legittimazione e limiti degli ordinamenti giuridici tra giuridicità e diritto

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============================================================= P. GHERRI, Legittimazione e limiti degli Ordinamenti giuridici tra giuridicità e Diritto, in G.L. FALCHI - A. IACCARINO (edd.), Legittimazione e limiti degli Ordinamenti giuridici, Cit- tà del Vaticano, 2012, pp. 359-392. Legittimazione e limiti degli Ordinamenti giuri- dici tra giuridicità e Diritto PAOLO GHERRI =================================================== Testo originario PRE-PRINTING; possibili lievi differenze rispetto a quello pubblicato a stampa; paginazione non pienamente corrispondente =================================================== PREMESSA Il primo problema da porsi per affrontare adeguatamente il tema della “legittimazione e limiti degli Ordinamenti giuridici” riguarda proprio il termine stesso “legittimazione”, di cui è necessario verificare la reale consistenza concettuale, vista la complessità e va- rietà degli Ordinamenti giuridici stessi, realtà-di-fatto alla quale chi lavora all’interno dell’Institutum Utriusque Iuris non può non dare attenzione …tanto più se canonista in- teressato ad una tematizzazione ‘univoca’ del concetto di Diritto 1 . Ciò che riguarda i “limiti” dei medesimi Ordinamenti giungerà poi, come di conseguen- za. A tal fine occorre considerare come già una primissima ricognizione evidenzi con chia- rezza che dal punto di vista strettamente giuridico la “legittimazione” non trova consi- stenza alcuna a monte degli Ordinamenti giuridici stessi 2 , quanto –invece– solo al loro 1 Questione che continua ad erodere impercettibilmente le basi stesse della Canonistica attuale, conti- nuando a mantenerla al di fuori dei contesti giuridici ordinari, senza plausibili possibilità di comunicazio- ne e scambio teoretico. 2 «È un istituto sorto nel Diritto romano del basso Impero, a favore dei figli di concubina, o liberi natura- les in senso tecnico». E. ALBERTARIO, Legittimazione, in ISTITUTO DELLA ENCICLOPEDIA ITALIANA, En- ciclopedia italiana, vol. XX, 778. Generalmente e genericamente in ambito giuridico si parla di: ‘legitti- mazione’ ad agire, ‘legittimazione’ all’esercizio del diritto, ‘legittimazione’ attiva nel diritto di credito, ‘legittimazione’ cartolare, ‘legittimazione’ del debitore a conseguire liberazione, ‘legittimazione’ del fi- glio naturale, ‘legittimazione’ del possessore ad esigere la prestazione, ‘legittimazione’ del potere, ‘legit- timazione’ passiva del titolo di credito (cfr. F. GALGANO, Legittimazione, in F. GALGANO (dir.), Diziona- rio enciclopedico del Diritto, Padova, 1996, vol. I, 895-896); ‘legittimazione’ negli atti giuridici, ‘legitti- mazione’ ad agire, ‘legittimazione’ dei figli naturali (cfr. Enciclopedia del Diritto, vol. XXIV, Milano, 1974, 52ss.); ‘legittimazione’ad agire nel diritto processuale, Teoria della ‘legittimazione’ come “presup- posto di efficacia del negozio”… (cfr. G. PALERMO, Legittimazione, in ISTITUTO DELLA ENCICLOPEDIA text for Open Access - © all rights reserved

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============================================================= P. GHERRI, Legittimazione e limiti degli Ordinamenti giuridici tra giuridicità e Diritto, in G.L. FALCHI - A. IACCARINO (edd.), Legittimazione e limiti degli Ordinamenti giuridici, Cit-tà del Vaticano, 2012, pp. 359-392.

Legittimazione e limiti degli Ordinamenti giuri-dici tra giuridicità e Diritto

PAOLO GHERRI

=================================================== Testo originario PRE-PRINTING;

possibili lievi differenze rispetto a quello pubblicato a stampa; paginazione non pienamente corrispondente

=================================================== PREMESSA Il primo problema da porsi per affrontare adeguatamente il tema della “legittimazione e limiti degli Ordinamenti giuridici” riguarda proprio il termine stesso “legittimazione”, di cui è necessario verificare la reale consistenza concettuale, vista la complessità e va-rietà degli Ordinamenti giuridici stessi, realtà-di-fatto alla quale chi lavora all’interno dell’Institutum Utriusque Iuris non può non dare attenzione …tanto più se canonista in-teressato ad una tematizzazione ‘univoca’ del concetto di Diritto1. Ciò che riguarda i “limiti” dei medesimi Ordinamenti giungerà poi, come di conseguen-za. A tal fine occorre considerare come già una primissima ricognizione evidenzi con chia-rezza che dal punto di vista strettamente giuridico la “legittimazione” non trova consi-stenza alcuna a monte degli Ordinamenti giuridici stessi2, quanto –invece– solo al loro

1 Questione che continua ad erodere impercettibilmente le basi stesse della Canonistica attuale, conti-nuando a mantenerla al di fuori dei contesti giuridici ordinari, senza plausibili possibilità di comunicazio-ne e scambio teoretico. 2 «È un istituto sorto nel Diritto romano del basso Impero, a favore dei figli di concubina, o liberi natura-les in senso tecnico». E. ALBERTARIO, Legittimazione, in ISTITUTO DELLA ENCICLOPEDIA ITALIANA, En-ciclopedia italiana, vol. XX, 778. Generalmente e genericamente in ambito giuridico si parla di: ‘legitti-mazione’ ad agire, ‘legittimazione’ all’esercizio del diritto, ‘legittimazione’ attiva nel diritto di credito, ‘legittimazione’ cartolare, ‘legittimazione’ del debitore a conseguire liberazione, ‘legittimazione’ del fi-glio naturale, ‘legittimazione’ del possessore ad esigere la prestazione, ‘legittimazione’ del potere, ‘legit-timazione’ passiva del titolo di credito (cfr. F. GALGANO, Legittimazione, in F. GALGANO (dir.), Diziona-rio enciclopedico del Diritto, Padova, 1996, vol. I, 895-896); ‘legittimazione’ negli atti giuridici, ‘legitti-mazione’ ad agire, ‘legittimazione’ dei figli naturali (cfr. Enciclopedia del Diritto, vol. XXIV, Milano, 1974, 52ss.); ‘legittimazione’ad agire nel diritto processuale, Teoria della ‘legittimazione’ come “presup-posto di efficacia del negozio”… (cfr. G. PALERMO, Legittimazione, in ISTITUTO DELLA ENCICLOPEDIA

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interno …e non per quanto concerne gli Ordinamenti come tali, ma solo per specifici Istituti giuridici, più o meno peculiari! Ciò rende pertanto impossibile parlare in modo non-tautologico di legittimazione degli Ordinamenti giuridici dal punto di vista stretta-mente giuridico. Di fatto, una volta scartate le valenze intra-ordinamentali (processuali-stiche e civilistiche) del termine, non rimane spazio giuridico alcuno cui ricondurre tale concetto. Neppure la ricerca in ambito costituzionale offre risultati significativi, posto che ogni Costituzione ‘si’ auto-presume legittimata dalla propria stessa esistenza... cosa che, per di più, non avviene mai –né tecnicamente né sostanzialmente– per via ‘pro-priamente’ giuridica. 1. LEGITTIMAZIONE E FONDAMENTO L’inconsistenza concettuale del termine “legittimazione” al di fuori delle strutture e funzionalità interne agli Ordinamenti giuridici3 spinge allora l’attenzione ad un ambito molto prossimo a quello ‘ordinamentale’ (per quanto con esso non-coincidente) qual è quello socio-politico, dal quale gli Ordinamenti stessi derivano; in tale ambito la que-stione della ‘legittimazione’ si pone soprattutto a riguardo del ‘potere’ concretamente esercitato all’interno delle diverse forme ‘societarie’ di convivenza umana4 …di cui proprio le Costituzioni rappresentano –al presente– una delle maggiori forme espressi-ve. Ciò tuttavia rischia di risultare ancora una volta tautologico, poiché già di per sé ogni ‘potere’ tende spontaneamente ad auto-legittimarsi –soprattutto– attraverso lo strumento giuridico5 posto spesso in essere appositamente per questo scopo, indipen-dentemente dal suo fondamento democratico o autoritario6. I ‘progressivi’ passaggi dal-la originaria Res publica Romanorum al Dominato ed all’Imperium mostrano con chia- ITALIANA, Enciclopedia giuridica, vol. XIX, 1996, 1); nozione di ‘legittimazione’ nella dottrina proces-sualistica; ‘legittimazione’ nel Diritto privato sostanziale; ‘legittimazione’ e potere di disporre; ‘legitti-mazione’ apparente; ‘legittimazione’ e capacità giuridica; Carattere non unitario della nozione di ‘legitti-mazione’ (cfr. P. RESCIGNO, Legittimazione, in Digesto delle discipline privatistiche. Sezione civile, To-rino, 1993, 518-524). Il “Digesto delle discipline pubblicistiche”, vol. IX, Torino, 1994 non presenta nep-pure la voce. 3 In quanto quasi-tautologica conformità alla previsione legale. 4 «Nell’accezione sociologica del termine, la legittimazione è la giustificazione del potere, dell’autorità dei governanti sui governati. Sotto l’aspetto formale, la legittimazione del potere sta nell’osservanza del diritto; e si distingue fra osservanza, da parte dell’autorità, dei contenuti del diritto e osservanza, da parte di essa, delle procedure di legge. Viene così in considerazione il concetto di Stato di diritto: l’autorità è legittima in quanto è investita di potere secondo la legge e se le sue decisioni osservano i contenuti e le procedure di legge. Più rilevante, dal punto di vista sociologico, è l’aspetto sostanziale della legittimazio-ne del potere, la quale è data dal consenso dei governati». F. GALGANO, Legittimazione, in, F. GALGANO (dir.), Dizionario enciclopedico del Diritto, Padova, 1996, vol. I, 896. 5 «Nel Diritto si proiettano simbolicamente delle volontà politiche. Esso le consacra, le nobilita e le legit-tima, conferendo loro la forza di un argomento ineccepibile da spendere soprattutto nei confronti di chi quelle volontà è costretto a subire». V. FERRARI, Prima lezione di Sociologia del Diritto, Roma-Bari, 2010, 123. 6 «Più rilevante, dal punto di vista sociologico, è l’aspetto sostanziale della legittimazione del potere, la quale è data dal consenso dei governati. Sotto questo aspetto, la legittimazione è massima, per opposte ragioni, nei sistemi altamente democratici ed in [quelli] assolutamente dispotici: nei primi perché i deten-tori del potere sono elettivi e agiscono sotto il costante controllo dei governati; nei secondi perché manca la possibilità di critica e di dissenso sull’azione di governo, il quale dispone a proprio vantaggio di mezzi propagandistici di formazione del consenso». F. GALGANO, Legittimazione, 896

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rezza questo tipo di dinamiche sempre auto-referenziali; non di meno il più tardivo ‘transito’ dal Regno di Luigi XVI alla prima Repubblica, al Consolato di Napoleone e quindi al suo Impero –e successivi–. 1.1 La prospettiva In questa prospettiva, necessariamente pre-giuridica, la ‘legittimazione’ appare pertanto non troppo diversa dal ‘fondamento’, al punto che si può correttamente sostenere che legittimare un Ordinamento giuridico coincida col mostrarne i ‘fondamenti’ i quali, per essere efficaci, devono avere consistenza autonoma: pre-ordinamentale, indipendenti dal singolo Ordinamento giuridico in questione. Tale fondazione, però, finisce per coin-cidere a sua volta con la concettualizzazione ed il fondamento del Diritto come tale, in una prospettiva che non possa essere meramente ‘formale’ …o, addirittura, semplice-mente ‘legale’ (secondo la ben nota proposta kelseniana e le equivalenti). D’altra parte, i danni derivanti da un’esperienza giuridica autoreferenziale come quella degli Stati etici europei del Novecento sono assolutamente noti e dovrebbero bastare da soli quale sufficiente monito a non intraprendere strade analoghe per il presente né per il futuro. L’intrinseca anti-giuridicità di tali esisti rimane icasticamente fissata nelle forti tinte che l’attuale Cardinale di Madrid espresse oltre quarant’anni fa: «mai il Diritto era giunto ad un grado tale di perfezione tecnico-logico-giuridica ed an-che politica, come in questi ultimi centocinquant’anni di storia europea, però mai nep-pure era giunto ad un tal grado di disponibilità venale, di permeabilità all’ingiustizia ed alla tirannia. Per molto paradossale che ciò suoni: lo stesso Diritto –non solamente gli uomini del Diritto, coloro che lo creano, lo pensano, lo applicano– si converte in strut-tura d’ingiustizia. […] Col principio che il Diritto è ciò che risulta utile al popolo o ad una classe sociale, si fa Diritto in opposizione cosciente ai postulati della giustizia, ne-gando premeditatamente questo minimum di uguaglianza nella valutazione e nel rap-porto socio giuridico, che è il suo stesso nervo. A maggior perfezione formale, tecnico-logica, cultural-giuridica, [corrisponde] maggior disumanizzazione del Diritto, così po-trebbe esser formulata la Legge storica che ha retto di fatto il corso della evoluzione moderna del Diritto»7. ‘Legittimazione’ dell’Ordinamento giuridico e/o ‘fondazione’ del Diritto (che, in fondo, finiscono per coincidere), pertanto, non possono consistere nel mero rimando –irresponsabile ed a-morale– alla ‘Legge’8; occorre infatti rifiutare con certezza e fer-

7 A.M. ROUCO VARELA, Filosofia o Teología del Derecho? Ensayo de una respuesta desde el Derecho canónico, in AA.VV., Wahrheit und Verkündigung. Michael Schmaus zum 70. Geburtstag, München-Paderborn-Wien, 1967, II, 1715-1716. 8 Si tenga presente come proprio da questa involuzione del ‘giuridico’ ebbe origine la (Kirchen)Recht Theologie tedesca del dopo-guerra come espressa ricerca di una diversa e più profonda e stabile ‘fonda-zione’ del giuridico in sé e per sé (cfr. P. GHERRI, Primi appunti per una storia delle origini della Teolo-gia del Diritto (canonico), in Ius canonicum, L [2010], 248).

