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« il diritto ecclesiastico » · 3-4 · 2011 L’educazione religiosa del minore nella crisi coniugale tra autonomia familiare e intervento del giudice Sommario : 1. Una recente decisione della Corte d’Appello di Milano. 2. Gli accordi genitoriali in sede di separazione e l’educazione religiosa dei figli. 3. L’intervento del giudice nel conflitto educativo religioso. 4. L’ascolto del minore nei procedimenti che lo riguardano e la tutela delle sue scelte religiose. 1. L a libertà religiosa è un diritto soggettivo personalissimo, che manifesta i suoi effetti nei rapporti interprivati e quindi anche all’interno della famiglia. In essa i membri sono titolari di situazioni giuridiche soggettive destinate a inte- ragire tra loro : è ciò che accade nel caso in cui genitori discutano sul modello educativo religioso da adottare per i propri figli, o quando si consideri l’esercizio del diritto di libertà religiosa del minore in rapporto a quello dei genitori. 1 La decisione della Corte d’Appello di Milano del 21 febbraio 2011, 2 resa nella fase di reclamo a un provvedimento del Tribunale di Varese, ha alla base l’unila- terale determinazione della madre di far frequentare al figlio, di 9 anni d’età, un percorso battesimale da lui stesso desiderato, nonostante l’esistenza di un accor- do fra i genitori, anteriore alla loro separazione, circa l’educazione non religiosa da impartire al minore. Il Tribunale, chiamato a pronunciarsi in prime cure sulla domanda del padre per la sospensione/interruzione immediata del percorso ca- techistico, valutava favorevolmente e approvava nel merito la scelta « formativa » e « culturale » della madre. Di qui, appunto, l’impugnazione. La pronuncia della Corte milanese ha il merito di affrontare alcuni punti fon- damentali del tema dell’educazione religiosa dei figli, riferendo una vicenda che, se da una parte non è da ritenersi infrequente nella giurisprudenza in ma- teria di separazione coniugale – essendo, invece, più difficile rinvenirla quando i genitori siano uniti in matrimonio –, dall’altra parte consente di evidenziare alcuni principi, o quantomeno orientamenti generalmente condivisi, che soli- tamente rimangono nascosti in realtà processuali per loro natura episodiche o fortemente contestualizzate. 3 1 Francesco Finocchiaro, Diritto ecclesiastico, Edizione compatta, Bologna, Zanichelli Edito- re, 20072, p. 93 ; cfr. Così Enrico Vitali, Antonio G. Chizzoniti , Manuale Breve. Diritto ecclesia- stico, Milano, Giuffré, 2012, p. 64. 2 Il provvedimento della Corte d’Appello di Milano, 21 febbraio 2011, Pres. rel. La Monica, è pubblicata in questo fascicolo, di seguito al presente contributo. Ved. anche « Foro it », 3, i , 2012, c. 919. 3 Per una trattazione più ampia del tema della educazione religiosa del minore, si rinvia a Ro-

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« il diritto ecclesiastico » · 3-4 · 2011

L’educazione religiosa del minore nella crisi coniugale tra autonomia familiare e intervento del giudice

Sommario : 1. Una recente decisione della Corte d’Appello di Milano. 2. Gli accordi genitoriali in sede di separazione e l’educazione religiosa dei figli. 3. L’intervento del giudice nel conflitto educativo religioso. 4. L’ascolto del minore nei procedimenti che lo riguardano e la tutela delle sue scelte religiose.

1.

La libertà religiosa è un diritto soggettivo personalissimo, che manifesta i suoi effetti nei rapporti interprivati e quindi anche all’interno della famiglia. In

essa i membri sono titolari di situazioni giuridiche soggettive destinate a inte-ragire tra loro : è ciò che accade nel caso in cui genitori discutano sul modello educativo religioso da adottare per i propri figli, o quando si consideri l’esercizio del diritto di libertà religiosa del minore in rapporto a quello dei genitori. 1

La decisione della Corte d’Appello di Milano del 21 febbraio 2011, 2 resa nella fase di reclamo a un provvedimento del Tribunale di Varese, ha alla base l’unila-terale determinazione della madre di far frequentare al figlio, di 9 anni d’età, un percorso battesimale da lui stesso desiderato, nonostante l’esistenza di un accor-do fra i genitori, anteriore alla loro separazione, circa l’educazione non religiosa da impartire al minore. Il Tribunale, chiamato a pronunciarsi in prime cure sulla domanda del padre per la sospensione/interruzione immediata del percorso ca-techistico, valutava favorevolmente e approvava nel merito la scelta « formativa » e « culturale » della madre. Di qui, appunto, l’impugnazione.

La pronuncia della Corte milanese ha il merito di affrontare alcuni punti fon-damentali del tema dell’educazione religiosa dei figli, riferendo una vicenda che, se da una parte non è da ritenersi infrequente nella giurisprudenza in ma-teria di separazione coniugale – essendo, invece, più difficile rinvenirla quando i genitori siano uniti in matrimonio –, dall’altra parte consente di evidenziare alcuni principi, o quantomeno orientamenti generalmente condivisi, che soli-tamente rimangono nascosti in realtà processuali per loro natura episodiche o fortemente contestualizzate. 3

1 Francesco Finocchiaro, Diritto ecclesiastico, Edizione compatta, Bologna, Zanichelli Edito-re, 20072, p. 93 ; cfr. Così Enrico Vitali, Antonio G. Chizzoniti, Manuale Breve. Diritto ecclesia-stico, Milano, Giuffré, 2012, p. 64.

2 Il provvedimento della Corte d’Appello di Milano, 21 febbraio 2011, Pres. rel. La Monica, è pubblicata in questo fascicolo, di seguito al presente contributo. Ved. anche « Foro it », 3, i, 2012, c. 919.

3 Per una trattazione più ampia del tema della educazione religiosa del minore, si rinvia a Ro-

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La Corte, pur nei limiti del suo decidere, tratta alcuni profili ecclesiasticistici che in questa sede si intendono aggregare attorno a due poli : da un lato, l’au-tonomia negoziale dei genitori che intendono disciplinare la futura educazione religiosa dei figli, dall’altro il ruolo del giudice chiamato a dirimere i conflitti tra i genitori. Nel far questo, non si potrà trascurare la situazione giuridica assunta dal minore nei procedimenti che lo riguardano, specialmente nel caso in cui di-venta rilevante, seppur in nuce, la sua autodeterminazione religiosa.

2.

La pronuncia in esame dà atto dell’esistenza di un « progetto genitoriale » sull’educazione non religiosa da impartire al figlio, riconducibile al più generale esercizio del dovere-diritto dei genitori (la potestà) sancito dall’art. 30 Cost. In caso di separazione personale dei coniugi, la regolamentazione della compo-nente educativa può diventare oggetto di conflitto. Questa evenienza richiama alla mente i noti ‘patti di religione’, anch’essi sottoposti al controllo del giudice della separazione. 4

Nel caso in esame, tale « progetto genitoriale » non sembra aver mai avuto una formalizzazione, ma sarebbe deducibile, oltre che da dichiarazioni più o me-no esplicite dei genitori, da comportamenti confermativi di questa volontà – la scelta del matrimonio col solo rito civile ; il mancato battesimo del figlio ; la de-cisione di riservare alla futura autodeterminazione del figlio ogni scelta in mate-ria religiosa. Per questo motivo, si dovrebbe parlare più propriamente di patti di religione ‘impliciti’, 5 della cui rilevanza giuridica sono stati sollevati dubbi. 6

Rientrando nell’ampia categoria dei c.d. ‘patti di educazione’, 7 anche quelli in

berta Santoro, Diritti ed educazione religiosa del minore, Napoli, Jovene, 2004 ; Maria Luisa Lo Giacco, Educazione religiosa e tutela del minore nella famiglia, « Stato, Chiese e pluralismo confes-sionale », Rivista telematica (www.statoechiese.it), febbraio 2007 ; David Durisotto, Educazione e libertà religiosa del minore, Napoli, Jovene, 2011.

4 Sul punto, ved. Caterina Lumia, La separazione consensuale, in Famiglia e matrimonio, a cura di Gilda Ferrando, Marcella Fortino e Francesco Ruscello, I/2, in Trattato di diritto di famiglia, di-retto da Paolo Zatti, p. 1003, e bibliografia ivi citata.

5 Più in generale, i ‘patti impliciti’ hanno come fondamento l’insieme di specifici principi e pratiche cui ciascuna famiglia quotidianamente si ispira o che attua, costituendo l’indizio di concezioni e modi di vita (Giovanni B. Ferri, Le « eguaglianze » tra coniugi », in Eguaglianza morale e giuridica dei coniugi. Atti di un Convegno di studi, Napoli, Jovene, 1975, pp. 346-347).

6 Già Lorenzo Spinelli, Educazione religiosa della prole e contrasto tra genitori, « Riv. dir. matr. », 1965, pp. 305 ss., per il quale la scelta del rito civile per il matrimonio non fonda una presunzione circa l’indirizzo da assumere sull’educazione religiosa della prole (pur riferendo contestualmente le opinioni in senso contrario di Lener e Orestano). Più recentemente il valore dei patti impliciti è stata ripresa, seppure dal punto di vista dell’aspettativa del minore nei confronti dei genitori, da Alfredo C. Moro, Il bambino è un cittadino, Milano, Ugo Mursia Editore, 1991, pp. 213-214.

7 Sulla bassa diffusione di questa tipologia di patti nel nostro ordinamento, noti invece ad altre culture giuridiche, Salvatore Patti, Regime patrimoniale della famiglia e autonomia privata, « Fa-milia », 2, 2002, pp. 285 ss., che rinvia anche a Pietro Rescigno, Il diritto di famiglia a un ventennio dalla riforma, « Riv. dir. civ. », i, 1998, p. 111.

