la strategia navale dei principi di taranto tra due mari:anna colonna e giovanni antonio del balzo...

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GEMMA T ERESA COLESANTI I catalani nella Sicilia Orientale nella seconda metà del xv secolo Le considerazioni che propongo in questo intervento scaturiscono dalla ri- flessione su un argomento studiatissimo quale è la presenza dei catalani in Sicilia. Basti pensare alla poderosa opera di Del Treppo (DEL TREPPO 1972), ai libri di Bresc (BRESC 1986) e Epstein (EPSTEIN 1996) sulla Sicilia, o ai numerosi studi sul tema prodotti da studiosi siciliani (CORRAO 1985; CORRAO 1989; MINEO 1989a) e catalani come quelli di Josefina Mutgé (MUTGÉ 1996, p. 232) sul periodo di Giacomo II in cui, attraverso lo studio dei documenti del governo municipale di Barcellona, analizza le relazioni intercorse con le autorità siciliane e quindi il ruolo dei mercanti catalani, o i lavori della Ferrer (FERRER 2004) e di Carme Batlle dedicati al XIII secolo (BATLLE 1983) o di Claude Carrère sulle relazioni con Barcellona tra il 1380 e il 1462 (CARRÈRE 1967, p. 635), che hanno aggiunto tanti tasselli a questa tematica, ma non per questo completamente esaurito l’argomen- to, in particolar modo se ci riferiamo alla seconda metà del XV secolo. Se è vero che la documentazione sulla Sicilia Occidentale e centrale è stata a lungo scandagliata, è altrettanto vero che questo non può dirsi per la documenta- zione relativa alla parte orientale, comprendente la parte ionica della Val Demone da Messina ad Acireale e la Val di Noto ed in particolare l’area della Camera Reginale. Si ricorda che la Camera Reginale rappresentava un vasto comprenso- rio —nella Val di Noto— dai confini mutevoli negli anni e costituito da tutto un sistema di città, terre, casali, castelli e porti su cui le sovrane siciliane esercita- rono nei secoli una vera e propria autorità feudale, non escluso l’esercizio della giustizia civile e criminale. Un vero e proprio stato con capitale Siracusa e con uno dei caricatori principali dell’Isola, Brucoli (BARNA 2004), in grado di garan- tire un sostanzioso reddito per le spese ordinarie e di rappresentanza, ma anche di assicurare un assegno in caso di vedovanza o di costituzione di dote delle regine che sfuggiva anche alla giurisdizione regia (VICENS VIVES 1952). Sono dunque partita dallo spoglio di alcune fonti documentarie ancora inedi- te o quasi mai utilizzate per questo argomento: in particolare mi riferisco allo stu- dio di altri libri di contabilità catalani conservati nello stesso fondo dove Mario Del Treppo rintracciò quelli di Joan Torralba, l’Archivio del Centre Borja di Sant Cugat del Vallès in cui sono custoditi vari archivi privati tra cui quello della fami- glia Requesens (BORRÀS 1983). Qui è confluita anche la documentazione prodotta

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Gemma Teresa ColesanTi

I catalani nella Sicilia Orientale nella seconda metà del xv secolo

Le considerazioni che propongo in questo intervento scaturiscono dalla ri-flessione su un argomento studiatissimo quale è la presenza dei catalani in Sicilia. Basti pensare alla poderosa opera di Del Treppo (Del Treppo 1972), ai libri di Bresc (BresC 1986) e Epstein (epsTein 1996) sulla Sicilia, o ai numerosi studi sul tema prodotti da studiosi siciliani (Corrao 1985; Corrao 1989; mineo 1989a) e catalani come quelli di Josefina Mutgé (muTGé 1996, p. 232) sul periodo di Giacomo II in cui, attraverso lo studio dei documenti del governo municipale di Barcellona, analizza le relazioni intercorse con le autorità siciliane e quindi il ruolo dei mercanti catalani, o i lavori della Ferrer (Ferrer 2004) e di Carme Batlle dedicati al xiii secolo (BaTlle 1983) o di Claude Carrère sulle relazioni con Barcellona tra il 1380 e il 1462 (Carrère 1967, p. 635), che hanno aggiunto tanti tasselli a questa tematica, ma non per questo completamente esaurito l’argomen-to, in particolar modo se ci riferiamo alla seconda metà del xv secolo.