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mezza ogni posizione che abbia nella Lex una qualunque referenzialità ordinamentale e/o giuridica9. La posizione non ammette repliche, non solo dal punto di vista del rifiuto ‘ideologico’ di ogni Normativismo e Positivismo legale ma, molto più radicalmente, dallo stesso punto di vista epistemologico cui oggi non è più possibile sottrarsi in ambito scientifico. 1.2 Il fondamento epistemologico Legittimazione e fondamento, sia dell’Ordinamento giuridico che del Diritto come tale evocano oggi una tematica di grande importanza epistemologica, di cui la dottrina giu-ridica degli ultimi decenni –soprattutto canonistica– ha mostrato però una scarsissima consapevolezza, precludendosi enormi risorse concettuali e metodologiche, avendo rite-nuto ormai inutile “continuare ad interrogarsi su cosa sia il Diritto” ed assumendone ciascun autore la concettualizzazione a lui più facilmente fruibile …anche se del tutto ‘proprietaria’. L’approccio epistemologico –ormai imprescindibile anche per il canonista– concerne la strutturale incompletezza dei ‘sistemi’ –non solo logici e matematici– di cui l’Epistemologia del Novecento ha preso coscienza ed offerto motivazioni risolutorie at-traverso gli studi e l’attività di logici e matematici come Kurt Gödel (1906-1978) ed Al-bert Tarski (1902-1983) che, per alcuni versi, hanno rivoluzionato (o avrebbero dovuto farlo!10) il comune modo di sentire e gestire le tematiche ‘fondative’ in generale. Secondo i c.d. principi d’incompletezza –evidenziati e messi a fuoco dai due autori– nessun ‘sistema’ può essere mai davvero ‘completo’ (nel senso di auto-fondante, auto-referenziale, auto-poietico, ‘sigillato’), capace, cioè, di contenere e ‘dimostrare’ al pro-prio interno tutti i propri assiomi. Considerando i c.d. teoremi di Gödel11, infatti, è im-

9 Nonostante paia proprio che a volte non si riesca a parlare di Diritto se non facendo riferimento alla Lex o al legislatore (cfr. G. GHIRLANDA, Il Diritto nella Chiesa mistero di comunione, Roma-Cinisello Bal-samo (MI), 1990, 15, il quale già alla diciassettesima riga di un trattato di oltre 800 pagine introduce il ruolo ‘fondante’ della Legge positiva e del suo autore: «tuttavia nell’esercizio della sua libertà un sogget-to può porsi in un rapporto negativo con l’altro, nel non rispetto dei diritti personali di cui questi è porta-tore. Di qui la necessità dell’intervento dell’autorità, che, attraverso una Legge positiva, impedisca lo stabilirsi di un rapporto negativo tra i soggetti e indichi quali siano gli obblighi da adempiere perché i di-ritti vengano reciprocamente rispettati»). 10 Poiché forti resistenze e ‘negazioni’ vennero ancora a lungo dall’interno dello stesso mondo ‘scientifi-co’: cfr. C. CELLUCCI, Le ragioni della Logica, 4 ed., Bari, 2005, 238-242. 11 Il primo teorema di incompletezza di Gödel stabilisce che in un qualsiasi sistema assiomatico (costruito cioè su un gruppo di assiomi, come l’aritmetica o la geometria euclidea) è sempre possibile trovare una proposizione che fa parte di questo sistema, la cui validità non è tuttavia dimostrabile con i mezzi logici (assiomi, definizioni, regole di deduzione) offerti dal sistema stesso: per effettuare questa dimostrazione, è necessario ricorrere a un sistema più ricco di mezzi logici del primo. In base a questo teorema, si può certamente dimostrare la non contraddittorietà di alcune parti della matematica (per esempio, l’aritmetica, come è già stato fatto), ma non si può dimostrare, una volta per tutte, la non contraddittorietà dell’intera matematica, nell’ipotesi che questa venga ridotta a un sistema formalizzato. Il secondo teorema di incom-pletezza afferma che un sistema sufficientemente potente da contenere l’aritmetica non può dimostrare la propria coerenza utilizzando esclusivamente le proprie risorse logiche. In particolare, il secondo teorema porta a concludere che, dal momento che neppure un sistema particolarmente semplice come quello rap-presentato dall’aritmetica elementare può essere utilizzato per dimostrare la propria coerenza, a maggior

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possibile offrire una valida definizione di qualcosa nel caso in cui l’elemento da definir-si appartenga alla definizione stessa, come anche Bertrand Russell (1872-1970) aveva già dimostrato nel 1902 opponendo le proprie ‘antinomie’ a Gottlob Frege (1848-1925) partendo dall’‘insieme’ che non può contenere se stesso12. Non di meno il correlato teorema di Tarski afferma che per definire validamente una re-lazione occorre far ricorso/riferimento ad un linguaggio ‘superiore’ (meta-linguaggio) rispetto al linguaggio utilizzato dalla relazione stessa13. Il problema non è tanto formale (di ordine solo logico/matematico) ma assolutamente sostanziale, poiché ‘semantico’ –e quindi ontologico–14: non si possono, infatti, definire i ‘termini/concetti’ di un linguag-gio/referente15 attraverso i suoi stessi termini/concetti …si avrebbero solo tautologie prive di reale contenuto espressivo: vere e proprie ‘identità’ (c = c) di totale inutilità an-che solo linguistica, poiché un termine non può spiegarsi attraverso se stesso [t = f(t)]16 …né una ‘relazione’ aver un solo membro (m ! m)17. Secondo questa acquisizione –passata sotto silenzio o gravemente sminuita dagli am-bienti più dogmatici (anche in campo logico e matematico)– ogni ‘sistema’ o ‘linguag-gio formale’ ha sempre la necessità di basarsi su di un ‘precedente’ (e ‘superiore’) meta-linguaggio/referente, necessario per dare consistenza semantica (ontologica) al linguag-gio/referente stesso. Concretamente, per l’ambito giuridico –soprattutto nelle sue (pretese) teorizzazioni più sistematiche (“pure”?)–: non si dà Legge da Legge, né Diritto da Diritto …Ordinamento da Ordinamento, norma da norma… ecc. Ciò, infatti, renderebbe tauto-logica –e quindi infondata sia semanticamente che ontologicamente– non solo una

ragione, esso non sarà in grado di dimostrare la coerenza di sistemi logicamente più ampi (cfr. più appro-fonditamente: C. CELLUCCI, Le ragioni, 236). 12 La contraddizione è dovuta al paradosso dell’autoreferenza; essa riguarda precisamente “la classe di tutte le classi che non contengono se stesse”. Scriveva Russell a Frege nel 1902: «sia w il predicato: esse-re un predicato che non può essere predicato di se stesso. Si può predicare w di se stesso? Da ogni rispo-sta segue l’opposto. Bisogna dunque concludere che w non è un predicato. Allo stesso modo non esiste una classe (come totalità) di quelle classi che come totalità non appartengono a sé stesse. Ne concludo che in determinate circostanze un insieme definibile non forma una totalità». B. RUSSELL, Lettera a Frege, in G. FREGE, Alle origini della nuova Logica. Epistolario scientifico, (C. MANGIONE, cur.) Torino, 1983, 183-184. 13 Per le teorie semanticamente chiuse [vi è] la necessità di limitare la potenza espressiva delle teorie me-desime, ammettendo che in esse sia possibile definire un predicato di verità solo “parziale”, relativo cioè ad “ambiti di discorso” per i quali le condizioni di verità della proposizione non coincidano esattamente con quanto da essa espresso (cfr. più approfonditamente: C. CELLUCCI, Le ragioni, 236). 14 Lo stretto rapporto tra Semantica ed Ontologia deriva dal fatto che la Semantica cerca proprio d’individuare ‘che cosa’ concretamente ‘stia sotto/dietro’ i segni linguistici (le parole): la sub-stantia sot-tesa al sub-stantivum, l’essenza delle realtà indicate rispetto al ‘modo’ d’indicarle. La Semantica, infatti, indica «propriamente, la dottrina che considera il rapporto dei segni con gli oggetti cui si riferiscono, cioè il rapporto di ‘designazione’. […] La Semantica sarebbe quindi quella parte della linguistica (e in partico-lare della Logica) che studia, analizza, la funzione significatrice dei segni, i nessi tra i segni linguistici (parole, frasi, ecc.) e i loro significati». G. COSENZA, Semantica, in N. ABBAGNANO – G. FORNERO, Di-zionario di Filosofia, 3 ed., Torino, 1998, 976. 15 Il termine “referente” pare più adatto per utilizzare questo genere di concettualizzazioni in campo extra-linguistico, evitando l’inconveniente di un uso nel linguaggio ordinario del termine “linguaggio” utilizza-to nelle Discipline più tecniche. 16 Da leggersi: ‘termine’ come funzione di ‘termine’ (cioè: se stesso!). 17 Da leggersi: ‘membro’ in relazione biunivoca con ‘membro’ (cioè: se stesso!).

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“Teoria pura del Diritto” (in quanto ‘comando’ di uno che …può ‘comandare’, sic!) ma anche ogni e tutte le prospettive in cui –p.es.– ‘Diritto’ e ‘giustizia’ si rincorrano quali espressioni uno dell’altra e viceversa18 …oppure facciano lo stesso i termini/concetti ‘Diritto’ e ‘Legge’… Da notare, per contro, come le concettualizzazioni di Legge19 offerte circa otto secoli fa da S. Tommaso rispettassero già sostanzialmente tali ‘principi limitativi’ post-moderni, rimandando ad un referente ‘superiore’ o comunque ‘previo’. - Di fatto la Legge concepita come «quædam rationis ordinatio ad bonum commune, ab eo qui curam communitatis habet, promulgata» (S. Th., I-II, 90, 4) non solo non presen-ta alcun rischio di tautologia intra-giuridica, ma lega espressamente l’intero ambito giu-ridico alla ratio ed alla sua intrinseca capacità ordinatoria del reale (meta-linguaggio), facendo della Legge un ‘esito’ e non una ‘origine’ …rendendola –almeno semantica-mente– una ‘funzione’ della ragione stessa [L = f (R)]20. - Non di meno per la previa –e dimenticata(!)– ‘idea’ tomistica di Legge come «quædam regula et mensura actuum» (S. Th., I-II, 90, a. 1, co) in cui spicca ancora più evidente –se possibile– la non autoreferenzialità della Legge stessa, ‘riferita’ a categorie ben più ampie quali, appunto, la regola e la misura [L = f((r) ^ (m))]21. Anche la splendida definizione di Dante Alighieri nel suo “De monarchia” non fu meno felice ed epistemologicamente avveduta: «Ius est realis ac personalis hominis ad homi-nem proportio, quæ servata hominum servat sotietatem et corrupta corrumpit» (De Monarchia, II , 5, 3); come dire: I = f(phh)22. Elementi, pur sommari, di questa portata e preclusività strutturale (poiché epistemologi-co-ontologica) diffidano oggi dal continuare a procedere oltre lungo la maggioranza del-le strade percorse sin qui dalle più diverse dottrine sull’identità e fondazione del Diritto, senza potersi più nascondere dietro la loro “classicità” per dissimularne l’effettiva ina-deguatezza23. Ciò che oggi occorre cercare –e ‘verificare’– è dunque il reale meta-referente del Diritto stesso: è questa, in realtà, la sua unica legittimazione, quanto alla ‘sostanza’ e non alle ‘forme’ soltanto. 1.3 Il meta-referente della giuridicità Partendo da siffatta premessa, gli stessi riferimenti già fatti in termini di auto-legittimazione del ‘potere’, ed il loro sostanziale parallelismo con la (au- 18 Nella prospettiva secondo cui: Ius sarebbe obiectum virtutis iustitiæ …mentre iustitia sarebbe unicui-que Ius suum tribuere (cfr. J. HERVADA, Introduzione critica al Diritto naturale, Milano, 1990, 12; 15; 39). 19 È infatti di tutta scorrettezza chiamare ‘definizioni’(!) formulazioni testuali introdotte con un “quædam”. 20 Da leggersi: Legge come funzione della Ragione. 21 Da leggersi: Legge come funzione della regola e della misura. 22 Da leggersi: Ius/Diritto come funzione della proportio dell’uomo all’uomo (tra uomo e uomo). 23 Cfr. J. HERVADA, Introduzione, VI: «[…] è uno schema differente da quello della Scienza giuridica moderna: è un altro schema. Ma ciò non vorrà forse dire che si tratta di uno schema vecchio, già supera-to? No, non è vecchio, ma classico, con tutto quanto comporta comporta di validità attuale».

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to)legittimazione degli Ordinamenti giuridici, permettono di far tesoro anche delle ri-flessioni di Max Weber proprio sulla legittimazione del ‘potere’ stesso24; legittimazione che trova la propria maggior consistenza in un ambito assolutamente extra-politico ed extra-sociale qual è quello della ‘credenza’, che interviene ‘fondando’ a-priori ed estrinsecamente il ‘potere’, prima religioso e poi politico. Il fondamentale rimando all’esperienza socio-politica non muta il proprio valore quand’anche si passi dagli otto-centeschi sistemi politici di matrice liberale (studiati da Weber) alle attuali democrazie ‘occidentali’ legittimate/fondate dal solo consenso elettorale: pur passando dalla ‘cre-denza’ romantico-idealistica sullo Stato come entità ‘suprema’ (quasi trascendentale) a quella sul valore incontestabile della maggioranza –anche solo relativa– dei voti espres-si attraverso il suffragio universale25, il meccanismo rimane invariato. Sempre di pre-supposti extra-politici si tratta! Di fatto, tanto la legittimazione/fondazione di un potere/governo che quella di un Ordi-namento giuridico appaiono a tutti gli effetti come meta-ordinate rispetto ad essi, do-vendo inevitabilmente trovare questi il proprio ‘fondamento’ a monte di se stessi, per via di etero-determinazione o in una base etnica o in una prassi immemorabile o in una guerra vinta o in una rivoluzione ‘riuscita’ o in un colpo di Stato o in un accordo patti-zio o in un ‘finto’ accordo dei consociati26 (et alii). Proprio come già indicato per via epistemologica attraverso i principi d’incompletezza e le loro conseguenze! Ciò manifesta, per altro, l’improbabilità anche logica del c.d. principio di separazione dei poteri (Montesquieu) quale reale ‘legittimazione’ dello Stato di Diritto, di cui costi-tuisce, invece, una istituzionale garanzia minimale endogena: una sorta di auto-tutela strutturale affinché uno Stato già esistente possa strutturarsi in modo duraturo. Tale ‘principio’, infatti, legittima –e bilancia– soltanto i ‘poteri’ dello Stato tra loro: si tratta, cioè, di legittimità di esercizio dei poteri interni ‘allo’ Stato e delle loro necessarie rela-zioni, non di legittimazione del potere ‘dello’ Stato come tale rispetto agli altri Stati o a quella ridotta parte di umanità che finisce per costituirne “i –suoi– cittadini”.

24 Cfr. M. WEBER, Economia e società, Milano, 1961 [orig.: M. WEBER, Wirtschaft und Gesellschaft, Tu-binga, 1922]. 25 In perfetto ossequio, in realtà, al presupposto che tale ‘suffragio’ possa/debba competere solo a chi ab-bia compiuto una certa età, sia ‘cittadino’ (anche se residente all’estero), non abbia perduto il ‘diritto’ al voto attivo, ecc. senza addentrarsi nei diversi sistemi elettorali: proporzionali o maggioritari, con o senza ballottaggio, ecc. Non sarà inopportuno ricordare in merito le questioni sorte nell’anno 2000 in occasione dell’ultima riele-zione di G.W. Bush alla presidenza degli Stati Uniti: la differenza con lo sfidante Al Gore si giocò su soli 500 voti in Florida; ciò che però più conta per le presenti considerazioni sono i numeri totali: G.W. Bush ottenne 50.460.110 voti (47,9%) contro i 51.003.926 (48,4%) di Al Gore, da un totale di 105.417.258 vo-tanti, su una popolazione al tempo di 281.421.906. 26 «Le Leggi sono le condizioni, colle quali uomini indipendenti ed isolati si unirono in società, stanchi di vivere in un continuo stato di guerra e di godere una libertà resa inutile dall’incertezza di conservarla. Es-si ne sacrificarono una parte per goderne il restante con sicurezza e tranquillità. La somma di tutte queste porzioni di libertà sacrificate al bene di ciascheduno forma la sovranità di una Nazione, ed il sovrano è il legittimo depositario ed amministratore di quelle». C. BECCARIA, Dei delitti e delle pene, § I.

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Dovendo così trovare sia per l’ambito ‘politico’ che per quello ‘giuridico’ un meta-referente in grado di semantizzare/concettualizzare adeguatamente (fondare) tali ambiti eminentemente fattuali (empirici) del vivere umano, non pare dubitabile come il meta-ambito/referente da cui ‘derivare’ non solo la loro semantica ma anche l’ontologia sia –e debba essere– quello ‘sociale’: la concreta vita sociale di cui l’umanità è il soggetto attivo. Potere/governo ed Ordinamento giuridico non possono essere adeguatamente ‘definiti’ se non a partire dalla vita sociale… da quel ‘vivere in società’ ormai acquisito come elemento decisivo della stessa umana esistenza (e consistenza). Governo politico ed Ordinamento giuridico derivano, e quindi, devono essere definiti/fondati/legittimati a partire dal vivere sociale dell’umanità. Non si può definire l’Ordinamento giuridico se non attraverso la realtà/semantica della socialità/societarietà. Ciò significa che ‘potere/governo’ da una parte e ‘Ordinamento/Diritto’ dall’altra non possono essere intesi come elementi in qualche modo ‘autonomi’ …o addirittura ‘tra-scendentali’27 rispetto all’umanità stessa (suoi ‘a priori’, com’è stato nelle diverse mito-logie ed ideologie), ma solo come ‘prodotti’ del vivere sociale: «il Diritto non è un’isola galleggiante; è invece radicatissimo nella società, ma è un qualcosa che specifica la glo-balità del sociale, l’incandescenza del fatto sociale»28, «nella sua essenza e nella sua origine nativa è invece dimensione dell’esperienza, nasce dal basso spontaneamente, giacché è la stessa società che si auto-ordina osservando collettivamente le regole libe-ramente poste in essere»29. Dunque: fenomeni antropologici. Di profondissimo livello, ma pur sempre ‘prodotti umani’30 …non meno che (semplici) ‘relazioni’ dal punto di vista ontologico-metafisico; nel seno del Diritto «tutto è relativo a qualcun altro o a qualcos’altro; la sua struttura interiore si concreta sempre in una relatio ad»31.