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materia di religione si caratterizzano per alcune note e ineludibili problemati-che che riguardano la loro natura giuridica, le conseguenze di un loro eventuale inadempimento, la presupposta esistenza del diritto dei genitori di attribuire a una singola scelta educativa il carattere di punto fermo nell’educazione del fi-glio. Infine, è altrettanto conosciuto il loro potenziale contrasto con l’autodeter-minazione religiosa che il minore, maturando, potrebbe raggiungere, toccando così il rapporto con chi esercita la potestà. 8

In passato, si è sostenuto che questi accordi patissero il limite dell’ordine pub-blico, superato ogniqualvolta l’accordo violava norme riguardanti la potestà, da ritenersi sottratte alla disponibilità delle parti. 9 Oggi, anche a seguito dell’ab-bandono definitivo della visione pubblicistica familiare, i patti educativi possono considerarsi espressione del rispetto che l’ordinamento riconosce all’autonomia della vita privata e familiare, e quindi anche alla pluralità dei modelli educativi del minore, fermi restando – come si vedrà – alcuni limiti. Il riflesso dell’auto-nomia riconosciuta alla famiglia si ritrova nel novellato art. 155, comma 2, c.c., il quale – nel procedimento di separazione dei coniugi – prevede che il giudice, anche con riferimento all’educazione, « prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori ».

Agli accordi genitoriali potranno dunque essere riconosciute validità ed effi-cacia qualora disciplinino i modi concreti di esercizio dei doveri-diritti genito-riali in materia di educazione religiosa, 10 sempre che non deroghino principi e norme imperative, come gli artt. 30 Cost., 147, 148 c.c. 11 Questo comporterà, per la tutela del ‘preminente interesse’ del minore, che le capacità, l’inclinazione naturale e le aspirazioni dei minori – in sostanza, la loro personalità – costitui-scano oggetto di primaria considerazione sia nel momento della formulazione dei patti sia nella fase della vigenza.

Questi limiti, espressione del fatto che il dovere-diritto educativo s’inscrive nel più ampio concetto di potestà genitoriale, hanno il pregio, ma recano anche il pericolo di essere suscettibili di un’interpretazione ampia. Ogni ulteriore con-siderazione circa la loro legittimità presuppone un’attenta analisi del caso con-

8 Su questi profili : Massimo Paradiso, La comunità familiare, Milano, Giuffré 1984, p. 342 ; Francesco Ruscello, La potestà dei genitori. Rapporti personali, in Il Codice Civile, Commentario diretto da Piero Schlesinger, Milano, Giuffré, 1996, pp. 68 ss. ; Pasquale Stanzione, Diritti fonda-mentali dei minori e potestà dei genitori, « Rass. dir. civ », 1980, p. 473.

9 Si ricordano Bigiavi, Ateismo e affidamento della prole, Torino, Padova, Cedam, 1951, p. 83 e Candian, Religiosità e ateismo dell’educatore, « Temi », 1949, p. 459.

10 Poiché i patti costituirebbero il frutto di un contemperamento della potestà, che ai genitori spetta in parti uguali e nel preminente interesse del figlio, essi saranno inevitabili quando gli in-, essi saranno inevitabili quando gli in-inevitabili quando gli in-quando gli in- gli in-teressi dei genitori risultino inizialmente contrapposti, e costituiscono il male minore di fronte all’alternativa rappresentata dalla valutazione astratta ad opera del giudice : Nicola Colaianni, Tutela della personalità e diritti della coscienza, Bari, Cacucci, 2000, pp. 152 ss. ; in quest’ultimo senso anche Pietro Rescigno, Lezioni su proprietà e famiglia, Bologna, R. Patron, 1971, p. 236.

11 Giacomo Oberto, Modelli educativi ideologici, culturali e religiosi rispetto al minore di genitori in crisi (Parte II), « Fam. e dir. », 5, 2010, p. 618 ; Ved. anche Alessandro P. Scarso, I patti tra genitori in merito a questioni di particolare importanza per il figlio, « Fam, Per. Succ. », 11, 2006, pp. 876 ss.

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creto, con esiti non dissimili da quelli che si hanno quando, più in generale, il giudice dovrà provvedere in ordine al conflitto educativo genitoriale, in assenza di preventivi accordi. Sul punto, quindi, si tornerà.

Il profilo di maggiore interesse dei patti educativi è il loro mancato adempi-mento. Sicuramente, per i motivi anzidetti, non è corretto qualificare il com-portamento inadempiente del genitore come mera ‘scorrettezza’, per quanto in passato si sia affermato che il patto sull’educazione fosse in sostanza « un’ob-bligazione di fare a carattere infungibile, il cui inadempimento non solo è insu-scettivo, per carenza di previsioni normative al riguardo, di dar luogo all’appli-cazione di misure coercitive, ma che, altresì, non legittimerebbe conseguenze risarcitorie di sorta a vantaggio dell’altro coniuge ». Tale impostazione ha con-sentito di negare l’omologazione dei patti educativi (religiosi) in sede di sepa-razione personale, poiché « obbligazione puramente morale (…), che non può trovare ingresso in un atto di regolamento degli interessi tra i coniugi che es-sendo contenuto in una sentenza resta sostanzialmente e formalmente frutto di eterodeterminazione ». 12

D’altro canto, è accaduto che alcuni accordi educativi genitoriali fossero rego-larmente omologati, prevedendo, quale conseguenza dell’eventuale violazione da parte dei coniugi, il mutamento dell’affidamento. 13 Anche questa soluzione si espone a una evidente critica, poiché non potrebbe essere adottata dal giudi-ce sic et simpliciter come conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento. Al contrario, si renderebbe sempre necessaria una valutazione di conformità dell’adottando provvedimento (stante la sua efficacia rebus sic stantibus) all’esclu-sivo e supremo interesse della prole, che rimane, pur in presenza di un accordo dei genitori, l’unico parametro indefettibile. 14

Tornando alla decisione dell’Appello di Milano, si osserva che il comporta-mento della madre, di mutare unilateralmente l’educazione religiosa del mino-re, ha integrato un inadempimento dell’accordo ritenuto esistente tra i genitori. La Corte, in assenza di pattuizioni espresse delle parti, ammonisce la madre, avvalendosi di una delle misure sanzionatorie offerte dalla complessa disposi-zione di cui all’art. 709 ter c.p.c. – che prevede, in caso di gravi inadempienze dei

12 Trib. Prato, 25 ottobre 1996, n. 460, « Quad. dir. pol. eccl. », 1997, p. 856 : in questo caso un geni- in questo caso un geni-tore si obbligava ad astenersi dall’educare i figli minori al credo della confessione di appartenenza (nella specie, dei testimoni di Geova). In senso critico ved., tra gli altri, Massimo Dogliotti, Separazione dei coniugi, educazione religiosa della prole, controllo del giudice, « Dir. fam. pers. », 3, 1997, p. 1015 ; Mario Conte, Separazione consensuale ed omologazione : profili processuali dell’ultimo accordo tra i coniugi, ivi, p. 1027 ; Filippo Danovi, Infungibilità dell’obbligazione e poteri del giudice nei giudizi di separazione, ivi, p. 1030.

13 Trib. Rimini, 9 giugno 1998, dove si legge che i coniugi « si obbligano ad impartire al figlio l’educazione nella religione cattolica con divieto assoluto di istruirlo o metterlo in contatto con persone o esperienze attinenti ad altre religioni. La violazione di questo impegno comporterà mutamento dell’affidamento di fatto », in questa « Rivista », i, 1999, p. 768, con nota di Luca Ian-naccone, Libertà religiosa del minore e accordi di separazione (a proposito di un recente provvedimento del Tribunale di Rimini). 14 Luca Iannaccone, Art. cit, p. 783.

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genitori o di atti pregiudizievoli per il minore o, ancora, di comportamenti che ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento, oltre all’am-monizione, la modifica dei provvedimenti in vigore, il risarcimento del danno subito dal minore o dall’altro genitore, nonché la sanzione amministrativa pe-cuniaria a carico del genitore inadempiente. 15

Tuttavia la misura disposta, come spiega la Corte, è la conseguenza del man-cato rispetto di un obbligo legale, più che dell’anteriore accordo accertato come esistente : in caso di separazione dei genitori, le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’educazione (anche religiosa) devono essere assunte di co-mune volontà, tenendo conto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspira-zioni. Qualora ciò non avvenga, per unilaterale agire di uno dei genitori, si ha indubbiamente un grave inadempimento od ostacolo al corretto svolgimento delle modalità di esercizio della potestà e del disposto affidamento.

Poiché, come si è detto, non vi è motivo per escludere che un obbligo educa-tivo religioso possa essere espressamente pattuito dalle parti e poi trasfuso in un accordo di separazione, l’art. 709 ter c.p.c. – norma ‘coercitiva’ 16 costruita per la tutela anche ‘personale’ 17 della prole e dell’altro genitore – può dunque costitu-ire un efficace strumento per garantire l’adempimento non solo degli obblighi (educativi e non) previsti dalla legge, ma anche di quelli che possono essere specificamente concordati dalle parti e trasfusi successivamente nell’accordo di separazione, sempre nei limiti dalla loro ammissibilità. Se alcune perplessità fa sorgere il ricorso, quale misura ‘coercitiva’, al risarcimento del danno, 18 l’ammo-nizione e il pagamento della sanzione amministrativa risulterebbero invece mi-sure più adeguate, soprattutto se considerate alla luce della rilevata possibilità che il giudice deroghi all’osservanza del principio dispositivo e della corrispon-

15 Per un’analisi, anche critica, della disposizione, ved. Michele Angelo Lupoi, Aspetti proces-suali della normativa sull’affidamento condiviso, « Riv. trim. dir. proc. civ. », 4, 2006, pp. 1063 ss. ; Gio-vanni Giacobbe, affidamento condiviso dei figli nella separazione e nel divorzio, « Dir. fam. pers. », 2, 2006, pp. 707 ss. ; Filippo Danovi, L’affidamento condiviso : le tutele processuali, « Dir. fam. pers. », 4, 2007, pp. 1883 ss.

16 Cfr. Giuseppe Spoto, Dalla responsabilità civile alle misure coercitive indirette per adempiere gli obblighi familiari, « Dir. fam. pers. », 2, 2010, pp. 910 ss., per il quale le misure contenute nell’art. 709 ter c.p.c. sarebbero mezzi di coercizione indiretta per la realizzazione di obbligazioni di facere. In giurisprudenza, cfr. Trib min. Milano, 14 giugno 2012, n. 529 ; Trib. Palermo, 2 novembre 2007.