Se è vero che la documentazione sulla Sicilia Occidentale e centrale è stata a lungo scandagliata, è altrettanto vero che questo non può dirsi per la documenta-zione relativa alla parte orientale, comprendente la parte ionica della Val Demone da Messina ad Acireale e la Val di Noto ed in particolare l’area della Camera Reginale. Si ricorda che la Camera Reginale rappresentava un vasto comprenso-rio —nella Val di Noto— dai confini mutevoli negli anni e costituito da tutto un sistema di città, terre, casali, castelli e porti su cui le sovrane siciliane esercita-rono nei secoli una vera e propria autorità feudale, non escluso l’esercizio della giustizia civile e criminale. Un vero e proprio stato con capitale Siracusa e con uno dei caricatori principali dell’Isola, Brucoli (Barna 2004), in grado di garan-tire un sostanzioso reddito per le spese ordinarie e di rappresentanza, ma anche di assicurare un assegno in caso di vedovanza o di costituzione di dote delle regine che sfuggiva anche alla giurisdizione regia (viCens vives 1952).

Sono dunque partita dallo spoglio di alcune fonti documentarie ancora inedi-te o quasi mai utilizzate per questo argomento: in particolare mi riferisco allo stu-dio di altri libri di contabilità catalani conservati nello stesso fondo dove Mario Del Treppo rintracciò quelli di Joan Torralba, l’Archivio del Centre Borja di Sant Cugat del Vallès in cui sono custoditi vari archivi privati tra cui quello della fami-glia Requesens (Borràs 1983). Qui è confluita anche la documentazione prodotta

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dalla nobile famiglia Sabastida, il cui capostipite fu inviato in qualità di presiden-te della Camera Reginale a Siracusa nella seconda metà del xv secolo. I registri contabili quattrocenteschi conservati nel fondo Sabastida sono venticinque: quat-tordici relativi alla famiglia Sabastida, dieci quelli inerenti gli affari Torralba e Joan Maraniello di Siracusa ed un unico libro di contabilità di Bartolomeo Sanxo (ColesanTi 2007). Altre fonti poco o quasi per nulla utilizzate sono i protocolli notarili conservati a Siracusa e Noto e Mineo (CalaBrese 1993).

Si tratta di una ricerca ancora in corso in cui la documentazione interessante sul tema si trova dispersa in un mare di atti di vario genere, alcuni dei quali a prima vista insignificanti, poiché riportano ad esempio i nomi catalani già sicilia-nizzati e senza nessuna indicazione sulla provenienza (di nazionalità) degli attori, ma ad una attenta lettura possono invece rivelarsi ricchi di informazioni. Sul pro-blema della naturalizzazione dei nobili catalani immigrati in Sicilia la cancelleria reale aveva già all’epoca una chiara coscienza, ciò è infatti testimoniato dell’uso del termine «sicilianats» in alcuni registri e si riferiva appunto a coloro che risie-devano da tempo in Sicilia (Corrao 1989, p. 79).

Con questa documentazione per la maggior parte inedita a disposizione, mi sono chiesta chi erano i catalani che ritroviamo in questi atti. Quali diritti e do-veri avevano in Sicilia, ed in particolar modo nei territori della Camera Reginale, tenendo ben presente che la Corona operava in modo da impedire che al soddisfa-cimento degli interessi catalani si sacrificassero quelli dei siciliani.

Mi sono, inoltre, domandata quali cambiamenti si verificarono nelle loro strut-ture familiari a causa del trasferimento ed integrazione nella società dell’Isola, e quali furono le loro modalità di penetrazione in campo commerciale e finanziario.

A tutte queste domande sto cercando di dare una prima risposta e di appro-fondire gli aspetti economici, sociali, giuridici e politici che contraddistinsero l’organizzazione della comunità catalana in questa parte dell’Isola nel xv secolo.

Una parte di loro arrivò come è noto «attratta dalle numerose possibilità economiche» che fin dalle prime spedizioni venivano offerte dalla Sicilia, come testimonia la precoce installazione dei consolati fin dai primi anni del xiv seco-lo voluta da un ingente numero di colonie catalane già radicate in Sicilia dalla seconda metà del xiii secolo (saliCrú 1990). Tranne qualche momento di tensio-ne durante la lotta politica tra la fazione latina e quella catalana, l’influenza dei catalani sulla politica siciliana aumentò a tal punto che appaiono vani i tentativi messi in essere dai siciliani nei parlamenti di Siracusa (1398) e di Messina (1446) con i quali si cercava di frenare il loro massiccio inserimento in tutti i pubblici uffici, invocando gli antichi privilegi che volevano che le magistrature del regno fossero attribuite ai soli siciliani o a coloro che avessero acquisito la cittadinanza tramite il matrimonio con una siciliana: «che li offici, et beneficii etiam de lo dic-to Regno, solum si debiano, oi ponzano concediri a li siciliani, oriundi in Sicilia, o a quilli, chi hanno o haviranno avuto muglere siciliana, che abitano in lo dicto Regno» (Testa 1741: cap. Alphonsi CCClxxxvi, f. 347).