27 Cfr. P. GHERRI (ed.), Categorialità e trascendentalità del Diritto. Atti della Giornata Canonistica Inter-disciplinare, Roma, 2007, 216: «il Diritto in nessuna delle sue ‘declinazioni’ è ontologicamente preceden-te la realtà umana (l’esserci della persona umana) ma sgorga autenticamente da essa, senza bisogno di ‘elementi’ esterni di qualunque natura/valore. Qualunque uso del termine/concetto di Diritto (o giuridico) che contravvenga questa consapevolezza si pone fuori del dominio della giuridicità, autoprivandosi di qualsiasi credibilità e giustificazione». 28 P. GROSSI, Società, Diritto, Stato. Un recupero per il Diritto, Milano, 2006, 36. 29 Ivi, 150. 30 Che la cosa non sia affatto ancora recepita in molti ambienti ‘canonistici’ (ecclesiastici) è provato an-che da quanto emerso durante un (primo informale) incontro tra docenti di “Teologia del Diritto canoni-co” in Italia tenutosi lo scorso 16 febbraio 2010; in esso alla domanda –del sottoscritto– se si ritenga che “il Diritto sia un trascendentale dell’umano” la risposta convinta ed espressa di uno dei presenti più auto-revoli –assecondata da qualcun altro– è stata: “certamente sì”! Sulla natura ‘poietica’ (=costruttiva) del Diritto non paiono esiste dubbi dal punto di vista metafisico ed ontologico: cfr. A. LIVI, Metafisica del Diritto e costruzione dei rapporti giuridici, in P. GHERRI (ed.), Categorialità e trascendentalità del Diritto. Atti della Giornata Canonistica Interdisciplinare, Città del Vaticano, 2007, 122; 131; A. LIVI, Presentazione, in F. ARZILLO, Esperienza giuridica e senso comune. Sul fondamento ontologico del Diritto, in Sensus communis. Annuario di logica aletica, nuova serie X (2009), 12; 14. 31 P. GROSSI, Società, 83.

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Ciò comporta, per altra via, esattamente la stessa necessità evidenziata per via epistemo-logica dai principi d’incompletezza di Gödel e Tarski: semantizzare ‘Ordinamento’ e ‘giuridicità’ senza parlare di ‘Diritto’! La questione non è oziosa poiché la connessione ed inter-dipendenza tra Ordinamento giuridico e Diritto appare del tutto strutturale e, da parte di molti autori, non risulta pos-sibile, attualmente, parlare di Ordinamento giuridico senza far uso del termine/concetto “Diritto” …senza voler qui dimenticare come –ancor oggi– questo tipo di discorsi sia ben difficilmente emancipabile dal ruolo/funzione della Legge, sia in riferimento agli Ordinamenti che al Diritto stesso, soprattutto nei sistemi di civil Law …e –almeno ten-denzialmente– per lo stesso Diritto canonico, secondo linee dottrinali ancora fiorenti e dominanti32. 1.4 Una proposta sintetica plausibile Tenendo conto di quanto sin qui illustrato, soprattutto a partire dalle incapacità della dottrina tradizionale(istica) di dare spiegazioni oggi plausibili del rapporto giuridicità-Diritto-Legge, pare ormai possibile proporre una linea di sviluppo teoretico alternativa e prospettica che sia [a] epistemologicamente corretta, oltre che [b] profondamente fe-dele ai dati della Scienza circa la lunga, complessa e variegata, storia della giuridicità, non senza anche [c] necessarie aperture verso la complessità del fenomeno giuridico contemporaneo e comparato (varietà dei sistemi di common Law, Diritto internazionale, Diritto canonico, Diritti religiosi in genere, Diritti dell’Oriente del mondo, Diritti vigen-ti ma non promulgati… Consuetudini, Diritti storici). Tale ‘linea alternativa e prospetti-ca’ permetterà inoltre [d] di offrire –finalmente– alla Canonistica quell’adeguata con-cettualizzazione di ‘Diritto’ di cui gli ultimi cinquant’anni non hanno potuto giovarsi33 …con le inevitabili contrapposizioni falsamente epistemologiche tra le diverse –non chiamatele più così(!)34– “Scuole canonistiche” o gli inefficaci irenismi teoretici di chi dà per ‘presupposto’ il concetto stesso di Diritto …predicandone poi caratteristiche e funzioni del tutto insostenibili ed infruibili tanto dal punto di vista teoretico che pratico. Si tratta –molto semplicemente– di considerare giuridicità, Diritto e Legge come realtà funzionalmente ‘susseguenti’ e subordinatamente gerarchiche della istituzionalizzazione del sociale: veri e propri sotto-referenti (o sotto-ambiti) ciascuno dei quali funge da me-ta-referente per la semantizzazione35 di quello successivo, che risulta –così– in esso

32 Si veda solo sommariamente il già citato G. Ghirlanda (G. GHIRLANDA, Il Diritto, 15), non meno che la relazione di Mons. I.J. Arrieta in questo stesso XIV Colloquio giuridico. 33 Cfr. C.M. REDAELLI, Il concetto di Diritto tra Concilio e Codice, Milano, 1991. 34 Cfr. R. TORFS, Les écoles canoniques, in Revue de Droit canonique, XLVII (1997), 104; qualcosa in merito anche in: L. GEROSA, Teologia del Diritto canonico: fondamenti storici e sviluppi sistematici, Lu-gano (CH), 2005, 120-122. 35 In una concezione realista della conoscenza è necessario assumere che Semantica ed Ontologia si corri-spondano nel modo più stretto possibile, secondo la sollecitazione popperiana circa l’essenzialismo meto-dologico: «si è detto che il compito della Scienza sociale è comprendere e spiegare quelle entità sociolo-giche come lo Stato, l’azione economica, il gruppo sociale, ecc. E che ciò può farsi soltanto col penetrare nelle loro essenze. Ogni entità sociologica di qualche importanza presuppone termini universali per la sua descrizione, e per questo suo compito sarebbe futile introdurre liberamente […] nuovi termini. Il compito

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contenuto e quindi ‘fondato’, in modo che –prima– la giuridicità fondi il Diritto e –poi– questo la Legge36. In tal modo: quale ultima istanza, la Legge risulta –solo– ‘una’ espressione del ben più articolato Diritto; per parte sua il Diritto appare (solo) ‘una’ delle espressioni –molteplici e sempre parziali– della più radicale giuridicità, la quale si presenta, a sua volta, come una delle modalità in cui si esprime la necessaria istituzionalizzazione del vivere sociale di gruppi umani abbastanza ampi da non riuscir più a reggersi che attra-verso opportune strutturazioni funzionali del gruppo umano stesso, al di là degli equili-bri relazionali propri delle strutture di natura tribale/familiare. Qualora al linguaggio più sociologico si preferisca quello più giuridico, si potrebbe/dovrebbe parlare di ‘ordina-mento’ anziché ‘istituzionalizzazione’, senza che tuttavia nulla cambi nell’impostazione di fondo della prospettiva. Si tratta, in definitiva, di una visione come a cerchi concentrici, illustrata, supportata, assistita e comprovata dalle Scienze storico-sociali, articolata in tre sostanziali macro-tappe. Prima tappa) Uscendo dalle [a] logiche e relazioni semplicemente parentali tipiche di famiglia/clan/tribù, si passa dapprima ad una [b] elementare strutturazione sociale su base etnico-culturale, che evolve assumendo tratti sempre maggiori di [c] società istitu-zionale complessa, la cui crescita e strutturazione funzionale rende inevitabile che [d] si fissino regole comportamentali pubbliche, chiare e sanzionabili da/per tutti, dando così corpo –a questo ‘livello’ di evoluzione della convivenza sociale (diventata ormai ‘popo-lo’)– all’esperienza più elementare della giuridicità come ‘ordo’37. È la fase ‘sacrale’ del Giudizio ancora caratterizzata dall’assegnazione ai Pontifices (o equivalenti nelle diverse culture) del compito di “Ius dicere”, spesso in modo oracolare e/o ordalico38, ben rappresentata dalla ‘giustizia’ bendata con la spada in mano. Seconda tappa) Lo stratificarsi e consolidarsi di questo agire giuridicamente, soprattut-to nelle crisi e patologie socio-relazionali tipiche di popolazioni ormai socialmente complesse ed articolate, dà progressivamente corpo alla [e] attività giudiziaria, trasfor-mando le precedenti forme ‘socio-istituzionali’ in giuridiche39. Quanto ‘condensato’,

della Scienza sociale è descrivere tali entità con chiarezza e in modo appropriato, cioè distinguere l’essenziale dall’accidentale; ma ciò richiede la penetrazione della loro essenza». K. POPPER, Miseria del-lo Storicismo, Milano, 2002, 46. 36 Si tratta, in fondo della linea ormai ben delineata da P. Grossi secondo la relazione società-Diritto-Stato: cfr. P. GROSSI, Società, XII: «l’intitolazione del volume, sia pure assai sommariamente, rispecchia tutto ciò che abbiamo or ora scritto. La consecuzione dei tre termini –Società, Diritto, Stato– vuole sotto-lineare il vincolo primario fra Diritto e società troppo compresso durante la modernità da quello fra Dirit-to e Stato, che non può non esserci ma che si pone secondario». 37 «Ordine e il suo derivato ordinamento fanno riferimento a una pluralità, che resta e deve restare plurali-tà, che però l’ordine è chiamato ad armonizzare. Ordine (e ordinamento) significano sempre armonia di diversità, dove armonia vuole essere rispetto e salvaguardia delle diversità. La realtà in cui opera l’ordine è complessa (altrimenti, non ve ne sarebbe bisogno), ma non viene sacrificata nella sua complessità dalla azione ordinativa». P. GROSSI, Società, 203-204. 38 Cfr. P. GHERRI, “Ius divinum”: inadeguatezza di una formula testuale, in J.I. ARRIETA (ed.), Ius di-vinum, Venezia, 2010, 476. 39 È –solo– a questo punto che probabilmente si può parlare in modo proprio di ‘ordinamento’.

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modellato e plasmato, dall’attività gius-dicente (Giurisprudenza) tende ad assumere le caratteristiche della generalità e della stabilità che traspaiono nei principia Iuris e nelle Institutiones, da cui deriva essenzialmente [f] il Diritto propriamente detto ed inteso (ex facto oritur Ius; Ius sequitur vitam)40 quale sostanziale ‘grammatica’ del vivere giuridi-camente41. È quanto corrisponde più direttamente alla fase del Diritto romano caratte-rizzata dalle Legis actiones concesse (ormai!) dai Magistrati, raffigurata dalla ‘giustizia’ con la bilancia. Terza tappa) Sviluppo –solo– possibile degli Ordinamenti (ormai pienamente) giuridici può essere quello [g] legislativo42 in cui i principi, i concetti, gli Istituti giuridici, ven-gono organizzati come un funzionale ‘a priori’ rispetto all’agire sociale e ad esso ricon-segnati per modellarne la fisionomia e la fisiologia [civil Law], nella convinzione –spesso ideologica, perché infondata in factis– che una tal ‘prevenzione’ giovi al vivere sociale più della sola gestione della sua patologia …come avviene, invece, negli attuali e fiorenti regimi di common Law… spesso ben più efficaci di quelli rigidamente codi-ciali. Con buona pace di qualsiasi autoritarismo, Normativismo e Positivismo –tanto umano che ‘divino’– l’attuale cognizione del fenomeno giuridico (universale) non pare disco-starsi significativamente da questa linea, che risulta semplicemente ‘progressiva’ (e non necessariamente ‘evolutiva’) solo in quanto cronologicamente dispiegata attraverso i millenni e non nel senso storicistico di necessario miglioramento(!). Ad ulteriore, parziale, comprovamento di quanto qui proposto –ed a sua maggior teoriz-zazione–, è possibile individuare anche quelle che possono considerarsi le due ‘soglie’ costitutive dell’Ordinamento giuridico propriamente inteso, ben al di là di qualunque attività normativa in se stessa (tanto meno di quella formale): prima soglia) la concreta possibilità di rendere effettivo l’Ordinamento stesso attraverso l’instaurazione di qualunque forma di ‘giudizialità’ esercitata in modo ‘pubblico’ e ‘lai-co’ (attraverso Iudices e non Pontifices) in foro esterno43 …com’è avvenuto per lunghi secoli anche nell’Europa medioevale attraverso l’applicazione giudiziaria delle Consue-tudini; seconda soglia) la concreta possibilità d’insegnare il Diritto a scuola attraverso le Insti-tutiones, come fu ininterrottamente dalle scuole romane dello Ius civile, a Gaio, a Giu-stiniano, ai giorni nostri …anche attraverso i ‘secoli oscuri’ che precedettero il fulgore bolognese44. 40 È questa la matrice dei sistemi di common Law e dello stesso Diritto canonico. 41 Cfr. P. GHERRI, Quali istanze istituzionali pone oggi la pastorale al modo in cui comprendere e vivere il cammino di Iniziazione cristiana? Prospettiva canonistica, in G.I.D.D.C. (cur.), Iniziazione cristiana: Confermazione ed Eucaristia, coll. Quaderni della Mendola, n. 17, Milano, 2009, 114-115. 42 Com’è accaduto nella tarda fase romanistica (Giustiniano) e nell’esperienza delle codificazioni legisla-tive dell’Europa mediterranea e continentale dal XIX secolo in poi. 43 Cfr. G. LO CASTRO, Presentazione, in E. LABANDEIRA, Trattato di Diritto amministrativo canonico, Milano, 1994, VIII. 44 Si veda in proposito un modesto –per quanto insolito– apporto alla romanistica pre-bolognese delineato in: P. GHERRI, L’insegnamento reggiano del Diritto giustinianeo nell’XI secolo, in Bollettino storico reg-giano, XLI (2009), n. 139, 9-27.

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Contro ogni ideologia occorre riconoscere ed ammettere che il Diritto esiste compiuta-mente non per ‘promulgazione’ di qualche norma/disposizione/Legge da parte di ‘un’ qualche legislatore45, ma ogni volta che sia possibile applicarlo ed insegnarlo all’interno di una società istituzionalizzata. Che Giustiniano abbia ‘promulgato’ –ad instar Legis– il Digesto (Iura) e le Istituzioni la dice lunga in merito, non meno che la natura espressamente compilativa della mag-gior parte delle ‘codificazioni’ (meglio dette ‘consolidazioni’46) medioevali e rinasci-mentali di Consuetudini raccolte e pubblicate in Europa prima della Rivoluzione france-se47. L’Ordinamento canonico ed il suo Diritto, poi, risultano vigenti ininterrottamente per diciannove secoli, pur non potendosi parlare di vera ‘Legge’ prima della codifica-zione del 1917. 2. GIURIDICITÀ COME QUALIFICAZIONE ESISTENZIALE 2.1 Precedenza tra giuridicità e Diritto La ‘ricostruzione’ fenomenica e teoretica così sommariamente proposta, se permette a qualcuno di superare in tutta scioltezza la questione –assolutamente pregiudiziale per la stessa concezione del Diritto– della precedenza concettuale ed ontologica della giuridi-cità rispetto al Diritto stesso –oltre che della società rispetto alla giuridicità–, può susci-tare per contro forti reazioni emotive in coloro che abbiano ‘appeso’ al Diritto –quando non alla Legge o al legislatore(!)– l’intero ambito della giuridicità. Un cauto supporto alla ricomposizione emotiva –oltre che teoretica– potrebbe venire proprio dall’analisi del fenomeno stesso del “vivere giuridicamente” –come l’ha chia-mato Sergio Cotta48– …rispetto al quale gli elementi di condivisibilità sono certamente numerosi e plausibili, come ha ben mostrato lo stesso autore attraverso il suo approccio

45 «Il legislatore! Questa entità suprema che il giurista mediocre menziona di continuo quasi evocando una creatura numinosa, però dai contorni pressappoco antropomorfici, in guisa non molto diversa da co-me l’antico credente evocava Giove insediato sull’Olimpo; questo nume tutelare che è servito –e serve– ad ammantare e riparare (ma anche a incentivare) la proverbiale pigrizia dei giuristi; questo legislatore troppo idealizzato va finalmente deposto da un olimpo immeritato, e guardato nelle sue miserie». P. GROSSI, Società, 314. 46 Per indicare e definire queste raccolte normative anteriori ai Codici moderni –e da essi formalmente e sostanzialmente distinte– fu introdotto nella prima metà del Novecento il termine/concetto di “consolida-zione” ad indicare una raccolta sistematica o cronologica di materiale legislativo omogeneo antecedente ed ancora in vigore eventualmente modificato e adattato secondo l’esigenza del tempo (cfr. M.E. VIORA, Consolidazioni e codificazioni: contributo alla storia della codificazione, 3 ed., Torino, 1967). 47 1588 - Barnaba Brissonio (cur.): Code Henri III, non ufficializzato; 1603 - Tommaso Cormier (cur.): Code Henri IV, privato; 1605-1643 - Carlo Tapia (cur.): Codex Philippinus, non ufficializzato; 1629 - Michel de Marillac (cur.): Code Michau, ordinanza regia; 1667 - J.B. Colbert (cur.): Code Louis XIV, or-dinanza regia; 1731; 1735; 1747 - H.F. d’Aguesseau (cur.): Codes Louis XV, ordinanze regie; 1740 - Francesco di Guarient (cur.): Codex Austriacus, ufficiale; 1771 - Codice estense, ufficiale; 1778/1787 - Codice della toscana legislazione, ufficiale; 1780 - Codice feudale della serenissima Repubblica di Vene-zia, ufficiale; 1786 - Codice Leopoldino, ufficiale; 1789 - Giuseppe Cirillo (cur.): Codice carolino, non ufficializzato. 48 Cfr. S. COTTA, Perché il Diritto?, 5 ed. ampliata, Brescia, 1996, 20-21; 39; 61; 77; 83; 108; 109; 110; 114; 115.