17 Michele Angelo Lupoi, Art. cit., pp. 1063 ss. 18 Sul rischio dell’inutilità del ricorso, pur possibile, alle regole risarcitorie nell’ambito del diritto

di famiglia, quando l’inadempimento del genitore o del coniuge riguardi – come nel casi di obbli-quando l’inadempimento del genitore o del coniuge riguardi – come nel casi di obbli-l’inadempimento del genitore o del coniuge riguardi – come nel casi di obbli-’inadempimento del genitore o del coniuge riguardi – come nel casi di obbli-inadempimento del genitore o del coniuge riguardi – come nel casi di obbli-i – come nel casi di obbli-ghi di educazione – prestazioni giuridicamente infungibili, ovvero quando sia necessario preveni- prestazioni giuridicamente infungibili, ovvero quando sia necessario preveni- ovvero quando sia necessario preveni-ovvero quando sia necessario preveni-re il comportamento pregiudizievole, o, almeno, la ripetizione della lesione, ved. Giuseppe Spo-to, Art. cit., pp. 910 ss. Qualora sia ammesso, invece, il ricorso al risarcimento del danno, discusso è se il giudice debba verifi care l’eff ettiva sussistenza di un danno (normalmente, di natura esisten-il giudice debba verifi care l’eff ettiva sussistenza di un danno (normalmente, di natura esisten-ebba verifi care l’eff ettiva sussistenza di un danno (normalmente, di natura esisten- verificare l’eff ettiva sussistenza di un danno (normalmente, di natura esisten-’eff ettiva sussistenza di un danno (normalmente, di natura esisten-effettiva sussistenza di un danno (normalmente, di natura esisten-ziale), evitando di configurare lesioni in re ipsa (così Michele Angelo Lupoi, Art. cit., pp. 1063 ss.) oppure se il risarcimento debba essere collegato alla gravità della condotta, senza sovrapposizione alcuna al normale risarcimento di natura civilistica (Giuseppe De Marzo, L’affidamento condiviso. I. I profili sostanziali, « Foro it. », v, 2006, v, c. 95 ; Geremia Casaburi, La nuova legge sull’affidamento condiviso (ovvero, forse : tanto rumore per nulla), « Corr. merito », 5, 2006, p. 572).

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denza tra il chiesto e pronunciato ; con ciò si provvede a tutelare il prevalente interesse del minore nel caso concreto, anche a fronte di un’istanza del genitore che si limiti a chiedere l’emissione del provvedimento più appropriato. 19

I patti di religione, infine, devono esser valutati anche alla luce della loro com-patibilità con l’autodeterminazione in materia religiosa che il minore potrebbe raggiungere nel periodo della loro vigenza. È indubbio che gli accordi regolano interessi che non appartengono, se non in via mediata, ai soggetti che concludo-no l’accordo, bensì a terzi (il minore), che dalle sorti del patto vedono dipendere il risultato della loro formazione. 20 Questo dato ineliminabile non impedisce tut-tavia la tutela dell’interesse preminente del minore, e quindi la sua personalità in formazione, esprimibile anche attraverso una scelta consapevole in materia religiosa, indipendentemente dai patti tra i genitori.

La raggiunta autodeterminazione del minore, eventualmente accertata in sede giudiziaria, dovrà trovare realizzazione sia direttamente, nei rapporti coi genitori, sia indirettamente, qualora il giudice debba decidere del conflitto tra i genitori sull’indirizzo educativo da adottare. Del resto, è proprio la conflit-tualità tra i genitori, frequente nei procedimenti di separazione, che richiede di prestare attenzione alla persona del minore, soprattutto quando le soluzio-ni prospettate dalle parti potrebbero essere dettate più da interessi personali (fosse anche la sola ripicca verso l’altro coniuge), che dal desiderio di realizzare effettivamente l’interesse della prole. 21 Per questo, come si dirà, diventa essen-ziale garantire la partecipazione del minore ai procedimenti giudiziari che lo riguardano.

3.

La decisione in esame riferisce alcuni passi del provvedimento del Giudice di prime cure, che aveva considerato la scelta della madre di iscrivere il figlio alla catechesi « cosa buona e utile al minore », sostenendo che l’insegnamento della dottrina cattolica, così come l’insegnamento di ogni altra disciplina e materia di valenza culturale, costituisce « corretta spiegazione di eventi e concetti religiosi, di principi teologici, che arricchisce il bagaglio culturale e umano di ogni indi-viduo ». Afferma correttamente la Corte che il giudizio espresso dal Tribunale riflette « un’adesione da parte dello stesso organo giudicante ad una scelta con-fessionale, così privilegiata rispetto ad una scelta – altrettanto legittima secondo il principio di laicità, che è principio supremo dell’ordinamento – di educazione

19 Michele Angelo Lupoi, Art. cit., pp. 1063 ss.20 Francesco Ruscello, Op. cit., p. 68.21 Ibidem, p. 72, si ricorda anche Mario Tedeschi, Manuale di diritto ecclesiastico, Torino, G.

Giappichelli Editore, 20105, pp. 340-341. L’A., dopo aver riconosciuto che il « diritto-dovere dei geni-tori di dare ai figli un’educazione religiosa può riguardare solo i primi anni della loro vita, non quelli successivi, poiché dopo i quattordici anni i figli restano liberi di operare le proprie scelte in materia religiosa », sottolinea l’invalidità di eventuali patti dei genitori in materia « perché la libertà religiosa è indisponibile ».

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non confessionale ». Tali affermazioni consentono di formulare alcune conside-razioni riguardanti le modalità e il limite dell’operare del giudice che interviene per dirimere i conflitti genitoriali in materia di educazione religiosa.

Se l’ordinamento tace ogni specifico riferimento all’educazione religiosa che i genitori vogliano impartire ai figli, 22 l’art. 155, comma 3, c.c. (Provvedi-menti riguardo ai figli), in caso di separazione personale dei coniugi, stabilisce che la potestà è esercitata da entrambi i genitori e che le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione e all’educazione (nonché alla salute) sono assunte di comune accordo, tenendo conto delle loro capacità, inclina-zioni naturali e aspirazioni, così coordinandosi con gli artt. 316 e 147 c.c. La decisione circa l’educazione religiosa (e ancor più quella finalizzata alla som-ministrazione dei sacramenti, come il battesimo, che nella dottrina cristiana rappresenta l’ingresso nella Chiesa), rientra tra quelle di maggiore interesse, necessitando quindi di una manifestazione di volontà concorde, seria e pon-derata dei genitori che esercitano la potestà, indipendentemente dal disposto affidamento.

La citata disposizione conclude prevedendo che in caso di disaccordo la de-cisione è rimessa al giudice. Nonostante il tenore letterale della norma, si ritie-ne che il giudice investito del disaccordo non potrà comunque discostarsi dal criterio ‘ordinario’ (che vige al di fuori della separazione) stabilito dall’art. 316, comma 5, c.c., per cui i provvedimenti più idonei saranno indicati da ciascun ge-nitore. 23 Tale lettura, fondata ancora una volta sul rispetto dell’autonomia fami-liare, consentirebbe al giudice, anche in caso di separazione, solo di suggerire le determinazioni che ritiene più utili nell’interesse del figlio e dell’unità familiare, fino a attribuire il potere di decidere al genitore che, nel singolo caso, ritiene il più idoneo a curare l’interesse del figlio.

Una diversa lettura dell’art. 155 c.c., che consentisse al giudice della separazio-ne – comunque competente ai sensi dell’art. 709 ter c.p.c. – di discostarsi dalle scelte educative religiose previste dai genitori, si porrebbe in contrasto, oltre che con il carattere fortemente autonomo della famiglia, con l’art. 30 Cost., che attribuisce, come noto, il dovere e diritto dei genitori di educare i figli. 24 Tale let-tura farebbe inoltre sorgere anche dubbi di legittimità costituzionale, dato che

22 Il silenzio del legislatore in argomento richiama alla memoria le affermazioni di Jemolo, che, con riferimento all’allora rinnovellato art. 316 c.c., riteneva che « è rimasta impregiudicata o, me-glio, rimessa alla discrezionalità del giudice che non trova alcun orientamento nella legge, e deci-derà secondo il proprio sentire, la questione di come si risolva il contrasto tra i genitori se l’uno voglia che i figli abbiano una educazione religiosa e l’altro vi contrasti, o se desiderino allevarli in due religioni diverse » : Arturo C. Jemolo, Lezioni di diritto ecclesiastico, Milano, Giuffré, 19795, p. 117.

23 Giacomo Oberto, Modelli educativi ideologici, culturali e religiosi rispetto al minore di genitori in crisi, cit., pp. 611-612.

24 Sull’art. 30 Cost. come regola di non-interferenza nel processo educativo, ved. Paolo Zatti, Rapporto educativo e intervento del giudice, in L’autonomia dei minori tra famiglia e società, a cura di Marcello De Cristofaro e Andrea Belvedere, Milano, Giuffrè, 1980, pp. 225 ss.

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ammetterebbe un differente potere di intervento del giudice nel disaccordo tra i genitori, a seconda che essi siano coniugati oppure separati. 25

Questa ricostruzione presuppone che almeno una delle soluzioni prospettate dai genitori sia effettivamente idonea, secondo il giudizio del giudice, alla tutela dell’interesse del minore. Se si considera che tale interesse debba essere sempre garantito, si pone l’interrogativo se il potere del giudice – senza ricorrere alle ipotesi ‘estreme’ di cui agli artt. 330 e 333 c.c. – possa spingersi oltre le soluzioni genitoriali, stabilendo rebus sic stantibus, non la religione in cui il minore dovrà essere educato, ma i modi concreti di esercizio dell’educazione religiosa più idonei per il minore. 26

Seppure raramente, è anche accaduto che il giudice scegliesse una religione per il minore. Ad esempio, di fronte al mancato accordo tra i coniugi, si è af-fermato che alla prole dovesse essere impartito l’insegnamento della religione cattolica, « sia perché essa risponde al comune sentimento della maggioranza della popolazione italiana, sia per il particolare riconoscimento ad essa tributato dalla Repubblica, sia, infine, perché frequentemente l’ora di religione a scuola consente ai minori, che si erano già avvicinati ad altro credo confessionale, utili confronti e stimolanti spunti critici ». 27 Le motivazioni di questa curiosa decisione sembrano riecheggiare nei riportati passi della pronuncia del giudice di primo grado, poi censurati dalla Corte. Il Tribunale – evocando pronunce in materia di esposizione di simboli religiosi nello spazio pubblico, fin troppo note per esser qui nuovamente ricordate – sembra accordare preferenza alla religione cattolica, e in particolare al suo insegnamento (la ‘catechesi’, qui specificamente proiet-tata alla somministrazione del battesimo, del cui univoco senso religioso non si può dubitare), presumendone un valore che trascende l’ambito religioso per di-ventare un universale e neutro « bagaglio culturale e umano di ogni individuo ». 28

Pare evidente, infatti, che né il criterio quantitativo, né i rapporti istituzionali instaurati da una confessione religiosa coi poteri pubblici, né la garanzia offerta nella scuola pubblica dell’insegnamento della religione, né infine la pretesa assi-milazione dell’insegnamento religioso a quello di ogni altra disciplina e materia culturale potranno costituire – alla luce dei disposti e principi costituzionali – parametri affinché un’educazione religiosa sia preferita, da un organo giudizia-rio dello Stato, ad un’altra o ad una educazione non religiosa.