Analizzando le cariche degli ufficiali di Siracusa (aGnello 2005), ed in ge-nerale della Sicilia nel secolo xv (lalinDe 1960), si ha la conferma della ineffica-

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cia di tali richieste. Si evince, infatti, una quasi totale catalanizzazione degli uffici principali: il governatore della Camera Reginale, il tesoriere, il secreto, il maestro razionale, il maestro portolano e i suoi luogotenenti (BresC 1986, p. 765) erano pre-valentemente barcellonesi, vi era anche qualche valenziano e alcuni erano di Perpi-gnano, come i Camprodon (Corrao 1989, p. 78) o Pietro Llobet (Barna 1998).

Il loro trasferimento, spesso insieme a tutta la famiglia, e la successiva inte-grazione nella vita isolana non sembrano portare a modifiche nelle strutture fami-liari catalane: queste continuano, anche se in maniera minore, ad essere organiz-zate secondo politiche matrimoniali per lo più gestite da donne, come dimostra ad esempio il carteggio rintracciato e studiato tra Caterina e Joana Llull (ColesanTi 2008). In una delle magnifiche lettere si parla infatti del matrimonio del fratello Lluís Llull con Castellana Vernigalli, appartenente ad una famiglia pisana ben insediata ed attiva nel regno e nell’isola (peTralia 1989):

Tres jorns ha é rrebudes letres del senyor mossèn Luís Lull, nostre germà, fetes en Nàpols. Diu-me com la majestat del rey Fernando ha donada lisència per venir açí per fer notes e donar compliment al seu bon matrimoni. Diu-me a la desexida de aquest mes de octubre devia partir de lo port ab bon salvament, car ab molt desig lo sper e, per semblant, lo spera la sa mullera sua, cunyada nostra (ColesanTi 2003-2004, p. 491).

Alcuni documenti notarili che riportano atti di matrimonio sono importanti e interessanti perché riferibile alle implicazioni di quel progressivo e profondo inserimento nel tessuto sociale cittadino siracusano dell’elemento straniero rap-presentato da catalani e maiorchini anche nella seconda metà del xv secolo.

Infatti, tra il 1480 e il 1481 il notaio Antonio Piduni registra nel suo proto-collo1 molti atti che vedono attori uomini catalani in procinto di sposare donne siracusane.

Il 27 novembre del 1480 Gabriel Nicolau, maiorchino, promette di sposare Antonia, figlia di Margherita de Bruna, cittadina di Siracusa; cinque giorni pri-ma, un altro maiorchino, Bernardí Jaymo alla presenza dei seguenti testimoni Bernardo Quattrocchi, Antonio Francanella, Antoni Roig di Barcellona e Jacobo La Bruna promette di prendere in moglie Franciona, figlia legittima di Antonia, moglie del «quondam ser» Antonio de Pulici.

Questi atti testimoniano come il matrimonio non serviva solo a stringere legami con i connazionali, ma ad ampliare anche la capacità di penetrazione nella comunità autoctona ed in alcuni casi regnicola.

Con l’aiuto della corte molti catalani ottengono in gestione gabelle, hanno assegnati remunerativi uffici come la presidenza della camera reginale, o la no-mina a tesoriere, e arrivano così a controllare una parte del potere locale colle-gandosi con gli operatori commerciali, con i mercanti peninsulari e mediterranei (D’alessanDro 1978).

1. Archivio di Stato di Siracusa (ASS), notaio Antonio Piduni, fascio n. 10244 e fascio n. 10245. Abbreviazioni utilizzate: ASS = Archivio di Stato di Siracusa; ANC = Arxiu Nacional de Catalunya; APR = Arxiu del Palau Requesens.

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Partendo proprio da questi funzionari, e andando oltre le notizie già pervenu-teci attraverso lo studio di Del Treppo, si è cercato di approfondire il ruolo e l’im-portanza di una di queste famiglie di mercanti e funzionari pubblici barcellonesi: i Sabastida i Llull, che arrivarono sull’isola a seguito, come si è già detto, della nomina a governatore della camera reginale del capofamiglia Joan Sabastida.

Dall’esame di questa documentazione e di alcuni protocolli notarili possia-mo affermare che la penetrazione catalana in quest’aerea fu profonda e interessò tutti i settori dell’economia.

Dallo studio di uno dei libri di contabilità intestati alla moglie di Joan Saba-stida, Caterina Llull (ColesanTi 2008), si evincono una serie di informazioni che in parte aiutano a dare una risposta alle domande proposte ed a cogliere anche alcune attività «propriamente siciliane dei mercanti armatori catalani. I Sabastida Llull arrivano nell’Isola quando il marito di Caterina Llull» (Del Treppo 1972, p. 182) venne nominato presidente della Camera Reginale, una prima volta nel 1464, riconfermato poi nel 1468 vi rimase in carica fino alla sua morte nel 1471.

