la pieve del sagittario (di ezio albrile)

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in memoriam Gherardo Gnoli  Summary: Romanesque Art contains very old recollections in its manifestations. In fact, a few icono- graphic representations of this Art that apparently might seem indecipherable can be traced back to ancient religious forms such as Gnosticism or Hellenistic Astrology. e constellation of Sagittarius and the transition om the Sol Invictus of the Winter Solstice to the Christian Sol Salutis are among these elements. Other figures can be explained in the light of the interaction with Eastern religious traditions; in particular through contacts with Iran during the Islamic rule. e specific ancient Iranian (that is Zoroastrian) culture constitutes the original background of the Astrological representations that we find in the Romanesque churches of Southern Piedmont . Sumario: El arte románico contiene recolecciones muy antiguas en sus manifestaciones. De hecho, algunas representaciones iconográficas de este arte, que podría parecer indesciable, pueden remon- tarse a formas religiosas antiguas como el Gnosticismo o la Astrología helenística. La constelación de Sagitario y la transición del Sol invictus del solsticio invernal al Sol salutis cristiano es uno de estos elementos. Pueden explicarse otras figuras a la luz de la interferencia con las tradiciones religiosas orientales. En particular a través de los contactos con Irán durante el dominio islámico. La cultu- ra iraní antigua específica (es decir, zoroástrica) constituye el fondo original de las representaciones astrológicas que encontramos en las iglesias románicas del sur de Piemonte. 1. Saraceni Poco distante da Mondovì, in provincia di Cuneo, sulla via che porta verso le montagne della Valle Ellero, ci si imbatte in Roccaforte Mondovì, una citta- dina nota ai cultori di arte altomedievale per la presenza della chiesa romanica di San Maurizio, documentata in regesti sin dai primi anni dell’XI secolo. È una piccola Pieve che raccoglie al suo interno tutta una serie di figurazioni di estre- mo interesse nella ricostruzione dei rapporti culturali tra Oriente e Occidente. Sin dal VI secolo, nello stesso luogo sorgeva una primitiva chiesa paleo- cristiana distrutta, lustri più tardi, dai cosiddetti «Saraceni». Il X secolo fu in- fatti caratterizzato da incursioni saracene provenienti da Fraxinetum, l’attuale Saint Tropez in Costa Azzurra (Francia). Una masnada in gran parte formata Antonianum LXXXVIII (2013) 111-130 LA PIEVE DEL SAGITTARIO Gnostici e astromanti a roccaforte mondovì

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in memoriam Gherardo Gnoli

 Summary: Romanesque Art contains very old recollections in its manifestations. In fact, a few icono-graphic representations of this Art that apparently might seem indecipherable can be traced back to ancient religious forms such as Gnosticism or Hellenistic Astrology. The constellation of Sagittarius and the transition from the Sol Invictus of the Winter Solstice to the Christian Sol Salutis are among these elements. Other figures can be explained in the light of the interaction with Eastern religious traditions; in particular through contacts with Iran during the Islamic rule. The specific ancient Iranian (that is Zoroastrian) culture constitutes the original background of the Astrological representations that we find in the Romanesque churches of Southern Piedmont .

Sumario: El arte románico contiene recolecciones muy antiguas en sus manifestaciones. De hecho, algunas representaciones iconográficas de este arte, que podría parecer indescifrable, pueden remon-tarse a formas religiosas antiguas como el Gnosticismo o la Astrología helenística. La constelación de Sagitario y la transición del Sol invictus del solsticio invernal al Sol salutis cristiano es uno de estos elementos. Pueden explicarse otras figuras a la luz de la interferencia con las tradiciones religiosas orientales. En particular a través de los contactos con Irán durante el dominio islámico. La cultu-ra iraní antigua específica (es decir, zoroástrica) constituye el fondo original de las representaciones astrológicas que encontramos en las iglesias románicas del sur de Piemonte.

1. saraceni

Poco distante da Mondovì, in provincia di Cuneo, sulla via che porta verso le montagne della Valle Ellero, ci si imbatte in Roccaforte Mondovì, una citta-dina nota ai cultori di arte altomedievale per la presenza della chiesa romanica di San Maurizio, documentata in regesti sin dai primi anni dell’XI secolo. È una piccola Pieve che raccoglie al suo interno tutta una serie di figurazioni di estre-mo interesse nella ricostruzione dei rapporti culturali tra Oriente e Occidente.

Sin dal VI secolo, nello stesso luogo sorgeva una primitiva chiesa paleo-cristiana distrutta, lustri più tardi, dai cosiddetti «Saraceni». Il X secolo fu in-fatti caratterizzato da incursioni saracene provenienti da Fraxinetum, l’attuale Saint Tropez in Costa Azzurra (Francia). Una masnada in gran parte formata

Antonianum LXXXVIII (2013) 111-130

La pieve deL sagittariognostici e astromanti a roccaforte mondovì

Ezio Albrile112

da guerrieri persiani, l’avanguardia dell’esercito islamico, i corpi d’élite del tem-po. Alcuni di essi si stanziarono tra le Valli Ellero e Tanaro, lasciando tracce indelebili della loro cultura. Questi armigeri provenivano dalle regioni attigue all’antica Mesopotamia, portavano con sé tradizioni molto antiche, afferenti alla religione dell’Iran preislamico, lo zoroastrismo.

In Occidente il mito di Zoroastro era giunto, secoli addietro, attraver-so l’incontro dei Greci con una strana casta sacerdotale mazdea, i cosiddetti ‹, i Magusei, i Magi ellenizzati1 o Magi delle colonie greche, os-sia quei sacerdoti persiani che vivevano in Siria o in Anatolia ed erano a tutti gli effetti degli immigrati, forse degli esuli. I Magusei, durante lo zoroastrismo partico prima e quello sassanide poi, sottratti al controllo della chiesa ufficia-le e contaminati dall’incontro con nuovi culti, persero presto anche l’ultimo contatto con la tradizione originaria, dimenticando la lingua dei testi sacri per adottare l’aramaico, la lingua franca delle colonie2.

La fama di Zoroastro nel mondo greco produsse una mole immensa di apocrifi3. Una notizia di Plinio (Nat. hist. 30, 2, 4) attesta che attorno al 200 a.C. Ermippo di Smirne4, filosofo nonché erudito discepolo di Callimaco, ave-va interpretato due milioni di versi lasciati da Zoroastro e aveva redatto gli in-dici delle materie. Doveva trattarsi all’incirca di 800 volumi o rotoli di papiro. Le opere a cui si riferiva Ermippo erano forse degli scritti in aramaico che nella biblioteca di Alessandria erano riuniti sotto il nome di Zoroastro5. Non è da escludere che tra questi volumi vi fossero versioni aramaiche di testi avestici6.

1 J. Bidez-F. Cumont, Les mages hellénisés. Zoroastre, Ostanès et Hystaspe d’après la tra-dition grecque, II (Les Textes), Paris 1938 (repr. 1973), p. 207 s.; P. Kunitzsch, «The Chapter on the Fixed Stars in Zar…dusht’s Kit…b al-maw…l–d», in Zeitschrift für Geschichte der arabisch-islamisches Wissenschaften, 8 (1993), p. 241-249; A. Panaino, Tessere il cielo (Serie Orientale Roma, LXXIX), IsIAO, Roma 1998, p. 83-86.

