la policromia dell’ara pacis e i colori del campo marzio settentrionale

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Colore e Colorimetria Contributi Multidisciplinari Vol. VII A A cura di Maurizio Rossi Collana Quaderni di Ottica e Fotonica n. 20 www.gruppodelcolore.it Associate Member AIC Association Internationale de la Couleur Società Italiana di Ottica e Fotonica Italian Branch of the European Optical Society

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Colore e Colorimetria Contributi Multidisciplinari

Vol. VII A

A cura di Maurizio Rossi

Collana Quaderni di Ottica e Fotonica n. 20

www.gruppodelcolore.it

Associate Member AIC Association Internationale de la Couleur

Società Italiana

di Ottica e Fotonica Italian Branch of the European Optical Society

Colore e Colorimetria. Contributi Multidisciplinari. Vol. VII A A cura di Maurizio Rossi – Dip. Indaco – Politecnico di Milano Gruppo del Colore – SIOF - www.gruppodelcolore.it, [email protected] Impaginazione Maurizio Rossi ISBN 88-387-6042-x EAN 978-88-387-6042-6 © Copyright 2011 by Maggioli S.p.A. Maggioli Editore è un marchio di Maggioli S.p.A. Azienda con sistema qualità certificato ISO 9001: 2000 47822 Santarcangelo di Romagna (RN) • Via del Carpino, 8 Tel. 0541/628111 • Fax 0541/622020 www.maggioli.it/servizioclienti e-mail: [email protected] Diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo sono riservati per tutti i Paesi. Finito di stampare nel mese di luglio 2011 Da Digital Print Service srl via Torricelli, 9 20090 Segrate (MI)

Colore e Colorimetria. Contributi Multidisciplinari Vol. VII A Atti della Settima Conferenza Nazionale del Colore. Gruppo del Colore – SIOF - www.gruppodelcolore.it Sapienza Università di Roma Facoltà di Ingegneria, Roma, 15-16 settembre 2011 Comitato organizzatore Fabio Bisegna – Sapienza Università di Roma Franco Gugliermetti – Sapienza Università di Roma Maurizio Rossi - Politecnico di Milano Comitato scientifico Tiziano Agostini | Università degli Studi di Trieste Salvatore Asselta | Flint Group Italia SpA Giovanni Baule | Politecnico di Milano Giulio Bertagna | Osservatorio Colore Fabio Bisegna | Sapienza Università di Roma Monica Bordegoni | Politecnico di Milano Mauro Boscarol | Colore digitale blog Aldo Bottoli | Osservatorio Colore Leonardo Ciaccheri | CNR-IFAC Osvaldo Da Pos | Università degli Studi di Padova Maria Luisa De Giorgi | Università del Salento Andrea Della Patria | INO-CNR Mario Docci | Sapienza Università di Roma Patrizia Falzone | Università degli Studi di Genova Marta Fibiani | CRA-IAA Simonetta Fumagalli | ENEA Davide Gadia | Università degli Studi di Milano Marco Gaiani | Università di Bologna Marisa Galbiati | Politecnico di Milano Alessandra Galmonte | Università degli Studi di Verona Anna M. Gueli | Università degli Studi di Catania Franco Gugliermetti |Sapienza Università di Roma

Filippo Lambertucci | Sapienza Università di Roma Nicola Ludwig | Università degli Studi di Milano Lia Luzzatto | Color and colors Mario Marchetti | Sapienza Università di Roma Fulvio Mattivi | Fondazione Edmund Mach - IASMA Paolo Mensatti | CRA-ING Claudio Oleari | Università degli Studi di Parma Sergio Omarini | INO-CNR Antonio Paris | Sapienza Università di Roma Ferruccio Petrucci | UniFE/INFN FE Marcello Picollo | IFAC-CNR Angela Piegari | ENEA Renata Pompas | AFOL Milano-Moda Fernanda Prestileo | ICCROM Roma Alessandro Rizzi | Università degli Studi di Milano Maurizio Rossi | Politecnico di Milano Paolo Salonia | ITABC-CNR Raimondo Schettini | Università Milano Bicocca Daniela Sgrulletta | CRA-QCE Alberto Seassaro | Politecnico di Milano Stefano Tubaro | Politecnico di Milano