25 Sul punto ved. anche Alessandro P. Scarso, Art. cit., p. 872 e bibliografia ivi citata.26 Neppure può ammettersi che il giudice possa astenersi dall’attribuire il potere di decidere in

capo ad uno dei genitori, ciò finendo per violare anche il disposto dell’art. 30 Cost. : ancora Ales-sandro P. Scarso, Art. cit., cit., pp. 873-874.

27 Tribunale Massa, ordinanza 18 settembre 1986, in questa « Rivista », ii, 1988, p. 616.28 In proposito stupisce l’affermazione della Corte d’Appello che, concludendo la motivazione,

afferma : « il percorso di catechesi non si profila lesivo di un diritto proprio del minore alla sua libertà religiosa che non ha ancora avuto modo di manifestarsi in senso contrastante ». In ciò si avverte il convincimento, pur altrove smentito dalla stessa Corte, per cui la scelta – più o meno co-, pur altrove smentito dalla stessa Corte, per cui la scelta – più o meno co- pur altrove smentito dalla stessa Corte, per cui la scelta – più o meno co- dalla stessa Corte, per cui la scelta – più o meno co- per cui la scelta – più o meno co-sciente del minore e/o imposta o favorita da un genitore – di seguire il catechismo sia in definitiva religiosamente neutra, quando al contrario essa non può non considerarsi espressione univoca dell’esercizio di una determinata scelta religiosa.

l’educazione religiosa del minore nella crisi coniugale 799

La Corte milanese, però, affermando la necessaria neutralità dell’agire del giudice, ha il pregio di richiamare esplicitamente il principio supremo di laicità dello Stato. 29 Questo cenno da parte della Corte consente di « guardare al prin-cipio di laicità, per una piena identificazione del suo significato precettivo (…) non soltanto come dover-essere, fine-valore dell’ordinamento, ma anche come dover-fare, come compito dell’attuazione affidato ai poteri dello Stato ». 30

L’attuazione pratica del noto principio conferma, nel caso di specie, l’indi-spensabile neutralità di fronte ai conflitti religiosi da parte del potere pubblico, che agisce attraverso i suoi organi, che dovranno astenersi dal favorire, propa-gandare o biasimare i valori di una determinata dottrina confessionale, per l’in-competenza stessa dello Stato a valutare i principi professati da una determinata confessione. 31 Solo ciò garantisce la tutela della pari protezione della libertà di coscienza, di pensiero e di religione di ciascuna parte all’interno del giudizio.

Pertanto, come attestato da alcune pronunce, il giudice non potrà mai valuta-re la bontà di una religione rispetto a un’altra, al fine di scegliere quale educazio-ne impartire al minore. 32 Il fattore religioso deve rimanere irrilevante, in sé con-siderato, nelle decisioni che si dovranno assumere con riguardo alla scelta del genitore affidatario o collocatario (a seconda che vi sia di affidamento esclusivo o congiunto), alle modalità di incontro tra figli e il genitore non affidatario, ecc.

Se un giudizio sull’elemento religioso dovrà svolgersi, esso investirà esclusi-vamente le modalità di esercizio della potestà genitoriale religiosamente deter-minata, rilevando solo l’eventuale violazione degli obblighi. Ciò si rinviene, ad esempio, nel caso ‘estremo’ in cui il messaggio religioso che il genitore vuol far assimilare ai figli giunga a contrastare con i fondamentali principi etico-giuridici

29 Che come noto, è stato enunciato espressamente per la prima volta nel nostro ordinamento dalla Corte costituzionale, con sentenza 12 aprile 1989, n. 203. La bibliografia sul punto è enorme, qui ci limiteremo a richiamare la più recente manualistica : Mario Tedeschi, Op. cit., spec. pp. 109 ss. ; Giuseppe Dalla Torre, Lezioni di diritto ecclesiastico, Torino, G. Giappichelli Editore, 20114 ; Carlo Cardia, Principi di diritto ecclesiastico. Tradizione europea legislazione italiana, Torino, G. Giappichelli Editore, 20103 ; Nozioni di diritto ecclesiastico, a cura di Giuseppe Casuscelli, Tori-no, G. Giappichelli Editore, 20093 ; Giuseppe Casuscelli, Le laicità e le democrazie : la laicità della “Repubblica democratica” secondo la Costituzione italiana, « Quad. dir. pol. eccl. », 1, 2007, pp. 169 ss. ; Enrico Vitali, Antonio G. Chizzoniti, Op. cit., pp. 71 ss.

30 Giuseppe Casuscelli, La « supremazia » del principio di laicità nei percorsi giurisprudenziali : il giudice ordinario, « Stato, Chiese e pluralismo confessionale », Rivista telematica (www.statoechiese.it), marzo 2009, p. 4 : in tal modo il principio oltrepassa la soglia del significato meramente quali-ficatorio del modello di relazione stato-chiese, o semplicemente descrittivo del complesso delle fonti che lo sostanziano.

31 Poco conferenti, dunque, si ritengono le pur blande censure dalla Corte sull’agire dell’isti-tuzione ecclesiastica, la quale, consentendo l’iscrizione al catechismo al minore, avrebbe dovuto preventivamente verificare se la scelta della catechesi fosse frutto di un’intesa di entrambi i genito-ri : taluno potrebbe osservare che l’agire dell’autorità ecclesiastica esula dall’ordine proprio dello Stato, e quindi non potrebbe essere oggetto di critiche.

32 La giurisprudenza di merito è ormai ben nota : così Trib. Napoli, 7 luglio 1998, in questa « Ri-vista », ii, 1998, p. 516 ; Trib. Roma, 3 febbraio 1988, « Dir. fam. pers. », 1990, pp. 474 ss. ; Trib. Min. Bologna, 7 dicembre 1978, ivi, 1981, pp. 904.

800 matrimonio e famiglia

dello Stato e del suo ordinamento. 33 Anche in questo caso, sarà necessario che alla base vi siano accertati comportamenti genitoriali pregiudizievoli per i figli o, quantomeno, il pericolo concreto che un danno possa compiersi ; altrimenti oggetto del giudizio diventerà il solo merito fideistico, in sé considerato e a esse-re discriminate saranno proprio le religioni meno diffuse o meno assimilate dal punto di vista sociale, e quindi il genitore stesso che le professa, soprattutto quan-do in giudizio si invochino preminenti esigenze di ‘socializzazione’ del minore.

Il Giudice potrà intervenire anche per individuare interdizioni a comporta-menti che implichino un danno reale al minore, o anche solo il rischio di dan-no. 34 Infatti, com’è stato recentemente affermato, l’art. 155 c.c. consente al giu-dice di fissare le modalità della presenza dei figli presso ciascun genitore e di adottare ogni altro provvedimento ad essi relativo, attenendosi al criterio fon-damentale del superiore interesse della prole, che assume rilievo sistematico centrale nell’ordinamento dei rapporti di filiazione, fondato sull’art. 30 Cost. Poiché l’esercizio in concreto del potere genitoriale deve rimanere espressione della protezione del preminente diritto dei figli alla salute e a una crescita serena ed equilibrata (artt. 30 Cost. e 147 c.c.), esso potrà assumere anche profili con-tenitivi di diritti e libertà fondamentali del genitore (come quelli contemplati a livello costituzionale e sovranazionale), ove le relative esteriorizzazioni deter-minino conseguenze pregiudizievoli per la prole che vi presenzi. 35

Anche il noto criterio della ‘continuità educativa’, frequentemente utilizzato per la tutela del minore nei giudizi sulla materia di crisi familiare, deve essere let-to in questa prospettiva. Il criterio è stato utilizzato nella decisione della Corte, ove in definitiva, fermo il diritto di libertà religiosa, si è ritenuto che l’interruzio-ne del percorso catechistico – pur iniziato senza il consenso di uno dei genitori, e quindi illegittimamente – avrebbe potuto essere maggiormente lesiva dell’in-teresse del minore rispetto al suo compimento (per il minore stesso e per i rap-porti con i suoi coetanei). Si tratta, qui, di un singolare caso di tutela della conti-nuità educativa scaturita non dall’esperienza esistenziale più risalente nel tempo (che avrebbe consentito di adottare una decisione opposta), ma da una seppu-re flebile autodeterminazione religiosa del soggetto direttamente interessato.

33 Anche in questo caso, la giurisprudenza è conosciuta : Cass. civ., Sez. i, 27 ottobre 1999, n. 12077, « Dir. fam. pers. », 2001, p. 536 ; Trib. Roma, 3 febbraio 1988, ivi, 1990, pp. 474 ss. ; Trib. Min. Bologna, decreto 7 febbraio 1978, ivi, 1978, p. 905.

34 Geremia Casaburi, Pregiudizi senza orgoglio : ovvero l’affidamento del minore nella crisi familia-re, « Fam. e dir. », 2002, pp. 442 ss. ; Giacomo Oberto, Modelli educativi ideologici, culturali e religiosi rispetto al minore di genitori in crisi (Parte i), « Fam. e dir. », 5, 2010, p. 515. Per la giurisprudenza : Trib. Mondovì, 30 luglio 1982, « Dir. fam. pers. », 1982, p. 1352 ; Trib. Velletri, 17 maggio 1986, ivi, 1987, p. 207 ; Trib. Palermo, 12 febbraio 1990, « Rass. dir. civ. », 1992, p. 110 ; Trib. Forlì, 12 luglio 1995, « Fam. e dir. », 1996, p. 151 ; Trib. Venezia, 10 maggio 1990, « Foro it. », i, 1991, pp. 271 ss.