2 Cfr. W.B. Henning, Il medioiranico (E.Di.S.U. Napoli 2 – Dipartimento di Studi Asia-tici – Istituto Universitario Orientale Napoli), trad. it. a cura di E. Filippone, Napoli 1996, p. 15 s. (ed. or. apparsa in E. Spuler (Hrsg.), Handbuch der Orientalistik, I/4.1, Leiden-Köln 1958, p. 30 s.).

3 R. Beck, s.v. «Zoroaster IV. As Perceived by the Greeks», 2002, nella versione elet-tronica di E. Yarshater (ed.), Encyclopaedia Iranica (www. iranica.com/articles/zoroaster-iv-as-perceived-by-the-greeks); M. Stausberg, «A name for all and no one: Zoroaster as a figure of authorization and a screen of ascription», in J.R. Lewis-O. Hammer (eds.), The Invention of Sacred Tradition, Cambridge (UK) 2007, pp. 187-189.

4 J. Wiesehöfer, s.v. «Hermippus of Smyrna», in Yarshater (ed.), Encyclopaedia Iranica, XII, New York 2003, p. 240 a-b.

5 Bidez-Cumont, Les mages hellénisés, I (Introduction), p. 85 s.6 A. Pagliaro, «La letteratura della Persia preislamica», in A. Pagliaro-A. Bausani,

La letteratura persiana, Firenze-Milano 19682, p. 36-37.

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Se l’ipotesi fosse plausibile, potrebbe spiegare in modo più agevole la cospicua presenza di materiali e mitologhemi iranici sia nel testo biblico che negli scritti giudaici intertestamentari e apocrifi7.

Con il passare del tempo, queste concezioni interagirono con le culture li-mitrofe. Un esempio proviene dall’arte e dalla letteratura bizantine, fortemente debitrici della tradizione iranica8. I Magi divennero la figurazione di un sapere arcaico e luminoso, l’immagine di un’attesa messianica che aveva nella profezia iranica del Saošyant (> pahlavi Sōšyans)9, il Salvatore futuro, il più significativo antecedente e punto di contatto con il mondo giudaico-cristiano10.

Con l’espansione del verbo islamico in tutto il Vicino Oriente, il nuovo credo non riuscì certamente a sopprimere modi e forme di una cultura millena-ria quale quella dell’Iran zoroastriano. Tant’è che miti e tradizioni riaffiorarono mitigati nell’arte, nella poesia e nella letteratura. L’esempio più noto fu certa-mente lo Šāh-nāme, il «Libro dei Re» di Firdusī11.

7 Per una prima informazione, cf. G. Widengren, «Quelques rapports entre Juifs et Ira-niens à l’époque des Parthes», in Aa.Vv, Volume du Congrès: Strasbourg 1956 (Supp. to Vetus Testamentum IV), Leiden 1957, p. 197-241; Id., Iranisch-semitische Kulturbegegung in parth-ischer Zeit (Arbeitsgemeinschaft für Forschung des Landes Nordrhein-Westfalen, Geisteswis-senschaften, Heft 70), Köln-Opladen 1960; J. Neusner, «Rabbi and Magus in Third-Century Sasanian Babylonia», in History of Religions, 6 (1966), p. 169-178; D. Winston, «The Iranian Component in the Bible, Apocrypha and Qumran: A Review of the Evidence», in History of Religions, 5 (1966), p. 183-216; cf. anche E. Albrile, «Enoch e l’Iran: un’ipotesi sulle origini dell’apocalittica», in Nicolaus, N.S. 22 (1995), p. 91-136.

8 Cf. A. Pertusi, «La Persia nelle fonti bizantine del secolo VII», in Aa.Vv., Atti del Convegno internazionale sul tema: La Persia nel Medioevo. Roma, 31 marzo-5 aprile 1970 (Ac-cademia Nazionale dei Lincei, 368 – Quaderno N. 160), Roma 1971, p. 608 s.; A.S. Shahbazi, s.v. «Byzantine-Iranian Relations», in E. Yarshater (ed.), Encyclopaedia Iranica, IV, London-New York 1990, p. 588 a-599 b.

9 Cf. G. Messina, «Il Saušyant nella tradizione iranica e la sua attesa», in Orientalia, 1(1932), p. 149-176; Id., «Mito, leggenda e storia nella tradizione iranica», ivi, 4 (1935), p.275-276; C.G. Cereti, «La figura del redentore futuro nei testi iranici zoroastriani: aspetti dell’evoluzione di un mito», in Annali dell’Istituto Orientale di Napoli, 55 (1995), p. 33-81

10 Importanti gli studi di J.R. Hinnells: «Zoroastrian Saviour Imagery and its Influence on the New Testament», in Numen, 16 (1969), p. 161-185; Id., «Zoroastrian Influence on the Judaeo-Christian Tradition», in Journal of the K.R. Cama Oriental Institute, 45 (1976), p.1-23; Id., «Zoroastrian Influence on Judaism and Christianity: Some Further Reflections», in G. Sfameni Gasparro (cur.), 'Agaq¾ ™lp…j. Studi storico-religiosi in onore di Ugo Bianchi (Storia delle Religioni 11), Roma 1994, p. 305-322.

11 D. Khaleghi-Motlagh, s.v. «Ferdowsī, Abu’l-Qāsem I. Life», in Yarshater (ed.), Encyclopaedia Iranica, IX, New York 1999, p. 514 a-523 b; A. Banani, s.v. «Šāh-nāma – Excur-sus», in ivi, versione elettronica: www.iranicaonline.org/articles/sahnama-excursus; cf. F. Ga-brieli (cur.), Firdusi. Il libro dei re (I grandi scrittori stranieri, 292), selezione antologica dalla trad. di I. Pizzi, Torino 1969, passim.

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2. Cosmografie

Gli interni della Pieve di San Maurizio a Roccaforte Mondovì racchiu-dono un piccolo tesoro iconografico, una serie di affreschi che testimoniano l’interazione tra l’arte pittorica romanica e la cultura aramaico-iranica di cui i cosiddetti Saraceni erano gli araldi in Occidente.

Sebbene vi si trovino decori risalenti a diverse epoche, il corpo più con-sistente di affreschi risale al periodo romanico (XI e XII secolo). Nel catino dell’abside minore si possono ammirare affreschi di stile bizantino con il classi-co Cristo Pantokratōr in mezzo ad angeli serafini e simboli degli evangelisti. Da rilevare i tratti somatici, sicuramente non autoctoni e molto levantini. Sotto la figura sono dipinti otto Apostoli, sempre in sembianze orientalizzanti. Partico-lari sono i soggetti che troviamo nel velario inferiore: animali e figure antropo-morfe sicuramente estranee al Medioevo monregalese. Anche l’arco trionfale è colmo di figurazioni zoomorfe, in prevalenza pesci, uccelli e altri animali fan-tastici avvinti a figure umane. Sulla parete di destra rispetto all’abside minore altre figurazioni molto interessanti, ma purtroppo in gran parte danneggiate, tra le quali un armigero dai tratti somatici chiaramente centroasiatici.