Segreteria Organizzativa Laura Monti – Sapienza Università di Roma Andrea Siniscalco – Gruppo del Colore

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La policromia dell’Ara Pacis e i colori del Campo Marzio settentrionale

Simone Foresta

Dip. Discipline Storiche “Ettore Lepore”, Università degli Studi “Federico II”, Napoli, [email protected]

1. Il colore dell’Ara Pacis: introduzione L’Ara Pacis Augustae, votata dal Senato il 4 luglio del 13 a.C. per celebrare il ritorno dell’imperatore Augusto dalle campagne militari in Spagna e Gallia e dedicata il 30 gennaio del 9 a.C., appare oggi completamente bianca. I frammenti dell’altare, in marmo lunense, furono portati alla luce a partire dal ‘500, privi apparentemente dell’originaria policromia; la ricomposizione avvenuta nel 1938, in occasione delle celebrazioni per il Bimillenario della nascita di Augusto, ha contribuito a consolidarne un’immagine acroma; il contesto museale in cui esso è inserito esalta questa visione. L’altare, edificato nel settore settentrionale del Campo Marzio, è ritenuto una delle rappresentazioni più compiute dell’arte augustea. Il riconoscimento nel programma iconografico dei valori e delle aspirazioni di un’epoca e di un’intera società ne ha determinato la fama e l’alto valore di testimonianza storica ed artistica [1]. Il monumento così come appare nella moderna ricostruzione non è però quello che Augusto ha potuto vedere. Completamente spariti alla vista degli osservatori moderni sono, infatti, i pigmenti applicati sulla superficie marmorea. Pur essendo stata riconosciuta la policromia dei marmi tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 e provata scientificamente con le analisi condotte nel 1937 dal “Laboratorio di ricerche scientifiche” della Scuola Nazionale del Restauro [2], il colore non ha avuto un ruolo nell’interpretazione storico-artistica dell’Ara Pacis. E’ solo nel 2008 che i Laboratori Scientifici dei Musei Vaticani e il Laboratorio per la Conservazione e il Restauro “M. Cordaro” dell’Università degli Studi della Tuscia hanno condotto sia analisi minero-petrografiche sia indagini mediante fluorescenza ultravioletta su alcuni frammenti scavati nel 1937/38. E’stato possibile riconoscere pigmenti rossi sul fregio a palmette del recinto interno e sulla voluta destra della mensa dell’altare centrale; tracce di pigmento verde-azzurro su una calzatura del fregio figurato e verde su due frammenti appartenenti al fregio vegetale. Più in generale l’illuminazione ultravioletta ha permesso di individuare la presenza di sostanze organiche proteiche (come caseina, albumina o colla animale) funzionali alla successiva stesura del colore [3]. In origine, l’alto podio e la gradinata di accesso all’altare dovevano presentarsi del colore originario del marmo lunense, privi di colorazione aggiunta, mentre diversi pigmenti dovevano completare gli elementi decorativi del recinto. Il vasto fregio vegetale esterno ed i festoni interni dovevano presentare i colori dei singoli elementi vegetali, mentre i personaggi che componevano la processione – Augusto, i lictores, i flamines, gli augures, i quindecemviri, septemviri, i camilli, Agrippa e la famiglia imperiale – indossavano abiti e calzature riccamente caratterizzati dal punto di vista cromatico, per indicare ruoli e ranghi. Ugualmente i pannelli delle fronti con le raffigurazioni di Enea sacrificante e del Lupercale da un lato, delle personificazioni

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di Roma e della Tellus dall’altro presentavano una vasta policromia. Non solo le rappresentazioni di oggetti metallici – patere, brocche, acerrae - ma probabilmente anche ampie porzioni dell’altare interno e dell’epistilio dovevano essere ricoperte d’oro.