Caterina Sabastida i Llull rimase vedova pochi anni dopo il suo arrivo in Sicilia, ed invece di tornare in patria ed affidarsi ad un tutore, decide di rimanere e gestire in prima persona gli affari. Con un’autonomia d’azione sorprendente rimase a Siracusa fino al 1482, conducendo, attraverso una serie di agenti e inter-mediari, un’incredibile mole di affari commerciali e transazioni finanziarie im-perniate sulla Sicilia: dal commercio del grano e dell’orzo facilitato dal controllo del caricatore di Brucoli, alla compravendita di schiavi neri africani, dall’impor-tazione di panni di Maiorca alla commercializzazione del vino prodotto nelle sue tenute siracusane, dalle transazioni con lettere di cambio attraverso banchi internazionali con gli Aiutamicristo all’attività mercantile e di prestito intessuta con la fittissima comunità ebraica siracusana.

Già nel 1454, il Sabastida assieme al primo suocero Torralba, a Francesc de Junyent e a Bernat d’Algàs aveva dato origine ad una compagnia mercantile, con scadenza quadriennale, con interessi prevalentemente in Sicilia, nell’Adriatico, nei Monti Barca e nel Levante (Del Treppo 1957-1958, p. 513). In una copia del contratto della compagnia (1454) si specifica che uno dei soci, Joan Riumany, durante il tempo della compagnia vivrà a Siracusa, molto probabilmente vi reste-rà ancora fino al 1477, infatti è citato varie volte nel mastro anche in qualità di «corredor» (noGuera 1967, p. 5-35; ColesanTi 2008).

I catalani non si interessano solo al grande commercio del grano con Bar-cellona, essi entrano in affari con i mercanti veneziani per le spedizioni di grano non solo verso Venezia ma anche verso Rodi, come testimoniano alcune poste del mastro di Caterina Llull.2 Dobbiamo ricordare come sottolineato da Fodale (FoDale 2002) che i mercanti veneziani, tra la seconda metà del xiv e la prima metà del xv secolo, controllano una parte delle esportazioni di grano, occupano la carica di maestri portolani e sono attivissimi a Messina, ma soprattutto a Sira-cusa, dove si trovava il loro consolato generale di Sicilia. Le operazioni registrate

2. ANC, APR, ms. 43.

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nel mastro3 e relative a un carico di frumento (427 salme) e schiavi mostrano in maniera indiretta l’organizzazione di un gruppo di navi catalane che viaggiava in conserva —almeno due imbarcazioni, il «navili de la Rossa», il «balaner» e forse la caravella dei Sabastida— dedite al commercio di schiavi e grano sulla costa cirenaica. A capo della «colonna» troviamo Bartomeu Sanxo e Joan Maimó as-sociati nell’impresa, prima con Joan Sabastida e poi con la nostra Caterina Llull, Nicolau e Pau de Pedralbes, Daniel Gilabert, Joan Antoni «Scaleses», Berenguer de Cardona, Pere e Guillem Ramon Sagarriga, tutti operatori catalani-valenziani insieme ad un solo veneziano, Pe Despí. La presenza infine della banca catala-na di Pere Marquet nella gestione di tutte le operazioni relative a questi viaggi, dal credito alla riscossione dell’assicurazione, conferma lo spirito particolaristico della comunità catalana cosa che, come ha sottolineato il Del Treppo, era «non infrequente nei gruppi catalani operanti lontano dalla patria» (Del Treppo 1972, p. 180). Un indice della solidarietà e della fiducia riposta nei connazionali è emer-so, ad esempio, da un esame delle procure fatte a Palermo dai mercanti: su 134 procure 109 sono fatte a un connazionale e per lo più si riferiscono a operatori catalani (BresC 1986, p. 982 e 1120).

Nel protocollo del notaio Pietro Pellegrino di Mineo redatto tra 1428 e 1431 si trovano alcuni atti che confermano quanto già osservato per le altre zone: il catalano Francesc Castelló di Solsona, della contea di Cardona, in qualità di pro-curatore di Bernat Garró, anch’esso mercante catalano, protesta contro i giurati di Mineo per non avergli consegnato «ad integrum» e secondo le modalità pattuite salme seicento di frumento nuovo, da loro stesse vendute al detto Bernat con la promessa di depositarle nei magazzini e nelle fosse. Un altro esempio conferma invece la piena interazione tra catalani e siciliani in alcune operazioni economi-che: Dalmau «Funopers» (o «Furnosa»), mercante catalano, dimorante a Mineo, nomina suo vero e legittimo procuratore Nicola Rizo, abitante ad Augusta, af-finché questi recuperi per suo conto tutti i debiti che a lui devono essere soluti a Piazza, Caltagirone e Mineo, ed inoltre gli conferisce pieni poteri per svolgere detto compito (CalaBrese 1993-1994, p. 250 e 262).