Soffermiamoci sull’abside minore. Il Cristo Pantokratōr, benedicente nella mandorla, esprime una dimensione superiore, un », un ipercosmo im-mutabile, segno di perfezione in rapporto al mondo. Scendendo con lo sguar-do, sotto al Pantokratōr troviamo una figura ibrida, in parte zoomorfa: un Sa-gittario nell’atto di scoccare una freccia (fig. 1). È il segno dello Zodiaco posto a suggello del Solstizio invernale12, l’antico Sol invictus mutato nel cristiano Sol salutis. Il Cristo-Sole disceso in un cielo cristallino popolato di astri, immagini dell’immutabilità divina, ma anche origine e causa del divenire.

Il Sagittario è una stazione zodiacale introdotta da Cleostrato attorno al 520 a.C. (6 B 3 DK = Plin. Nat. hist. 2, 31)13, è un arciere14 Centauro (Hyg. Astr. 2, 27; 3, 26) assimilato a Chirone (Sen. Thy. 861; Lucan. 6, 393; Ampel. Lib. mem. 2, 9). I Centauri, š, letteralmente «Uccisori di tori», an-tica genia bicorporea che viveva sul monte Pelio in Tessaglia, recano con sé fin

12 In termini astrologici si tratta di una «cuspide», usualmente il segno zodiacale del Sol-stizio invernale è ritenuto il Capricorno.

13 F. Gury, s.v. «Zodiacus», in LIMC, VIII/1, Zürich-Düsseldorf 1997, p. 491 b.14 In Democrito la costellazione è identificata col nome di ToxÒthj, «Arciere» (apud

Ioh. Lyd. De mens. 169, 3); cf. A. Le Boeuffle, Les noms latins d’astres et de constellations, Paris 1977, p. 174.

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dalle origini una traccia astrale15. Secondo la tradizione, la loro stirpe discen-deva da Issione, re dei Lapiti. Invaghito di Hera, questi cadde nella trappola escogitata dallo sposo di lei, Zeus. Il dio prese una nuvola e la plasmò dandole le sembianze della moglie Hera. Ingannato, Issione credette si trattasse veramente della dea e si unì a lei.

Dal coito di Issione con la nuvola nacque un essere mostruoso, bicorpo-reo, il capostipite della stirpe dei Centauri16. Accoppiandosi con le cavalle del monte Pelio, il primo Centauro propagò questa stirpe di selvaggi abitatori dei boschi, i cui corpi di cavallo erano uniti a tronchi umani.

A Issione spettò una punizione durissima: venne incatenato mani e piedi a una ruota destinata a rotolare eternamente nel cielo. Sin dall’inizio il mito del Centauro è un mito astrale: il coito con la nuvola allude all’unione fra mondo umano e virtù celesti. La scelta di collocare un Sagittario sotto il Pantokratōr non è casuale: il Solstizio invernale è il momento di massimo degradamento del Sole, il suo occultamento, la discesa agli inferi che precede la rinascita come Sol Invictus, il Sol salutis cristiano17. Tracce di questa mitologia si ritrovano sin nell’Antico Testamento, in Lamentazioni 3, 12-15 e Zaccaria 9, 13: il Signore è l’arciere, le frecce scoccate dal suo arco mutano gli eventi, determinano il farsi della storia.

Issione, poi, è incatenato alla ruota dell’eclittica; le mani e i piedi indica-no i punti di Solstizio e di Equinozio. Si tratta di un’immagine che allude al Új spazio-temporale, esemplificazione della sfericità del tempo, associata a una rappresentazione astrale.

Nelle conventicole platoniche e misteriche, il cerchio era simbolo del cielo e di tutto quanto è spirituale. Non avendo né inizio né fine, né direzione né orientamento, la circonferenza è l’immagine più adatta ad effigiare sia il tem-po che il suo trascendimento: il Tempo eterno e immutabile, concepito come una sequenza continua e invariabile, nasce infatti dal dispiegarsi di un tempo relativo, formato di istanti unici nella loro singolarità. Proprio tale susseguirsi di «momenti» rappresenta il tempo nel suo aspetto demiurgico, legato al mo-

15 W.H. Roscher, s.v. «Kentauren», in W.H. Roscher (hrsg.), Ausführliches Lexikon der griechischen und römischen Mythologie, II/1, Leipzig 1890-1894 (Hildesheim-New York 1978), coll. 1032-1088.

16 M. Leventopoulou, s.v. «Kentauroi et Kentaurides», in LIMC, VIII/1, p. 671 a-672 b.

17 F. J. Dölger, Sol Salutis. Gebet und Gesang in christlichen Altertum (Liturgiewissen-schaftliche Quellen und Forschungen, Heft 16/17), Münster Westfalen 1972 (rist. sull’edizione 19252), p. 336 s.

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vimento degli astri e al conseguente ricorrere ciclico del giorno, della notte e delle stagioni nel cosiddetto circulus anni.

Esiste quindi un duplice referente simbolico legato alla figura circolare: da un lato essa esemplifica la perfezione, il cielo, il Tempo immutabile; dall’altro, in quanto Új, ruota inesorabile del divenire, è invece immagine del tempo finito, imperfetto e mutevole. Il cerchio esprime quindi il legame tra macroco-smo e microcosmo, fra tempo ed eternità, è la «porta» attraverso cui giungere a un nuovo e altro livello di realtà.

Clemente Alessandrino riporta la dottrina di Zoroastro – su cui il neo-platonico Porfirio era ben informato18 – secondo la quale l’Anima scendeva e risaliva il Új attraverso il tracciato zodiacale19. Ad essa alludeva Porfirio nel De abstinentia 4, 16. Tutto ciò conferma la funzionalità contestuale della «digressione» sulla sfera zodiacale, riabilitandola nel suo significato primario, metempsichico.

Riguardo al Sagittario si può ancora richiamare una traccia iranica. Le ce-lebrazioni della Chiesa manichea, le «feste Yimki»20, erano calcolate sull’anno lunare del calendario babilonese21. Il giorno festivo era quindi determinato in base alla posizione del Sole nella fascia zodiacale in relazione alle fasi lunari. In genere erano comprese nell’ultimo terzo dell’anno luni-solare babilonese, cioè nel segmento di tempo che va dalla costellazione del Sagittario a quella dei Pesci (Dicembre-Marzo). La prima di esse celebrava il dio iranico Ohrmazd quale îj ¢îj, il primo uomo ad aver sacrificato se stesso per la sal-vezza del mondo di luce. Il mito raccontava il suo darsi volontariamente preda alle tenebre, quale stratagemma per «avvelenare» gli Arconti e recuperare la luce di cui si erano cibati22. Le celebrazioni di Ohrmazd-Yimki si tenevano nei periodi di Luna piena, quando il Sole era nel segno del Sagittario23, e molto probabilmente si concludevano con la festa del Bēma, il ritorno e la simbolica

18 Bidez-Cumont, Les mages hellénisés, I, p. 109.19 Analoga teoria in Orph. hymn. 12, 12; Serv. In Verg. Aen. 6, 395; Ioh. Lyd. De mens. 4, 67.20 W.B. Henning, «The Manichæan Fasts», in Journal of the Royal Asiatic Society, 1945,

p. 146-164.21 W. Sundermann, s.v. «Festivals II. Manichaeism», in Yarshater (ed.), Encyclopae-

dia Iranica, IX, New York 1999, p. 547 b-549 a.22 G. Widengren, Il manicheismo, trad. it. Q. Maffi-E. Luppis, Milano 1964 (ed. or. Stut-

tgart 1961), p. 64 s.; M. Tardieu, Il manicheismo, trad. it. G. Sfameni Gasparro, Cosenza 19962 (ed. or. Paris 1981), p. 100-101.