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esistenziale al Diritto49 (per quanto occorra molta prudenza verso il presupposto ‘nor-mativo-ontologico’ che lo accompagna). Come ben rimarca anche Paolo Grossi50: sotto il profilo storico è innegabile la prece-denza della giuridicità, intesa come dimensione operativa vigente all’interno di una ‘so-cietà’, rispetto al Diritto, inteso nella sua accezione più ‘attuale’ di corpo normativo au-toritativamente vigente. Alcune ‘testimonianze’ risultano inconfutabili in merito: [a] il sorgere e consolidarsi della più grande esperienza giuridica dell’umanità: quella roma-na, [b] il consolidarsi del Diritto internazionale e comunitario, [c] lo spazio e la portata in termini di effettività della Consuetudine e, oggi, del Diritto commerciale internazio-nale, quali ‘norme’ vigenti, anche se non promulgate da alcun legislatore, [d] la conce-zione c.d. ‘realistica’ del Diritto maturata nell’Occidente extra-continentale durante il Novecento. a) Il lungo cammino di delineazione e crescita dello Ius civile fino alle soglie dell’età imperiale pone dinnanzi ad un fenomeno apparentemente paradossale (in realtà del tutto coerente con gli attuali sistemi giuridici di common Law) in cui non erano affatto forma-lizzati dei ‘diritti’ come tali, ma era semplicemente concessa una tutela giudiziaria (in realtà solo arbitrale) degli ‘interessi’ di singoli o gruppi attraverso le varie Actiones che i Magistrati concedevano a coloro che si rivolgessero ad essi reclamando tutela51. Non è banale considerare come l’ambito in cui tale forma di giuridicità sorse e si consolidò sia stata sostanzialmente la sola Urbs/Civitas (ed i suoi membri); l’estensione dello Ius Quiritum (i discendenti di Romolo) all’intero territorio imperiale fu infatti graduale lun-go i secoli, coinvolgendo dapprima i Latini, poi gli Italici (“guerra sociale” - 90-88 a.C.)… per coprire solo verso la fine l’intero Impero (Editto di Caracalla - 212 d.C.), as-secondando in ciò il progressivo complessificarsi ed ordinarsi di elementi socio-politici. b1) Il Diritto internazionale cresciuto in modo irreversibile –ed incontestabile– nell’ultimo secolo si mostra palesemente come difforme dai presupposti della giuridicità autoritaria e volontarista che caratterizza buona parte del Diritto europeo continentale (civil Law). Nel Diritto internazionale tutto accade per libera decisione ed adesione dei membri che si auto-vincolano a norme e regole assolutamente convenzionali (pattizie) la cui esistenza e fruizione assicura a tutti vantaggi superiori a qualunque ‘prezzo’ ri-chiesto o necessario per la loro applicazione52. Nessun legislatore, nessuna doverosità… ma un accordo funzionale tanto più effettivo quanto più effettivamente osservato. Nes-suno, oggi, contesterebbe la ‘legittimità’ del Diritto internazionale, pur non potendolo suffragare per altra via che l’accettazione da parte di (quasi) tutti: principio di effettività

49 Cfr. ivi, 23; 26; 28; 39; 77; 110; 125; 140. 50 Cfr. P. GROSSI, Prima lezione di Diritto, Bari-Roma, 2003, 74-75. 51 Di qui –e solo di qui ed in questo contesto– l’affermazione, abusata nella dottrina canonistica, secondo cui «omnis definitio in Iure civili periculosa est: parum est enim ut non subverti possit» (JAVOLENUS, Epistolarium, 11, in D. 50, 17, 202) poiché proprio quel ‘Diritto’, che non era né scritto né espressamente formalizzato, non poteva esser dato per ‘certo’. 52 Come, forse, in altre fasi della storia occidentale, l’attuale prevalenza del fattore economico porta a ri-durre al minimo le distruzioni di produttività causate dai conflitti bellici, ponendo il Diritto come stru-mento economicamente più favorevole, per quanto non meno efficace.

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…anche perché le sanzioni comminate da una maggioranza hanno comunque un peso difficilmente trascurabile. b2) Non radicalmente diverso dal Diritto internazionale è il Diritto comunitario che ca-ratterizza in modo crescente la fisiologia dei rapporti tra vari Paesi europei. Anche in questo caso la pura effettività dell’Ordinamento osservato è decisiva, poiché la qualità espressamente normativa degli strumenti giuridici ‘comunitari’ è, di per sé, addirittura confliggente con alcuni degli stessi presupposti (ottocenteschi) degli Stati moderni con-fluiti ormai nell’Unione (p.es.: il superiorem non recognoscens). Che un legislatore na-zionale/statuale debba ‘recepire’ dall’esterno norme che in realtà non sono tecnicamente né Leggi, né Trattati internazionali, ma –semplici– “Direttive” di un Organismo sovra-nazionale (ma non federale) ripugnerebbe a qualunque giurista ‘moderno’ …pena la ri-mozione del concetto stesso di Stato, che pure oggi teoreticamente si continua a profes-sare in Europa. Eppure, al di sopra dei legislatori nazionali, esiste una fonte effettiva di Diritto …ed una Corte che ‘giudica’ e sanziona gli Stati stessi …anche ‘contro’ i loro stessi cittadini …e non necessariamente per “violazioni di Legge”. c1) Nella stessa linea concettuale la Consuetudine, che ha governato per decine di secoli la vita dei popoli germanici (e non solo), si presenta espressamente come ‘negazione’ di ogni formalizzazione previa di ‘un’ Diritto come tale, enfatizzando ancora una volta l’effettività dell’osservanza di comportamenti che, in quanto tali, ‘nessuno’ aveva mai intenzionalmente stabilito, ma tutti –di fatto– osservavano con la convinzione che così doveva essere. È significativo in proposito che tra gli elementi costitutivi della Consue-tudo si collochi non solo/tanto la tautologica opinio Iuris [I = f(I)]53 quanto la molto più realistica e ‘robusta’ opinio necessitatis [I = f(n)]54 che ne evidenzia quale meta-referente in un ambito assolutamente esistenziale la necessitas55 che S. Romano ha pre-sentato «come fatto normativo fondamentale, cioè intrinsecamente giuridico e non già meramente socio-politico»56. c2) Il Diritto internazionale commerciale è un’altra delle evidenze in fatto di Ordina-menti effettivamente e necessariamente osservati pur senza avere alla propria base né legislatori né Giudici. Si tratta delle esperienze (private) –ancora una volta europee– di “Unidroit” per l’unificazione del Diritto privato dei contratti commerciali e della “Commissione per il Diritto europeo dei contratti”. In esse emerge una Scienza giuridi-ca non solo a-statuale, ma dinamica ed efficace ben oltre l’inettitudine e la lentezza de-

53 Da leggersi: Ius/Diritto come funzione del Ius/Diritto. 54 Da leggersi: Ius/Diritto come funzione della necessità. 55 Non si tralasci concettualmente come spesso sia l’utilità che la convenienza siano state all’origine di espressi comportamenti (prima) ed Istituti giuridici (poi) lungo la storia. 56 P. GROSSI, Società, 153. «Quella necessità che è la fonte prima del Diritto, di quel Diritto che scaturisce immediatamente e direttamente dalle forze sociali, in modo così categorico, esplicito, certo, da non per-mettere che tra i bisogni sociali stessi che determinano la norma giuridica e il rinvenimento e la dichiara-zione di quest’ultima si frapponga l’attività razionale degli organi competenti a questa dichiarazione. La necessità così intesa non è un presupposto della ‘regula Iuris’, ma è essa stessa Diritto, nel senso che que-sto è un suo prodotto immediato e, per dir così, di primo grado, il legislatore non fa che prenderne atto e consacrarla». S. ROMANO, Osservazioni preliminari per una teoria sui limiti della funzione legislativa nel Diritto italiano, in S. ROMANO, Lo Stato moderno e la sua crisi. Saggi di Diritto costituzionale, Milano, 1969, 142.

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gli Stati e dei loro Organi legislativi57. Le conseguenze economiche –d’altra parte– dell’attività commerciale mondiale non possono attendere né norme né Giudizi che dif-feriscano di (decine di) anni le proprie ‘certezze’: meglio sapere subito ‘chi’ e ‘quanto’ perde o realizza in conseguenza di fatti ed eventi –anche– del tutto imprevedibili che in-tervengano nella complessa maglia di servizi e prodotti che attraversano il mondo 24 ore su 2458. d) La non-costitutività per l’esistenza del Diritto né della norma né di un qualche legi-slatore, è posta in evidenza –non solo sul piano teoretico– anche dalla c.d. concezione realista del Diritto59, di matrice scandinava (Scuola di Uppsala: A. Hägerström, K. Oli-vecrona, A. Ross) e nord-americana (R. Pound, O.W. Holmes, J. Frank) che sposta il Diritto addirittura nel futuro: ciò che le Corti decideranno60 [I = f(dC)]61. In tale prospet-tiva, addirittura, è la stessa Giurisprudenza in acto (la “Law in action” di R. Pound) a costituire lo Ius dicendum da parte dei Giudici, ben oltre i Principia Iuris (“Law in books”) e lo “stare decisis” su cui per secoli si sono retti i sistemi giuridici di common Law. Come, allora, non riconoscere la natura espressamente strumentale del Diritto? E, di più, la sua espressa natura pacificatoria62? Ius contra noxium! Ius contra conflictum! Infatti: non sono nati prima i ‘diritti’ (rights) ma la protezione dai danni subiti …o pro-babili! È il conflitto che genera il Diritto63; il Diritto, anzi, costituisce la “struttura del conflit-to”, rappresentando proprio «lo schema strutturale del conflitto tra gli interessi e tra i gruppi»64 … la via, dunque, nella quale i conflitti si incanalano65; «se la società non si 57 Cfr. P. GROSSI, Prima lezione, 70-71. «I grandi potentati economici non si arrestano di fronte a impo-tenze, sordità, lungaggini dei poteri ufficiali, ma producono Diritto, pretendono di produrre per proprio conto Diritto. Ed è questo un fatto veramente nuovo di questi ultimi venti anni: se, prima, il potere politi-co aveva preteso il monopolio del giuridico, ora tutto si sta pluralizzando e accanto ai canali ufficiali degli Stati e delle organizzazioni sopranazionali vediamo emergere e rafforzarsi quelli privati; i quali, natural-mente, hanno una loro genesi e una loro vita indipendenti, e approdano a giudici privati; canali che corro-no perfettamente paralleli, ignoranti gli Stati e ignorati dagli Stati». P. GROSSI, Società, 121. 58 Il fermo del traffico aereo anche commerciale del mese di maggio 2010 in seguito all’eruzione del vul-cano islandese può ben indicare circostanze di questo tipo; non meno di altre circostanze in cui siano in-vece fattori umani la causa di tali ‘imprevisti’: disastri ecologici, guerre, pirateria… 59 Cfr. V. FERRARI, Prima lezione, 32. 60 È solo il caso, qui, di accennare come sia questa la ‘corretta’ concezione attuale dal punto di vista dot-trinale del c.d. realismo giuridico …diversamente da quella abbracciata da alcuni canonisti di scuola spa-gnola che vorrebbero indicare con la formula “realismo giuridico classico” (cfr. M. VILLEY, Questions de saint Thomas sur le Droit et la politique, Paris, 1987) la ‘propria’ concezione del Diritto come derivante dalla “ipsa res iusta” (cfr., esemplarmente, HERVADA, Introduzione critica al Diritto naturale, Milano, 1990, VI; C.J. ERRÁZURIZ, Corso fondamentale sul Diritto nella Chiesa. I. Introduzione. I soggetti eccle-siali di Diritto, Milano, 2009, V; VI; C.J. ERRÁZURIZ, Metodo giuridico e metodo teologico nello studio del munus docendi Ecclesiæ, in D. CITO - F PUIG (curr.), Parola di Dio e missione della Chiesa. Aspetti giuridici, Milano, 2009, 10-11; J.P. SCHOUPPE, Le réalisme juridique, Bruxelles, 1987; F. PUIG, La esen-cia del Matrimonio a la luz del realismo jurídico, Pamplona, 2004). 61 Da leggersi: Ius/Diritto come funzione delle decisioni delle Corti. 62 Cfr. F. D’AGOSTINO, Filosofia del Diritto, Torino, 1996, 225-227. 63 Cfr. V. FERRARI, Prima lezione, 43. 64 V. TOMEO, Il Diritto come struttura del conflitto. Una analisi sociologica, Milano, 1981, 85.

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concreta in una incomposta, perenne rissa, ciò lo si deve soprattutto alla funzione ordi-nativa del Diritto»66. Fu infatti dalle Actiones che nacquero –per ‘standardizzazione’ funzionale della inevita-bile ripetitività dell’agire umano– gli Iura… e, solo dopo, le Leges… come noi le inten-diamo oggi. È questo, d’altra parte, il motivo per cui il Diritto si interessa –solo– delle cose esteriori e visibili: “de internis non iudicat Prætor” non perché non siano accessibili alla sua in-dagine e conoscenza, ma perchè l’internum non è –in se stesso– strumentale alle rela-zioni sociali67 e –più ancora– alle loro degenerazioni …per quanto possa poi rilevare a livello di motivazioni quale aggravante o attenuante dell’atto effettivamente posto con danno (noxium) altrui: non l’odio (morale) ma il danno (effettivo) è oggetto di Giudizio ‘giuridico’. D’altra parte, lo stesso Prætor non iudicat –neppure– de minimis, seppure in externis: le c.d. bagatelle a cui l’Ordinamento come tale non può essere asservito …pena la sua ‘distrazione’ dalla funzione prioritaria di ‘ordinare’ la vita socio-relazionale della comunità di sua competenza. L’instaurarsi di diverse Magistrature e loro ‘gradi’ ha proprio lo scopo della tutela funzionale dell’identità dell’Ordinamento in se stesso, anche nei suoi ‘livelli’ inferiori come quelli affidati, p.es. ai Giudici di pace, prima che alla Magistratura ordinaria. Senza trascurare l’immenso –ed oggi crescente– ambito puramente arbitrale. In questa prospettiva risalta in pienezza la natura prettamente ‘strumentale’ del Diritto68 quale ‘prodotto umano’69 di natura tecnica, destinato a supportare l’organico relazionar-si di diversi soggetti, in un clima di reciprocità70, all’interno di specifici ‘spazi vitali’ ed operativi (contesto sociale istituzionalizzato)71. Il Diritto va così riconosciuto non come una ‘cosa’ (res) …un datum (casomai di origine trascendente/divina), ma come una ‘modalità relazionale’ (relatio)72: proprio la medioevale “hominis ad hominem propor-tio” magistralmente espressa da Dante73.