2. Ara Pacis: iconografia e colore L’analisi delle fonti letterarie, unita ai risultati delle indagini archeologiche e al confronto con opere scultoree e pittoriche coeve, ha permesso di formulare le prime ipotesi ricostruttive sull’originaria policromia e può consentire una prima valutazione del valore del colore non solo nell’ambito ristretto della decorazione dell’altare, ma nel complesso sistema di riferimenti topografici esistenti nell’area. Solo in rapporto ai colori degli altri monumenti del Campo Marzio settentrionale e a quelli del paesaggio naturale che li circondava, la policromia dell’Ara Pacis acquistava, infatti, un valore coerente e programmatico capace di veicolare in modo ampio e diffuso messaggi religiosi e politici. Innanzitutto il vasto programma iconografico doveva sublimare fatti storici contingenti, trasferendoli da un piano terreno ad uno divino; il colore era uno strumento indispensabile per evocare rapporti e corrispondenze tra le parti. Dal 16 a.C. al 13. a.C. l’imperatore si allontanò da Roma essendosi rivelato necessario, dopo la clades lolliana, un intervento militare dello stesso Augusto in Gallia, Germania e Spagna. Il timore di una repressione cruenta della rivolta determinò la resa e il ritiro delle tribù in rivolta. Vari inquietanti prodigia accompagnarono la partenza: “un lupo percorse la via Sacra e uccise degli uomini dopo aver fatto irruzione nel Foro, nelle cui vicinanze delle formiche si raggrupparono tra di loro sotto gli occhi di tutti; infine, una fiaccola celeste per tutta la notte occupò il cielo tra il sud e il nord”(Cass. Dio LIV,19,7). L’assenza dell’imperatore fu vissuta come un lutto, un’assenza dolorosa per la Città; il suo ritorno come un’epifania da propiziare con preghiere, un’apparizione segno di rinascita. Così fu invocato da Orazio il rientro dell’imperatore durante quegli anni: “Nato per grazia divina, tu che sollecito/ proteggi i Romani, da troppo tempo manchi:/ all’assemblea sacra dei padri hai promesso/ un rapido ritorno: torna/ e rendi il faro della tua guida alla patria./ Se il tuo volto al popolo come primavera/ risplende, le giornate scorrono più liete/ e più puro rifulge il sole”(Carm. IV,5). Si è ritenuto che la processione ai lati della porzione superiore del recinto esterno possa raffigurare o il momento del reditus di Augusto o il momento dell’inauguratio dell’Ara. Più probabilmente nei marmi è rappresentata la fase preliminare della supplicatio, il ringraziamento rivolto agli dei per il ritorno dell’imperatore. Sono comunque le cerimonie legate alla nuova presenza in città del princeps e agli effetti che essa produce ad essere rappresentate e commemorate in ogni parte del monumento in una prospettiva metastorica [4]. Le rappresentazioni del passato mitico di Roma e del presente sicuro sui pannelli delle fronti e le figure in processione dovevano comunicare all’osservatore la stretta connessione tra la presenza viva dell’imperatore e la pax Augusta, destino finale di tutta l’umanità. I temi mitologici, storici e allegorici fornivano agli osservatori antichi una serie infinita di relazioni e nessi costruiti attraverso le analogie dei gesti, le affinità e i contrasti compositivi, iconografici e cromatici [5]. Ampio valore semantico aveva il