35 Così Corte Cass., Sez. i, 12 giugno 2012, n. 9546, resa con riferimento alle doglianze della madre, testimone di Geova, che lamentava come l’obbligo imposto dal giudice di astenersi da qualsiasi condotta di coinvolgimento del minore nella propria scelta religiosa, comportasse la vio-lazione dei suoi diritti in punto d’istruzione ed educazione della prole, discrimandola rispetto al padre (cattolico o agnostico), in ragione della sua adesione a diversa confessione religiosa, limitan-do inoltre il suo diritto di professare liberamente la sua fede in presenza del minore convivente.

l’educazione religiosa del minore nella crisi coniugale 801

Il criterio della tutela della continuità educativa è solitamente destinato ad esplicare i suoi effetti nel caso speculare, quando cioè si renda necessario disci-plinare la frequentazione del minore col genitore che abbia mutato convinci-mento in materia religiosa. Rimanendo ferma, infatti, la facoltà di quest’ultimo di esercitare anche ‘dinamicamente’ il diritto di libertà di cui all’art. 19 Cost. (di-ritto irrinunciabile da parte del suo titolare 36), ciò non deve recare alcun pregiu-dizio al figlio ; 37 pregiudizio che spesso si rinviene quando il minore, avendo già ricevuto un certo tipo di educazione religiosa, sia messo a contatto con la muta-ta realtà. 38 È anche qui evidente che la soluzione, inammissibile se prospettata in termini astratti e presuntivi, potrà essere considerata rispettosa dei diritti del genitore e del figlio allorché, esaminate le eventuali criticità del caso concreto, si accertasse l’impossibilità per il minore di poter ricevere un’educazione religiosa aperta ai diversi convincimenti di entrambi i genitori. 39

4.

Un aspetto direttamente connesso alla persona del minore d’età e all’esercizio dei suoi diritti di libertà concerne l’ascolto di quest’ultimo nei procedimenti giudiziari che lo coinvolgono. L’ascolto assume un ruolo determinante quando sia necessario adottare decisioni, come per l’educazione religiosa, destinate ad avere effetti per il minore, e ancor di più quando, come nel caso in esame, si possa evincere in capo al soggetto, che pure non abbia la capacità di agire, una propria determinazione di coscienza.

La Corte d’Appello ricorda la normativa internazionale e nazionale in materia di ascolto del minore e dà atto della crescente rilevanza data dal legislatore ; la medesima continua, però, affermando che ritiene inopportuno e non utile, nel-la specifica vicenda sottoposta al suo giudizio, procedere all’ascolto, nonostante la scelta religiosa di cui si discute riguardi in modo diretto il bambino. Seguono, infatti, puntuali considerazioni riguardanti l’età, la condizione psicologica del

36 In questo senso è ormai la giurisprudenza consolidata : Cass. Civ. Sez. i, 23 agosto 1985, n. 4498, « Dir. fam. pers. », p. 927. Ved. in proposito Silvio Ferrari, Comportamenti “eterodossi” e liber-tà religiosa. I movimenti religiosi marginali nell’esperienza giuridica più recente, « Foro it. », i, 1991, c. 271 ss. ; in ultimo Cass. Civ., Sez. i, 6 agosto 2004, n. 15241.

37 In giurisprudenza Trib. Min. Venezia, 5 ottobre 1992, « Quad. dir. pol. eccl. », 3, 1993, pp. 883 ss. ; già Trib. Oristano, 22 luglio 1960, « Foro it. », i, 1961, cc. 365 ss. Ciò costituisce l’aspetto complemen-tare a questo osservato in precedenza : la giurisprudenza ha considerato il cambio di religione da parte del genitore irrilevante per l’affidamento del figlio minore, salvo che tale cambiamento si risolva nel trascurare il minore per dedicarsi alla nuova religione.

38 La tutela dell’interesse alla realizzazione personale della prole esigerebbe, anzitutto, una con-a tutela dell’interesse alla realizzazione personale della prole esigerebbe, anzitutto, una con-rebbe, anzitutto, una con-, anzitutto, una con-tinuità di insegnamento che, in materia religiosa, vuol dire attribuzione di certezze comporta-mentali che non conducano il minore a pericolose confusioni : così Francesco Ruscello, Op. cit., pp. 73-74. In questo senso anche Alfredo C. Moro, Op. cit., pp. 213-214. Il criterio della con-pp. 213-214. Il criterio della con-tinuità è avvalorato dalla giurisprudenza comunitaria : sul punto Silvio Ferrari, Ivan Ibán, Diritto e religione in Europa occidentale, Bologna, 1997, p. 100.

39 Ha così motivato un affido congiunto, pur a fronte a genitori di diversa appartenenza religio-sa, App. Roma, 18 aprile 2007, in questa « Rivista », 2006, p. 133.

802 matrimonio e famiglia

minore, anche alla luce dell’esercizio di un’eventuale autodeterminazione reli-giosa, e la sua riferita volontà di non essere coinvolto nella vicenda. 40

È noto che l’ordinamento vigente, attraverso l’adeguamento a convenzioni internazionali e numerose disposizioni interne, riconosce in capo al minore il diritto a essere ascoltato, quando si verta in procedimenti destinati a produrre effetti nei suoi confronti. 41 Tale affermazione, invero così lineare, non smette ancora oggi di occupare quel dibattito che tenta di definire la concreta portata dell’ascolto, con riferimento sia alla posizione giuridica del soggetto nel cui fa-vore l’audizione è prevista, sia ai poteri del giudice nel disporla.

Il tema è ovviamente complesso e analizzabile sotto molteplici profili 42 e la sua trattazione implica alcune distinzioni, poiché differenti sono le forme e gli effetti dell’ascolto previste dall’ordinamento. 43 Esistono fattispecie in cui l’audizione può qualificarsi come atto istruttorio necessario, altre in cui esso è solamente facoltativo. Per limitarci ai procedimenti di separazione e divor-zio – ove peraltro il minore non può neppure considerarsi parte processuale, ma solo sostanziale 44 –, l’ascolto del minore non è considerato né un mezzo di prova né un atto istruttorio. 45 In questi procedimenti, l’ascolto costituisce

40 La Corte osserva, in termini presuntivi, che l’età del minore si colloca al limite tra la fase ove la educazione religiosa è eterodeterminata dai genitori e la fase in cui egli acquista gradatamente una propria maturità di scelta in campo religioso.

41 L’ascolto del minore è riconducibile in termini generali agli artt. 2, 21, 1° comma, 32, 1° comma, 111, 1° comma, Cost. A livello internazionale si ricorda la Convezione di New York del 20 novembre 1989 sui diritti del fanciullo (art. 12) e la Convenzione Europea dei diritti dei minori del 25 gennaio 1996 (artt. 3 e 6) ; a questi due strumenti, per così dire di portata generale – si affian-cano altri strumenti internazionali di carattere settoriale, relativi a singoli procedimenti. Merita menzione, inoltre, nelle fonti del diritto UE, sia la Carta dei diritti fondamentali (art. 24) sia il Re-golamento del Consiglio d’Europa del 27 novembre 2003, 2201/2003 : per una disamina di questi strumenti, con riguardo anche alla loro rilevanza nell’ordinamento interno, si rinvia a Ornella Porchia, Gli strumenti sovranazionali in materia di ascolto del minore, « Diritti umani e diritto inter-nazionale », 6, 2012, pp. 79-99.

42 Con riguardo alla sentenza in esame, l’aspetto dell’ascolto del minore è già stato affrontato da Geremia Casaburi, L’ascolto del minore tra criticità processuali ed effettività della tutela, « Corr. Merito », 1, 2012, pp. 32 ss.

43 È possibile, nel medesimo procedimento, parlare di ascolto del minore da parte del giudice, di ascolto in ambito di consulenza tecnica di ufficio o di ascolto da parte di un ausiliario-psicologo su incarico del giudice o da parte del giudice onorario presso il tribunale per i minorenni : cfr. Maria Grazia Domanico, Francesco Mazza Galati, L’ascolto del minore : un nodo che racchiude tanti problemi, « Minorigiustizia », 3, 2011, p. 155.

44 In tal senso ved. i rilievi di Gianfranco Dosi, L’interesse del minore in occasione della sua au-dizione, « Minorigiustizia », 2, 2011, p. 172 ; circa l’orientamento giurisprudenziale che nega ai figli minori la qualità di parte processuale nei giudizi di separazione e divorzio dei loro genitori (in ultimo, Cass. civ., Sez. i, 16 ottobre 2009, n. 22081), ved. le considerazioni di Paolo Di Marzo, L’audizione del minore nei procedimenti civili, « Dir. fam. pers. », 1, 2011, pp. 396-297 ; sulla qualificazio-ne del minore quale parte sostanziale, ved. Cass. civ., Sez. Un., 21 ottobre 2009, n. 22238, per cui i minori sono da ritenersi portatori di interessi contrapposti o diversi da quelli dei genitori.

45 Ved. Maria Grazia Domanico, Francesco Mazza Galati, Art. cit., pp. 153-155 ; Filippo Danovi, L’affidamento condiviso, cit., p. 1921

l’educazione religiosa del minore nella crisi coniugale 803

uno strumento processuale, 46 che da un lato realizza il diritto del minore a far sentire la sua voce e a incontrare il giudice, dall’altro consente a quest’ultimo di conoscere il diretto destinatario delle sue decisioni, modulandole in vista del suo preminente interesse, « the best interest of the child ». In questo modo, l’ascolto diviene l’idoneo supporto alle capacità dei genitori di pervenire a de-cisioni condivise su circostanze che connotano l’esercizio dei compiti di cura della prole. 47

Ma con lo stesso mezzo è data anche la possibilità al minore, seppur indiret-tamente, di esercitare un diritto della personalità. 48 In altre parole, con l’ascol-to il giudice, a cui compete la decisione finale sul minore, prende conoscenza della sua volontà e della sua autonoma posizione giuridica soggettiva, perfetta e distinta rispetto a quella di altri soggetti del procedimento, e che per taluni è il fondamento giuridico stesso dell’audizione. 49

Ma se è vero che l’importanza dell’ascolto si avverte ancor più nei procedi-menti dove le decisioni assunte dal giudice sono destinate a produrre effetti nei confronti del soggetto, che è terzo rispetto al procedimento e possono riguar-dare la sfera più intima della coscienza, come la scelta religiosa, è proprio in questi casi che spesso si ha la prova della debolezza del mezzo processuale, co-me disciplinato dal legislatore nazionale e, di conseguenza, attuato nella pratica giudiziaria.