65 Cfr. V. FERRARI, Prima lezione, 10. 66 P. GROSSI, Società, 203. 67 Ché sarebbe, invece, ‘causale’! 68 Cfr. P. GHERRI, Lezioni, 19-21. 69 Cfr. A. LIVI, Metafisica del Diritto e costruzione dei rapporti giuridici, in P. GHERRI (cur.), Categoria-lità e trascendentalità del Diritto, Città del Vaticano, 2007, 122; anche in Apollinaris, LXXX (2006), 122. 70 Cfr. F. D’AGOSTINO, Fondazione del Diritto, in Fondazione del Diritto. Tipologia e interpretazione della norma canonica, Coll. Quaderni della Mendola, n. 9, Milano, 2001, 11-12. 71 Nell’esperienza antropologica comune non si dà rilievo al Diritto nel rapporto interpersonale ‘primario’ quale quello amicale, familiare ed altri simili; quando, infatti, questo avvenisse si avrebbe l’immediata negazione del rapporto primario stesso. 72 Cfr. R. DI CEGLIE, Il Diritto come “relazione”: per un’analisi metafisica, in P. GHERRI (ed.), Catego-rialità, 77-95 [anche in: Apollinaris, LXXIX (2006), 77-95]. 73 Per qualcuno è addirittura «‘Diritto’ è anzitutto una parola. Ed è una parola che, come già visto, viene usata in diversi contesti discorsivi con significati diversi. Non ha infatti un referente reale, visibile e tan-gibile, su cui tutti i parlanti convengano senza eccezioni, come usualmente si conviene su parole come ‘gatto’ o ‘alluminio’. Piuttosto, essa evoca concetti, idee, immagini, sentimenti che differiscono da perso-na a persona». V. FERRARI, Prima lezione, 34.

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Di più: secondo la prevalenza dell’attuale Sociologia (non solo giuridica) il Diritto è un ‘sistema di comunicazione’ prima che di norme74. Ne deriva la convenienza –almeno per chiarezza concettuale– di non utilizzare il termi-ne “Diritto” tout-court per indicare ciò che caratterizza questo particolare ‘aspetto’ della relazionalità sociale, quanto –molto più chiaramente– il termine: “giuridico”. Utilizzare l’aggettivo invece del sostantivo permette infatti di rendersi conto con maggior imme-diatezza dell’apporto ‘qualitativo’ anziché ‘sostanziale’ di ciò che viene evocato coi termini “Diritto” e “giuridicità”. Allo stesso modo il termine “giuridicità” riesce ad esprimere i contenuti correlati a questo approccio ‘qualitativo’ molto meglio di quanto riesca a fare il termine –abusato– ‘Diritto’75, con tutta la sua polivalenza semantica e concettuale76. 2.2 Eventi esistenziali e loro qualificazione Un modo di ragionare su queste realtà così diverso dal solito chiede, però, qualche ulte-riore elemento illustrativo che ne confermi la sostanziale correttezza e plausibilità. La complessità del vivere umano ha spesso evidenziato l’intreccio di ‘fattori’ che inter-vengono a condizionare in vari modi la vita, anche quotidiana, tanto dei singoli che del-le più diverse ‘collettività’, mettendo in risalto tre ‘elementi’ di primissima importanza che risultano essere i principali ‘animatori’ dell’umana esistenza: atti77, fatti78 e circo-stanze79. Sono proprio questi tre ‘elementi’ che, quale risultato dell’interazione recipro-ca di persone e (loro) cose, costituiscono la ‘base’ concreta dell’esperienza socio-relazionale umana. Atti e fatti sono il motore della storia; costituiscono quelle ‘variazioni’ dello status quo socio-relazionale che, alterando i diversi equilibri tra le persone (e le loro cose), induco-no alla ricerca di nuovi assetti, capaci di far fronte ai mutamenti che gli uomini, o la realtà stessa che li circonda, pongono continuamente in essere. Atti e fatti però, in quan-

74 Cfr. G. TEUBNER, How the Law Thinks: Toward a Constructivist Epistemology of Law, in Law and So-ciety Revue, XXIII (1989), 739; V. FERRARI, Prima lezione, 43. 75 Appare chiaro come una tal prospettiva si mostri palesemente difforme da quella che –invece– fa pog-giare l’idea di giuridicità (prevalentemente) sulla giustizia …anche per quanto riguarda (specificamente) la giuridicità ecclesiale (cfr. J. MIRAS - J. CANOSA - E. BAURA, Compendio di Diritto amministrativo ca-nonico, Roma, 2007, 54, in cui appare con evidenza questa formulazione «dimensione giuridica (di giu-stizia)», oppure altri passaggi dello stesso in cui si evocano «principi ed esigenze di giustizia […] che stanno alla base della configurazione giuridica costituzionale del governo nella Chiesa e della tutela dei beni e dei valori ai quali si riferiscono». Ivi, 55). 76 Cfr. P. GHERRI, “Ius divinum”, 466-467. 77 In modo assolutamente sommario individuiamo l’atto come l’azione caratterizzata da intenzionalità; l’atto, cioè, implica conoscenza e volontà. 78 Allo stesso modo il fatto è caratterizzato non dalla intenzionalità (= conoscenza e volontà) ma dalla sola effettività. 79 In modo diverso, ma complementare, le circostanze intervengono a fornire o sottrarre ulteriori elementi di significato a quanto operato da atti e fatti senza necessariamente entrare nella loro specifica dinamica, seppur interagendo con essa; le circostanze costituiscono l’aspetto statico del vissuto umano: la cornice di prossimità –e spesso di significato remoto– degli eventi esistenziali, entrando così in gioco con un ruolo spesso decisivo nella loro stessa qualificazione.

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to tali, non sono in grado d’incidere in modo coerente ed organico sulla realtà che li debba recepire: è soltanto la loro ‘qualificazione’ a rivestirli di significati ed introdurli nel circolo esistenziale, culturale ed antropologico, assegnando o riconoscendo loro ruo-li, importanze, prerogative e possibilità, che ne esprimano la/una portata esistenziale, eventualmente anche sociale, anziché solo individuale. Quando mancassero di adeguato significato socio-relazionale, atti e fatti, non avrebbero nessun valore nei rapporti inter-soggettivi, come accade, p.es., per i ‘fatti’ meteorologici, che possono modellare la cul-tura di un popolo …farne la prosperità o causarne la scomparsa (alluvioni o siccità), ma non intervenire ‘singolarmente’ a mutare specifiche relazioni tra i suoi membri… non per nulla la c.d. meteopatia è considerata una patologia. Atti e fatti, per la loro capacità (o anche solo attitudine) a modificare assetti ed equilibri socio-relazionali attraverso l’attuarsi o il verificarsi di qualche ‘azione’, possono essere cumulativamente racchiusi nel concetto di ‘eventi’, intesi estensivamente come “varia-zioni dello status relazionale fino ad allora in atto”, secondo l’accezione normalmente utilizzata nelle Scienze ‘naturali’ per indicare ciò che introduce ‘variazioni’ (!, delta) degli stati di equilibrio o di quiete tra le diverse forze e/o fattori che si dispiegano nella realtà: gli unici ‘elementi’ della realtà (le variazioni) che ci è possibile cogliere e ‘misu-rare’…. Com’è evidente: l’evento in quanto tale non rileva esistenzialmente –e concretamente– se non per la ‘qualificazione’ che ciascuno ne dà secondo il proprio specifico ‘punto di vista’ (persona, ruolo o funzione)80. Senza però tale qualificazione gli ‘eventi’ non avrebbero nessun significato rispetto alla vita umana81… ma questo, in realtà, non è mai stato vero! È vero, invece, il contrario: gli eventi entrano in rapporto con la vita umana proprio in base al significato esistenziale loro attribuito: la qualificazione esistenziale. In tal senso va però osservato come la qualificazione giuridica sia solo una delle tante eventuali (alternative o concomitanti) qualificazioni esistenziali degli eventi. Sono pos-sibili, infatti, altre qualificazioni come l’economica, l’artistica, la religiosa, l’affettiva… ecc. Dovendosi così riconoscere come il Diritto, l’Economia, l’Arte, la Religione, l’affetto non ‘esistano’ in sé e per sé (quali ‘res’, né tanto meno come ‘essentiæ’) ma –solo– come concettualizzazioni formali –a posteriori– di valutazioni e giudizi espressi in riferimento ad eventi che hanno caratterizzato la vita personale e relazionale82. Quante volte, p.es., la mancata qualificazione giuridica di un evento (dono/regalo) è interpretata negativamente dal punto di vista affettivo così da scatenare odii e rivalse ingestibili? Oppure, ancora, quante volte alla gente non importa affatto la specifica qualificazione giuridica di un evento (reato [penale] o responsabilità [civile]) poiché interessa solo quella economica: l’indennizzo conseguente? Oppure quante volte, ancora, si esige che

80 Qui si va oltre lo stimolo puramente ‘individuale’ già offerto da S. Cotta. 81 Come accade –in buona parte–, p.es., per i fenomeni atmosferici. 82 P. Grossi parla in proposito di “dimensione dell’esperienza”: «Il Diritto, nella sua essenza, pertiene alla società, alle sue radici vitali, è una dimensione dell’esperienza e non del potere, al pari dell’Economia e dell’Arte» (P. GROSSI, Società, 208); «il Diritto appartiene alla esperienza quotidiana, è dimensione di ogni civiltà storica al pari della Filosofia, dell’Arte, della Letteratura, dell’Economia». Ivi, 116.

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eventi prettamente affettivi (crisi di una relazione di coppia) vengano qualificati anche giuridicamente (separazione/divorzio) al fine di esigerne una qualche contropartita …spesso solo economica? Non sono il fatto o l’atto in sé a ‘creare’ Diritto, secondo una lettura banale del princi-pio “ex facto oritur Ius”, ma la loro qualificazione giuridica! 2.3 Il giuridico Tra le possibili –e comunque effettive– qualificazioni esistenziali cui gli eventi possono andare soggetti quella ‘giuridica’ è senza dubbio una delle maggiormente rilevanti a li-vello socio-istituzionale, non tanto per la –alta– frequenza della sua ‘espressione’ da parte della maggioranza delle singole persone83 quanto, piuttosto, per le sue conseguen-ze e ricadute sulla e nella relazionalità sociale, cui le persone e le società umane non possono sottrarsi. Di fatto, tra le diverse modalità socio-relazionali che s’intrecciano all’interno di un gruppo umano abbastanza sviluppato da aver intrapreso la propria fase istituziona-le/ordinamento, quella giuridica appare senza dubbio una delle più evidenti e solide: la modalità più plastica e versatile che permetta a chiunque di ‘esserci’ e di operare in as-soluta paritarietà (la simmetria di Sergio Cotta) con gli altri soggetti (a parità di ruo-lo/funzione)84. È nel vivere ‘sociale’ che si crea –in modo pressoché spontaneo ed ‘au-tentico’85– la giuridicità, come elemento fisiologico dello stesso vivere sociale86: laddo-ve l’“altro” che si pone “al fianco di”/“di fronte a” ciascun ‘soggetto’ non ha di per sé nessun rapporto esistenzialmente significativo con lui, come sarebbe, invece, per i rap-porti inter-personali di base (famiglia, amicizia)87 …tanto più se si accolgono a fonda-mento del Diritto le dottrine in merito alla scarsità/distribuzione delle ‘risorse’ –presupposto di molte Scienze sociali–, senza che necessariamente il Diritto si riduca sol-tanto a puro “sistema di allocazione delle risorse”88. Non è più possibile, allora, trascurare come le consapevolezze esistenzialiste e persona-liste, ma anche sociologiche e fenomenologiche, del Novecento ci abbiano ormai ben mostrato come Ius sit in tertium89!

83 In realtà piuttosto scarsa, com’è possibile constatare davanti ai commenti sui fatti di cronaca. 84 Cfr. S. COTTA, Perché, 106: «il secondo elemento è la simmetria delle posizioni o dei comportamenti. In altri termini, ciò che io rivendico a me come mio in una data situazione, devo riconoscerlo a te come tuo nella medesima situazione. Ciò che io rivendico a me di fare, o non fare, liberamente ad altri, devo riconoscere ad altri la medesima libertà di farlo o non farlo a me». 85 Cfr. F. MACIOCE, Il problema della laicità del Diritto tra categorialità e trascendentalità, in P. GHERRI (ed.), Categorialità, 144-151. 86 P. GROSSI, Società, 101. 87 L’aeroporto o la grande stazione ferroviaria sono ‘siti’ interessanti per effettuare questo genere di rico-gnizioni socio-relazionali. Per contro: « l’amicizia non ha affatto bisogno di norme giuridiche né per sor-gere né per mantenersi in vita». S. COTTA, Perché, 71. 88 Cfr. V. FERRARI, Prima lezione, 5-6; 9. 89 Ordinariamente si dice “Ius est in alterum” creando in molti il presupposto che lo stesso rapporto io-tu sia di per sé giuridico; in realtà non il ‘tu’ ma il ‘terzo’ è presupposto al Diritto: laddove, infatti, gli altri siano tutti ‘tu’ per il soggetto di riferimento (compagnia di amici, famiglia) non c’è spazio per il Diritto. Il Diritto inizia a trovar posto laddove il ‘tu’ assuma le caratteristiche del ‘terzo’ (rottura del rapporto prima-

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È infatti l’iniziale estraneità dell’altro non conosciuto/amato (il ‘terzo’, appunto, l’egli/quello) all’interno di una collettività sociale a richiedere una modalità protetta e protettiva di approccio e relazione90 che gli permetta progressivamente di venir equipa-rato –almeno funzionalmente– al “tu” del rapporto inter-personale: è questa –radicalmente– la giuridicità91 …senza che debbano intervenire –dall’esterno– né giusti-zia, né sanzioni, né Leggi, né legislatori, tanto umani che ‘divini’; quanto semantica-mente si osserva nel passaggio da “aliquis/quidam” ad “alter” ad “utrus”; oppure: dalla terza persona plurale (loro/essi) a quella singolare (lui/lei), da questa alla seconda per-sona (tu) e da questa all’alterità (il ‘nome’)92. La portata socializzante ed equilibrante del sociale gestita a livello socio-istituzionale attraverso il Diritto è oggi una delle maggiori evidenze …ne giovano in modo eminente, p.es., tutti quei ‘non-cittadini’ di cui le società occidentali sono oggi ricolme, ma che la Rivoluzione francese aveva espressamente teorizzato come esclusi dai diritti di libertà, uguaglianza e fraternità riservati ai soli “cittadini”. Partendo da queste premesse –del tutto costitutive– si giunge a ‘qualificare giuridica-mente’ un evento quando gli si riconosca –ben diverso da “gli si attribuisca”93– la po-tenzialità d’intervenire nelle relazioni socio-istituzionali mutandone pubblicamente l’assetto o l’equilibrio. Detto in altri termini: la giuridicità consiste nella capacità che alcuni ‘eventi’ hanno d’influenzare le relazioni tra soggetti appartenenti allo stesso gruppo-istituzionalizzato, mutandone in qualunque modo la situazione relazionale precedente, così che la nuova posizione relazionale di almeno uno dei soggetti (o oggetti) implicati sia almeno e cumulativamente: [a] pubbli-camente riconoscibile, [b] relazionalmente rilevante, [c] istituzionalmente sanzionabile per chiunque degli altri soggetti appartenenti al gruppo stesso94.

rio) e rimanga necessaria una qualche forma di relazionalità; il delinearsi e consolidarsi di un c.d. Diritto di famiglia ne è l’espressione più evidente: laddove il rapporto sponsale degenera occorre introdurre ‘al-tre’ logiche relazionali in qualche modo formalmente suppletorie. Lo stesso per quanto riguarda il Diritto dei minori che entra a ridurre gli effetti negativi della mancata corretta genitorialità. 90 «C’è […] un’ambivalenza nella presenza degli altri: possono esserci di aiuto oppure costituire una mi-naccia; ricorriamo appunto al Diritto per ottenere quello ed eliminare questa». S. COTTA, Perché, 27. 91 E, di conseguenza, la vera natura del ‘Diritto’ che, in realtà, s’identifica proprio con la sua ‘funzione’! 92 Logiche funzionali di questo tipo sono ben visibili ed analizzabili, p.es., nelle modalità e dinamiche che s’instaurano a livello sociale e personale coi c.d. stranieri/immigrati. 93 S’individua a questo livello la natura non puramente ‘convenzionale’ del Diritto ed il riferimento ineli-minabile a ‘contenuti’ che rimangono comunque esterni al Diritto in quanto previ alla relazionalità socio-istituzionale sua propria (il c.d. Diritto naturale), escludendo di principio qualsiasi forma di ‘relativismo’ etico e giuridico. 94 Si era già provato ad abbozzare questa ‘concettualizzazione’ nel corso della “Quarta Giornata Canoni-stica Interdisciplinare” del marzo 2009: P. GHERRI, Corresponsabilità e Diritto: il Diritto amministrativo, in Apollinaris, LXXXII (2009), 245. [anche in: P. GHERRI (ed.), Responsabilità ecclesiale, corresponsa-bilità e rappresentanza. Atti della Giornata Canonistica Interdisiciplinare, Città del Vaticano, 2010, 133].