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fregio vegetale; le 50 specie vegetali, nascenti tutte da cespi d’acanto, recuperavano coerenza e unità sottomettendosi ad una rigida sintassi decorativa [6]. “…le diverse tonalità del verde, le sfumature rosate dei fiori dell’acanto, il bianco del loto, il rosso delle bacche e delle rosacee, i viola degli iris, forse un blu “cosmico”, o in alternativa l’oro, usato come sfondo” (O. Rossini) erano espressione della natura paradisiaca che si annunciava nel Campo Marzio, divenendo senza soluzione di continuità parte del paesaggio. La natura ed in particolare l’acanto rappresentati sull’Ara Pacis traevano puntuale ispirazione da monumenti funerari d’età classica ed ellenistica e trovarono dopo l’esaltazione nell’Ara Pacis vasta riproposizione su monumenti pubblici e privati [7]. E’ in quest’ultime espressioni scultoree e pittoriche che ritroviamo la più precisa assimilazione non solo della sintassi decorativa, ma anche del significato allegorico del fregio vegetale. Le testimonianze più rilevanti, databili tra l’età augustea e tiberiana, sono una lastra di marmo bianco con girali d’acanto murata nella chiesa di San Pietro in Montorio a Roma, pertinente molto probabilmente ad un edificio funerario, e in due rilievi, conservati uno nel Museo Comunale di Montefalco, l’altro nella chiesa di S. Costanzo a Perugia, pertinenti presumibilmente ad altari votivi [8]. Anch’essi in origine dovevano essere completati dalla policromia. Trasposizione pittorica di tale concezione si ritrova invece nella decorazione della parete est della camera funeraria di uno dei mausolei portati alla luce ai margini dell’antica città di Cuma. La pittura, databile tra la fine dell’età augustea e l’inizio del regno di Tiberio, riproduce girali terminanti in infiorescenze nascenti da un florido cespo d’acanto; tutto ravvivato dalla presenza di uccelli. Il colore dominante è il verde a cui si aggiunge il giallo e il rosa per rappresentare gli elementi terminali; lo sfondo era bianco [9]. Le diverse destinazioni del tema iconografico trovano ragione proprio nel comune rimando alla rinascita e alla sopravvivenza dopo la morte. Tale messaggio è chiaramente espresso nella decorazione figurata del calathus d’argento con apoteosi di Omero, ritrovato a Pompei e databile anch’esso all’età augusteo-tiberiana. Qui il poeta divinizzato è portato in cielo da un’aquila, accompagnato dalle personificazioni dell’Iliade e dell’Odissea tra cigni, tralci d’acanto e festoni [10]. Nonostante le differenze con i rilievi marmorei e le rappresentazioni pittoriche, ispirati direttamente dai modelli ufficiali, il rapporto tra fregio vegetale e processione riproposto nella tomba di Patron rappresenta uno straordinario esempio di messaggio iconografico fondato sul contrasto e l’opposizione, utile a comprendere i meccanismi antichi che consentivano la lettura delle immagini [11]. La tomba, nota da riproduzioni grafiche, presentava le pareti decorate su più registri. Sopra lo zoccolo dipinto con finte crustae marmoree, era affrescato su uno sfondo azzurro un giardino con alberi abitato da uccelli e insetti. Sul registro superiore i familiari del defunto - la moglie, la figlia maggiore ed altri fanciulli – e i servitori si muovono in processione. I nomi dei parenti ed un epigramma, tutti in greco, completavano la decorazione parietale. « Non rovi, non trifogli spinosi circondano la mia tomba/ né le svolazza intorno, ululando, il pipistrello;/ Ma alberi graziosi s'ergono da ogni parte intorno a me, al mio loculo,/ che tutto s'allieta di ramoscelli carichi di frutti (trad. S. Settis)». Il testo permette di non limitare la lettura delle immagini come esclusivo riferimento ai Campi Elisi, ma anche come espressione del desiderio di pace e conforto del defunto. La natura rigogliosa e solare che avvolge il

