga 1993b: 57-69).

8 Sulle tradizioni del Natale in Sicilia si vedano in par ticolare: Pitrè 1878, 1881: 431-462;Uccello 1979; Buttitta 1985; I. E. Buttitta 1999: 19-31. Sugli strumenti e le musiche di ambien-te pastorale si vedano tra gli altri: Staiti 1986, 1989, 1997; Bonanzinga 1993a, 1993b, 1999; Sari-

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ca 1994. Per una documentazione sonora delle tradizioni musicali connesse alla celebrazione delNatale, si vedano: Garofoalo d .1990; Lo Castro - Sar icac d .1993; Bonanzinga c d .1 9 9 6 a - b .

9 Ringrazio Franco G iuliano, appassionato cultore di memorie sortinesi, per avermi procu-rato la trascrizione del testo di padre Gurciullo (1719-1803), parroco a Sortino dal 1749 al 1803.

10 Riguardo alla morfologia e al valore simbolico di questa tipologia di maschere si veda-no tra gli altri: Van Gennep 1937-58: vol. III/t. I e vol. IV/t. I; Toschi 1955; Alford 1978; Pre-moli 1986; Caro Baroja 1989; Vulcanescu 1994; Buttitta 1996: 125-129, 266-276; Castelli -Grimaldi 1997; Bonanzinga-Sarica 2003. Per una specifica analisi delle maschere di impron-ta pastorale in Calabria, cfr. Faeta 1997.

11 Su quest’ultimo aspetto cfr. Il cibo giocato in Giallombardo 2003.

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