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Quanto una concettualizzazione di questa portata sia adeguata a delineare la natura più intima e profonda del giuridico nelle sue diverse forme già sommariamente evocate ap-pare chiaro. Ne consegue con immediatezza anche la definizione secondo cui il Diritto consiste in tutto ciò che ha la capacità d’influenzare le relazioni tra soggetti appartenenti allo stesso Ordinamento, mutandone in qualunque modo la situazione rela-zionale precedente, così che la nuova posizione relazionale di almeno uno dei soggetti (o oggetti) implicati sia almeno e cumulativamente: [a] pubblicamente riconoscibile, [b] relazionalmente rilevante, [c] istituzionalmente sanzionabile per chiunque degli al-tri soggetti appartenenti all’Ordinamento95. Pubblicità (socio-relazionale), rilevanza (socio-relazionale), sanzionabilità (socio-relazionale) non sono altro che diverse espressioni della oggettività, separabilità, gene-ralità, coercibilità che caratterizzano il Diritto nella propria essenza più profonda96. 3. FONDAMENTI E LIMITI DELLA GIURIDICITÀ 3.1 Giuridicità e meta-giuridicità La prima necessaria ed inevitabile conseguenza di questa consapevolezza circa la natu-ra/essenza del giuridico/Diritto è che non esistono ‘cose’ (res) di per sé giuridicamente qualificate in modo generico ed assoluto (originario, a-priori), né altre che di principio non siano (o non possano essere) tali; né ‘cose’ in sé, né specifici ‘ambiti’ di vita uma-na. Ogni contesto relazionale socio-istituzionale (che potremmo ormai chiamare generica-mente ‘ordinamento’ proprio in ragione della sua struttura e funzione), invece, avrà i ‘propri’ oggetti ed eventi giuridici, anche radicalmente differenti da un ‘ordinamento’ all’altro97 ma tutti, comunque, ‘giuridici’, senza che nessun ‘ordinamento’ possa legit-timamente –e validamente– interferire sulla qualificazione propria di ciascuno degli al-tri98.

95 La differenza con la concezione ‘sommariamente’ proposta a suo tempo da S. Cotta pare più che so-stanziale (e, forse, evolutiva?), nonostante la ‘comune’ radice esistenziale. Egli, infatti, proponeva: «nel caso del Diritto, la sua descrizione morfologica complessiva può venir sintetizzata approssimativamente così: esso è l’insieme delle norme stabilite e promulgate dal legislatore e degli atti da tali norme previsti o richiesti. […] Perciò una descrizione strutturale del Diritto (qui di nuovo presentata in termini schema-tici) può essere la seguente: un imperativo che prescrive un certo comportamento (di fare o di non fare) e prevede una sanzione nel caso della violazione di esso». S. COTTA, Perché, 15, corsivi nostri. 96 Data la necessaria essenzialità di una tale enunciazione, i termini non possono essere assunti semplici-sticamente nei loro significati ‘minimi’ ma postulano una lettura estensiva che va oltre le opportunità di-sponibili in questa sede. 97 La ‘relatività’ della qualificazione giuridica di oggetti ed eventi non implica necessariamente un relati-vismo etico e comportamentale; al contrario: in una prospettiva autenticamente giuridica gli eventi sono presi in considerazione ‘a posteriori’ (qualificazione giuridica) e non valutati ‘a priori’ nel loro dover-si/potersi attuare da parte di soggetti responsabili (qualificazione etica o morale). 98 Dal punto di vista sociologico il Diritto appare come un “sistema sociale di significazione”, oltre che d’azione sociale; d’altra parte «i sistemi sociali, che l’uomo ha creato artificialmente per organizzare la convivenza umana sulla terra, hanno natura simbolica e dipendono dall’azione umana». In tal modo il di-

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Ne sono un esempio chiarissimo –per quanto solo indicativo– le dinamiche proprie del mondo dello sport, sia in generale che all’interno delle singole discipline agonistiche: il confronto agonistico con altri atleti, così come le c.d. classifiche all’interno delle singo-le aree agonistiche possiedono tutte le specifiche della qualificazione giuridica vera e propria… ed in questo modo vengono recepite e trattate non solo da atleti, Società e Fe-derazioni sportive che si attengono a tale qualificazione nel loro interpretare la realtà ed i diversi eventi99, ma anche da parte del mondo economico e commerciale circostante (di fatto ‘estraneo’ allo sport come tale!) che acquista e rivende ‘diritti televisivi’, pub-blicità, azioni, delle diverse Società/Club/Leghe… senza contare la concomitante com-ponente commerciale dei contratti d’ingaggio di atleti, tecnici, dirigenti, ecc. espressa-mente connessa alle prestazioni sportive ufficiali dell’atleta o della squa-dra/Società/Club di appartenenza. Sulla stessa linea e secondo presupposti, almeno funzionalmente, simili s’inserisce la qualificabilità delle norme dell’Ordinamento canonico come pienamente giuridiche an-che dal punto di vista ‘tecnico’, nonostante la loro espressa natura religiosa; lo stesso dicasi di tutte le altre normative c.d. religiose e confessionali, da molti percepite come in ‘dialettica’ col Diritto statuale moderno. Non per nulla la dottrina giuridica dominan-te del ’900 ha considerato quello canonico un Ordinamento giuridico ‘primario’. L’idea/concetto di giuridico/Diritto, qui proposta, (ri)apre così a pieno titolo –conferendole nuova luce– la tematica mai esaurita del rapporto tra giuridico e meta-giuridico; tematica tanto maggiormente significativa in un tempo come il nostro in cui ogni ‘pretesa’ esistenzialmente valorizzabile chiede di assurgere a vero ‘diritto’ (addirit-tura soggettivo); la creazione, p.es., per via giurisprudenziale (in Italia) dei c.d. danno biologico100 ed esistenziale non lascia dubbi in merito alle reali ‘origini’ di tali concet-tualizzazioni e fattispecie giuridiche: i concreti “decisa” dei Tribunali (che tanto piac-ciono alla Teoria realistica del Diritto). Non di meno tale tematica risulta di stretta pros-simità concettuale a quella della fondazione e limiti degli Ordinamenti giuridici, di cui qui ci si occupa.

ritto «nella sua struttura e nelle sue funzioni dipende dalle strategie dell’uomo, capricciose ma limitate. E […] è una potente modalità, o mezzo, d’azione sociale». V. FERRARI, Prima lezione, 19. 99 È significativo a questo proposito quanto accaduto in Italia per il calcio professionistico nell’anno 2006: gli interventi delle Commissioni disciplinari e degli Organi di giudizio sportivo hanno esaminato degli eventi di carattere agonistico e non, ne hanno stabilito la portata giuridica ed hanno comminato an-che pesantissime sanzioni e condanne (sospensioni, retrocessioni, squalifiche), riconosciute ed accettate da tutto il calcio italiano e dalle Organizzazioni sportive internazionali, per quanto di competenza; nessu-no dei soggetti implicati si è rivolto ad altri ambiti ordinamentali (i Tribunali amministrativi regionali) per trattare, risolvere o impugnare eventi e decisioni. 100 «Questa sostanziale innovazione nel sistema della responsabilità civile per fatto illecito fu prodotta ne-gli anni Settanta da due innovative sentenze delle Corti genovesi, da cui si è sviluppata una Giurispruden-za variabile nei dettagli ma costante sul principio, integrata dall’adozione di tabelle per la liquidazione di questo tipo di danno, anch’esse di origine giurisprudenziale e non legislativa. Tutto ciò ha prodotto effetti sociali di grande ampiezza sia nelle aspettative delle persone, sia nei loro rapporti –per esempio– con le compagnie di assicurazione, le quali ne hanno ovviamente tenuto conto nelle loro politiche». V. FERRARI, Prima lezione, 58.

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Del rapporto tra giuridico e meta-giuridico si occupò con sagacia, quasi trent’anni fa, Luigi Lombardi Vallauri con una riflessione che mise in risalto come, nel tempo, prati-camente tutto abbia potuto diventare ‘oggetto’ di Diritto nel vivere umano101. Di fatto ogni volta che qualunque cosa –in passato– abbia creato motivi d’intralcio allo spedito progredire del vivere di una società-istituzionalizzata, non si è esitato a porre norme giuridiche in tale materia… dall’eredità, al commercio, ai rapporti sessuali; senza na-scondersi come «la prima impressione è che appartengano al giuridico le cose sordide, o forse meglio –aristotelicamente– le cose “utili e necessarie”, e al metagiuridico –sempre aristotelicamente– le cose “belle”»102 …col ‘dubbio’ dello stesso autore che: «la nostra sensazione di strano o di ridicolo viene soltanto da una castigatezza pandetti-stica, o vittoriana, in ogni caso borghese-razionale-laica-moderna, oppure anche da un’inespressa intuizione che il Diritto, di certe cose, farebbe bene, per sua essenza, a non occuparsi»103. Ciò nonostante, le cose non sono proprio andate così quasi mai, offrendo alla nostra at-tenzione norme e, più ancora, Sentenze in qualunque materia e di qualunque contenuto, ponendo in evidenza come –in fondo– ciò che chiamiamo ‘Diritto’ sia solo una risposta inevitabile a domande che la società-istituzionalizzata per non auto-estinguersi, esige di sapere soddisfatte …in linea di principio ed una volta per tutte …con sicurezza, suppor-to [aiuto], durata, come diceva Cotta104. È proprio nell’ottica della non-giuridicità ‘originaria’ –ma solo ‘funzionale’– di atti, fat-ti e ‘cose’, che vale la pena considerare il processo che sta alla base del delinearsi e con-solidarsi degli Ordinamenti giuridici in quanto tali …e del Diritto come loro precipua espressione. Le irrinunciabili richieste/attese esistenziali di sicurezza, supporto, durata, sia dei sin-goli soggetti (umani o sociali) che delle umane società come tali105, pongono ad ogni ti-pologia di ‘ordinamento’ –a partire dalle più elementari– la stessa domanda di efficacia funzionale: la richiesta, cioè, di risolvere in modo definitivo le questioni socio-relazionali che inevitabilmente sorgono all’interno di qualunque collettività umana; i diversi tipi di noxia, cioè, che i vari soggetti (io) possono contestare ai ‘terzi’ (egli/esso)

101 Cfr. L. LOMBARDI VALLAURI, Giuridico e metagiuridico: Diritto e dimensioni profonde della persona, in R. ORECCHIA (cur.), Il problema del metagiuridico nell’esperienza contemporanea del diritto, I doveri fondamentali dell’uomo nella società dei diritti, Il diritto e alcune discipline di nuova frontiera. Atti del 14° Congresso nazionale. Palermo, 12-15 maggio 1983, Milano, 1984, 57-82. «Le conclusioni più proba-bili sono nel senso che lo stesso Diritto statale (e a maggior ragione il Diritto nelle sue ramificazioni ex-trastatali) si è mostrato storicamente di una versatilità estrema, occupandosi, a seconda dei tempi e dei luoghi, più o meno di tutto». Ivi, 60. 102 Ibidem. 103 L. LOMBARDI VALLAURI, Giuridico, 63. 104 S. COTTA, Perché, 24. 105 Cfr. S. COTTA, Perché, 24: «sicurezza, aiuto, durata sono esigenze proprie dell’esistere umano, che si fanno presenti in una infinità di momenti della vita tanto sociale quanto individuale di ogni uomo».

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solo fattualmente co-presenti nello stesso ambito vitale106, ma coi quali non s’intrattiene rapporto interpersonale (tu) alcuno. È proprio all’interno ed in funzione delle esigenze –condivise ed esistenzialmente irri-nunciabili– di sicurezza, supporto, durata, che si attua il passaggio –involutivo e devo-lutivo– dall’ordinamento [a] spirituale (l’Etica) a quello [b] culturale (la Morale) a quello [c] istituzionale (la giuridicità) a quello [d] giuridico (il Diritto) a quello [e] lega-le (la Legge), secondo una sorta di ‘gradualità’ (in realtà assolutamente regressiva!) che trova la propria principale –se non esclusiva– ragione d’essere nella concreta inefficacia funzionale degli ordinamenti stessi107. Laddove, infatti, un ordinamento socio-relazionale non si presenti efficace/adatto a risolvere le tipologie ed intensità conflittua-li concrete che nascono all’interno di un determinato gruppo/società, la ‘pacificabilità’ (che l’ordinamento dovrebbe garantire) passa a quello in qualche modo ‘successivo’, ri-tenuto più ‘efficace’ a causa –parrebbe– del maggior livello di formalizzazione e coin-volgimento del corpo sociale stesso nella sua funzione ‘sanzionatoria’: il garantire –appunto– sicurezza, supporto, durata, visto che i singoli in gioco non hanno saputo provvedere attraverso il loro impegno, responsabilità, disponibilità… Un esempio di una certa attualità e di chiarezza palmare in merito può riscontrarsi nell’aumento delle richieste che nel Regno Unito vengono rivolte alle c.d. Corti islami-che da parte di cittadini non-musulmani al fine di veder soddisfatte in modo chiaro e ve-loce alcune proprie pretese che paiono maggiormente tutelate dalla Sharia che dal Dirit-to inglese. Il fenomeno, per quanto in apparente controtendenza rispetto a quanto si sta qui illustrando108, ne conferma invece la profonda ratio nella efficacia pronta e certa dell’esito. Cosa conta, infatti, se il Diritto applicato non è quello che spetterebbe per cit-tadinanza o fede religiosa? L’importante è ottenere subito quello che si vuole! …Sui ‘fondamenti’ discutano –e si preoccupino– poi i teorici…109 Sarebbe tuttavia assolutamente ingenuo negare che la questione dell’efficacia derivi e dipenda in modo sostanziale dall’accettazione (in fondo, la ‘credenza’ di Max Weber) che i diversi soggetti esprimeranno verso le soluzioni ‘proposte’ ai vari conflitti: sono infatti le parti in causa –non meno della stessa collettività ferita dal conflitto– che devo-no ritenersi soddisfatte nella loro pretesa/rivendicazione dalla soluzione ordinamentale proposta una volta per sempre110. La concreta inefficacia della soluzione etica e/o mora-le derivante, spesso, dalla non piena adesione a tali ambiti assiologici o dall’adesione ad

106 Come accadeva, sempre esemplificativamente, in ambito romanistico nei rapporti [a] tra i cives delle diverse gentes/familiæ o [b] dei cives coi c.d. peregrini. 107 Palesando anche per essi la strutturale ‘incompletezza’ già dimostrata da Gödel e Tarski. 108 In quanto la maggior tutela/certezza non si ottiene attraverso una maggior formalizzazione (dalla Mo-rale al Diritto alla Legge) ma attraverso una sostanziale de-formalizzazione (dal Diritto alla Morale; o dal-la Legge al Diritto - per non entrare nel merito della qualificabilità giuridica o morale della Sharia). 109 Cfr. M.S. NATALE, Londra, Tribunali della Sharia anche per i non musulmani. Le corti islamiche scel-te perché più funzionali, in Il corriere della sera, 134 (2009), n. 172, 22 luglio, 16; M. ALLAM, A Londra i Tribunali islamici applicano la Sharia. Migliaia di Sentenze su Matrimoni, divorzi e eredità. Così la re-ligione diventa Legge, in Il corriere della sera, 133 (2008), n. 48, 26 febbraio, 1; 17. 110 Si legga in questa prospettiva il crescente interesse nei confronti della c.d. giustizia mediativa e ripara-tiva.