Il contenuto dell’ascolto è oggetto della valutazione discrezionale del giudice, è inoltre riconosciuto dalle parti del procedimento e può entrare nella motiva-zione del provvedimento – in sostanza, si inserisce significantemente nel proces-so decisionale. 50 Ciononostante, a tutt’oggi l’ascolto viene praticato con estre-ma parsimonia. Oltre che in una percezione ovattata della vincolatività della normativa internazionale, 51 le resistenze risiedono spesso nel supposto pericolo che il minore comparendo davanti a un giudice possa subire un pregiudizio psi-cologico o finisca per sentirsi responsabile delle decisioni che verranno assunte ;

46 È cioè un atto che si caratterizza per la sua qualità di costituire un elemento del processo di realizzazione della tutela giurisdizionale : così Salvatore Satta, Carmine Punzi, Diritto proces-suale civile, 2000, pp. 196 ss.

47 Questo perché il tratto peculiare della novella del 2006 non è tanto da individuarsi nella esal-tazione della bigenitorialità in sé considerata come coincidente con l’interesse del minore, ma nel-la esaltazione dell’interesse medesimo che si concretizza con la condivisione dell’affido : Gianni Ballarani, Il diritto del minore a non essere ascoltato, « Dir. fam. pers. », 4, 2010, pp. 1810-1811.

48 Così Cass. Civ., Sez. i, 26 marzo 2010, n. 7282. Evidente è il collegamento con quanto dispo- Evidente è il collegamento con quanto dispo-sto dall’art. 147 c.c., secondo cui l’obbligo dei coniugi di mantenere, istruire ed educare la prole deve tener conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli.

49 Cfr. Gianni Ballarani, Art. cit., p. 1816, che richiama Alessandra Arceri, L’affidamento condiviso. Nuovi diritti e nuove responsabilità nella famiglia in crisi, Ipsoa, Milanofiori Assago, 2007, p. 200.

50 Così Maria Grazia Domanico, Francesco Mazza Galati, Art. cit., p. 156.51 Sulla qualificazione dell’ascolto, inteso come facoltà del giudice e non obbligo, ved. la giuri-

sprudenza indicata da Gianfranco Dosi, Art. cit., p. 169. Sul punto, ved. Anche Paolo Di Mar-zo, Art. cit., pp. 371 ss.

804 matrimonio e famiglia

rischi che a volte sono legati, più che a situazioni concrete, a un fraintendimen-to del concetto di interesse superiore del minore e all’assenza di adeguati mezzi processuali. 52

Diventa allora fondamentale individuare i presupposti affinché il giudice di-sponga l’audizione del minore, quantomeno nei procedimenti di separazione dei genitori. Il dato letterale dell’art. 155 sexies c.c. consente di evincere la ten-denziale obbligatorietà dell’audizione, quantomeno per gli ultradodicenni ; per i minori degli anni dodici, afferma la norma, il giudice provvederà a disporla ove il minore sia capace di discernimento. In sostanza, l’audizione non dovrà disporsi (pur a fronte di una vera e propria controversia di natura genitoriale 53) qualora difetti la capacità di discernimento del minore o, in via residuale, l’audi-zione stessa sia contraria al suo interesse, traducendosi ad esempio in un vulnus per il suo equilibrio – circostanze queste che dovranno essere necessariamente motivate dal giudice in caso di diniego. 54 Diversamente, il mancato ascolto dei minori potrebbe essere qualificato come violazione del principio del contraddit-torio e dei principi del giusto processo. 55

Non meno complesso è il rapporto tra l’esito dell’ascolto e i contenuti del provvedimento adottando. Ascoltare il minore non significa conformare incon-dizionatamente la decisione da assumere alla volontà dell’ascoltato. Infatti, se da una parte vi è l’innegabile valorizzazione del ruolo della volontà del minore, dall’altra l’art. 6 della Convenzione di Strasburgo, che afferma come il giudice debba tenere in debito conto l’opinione espressa dal minore, tratteggia una au-todeterminazione del minore ‘in senso debole’. Il giudice quando raccoglie la volontà del minore, si conformerà a questa solamente dopo l’indispensabile suo

52 Maria Grazia Domanico, Francesco Mazza Galati, Art. cit., pp. 157-158 ; del resto, si è correttamente evidenziato che il minore ha già subìto un coinvolgimento nella separazione, pro- il minore ha già subìto un coinvolgimento nella separazione, pro-ha già subìto un coinvolgimento nella separazione, pro- subìto un coinvolgimento nella separazione, pro-ìto un coinvolgimento nella separazione, pro-to un coinvolgimento nella separazione, pro-, pro- pro-prio per i medesimi fatti che sono alla base della crisi coniugale.

53 Ibidem, p. 158 ; circa la possibile omissione dell’audizione del minore qualora non si consideri necessaria, ved. Gianfranco Dosi, Art. cit., p. 170.

54 Nel senso dell’obbligatorietà dell’ascolto, omissibile solo quando esso sia in contrasto con gli interessi fondamentali del minore, ved. la giurisprudenza della Corte di Cassazione, Sez. Un., 21 ottobre 2009, n. 22238, con precedenti. Gianni Ballarani, Art. cit., p. 1819. La succitata sentenza prevede anche quale conseguenza dell’omissione della motivazione la nullità del processo e del provvedimento decisorio finale. La decisione aderisce all’esito di un dibattito in dottrina che, ini-zialmente diviso tra una ricostruzione dell’ascolto ora quale obbligo ora quale facoltà del giudice, era poi giunto alla soluzione intermedia.

55 Cass. civ., Sez. Un., 21 ottobre 2009, n. 22238 ; ed ancora recentemente ved. Cass. Civ., sez. i, n. 12739. La Corte costituzionale, con sentenza 30 gennaio 2002, n. 1, richiamata anche dalla Corte milanese – affrontando la questione di legittimità dell’art. 336, comma 2, c.c., impugnato per la mancata previsione, nei procedimenti camerali ablativi o limitativi della potestà genitoriale, dell’ascolto del minore ultradodicenne e, se opportuno, anche quello di età inferiore, o altrimenti dei suoi genitori o del tutore –, sulla base del comma 2 dell’art. 12 della Convenzione sui diritti del fanciullo (disposizione considerata ormai parte integrante dell’ordinamento e quindi idonea ad integrare, ove necessario, la disciplina dell’art. 336, secondo comma, cod. civ.), ha ritenuto il minore parte del procedimento, con la necessità del contraddittorio nei suoi confronti, se del caso previa nomina di un curatore speciale ai sensi dell’art. 78 c.p.c.

l’educazione religiosa del minore nella crisi coniugale 805

vaglio alla luce del criterio del superiore interesse del minore, che potrà essere anche diverso dalla volontà espressa. 56 Con questi presupposti, l’ascolto, istitui-to anche a garanzia di un diritto della personalità del minore, dunque indisponi-bile – trovando applicazione in tutti i processi i cui effetti possono incidere nella sfera giuridico-esistenziale del minore –, rimarrebbe insuscettibile di deroghe processuali, tanto per opera delle parti quanto del giudice. 57

In realtà, la valutazione concreta dell’interesse del minore e l’accertamento del-la sua capacità di discernimento finiscono per ridurre notevolmente le possibili-tà di esperire l’ascolto, con evidenti manifestazioni di incongruenza del sistema. Basti pensare che è lo stesso accertamento, nel singolo caso, della ‘capacità di discernimento’ a necessitare l’esperimento dell’ascolto stesso – essendo impro-babile l’adozione di criteri presuntivi. 58 E ancora, la tenera età del bambino non dovrebbe costituire un limite all’ascolto quando vi fosse la possibilità di ricorre-re a un tecnico in veste di ausiliario del giudice (senza neppure assumere la veste di consulente tecnico), ex art. 68 c.p.c., e ciò in linea con le modalità indiretta dell’ascolto, ai sensi di quanto previsto dall’art. 12 della Convenzione dei diritti del fanciullo di New York del 1989. 59

In ultimo, si osserva che il rischio di svilire il mezzo processuale dell’ascolto è ancora più evidente quando – oltre ai casi in cui sia in discussione la scelta educa-tiva da parte dei genitori – si controverta di una scelta religiosa ‘del’ minore, os-sia quando vi siano indizi di una sua autodeterminazione religiosa. In questi casi – e ancor più, come nella fattispecie esaminata, dove vi è addirittura la volontà dei genitori stessi di favorire la scelta religiosa autonoma del figlio – l’ascolto è il solo mezzo, pur con le tutele del caso, con cui il giudice può conoscere il mi-nore in quanto tale, distinto, dunque, dalla rappresentazione che possano dar-ne i genitori, 60 molto spesso viziata dal conflitto in atto o, nella migliore delle ipotesi, dalla visione parziale determinata dalle proprie convinzioni in materia.

56 Dell’audizione come ‘coelemento’ di cui il giudice deve tener conto e valutare al fine del for-marsi del suo convincimento, ved. Gianni Ballarani, Art. cit., p. 1815. In giurisprudenza ved. già Cass. civ., Sez. i, 11 giugno 1991, n. 6621, « Foro it. », i, 1993, c. 1247. In particolare, mette in evidenza il diverso esito dell’ascolto (rilevante ai sensi degli artt. 6 – diritto al giusto processo – e 8 – rispetto della vita privata – CEDU), in funzione del concreto interesse del minore, anche nella giurispru-denza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Maria G. Ruo, Tutela dei figli e procedimenti relativi alla crisi della coppia genitoriale nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, « Dir. fam. pers. », 2, 2011, pp. 1044-1046.

57 Lea Querzola, La Cassazione prosegue nel comporre il mosaico del processo minorile, « Fam. e dir. », 3, 2011, p. 279, che richiama Andrea Graziosi, Profili processuali della l. n. 54 del 2006 sul c.d. affidamento condiviso dei figli, « Dir. fam. pers. », 4, 2006, pp. 1856 ss., spec. 1866 ; Ferruccio Tom-maseo, Per una giustizia “a misura del minore” : la Cassazione ancora sull’ascolto del minore, « Fam. e dir. », 1, 2012, p. 40, nota a Cass. Civ., Sez. i, 10 giugno 2011, n. 12739.

58 Geremia Casaburi, L’ascolto del minore, cit., p. 39 ; Giovanni Campese, L’ascolto del minore nei giudizi di separazione e di divorzio, tra interesse del minore e principi del giusto processo, « Fam. e dir. », 10, 2011, p. 964.