Ritornando alla documentazione mercantile ed in particolare alle altre spedi-zioni di grano registrate nel mastro della Llull —tra cui le 170 salme che Caterina vende a Perot Pardo e invia a Maiorca sulla caravella di Abat (vaquer 1996, p. 184), quella alla sorella, nella «ciutat comtal», di altre 200 salme di orzo insieme a cinque schiavi tramite la nave di Francesco Veneri, veneziano di Candia, le 150 tratte di frumento spedite a Rodi e infine la notizia di un contratto di nolo per l’af-fitto di una saettia— «de un nòlit fet de una sagetia de Johanni de Duino, liperot» —per un altro carico non specificato che viene inviato a Modone e Creta. Osser-viamo come le operazioni di esportazione della nostra mercantessa, proprietaria anche di una caravella,4 pur coprendo un ampio spazio del Mediterraneo, si ridu-cono alla vendita di cereali ed al commercio di schiavi (ColesanTi 2008), mentre

3. ANC, APR, ms. 43, c. 76.4. ANC, APR, ms. 43, c. 58.

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le importazioni si riferiscono essenzialmente ai panni di Maiorca e Barcellona, ossia una composizione merceologica limitata e ristretta sia per qualità che per quantità dei prodotti commercializzati.

La stessa documentazione offre inoltre una ricca testimonianza sul ruolo dei catalani nella vendita dei panni iberici. Interessante è sembrato proporre l’analisi di un intero conto aperto alla «Compra de draps»,5 che evidenzia le diverse fasi del commercio sia all’ingrosso sia al dettaglio.

I panni le vengono inviati dal fratello Romeu Llull da Barcellona, tramite l’altro fratello Lluís. Il carico arriva a Palermo con la nave del catalano Lluís Peix e viene preso in consegna dal noto banchiere e mercante pisano Guglielmo Aiutamicristo, che paga anche le spese di dogana. Il carico viene poi inviato a Siracusa dallo stesso banchiere tramite il «bordonar» Antonio de Ragosa, la cui remunerazione passa però attraverso il banco di Marc e Macià Salmons di Siracusa. La qualità dei panni è variegata: 8 «burells» di Olot, tessuti neri di lana o cotone grezzi che servivano per la confezione di cappotti e giacche, 8 «vermigli» di Barcellona e altri 4 «mesclats», sempre di Barcellona.6 Tutti furo-no poi rivenduti a Siracusa a Salvo Dien, Rafael e Camino Efraym, ebrei della stessa città, che si impegnano a pagare la somma pattuita davanti ad un notaio in due rate a distanza di tre mesi ciascuna. Questa testimonianza unita a quelle registrate in altri atti notarili di Noto, Siracusa e Mineo e ad un frammento di un quaderno di appunti di un fattore di Bartomeu Sanxo (ColesanTi 1999), redatto in siciliano e pieno di altre informazioni sul commercio al dettaglio, riportano la stessa dinamica —cessione a credito di panni iberici da parte di mercanti cata-lani ad operatori e rivenditori per lo più ebrei— e confermano il ruolo di grandi distributori che essi avevano raggiunto anche in questa parte dell’Isola, o forse più che altrove visto che a Palermo questo ruolo era svolto principalmente dai Pisani (peTralia 1989, 306).

Caterina Llull però non si rivolge solo a compratori ebrei, giacché una parte dei panni maiorchini viene smerciata anche all’interno della folta e potente co-munità catalana presente a Siracusa. Catalani erano sia il vescovo sia il presidente della Camera Reginale, e nella città era attivo un dei più antichi consolati dei catalani (BesTa 1959; saliCrú 1990).

Il paniere di merci vendute dalla nostra mercantessa e da altri operatori ca-talani era inoltre costituito da alcuni quintali di lana, pelli, cuoio colorato, rotoli di stagno, vino e anche schiavi. Caterina partecipa alle spedizioni sulle coste libiche per l’acquisto di schiavi che rivende sulla piazza siracusana o in altre località sempre della Sicilia Orientale e anche in Calabria,7 confermando inoltre di conoscere la forte domanda di schiavi soprattutto da parte di coloro che li uti-lizzavano nei lavori agricoli, domestici ed artigianali. Ella si colloca nella tratta degli schiavi allo stesso livello di quei grandi mercanti di schiavi («très gros