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ambiti assiologici differenti (etnie, culture, religioni), costringe così ad affidarsi pro-gressivamente ad un diverso ambito ordinamentale: quello giuridico111, per quanto esso si dimostri il più fallibile ed il più contestabile e, di fatto, contestato. La progressiva ‘laicizzazione’ dello Ius dicere, passato (romanamente) dai Pontifices agli Iudices è pa-lese in merito; non di meno l’Etnologia e l’Antropologia culturale mostrano bene il pas-saggio della funzione gius-dicente dal verdetto oracolare, al giuramento, al duello, alla Sentenza arbitrale a quella giudiziaria… Trattandosi, dunque, di un problema di qualificazione esistenziale, sono in gioco i criteri di tale valutazione (i valori) nella loro maggiore e minore ‘prestanza’, stabilità ed effi-cacia; il discorso si sposta così a livello di ‘credenza’, individuale e collettiva. È proprio qui, d’altra parte, che si colloca da sempre il vero problema deontico: la valutazione e scelta di ‘cosa’ si ritiene possibile fare e cosa no! 3.2 Società, cultura e Diritto Tra le rilevanze che possono ancora rafforzare –confermandola– l’origine prettamente ‘sociologica’ del giuridico sin qui illustrata, vanno considerati anche alcuni fenomeni emergenti all’interno della ‘giuridicità’ statuale contemporanea del mondo occidentale. L’origine ‘sociologica’ del giuridico, infatti, non riguarda soltanto ciò che le diverse Legislazioni di ogni luogo, cultura, ordine e grado ci hanno trasmesso dal passato ma, molto maggiormente, il presente in cui gli Stati, dopo aver impostato le risposte alle –grandi– ‘necessità sociali’ (sicurezza, istruzione, sanità, lavoro, previdenza, mercato, economia, ecc.), sono ormai passati alla espressa volontà di stabilire per Legge non solo ciò che sarebbe possibile oggetto di ‘interesse/utilità’ per molti (secondo le categorie classiche del bonum commune) ma anche di –semplice– ‘desiderio’ per ‘alcuni’ soltan-to112. Il rapido sconvolgimento legislativo attuato, p.es., in Spagna nelle ultime due Le-gislature di ‘segno politico’ opposto al precedente assetto socio-culturale di quel Paese è evidentissimo in questo: si fanno le Leggi non per la necessaria regolamentazione (ob noxium individui vel communitatis) di una generalità di situazioni, ma per la volontaria promozione di alcune pretese comportamentali largamente minoritarie, trasformando la Legge in strumento di propaganda ideologica …come, del resto, l’intero Novecento eu-ropeo ha ben mostrato in ciascuno dei ‘regimi’ che lo hanno attraversato da ovest a est. Non di meno è invalso nello scenario politico –italiano in primis– il ‘costume’ di pro-mettere, da parte delle opposizioni politiche, l’abolizione delle Leggi fatte dalle correnti maggioranze parlamentari113 o di amputarle –attraverso referendum popolari abrogati-

111 L’istituzione romana del Prætor peregrinus andava proprio in questa direzione: la mediazione tra i ci-ves (romani) ed i peregrini (i non-cives). 112 Cfr. S. BELARDINELLI, “Normalità” e “Regola” nel vivere sociale, in P. GHERRI (ed.), Norme e regole nella vita e nel Diritto, Città del Vaticano, 2009, 61-73. 113 Per l’Italia, esemplificativamente: C. BARTOLI, C’è un centralismo feroce, in Il Tirreno, 128 (2004), 06 agosto 2004, 3; L. ROJ, Pdl, i candidati in coro: «Cancelleremo le Leggi nemiche della Gallura», in La nuova Sardegna, 123 (2009), 20 Gennaio 2009, 2; O. PIVETTA, Prodi: cancelleremo le Leggi vergo-gna, in L’Unità, LXXXII (2005), 4 settembre 2005, 6.

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vi– di qualche congiunzione o avverbio che ne stravolgano la natura e l’applicazione114, ‘perforando’ le stesse Leggi prim’ancora che rendendo vacillante l’Ordinamento giuri-dico come tale. Si aggiunga a ciò la continua proliferazione per via legislativa di nuovi “diritti civili” come recentemente attuato dal legislatore finlandese che ha dichiarato esser tale la con-nessione ad internet a ‘banda larga’115. Già queste poche ‘osservazioni’ –seppur solo esemplificative– palesano anche nell’attualità la totale dipendenza del fattore giuridico/Diritto (e poi Legge) dalla richie-sta/pressione sociale quale suo reale meta-referente. È infatti la società che, eleggendo a suffragio popolare i propri legislatori, li sceglie in base alle proprie ‘aspirazioni’ e ‘pre-tese’ …ed alle loro promesse d’intervento normativo su questo o quell’altro ambito esi-stenziale più o meno à la page116. Non diversamente, per altro, da come –anche– nella Res publica per eccellenza veniva-no scelti i Tribuni del popolo –spesso– in contrapposizione al governo dei Senatores; quanto di fatto l’Editto pretorio, per parte sua, abbia influito al mutamento dello Ius ci-vile non è argomento di oggi. Nulla, dunque, è cambiato sotto il sole… e gli esempi dell’attualità si moltiplicano in tutto il mondo sotto gli occhi (e l’inconsapevolezza) di tutti …non senza, tuttavia, qual-che scossone emotivo e di (indotta) opinione pubblica. - La discussa Legge afgana117, p.es., sui doveri coniugali della moglie del maggio 2009118 è evidente: in essa si fissa che il marito ha diritto al rapporto coniugale almeno ogni 4 giorni119… Al di là dell’approvazione o meno della Legge, conta la sua –richiesta e– proposizione di principio: anche la frequenza del rapporto sessuale coniugale può vo-

114 Per l’Italia, esemplificativamente: L. OSTELLINO, Al referendum vince l’astensione, in Il Sole 24 ore, 145 (2009), n. 171, 23 giugno, 5. 115 «HELSINKI - Il governo finlandese ha deciso di definire un “diritto legale” l’accesso a Internet per tutti gli oltre cinque milioni di cittadini del Paese, a partire da oggi. Il Ministero per le Comunicazioni af-ferma infatti che “una connessione a banda larga di alta qualità a un prezzo ragionevole è un diritto ele-mentare”; tutti i 26 operatori presenti nel Paese “definiti come fornitori di un servizio universale, dovran-no essere in grado di servire ogni abitazione residenziale permanente o ufficio” con una velocità di down-load dei dati di almeno un megabit al secondo. Secondo fonti del Ministero la quasi totalità delle abita-zioni residenziali rispetta già le direttive adottate». Finlandia, Internet diventa un diritto civile, in La stampa, ed. telematica, 01-07-2010, in < http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/tecnologia/grubrica.asp?ID_blog=30&ID_articolo=7817&ID_sezione=38&sezione= > (al 09-07-2010). 116 Da prendere in seria considerazione, al di là di ogni inutile strumentalizzazione, come l’attuale fase repressiva giudiziaria in tema di pedofilia (del solo Clero cattolico!) sia stata in realtà preceduta negli anni scorsi da vere campagne promozionali legislative a favore della stessa… come ben dimostrano cro-nache e documenti: cfr. G. CUCCI - H. ZOLLNER, Chiesa e pedofilia. Una ferita aperta, Milano, 2010, 46-48; M. LÜTZ, La Chiesa e i bambini, in L’Osservatore romano, CL (2010), n. 39, 17 febbraio, 4. 117 E valevole per una sola sotto-etnia confessionale «la riforma riguarda solo gli sciiti, per lo più apparte-nenti all’etnia hazara». 118 Afghanistan: diventa legale lo stupro della moglie, in Il Sole 24 ore, 31 marzo 2009. 119 «All’articolo 132 la nuova Legge stabilisce che le mogli devono assecondare i desideri sessuali dei lo-ro mariti e prevede che un uomo possa aspettarsi di avere rapporti con la moglie “almeno una volta ogni quattro notti”, a meno che la consorte non sia indisposta». Afghanistan.

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ler/dover esser definita per Legge, diventando così un ‘diritto’ di cui esigere anche in Tribunale la garanzia e la fruizione120. - Non diverse sono le considerazioni da farsi nella (civilissima) Europa post-cattolica a riguardo delle discriminazioni sessuali, ultimamente oggetto di normativa comunitaria in tema di c.d. omofobia121, oppure circa la decadenza delle ‘classificazioni’ dei com-portamenti sessuali ‘secondo’ o ‘contro-natura’122, l’identificazione sessuale dei ‘genito-ri’, quali padre e madre123… ecc. - Di più, si continua ad assistere nel mondo alla nascita di ‘partiti politici’ a sfondo espressamente sessuale: quello pedofilo olandese124, quello del sesso australiano125 (in realtà ‘secondo’ a quello “dell’amore” nato in Italia nel 1991)… nei cui ‘programmi po-litici’ è costitutiva la finalità di intervenire nell’ambito legislativo per normare in modo diverso dall’attuale la materia in questione. Aveva pienamente ragione, dunque, Hobbes quando osservava che «non veritas facit Legem»126 …peccato non avesse visto che in realtà la Legge non venisse neppure dall’auctoritas come tale ma dal consensus populi di cui ogni autorità necessita per po-tersi sostenere al proprio posto: esattamente quanto già indicato come ‘legittimazione’ del potere. Non meno significativa a proposito del rapporto società-cultura-Diritto appare la som-maria ricostruzione dell’attuale nascita di un diritto/right, lucidamente offerta da V. Fer-rari: «prima si avverte una privazione e […] questa sensazione può essere particolarmente acuta quando l’oggetto desiderato che ci manca è da altri pacificamente goduto o perfi-no monopolizzato. Se non si rinuncia alla lotta, si apre allora il processo sociale sinte-tizzabile con tre participi presi liberamente a prestito da un noto articolo dedicato alle “fasi del processo: «naming, blaming, claiming». Anzitutto si dà un nome a ciò che ci manca. Spesso quel nome c’è già, si tratta solo di farlo proprio e sottrarlo al monopolio altrui: è lo schiavo che vuole essere libero, la donna che reclama il diritto di voto. Indi,

120 Senza dimenticare che lo stesso Diritto canonico codificato all’inizio del XX sec. prevedeva espressa-mente uno “Ius in corpus” nei confronti del coniuge e tanto la dottrina canonistica che la Morale parlava-no di veri e propri ‘doveri coniugali’ spettanti ex debito iustitiæ. 121 Cfr. Risoluzione del parlamento europeo sull’omofobia in Europa, del 18 gennaio 2006, P6_TA(2006)0018 < http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?type=TA&reference=P6-TA-2006-0010&language=IT > (in data 07-06-2010). 122 Cfr. TRIBUNALE CIVILE DI GELA, Sentenza di condanna 9 febbraio 2006, < http://www.personaedanno.it/cms/data/articoli/files/003208_resource1_orig.doc > (in data 12-06-2010). 123 Cfr. T. DAMASCELLI, Inghilterra, vietato dire “mamma” e “papà” a scuola, in Il Giornale, 31 gen-naio 2008. 124 Cfr. < http://www.repubblica.it/2006/05/sezioni/esteri/prtito-dei-pedofili/prtito-dei-pedofili/prtito-dei-pedofili.html > (in data 12-06-2010). 125 Cfr. < http://oknotizie.virgilio.it/go.php?us=48f158f82c4ef500 > (in data 12-06-2010); < http://www.articolionline.net/2008/11/in-australia-nasce-il-partito-del-sesso.html > (in data 12-06-2010). 126 TH. HOBBES, Leviathan, sive de materia, forma et potestate civitatis ecclesiastiæ et civilis, in TH. HOBBES, Opera philosophica quæ latine scripsit omnia, (W. MOLESWORTH, cur.), Londini, 1839-1845, cap. XXVI. L’affermazione di Hobbes viene qui assunta nella linea del c.d. realismo giuridico.

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possibilmente unendo coloro che condividono questa condizione deteriore e dando vita a un gruppo di pressione, poi a un gruppo di conflitto, si passa a “biasimare” pubblica-mente quella condizione. I sindacati, i partiti, i movimenti femministi, e poi i gruppi di tutela degli omosessuali, dei minori, degli invalidi, dell’ambiente e via dicendo, sono nati così, per rendere pubblica una condizione percepita come ingiusta. E in fine si agi-sce, si indirizza un claim, un’istanza, nella sede opportuna, che può essere un Parlamen-to come pure una Corte di giustizia nazionale o internazionale: molti claims italiani, per esempio, son dovuti passare per la Corte costituzionale, per la Corte europea dei diritti per la Corte di giustizia delle Comunità europee, prima di essere accolti contro la resi-stenza a volte accanita delle nostre istituzioni politiche»127. 3.3 Attuale funzione/concezione della giuridicità Ciò che sta accadendo appare solo il sintomo più marcato di un profondissimo sconvol-gimento ontologico e strutturale ormai irreversibilmente in atto a seguito della c.d. ca-duta delle ideologie e della connessa progrediente –vera e propria– messa al bando delle ‘religioni’ e delle stesse culture (da esse non indipendenti!) in ambito sociale, politico e, pertanto, anche giuridico. Di fatto oggi, in Occidente, si danno per scontate sia la presenza che l’azione di uno/questo ‘Stato’, sia le sue competenze in qualche modo costitutive ed irrinunciabili e non più oggetto di discussione nel proprio essere ‘dovute’ …salvo constatare che il con-cetto e la funzione dello Stato sono radicalmente ‘altro’ nell’Europa mediterranea, in quella continentale o settentrionale, negli Stati Uniti, soprattutto per quanto concerne il rapporto Stato-società. Non per nulla ogni tanto si assiste a ‘risvegli’ della c.d. società civile proprio contro ‘questo’ Stato e le sue logiche autofondanti e, non di meno, le logi-che ‘comunitarie’ (europee) sembrano perseguire finalità ‘ulteriori’ rispetto ai postulati stessi di legittimità ed esistenza degli Stati stessi …superiorem non recognoscentes …così, almeno, quelli nati in Europa dal XVI sec. e ‘riconvertiti’ sui presupposti libera-li alla fine dell’800. A questi Stati –ormai funzionalmente ‘maturi’– che parrebbero aver già esaurito i propri compiti ordinamentali rispetto al ‘sociale’ s’indirizzano oggi altre richieste che riguar-dano ormai competenze da sempre proprie dell’ordinamento ‘culturale’ …ed anche ‘spirituale’, che –di per sé– ne costituiscono, invece(!), le meta-referenze antropologi-che128: la stessa possibilità d’essere. Proprio qui, tuttavia, si pone una questione attuale e futura assolutamente inedita, nell’ultimo millennio almeno: le meta-referenze [1˚ livello] spirituale e [2˚ livello] cul-turale stanno subendo un sostanziale ‘risucchio’ all’interno del [3˚ livello] istituzionale

127 V. FERRARI, Prima lezione, 140-141. 128 Lo schema ‘concentrico’ già proposto va qui esteso fino alla sua maggior copertura: ambi-to/ordinamento spirituale (mitico/religioso), ambito/ordinamento culturale, ambito/ordinamento istituzio-nale, ambito/ordinamento giuridico, ambito/ordinamento legislativo.