23 Henning, «The Manichæan Fasts», p. 146.

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intronizzazione terrena di Mani24, disceso dal cielo per sedersi al centro della sua comunità.

Possiamo ora fare un’ultimo raffronto con le figurazioni zodiacali che adornano il nartece della cattedrale romanica di Sant’Evasio a Casale Mon-ferrato (Asti), consacrata nel 1107, i cui elementi orientali e segnatamente ira-nico-armeni sono stati ampiamente segnalati25. In alto, nell’epistilio, da destra verso sinistra (fig. 2), distinguiamo un fiore, forse una rosa, un Sagittario e un Cervo (allusione al segno zodiacale del Capricorno). Chiunque voglia coglie-re il senso nascosto del dipinto comprende che l’arco sottostante diventa una «porta solstiziale». Nel percorso agli inferi il Sole entra nell’ultima soglia, la costellazione del Sagittario. La porta è quella del solstizio invernale, punto di massimo occultamento del Sole, ma anche momento di rinascita e di vittoria contro le tenebre. Così la costellazione successiva, il Capricorno, è rappresen-tata nel Cervo, immagine del Cristo. Ciò viene confermato dal nartece roma-nico come una sorta di iconostasi in pietra, a imitazione delle «porte regali» bizantine. Non a caso l’atrio antistante la cattedrale, ovvero l’endonartece, si presenta come un grande ambiente rettangolare, caratterizzato da un sistema di copertura ad archi incrociati il cui unico riscontro è con l’architettura delle chiese armene26, a loro volta debitrici dei templi del fuoco zoroastriani27. Una circostanza che fa supporre la presenza di maestranze iraniche o armeno-irani-che nell’edificazione della chiesa di Sant’Evasio.

La vicenda è narrata in diverse forme e modulazioni su altri monumenti romanici. È il caso dell’ambone della basilica di San Giulio sul lago d’Orta (No-vara), un capolavoro della scultura romanica lombarda del XII secolo28. Fabbri-cato in marmo serpentino proveniente dalle vicine cave di Oira, ha una pianta

24 P.O. Skjærvø, An Introduction to Manicheism (Early Iranian Civilizations 103 = Di-vSchool 2006), Harvard University, Cambridge (Mass.) 2006, p. 57.

25 D. De Bernardi Ferrero, «L’atrio di S. Evasio a Casale Monferrato e gli archi incro-ciati», in Aa.Vv., Atti del primo simposio internazionale di arte armena (Bergamo 1975), Venezia 1978, p. 129-141; Id., Architettura religiosa medievale, cur. P. Chierici, Torino 1984, p. 47 b; G. Ieni, s.v. «Casale», in Enciclopedia dell’Arte Medievale, IV, Roma 1993, p. 369 a.

26 P. Cuneo, «Le chiese paleocristiane armene a pianta centrale», in Aa.Vv., XX Corso di cultura sull’arte ravennate e bizantina (Ravenna, 11-24 marzo 1973), Ravenna 1973, p. 241-262; Id., s.v. «Armenia. Architettura», in Enciclopedia dell’Arte Medievale, II, Roma 1991, p. 478 b - 486 b (in partic. tav. alla p. 479 a-b).

27 F. De Maffei, «L’origine della cupola armena», in Aa.Vv., XX Corso di cultura sull’ar-te ravennate e bizantina, p. 300-307.

28 S. Chierici, «S. Giulio sull’isola di S. Giulio nel lago d’Orta», in S. Chierici-D. Citi, Italia Romanica. II: Il Piemonte. La Val d’Aosta. La Liguria (Già e non ancora/arte, 2), Milano 1979, p. 272 s.

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quadrata con quattro colonne che sorreggono un parapetto interamente scol-pito. Nel lato verso la navata minore, si nota un Sagittario rivolgere il suo arco contro due fiere (fig. 3). Le due belve hanno catturato e stringono nelle loro grinfie un animale incolpevole, un cerbiatto, simbolo del Cristo. La presenza del Sagittario esprime quindi la metafora del Cristo-Sole tenuto in cattività agli inferi. I giorni del Solstizio sono infatti i giorni di maggiore occultamento dell’astro. Il simbolo astrologico si lega alla catabasi, la discesa del Sole-Gesù nell’Ade.

3. donne anguipedi

Licofrone, nel famoso poema oracolare, accenna a una leggenda secondo la quale i Centauri, scacciati da Eracle, andarono a morire sull’Isola delle Sire-ne (Alex. 670-671). E proprio una Sirena troviamo nella Pieve di Roccaforte Mondovì, proprio sotto al Sagittario (fig. 4). Si tratta di una Sirena bifida o Donna-Pesce (tipica dell’arte romanica) collocata in basso, al centro del velario inferiore, nello zoccolo dell’abside laterale: fa pensare ai Pesci e all’Equinozio di Primavera. Un’altra Sirena si trova infatti in alto a sinistra, all’inizio di un arco trionfale colmo di pesci intrecciati con figure umane e altri strani animali, ad esemplificare la difficile condizione delle anime avvolte nel flusso del divenire.

In un precedente lavoro29 ho proposto una nuova interpretazione delle Si-rene romaniche. Ne riassumerò in breve i contenuti.

Molti studiosi fanno risalire tale figurazione al famoso episodio di Odis-seo avvinto all’albero della nave e al suo espediente, escogitato per non cade-re vittima del dolce canto proveniente dall’Isola delle Sirene (Hom. Od. 12, 1-200). La vicenda sarebbe stata cristianizzata30 e la figura della Sirena – mezza donna e mezza pesce – interpretata come una distrazione per l’uomo nella vi-sione di Cristo. Le Sirene, che nel mito platonico di Ēr (Resp. 10, 614 a 4-616 a l4) cantano simultaneamente, facendo ascoltare l’armo nia delle stelle o sfere31 alle anime radu nate e predisposte a entrare in una nuova esistenza attraverso la metempsicosi.

In realtà, per trovare le possibili origini della Sirena bifida dovremmo rifar-ci alle più antiche origini cristiane e a un grande fenomeno religioso chiamato

29 E. Albrile, «Gnostici a Montiglio. Il ricordo dell’antico in una Pieve altomedievale», in Mediaeval Sophia, 11 (2012), p. 31 ss.

30 H. Rahner, Miti greci nell’interpretazione cristiana, trad. it. L. Tosti, Bologna 1971, p. 371 ss.

31 O.J. Brendel, Symbolism of the Sphere. A Contribution to the History of Earlier Greek Philosophy (EPRO 67), Leiden 1977, p. 52 ss.

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gnosticismo. Gli Gnostici si spinsero dall’Oriente sino all’Occidente: la loro presenza è documentata nella Valle del Rodano, sino a Lione32.

