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«Memoria e Ricerca», n. 43, maggio-agosto 2013 La secolarizzazione inconsapevole. Laicità e dimensione pubblica nell’Italia contemporanea * Fulvio Conti Anche l’Italia, come larga parte del mondo occidentale, è stata interessata negli ultimi decenni da un intenso processo di secolarizzazione. Max Weber definì la secolarizzazione come “disincantamento del mondo” (Entzauberung der Welt) 1 , ossia come una progressiva perdita di rilevanza della religione nella vita sociale che traeva origine dall’espansione del sistema capitalistico, dal trasferimento di potere e di funzioni dalle chiese allo Stato e alle sue burocrazie, dall’inarrestabile sviluppo della scienza. Questo fenomeno è da tempo al centro dell’attenzio- ne degli scienziati sociali, che hanno messo a punto una serie di indicatori in grado di misurarne l’evoluzione e di tradurla in precisi riscontri quantitativi e statistici. Come tutti i più importanti concetti delle scienze sociali, tuttavia, anche quello di “secolarizzazione” non ha trovato una definizione univoca da parte degli studiosi. La questione è complicata dal fatto che esso ha uno spiccato carattere multidi- mensionale, che riflette i vari ambiti in cui si manifesta il discorso religioso: dalle pratiche della fede “invisibili” e soggettive, come la preghiera individuale che si svolge nel privato, a quelle “visibili” e di più facile rilevazione empirica, come la partecipazione ai riti, dalle ricadute pubbliche sotto forma di differenziazione e laicizzazione delle istituzioni alla dimensione del pluralismo religioso 2 . Di recen- te vi è stato anche chi ha proposto di interpretare la secolarizzazione come quel processo storico di lunga durata che ha portato a un superamento/inveramento della religione, «trasferendo a realtà profane secolari caratteristiche sacrali, fino a giungere, nelle forme più estreme, alla divinizzazione del potere politico (sia nella * Ringrazio Francesco Margiotta Broglio per la lettura attenta di questo mio contributo e per i preziosi commenti e suggerimenti di cui è stato prodigo. 1. M. Weber, Politik als Beruf. Wissenshaft als Beruf, München-Leipzig 1919 (trad. it. Il lavoro intellettuale come professione, Torino, Einaudi, 1973, p. 41). 2. Cfr. La secolarizzazione, a cura di S. Acquaviva e G. Guizzardi, Bologna, il Mulino, 1973; L. Sciolla, Dimensioni della secolarizzazione, in «Rassegna italiana di sociologia», XXIX (1988), n. 1, pp. 5-36; R. Cartocci, Rilevare la secolarizzazione: indicatori a geometria variabile, in «Rivista italiana di scienza politica», XXIII (1993), n. 1, pp. 119-152. Fra i contributi più recenti cfr. A. Aldridge, La reli- gione nel mondo contemporaneo, Bologna, il Mulino, 2005 e P. Norris e R. Inglehart, Sacro e secolare. Religione e politica nel mondo globalizzato, Bologna, il Mulino, 2007.

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«Memoria e Ricerca», n. 43, maggio-agosto 2013

La secolarizzazione inconsapevole. Laicità e dimensione pubblica nell’Italia contemporanea*

Fulvio Conti

Anche l’Italia, come larga parte del mondo occidentale, è stata interessata negli ultimi decenni da un intenso processo di secolarizzazione. Max Weber definì la secolarizzazione come “disincantamento del mondo” (Entzauberung der Welt)1, ossia come una progressiva perdita di rilevanza della religione nella vita sociale che traeva origine dall’espansione del sistema capitalistico, dal trasferimento di potere e di funzioni dalle chiese allo Stato e alle sue burocrazie, dall’inarrestabile sviluppo della scienza. Questo fenomeno è da tempo al centro dell’attenzio-ne degli scienziati sociali, che hanno messo a punto una serie di indicatori in grado di misurarne l’evoluzione e di tradurla in precisi riscontri quantitativi e statistici.

Come tutti i più importanti concetti delle scienze sociali, tuttavia, anche quello di “secolarizzazione” non ha trovato una definizione univoca da parte degli studiosi. La questione è complicata dal fatto che esso ha uno spiccato carattere multidi-mensionale, che riflette i vari ambiti in cui si manifesta il discorso religioso: dalle pratiche della fede “invisibili” e soggettive, come la preghiera individuale che si svolge nel privato, a quelle “visibili” e di più facile rilevazione empirica, come la partecipazione ai riti, dalle ricadute pubbliche sotto forma di differenziazione e laicizzazione delle istituzioni alla dimensione del pluralismo religioso2. Di recen-te vi è stato anche chi ha proposto di interpretare la secolarizzazione come quel processo storico di lunga durata che ha portato a un superamento/inveramento della religione, «trasferendo a realtà profane secolari caratteristiche sacrali, fino a giungere, nelle forme più estreme, alla divinizzazione del potere politico (sia nella

* Ringrazio Francesco Margiotta Broglio per la lettura attenta di questo mio contributo e per i preziosi commenti e suggerimenti di cui è stato prodigo.

1. M. Weber, Politik als Beruf. Wissenshaft als Beruf, München-Leipzig 1919 (trad. it. Il lavoro intellettuale come professione, Torino, Einaudi, 1973, p. 41).

2. Cfr. La secolarizzazione, a cura di S. Acquaviva e G. Guizzardi, Bologna, il Mulino, 1973; L. Sciolla, Dimensioni della secolarizzazione, in «Rassegna italiana di sociologia», XXIX (1988), n. 1, pp. 5-36; R. Cartocci, Rilevare la secolarizzazione: indicatori a geometria variabile, in «Rivista italiana di scienza politica», XXIII (1993), n. 1, pp. 119-152. Fra i contributi più recenti cfr. A. Aldridge, La reli-gione nel mondo contemporaneo, Bologna, il Mulino, 2005 e P. Norris e R. Inglehart, Sacro e secolare. Religione e politica nel mondo globalizzato, Bologna, il Mulino, 2007.

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forma statale o nazionale sia nella forma personale-carismatica)»3. In questa accezio-ne, che non mi sento di poter accogliere, la secolarizzazione coinciderebbe di fatto con la sacralizzazione della politica e con la nascita delle religioni della politica4.

Ciò su cui tutti gli autori più o meno convergono è che la secolarizzazione dovrebbe produrre, in ultima istanza, una diminuzione del potere delle istituzioni ecclesiastiche e dell’influenza sociale, culturale e politica da esse esercitata nella sfera pubblica. Alla secolarizzazione della società e alla desacralizzazione della religione, cioè, dovrebbe accompagnarsi e/o seguire un’accentuazione del carat-tere laico delle istituzioni politiche e, più in generale, della sfera pubblica, inclusi i luoghi maggiormente deputati a formare gli orientamenti culturali, le mentalità e gli stili di vita prevalenti (la scuola, l’università, l’editoria, la stampa, i cenacoli intellettuali).

Questo articolo intende offrire qualche elemento di analisi e di riflessione su quanto è avvenuto nel contesto italiano negli ultimi decenni. Oggetto di numerose indagini da parte di sociologi, antropologi e politologi, dibattuto approfonditamen-te da giuristi e filosofi, il tema della secolarizzazione, visto in particolare nei suoi nessi con la cultura laica, ha ricevuto minore attenzione in ambito storiografico5. L’ipotesi interpretativa che sorregge queste pagine è che in Italia alla diffusione di comportamenti molto secolarizzati nell’ambito individuale (si pensi da una parte alla drastica diminuzione dei battesimi, delle prime comunioni, delle cresime, dei matrimoni religiosi, della frequenza alla messa, e dall’altra all’aumento dei matrimo-ni civili, delle coppie di fatto, dei figli nati fuori dal matrimonio) abbia corrisposto un irrigidimento “moralistico” nella dimensione politica, che ha ritardato e più spesso impedito il varo di leggi che fossero capaci di dare un riconoscimento giu-ridico alle istanze emergenti dal quadro sociale. In altre parole, la secolarizzazione che ha investito l’Italia dagli anni sessanta in avanti appare un mero riflesso dei mutamenti economico-sociali e culturali che hanno trasformato la Penisola. Essa non ha però innescato un processo consapevole di laicizzazione del pensiero, dei costumi, delle mentalità. A fronte di un relativismo estremo nella sfera privata, disancorato da sistemi valoriali di riferimento, men che mai di ordine religioso, si assiste sempre più di frequente ad atteggiamenti di chiusura, di rifugio in un tradizionalismo viscerale che ha visto la Chiesa cattolica, e il mondo che ruota intorno ad essa, riconquistare una nuova centralità.

Nell’Italia dell’ultimo trentennio, insomma, la situazione appare rovesciata rispetto a quella dei tardi anni quaranta e degli anni cinquanta, quando il Paese era

3. F. De Giorgi, Per una storia della laicità, in «Contemporanea», X (2007), n. 4, p. 653. Del medesimo autore si veda più ampiamente Laicità europea. Processi storici, categorie, ambiti, Brescia, Morcelliana, 2007.

4. Su questo tema mi limito a rinviare all’ormai classico E. Gentile, Le religioni della politica. Fra democrazie e totalitarismi, Roma-Bari, Laterza, 2001.