59 Sulle figure di cui si può avvalere il giudice ved. il rilievi di Paolo Di Marzo, Art. cit., pp. 392 ss.

60 Sulla obiettività del mezzo dell’ascolto, ved. Gianni Ballarani, Art. cit., p. 1814.

806 matrimonio e famiglia

Diventa essenziale, di conseguenza, riuscire a rilevare nel caso concreto – an-che attraverso l’ascolto e con le cautele di cui si è detto – i segnali di una auto-determinazione religiosa del soggetto minore. Altrimenti l’alternativa, come nel caso che ci riguarda, risulterà solamente da una ricostruzione indiretta, ma anche incerta, di tale volontà. Si ritiene, infine, che sia poco rappresentativo il ricorso a limiti d’età predefiniti, individuati in singole fattispecie pur previ-ste e disciplinate dall’ordinamento – come la facoltà per il minore, iscritto alla scuola media superiore, di scegliere se avvalersi o meno, ai sensi della legge n. 281/1986, dell’insegnamento della religione nella scuola pubblica. 61 Si tratta in-fatti di una disposizione di carattere speciale, che non può essere assunta come parametro generale per escludere la presenza di convinzioni di coscienza che in ogni caso potrebbero maturare nell’individuo in evoluzione, e il cui esercizio è costituzionalmente garantito indipendentemente dall’età. 62

Alessandro CeseraniRicercatore di diritto ecclesiastico e canonico

Università degli Studi di Milano

61 Sulle attuali problematiche del sistema che prevede l’insegnamento religioso nella scuola pubblica, si rinvia, tra i contributi più recenti, a Marco Parisi, Il diritto alla scelta di insegnamenti di religione nella scuola pubblica, in Diritto e religione in Italia : Rapporto nazionale sulla salvaguardia della libertà religiosa in regime di pluralismo confessionale e culturale, a cura di Sara Domianello, Bolo-gna, Il Mulino, 2012, pp. 139 ss. ; Rita Benigni, L’educazione religiosa nella scuola pubblica. Il modello concordatario-pattizio nei paesi latini europei, « Stato, Chiese e pluralismo confessionale », Rivista telematica (www.statoechiese.it), ottobre 2012.

62 Anzi, è il processo di sviluppo della personalità che deve portare gradualmente il minore alla capacità di un autonomo esercizio dei diritti inviolabili e di un autonomo adempimento dei doveri inderogabili, che nella prospettiva dell’art. 2 Cost. costituiscono il profilo giuridico di ogni persona : così, ancora attuale, è quanto sostenuto da Luciano Guerzoni, Poteri dei genitori, edu-cazione religiosa e libertà religiosa del minore, « Città e regione », 7, 1977, p. 177.

« il diritto ecclesiastico » · 3-4 · 2011

Corte d’Appello di Milano, 21 febbraio 2011 – Pres. rel. La Monica – V., P.

Libertà religiosa e famiglia – Separazione dei coniugi – Educazione religiosa del figlio minore – Decisione unilaterale del genitore – Ammonizione ex art. 709 ter c.p.c. – Domanda di sospensione/interruzione del percorso catechistico da parte dell’altro genitore – Valutazione dell’interesse del minore – Rigetto.

Libertà religiosa e famiglia – Separazione dei coniugi – Educazione religiosa del figlio minore – Decisione unilaterale del genitore – Valutazione mora-le della scelta religiosa ad opera del giudice – Principio supremo di laicità – Illegittimità della valutazione.

Libertà religiosa e famiglia – Separazione dei coniugi – Educazione religiosa del figlio minore – Ascolto del minore – Volontà del minore di non essere coinvolto – Valutazione dell’interesse del minore – Esclusione.

Nella separazione giudiziale dei coniugi, costituisce un grave inadempimento, da sanzionare con l’ammonimento ex art. 709 ter c.p.c., la condotta del genitore che

unilateralmente consente la partecipazione del figlio minore infradodicenne – in regime di affidamento condiviso – ad un percorso di catechesi, finalizzato al battesimo, nono-stante l’accordo originario dei genitori di non educare religiosamente il figlio ; tuttavia, non va disposta l’interruzione di tale percorso, perché non corrispondente all’interesse del minore, quando tale interruzione sarebbe maggiormente lesiva dell’interesse del mi-nore di quanto possa esserlo il suo compimento.

La valutazione morale espressa dal giudice di condividere nel merito la scelta unilatera-le di un genitore di iscrivere il figlio alla catechesi riflette una sua adesione ad una scelta confessionale, privilegiata rispetto ad una scelta – altrettanto legittima secondo il princi-pio di laicità, che è principio supremo dell’ordinamento – di educazione non confessionale.

In tema di separazione giudiziale dei coniugi, in caso di controversia in materia di educazione religiosa del figlio minore infradodicenne, il giudice non procede al previo ascolto del figlio stesso, pur richiesta da uno dei genitori, quando risulta, indipenden-temente dall’accertamento della capacità di discernimento del figlio stesso, che questi aveva manifestato la propria volontà di non essere coinvolto nella vicenda che pure lo riguarda, e che vede i genitori su posizioni contrapposte, poiché tale mezzo rischierebbe di essere inutile ai fini della decisione ed in contrasto con l’interesse del minore.

(omissis) Fatto- il V. si era rivolto al Tribunale, con ricorso ex artt. 709 ter/710 c.p.c., espo-

nendo- di aver contratto nel 2000 matrimonio civile con E.P. e che dall’unione era

nato l’... omissis ... il figlio J.

808 matrimonio e famiglia

- che il Tribunale di Varese, a conclusione del procedimento di separazione giudiziale, aveva disposto, tra l’altro, con sentenza del 19 marzo 2007, l’affido congiunto di J. con collocamento presso la madre

- che J. non aveva ricevuto un’educazione religiosa, né cattolica né di altra confessione, e nemmeno era stato battezzato per scelta condivisa dei genitori

- che nel febbraio 2010 il figlio, mostrandogli un crocifisso in legno, gli aveva spiegato che valeva come promessa di battesimo

- che la P. aveva quindi deciso in modo unilaterale di far frequentare a J. un percorso battesimale, così violando l’accordo dei genitori in relazione all’educa-zione non religiosa da dare al figlio

- il V. aveva chiesto pertanto al Tribunale di ordinare la sospensione/interru-zione immediata del percorso di catechesi finalizzato al battesimo ; di assumere, anche a modifica delle condizioni di affidamento stabilite, ogni decisione utile e opportuna nell’interesse del minore ; di condannare la P. alla sanzione ritenuta di giustizia da valutarsi in via equitativa tra quelle previste dall’articolo 709 ter c.p.c.

- si era costituita la P., assumendo di aver informato il V. del desiderio di J. di frequentare il catechismo e che il padre aveva annuito dicendo ok

- il Tribunale valutava favorevolmente e approvava la scelta formativa e cul-turale compiuta dalla madre, rilevando, in particolare, come ne venisse “… va-lorizzato l’inserimento …” del bambino con i coetanei del gruppo dell’oratorio con i quali J. era “… abituato a giocare a calcio, a partecipare a gite estive, a re-carsi in piscina ...” ; che l’insegnamento della dottrina cattolica, così come l’inse-gnamento di ogni altra disciplina e materia di valenza culturale, costituisce “… la corretta spiegazione di eventi e concetti religiosi, di principi teologici, che ar-ricchisce il bagaglio culturale e umano di ogni individuo. ..” : Sicché, rigettava il ricorso, ritenendo il percorso di catechesi “… cosa buona e utile al minore ...”.

- il V. reclamava avverso tale provvedimento, sottolineando come il Tribunale avesse frainteso la domanda del ricorrente che riguardava la frequentazione del catechismo finalizzato al Battesimo e non la frequentazione dell’oratorio, e in-sistendo, tra l’altro, nella richiesta di ordinare anche in via di urgenza la sospen-sione/interruzione del percorso di catechesi finalizzata al Battesimo

osserva

È opportuno al fine della ricostruzione della vicenda, richiamare alcuni ineludi-bili dati di fatto.

Innanzitutto, che per scelta culturale dei genitori J. non aveva ricevuto un’edu-cazione religiosa. Per quanto la P., all’udienza del 26 gennaio abbia in qualche modo teso a sminuire il significato di questo progetto genitoriale, resta il fatto che J. non era stato battezzato per comune decisione di due genitori che, sposati col solo rito civile, avevano deciso di riservare alla autodeterminazione del fi-glio, allorché fosse cresciuto, ogni scelta in materia religiosa. E non occorre cer-to soffermarsi sul significato univoco che assume il non-battesimo di un bambi-no in un paese in cui la grande maggioranza della popolazione è battezzata.

corte d’appello di milano 21 febbraio 2011 809

Altro dato di fatto è che J. sia stato iscritto alla catechesi dalla sola P., non sen-za qualche leggerezza da parte dell’istituzione ecclesiastica perché, trovandosi di fronte ad un bambino di otto anni non battezzato – fatto che esprime una de-cisione in linea di principio riferibile ad un accordo dei genitori – sarebbe stato doveroso, anche nell’interesse del bambino, che l’ente preposto verificasse (ad esempio richiedendo la doppia sottoscrizione …) se la scelta della catechesi fos-se frutto di un’intesa di entrambi i genitori.

Né, ad avviso della Corte, la unilateralità della scelta della P. resterebbe esclu-sa in forza di una sorta di assenso dato dal V. nel corso di un dialogo certamente di poche parole. La stessa P. nella comparsa di costituzione depositata nel giu-dizio dinanzi al Tribunale ha riferito che, nel settembre 2009, nei pressi della scuola elementare frequentata da J., “… l’esponente informava suo marito V.V. che il loro figlio J. aveva espresso il desiderio di frequentare il catechismo e che di conseguenza pensava di iscriverlo ...”. Ha aggiunto che, nell’occasione, il V. annuiva dicendo ok e J. confermava il suo desiderio. Nel corso dell’udienza di-nanzi alla Corte la P. ha confermato il racconto, aggiungendo che a quel breve colloquio col marito era presente un testimone portato da lei medesima.

Quand’anche vi sia stato tale dialogo, non può non rilevarsi come la modalità comunicativa adottata dalla P. riguardo all’argomento catechesi/battesimo sia stata inadeguata – per tempi, luogo e contesto – all’obbligo conseguente all’af-fidamento congiunto di condividere con l’altro genitore le decisioni di maggior importanza, tra le quali certamente rientrano la scelta della religione, la parte-cipazione alla catechesi e la somministrazione di sacramenti.