Nel «Libro di Baruch» dello gnostico Giustino troviamo importanti riscontri mitografici (Hipp. Ref. V, 24, 2-27, 5). Secondo Giustino, all’inizio vi sarebbero stati un principio trascendente, il Bene (Òj), un secondo principio a lui inferiore, Padre del Tutto (= Elōeim) e un principio femminile ancora inferiore, Edem (= Terra), per metà donna e per metà pesce. Elōeim si unisce a Edem e fra i vari frutti del loro amore essi creano l’uomo, che Elōeim fornisce di spirito ed Edem di anima. Adamo costituisce dunque un singolare ibrido, in cui la parte luminosa e divina deriva da Elōeim, mentre la parte psi-chica e somatica proviene da Edem. In seguito Elōeim risale al Bene, il primo principio, ed Edem, smarrita la speranza di riaverlo con sé, scatena i suoi angeli.

Giustino parla di tre principî ingenerati, due maschili e uno femminile. Un principio maschile è il Bene, l’altro è il Padre del Tutto, invisibile, Elōeim. L’iracondo principio femminile è invece scisso in «due menti» (…j) e in «due corpi» (…j): è una sorta di Sirena, metà fanciulla e metà serpente, di nome Edem (Hipp. Ref. V, 26, 1-2). Il Padre Elōeim, vedendo la £j, la «per metà fanciulla», viene preso dal desiderio di lei. Tro-viamo il desueto £j in Licofrone (Alex. 669) e in Erodoto: è la fanciulla-serpente a cui si unisce Eracle in una caverna della terra Ilea33. Il mito è probabilmente alla base della rielaborazione gnostica fornita dal «Libro» di Giustino34. Il coito tra Elōeim ed Edem produce una serie di ventiquattro angeli, dodici appartenenti al padre e dodici alla madre Edem.

In seguito Elōeim abbandona la «per metà fanciulla» Edem per salire alle altezze del Padre, il Bene supremo. Piantata in asso, Edem decide di vendicarsi e incarica l’angelo Babele, identificato con la dea greca Afrodite, di provocare adulteri e separazioni fra gli uomini. Il parallelismo è abbastanza chiaro: come Edem è stata separata da Elōeim, così anche lo à di Elōeim celato negli uomini deve soffrire il tormento della separazione e sperimentare nel dolore i medesimi patimenti (Hipp. Ref. V, 26, 19-20).

32 B. Layton, The Gnostic Scriptures. A New Translation with Annotations, London 1987, mappa alle p. 268-269.

33 Herod. IV, 9, 1; il termine ricorre anche in Euripide (Ph. 1023) per designare la Sfinge.34 Così sostiene lo stesso Ippolito, che fa derivare il mito dall’interpretazione di una favola

di Erodoto (IV, 8-10); non è di questa opinione R.Van den Broek nel suo «The Shape of Edem according to Justin the Gnostic», in Vigiliae Christianae, 27 (1973), p. 37 s., il quale fa risalire il mito al culto egizio-ellenistico di Iside-Thermoutis, ipotesi peraltro ammissibile; per le fonti su Giustino gnostico cf. anche E. Haenchen, «Das Buch Baruch. Ein Beitrag zum Problem der christlichen Gnosis», in Zeitschrift für Theologie und Kirche, 50 (1953), p. 131 s.

Ezio Albrile120

Nella figura gnostica della divinità metà donna e metà serpente troveremo quindi una fonte molto più diretta e proveniente da un ambito cristiano, anche se eterodosso: le creature bifide delle Pievi altomedievali.

Un altro riscontro proviene dalle gemme o amuleti gnostici. Uno dei tipi più frequenti di questi intagli è l’immagine di un personaggio ibrido con testa di gallo e busto umano, in vesti militari romane35 (in genere con il solo gonnel-lino a pieghe), che tiene in mano uno scudo e una frusta36 e ha i piedi a forma di serpente: l’anguipede alectorocefalo37. L’origine dell’iconografia mostruosa, così come appare negli intagli e nelle gemme, resta inspiegata. Taluni fanno riferimento a una creatura simile presente nella mitologia celtica38. In verità, come abbiamo visto, è possibile spiegarne le origini in base alla cosmologia gnostica.

La figura rivela un dualismo congenito, innato: la testa di gallo espri-me l’essenza di divinità aurorale, emblema del canto mattutino che sconfigge l’oscurità della notte; mentre i piedi anguiformi manifestano la natura tellurica e serpentiforme, assunta quale dio delle tenebre39.

35 Campbell Bonner, Studies in Magical Amulets chiefly Graeco-Egyptian, Ann Arbor: The University of Michigan Press 1950, pl. VIII, p. 162-176; IX, p. 177-178; la prima identifica-zione è stata quella con Abraxas, il dio gnostico di cui parla Basilide (e poi Jung!), da cui l’illustra-zione che accompagna N. Turchi, s.v. «Abràxas», in Enciclopedia Cattolica, I, Roma-Firenze: Sansoni 1948, p. 128; fondamentale il lavoro di A. Mastrocinque (cur.), Sylloge gemmarum gnosticarum, Parte I (Bollettino di Numismatica – Monografia 8.2.I), Roma 2004, in partic. p. 269 s. (gallo anguipede).

36 Tale iconografia si spiega con la presenza in un testo gnostico di Nag-Hammadi, l’Apoca-lisse di Paolo, di angeli fustigatori di anime (NHC, V, 2, 20, 11-12; 22, 7-10 = J.-M. Rosenstie-hl–M. Kaler [eds.], L’Apocalypse de Paul [NH V, 2] [Bibliothèque Copte de Nag Hammadi – Section «Textes», 31], Québec [Canada]-Louvain-Paris-Dudley 2005, p. 104-105; 108-109): giunte al quarto e al quinto cielo, le anime sono condotte al giudizio da angeli armati di frusta (m£stix).

37 Campbell Bonner, Studies in Magical Amulets, pp. 123-139; M.P. Nilsson, «The Anguipede of the Magical Amulets», in Harvard Theological Review, 44 (1951), p. 61-64; A. Delatte-Ph. Derchain, Les intailles magiques gréco-égyptiennes, Paris: Bibliothèque Nation-ale 1964, p. 23 s.; M. Philonenko, «L’anguipède alectorocéphale et le dieu Iaô», Comptes-rendus des séances de l’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres, 123 (1979), p. 297-304.

38 P. Lambrechts, Contributions à l’étude des divinités celtiques, Brugge 1942, p. 81-99; Nilsson, «The Anguipede», p. 62; Philonenko, «L’anguipède alectorocéphale», p. 297.

39 Philonenko, «L’anguipède alectorocéphale», p. 303.

La pieve del sagittario 121

4. sirio

Proseguendo la ricognizione sugli affreschi del velario inferiore nella Pie-ve di Roccaforte Mondovì, osserviamo sulla destra un arciere la cui freccia è pericolosamente rivolta verso la nostra Sirena (fig. 5). Un particolare saliente, in qualche modo correlato alla cultura di matrice iranica a cui sembra ispirarsi l’autore (o gli autori) di questo complesso ciclo pittorico.