5. ANC, APR, ms. 43, c. 70 e 243.6. ANC, APR, ms. 43, c. 243.7. ANC, APR, ms. 43, c. 96.

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traitants») che il Bresc cita a proposito delle grandi vendite di schiavi in Sicilia nel xv secolo (BresC 1986, p. 439-475). Ma soprattutto si colloca tra quella schiera di operatori economici presenti in tutto il Mediterraneo che furono i veri protagonisti di una epoca in cui la diversificazione degli affari dal commer-cio dei panni fino al mercato creditizio implicava una mentalità distinta —che come afferma Cruselles (Cruselles 2001, p. 145 e 241) prevedeva un rinve-stimento in quei settori più redditizi dei continui benefici che producevano gli affari in altri ambiti. Le attestazioni di altre operazioni commerciali riguardanti le vendita di schiavi acquistati sulle coste africane confermano comunque il largo raggio d’azione delle operazioni commerciali degli operatori catalani che si servivano peraltro di tutti gli strumenti di ‘pratica di mercatura’ (Dini 1980) a loro disposizione per operare in un ambiente ben conosciuto, ma allo stesso tempo pieno di imprevisti e in continua trasformazione; in un momento in cui probabilmente il commercio catalano con la Sicilia Orientale non è in crisi, ma ha solo cambiato organizzazione, non tanto a causa della guerra e del cordone sanitario imposto dai vicerè tra il 1476 e il 1479, quanto soprattutto per la pre-senza sempre più marcata di mercanti veneziani nella zona orientale dell’Isola che diventano soci dei catalani, come già era avvenuto nel xiv secolo.8 Queste poste riconducono ad un ambiente, appunto quello della Sicilia Orientale, dove l’azione dei mercanti veneziani e catalani sembra confluire verso interessi co-muni, come quello di limitare o eliminare la presenza dei concorrenti genovesi. Nello stesso mastro nell’anno 1475 si legge un conto aperto proprio alla spese effettuate «per ops de la guàrdia del castell de la Brúcula per la nova de les deu galeres de genovesos vengudes en aquest regne».9

Una piccola annotazione sulla diffusione del credito in questi ambienti evi-denzia una chiarezza di rapporti tra persone che se pur non si conoscevano di-rettamente erano comunque collegati tra di loro dalla organizzazione bancaria-mercantesca catalano-siciliana (Del Treppo 1985) capace di inserire ciascun personaggio in un contesto non più locale ma internazionale (Trasselli 1952) come dimostrano a mo’ d’esempio le poste qui riportate:

Ítem, a iiii de agost 1478, per letra de cambi de Jacobo Vernegali, me tramès rebre de Petro Aglata e company, de Palerm, 163 oz.10 per la valor de 550 lliures moneda catalana, rahonant aquells a rahó 3 ss. 6 per VI tt. a comte del dit Petro, en cartes: 235 — £ 550 = oz. 163.11

Petro Aglata e company, de Palerm, deu, a iiii de agost 1478, 163 oz., les quals, per letra de cambi de Jacobo Vernegali, de Barchinona, me prommises dar per cambi ne havia fet ab la senyora Joanna Lull en son comte, en cartes: 142 — oz. 163.12

8. Cfr. venTura 1986; D’alessanDro 1989; Corrao 1981; Del Treppo 1972.9. ANC, APR, ms. 43, c. 166.10. Per le monete di conto usate nel mastro (ANC, APR, ms. 43), si precisa che: oz è l’abbre-

viazione di once, tt. di tarì, g di grano, £ di «lliures», ss di soldi. 11. ANC, APR, ms. 43, c. CXXXXII.12. ANC, APR, ms. 43, c. 235.

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In questo caso la lettera di cambio del Vernigalli viene girata su Palermo a Pietro Agliata per un cambio che aveva effettuato la sorella Joana Llull a Barcel-lona. In queste annotazioni si ribadisce il rilevante ruolo della sorella sulla piazza catalana in qualità di agente di Caterina e si riporta l’attenzione sul ruolo delle piazze siciliane nei rapporti cambiari tra Barcellona e altre piazze meno studiate da questo punto di vista (leone 1981).