5. Per un primo orientamento cfr. G. Miccoli, Fra mito della cristianità e secolarizzazione. Studi sul rapporto Chiesa-società nell’età contemporanea, Casale Monferrato, Marietti, 1985; D. Menozzi, La Chiesa cattolica e la secolarizzazione, Torino, Einaudi, 1993; R. Rémond, La secolarizzazione. Religione e società nell’Europa contemporanea, Roma-Bari, Laterza, 2003.

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ancora intriso di una religiosità arcaica e profonda, ma nella società e nella politica i valori laici erano largamente diffusi e rappresentavano il collante identitario di alcuni partiti di governo e di opposizione, oltre che di gruppi editoriali e correnti intellettuali che orientavano l’opinione pubblica nazionale. Non a caso, nei due decenni seguenti quei movimenti d’ispirazione laica sarebbero stati capaci di promuovere una stagione di grandi battaglie per i diritti civili, sfociata nel varo di importanti leggi di riforma (divorzio, aborto, diritto di famiglia, obiezione di co-scienza, ecc.), avversate dalla Chiesa, ma sostenute da un largo consenso popolare.

D’altro canto l’evidenza empirica ci dice che, proprio per il suo carattere mul-tidimensionale, la secolarizzazione può manifestarsi attraverso una diminuzione del tasso di religiosità e una laicizzazione dei costumi, senza però che si registri un parallelo rafforzamento della cultura politica laica. Inoltre, pur all’interno di un trend che nel lungo periodo appare inequivocabilmente connotato da una crescita della secolarizzazione è possibile individuare, come hanno fatto alcuni analisti, fasi che hanno evidenziato caratteristiche opposte, per definire le quali si è coniato il termine desecolarizzazione. Secondo Luca Ricolfi, larga parte della storia dell’I-talia repubblicana è stata caratterizzata da «un complesso intreccio di spinte alla secolarizzazione e alla desecolarizzazione»6. Queste ultime, a partire da un punto di svolta che Roberto Cartocci colloca nel triennio 1978-19807, sarebbero risultate alfine prevalenti, creando i presupposti per quella discrasia fra accentuata secola-rizzazione dei comportamenti privati e diminuita laicizzazione della sfera pubblica che, a mio avviso, costituisce un tratto distintivo dell’Italia del tempo presente.

1La secolarizzazione in cifre

Frutto della collaborazione tra la Fondazione Critica Liberale e l’Ufficio Nuovi Diritti della Cgil nazionale, nel 2005 venne pubblicato un primo Rapporto sulla secolarizzazione in Italia (all’epoca fu definito Rapporto sulla laicità)8, che, affinato nella scelta degli indicatori e aggiornato con cadenza annuale, è giunto nel 2012 alla sua ottava edizione9. Il rapporto si basa su numerosi indicatori tratti da fonti ufficiali (principalmente l’Istat, la Commissione episcopale italiana, il Ministero dell’I-struzione, dell’Università e della Ricerca, il Ministero della Salute e l’«Annuario statistico della Chiesa cattolica») e reinterpretati dal punto di vista del fenomeno religioso cattolico. Utilizza cioè dati già esistenti e non ricerche prodotte ad hoc: lo scopo è quello di misurare l’appartenenza religiosa e la presenza della Chiesa cattolica nella società, analizzando le pratiche religiose “visibili”, quelle – come si

6. L. Ricolfi, Il processo di secolarizzazione nell’Italia del dopoguerra: un profilo empirico, in «Ras-segna italiana di sociologia», XXIX (1988), n. 1, p. 84.

7. Cfr. R. Cartocci, Geografia dell’Italia cattolica, Bologna, il Mulino, 2011, pp. 15 ss.8. Cfr. Primo rapporto sulla laicità, in «Critica liberale», XII (2005), n. 111, pp. 1-9.9. Cfr. VIII rapporto sulla secolarizzazione, in «Critica liberale», XIX (2012), n. 205-206, pp. 209-221.

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diceva poc’anzi – riconducibili ad atti “pubblici” quali la partecipazione ai riti o la destinazione dell’8 per mille, e dunque empiricamente rilevabili e quantificabili.

Gli indicatori sono suddivisi in quattro grandi gruppi: 1) pratica religiosa (la percentuale dei battezzati, il numero delle prime comunioni e delle cresime ogni mille cattolici, la percentuale di matrimoni religiosi-concordatari sul totale dei matrimoni); 2) adesione alle indicazioni della Chiesa cattolica (separazioni concesse, consumo di anticoncezionali orali, interruzioni volontarie di gravidanza, libere unioni, donazioni, 8 per mille alla Chiesa cattolica sul valore totale, il rapporto tra il numero dei figli naturali e quello dei figli legittimi); 3) scelte nell’istruzione (il numero degli alunni iscritti alle varie scuole cattoliche e la percentuale di quelli che frequentano l’ora di religione); 4) organizzazione ecclesiastica (il numero dei sacerdoti, delle religiose, dei diaconi, dei catechisti ecc. sul totale della popolazio-ne, le defezioni dei preti, le nuove ordinazioni). Per ciascun indicatore sono state ricostruite le serie storiche dal 1991 al 2010 ed è stato infine elaborato un indice complessivo ponderato di secolarizzazione, che risulta influenzato in maniera pressoché equivalente da tutti e quattro gli aspetti considerati. Ebbene, questo dato sintetico, la cui crescita indica un aumento del tasso di secolarizzazione, era di -1,641 nel 1991 e di +1,388 nel 2010.

Nell’VIII rapporto del 2012 i ricercatori hanno calcolato anche un indicatore della presenza istituzionale della Chiesa cattolica, nel quale sono confluiti alcuni dati che rivelano le attività concrete da essa realizzate nella società (il numero delle scuole cattoliche e dei nidi d’infanzia sul totale, le case di cura per anziani e invalidi cronici gestite da istituzioni religiose, i consultori familiari, i centri di difesa della vita e della famiglia, la percentuale delle opere religiose edite sul totale, ecc.). Anche questo indice è in sensibile crescita: -1,252 nel 1991, +1,418 nel 2010. «Come a dimostrare – osserva una delle autrici del rapporto – che a fronte di una crescente secolarizzazione crescente è lo sforzo della chiesa cattolica ad essere presente per in qualche modo contrastarlo»10.

Torneremo nelle conclusioni sull’apparente contraddizione fra un Paese in via di rapida secolarizzazione e una Chiesa che vede aumentare la propria presenza in settori rilevanti della vita sociale e politica. Diamo però adesso uno sguardo, al di là dell’arida cifra di sintesi, agli indicatori più significativi del processo di secolarizzazione rivelati dall’VIII rapporto. Per quanto riguarda quelli relativi alla pratica religiosa visibile, quelli cioè che si riferiscono a riti di passaggio come il battesimo, la prima comunione, la cresima, il matrimonio religioso, essi evidenzia-no in maniera omogenea una forte tendenza alla diminuzione. La percentuale dei bambini di età inferiore a un anno battezzati, rispetto al totale dei nati vivi, che nel 1991 sfiorava il 90 per cento, è scesa nel 2010 al 72 per cento. Le prime comunioni sono passate dalle 553.000 del 1991 alle 442.000 del 2010 (dal 9,9 al 7,7 per mille cattolici) e un calo ancor più accentuato hanno fatto registrare le confermazioni (cresime), scese nel medesimo arco di tempo da 617.000 a 446.000 (dall’11,1 al 7,8 per mille cattolici). I matrimoni concordatari, che nel 1991 rappresentavano ancora

10. S. Sansonetti, La secolarizzazione in Italia, in «Critica liberale», XIX (2012), n. 205-206, p. 214.

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l’82,5% del totale, nel 2010 si sono fermati al 63,5%. Sono cresciuti parallelamente quelli celebrati con rito civile, che sono passati dai 54.506 del 1991 ai 79.501 del 2010. Secondo l’Istat, nelle regioni del Nord nel 2011 vi sarebbe stato addirittura il sorpasso dei matrimoni civili su quelli concordatari (con i primi attestati al 51,7% e i secondi al 48,3%).

La crescita dei matrimoni civili, peraltro, non è stata sufficiente a compensare il trend di diminuzione delle unioni matrimoniali nel loro insieme, che testimonia il calo di fiducia in un istituto cardine del credo religioso cattolico, qual è la famiglia. Impressiona per contro lo sviluppo esponenziale delle libere convivenze, stimate in 207.000 nel 1993 e arrivate a 972.000 nel 2010. Meno intenso, ma ugualmente significativo, è stato l’incremento delle separazioni, che su base annua fra il 1992 e il 2010 sono praticamente raddoppiate (da 44 a 88.000), e quello dei divorzi, passati dai 23.000 del 1991 ai 54.000 del 2010.

Comportamenti e stili di vita più secolarizzati emergono anche dal diverso modo di vivere la genitorialità che si è affermato nell’ultimo ventennio. Si veda per esempio il consumo di anticoncezionali orali, da sempre avversato dalla Chiesa, che nel 1991 interessava il 10,3% delle donne in età fertile e nel 2005 il 18,9%. Oppure si consideri il numero dei figli naturali rispetto a quelli legittimi: i primi erano il 6,7% del totale nel 1991 e sono arrivati al 23,9% nel 2010. Notevolissima è stata poi la crescita dei trattamenti di procreazione medicalmente assistita, nonostante i rigidi vincoli restrittivi imposti dalla legge 40/2004 che il referendum del 2005, respinto a causa del mancato raggiungimento del quorum, non riuscì ad allentare. Nel 2010 si sono avuti più di 847.000 trattamenti a fronte dei 9.570 del 1997.