Nelle scritture zoroastriane, l’ottavo Yašt avestico è un inno allo yazata Tištrya (> pahlavi Tištar)40 ovvero la stella Sirio, celebrata per aver sconfitto il daēva Apaoša (> pahlavi Apōš)41, demone della siccità42, e aver reso possibi-le il fluire di acque fecondanti e vivificanti sulla terra43. Tištrya/Sirio va sog-getto a diverse metamorfosi. Per dieci notti prende forma corporea (kәhrpәm raēwayeiti)44, per altre dieci assume l’aspetto di un toro dalle corna d’oro; in-fine, nelle ultime dieci notti, si trasforma in un bianco stallone dalle orecchie e dai finimenti d’oro. In vesti equine si dirige verso il mare onirico Vouru.kaša (> pahlavi Varkaš) per combattere il daēva Apaoša, dall’aspetto di un nero e orrido stallone.

Sono noti i legami tra Tištrya/Sirio e Tīr (< avestico Tīrī), il «pianeta Mercurio»45 (Tīr-ī abāxtarig)46, ma anche «freccia» che solca i cieli47. Una significativa testimonianza del culto di Tīr è fornita da al-Bīrūnī nella sua de-scrizione della festa del Tīragān48, celebrata nel solstizio d’estate, il tredicesimo giorno del quarto mese del calendario zoroastriano. La festa di Tīr avrebbe avu-

40 A. Panaino, Tištrya, Part I: The Avestan Hymn to Sirius (Serie Orientale Roma LXVI-II, 1), IsMEO/IsIAO, Roma 1990.

41 C.J. Brunner, s.v. «Apōš», in Yarshater (ed.), Encyclopaedia Iranica, II, London-New York 1987, p. 161 b-162 a.

42 Avestico *apa-uša-, «continuare a bruciare» > vedico óñati > greco ¢feÚw (AirWb, col. 72); Brunner, «Apōš», p. 161 b.

43 Gh. Gnoli, «La stella Sirio e l’influenza dell’astrologia caldea nell’Iran antico», in Stu-di e Materiali di Storia delle Religioni, 34 (1963), p. 238.

44 Gh. Gnoli, «Note su Yasht VIII, 23-25», in Studi e Matetiali di Storia delle Religioni, 34 (1963), p. 93

45 Cf. A. Panaino, Tištrya, Part II: The Iranian Myth of the Star Sirius (Serie Orientale Roma LXVIII, 2), IsIAO, Roma 1995, p. 66-67; 83-86; cf. J. Duchesne-Guillemin, «Ori-gines iraniennes et babyloniennes de la nomenclature astrale», Comptes-rendus des séances de l’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres, 130 (1986), p. 234-250.

46 Bundahišn p. 63, 12 (Anklesaria 1956).47 A. Götze, «Tištrya, T–r, Tišya, Se…rioj», in Zeitschrift für vergleichende Sprachfor-

schung auf dem Gebiete der indogermanischen Sprachen, 51 (1923), p. 146-153.48 Cf. G. Messina, «La celebrazione del T–rag…n in Adiabene», in Aa.Vv., Atti del XIX

Congresso Internazionale degli Orientalisti (Roma, 23-29 settembre 1935), Roma 1938, p. 241.

Ezio Albrile122

to origine dalla freccia scoccata dall’arciere Āreš dal Tabaristān alla frontiera con la Faryāna, tracciando i confini tra i territori del turanico Afrāsyāb e quelli di Mīnūcihr49.

Ma Āreš è l’avestico Ǝrәxša «dalle veloci frecce»50, che nello Yašt di Tištrya sacrifica coscientemente se stesso nello sforzo immane di tendere un arco poderoso, al fine di scagliare il più lontano possibile la freccia che libererà l’Iran dal giogo dell’oppressore turanico.

Secondo una consuetudine linguistica risalente al nome sumerico mul-

KaK-si-sa´ e all’accadico šukudu, la «stella-freccia»51 Sirio ( Canis Ma-ioris) è definita in relazione al suo veloce movimento nei cieli, una singolarità condivisa con il pianeta Tī-r/Mercurio52. In due passi del Tištar Yašt, il movi-mento della stella è paragonato a quello del dardo lanciato da Ǝrәxša, l’arciere53 che sottrasse il territorio ai turanici scoccando una freccia che dal monte Airyō.šia raggiunse il monte Xvanvant54.

In questi passi la velocità del volo è associata a un tremolio, un rapido moto vibrazionale espresso dal verbo xšviw- (> pahlavi šēb-, da cui il nome composto Āreš-šībatīr in Tabarī)55. L’avestico xšviw- designa l’intermittenza della luce56, un improvviso, fulmineo e ripetuto movimento oscillatorio simile a un battito d’ali, un colpo di frusta, lo scoccare di una freccia o lo scalpitio di un destriero57. Il mo-vimento di una freccia rappresenta in modo figurato la velocità dei corpi celesti. In una sequenza cosmologica del Bundahišn la velocità del Sole, della Luna e delle Stelle è espressa mediante il lancio di un triplice dardo58. In una moneta kuṣāṇa, Tīr () compare nelle vesti di una divinità femminile munita di arco e frecce59.

49 Gnoli, «La stella Sirio», p. 240, n. 10.50 Yašt 8, 6, 37 (= Panaino, Tištrya, Part I, p. 61).51 Gotze, p. 152; A. Panaino, Tištrya, Part II, p. 47; Id., s.v. «Tištrya», nella versione

elettronica di Yarshater (ed.), Encyclopaedia Iranica (www.iranica.com/articles/tistrya), p. 1-3.52 Panaino, Tištrya, Part II, p. 71.53 Cfr. AirWb, col. 349.54 Yašt 8, 6 (= Panaino, Tištrya, Part I, p. 32; 61); A. Piras, «Le tre lance del giusto W–

r…z e la freccia di Abaris. Ordalia e volo estatico tra iranismo ed ellenismo», in Studi Orientali e Linguistici, 7 (2000), p. 101.

55 Gnoli, «La stella Sirio», p. 239, n. 10.56 AirWb, col. 563.57 Cfr. J. Kellens, «Vibration and Twinkling», in Journal of Indo-European Studies, 5

(1977), p. 198.58 W.B. Henning, «An Astronomical Chapter of the Bundahishn», in Journal of the

Royal Asiatic Society, 1942, p. 234.59 R. Gölb, «Die Münzprägung der Kušān vom Vima Kadphises bis Bahrām IV», in F.

Altheim-R. Stiehl (Hrsg.), Finazgeschichte der Spätantike, Frankfurt a. Main 1957, n. 214; cit. in Gnoli, «La stella Sirio», p. 240, n. 10.

La pieve del sagittario 123

Il quarto mese del calendario zoroastriano prende il suo nome dalla stella Sirio. Il mese che nelle più antiche iscrizioni achemenidi era chiamato Gar-mapada «mese del calore», corrispondente nei testi avestici al mese di Tīr o di Tištrya. L’anno sothiaco in Egitto iniziava – secondo il calendario giuliano – il 19 luglio: allora si usava trarre presagi dallo stato del cielo nel momento del levare eliaco (™») di Sirio. L’anno canicolare o «cosmico» era sta-to introdotto anche nel mondo semitico, nelle pratiche divinatorie60. La festa di Adonis-Tammuz cadeva appunto in quella occasione: sino al Medioevo gli astromanti di Ḥarrān hanno celebrato la festa del morente e risorgente Tam-muz nel quarto mese dell’anno.