Dall’esame delle operazioni bancarie affiora chiaramente che le esigenze creditizie della nostra sono soddisfatte soprattutto dalla banca di Pere Marquet, ma la fonte permette di vedere anche una certa differenziazione di rapporti se-condo la tipologia di affare o la nazionalità della persona interessata. Infatti, la maggior parte delle operazioni intrattenute con i membri della comunità ebraica si realizzarono con l’ausilio del banco di Marc e Macià Salmons. Questo banco lo ritroviamo attivo nella nostra documentazione dal mese di febbraio del 1475. Caterina instaura un rapporto fiduciario con i Salmons, che non solo si occupano della clientela ebraica ma sono un punto di riferimento anche negli affari con il clero, le monache e chiunque trattasse con lei sia per piccole che per grandi som-me. I Salmons vengono nominati in molti atti notarili di tipologia diversificata del notaio siracusano Antonio Piduni e Vallone negli anni tra il 1481 e il 1484.13 Tuttavia sono le registrazioni che vedono protagonisti i mercanti ebrei, come è già stato evidenziato a proposito del commercio dei panni e dei cereali, a essere le più numerose nelle operazioni con i Salmons. Sembra opportuno segnalare a questo punto che agli ebrei e non soltanto ad essi la nostra Caterina Llull ma anche altri operatori catalani prestano del denaro. Ella riscuote anche un prestito effettuato dal marito a Moyses Alfanderi argentiere di Siracusa di 75 once. Per il prestito il Sabastida aveva avuto in pegno dell’argento e alcuni anelli che furono restituiti al momento del saldo insieme ad un interesse di once 2 e tarì 15, nono-stante la formula reciti «prestades graciosament». Dallo stesso Alfanderi Caterina spende once 59 tarì 17 e grani 10 per comprare alcuni oggetti di argento tra cui una brocca, 4 bicchieri, una salieria dorata e un’altra argentata, due coppe dorate, una canada, due tazze con un sole bullonato, due piatti e due scodelle. Un altro prestito lo concede a Aymini nel 1477, e per due volte alla badessa del monastero di San Benedetto di Siracusa e a Ramon Almacelles, tutti i crediti verranno ri-scossi dal banco dei Salmons. Possiamo notare che i prestiti senza un atto notarile la nostra mercantessa li concede a persone che conosce perfettamente, che hanno una credibilità nella comunità siracusana e dai quali potrà in caso di mancato pagamento avere in cambio della merce; infatti sia Aymini che Ramon sono dei fornitori dai quali ella acquista vino, miele, mandorle, spezie e olio, mentre nel caso dell’abbadessa si avvale di un notaio che stipula l’atto di prestito. Nel 1477 presta 200 ducati d’oro veneziani a Francí Miquel, equivalenti a once 68 e tarì 10, di cui conserva «la pòliça de sa mà», e non l’atto notarile. Il 28 aprile 1479 invece presta 5 once a Joana Olzina che dovrà restituirle nel prossimo mese di maggio e in pegno prende due cinghie d’oro: «La senyora Johana Olzina deu, a xxviii de

13. ASS, notai antichi, fasci n. 10227, 10228 e 10245.

ColesanTi, I catalani nella Sicilia Orientale nella seconda metà del xv secolo 191

abril 1479, cinch oz., les quals li prestí graciosament, e aquelles me deu tornar per tot lo mes de maig primer vinent, e tinch penyora II correges de hor e per mi lo banch de March e Masià Salmons».14

Ma l’operazione più importante con i Salmons è un pagamento di 400 once effettuato al conte di Cardona per una questione aperta probabilmente quando il marito era ancora vivo e poi risolta solo nel 1478. In altre operazioni effettuate tramite i Salmons si evince anche il lavoro di intermediazione effettuato da questi banchieri-mercanti che si adoperano nella vendita di prodotti giunti da Tripoli a nome di Caterina Llull a cui rimetteranno solo il guadagno della parte a lei spettante dell’intera operazione.15 L’altro tipo di mediazione più comune, ossia la semplice rimessa di lettere di cambio, essi la svolgono tra Siracusa e Palermo, dove la nostra operava preferibilmente tramite il banco più importante di Sicilia, ossia quello di Guglielmo Aiutamicristo.

L’apporto fornito dai banchieri siciliani a Caterina Llull non si esauriva nei semplici termini di operazioni bancarie quali la rimessa di lettere di cambio, la gestione di un conto corrente o l’accettazione di lettere di credito e «dite», ma andava ben oltre. Infatti nei rapporti intercorsi con il banco di Guglielmo Aiuta-micristo (Trasselli 1993) —il referente principale se non unico per tutte le ope-razioni internazionali o legate alla tesoreria regia— si evince una certa familiarità e fiducia reciproca con il banchiere. All’Aiutamicristo infatti vengono pagate le spese che lo stesso anticipa a Palermo per i pezzi da lui scelti e che andranno a comporre a Siracusa la tomba del Sabastida. In altri casi invece le transazioni si riferiscono a una sorta di accordo tra il banchiere e Caterina Llull, il primo si impegnava a ricevere ed a prendere in consegna a Palermo le merci inviate a nome della donna dalla Catalogna, le merci poi a seconda degli accordi venivano rispedite a Siracusa o vendute sulla piazza della capitale in contante o a credito. In entrambi i casi alla Llull l’Aiutamicristo inviava l’estratto conto relativo all’am-montare dei costi di trasporto, delle gabelle pagate e delle provvigioni, come si evince dalla contabilità riportata nel mastro nei conti aperti a nome del banchiere, in particolare in quello relativo all’arrivo e vendita di panni da Barcellona.16