Un andamento inverso, ancorché discontinuo e irregolare nel corso degli anni, è stato fatto registrare dalle interruzioni volontarie di gravidanza, passate dalle 157.000 del 1991 alle 116.000 del 2010. È questo uno degli ambiti nei quali la Chiesa e l’associazionismo cattolico si sono maggiormente mobilitati a difesa della sacralità della vita e contro ogni forma di pratica abortiva. Si pensi ai centri di difesa della vita e della famiglia, che erano 487 nel 1991 e sono diventati 2.385 nel 2010. Con risultati indubbiamente significativi e in controtendenza rispetto a quelli che indicano una dinamica di progressiva secolarizzazione del Paese. Degno di nota è anche l’aumento del tasso di obiezione di coscienza fra i ginecologici che operano nelle strutture pubbliche o nelle cliniche convenzionate in cui si ef-fettuano le interruzioni volontarie di gravidanza (peraltro entrambe, pubbliche e private, in netta diminuzione): esso è salito dal 60,4% del 1992 al 69,3% del 2010. La percentuale degli obiettori di coscienza è diminuita invece tra gli anestesisti e tra i paramedici, attestandosi pur tuttavia nel 2010 al 50,8% per i primi e al 44,7% per i secondi. L’obiezione di coscienza in ambito sanitario, prevista dalla legge 194 del 1978 a tutela del diritto inalienabile alla libertà di coscienza e fortemente incoraggiata dalle autorità ecclesiastiche, si è dunque trasformata in uno degli strumenti più efficaci per ostacolare le pratiche abortive.

Indicazioni non univoche si ricavano anche dalle opzioni del cosiddetto “otto per mille”, vale a dire il meccanismo con cui, dopo l’entrata in vigore del Concor-dato del 1984, lo Stato finanzia la Chiesa cattolica (o altre Chiese) ripartendo questa

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frazione del gettito fiscale dell’imposta sul reddito delle persone fisiche sulla base delle scelte compiute dai contribuenti. Ebbene, a causa dell’aumento del gettito e dei meccanismi inflattivi, in termini assoluti la somma erogata alla Chiesa cattolica è cresciuta dai 210 milioni di euro del 1991 ai 1.067 milioni di euro del 2010. Ciò che è più interessante rilevare, tuttavia, sono le opzioni esercitate dai contribuenti, che denotano un andamento irregolare. L’ultimo dato disponibile riguarda la di-chiarazione dei redditi del 2007, quando si espresse a favore della Chiesa cattolica l’85% dei contribuenti: un dato più elevato di quello del 1991 (81,4%), ma assai più basso di quello degli anni precedenti, quando esso si era attestato stabilmente intorno all’89 per cento fino a raggiungere un picco massimo dell’89,8% nel 2005. Sarà interessante vedere, quando verranno resi noti, i riscontri relativi a dopo il 2007 per verificare se la flessione ha trovato conferma oppure se la Chiesa cattolica, anche attraverso le robuste campagne pubblicitarie allestite ormai da molti anni durante il periodo della dichiarazione dei redditi, è riuscita a invertire la tendenza.

Tutti gli altri indicatori, con qualche isolata eccezione, confermano il trend secolarizzante, sebbene con ritmi diversi nei vari ambiti. È in calo per esempio, ma assai limitato, il numero degli studenti che frequentano l’ora di religione nelle scuole pubbliche: dal 93% dei primi anni novanta si è scesi all’89,8% del 2010. Assai più netta è stata la diminuzione dei sacerdoti o dei religiosi che insegnano la materia “religione” nelle scuole pubbliche: ancora nel 1998 essi rappresentavano poco meno di un quarto del totale (il 23,8%), mentre nel 2009 si erano ridotti al 12,6% a fronte di un 87,4% di insegnanti laici. Si tratta dell’evidente riflesso di un altro fenomeno che appare assolutamente rivelatore della perdita di attrattiva che il sacro e il religioso hanno conosciuto negli anni recenti. Mi riferisco al calo delle vocazioni che ha fatto sì che tra il 1991 e il 2010 i sacerdoti siano passati da 57.274 a 48.745, i religiosi da 5.000 a 3.485, le religiose da 125.800 a 91.286, i laici consacrati da 500 a 200 e le laiche consacrate da 13.500 a 8.610. Anche in questo caso occorre registrare però un importante dato in controtendenza: è quello che riguarda la forte crescita dei diaconi (quasi quadruplicati dai 1.146 del 1991 ai 3.912 del 2010) e soprattutto dei catechisti, che nel 1996 (primo dato disponibile) erano circa 75.000 e nel 2010 avevano oltrepassato i 240.000. È un dato che sottolinea le nuove modalità di proselitismo della Chiesa cattolica e la sua capacità di alimentare quei processi di desecolarizzazione, a cui si è fatto cenno, che le hanno consentito di conservare un ruolo centrale nella società odierna11.

In diminuzione, ancorché molto limitata, è infine la proporzione delle scuole cattoliche sul totale nazionale: erano il 15% nel 1998 e sono scese al 14,1% nel 2010. Più sensibile è stata nel medesimo periodo la flessione degli iscritti, passati da

11. Per alcune riflessioni sul tema di ordine metodologico cfr. M. Pisati, La domenica andando alla messa. Un’analisi metodologica e sostantiva di alcuni dati sulla partecipazione degli italiani alle funzioni religiose, in «Polis», XIV (2000), n. 1, pp. 113-138; A. Castegnaro, G. Dalla zuanna, Studiare la pratica religiosa: differenze tra rilevazione diretta e dichiarazione degli intervistati sulla frequenza alla messa, in «Polis», XX (2006), n. 1, pp. 85-110; M. Rossi, E. Scappini, La partecipazione alla messa: un confronto tra metodi di rilevazione, in «Polis», XXIV (2010), n. 1, pp. 69-94.

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719.000 a 639.000. Mentre nel 1991 gli iscritti alle scuole cattoliche erano il 9,1% degli iscritti in tutte le scuole italiane, nel 2010 si fermavano al 7,2%.

Come si vede, il quadro che emerge da questo rapporto, pur con i suoi chiaro-scuri e con taluni elementi di contraddittorietà, rivela in maniera inequivocabile che la dimensione della religiosità ha oggi un ruolo nella vita degli italiani assai più marginale di quello che aveva alcuni decenni fa. Questo trend di secolarizza-zione è confermato da numerose altre ricerche di natura sociologica che hanno gettato luce su alcuni aspetti individuali della pratica religiosa, come per esempio la partecipazione alla messa domenicale. Un’indagine Istat realizzata nel 2009 su un campione di quasi 20.000 famiglie, per un totale di oltre 47.000 persone, ha evidenziato che si reca a messa almeno una volta alla settimana solo il 32,5 per cento degli italiani, mentre quelli che dichiarano di non andarvi mai sono il 19,1 per cento (nel 1993 erano rispettivamente il 39,2 e il 15 per cento)12. La propensione a una pratica religiosa regolare si conferma più elevata nelle donne rispetto agli uomini e fra i minori e gli anziani rispetto alle fasce d’età intermedie.

Altre ricerche di natura demoscopica hanno provato a misurare la fede in Dio, la pratica della preghiera al di fuori delle funzioni religiose, la fiducia nella Chiesa, il grado in cui l’essere cattolico diviene uno dei significati dell’identità nazionale italiana. Un’inchiesta svolta nel giugno 2009 su un campione rappresentativo della popolazione italiana adulta ha rivelato che solo il 5% di esso dichiarava di andare in chiesa ogni settimana e insieme di credere in Dio, di pregare sempre o spesso, di avere fiducia nella Chiesa, di definirsi in pubblico come cattolico e di credere che l’essere italiano equivalga a essere cattolico. All’estremo opposto, cioè «quelli che dicono di non credere in un Dio personale o non crederci affatto, che vanno saltuariamente o mai a messa, che non pregano, che non hanno fiducia nella Chiesa e non si sentono cattolici né pensano che essere italiano significhi essere cattolico, ammontano al 12% del campione»13. Fra questi ultimi i giovani sarebbero parti-colarmente numerosi, in specie quelli nati dopo il 1981, né si avvertirebbero più differenze sostanziali tra uomini e donne. Icastico il commento dei due autori della ricerca, edita dalla rivista «il Regno» delle edizioni Dehoniane: «Già s’in-travede la futura minoranza credente. È immaginabile che quando i figli della generazione degli anni settanta saranno padri, daranno un ulteriore contributo alla secolarizzazione»14.

Utilizzando alcuni degli indicatori fin qui descritti (il tasso dei matrimoni civili rispetto a quelli celebrati con rito cattolico-concordatario, l’incidenza delle nasci-te di figli al di fuori dal matrimonio, il tasso degli studenti che non si avvalgono dell’insegnamento della religione cattolica, la diffusione dell’opzione a favore della Chiesa cattolica nella destinazione dell’otto per mille) Roberto Cartocci ha

12. Cfr. Istat, La vita quotidiana nel 2009. Indagine multiscopo annuale sulle famiglie. «Aspetti della vita quotidiana». Anno 2009, Roma, Istat, 2010.

13. G. Brunelli, P. Segatti, Italia: da cattolica a genericamente cristiana, in «Chiesa in Italia. Annale de il Regno», 2010, pp. 83-84.