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che le riduce al [4˚ livello] giuridico, offrendole in pasto al [5˚ livello] legislativo, per via ‘politica’. Il fenomeno, per quanto non appaia di primaria evidenza ai più, non riesce però a gio-varsi di un perfetto mimetismo, al punto che se ne possono individuare e ‘come’ descri-vere con una certa precisione le principali tappe. a) L’elemento ‘spirituale’ (la Weltanschauung esistenziale) di originaria portata ‘antro-pologica’ è stato ormai ridotto dalla cultura radicale dominante (tanto delle diverse de-stre che sinistre) a fattore semplicemente ‘culturale’ da tutelarsi solo in quanto ‘mino-ranza’ (etnica?) …in nome di un non meglio definito principio di pluralità (com’è in uso per il ‘valore’ della “bio-diversità” e pittoreschi criteri analoghi, in cui il ‘diverso’ vale solo in quanto ‘diverso’: come in un immenso giardino zoo-antropologico). b) L’elemento/fattore culturale, a sua volta, è ormai divenuto puramente ‘decorativo’: una utile variante ‘estetica’ …un ‘tocco di colore’ (folklore) rispetto all’insostenibile grigiore di un vivere sociale ormai asservito alle sole logiche della macro produzione-consumo industriale. c) Tale dissolvimento delle meta-referenze strutturali della socialità a monte dell’Ordinamento socio-istituzionale trasferiscono all’elemento/fattore istituzionale (a maiori ad minus) anche l’inevitabile compito della qualificazione esistenziale di quanto accade tra gli uomini in quel villaggio globale che è ormai il mondo intero. In tal modo, però, la funzione assiologica (etica e morale), di per sé del tutto estranea alla istituzio-nalità, le viene invece attribuita con tanta maggiore inevitabilità e forza quanto maggio-re è la deprivazione culturale (prima) e spirituale (più in radice) di cui l’attuale società stessa si è resa ormai protagonista, misconoscendo che Morale ed Etica si fondano –reciprocamente– nella cultura e nella spiritualità. Ne deriva una giuridicità pervasiva e pressoché totalizzante la relazionalità socio-istituzionale. d) A questo punto, però, l’elemento/fattore giuridico (idealista, moderno) interpreta e gestisce inevitabilmente l’Ordinamento socio-relazionale in termini puramente impera-tivi, riducendolo al Diritto come ‘norma’. Il fatto che essa non sia più individuale-autoritaria (in quanto ‘data’ da un’Autorità unipersonale, sia sacrale, che illuministica o romantica), ma condivisa/invocata attraverso il suffragio popolare, completa l’opera di ‘eticizzazione’ dello Stato-Diritto-società ormai pienamente auto-referenziale e senza più alcun limite alla propria pretesa onnicomprensività ed onnicompetenza socio-esistenziale. e) Non di meno, l’inevitabile pluralità di reali sistemi valoriali (spirituali e culturali, come p. es., l’Islam mostra bene di essere) e sociali (come sono ormai la maggioranza degli Stati contemporanei) sta forzando ogni cosa verso la standardizzazione legale, che ‘sterilizza’ ogni realtà veramente esistenziale riducendo ogni possibilità/aspirazione di vita ad un mero ‘protocollo’ ipocritamente ed ideologicamente super partes (in realtà: super personas!) …attraverso cui ci si alimenta, ci si cura, ci si fa –anche– morire129.

129 Fino al punto di voler far credere che la morte di una persona dis-alimentata e dis-idratata, ma secondo ‘il’ protocollo, non sia da imputarsi causalmente alla sospensione della somministrazione alimentare ed idrica –’fisiologiche’–, come il caso (italiano) Englaro ha ben mostrato.

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Ciò comporta tuttavia che, man mano le possibilità di qualificazione esistenziale del vissuto (senso/significato/valore esistenziale) di cui una collettività dispone si allonta-nano dalle proprie ‘origini’ più autentiche: Morale (Cultura), Etica (Spiritualità), l’inevitabile compito ‘qualificativo’ del vissuto –anche individuale– venga progressi-vamente trasferito all’Ordinamento giuridico (e da questi allo Stato o alla ‘Comunità’ sovra-nazionale), in una dinamica regressiva che porta gli ‘ordinamenti’ spirituale, cul-turale, istituzionale, a coincidere/identificarsi con quello giuridico… spesso destinato, a sua volta, a trasformarsi in Ordinamento puramente ‘legale’ …incapace, tuttavia, di ba-stare a se stesso ed in potenziale auto-conflitto. Le vicende che pongono oggi seri pro-blemi ai bilanciamenti di ‘competenze’ –ma più ancora di fondamento e limiti– tra i cit-tadini dell’Unione europea, la “Corte europea dei diritti umani” e gli Organismi dell’Unione come tale130, evidenziano l’incongruità anche pratica di tali riduzionismi. D’altra parte, è lo stesso concetto di ‘ordinamento’ a supporre una ‘gerarchia’ valoriale tra i diversi elementi che lo costituiscono ed integrano: una gerarchia data –appunto– per ‘qualificazione’ esistenziale. Maggiore è lo spessore e la consistenza valoriale/assiologica/ideale di cui è dotata la collettività da ‘ordinare’ (Morale, Etica), minore saranno le richieste poste all’Ordinamento giuridico (com’è di fatto per il Diritto canonico); minori saranno gli elementi assiologici/ideali della collettività in questione, maggiori saranno le sue richie-ste o concessioni all’Ordinamento giuridico come tale onde averne sicurezza, protezio-ne, stabilità …fino allo Stato ‘etico’ (non solo dittatoriale, ma anche democratico-populista) che decide per Legge che cosa sia bene e che cosa sia male… chi vive e chi muore. In tali situazioni, però, il Giudice finisce inevitabilmente per tutelare la posizione del più forte (il Tutore che chiede la soppressione del ‘pupillo’131), così come anche risulta essere il ‘protocollo’ che –applicato correttamente– porta al ‘decesso’ di chi l’Ordinamento legale gli ha –però– assoggettato132. Spiritualità e Legge appaiono così i due estremi di una sorta di pendolo deontico tra i quali oscillano i diversi tipi/gradi di ‘ordinamento’; la giuridicità costituisce una sorta di ‘dato medio’ tra i due estremi: la zona mediana in cui il pendolo stesso indugia più a lungo …pur propendendo a volte verso la spiritualità più che verso la Legge o vicever-sa. 130 Si veda quanto accaduto in seguito alle diverse ‘pronunce’ di tale Corte in materie espressamente ‘spi-rituali’(?): F. SERRA, Il monito dei governi: «La Corte europea rispetti le tradizioni», in Avvenire, XLIII (2010), n. 43, 20 febbraio, 15. 131 Com’è stato per il ‘caso Englaro’ in cui il padre –essendo Eluana maggiorenne– esercitava non la pa-tria potestà ma quella tutelare, assegnata dal Tribunale a vantaggio di chi non è in grado di disporre di sé. 132 Come, per contro, l’applicazione del ‘protocollo’ per le esecuzioni capitali –certamente non meno le-gale negli Ordinamenti che la prevedono–, non possa essere ritenuto ‘legittimo’ tanto da chiederne la so-spensione anche attraverso moratorie internazionali, risulta piuttosto ideologico …più che oscuro.

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3.4 Fondamento e limiti Ciò che oggi –ideologicamente– pare sfuggire alla maggioranza è come il ‘fondamento’ del Diritto gli rimanga comunque esterno, costituendone di fatto intrinsecamente anche il limite strutturale …e condizionando irrimediabilmente la stessa consistenza degli Or-dinamenti giuridici. Di fatto –come in un ‘perimetro’– la loro ‘origine’ coincide con la loro ‘fine’ …il moti-vo di sussistenza col limite proprio: esattamente come un ‘confine’, che delimita uno spazio preciso la cui estensione non cambia entrando o uscendo …il confine rimane lo stesso! È, infatti, chi ‘fa’ il Diritto a stabilirne le ‘dimensioni’, le materie e la profondità esistenziale …ed il livello di intrusione all’interno delle vite e delle coscienze dei singo-li. Non di meno, il Diritto non fa altro che ‘condensare’ in modo organico e strutturare tecnicamente ciò che l’Ordinamento giuridico è in grado di offrire nel solo ambito so-cio-relazionale ai sottostanti ordinamenti sociale, istituzionale, spirituale. Ma sono proprio le coscienze –personali e collettive– che decidono per il genere, l’intensità e la stabilità della qualificazione esistenziale del vissuto o vivibile umano: le ‘credenze’, come le chiamava Max Weber. Sono le coscienze che accettano o rifiutano tali qualificazioni esistenziali …le invocano (come desiderabili) o le respingono (come ripugnanti). Sono le coscienze che accettano di sottoporre questa o quell’altra materia, o suoi ele-menti specifici, alla valorizzazione giuridica piuttosto che a quella morale o a quella eti-ca133. Antigone, dovendo optare tra il fratello e la Legge134, non fa un ragionamento giuridico ma ‘di coscienza’ (esistenziale ed etico): Polinice è comunque suo fratello! Cristo dovendo optare tra Cesare e Dio, non fa un ragionamento giuridico ma ‘di co-scienza’ (esistenziale ed etico): Dio è comunque uno solo! Non è pertanto la ‘denominazione’ o la ‘consistenza’ della norma a fare il Diritto, ma la ‘libertà’ che le si lascia di raggiungere la propria vita più intima135 …lasciando che i suoi artigli penetrino laddove più forte diventa il dolore, perché più chiara è la percezio-ne della persona e della sua irrinunciabilità: ciò che chiamiamo “dignità umana”… o semplicemente “Etica”. Tanto meno la persona sarà disposta a lasciarsi scarnificare nella propria intima dignità dal Diritto/Legge, tanto minore sarà la portata dell’Ordinamento giuridico ed ampio il

133 Come di fatto accade per le materie esistenziali non ancora ‘coperte’ da apposita normativa giuridica (com’è, p.es., la Bioetica) che vengono spesso de-mandate (o ri-mandate?) a c.d. Comitati etici. 134 In realtà la ‘politica’, come ben esprime Creonte! 135 Non si dimentichi qui il preziosissimo monito di GS 75: «si guardino i cittadini singolarmente o in gruppo, dall’attribuire troppo potere all’autorità pubblica, né chiedano inopportunamente ad essa eccessi-vi vantaggi, col rischio di diminuire così la responsabilità delle persone, delle famiglie e dei gruppi socia-li».

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suo limite136; tanto più –invece– il Diritto potrà insinuarsi nell’esistenza personale, tanto più esteso sarà l’Ordinamento giuridico e risibile il suo limite… e la dignità umana re-sidua. Ciò, tuttavia, in una pura dimensione esistenziale: l’unica davvero capace di ‘qualifica-re’ ciò che si ‘fa’ (=gli uomini fanno) sotto il sole. È in questa prospettiva che, trattando degli Ordinamenti giuridici, si dovrebbe porre dapprima il tema dei loro ‘limiti’: quali ambiti, cioè, e quali elementi del vissuto concre-to la persona non possa demandare al ‘giuridico’… né tanto meno alla Legge. Solo avuta piena cognizione della loro effettiva portata ed estensione (i limiti) si potranno in-dividuare adeguati e –solo– sufficienti elementi di ‘fondamento/legittimazione’, sempre comunque esistenziale per gli Ordinamenti stessi. Questa, in realtà, è l’esperienza universale vissuta dall’umanità, nel percorso che ha sempre visto dipendere la concreta qualificazione esistenziale del vissuto/vivibile in-nanzitutto dall’elemento spirituale (valorizzazione etica) attraverso totem e tabù (fas/nefas), oppure culturale (valorizzazione morale) attraverso usi e costumi (lici-tus/illicitus), per giungere –ben tardi– a quello istituzionale (valorizzazione giuridica) attraverso permessi e divieti, ben presto sfociato in quello giuridico e legale: Iura et Le-ges. Proprio tale processo però, in una parte del mondo attuale, pare ormai giunto al proprio epilogo a causa dello schiacciamento generale del vissuto/vivibile sull’elemento giuridi-co/legale, dovuto alla negazione tanto della componente spirituale-etica che di quella culturale-morale, generata dall’a-religiosità ed a-moralità introdotte e fomentate dalla cultura radicale che da qualche secolo imperversa nel mondo europeo. L’ormai costitutiva assenza di principio dei ‘limiti’ degli Ordinamenti giuridici li rende, così, totali e totalizzanti: nuove divinità informi ed impersonali (‘protocolli’) che im-pongono l’obbligo di non-qualificare esistenzialmente (‘giudicare’)137 nulla di ciò che la persona, invece, ha sempre cercato di ‘conoscere’ e ‘ri-conoscere’ proprio per averne identità, sicurezza, supporto e stabilità …accontentandosi anche –extremissima ratio– del Diritto stesso. 3.5 I limiti invalicabili dell’Ordinamento Proprio a questa irrinunciabile prospettiva di qualificazione spirituale-etica e culturale-morale dei comportamenti socio-relazionali si deve storicamente l’intuizione circa i c.d. Diritto (divino) naturale e Diritto divino (positivo), quali limiti assiologici puramente ‘negativi’ –e non contenutistici(!)– alla progressiva identificazione dell’ordinamento spirituale, culturale, istituzionale, con quello giuridico e poi legale.

136 Com’è ben visibile nell’Ordinamento giuridico ecclesiale (canonico) in cui pochissime norme, rispetto all’ampiezza della vita ecclesiale, bastano a regolare l’aspetto socio-relazionale proprio della comunità di fede nel Cristo risorto. 137 Secondo la logica del politically correct che ha soppiantato sia la Morale che l’Etica.

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Chiamati “Diritto” ma senza esserlo ontologicamente, poiché necessari meta-referenti del giuridico e del Diritto …chiamati –analogicamente– “Diritto” per opporsi comun-que alla pari alla concettualizzazione del Diritto stesso …chiamati –impropriamente– “Diritto” per poterli addurre legittimamente (sic!) nelle (in)adeguate sedi legislative quali limitazioni invalicabili al Diritto stesso. Diritto ‘naturale’ e ‘divino’ (come oggi vengono chiamati in modo non corretto) opera-no infatti come una sorta di zavorra ontologico-deontica che, conferendo maggior peso specifico, alle dimensioni spirituale-etica e culturale-morale tendono a mantenere al di fuori dell’area d’influenza dell’Ordinamento giuridico (e quindi del Diritto come tale e poi della Legge) i principi primi di valorizzazione esistenziale del vissuto e vivibile umano, rivendicando nella società –non meno che contro di essa, se/quando necessario– il valore intangibile della singola persona che mai può legittimamente essere data in pasto all’Ordinamento giuridico né, tanto meno, al Molok del Diritto/Legge. Purtroppo la concezione assolutamente autoreferenziale e positivistica del Diritto perse-guita ancor oggi da molti –soprattutto non-giuristi– ha contribuito alla espressa ‘conte-nutizzazione’ (in realtà solo pretesa, poiché inattuabile!138) tanto del ‘Diritto naturale’ che di quello ‘divino’, facendone quasi vere e proprie ‘Leggi’ (divine) …convinti che solo così si possa resistere alle Leggi (umane) stesse. Questo, tuttavia, porta con sé il gravissimo rischio di ritenerli davvero ‘Legge’ e ‘Diritto’ come gli altri, ponendoli ine-vitabilmente sullo stesso tavolo delle trattative e dei diversi compromessi d’interesse, com’è, d’altra parte, tutta l’attività legislativa occidentale dalla Rivoluzione francese in poi. È, invece, assolutamente necessario mantenere questi ‘elementi assiologici’ al di fuori di qualunque deriva riduzionistica verso la giuridicità intesa come Diritto/Legge (positi-va), al fine di continuare a distinguere con forza e lucidità l’estrema differenza tra i di-versi livelli di ordinamentalità socio-relazionale, strappando la definizione dei ‘valori’ alla pura attività giurisdizionale, legislativa e convenzionale/contrattuale cui oggi è ri-dotta …spesso proprio in sede giurisdizionale. L’accettazione, per contro, della concettualizzazione di giuridicità/Diritto proposta ed argomentata in questa sede offre la grande chance di mantenere la funzione tutoria, li-mitativa, del ‘Diritto naturale’ e ‘divino’ al proprio corretto posto, proprio quale –originaria– frontiera che impedisca il risucchio dell’intera società nella sola Legge. CONCLUSIONI La prospettiva –solo in parte ‘ardita’– qui proposta, permette di ‘illuminare’ in modo diverso un panorama ormai –solo– presuntamente ben conosciuto. 138 Non si sottovaluti come la sepoltura dei morti, p.es., che procurò tanto guaio ad Antigone sia presenta-ta dalla tradizione cattolica e nel Magistero non come ‘Legge/Diritto’ ma come “opera di misericordia corporale” (cfr. Catechismo della Chiesa cattolica. Compendio, Città del Vaticano, 2005, B) formule di dottrina cattolica).

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La nuova ‘luce’, pur non potendo pretendere di surrogarsi alla miriade di illuminatori già attivi, aiuta tuttavia a porre in risalto una serie di particolari –si ritiene non banali– la cui accurata considerazione potrebbe, forse, risultare significativa per ‘rintracciare’ in-dizi del tutto decisivi per ‘risolvere’ il caso Diritto/giuridicità …come quando alla ‘lu-ce’ ordinaria si affianca o sostituisce quella dei raggi infrarossi, capaci di ‘vedere’ anche il calore e le sue gradazioni e non solo le ‘forme’ ed i colori che già ad occhio nudo chiunque può individuare.

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