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monumento funerario e la presenza dei cari sono la ricompensa di una vita vissuta con dignità, manifestazione di uno status sociale esibito. Si stabilisce così un dialogo tra interno ed esterno, tra osservatori e figure rappresentate, tra memoria e presagio secondo lo stesso schema presente nel programma iconografico dell’Ara Pacis. Accessibile come gli altri monumenti dal Campo Marzio, collocata in un’area priva di ostacoli, visibile da ogni lato, l’osservatore antico poteva, infatti, comprendere messaggi e corrispondenze tra le varie parti dell’altare attraverso percorsi e letture, più o meno ravvicinati, condizionati dal contesto circostante. Il colore oltre ad essere guida alla lettura delle varie parti diventava strumento capace di legare in un unico sistema monumenti, paesaggio e messaggi politici. Poiché il verde dei prati, degli alberi sempreverdi e il corso del Tevere contribuivano a separare lo spazio del Campo Marzio dal paesaggio urbanizzato circostante, i contrasti risultavano evidenti e chiari. E’ in questo contesto, coerente non solo da un punto di vista topografico e ideologico ma anche cromatico, che sembra inserirsi il programma iconografico scolpito nel marmo. 3. Monumenti e colori del Campo Marzio settentrionale La porzione nord del Campo si estendeva su un’area di circa 200.000 metri quadrati: Augusto trasformò questo spazio, in precedenza libero, attraverso l’edificazione del Mausoleo, dell’Horologium, dell’Ara Pacis e dell’Ustrinum [12] [13]. La sistemazione dell’area è stata concordemente ritenuta un“esempio unico di un’organizzazione spaziale esclusivamente simbolica” (Torelli). Strabone (V,3,8) così descrisse l’area come appariva ai tempi di Augusto: “…l’ampiezza del piano è ammirevole e offre contemporaneamente, senza alcun impedimento, spazio per effettuare le corse dei carri e una serie di altre manifestazioni ippiche e insieme anche spazio per il gran numero di quelli che si esercitano con la palla, al cerchio e alla lotta. Inoltre le opere d’arte che stanno lì intorno, la terra che è coperta tutto l’anno d’erba, le corone di colli circostanti, che da sopra il fiume giungono fino alle sue rive presentando alla vista l’aspetto di una scenografia, rendono difficile distogliere lo sguardo altrove”. Dei vari edifici legati alla propaganda augustea, la tomba dell’imperatore fu presentata con particolare accuratezza dal geografo greco: “Perciò, avendo considerato questo luogo sacro più di ogni altro, hanno voluto disporvi anche i monumenti degli uomini e delle donne più illustri. Il più notevole è il cosiddetto Mausoleo, grande tumulo che sorge su un’alta base di marmo bianco presso il fiume, interamente ricoperto fino alla sommità di alberi sempreverdi. Sulla sommità c’è una statua in bronzo di Cesare Augusto, mentre sotto il tumulo ci sono le tombe di lui stesso e dei suoi parenti e amici intimi; dietro c’è un grande bosco sacro che offre meravigliose passeggiate”. La costruzione del Mausoleo, avvenuta a partire dal 29 a.C., si inserisce in una sequenza straordinaria di sepulcra publica costruiti in varie porzioni del Campo Marzio e destinati prima ai re, poi agli eroi defunti della Repubblica e ai membri della gens Iulia. Gli avanzi e le ricostruzioni grafiche permettono di valutare l’imponenza della tomba che presentava una pianta circolare, un alto basamento e vari ripiani sovrapposti in cui erano piantati di cipressi o bossi. Anche Svetonio conferma la presenza di boschetti e viali nell’area del mausoleo (Svet., Aug.100).

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Fig. 1 – Restituzione assonometrica dell’Ara Pacis policroma realizzata da S. Borghini e R. Carlani (Rossini 2010).

Fig. 2 – Il Campo Marzio settentrionale (Rossini 2006). Ai resti mortali dell’imperatore, conservati nella camera sepolcrale al centro della struttura, corrispondeva nella parte più alta la statua bronzea di Augusto,

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perpendicolare alla camera funeraria, proiettata verso il cielo ed emergente dalla vegetazione. Fu proprio il verde dei prati e degli alberi, e il bianco del marmo che rivestiva la porzione inferiore del mausoleo e con rapporto analogo anche l’Ustrinum destinato alla cremazione del princeps - “recinto di marmo bianco, costruito intorno al crematorium di Augusto, che ha una balaustra circolare in ferro, ma all’interno ci sono piantati dei pioppi” - a destare l’attenzione di Strabone. Inserito in questo contesto era anche l’Horologium - Solarium Augusti: la meridiana voluta dall’imperatore doveva impressionare con le sue dimensioni colossali. L’immensa platea di travertino bianco (160 m x 75 m), con le indicazioni in bronzo dorato delle ore, dei giorni, dei venti e delle costellazioni, e l’obelisco di granito rosso proveniente da Heliopolis, trasferito a Roma nel 10 a.C., dominavano il paesaggio legandosi con esso e con i monumenti circostanti.