14. Ibid., p. 86.

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fatto un’operazione molto interessante. Ha calcolato anch’egli un indice finale di secolarizzazione, arrivando tuttavia ad articolarlo su scala provinciale e riuscendo così a visualizzare una “geografia dell’Italia cattolica”, e per converso di quella secolarizzata, all’inizio del XXI secolo.

Firenze 213Ravenna 211Trieste 210Bologna 209Siena 188Livorno 188Reggio Emilia 187Ferrara 177Modena 172Aosta 166Prato 166Torino 161Genova 160Imperia 156La Spezia 151Savona 150Venezia 148Biella 147Forlì-Cesena 146Parma 146Milano 144Gorizia 142Bolzano 141Belluno 139Pisa 135Pistoia 133Roma 133Grosseto 133Verbano-Cusio-Ossola 130Rimini 129Vercelli 128Alessandria 125Pavia 125Novara 124Lucca 123

tabella 1. Indice di secolarizzazione per provincia (media Italia = 100)

Mantova 123Varese 122Trento 119Udine 117Massa-Carrara 116Asti 115Brescia 111Pordenone 110Piacenza 108Verona 106Lecco 106Treviso 106Arezzo 106Lodi 105Cremona 103Pesaro-Urbino 103Padova 101Bergamo 100Terni 100Ancona 100Como 97Sondrio 96Perugia 94Rovigo 94Cuneo 94Cagliari 91Vicenza 90Sassari 88Viterbo 85Oristano 85Nuoro 83Macerata 74Rieti 72Latina 67

Pescara 63Catania 63L’Aquila 61Teramo 61Frosinone 61Ascoli Piceno 61Chieti 60Siracusa 59Palermo 53Messina 49Crotone 44Napoli 44Campobasso 42Ragusa 42Trapani 40Foggia 40Taranto 39Caltanissetta 39Brindisi 39Salerno 39Catanzaro 38Enna 38Bari 38Lecce 37Isernia 37Cosenza 37Avellino 36Matera 35Agrigento 34Caserta 32Benevento 31Potenza 31Reggio Calabria 29Vibo Valentia 24

Fonte: R. Cartocci, Geografia dell’Italia cattolica, cit., p. 131.

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laicità e dimensione pubblica nell’italia contemporanea

I dati riassunti nella tabella 1 evidenziano nitidamente come anche sotto questo profilo il paese continui a restare diviso in due grandi aree, con una geografia più differenziata nella metà centro-settentrionale e una più uniforme nel Sud e in Sicilia, dove si concentrano tutte le province con i valori più bassi dell’indice. Osserva più in dettaglio Cartocci:

Per il Centro-Nord il nucleo secolarizzato principale va dalla riva destra del Po fino a Siena. Si tratta essenzialmente delle province del nucleo più radicato della zona rossa. Attraverso la Liguria – una regione omogenea da Imperia a La Spezia – quest’area tradizionalmente meno legata ai valori cattolici si collega con il Nord-Ovest secolarizzato, centrato sull’asse Torino-Milano, con le uniche chiare eccezioni di Cuneo e Asti, tradizionalmente più legate ai valori cattolici rispetto al resto del Piemonte. Dalla Brianza al Veneto si estende poi l’area che aveva costituito per i primi centovent’anni dell’Italia unita la sede della subcultura bian-ca. […] Ai margini di quest’area si trovano comunque quattro province più secolarizzate: Trieste, Venezia, Gorizia, Bolzano, dove gli effetti secolarizzanti del mare e dei rapporti transfrontalieri risultano ben visibili. A parte queste quattro province, anche tutte le altre a est di Milano hanno livelli di secolarizzazione maggiori della media nazionale, affini a quelli assunti dalle province meno secolarizzate della tradizionale zona rossa (Arezzo, Pesaro, Ancona, tutta l’Umbria). Nel Nord, oltre a Cuneo, solo Como, Sondrio, Rovigo e Vicenza hanno punteggi minori di 100. […] A parte l’isola secolarizzata della capitale, a sud della linea Roma-Rieti-Ascoli, segnata in pratica dal tracciato bimillenario della via Salaria, si estende un’area piuttosto uniforme, che raggruppa tutte le province che presentano i va-lori più bassi sull’indice. In sostanza, la dimensione Nord-Sud costituisce l’asse principale intorno a cui si rilevano le maggiori differenze. Per esprimere questo con un esempio: la provincia meno secolarizzata dell’antica zona bianca – Vicenza, al sessantaduesimo posto con un punteggio di 90 – è collocata più in alto in classifica rispetto alla più secolarizzata delle province meridionali (Latina, che sta sette posizioni più in basso, con un punteggio pari a 67)15.

La geografia dell’Italia cattolica continua dunque a sovrapporsi a quella dell’ar-retratezza, del mancato o ritardato sviluppo economico, dell’inefficienza delle istituzioni locali, della ridotta dotazione di civicness. Cartocci molto opportuna-mente ci ricorda che una parentela statistica non si traduce automaticamente in un rapporto di causa-effetto. È tuttavia indubbio, conclude, «che gli elevati livelli di pratica religiosa e di fiducia nella chiesa costituiscano la veste culturale di quelle realtà italiane che sono nelle condizioni più critiche: ridotto sviluppo, inefficienza dei servizi, scarso capitale sociale»16.

15. R. Cartocci, Geografia dell’Italia cattolica, cit., pp. 133-134. 16. Ibid., pp. 139-140.

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2La stagione della laicità e dei diritti civili

Non è mia intenzione riprendere in questa sede i pur suggestivi spunti di analisi offerti da Roberto Cartocci. Il punto su cui vorrei svolgere qualche rapida rifles-sione è un altro. I dati fin qui presentati ci hanno offerto l’immagine di un Paese che, sebbene in modo non omogeneo a livello territoriale, anzi con rimarchevoli differenze fra Nord e Sud, ha conosciuto negli ultimi decenni un profondo processo di modernizzazione e di secolarizzazione. La domanda che sorge spontanea è la seguente: è diventato anche un Paese più laico? Alla contrazione delle pratiche religiose cattoliche ha fatto riscontro un’estensione della cultura e della moralità laiche? Detta in altri termini: l’Italia di oggi è un paese più tollerante, più aperto nei confronti delle diverse fedi e culture, più dotato di un senso dello Stato e di un’etica pubblica, di un’idea di cittadinanza che prescinda dalle appartenenze politico-religiose per tutelare autenticamente gli interessi (i valori, gli orientamenti sessuali, gli stili di vita, ecc.) di tutti?

Sicuramente la risposta è affermativa se andiamo con la memoria all’Italia degli anni cinquanta, nella quale il vescovo di Prato Pietro Fiordelli, per limitarci a ricordare uno degli episodi che ebbe più risonanza, fece leggere in chiesa una lettera in cui indicava come pubblici peccatori e concubini due coniugi che si erano sposati con il rito civile. Denunciato per diffamazione dalla coppia, che fu rappresentata in tribunale da Leopoldo Piccardi, uno dei principali esponenti del neonato Partito radicale, nel marzo 1958 il vescovo venne condannato a pagare una multa di 40.000 lire. La Chiesa e l’intero mondo cattolico scatenarono un’ondata di proteste (particolarmente eclatante fu il gesto del cardinale di Bologna Gia-como Lercaro, che fece addobbare a lutto le chiese della città e suonare a morto le campane), che rivelò la volontà implicita di mettere in discussione l’autorità e l’autonomia dello Stato. Nel novembre successivo, tuttavia, pochi giorni dopo la morte di Pio XII e l’ascesa al soglio pontificio di Giovanni XXIII, monsignor Fiordelli fu assolto in appello17.

Per avere un’idea dell’Italia di quegli anni si legga quanto scriveva nel 1960 un liberale come Arturo Carlo Jemolo, certo non etichettabile come un laicista estremo:

Se la società italiana possiede oggi (parlo del 1960) tutti i connotati tipici di una società confessionale, ciò non è dovuto ad un’imposizione diretta, ma è piuttosto il risultato di una lunga pressione conformista e di una ragguardevole pigrizia morale. […] Oggi non è possibile aprire una filiale di banca senza la benedizione del vescovo; il crocefisso, talvolta il ritratto del Papa, appare dietro gli sportelli. Tutte le settimane leggiamo che una fabbrica automobilistica ha organizzato per i suoi operai un pellegrinaggio ad un celebre santuario,

17. Cfr. Processo al Vescovo di Prato, a cura di L. Piccardi, Firenze, Parenti, 1958. Sulla vicenda cfr. G. Crainz, Storia del miracolo italiano. Culture, identità, trasformazioni fra anni cinquanta e sessanta, Roma, Donzelli, 1996, pp. 56-59 e R. Pertici, Chiesa e Stato in Italia dalla Grande Guerra al nuovo Concordato (1914-1984), Bologna, il Mulino, 2009, pp. 485-490.