La diffusione degli insegnamenti astrologici legati al levare eliaco di Sirio nel quarto mese riguardava un’area di diffusione molto vasta, dall’Egitto alla Mesopotamia, ed è dunque da tale ambito che l’Iran l’ha derivata61, rielaboran-dola secondo i propri moduli espressivi. L’importanza speciale conferita dallo zoroastrismo alla stella Sirio, su cui ci erudisce Plutarco nel De Iside et Osiride (cap. 47), era un riflesso di dottrine astrologiche assai note nei due massimi centri della civiltà vicino-orientale, l’Egitto e la Mesopotamia, dove veniva an-nesso un grande rilievo apotelesmatico al levare eliaco di Sirio, inizio dell’anno canicolare o cosmico62.

Per la funzione da essa rivestita nel mito zoroastriano della liberazione delle acque, Tištar è la prima fra le stelle di «natura acquea» (āb čihrag)63. Nel calendario il mese di Sirio, ossia di Tīr, iniziava col Solstizio d’estate, quando il Sole è in Cancro (pahlavi Karzang), costellazione anch’essa ritenuta ābīg, «acquea». E ciò in sincronia con la tradizione greca, che riteneva il Cancro, …j, il «granchio», un segno e un animale eminentemente acquatici.

Sirio si trovava in quella costellazione quando, all’inizio dei tempi, le in-fernali armate daēviche sferrarono un micidiale attacco alle creazioni di Oh-rmazd64. Il mondo arabo avrebbe raccolto l’eredità dell’iranismo per varie vie: non solo tramite gli scritti greci e i dotti che, nei paesi invasi dall’Islam, ne re-

60 F. Cumont, «Adonis et Sirius», in Aa.Vv., Mélanges G. Glotz, I, Paris 1932, p. 259; Id., «Adonies et Canicule», in Syria, 16 (1935), p. 46-50.

61 Gnoli, «La stella Sirio», p. 241.62 Gnoli, «La stella Sirio», p. 243.63 E.G. Raffaelli, L’oroscopo del mondo. Il tema di nascita del mondo e del primo uomo

secondo l’astrologia zoroastriana, Milano 2001, p. 87-88.64 D.N. MacKenzie, «Zoroastrian Astrology in the Bundahišn», in Bulletin of the

School of Oriental and African Studies, 27 (1964), p. 514; Panaino, Tištrya, Part II, p. 7; Raf-faelli, L’oroscopo del mondo, p. 87.

Ezio Albrile124

stavano i detentori, ma anche attraverso la religione astrale dei Sabei di Ḥarrān65 o la letteratura astrologica sanscrita che l’indiano Kanata introdusse a Bagdad nell’VIII secolo, al punto che l’opera di Abū Ma‚shar, cento anni dopo, avrebbe preso a modello quella di Varāhamihira.

5. transiti

Gran parte delle conoscenze astronomiche e astrologiche passarono in-fatti nell’Occidente latino attraverso la mediazione dell’Introductorium maius ad astrologiam (= Kitāb al-madkhal al-kabīr ‘alā ‘ilm aḥkām al-nujūm) di Abū Ma‚shar, meglio noto come Albumasar66, scritto a Bagdad nell’848 e tradotto in latino prima da Giovanni di Siviglia nel 1133, e in seguito da Ermanno di Carinzia nel 114067. Un testo di valore inestimabile a riguardo è il Liber astro-logiae di Georgius Zothorus Zaparus Fendulus, un chierico che nel XII secolo tradusse in latino un’antologia di scritti di Abū Ma‚shar (Albumasar philoso-phus). Una copia riccamente miniata, opera di un maestro siciliano al seguito di Federico II Hohenstaufen (1194-1250), è conservata alla Biblioteca Nazionale di Parigi (mss. lat. 7330)68.

L’Introductorium maius è un compendio di disciplina astrologica che lo stesso Abū Ma‚shar probabilmente ricavò da una traduzione pahlavi degli scrit-ti di Teucro di Babilonia (I secolo a.C.), nei quali era inclusa una versione del Bṛhajjataka di Varāhamihira, astrologo e astronomo indiano vissuto a Ujjani, presso la corte di Vikramaditya69. Il tutto, però, rivisitato in termini «sabei»: Abū Ma‚shar riteneva che la religione astrale degli Harraniani fosse la fede ori-ginaria, insegnata al primo uomo da Dio. La storia della disciplina astrologica confermava tale credo. Hermes/Mercurio, il profeta di Ḥarrān, di tempo in

65 Cfr. T.M. Green, The City of the Moon God. Religious Traditions of Harran (Religions in the Graeco-Roman World [ex EPRO] 114), Leiden-New York-Köln 1992, passim.

66  D. Pingree, s.v. «Abū Ma‚shar Ja‚far b. Mohammad Balk–», in Yarshater (ed.), Ency-clopaedia Iranica, I, London-New York 1985, p. 337 a-340 b.

67 Cfr. R. Lemay, Abu Ma‚shar and Latin Aristotelianism in the Twelfth Century. The Re-covery of Aristotle’s Natural Philosophy through Arabic Astrology (American University of Beirut. Oriental Series, 38), Beirut 1962, p. XXVIII-XXIX.

68 F. Avril–M.-Th. Gousset (eds.), Bibliothèque Nationale. Département des manu-scrits. Manuscrits enluminés d’origine italienne. 2. XIII° siècle, Paris 1984, p. 160-162, n° 189; cit. in F. Grenet-G.-J. Pinault, «Contacts des traditions astrologiques de l’Inde et de l’Iran d’après une peinture des collections de Turfan», in Comptes-rendus des séances de l’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres, 141 (1997), p. 1028.

69 Cfr. F. Saxl, La fede negli astri. Dall’Antichità al Rinascimento, trad. it. a cura di S. Settis, Torino 1985, p. 280-286.

La pieve del sagittario 125

tempo si sarebbe manifestato in triplice forma: all’inizio prendendo le fattezze del primo eroe e legislatore iranico Hōšang70, poi del patriarca ebraico Enoch (Ukhnūkh)71 e infine del profeta islamico Idrīs (cioè šj, il cuoco di Alessandro Magno che la tradizione riteneva avesse conseguito l’immortalità fisica; ma la tradizione coranica poteva aver attinto anche dalla figura dell’apo-stolo Andrea). In altre versioni, il primo Hermes era identificato con Enoch vissuto in Egitto; il secondo, babilonese, era il Mercurio dei Caldei (Nabu/Nebo); e il terzo, egiziano, padre dell’alchimia, era il «tre volte grande» Tri-smegisto, summa dei due precedenti72. Verosimilmente, le dottrine astrologiche erano passate dalla Grecia al mondo iranico e da lì ritornarono in Occidente73. Secoli prima, infatti, il sasanide Šābuhr I (240-270 d.C.) compì una prima «se-colarizzazione» degli scritti filosofici e astrologici greci disseminati nelle più remote province dell’ecumene mazdea traducendoli in pahlavi.