Secondo il suo stesso racconto, la P. fece riferimento al corso di catechesi e non al battesimo, ritenendolo evidentemente “… una diretta conseguenza del percorso ...” (cfr raccomandata 13/4/2010 diretta al V.) che non era neces-sario comunicare. E comunque quanto riferito non richiama la consapevolez-za dell’importanza della decisione, che avrebbe richiesto ben altro approfondi-mento e che invece risulta affidata a una sorta di comunicazione di servizio, con sbrigative modalità, quasi predisposte al fine di ottenere un qualsiasi, anche non meditato, tacito consenso. Solo così trova spiegazione la, riferita, preordinata presenza di un testimone (peraltro non nuova nella dinamica conflittuale della coppia, come risulta dalla sentenza di separazione) ed, essenzialmente, la pre-senza dello stesso J., laddove sarebbe stato quanto mai opportuno che un tema così delicato fosse trattato, in prima istanza, in sua assenza, anche per riferire al padre le richieste espresse dal bambino, e per valutare – naturalmente nei limiti segnati dall’età di J. – se esprimessero un apprezzabile autentico interesse o fos-sero espressione del desiderio di conformarsi a quanto facevano i suoi coetanei.

Si consideri che J. era prevalentemente collocato presso la madre e che questa era il genitore che con il figlio trascorreva più tempo e che aveva raccolto, a suo dire, il desiderio di J., sicché solo lei poteva riferire al padre quando e con quali modalità il bambino aveva manifestato interesse verso la catechesi. E deve an-che riflettersi sul fatto che se J. avesse da tempo manifestato alla madre quel de-

810 matrimonio e famiglia

siderio, appare certamente tardiva la sua comunicazione al padre a pochi giorni dalla poi effettuata iscrizione, e che se, invece, J. lo avesse manifestato poco pri-ma della comunicazione, l’iscrizione è stata certamente poco ponderata.

Quanto alle note difficoltà di dialogo tra i coniugi (si richiama ancora la sen-tenza di separazione), addotte dalla P. a spiegazione del suo comportamento, è agevole poi osservare che la rilevanza della questione avrebbe reso utile anche una più articolata comunicazione scritta.

In definitiva, la comunicazione della P. è stata tardiva e incompleta e ciò assu-me rilevanza ad altri fini della normativa invocata dal reclamante.

Andando a valutare i motivi di reclamo del V., effettivamente nel provvedi-mento impugnato si constata una non condivisibile assimilazione tra la cate-chesi e altre attività che con la catechesi hanno in comune l’ambiente amicale dell’oratorio, cui partecipano ragazzini con i quali J. gioca a calcio, fa gite e va in piscina, ma che con ogni evidenza si differenziano per la diversa rilevanza che assume la catechesi, non riducibile a mera attività educativa e ricreativa. E nemmeno si condivide il giudizio morale espresso dal giudice di prime cure che ha approvato la scelta formativa e culturale praticata dalla P. iscrivendo il figlio alla catechesi – “… che è cosa buona e utile al minore ...”, riflettendo tale valu-tazione un’adesione da parte dello stesso organo giudicante ad una scelta con-fessionale, così privilegiata rispetto ad una scelta – altrettanto legittima secondo il principio di laicità, che è principio supremo dell’ordinamento – di educazione non confessionale.

Ciò premesso, considera la Corte che la richiesta sospensione/interruzione della catechesi finalizzata al battesimo non possa rappresentare, come sembra proporre il reclamante, una automatica conseguenza del fatto che vi è sul punto contrasto tra i genitori, e che invece la decisione deve essere adottata tenendo conto, in questa fase, unicamente del preminente interesse del minore, interesse che si misura anche con la rilevanza che nella vita del bambino potrebbe assu-mere una interruzione del percorso iniziato.

J., che è un bambino di nove anni, ha portato avanti il percorso di catechesi iniziato nell’ottobre 2009, a quanto pare volentieri, e, molto probabilmente, ma-nifestando il desiderio di praticarlo, insieme ai coetanei con i quali aveva in co-mune la frequentazione a scuola dell’ora di religione. In una sorta di continuum, dovuto al fatto noto che non sempre l’ora di religione è strutturata nelle scuole come insegnamento delle religioni.

Quand’anche si volessero pesare le parole della madre – che ha dichiarato alla Corte che J. è contento di andare al catechismo e che “... si aspetta di esse-re battezzato ...” – certo è che nemmeno il V. ha allegato – né in primo grado, né in questa sede impugnatoria – che J. rifiuti il percorso di catechesi o che lo frequenti con fastidio e disinteresse. Anzi, nello stesso ricorso il V. racconta di J. che nel febbraio 2010 porta al collo il suo crocifisso di legno e ne spiega il signi-ficato, comportamento poco compatibile con un distacco del bambino rispetto all’esperienza iniziata.

corte d’appello di milano 21 febbraio 2011 811

Ulteriori informazioni sull’approccio di J. alla catechesi, la Corte non ritiene di potere acquisire attraverso l’ascolto del minore, richiesto dalla P. e cui si è op-posto il V., secondo il quale è opportuno che J. resti fuori dalla disputa.

Questa Corte, pur consapevole della crescente rilevanza attribuita all’ascolto del minore sia dalla normativa internazionale – dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, ratificata con legge 176/1991, direttamente applicabile nel nostro ordinamento (Corte Costituzionale 1/2002) alla Carta di Nizza del 2000, alla Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti dei minori, ratificata con leg-ge 77/2003 – che dalla normativa nazionale – dalla legge 149/2001 alla legge 54/2006 – ritiene inopportuno e non utile, nella specifica vicenda sottoposta a valutazione, l’ascolto di J., anche se la questione lo riguarda personalmente.

Occorre, innanzitutto, al fine della valutazione della capacità di discernimen-to del minore, tener conto dell’età del bambino, unitamente alla natura degli elementi che la Corte, mediante l’ascolto, dovrebbe nel caso concreto acquisire Si consideri che J. si trova in una fascia di età al confine, per così dire, tra il mon-do dell’infanzia – quello nel quale l’educazione religiosa del minore altro non è che il riflesso del diritto di libertà religiosa dei genitori – e quello che conduce verso l’adolescenza, quando il minore acquista gradatamente una propria ma-turità di scelta in campo religioso, riconosciuta dall’ordinamento con la legge 281/1986 che attribuisce agli studenti della scuola superiore il diritto di autode-terminarsi autonomamente, scegliendo se avvalersi o meno dell’insegnamento della religione.

In questa fascia di età intermedia, J. ha però manifestato, di fronte al per-cepito conflitto tra i genitori, il desiderio di tenersi fuori. Dalle dichiarazioni del padre all’udienza del 26 gennaio – particolarmente attendibili perché rese prima ancora che la P. chiedesse alla Corte di procedere all’ascolto del minore – emerge come J. non intenda essere coinvolto in modo diretto nella vicenda, verbalizzando il proprio desiderio di non coinvolgimento con la frase “… que-ste cose ve le dovete vedere voi grandi, io sono ancora un bambino ...”. Questa comunicazione può rappresentare solo una modalità difensiva, finalizzata quasi a presentarsi al papà – del quale evidentemente J. conosce la posizione – come distaccato rispetto all’esperienza della catechesi e del battesimo ; oppure può rappresentare l’effettiva posizione del bambino – J., che non si riconosce ancora come portatore di un proprio diritto alla scelta in materia religiosa. In ogni caso, esprime l’intenzione di J. di delegare al mondo degli adulti la decisione che lo riguarda. E ciò, valutato alla luce dell’età di J., unitamente alla delicatezza della materia, non delinea la utile praticabilità dell’ascolto.

La decisione della Corte deve quindi tener conto di quanto in atti e, oppor-tunamente, anche della situazione di fatto nel tempo delineatasi. Il percorso di catechesi è iniziato nell’ottobre 2009 ed è ormai proseguito nelle tappe che hanno visto J. frequentare il corso per un periodo di oltre un anno, con incontri settimanali, divenuti occasione di stabili relazioni con altri coetanei ai quali si ri-trova in questo momento unito da un progetto, dal quale, in forza del provvedi-

812 matrimonio e famiglia

mento richiesto dal padre, si troverebbe improvvisamente escluso. Considerato che il percorso di catechesi non si profila lesivo di un diritto proprio del minore alla sua libertà religiosa che non ha ancora avuto modo di manifestarsi in sen-so contrastante, ritiene la Corte che la sua interruzione sarebbe una decisione sproporzionatamente invasiva e che rappresenterebbe nella vita del piccolo J. un’ingerenza pesante, non spiegabile per il bambino, se non con la sottolineatu-ra del conflitto genitoriale che, comunque, già ampiamente lo coinvolge.

Ritiene quindi la Corte che, allo stato, si profili come maggiormente lesiva dell’interesse del minore – anche sotto il profilo della sua serenità e stabilità e dell’equilibrio delle relazioni – l’interruzione del percorso iniziato, di quanto possa esserlo il suo compimento, per quanto esso sia contrastante col progetto, inizialmente da entrambi i genitori condiviso e oggi solo dal padre perseguito, di riservare a J., una volta raggiunta la maturità necessaria, ogni scelta religio-sa. Anche perché, per quanto emerso all’udienza della Corte, il V. ha affiancato al ricorso all’autorità giudiziaria, comunque, una capacità di dialogo col figlio sull’argomento, sicché non mancherà a J., terminato il percorso formale di cate-chesi, la possibilità di elaborare, in sostanziale libertà e in un largo e approfondi-to confronto, la legittimità di ogni diversa posizione in materia.

Va quindi respinta la richiesta di riformare il provvedimento impugnato nel senso di ordinare la sospensione/interruzione immediata del percorso di cate-chesi finalizzata all’amministrazione del Battesimo in capo al minore J.V.. E va pure respinta la richiesta, peraltro non particolarmente argomentata, concer-nente la “… eventuale modifica delle condizioni di affidamento ...”, della quale non sussistono i presupposti.

Va invece accolta la richiesta di sanzione a carico della resistente, ritenendo la Corte, per i rilievi più sopra svolti, che la P. abbia di fatto assunto unilateral-mente la decisione inerente alla catechesi del bambino, così non rispettando l’obbligo di condividere con l’altro genitore le decisioni sulle scelte religiose. Tenuto conto dello svolgimento della vicenda, che si inserisce in un quadro di particolarmente aspra conflittualità coniugale, sanzione adeguata pare quella dell’ammonimento.

(omissis)