Fig. 3 – Il campo Marzio settentrionale con i principali monumenti (rielaborazione grafica del plastico del Campo Marzio- Museo dell’Ara Pacis, Roma). 4. Contrasti cromatici e codici di lettura La natura eternamente florida e lussureggiante che viveva in simbiosi con i monumenti era la manifestazione del locus amoenus. Temi iconografici e costruzione dei luoghi divenivano rappresentazione concreta del topos letterario del giardino ideale, rappresentato emblematicamente da Virgilio:”…giunsero ai luoghi sereni e al verde ridente dei boschi fortunati e alle sedi dei beati. Qui un cielo più disteso riveste i campi di luce purpurea e quanti vi abitano conoscono un loro sole e proprie stelle“ (Virg., Aen. VI,638-641). Significative analogie sembrano individuarsi tra la descrizione del settore settentrionale del Campo Marzio e quella dei Campi Elisi presente nel VI libro dell’Eneide: la luce illumina i prati erbosi dove i beati allenano i corpi, gareggiano nei giochi, cantano e danzano. Qui i giovani eroi morti hanno abbandonato le armi e i cavalli; sui prati gli spiriti dei giusti e dei pii banchettano e cantano peana nei boschi di lauro, accanto al fiume Eridano; si muovono nei campi i condottieri che morirono in battaglia, i casti sacerdoti, i poeti e coloro che esaltarono la vita con l’arte e il genio, e gli uomini che lasciarono un ricordo di sé grazie alla loro bontà: “Nessuno di noi ha una stabile sede; ombre di boschi, morbidi letti di rivi fioriti e prati abitiamo di verde perenne” ”(Virg., Aen. VI,673-675). Le anime delle genti e dei popoli si muovono “come nei prati quando le api nell’estate serena si posan sui

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fiori iridati e si spargono in lungo ronzio intorno ai candidi gigli del campo”(Virg., Aen. VI,707-709). Sono i luoghi e i gesti immersi nei colori e avvolti dalla luce a determinare significati e a segnare associazioni. Assenti i colori tetri e cupi, tutto è dominato dalla luce e dal verde tanto nei Campi Elisi, quanto nel Campo Marzio. Mentre le figure che compongono i pannelli ai lati degli ingressi si muovono e convergono in uno spazio conchiuso e variamente caratterizzato dal punto di vista naturalistico, la teoria di figure ai lati del recinto si muove verso una stessa direzione secondo uno schema paratattico che eleva la rappresentazione fuori dal tempo e dallo spazio. A confermare tale visione eterna è la significativa presenza nel corteo di personaggi defunti, assenti nel 13 a.C. a Roma o impegnati in gesti di cordoglio e omaggio ai familiari scomparsi. I protagonisti della processione con i diversi colori delle vesti, dei calzari e degli strumenti per la celebrazione del rito erano collocati sopra il fregio vegetale; essi erano visibili da sud e nord disponendosi coerentemente all’interno del più ampio contesto monumentale e ambientale. Il contrasto tra la parte superiore e quella inferiore del recinto, evidente attraverso la caratterizzazione cromatica dei singoli elementi, permetteva di osservare le varie figure lievitare sulla natura florida. Come tutto il programma iconografico, anche l’apparizione delle figure disposte sopra i girali doveva essere letta e interpretata dall’osservatore antico secondo modelli culturali ampiamente diffusi e propagandati nel periodo augusteo, i quali si alimentavano e diffondevano attraverso rimandi reciproci. I riti di Stato, le immagini letterarie ed artistiche divenivano modelli corrispondenti ed integrati, capaci di costituire sistemi rappresentativi condivisi. La sacralità dell’incedere, proprie delle grandi cerimonie pubbliche, e il contesto ambientale dovevano richiamare alla mente dell’osservatore le anime dei grandi apparse ad Anchise ed Enea nel contesto eterno degli Inferi: qui incontrarono i Re di Roma, gli uomini illustri della Repubblica, Marcello, le figure riassuntive di tutta la storia di Roma. Lo stesso Augusto era presente ad annunciare il futuro di Roma: “Questo, questo è l’uomo di cui spesso odi annunziare l’avvento, Augusto Cesare, figlio del Divo che al Lazio porterà il secolo d’oro di nuovo, sui campi ove un giorno ebbe regno Saturno” (Virg., Aen. VI,789-794). Nell’Ara Pacis la toga purpurea che rendeva riconoscibili e assimilabili Augusto ed Enea, il verde del Campus e del fregio vegetale, riflesso dell’Eden in terra, contribuivano a tradurre nel linguaggio visivo l’apparizione letteraria. Sembra stabilirsi così anche dal punto di vista cromatico un’associazione tra il programma iconografico dell’Ara Pacis, quello topografico del Campo Marzio e il mondo ultraterreno delle anime dei beati. Si viene a costituire così una vera e propria topografia dell’apparizione e dell’apoteosi, che trova nei colori la sua principale fonte di manifestazione ed espressione. Le tinte dei monumenti e quelle del paesaggio generavano così un sodalizio cromatico già descritto nella poesia bucolica d’età augustea: in una verde campagna, accanto al fiume Mincio, Virgilio si propose di innalzare un tempio marmoreo con al centro una statua di Cesare Ottaviano Augusto (Georg. III,12-15); nel bosco la candida scrofa e i suoi porcellini apparvero ad Enea distesi sulla spiaggia verdeggiante (Aen. III,389-393; VIII,81-83); bianche erano inoltre le colombe inviate da Venere come guida all’eroe troiano e posatesi sul suolo verde (Aen.