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guidato dal presidente del consiglio d’amministrazione; […] o che una grande industria tessile paga ai suoi operai quindici giorni in un albergo di montagna ove un ordine religio-so organizza incontri su temi di dottrina cristiana. […] Se il marchio confessionale pesa sull’industria, a maggior ragione grava sulla pubblica amministrazione. In molti ministeri, durante la settimana santa si tengono gli esercizi spirituali con la partecipazione dei fun-zionari, primo fra tutti il ministro. Non vi è riunione di prefetti o congresso di magistrati o bibliotecari, o adunata di vecchi granatieri, o poliziotti che non si concluda con la visita al pontefice. […] Molti Comuni ultimamente hanno demolito nei cimiteri i forni crematori costruiti al tempo del liberalismo. […] In ogni capoluogo di provincia l’autorità maggiore è il vescovo; il prefetto, il generale, il presidente di tribunale gli rendono la visita di cortesia e, il primo giorno dell’anno, gli porgono i voti augurali. Alcuni vescovi sono anche sacerdoti eccellenti, assai pii; ma se alcuno tra essi ha il gusto del potere, non si potrà nominare il direttore dell’azienda del gas o il curatore fallimentare di una banca senza il suo consenso18.

Un discorso diverso è da farsi con riferimento all’Italia dei tardi anni sessanta e dei settanta, quando sui costumi privati e nella sfera pubblica si dispiegarono gli effetti della “grande trasformazione” economico-sociale avviata all’indomani della seconda guerra mondiale. In quel periodo si ebbe non soltanto una secolarizzazione della società, ma anche una decisa limitazione di quei connotati confessionali e scarsamente liberali che avevano suscitato l’indignazione di Jemolo. Basti ricordare l’approvazione della legge Fortuna-Baslini, che nel dicembre 1970 introdusse il divorzio nell’ordinamento giuridico italiano, confermato quattro anni dopo da quella che possiamo considerare la più importante affermazione dei laici nella storia dell’Italia repubblicana: il fallimento del referendum abrogativo voluto dalla Chiesa cattolica e dalla Democrazia cristiana, con l’ingombrante sostegno del partito neofascista, il Movimento sociale italiano19.

Nell’arco di un quindicennio si ebbe una profonda laicizzazione della società italiana, che si concretò nell’approvazione di un vasto corpus normativo attraverso il quale vennero introdotti significativi elementi di modernizzazione e di liberaliz-zazione nell’ambito pedagogico-educativo e nella sfera dei diritti civili, sottraen-doli all’influenza della Chiesa cattolica. Si pensi alla legge istitutiva della scuola materna statale del 1968, a quella sull’obiezione di coscienza del 1972, alla riforma del diritto di famiglia del 1975 con la correlata istituzione dei consultori familiari, alla legge sull’interruzione volontaria di gravidanza del 1978, poi confermata da un duplice referendum abrogativo nel 198120, alla legge sul cambiamento di sesso del 1982. Nel 1967, quasi a inaugurare questa fase rivoluzionaria che aveva uno dei suoi punti focali nella nuova morale sessuale e nella nuova visione della famiglia

18. A.C. Jemolo, Geografia della laicità in Italia, in Il cammino della laicità. Dalla legge sul divorzio alla revisione del Concordato (1970-1985), a cura di L. De Gregorio, Bologna, il Mulino, 2011, pp. 29-33. Con il titolo Le problème de la laïcité en Italie il testo era apparso originariamente in La laïcité, Paris, Presses Universitaires de France, 1960, pp. 455-480 e successivamente in A.C. Jemolo, Per la pace religiosa d’Italia, a cura di G. Spadolini, Firenze, Le Monnier, 1985, pp. 49-74.

19. Cfr. G. Scirè, Il divorzio in Italia. Partiti, Chiesa, società civile dalla legge al referendum (1965-1974), Milano, Bruno Mondadori, 2007.

20. Cfr. G. Scirè, L’aborto in Italia. Storia di una legge, Milano, Bruno Mondadori, 2008.

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e del rapporto fra i generi, vi era stata l’autorizzazione alla vendita delle pillole anticoncezionali “Pincus”, concessa nel 1967 dal ministro della Sanità, il socialista Luigi Mariotti. Da allora anche in Italia, sebbene in misura assai ridotta rispetto ai paesi europei più evoluti, aumentò così l’uso della pillola anticoncezionale, fino a quel momento ostacolato dalla vigenza di vecchie leggi fasciste che lo consentivano soltanto a scopo farmacologico.

Il punto d’arrivo di questa stagione di vittoriose “battaglie di libertà”21 si ebbe nel 1984 con la riforma del Concordato. Gli accordi di Villa Madama del 18 febbraio, che per parte italiana furono firmati dal presidente del Consiglio Bettino Craxi, leader del Partito socialista, eliminarono alcuni degli aspetti più obsoleti dei Patti lateranensi, come la definizione della religione cattolica quale religione di Stato o la dichiarazione del carattere sacro della città di Roma. Altre modifiche sostantive, sancite dalle leggi di attuazione dell’accordo, riguardarono l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, che da obbligatoria divenne facoltativa, la rinuncia da parte della Santa Sede alla riserva di giurisdizione a favore dei tribunali ecclesiastici in materia di nullità del matrimonio, la sostituzione del finanziamento statale diretto del clero (congrua) con la devoluzione su base volontaria da parte dei contribuenti dell’otto per mille delle imposte sul loro reddito22.

Secondo Francesco Margiotta Broglio, la legge sul divorzio e il Concordato del 1984 aprirono «la strada alla ricostruzione, senza ambiguità, dei profili di libertà, pluralismo e laicità della forma di Stato che i costituenti avevano delineato, pur con alcune contraddizioni, nella legge fondamentale della Repubblica»23. Alcuni esponenti del fronte laicista considerarono invece l’accordo come una sconfitta, come il tramonto dell’ipotesi abrogazionista e il definitivo accantonamento dell’idea di impostare le relazioni fra Stato e Chiesa su basi separatistiche. Nel 1995 uno di essi, Alessandro Galante Garrone, avrebbe scritto: «Per una integrale difesa della libertà religiosa in Italia è impresa vana confidare in compromessi, accordi e mer-canteggiamenti vari. L’esperienza dell’ultimo decennio ci ammonisce che l’unica, seria, definitiva via d’uscita è di batterci per l’abolizione di ogni Concordato con la Chiesa cattolica»24. Per un pungente polemista anticlericale come Massimo Teodori, infine, il nuovo Concordato ha addirittura mantenuto «alcuni articoli illiberali che hanno costituito larghi varchi per modifiche peggiorative anche rispetto ai patti del 1929»25.

21. S. Lariccia, Battaglie di libertà. Democrazia e diritti civili in Italia (1943-2011), Roma, Carocci, 2011.22. Per una rilettura a più voci cfr. La grande riforma del Concordato, a cura di G. Acquaviva,

Venezia, Marsilio, 2006.23. F. Margiotta Broglio, Postfazione, in Il cammino della laicità, cit., p. 233.24. A. Galante Garrone, Un affare di coscienza. Per una libertà religiosa in Italia, Milano, Baldini

& Castoldi, 1995, pp. 178-179.25. M. Teodori, Vaticano rapace. Lo scandaloso finanziamento dell’Italia alla Chiesa, Venezia,

Marsilio, 2013, p. 35.

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3Secolarizzazione senza laicità

Certo è che con gli accordi del 1984 si chiuse una fase della storia italiana scandita dai successi dei movimenti collettivi per i diritti civili e se ne aprì un’altra, du-rante la quale le riforme di matrice laica hanno incontrato crescente difficoltà nel ritagliarsi uno spazio nell’agenda delle forze politiche. Mentre sotto il profilo dei comportamenti individuali gli italiani si sono progressivamente allontanati dalla pratica religiosa e si è enormemente allargato il numero di coloro che mostrano di non tenere in grande considerazione i precetti della dottrina cattolica, nella sfera pubblica le istanze laiche hanno cominciato a perdere colpi e sono rimaste prive di rappresentanza politica. Il sociologo Franco Garelli, uno degli osservatori più attenti dei cambiamenti avvenuti fra i cattolici italiani negli ultimi decenni, ha ben fotografato la situazione:

La maggioranza della popolazione non soltanto continua a identificarsi nel cattolicesimo, ma è convinta che si possa essere buoni cattolici anche senza condividere le indicazioni della gerarchia in vari campi, soprattutto nella morale sessuale e familiare. Ma ciò non im-pedisce a tale maggioranza di invitare la chiesa a tener fermi i propri principi, senza lasciarsi influenzare dalle opinioni prevalenti. Come a dire che c’è bisogno di grandi riferimenti e ideali, ma poi ognuno ne fa l’uso che crede a livello personale. Anche in questo modo si manifesta la “religione all’italiana”26.

Insomma, vizi privati e pubbliche virtù. Se la dialettica rimanesse tutta interna al mondo cattolico, questo modo disinvolto di concepire la propria fede religiosa non creerebbe problemi. Ma in un contesto come quello italiano, dove il Vatica-no e la Chiesa cattolica esercitano un’enorme influenza nell’arena politica e nella formazione di leggi che hanno validità erga omnes, ecco che l’invito a difendere strenuamente i principi cattolici sui grandi temi dell’etica pubblica (sovente disattesi nella sfera privata) ha avuto conseguenze di non poco conto. È quanto denunciò nel 2007 una voce cristallina del cattolicesimo democratico come Giuseppe Alberigo, deplorando l’«immeritata involuzione» subita dalla Chiesa italiana ad opera della Cei, responsabile di aver cancellato ogni distinzione tra «ciò che per i credenti è obbligo, non solo di coscienza ma anche canonico, e quanto deve essere regolato dallo stato laico per tutti i cittadini»27.