Si veniva elaborando, così, una nuova versione dell’iranismo con intrec-ci romanzeschi degni delle Mille e una notte, oppure utilizzata come punto di partenza per nuove speculazioni. L’Islām avrebbe fondato questa assimilazio-ne sull’identificazione di Hermes con Idrīs (cfr. Corano 19, 57) e con Enoch-Agatodemone, mantenendo i rapporti di parentela di questi con Seth. Hermes, cioè la «freccia» Tīr, sarebbe stato testimone dell’antico sorgere delle Pleiadi nel punto equinoziale, un fenomeno che – 3.100 anni prima della nostra èra – costituì effettivamente il punto di partenza del calendario egiziano. Infatti, il geografo e astromante al-Bīrūnī asseriva di aver letto in uno scritto ermetico che all’epoca di Hermes il punto vernale coincideva ancora col sorgere eliaco delle Pleiadi74.

La menzione delle Pleiadi permette di comprendere un altro tratto saliente degli affreschi nel velario inferiore della Pieve di Roccaforte Mondovì: accanto

70 A.S. Shahbazi, s.v. «HŸšang», in Yarshater (ed.), Encyclopaedia Iranica, XII, New York 2004, p. 491 b- 492 a.

71 D. Chwolsohn, Die Ssabier und der Ssabismus, I, Saint-Pétersbourg 1856, p. 637 s.; 787 s.72 D. Pingree, The Thousands of Abu Ma‚shar (Studies of the Warburg Institute, 30),

London 1968, p. 14-18.73 Cf. C.A. Nallino, «Tracce di opere greche giunte agli Arabi per trafila pehlevi-

ca», in Aa.Vv., A Volume of Oriental Studies presented to E.G. Browne, Cambridge 1922, p. 345-363; A. Panaino, «Visione della volta celeste e astrologia nel manicheismo», in L. Cirillo-A. van Tongerloo (cur.), «Manicheismo e Oriente Cristiano Antico»: Atti del Terzo Congresso Internazionale di Studi (Manichaean Studies, III), Louvain-Napoli 1997, p. 251.

74 J. Doresse, «L’ermetismo di derivazione egiziana», in H.-Ch. Puech (cur.), Storia delle religioni, 8. Gnosticismo e manicheismo (Universale Laterza, 397), trad. M.V. Pierini, Roma-Bari 1977 (ed. or. Paris 1970), p. 116.

Ezio Albrile126

all’arciere-Sirio, nella parte destra, troviamo un volatile, a sua volta minacciato da una lancia (fig. 6). L’arma è brandita da un personaggio ornitomorfo, metà uomo e metà uccello. Attorno, dominano la scena altre figure di volatili.

Le Pleiadi, non a caso, sono note nel mondo antico come «colombe»75, £j, un legame confermato da una ricca serie di testimonianze mitolo-giche che ne narrano la metamorfosi76. La loro presenza nel cielo segna l’arrivo della bella stagione a maggio e l’arrivo del cattivo tempo a novembre. Nel primo caso il termine di riferimento è la levata eliaca, nel secondo il tramonto cosmi-co. L’anno risulta così efficacemente ripartito in due semestri77, l’uno corrispon-dente alla stagione primaverile, calda, l’altro alla stagione autunnale, fredda78.

L’aedo Alcmane (seconda metà del VII secolo a.C.), in un controverso passo del Partenio, usa il termine «colombe»79 in relazione a Sirio: in base ai tempi della loro levata, poco prima dell’alba, le Pleiadi annuncerebbero che «la notte sta per finire»80. Altre mitografie riconducono la causa della metamorfo-si in colombe a Orione, grande cacciatore di prede alimentari, ma soprattutto sessuali. Oggetto del desiderio sarebbe Pleione la quale, in compagnia delle fi-glie Pleiadi, fuggiva le profferte di un Orione infoiato (Athen. 11, 490 e-491 a; Schol. ad Apoll. Rodh. 3, 226; Hyg. Astr. 2, 21, 4). Alla fine Zeus trasformerà sia Pleione che le figlie in colombe, immortalando in cielo, unico luogo con-sono ai movimenti eterni, l’incessante inseguimento (cfr. Pind. Nem. 2, 10)81 .

Solo dopo aver nominato l’asterismo, l’uomo, osservandone gli sposta-menti, lo pone in relazione con il mutare del tempo o con i ritmi del lavoro. In seguito si svilupperà un corollario di nomi che raccolgono l’esito di tali osservazioni. Nulla è quindi più in sintonia con l’immaginazione poetica dei Greci della rappresentazione delle Pleiadi come un volo di colombe nel cielo stellato82. E in questo, come negli altri elementi iconografici presi in considera-zione, l’arte romanica ne ha acquisito la memoria. La mitologia è infatti «re-ale», possiede cioè un valore ontologico, solo quando si esprime in immagini

75 Le Boeuffle, Les noms latins d’astres, p. 121-122.76 P. Capponi, La stella perduta. Le Pleiadi nella tradizione mitologica e popolare (In forma

di parola, 16), Alessandria 2010, p. 11-13.77 Cfr. F. Molina Moreno, «The Pleiads, or the First Cosmic Lyre», Hyperboreus. Stu-

dia Classica, 14 (2008), p. 28-38.78 Capponi, La stella perduta, p. 36.79 Capponi, La stella perduta, p. 10-11.80 G.F. Gianotti, «Le Pleiadi di Alcmane», in Rivista di Filologia Classica, 106 (1978),

p. 263-264; Ch. Segal, «Sirius and the Pleiades in Alcman’s Louvre Parthenion», in Mne-mosyne, 36 (1983), p. 274.

81 Capponi, La stella perduta, pp. 12-13.82 Capponi, La stella perduta, pp. 9-10.

La pieve del sagittario 127

simboliche: è come se fosse non solo rivelata, ma quasi scandita da azioni ed eventi situati paradossalmente in un «tempo senza tempo». Non esiste quindi esperienza mitologica che non porti con sé, direttamente o indirettamente, una coscienza del divenire e della sua «prevedibilità».

ezio albrile

elenco delle illustrazioni

Fig. 1 – Sagittario nell’abside minore della chiesa romanica di San Mauri-zio a Roccaforte Mondovì (Cuneo).

Fig. 2 – Epistilio con motivi zodiacali nel nartece della cattedrale romani-ca di Sant’Evasio a Casale Monferrato (Asti).

Fig. 3 – Sagittario nell’ambone della basilica romanica di San Giulio sull’Isola di San Giulio, Lago d’Orta (Novara).

Fig. 4 – Sirena nel velario inferiore (abside minore) della chiesa romanica di San Maurizio a Roccaforte Mondovì (Cuneo).

Fig. 5 – Arciere nel velario inferiore (abside minore) della chiesa romanica di San Maurizio a Roccaforte Mondovì (Cuneo).

Fig. 6 – Figura ornitomorfa nel velario inferiore (abside minore) della chiesa romanica di San Maurizio a Roccaforte Mondovì (Cuneo).

Si ringraziano per la disponibilità Maria Paola Grilli, Davide Miccone, Guido Carlucci e Marco Rivalta.

Ezio Albrile128

Fig. 1

Fig. 2

La pieve del sagittario 129

Fig. 3

Fig. 4

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Fig. 5

Fig. 6