Il maggior numero di operazioni bancarie Caterina le realizza con la filiale di Siracusa del noto banco di Pere Marquet e «company». Come è risaputo, infatti, la sede principale del banco del catalano era Messina (Trasselli 1993, p. 17, 100. 184, 185 e 225) ma dalla nostra fonte appare con chiarezza la presenza di un’agen-zia nella città reginale fin dal gennaio 1472; purtroppo i riferimenti si esauriscono nel mese di marzo del 1475, quando forse la Llull inizia a servirsi del banco dei Salmons. Le numerose operazioni con Marquet riguardano principalmente tutti gli affari lasciati in sospeso dal marito, la gestione dell’eredità e i pagamenti a tutti i salariati che lavoravano alle dipendenze della nostra mercantessa: dallo schiavo domestico, al segretario-contabile, alla tessitrice per finire con i sacerdoti

14. ANC, APR, ms. 43, c. 253.15. ANC, APR, ms. 43, c. 158 e 177.16. ANC, APR, ms. 43, c. 243.

Els catalans a la Mediterrània medieval192

che celebravano le messe giornaliere sulla tomba del defunto marito. Il riferirsi soprattutto ad operazioni iniziate anni prima dal marito testimonia probabilmente la presenza a Siracusa della filiale già prima del 1472.

Anche in questo ambito Caterina Llull dimostra di conoscere quell’insieme di ordini scritti —lettere di cambio, «dite», contratti di assicurazioni, contratti di nolo e comanda, ossia moneta scritturale che le consentivano di realizzare affari per migliaia di once pur facendone circolare pochissime come era usuale in quest’epo-ca, dimostrandosi un’attenta operatrice economica capace di muoversi con quella dimestichezza che le veniva non solo dalla particolare posizione sociale ereditata dagli incarichi del defunto marito, ma anche e soprattutto dalla formazione avuta nel proprio ambiente familiare. L’analisi della pratica contabile di queste banche «locali» —quali i Salmons o Marquet— e cioè l’accettazione e la tenuta di conti correnti, la concessione di crediti ad una variegata clientela può forse portarci ad alcune considerazioni che trovano riscontro nelle ipotesi esposte dal Tognetti nel suo lavoro sul Banco Cambini a Firenze. Alcune operazioni come quelle appena citate non «sono esclusiva prerogativa a Firenze di piccoli cambiavalute, al contra-rio esse rientrano spesso e volentieri fra le molteplici iniziative affaristiche di una grande azienda dell’epoca come il commercio internazionale dei tessuti e dei gio-ielli, le speculazioni sui cambi internazionali, le pratiche assicurative, il noleggio delle galee di stato» (ToGneTTi 1997, p. 597). Possiamo a questo punto considerare i banchi citati nel mastro, in particolare i Salmons ed il Marquet —con le dovute cautele— non come piccoli banchi a cui non si addice tanto l’aggettivo ‘locale’ ma possiamo forse chiamarli aziende bancarie che operano oltre che a livello locale anche a livello internazionale come quella riconosciuta dell’Aiutamicristo, anche se la banca dei fratelli Salmons è meno conosciuta per mancanza di fonti dirette per la storia economica della Sicilia (Trasselli 1957).

L’analisi degli aspetti economici emersi da questa fonte induce ad azzardare un giudizio sul commercio catalano in Sicilia che forse non coincide del tutto con le idee espresse dalla più recente storiografia (BresC 1986; epsTein 1996; mineo 1989b). Nonostante un forte restringimento delle attività mercantili internaziona-li dovuto alla guerra di potere che afflisse la ‘ciutat comtal’ nella seconda metà del xv secolo, non sembra percepirsi una crisi del commercio internazionale ed in particolare con la Catalogna, quanto piuttosto una trasformazione degli stessi operatori catalani residenti in Sicilia. Questi sono consapevoli di trovarsi a vivere in una regione che stava attraversando una congiuntura favorevole anche per i co-siddetti mercanti di origine forestiera ma stabilmente insediati nell’Isola (DenTiCi 1988). Molti di queste donne e uomini stranieri in qualità di mercanti, banchieri e funzionari del regno avevano rivolto i propri interessi verso il movimento com-merciale regionale e infra regnum che sicuramente permetteva loro un ampio spazio di azione e un margine probabilmente più sicuro nei guadagni, lasciando ad altri operatori stranieri, in particolare ai veneziani frequentatori dei porti della Val di Noto, una parte del commercio internazionale del grano.

Queste affermazioni andranno tuttavia verificate dopo aver terminato un’in-dagine più approfondita sulla comunità catalana a Siracusa ed in generale su tutti

ColesanTi, I catalani nella Sicilia Orientale nella seconda metà del xv secolo 193

gli operatori economici stranieri presenti nella città, sede della Camera Reginale, e sul ruolo avuto da quest’ultima nel dialogo tra le città del Mediterraneo (aBu-laFia 1996). Al momento i documenti finora esaminati mi permettono affermare che operatori economici come Caterina Llull non sono un unicum ma anzi questa tipologia è ben rappresentata nella documentazione di Siracusa e Noto.

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