In un precedente volume apparso nel 1996 Garelli aveva efficacemente colto l’essenza del rapporto degli italiani con il sacro parlando di «forza della religione e debolezza della fede». Alludeva a un fenomeno che già allora era sotto gli occhi di tutti: mentre la fede faticava a proporsi come «un principio forte di ridefinizione

26. F. Garelli, Religione all’italiana. L’anima del paese messa a nudo, Bologna, il Mulino, 2011, p. 14.27. Cit. in A. Melloni, L’occasione perduta. Appunti sulla storia della Chiesa italiana, 1978-2009,

in Il Vangelo basta. Sulla fede e sullo stato della Chiesa italiana, a cura di A. Melloni e G. Ruggieri, Roma, Carocci, 2010, p. 105.

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dell’identità individuale e collettiva», la Chiesa cattolica godeva «di un prestigio e di una visibilità pubblica per vari aspetti sorprendenti»28.

La dissoluzione della Democrazia cristiana e con essa la fine dell’unità poli-tica dei cattolici l’aveva costretta a impegnarsi in prima persona nella difesa dei valori cristiani nella società29. Del resto, prima ancora che la crisi della Dc facesse presagire la scomparsa del partito, era questa la strada su cui l’avevano spinta il nuovo pontefice Giovanni Paolo II, eletto nel 197830, e monsignor Camillo Ruini, per oltre un ventennio ai vertici della Confererenza episcopale italiana, dapprima come segretario (1986-1991) e poi come presidente (1991-2007)31. Ricordando i suoi primi contatti con Wojtyla all’indomani della sua elezione, Ruini avrebbe testimo-niato come il papa polacco pensasse «che la secolarizzazione non fosse il destino inevitabile della modernità». E ritenesse anzi «che il suo punto culminante fosse ormai alle nostre spalle e che il grande compito della Chiesa oggi fosse l’evange-lizzazione intesa in senso forte e pieno, come capacità di portare Cristo al centro della vita e della cultura e quindi anche del divenire della storia»32.

L’avvento del pontificato di Giovanni Paolo II, in effetti, rappresentò un mo-mento di svolta nella storia del cattolicesimo italiano e secondo alcuni studiosi, come si è visto, avrebbe segnato l’inizio di una fase di desecolarizzazione, o almeno di attenuazione della spinta secolarizzatrice, che non si è ancora arrestata33. Pare opportuno ricordare che il 1984, l’anno della riforma del Concordato, fu anche

28. F. Garelli, Forza della religione e debolezza della fede, Bologna, il Mulino, 1996, p. 10. Del medesimo autore si veda anche Religione e modernità: il «caso italiano», in La religione degli europei. Fede, cultura religiosa e modernità in Francia, Italia, Spagna, Gran Bretagna, Germania e Ungheria, Torino, Fondazione G. Agnelli, 1992, pp. 11-99.

29. Cfr. A. Giovagnoli, Il partito italiano. La Democrazia Cristiana dal 1942 al 1994, Roma-Bari, Laterza, 1996. Per un’interessante analisi dell’intreccio fra processi di modernizzazione e voto catto-lico nell’Italia del secondo dopoguerra si vedano R. Cartocci, Secolarizzazione, voto cattolico e voto democristiano, in «Rassegna italiana di sociologia», XXX (1989), n. 1, pp. 69-102; P. Ignazi, E. Spencer Wellhofer, Votes and Votive Candles: Modernization, Secularization, Vatican II, and the Decline of Religious Voting in Italy: 1953-1992, in «Comparative Political Studies», XLVI (2013), n. 1, pp. 31-62.

30. Cfr. A. Riccardi, Governo carismatico. Venticinque anni di pontificato, Milano, Mondadori, 2003; D. Menozzi, Giovanni Paolo II. Una transizione incompiuta? Per una storicizzazione del pon-tificato, Brescia, Morcelliana, 2006; G. Miccoli, In difesa della fede. La Chiesa di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, Milano, Rizzoli, 2007; A. Scornajenghi, L’Italia di Giovanni Paolo II, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2012.

31. Cfr. V. Gigante, Camillo Ruini, il cardinale del ventennio. L’ascesa, la gestione del potere, la repressione del dissenso, in «Adista», XIL (2007), n. 34 (www.adistaonline.it); E. Galli della Loggia, C. Ruini, Confini. Dialogo sul cristianesimo e il mondo contemporaneo, Milano, Mondadori, 2009; E. Galavotti, Il ruinismo. Visione e prassi politica del presidente della Conferenza episcopale italiana, 1991-2007, in Cristiani d’Italia. Chiese, società, Stato, 1861-2011, a cura di A. Melloni, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2011, pp. 1219-1238.

32. C. Ruini, L’impatto di Giovanni Paolo II sull’Italia e sulla Chiesa italiana, in Shock Wojtyla. L’inizio del pontificato, a cura di M. Impagliazzo, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2010, pp. 449.

33. Oltre a R. Cartocci, Geografia dell’Italia cattolica, cit., pp. 15 ss., si veda M. Gervasoni, Storia d’Italia degli anni ottanta. Quando eravamo moderni, Venezia, Marsilio, 2010, in particolare il capitolo Fede e secolarizzazione, pp. 155-167. Cfr. inoltre S. Abbruzzese, Un moderno desiderio di Dio. Ragioni del credere in Italia, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2010.

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quello in cui si svolse a Rimini il primo meeting di Comunione e Liberazione, un evento destinato a riscuotere crescente attenzione mediatica e politica, emblema della riconquistata centralità delle organizzazioni cattoliche nella vita italiana. Il cardinale Ruini, unito a Karol Wojtyla da profonde affinità nelle vedute pastorali, dette un contributo decisivo al “ri-orientamento” della Chiesa italiana (fu lo stesso prelato reggiano a usare questa espressione), attestandola su posizioni avverse alle componenti cattolico-democratiche e alle forze politiche che ne erano espressione (nel 2008 Romano Prodi avrebbe assimilato i suoi rapporti con la Cei a quelli di un vero e proprio scontro «con un’opposizione politica»34), e collocandola su una linea di aperto sostegno ai gruppi più tradizionalisti e di collateralismo nei confronti della destra berlusconiana. Non per caso, in una dichiarazione resa in televisione il 6 giugno 2008, poche ore prima di una sua udienza con Benedetto XVI, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi affermò che il suo governo non poteva che «compiacere il pontefice e la sua Chiesa»35.

Il progetto ruiniano fece perno sull’intransigente difesa di alcuni valori che per la Chiesa cattolica rappresentavano un presidio etico fondamentale e irrinunciabile. Tanto più in un momento in cui venivano messi in seria discussione gli equilibri sui quali si era retta per secoli la morale sessuale e familiare, e si dovevano fron-teggiare le sfide poste dalla crescita del pluralismo delle confessioni religiose e dagli avanzamenti scientifici e tecnologici, specie nell’ambito medico e biologico36. Un importante sostegno venne a Ruini dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, retta da quel Joseph Ratzinger, che, una volta divenuto papa Benedetto XVI, avrebbe individuato in alcuni “principi non negoziabili” l’asse intorno a cui doveva ruotare l’impegno dei cattolici in politica:

protezione della vita in tutte le sue fasi, dal primo momento del suo concepimento fino alla morte naturale;riconoscimento e promozione della struttura naturale della famiglia, come unione tra un uomo e una donna fondata sul matrimonio, e la sua difesa di fronte ai tentativi di far sì che sia giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione […];la protezione del diritto dei genitori ad educare i loro figli37.

Sono questi alcuni dei temi principali su cui si sono scontrati laici e cattolici nell’Italia dell’ultimo decennio, con i secondi, sembra di poter dire, che hanno nettamente prevalso sui primi. La cultura laica ha cercato di far sentire la sua voce sul finanziamento pubblico alla scuola privata, sul testamento biologico, sul riconoscimento legale delle coppie di fatto e delle coppie omosessuali, sull’utilizzo

34. M. Marozzi, Prodi: «I leader della Cei sempre contro di me», in «la Repubblica», 7 giugno 2008. Traggo la citazione da E. Galavotti, Il ruinismo, cit., p. 1232.

35. Cit. in E. Galavotti, Il ruinismo, cit., p. 1234.36. Cfr. I. Turina, Chiesa e biopolitica. Il discorso cattolico su famiglia, sessualità e vita umana da

Pio XI a Benedetto XVI, Milano, Mimesis, 2013.37. Benedetto XVI espone i principi non negoziabili per la Chiesa nella vita pubblica ricevendo i par-

tecipanti al Convegno promosso dal Partito Popolare Europeo, 30 marzo 2006 (www.culturacattolica.it).

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delle cellule staminali per la ricerca scientifica, sulla fecondazione assistita, sulla rimozione dei simboli religiosi dagli edifici pubblici, sulla legalizzazione della cosiddetta “pillola del giorno dopo”. Ma è risultata largamente soccombente sia nella mobilitazione dell’opinione pubblica, sia – e soprattutto – come capacità di condizionamento delle forze politiche. Nella galassia berlusconiana, da Forza Italia al Popolo delle libertà, l’eredità della tradizione del liberalismo laico è quasi completamente scomparsa38. Le componenti politico-intellettuali di riferimento si riconoscono addirittura su posizioni “teocon”: si pensi all’“ateo devoto” Giuliano Ferrara e al «Foglio», in prima linea nelle battaglie contro l’aborto e contro il testamento biologico, o alla Fondazione Magna Charta, il think tank di Gaetano Quagliariello, o ancora a Comunione e liberazione e a Roberto Formigoni, leader del Movimento popolare, l’articolazione interna di Cl più direttamente impegnata in politica39. La Lega Nord fin dalle sue origini ha trovato nel tradizionalismo cattolico uno dei principali elementi identitari40. Quanto al Partito democratico, erede in parte della subcultura comunista e in parte di quella democristiana, pro-prio sulle questioni dell’etica laica ha una delle sue faglie interne più profonde. Su questi temi è perciò costantemente portato a cercare soluzioni di compromesso per evitare tensioni e fratture che potrebbero preludere a vere e proprie scissioni.