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VI,192). L’associazione dei colori è evocata nei brani relativi ai presagi e agli eventi straordinari legati alla fondazione di Lavinio e alla scoperta del ramo d’oro che consentì ad Enea la catabasi nell’Ade. I contrasti cromatici costituivano parte integrante di un sistema culturale capace di costruire codici di lettura e determinare analogie. Il verde che colorava il fregio vegetale dell’Ara Pacis era senza soluzione di continuità lo stesso della vegetazione perenne del Campus, del Mausoleo e degli Ustrina, allegoria dell’armonia divina e dell’eterno rigenerarsi della natura; il bianco del marmo e del calcare dei monumenti espressione solenne dell’opera dell’imperatore; i colori delle figure scolpite la testimonianza viva del mito e della storia. Riferimenti topografici, rapporti iconografici e relazioni cromatiche testimoniavano così lo stretto rapporto tra morte eroica, consacrazione e apoteosi.

5. Conclusioni Le testimonianze letterarie e iconografiche e i nuovi metodi di indagine capaci di riconoscere le esili tracce di colore sui monumenti permettono non solo di verificare la presenza dei pigmenti ma di comprenderne il ruolo e il valore in contesti più ampi e trasversali. Il verde, il bianco, i colori della processione, immutabili e sempre uguali durante le stagioni, erano l’immagine della “primavera eterna” descritta da Ovidio e di quell’età dell’oro in cui tanta parte avranno i colori che allietano gli uomini: ”l'ariete da sé nei prati muterà il colore del vello/con la porpora soavemente rosseggiante, con giallo del croco:/ spontaneamente il carminio vestirà gli agnelli pascolanti” (Virg., Ecl. IV,42-45).

Bibliografia [1] O. Rossini, Ara Pacis, Roma 2006 (con bibliografia precedente). [2] G. Moretti, Ara Pacis Augustae, Roma 1948, pp. 176-178. [3] O. Rossini, I colori dell’Ara Pacis. Storia di un esperimento, Archeomatica 3, sett. 2010, pp.20-25. [4] E. La Rocca, Silenzio e compianto dei morti nell'Ara Pacis, Arkhata ellenike gluptike: Aphierdma

ste mneme tou Steliou Triante, Mouseio Mpenakh, 1. 2002, pp. 269-313. [5] S. Settis, Die Ara Pacis, in Kaiser Augustus und die verlorene Republik. Ein Ausstellung im Martin-

Gropius-Bau (Berlin, 7 Juni – 14 August 1988), pp. 400-426 [6] G. Caneva, Il codice botanico di Augusto. Ara Pacis: parlare al popolo attraverso le immagini della

natura, Roma 2010. [7] G. Sauron, Les modéles funéraires classiques de l’art décoratif néo-attique au Ier siècle av.J.-C,

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