Per Sergio Luzzatto l’ateismo devoto, ossia la «tutela a oltranza della Chiesa per ragioni di realismo politico, senza intima adesione alla fede cattolica», è un dato strutturale nella storia dell’Italia moderna, verrebbe da dire quasi un suo carattere originario:

Se ne potrebbero ricostruire (come in un libro di analisi matematica) il dominio e il codomi-nio, le variabili dipendenti o indipendenti, su una linea del tempo lunga centocinquant’anni, dalla stagione dell’Unità al nostro presente. Si ritroverebbero le medesime costanti. Da una parte, il papa, il Vaticano, la Chiesa come istituzione. Dall’altra parte, un numero grande o piccolo di uomini senza Dio che cercano un rapporto di dipendenza funzionale con il papa e con il Vaticano, persuasi che l’Italia si governi solo così: facendosi strumenti tanto fedeli quanto informali dell’augusto inquilino d’Oltretevere41.

Luzzatto ha analizzato il dibattito suscitato in Italia negli anni recenti da alcune iniziative che contestavano la presenza del crocifisso nei luoghi pubblici, sulla

38. Fra quanti auspicarono che dalle rovine di Tangentopoli potesse nascere una forza liberale che rompesse con la tradizione del liberalismo ottocentesco di matrice laica e trovasse il suo ubi consistam nell’incontro con la morale cattolica vi fu Ernesto Galli della Loggia, del quale si veda Liberali, che non hanno saputo dirsi cristiani, in «il Mulino», XLII (1993), n. 349, pp. 855-866.

39. Cfr. G. Quagliariello, Cattolici, pacifisti, teocon. Chiesa e politica in Italia dopo la caduta del Muro, Milano, Mondadori, 2006. Ma si vedano anche, tra i collaboratori del «Foglio», le pagine provocatorie e brillanti di Camillo Langone, Manifesto della destra divina. Difendi, conserva, prega!, Firenze, Vallecchi, 2009. Su Comunione e Liberazione cfr. S. Abruzzese, Comunione e Liberazione. Identità religiosa e disincanto laico, Roma-Bari, Laterza, 1991 e Id., Comunione e liberazione, Bologna, il Mulino, 2001.

40. Cfr. R. Cartocci, Fra Lega e Chiesa. L’Italia in cerca di integrazione, Bologna, il Mulino, 1994.41. S. Luzzatto, Il crocifisso di Stato, Torino, Einaudi, 2011, pp. 69-70.

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cui legittimità, peraltro, la Corte europea per i diritti dell’uomo di Strasburgo si è pronunciata in maniera definitiva con una sentenza del 18 marzo 2011. E non ha avuto difficoltà nel dimostrare il sostegno trasversale che è stato dato all’esposi-zione del simbolo religioso da quasi tutte le principali forze politiche di governo e d’opposizione42.

Più laceranti sono state le divisioni aperte nell’opinione pubblica e tra i partiti dai casi di Piergiorgio Welby e di Eluana Englaro, che hanno posto drammatica-mente sul tappeto la questione dell’eutanasia, della fine della vita, del testamento biologico. Sia Welby, affetto da una gravissima forma di distrofia muscolare progressiva e da anni immobilizzato in un letto, sia la giovane Englaro, ridotta in stato vegetativo in conseguenza di un incidente stradale, ottennero infine di poter interrompere la loro sofferta esistenza. Il primo, nel dicembre 2006, a conclusione di una lunga battaglia condotta insieme al Partito radicale e altre associazioni af-finché fosse accolta la sua volontà di porre fine a quello che egli stesso considerava una forma non più sopportabile di “accanimento terapeutico”43; la seconda, nel febbraio 2009, per iniziativa dei familiari, i quali, rivoltisi alla magistratura, avevano ottenuto di poter sospendere l’alimentazione artificiale e le terapie con cui essa era tenuta in vita44.

Il Vaticano e le istituzioni ecclesiastiche, sostenuti senza tentennamenti da tutte le forze dello schieramento politico di centrodestra, si opposero nella maniera più netta alle richieste d’interruzione delle terapie mediche, giudicandole una forma intollerabile di suicidio e/o di eutanasia. Nel caso di Welby il cardinale Ruini, nella sua qualità di vicario di Roma, avrebbe assunto in prima persona la decisione di negare le esequie religiose richieste dalla vedova, cattolica praticante, giudicando l’atto un vero e proprio “suicidio”45.

Ma la vicenda forse più paradigmatica del conflitto fra laici e cattolici che ha segnato gli anni recenti è stata quella relativa alla fecondazione assistita, anche perché ha prefigurato il ruolo di supplenza svolto dal potere giudiziario e dalla Corte Costituzionale rispetto a un quadro politico rivelatosi incapace di produrre leggi non soltanto in sintonia con il progredire della scienza e della civiltà, ma addirittura in contrasto con i diritti sanciti dalla Costituzione del 1948.

La legge 40, Norme in materia di procreazione medicalmente assistita, fu appro-vata nel febbraio 2004 da uno schieramento politico trasversale che comprendeva i partiti del governo Berlusconi (con pochissime defezioni a livello individuale o da

42. Per un approccio antropologico cfr. C. Gallini, Croce e delizia. Usi, abusi e disusi di un simbolo, Torino, Bollati Boringhieri, 2007. Per uno sguardo giuridico di taglio comparativo cfr. S. Mancini, Il potere dei simboli, i simboli del potere. Laicità e religione alla prova del pluralismo, Padova, Cedam, 2008.

43. Cfr. P. Welby, Lasciatemi morire, Milano, Rizzoli, 2006.44. Cfr. M. Mori, Il caso Eluana Englaro, Bologna, Pendragon, 2008 e B. Englaro, La vita senza

limiti. La morte di Eluana in uno Stato di diritto, Milano, Rizzoli, 2009. Sui nuovi profili giuridici aperti da questi casi cfr. L. Risicato, Dal «diritto di vivere» al «diritto di morire». Riflessioni sul ruolo della laicità nell’esperienza penalistica, Torino, Giappichelli, 2008.

45. Cfr. M. Politi, La Chiesa del no. Indagine sugli italiani e la libertà di coscienza, Milano, Mon-dadori, 2009.

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parte di formazioni minori) e una quota significativa del partito della Margherita, di ispirazione cattolica, che si trovava all’opposizione. Negli auspici della maggioranza la legge doveva metter fine a quello che la presidente della Camera Irene Pivetti, esponente della Lega Nord, aveva chiamato “il Far West della provetta”, ossia la diffusione di sperimentazioni e di pratiche che agli occhi di alcuni sembravano eversive della morale sessuale e familiare tradizionali. Altri addirittura paventarono il rischio di una pericolosa deriva verso forme di eugenetica. Le pressioni delle gerarchie ecclesiastiche e del movimento cattolico nel suo insieme fecero sì che quella licenziata dal parlamento italiano fosse «una disciplina restrittiva che non aveva allora, e non ha oggi, paragoni nell’Europa comunitaria»46. Essa si regge su due assunti ideologici di principio:

In primo luogo, il primato dell’embrione quale soggetto e interesse centrale, quasi unico, del dispositivo di legge, rispetto alla coppia dei genitori, ma soprattutto rispetto alla donna. In secondo luogo, l’assunzione di una idea di famiglia legittima delineata in termini esclusivi sulla coppia eterosessuale, stabile e, auspicabilmente, sposata e su un fondamento biologico dei legami parentali come fonte esclusiva della loro legittimazione47.

In particolare la legge proibiva esplicitamente la fecondazione con donatore esterno alla coppia, la produzione di più di tre embrioni, la crioconservazione e l’analisi preimpianto degli embrioni stessi. Con quali conseguenze? Anzitutto la legge non è riuscita ad arrestare il fenomeno del cosiddetto “turismo procreativo”. Ogni anno circa tremila coppie si muovono verso l’estero per trovare servizi di procreazione medicalmente assistita che in Italia sono considerati illegali48. Nel 2005, promosso dal Partito radicale, si svolse un referendum per abrogare o modificare alcuni arti-coli della legge che fallì nettamente per il mancato raggiungimento del quorum dei votanti (essi furono poco meno di 13 milioni, pari ad appena il 25,9% degli elettori). La Conferenza episcopale italiana intervenne in prima persona per scongiurare l’approvazione dei quesiti referendari: invitò gli italiani a disertare il voto e mobilitò in maniera capillare l’associazionismo cattolico, che si raccolse sotto le insegne del Comitato Scienza e Vita49. L’ultima considerazione riguarda il fatto che dal 2004 a oggi l’applicazione della legge ha dato luogo a infiniti contenziosi di natura giuridico-legale e numerosi tribunali sono stati costretti a intervenire per eliminare o attenuare alcuni divieti da essa previsti, giudicati lesivi dei diritti garantiti dalla Costituzione repubblicana (in specie con riferimento alla diagnosi preimpianto e alla tutela della salute della donna). In più occasioni è intervenuta anche la Corte

46. E. Betta, L’altra genesi. Storia della fecondazione artificiale, Roma, Carocci, 2012, p. 210. Cfr. anche C. Valentini, La fecondazione proibita, Milano, Feltrinelli, 2006.

47. E. Betta, L’altra genesi, cit., p. 210.48. Ibid., p. 212.49. Cfr. L. Diotallevi, Meno siamo, meglio stiamo? Il referendum sulla fecondazione assistita e il

peso del fattore religioso, in «Polis», XXI (2007), n. 3, pp. 489-515.

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Costituzionale, che ha definito illegittime alcune parti della legge contribuendo nei fatti a modificarne in maniera sostanziale il rigido assetto iniziale50.

4Una “laicità all’italiana”?

Mentre il mondo cattolico riempiva le piazze per opporsi a qualunque innovazione legislativa che andasse anche soltanto a scalfire quei “principi non negoziabili” di cui si è parlato poco fa (memorabile fu la mobilitazione del cosiddetto “Family Day” del 12 maggio 2007 contro la proposta di legge del governo di centro-sinistra sul riconoscimento delle unioni di fatto, etero e omosessuali), e mentre le istanze laiche rivelavano sempre minore capacità di presa sull’opinione pubblica, sulle forze politiche, sul milieu intellettuale (si pensi alla sproporzione nel numero dei partecipanti alla giornata del “Coraggio laico”, promossa quello stesso 12 mag-gio 2007 in Piazza Navona da Radicali, Verdi e Sinistra democratica), la Corte Costituzionale assurgeva dunque a baluardo della laicità dello Stato e dei diritti fondamentali sanciti nella Carta del 1948.

Era un ruolo, con riferimento alla stagione più recente dell’Italia repubblicana, che la Corte si era ritagliato a partire almeno dalla famosa sentenza n. 203 del 1989, nella quale si sanciva il «principio supremo della laicità dello Stato» qualificandolo come «uno dei profili della forma di Stato delineata nella Carta costituzionale della Repubblica». Un principio, recitava la sentenza, che «implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni, ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione in regime di pluralismo confessionale e culturale». Negli anni seguenti la Corte ha rimarcato in molte sentenze il profilo dello Stato pluralista in materia religiosa. Per esempio, nella sentenza 334 del 1996 ha ribadito che la separazione degli «ordini distinti» propri dello Stato e della Chiesa cattolica, dichiarati «indipendenti e sovrani», «caratterizza nell’essenziale il principio […] di laicità o non confessionalità dello Stato». Da cui consegue che «la religione e gli obblighi morali che ne derivano non possono essere imposti come mezzo al fine dello Stato». In particolare la Corte, definendo «inaccettabile ogni tipo di discriminazione che si basasse soltanto sul maggiore o minor numero degli appar-tenenti alle varie confessioni religiose» (sentenza 925/1988) e assicurando «l’eguale garanzia di libertà e il riconoscimento delle complessive esigenze di ciascuna di tali confessioni» (sentenza 235/1997), ha contribuito a creare i presupposti perché tra il 1984 e il 2004 fossero concluse o avviate varie intese con Chiese e confessioni diverse dalla cattolica.

Secondo Margiotta Broglio, proprio «le valvole di sicurezza predisposte dalla Costituzione italiana e dal sistema di dialogo formalizzato (concordato e intese) con

50. Cfr. M. Sesta, La procreazione medicalmente assistita tra legge, corte costituzionale, giurisprudenza di merito e prassi medica, in Cinque anni di applicazione della legge sulla procreazione medicalmente assistita: problemi e responsabilità, a cura di M. Dossetti, M. Lupo e M. Moretti, Milano, Giuffrè, 2010, pp. 17-37.

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le religioni, potrebbero consentire alla “laicità all’italiana” di sostenere meglio di altri sistemi giuridici europei l’assedio dei fondamentalismi»51. Ciò è probabilmente vero con riferimento alle sfide che i nuovi radicalismi religiosi stanno ponendo ai sistemi di laicità in varie regioni dell’Europa e del mondo, laddove essi rivendicano spazi pubblici e istituzionali, negando l’autonomia dello Stato e il presupposto liberale del pluralismo52.

Resta il problema del “bilanciamento dei poteri”, per così dire, fra istanze laiche e religiose in paesi come l’Italia, dove una confessione, quella cattolica, sebbene in un contesto sociale sempre più secolarizzato, continua a esercitare un ruolo largamente egemone. E ciò in un periodo nel quale, mentre i recenti flussi migratori hanno alimentato la proliferazione di un infinito numero di nuove realtà religiose (l’Enciclopedia delle religioni del Cesnur, appena pubblicata, censisce l’esistenza di 836 denominazioni e l’appartenenza a religioni di minoranza del 7,6 per cento dei presenti sul territorio, con quasi 5 milioni di non cattolici53), le forme associative e le strutture di rappresentanza politica della laicità si rivelano non più capaci come un tempo di far sentire la loro voce. Un segnale positivo in tal senso viene dalla sentenza depositata il 28 giugno 2013 dalle sezioni unite civili della Corte di Cassazione, che ha ritenuto fondato il ricorso presentato dall’Unione atei e agnostici razionalisti (Uaar) contro la decisione della Presidenza del Consi-glio di non aprire trattative con essa ai fini della stipulazione di “un’intesa” come quelle previste dalla Costituzione (art. 8) per regolare i rapporti delle confessioni religiose con lo Stato. In sostanza, la Cassazione ha respinto il ricorso con il quale Palazzo Chigi voleva riservare al suo “insindacabile atto politico”, sottraendolo al controllo giurisdizionale, la decisione di escludere “l’ateismo organizzato” dal diritto alle intese con lo Stato. In prospettiva, se il percorso si concludesse con un accordo simile a quello raggiunto con la Chiesa valdese o con l’Unione delle Comunità ebraiche, la professione dell’ateismo potrebbe essere regolata in modo analogo a quello di una credenza religiosa e ottenere quei riconoscimenti e quei diritti che essa ha, per esempio, nei Paesi Bassi, in Belgio e in alcuni länder della Repubblica federale tedesca54.

Può darsi che questa possa essere la strada maestra per la realizzazione di una “laicità all’italiana”. L’impressione però è che molto cammino resti da compiere e che una diffusa e consapevole moralità laica, innervata da un aumento della

51. F. Margiotta Broglio, Postfazione, cit., p. 243.52. Cfr. P. Norris, R. Inglehart, Sacro e secolare, cit.; e J. Bauberot, M. Milot, Laïcité sans frontières,

Paris, Seuil, 2011.53. Cfr. Centro studi sulle nuove religioni, Enciclopedia delle religioni in Italia, a cura di M. Intro-

vigne e P.L. zoccatelli, Torino, Elledici, 2013. Cfr. inoltre Le religioni nell’Italia che cambia. Mappe e bussole, a cura di E. Pace, Roma, Carocci, 2013.

54. Il testo integrale della sentenza si può trovare on line sul sito dell’Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose (www.olir.it). Per un primo commento cfr. F. Margiotta Broglio, Anche gli atei diventano una Chiesa. Stessi diritti delle altre confessioni?, in «Corriere della sera», 29 giugno 2013. All’ateismo (Ateo è bello! Almanacco di libero pensiero) è dedicato l’intero fascicolo 5/2013 della rivista «MicroMega».

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tolleranza e da un’autentica apertura pluralista a tutte le fedi e culture, non potrà reggersi unicamente su impalcature giuridiche, sulla pur valida e imprescindibile opera di tutela svolta dalle supreme magistrature dello Stato. Essa potrà riconqui-stare lo spazio che ha occupato in alcune stagioni della storia italiana postunitaria (l’età liberale, gli assi sessanta e settanta del secolo scorso) soltanto se saprà resti-tuire efficacia e visibilità a quei principi autenticamente liberali della tradizione illuministica, che possono rappresentare l’alveo politico, culturale e istituzionale in cui accogliere tutte le “diversità” della società contemporanea55. Soltanto se la laicità senza aggettivi (“nuova”, “sana”56) tornerà a essere un valore positivo e se la distinzione tra sfera privata e sfera pubblica, fra i diritti dell’individuo e le ragioni della collettività, tornerà a essere percepita come una garanzia di libertà, come un confine da non valicare, senza prevaricazioni e volontà egemoniche da parte di nessuno.

55. Offre alcune suggestioni in tal senso C. Mancina, La laicità al tempo della bioetica, Bologna, il Mulino, 2009.

56. Della necessità di promuovere una “sana laicità”, basata sul rigetto delle teorie separatistiche e sul riconoscimento della religione come “presenza comunitaria pubblica”, parlò Benedetto XVI nel suo discorso ai partecipanti al 56° Convegno nazionale promosso dall’Unione giuristi cattolici italiani del 9 dicembre 2006 (http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2006/december/documents/hf_ben_xvi_spe_20061209_giuristi-cattolici_it.html). Sull’idea di una “nuova laicità” si veda il libro dell’allora patriarca di Venezia Angelo Scola, Una nuova laicità. Temi per una società plurale, Venezia, Marsilio, 2007.